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C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I - 1 - Insiemistica e Teoria degli Insiemi. Appunti delle lezioni per la Scuola di Specializzazione Didattica della Matematica I Carlo Marchini 1. Un breve cenno storico sulla nascita degli insiemi e il loro uso in Matematica. Nella seconda metà del XIX secolo era in corso una ampia discussione su natura, definizione ed esistenza dei numeri reali, come ultimo passo di un processo più ampio noto sotto il nome di Aritmetizzazione dell'Analisi, cioè il tentativo di ricondurre le proprietà di enti e concetti usati ormai da tempo in Analisi matematica (i numeri reali, le funzioni, la continuità, infiniti ed infinitesimi, …) ai veri numeri, cioè i numeri naturali, considerati assieme alle loro proprietà aritmetiche. In verità ci si "accontentava" di ricondurre l'Analisi all'aritmetica di , ai cui elementi si riconosceva, in modo abbastanza generale, la natura di numero. Le proposte più importanti, quelle di Weierstrass, di Cantor e di Dedekind, dei primi anni '70 del XIX secolo, nonché la formulazione originale del principio di induzione di Peano e la nozione di Abbildung (rappresentazione o funzione) di Dedekind, usavano già costruzioni riconducibili agli insiemi. L'opera di Frege poi, mostra il posto fondamentale della nozione di insieme. Però nell'epoca oltre al vocabolo insieme venivano usati altri appellativi quali collezione, classe, aggregato, molteplicità, … per indicare sempre lo stesso concetto. Già la varietà di termini usati per lo stesso tipo di enti, sta a dire che molti matematici, secondo il loro gusto, attribuivano importanza alla nozione, sia pure vista come strumento di ambito linguistico, da usare come forma abbreviata per la presentazione delle proprietà. In realtà, come detto in altra parte, c'è sotto un problema filosofico di raccogliere o radunare oggetti aventi le stesse proprietà, riconducendoli ad un’unità concettuale. E' questo il problema delle categorie oppure, sotto un altro punto di vista, quello degli universali. Sicuramente uno dei meriti di Cantor è stato quello di "fissare" un unico nome per il concetto, mostrandone il suo uso e la sua importanza in Matematica. Ciò avviene in vari lavori da lui pubblicati dal 1879 al 1897. La nozione però non è "nuova". A ben guardare i prodromi del concetto, almeno sul versante filosofico, si ritrovano già nelle opere degli Stoici (III sec. a.C.), cui

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C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Insiemistica e Teoria degli Insiemi.

Appunti delle lezioni per la Scuola di Specializzazione Didattica della Matematica I

Carlo Marchini

1. Un breve cenno storico sulla nascita degli insiemi e il loro uso in Matematica.

Nella seconda metà del XIX secolo era in corso una ampia discussione su natura, definizione ed

esistenza dei numeri reali, come ultimo passo di un processo più ampio noto sotto il nome di

Aritmetizzazione dell'Analisi, cioè il tentativo di ricondurre le proprietà di enti e concetti usati

ormai da tempo in Analisi matematica (i numeri reali, le funzioni, la continuità, infiniti ed

infinitesimi, …) ai veri numeri, cioè i numeri naturali, considerati assieme alle loro proprietà

aritmetiche. In verità ci si "accontentava" di ricondurre l'Analisi all'aritmetica di �, ai cui elementi

si riconosceva, in modo abbastanza generale, la natura di numero.

Le proposte più importanti, quelle di Weierstrass, di Cantor e di Dedekind, dei primi anni '70 del

XIX secolo, nonché la formulazione originale del principio di induzione di Peano e la nozione di

Abbildung (rappresentazione o funzione) di Dedekind, usavano già costruzioni riconducibili agli

insiemi. L'opera di Frege poi, mostra il posto fondamentale della nozione di insieme. Però

nell'epoca oltre al vocabolo insieme venivano usati altri appellativi quali collezione, classe,

aggregato, molteplicità, … per indicare sempre lo stesso concetto. Già la varietà di termini usati

per lo stesso tipo di enti, sta a dire che molti matematici, secondo il loro gusto, attribuivano

importanza alla nozione, sia pure vista come strumento di ambito linguistico, da usare come forma

abbreviata per la presentazione delle proprietà. In realtà, come detto in altra parte, c'è sotto un

problema filosofico di raccogliere o radunare oggetti aventi le stesse proprietà, riconducendoli ad

un’unità concettuale. E' questo il problema delle categorie oppure, sotto un altro punto di vista,

quello degli universali.

Sicuramente uno dei meriti di Cantor è stato quello di "fissare" un unico nome per il concetto,

mostrandone il suo uso e la sua importanza in Matematica. Ciò avviene in vari lavori da lui

pubblicati dal 1879 al 1897. La nozione però non è "nuova". A ben guardare i prodromi del

concetto, almeno sul versante filosofico, si ritrovano già nelle opere degli Stoici (III sec. a.C.), cui

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si attribuisce il seguente diagramma in cui sono presenti aspetti semiotici, linguistici e matematici.

In esso la presenza di frecce sta ad indicare un procedimento di astrazione 1:

Si delinea così il percorso che porta dall'oggetto o individuo, inteso come realtà primaria

manipolabile, al concetto individuale (cioè al concetto formatosi sull'oggetto). Questa strada della

concettualizzazione ha una controparte linguistica nel passaggio dall'oggetto al nome proprio. Qui

però si tratta di intendere la locuzione "nome proprio" non solo come precisato dalle grammatiche

della lingua: "orologio di Mario" è da intendersi come un nome proprio, cioè come una definizione

di un preciso oggetto. Pure "mela rossa", nel contesto in cui si presentano solo mele di colore

diverso e di cui una sola è rossa, è un nome proprio nel senso che qui si usa.

Sembra chiaro che i nomi propri, in quanto entità definitorie, e i concetti individuali, rappresentano

già un livello di astrazione maggiore rispetto agli oggetti.

Un successivo passo di astrazione (generalizzazione? universalizzazione?) avviene nel passaggio

dagli oggetti alle collezioni di oggetti della stessa specie. Nella lingua si presenta il fenomeno che

fa passare dal nome proprio al nome comune, vale a dire dalla mela rossa alla mela, da Marco a

bambino, ecc. Sul versante concettuale, si passa, in tutta analogia a quanto fatto nella lingua, dal

concetto individuale (se si preferisce, dalla visione mentale di una ben precisata mela) al concetto

collettivo di mela, richiamando così mentalmente un frutto che non esiste, dato che ha sapore,

dimensioni e colore della buccia imprecisati.

Questo è il procedimento di astrazione, illustrato nei suoi aspetti linguistici e concettuali. Ma dagli

oggetti si può compiere un'astrazione permessa dalla Matematica, passando agli insiemi.

1 Il diagramma, con qualche variante, è tratto da Speranza F, Medici Cafarra D., Quattrocchi P.: 1986, Insegnare la Matematica nella scuola elementare, Zanichelli, Bologna. Nel diagramma le frecce a punta non piena stanno ad indicare differenti posizioni filosofiche a riguardo dei concetti e del linguaggio.

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Questa "giustificazione" dell'uso linguistico degli insiemi avrebbe poca importanza, se Cantor

iniziando con un problema "matematico" relativo alla convergenza puntuale di una serie

trigonometrica, non ne avesse provato l'importanza e le proprietà matematiche. Il problema di

convergenza fu posto da Eulero e su di esso si esercitarono numerosi ed importanti matematici. Il

primo lavoro in cui Cantor si occupa del tema è del 1872 ed in esso si trovano numerosi concetti

interessanti, ad esempio la costruzione dei numeri reali mediante le successioni di Cauchy di

numeri razionali, il concetto di punto di accumulazione, di insieme derivato, nozioni di topologia

che saranno sviluppate in seguito, ed, in nuce, la teoria degli ordinali. Dopo avere introdotto questi

concetti insiemistici, in connessione con una idea di infinito non ben precisata, nel 1879 Cantor

inizia la pubblicazione di una serie di articoli in cui mette in evidenza che il problema della

convergenza della serie di Fourier, è in realtà riconducibile a concetti che non sono di Analisi,

strettamente parlando, ma sono proprietà di questi nuovi enti, cui riserva la parola Menge. Si volge

quindi a studiare le proprietà degli insiemi, soprattutto in relazione all'infinito ed ai "tipi" di

infinito. Viene così per la prima volta presentata una teoria "coerente" di enti infiniti in atto.

Dopo la pubblicazione delle opera di Cantor, alcuni matematici si appropriano delle sue idee e

mettono a frutto le tecniche che lui ha approntato. Tuttavia l'euforia per questi nuovi strumenti

viene presto a scontrarsi con il sorgere dei paradossi. La prima antinomia, anche se non era stata

intesa come tale dal suo autore, compare nel 1897 ed è dovuta a Cesare Burali-Forti (1861 - 1931).

Ne seguiranno altre, in particolare quella di Russell. La presenza dei paradossi viene spiegata con

l'uso delle totalità infinite e porta i matematici del tempo a trattare gli insiemi una sorta di cautela.

Anzi alcuni matematici famosi, quali Poincaré, Lebesgue (1875 - 1941), Baire (1874 - 1932) e

Borel si schierano in una posizione assai critica relativa all'uso degli insiemi. Si aggiunga la

querelle scoppiata al convegno internazionale di Heidelberg del 1904 in cui, a breve distanza di

tempo, E. Zermelo (1871 - 1953) dimostrava che era possibile dare un buon ordine a � e J. Kö-

nig (1849 - 1913) dimostrava che non era possibile dare un buon ordine a �.

Tali riserve hanno avuto effetto a lungo negli ambienti scientifici. Il libro di testo che ho usato

negli anni 1964 - 65 per i miei studi universitari di Analisi matematica 1 e 2, scritto per altro da un

grande matematico italiano, Leonida Tonelli, evita ogni riferimento agli insiemi e quando ne ha

bisogno usa una serie di "sinonimi" alcuni dei quali matematicamente pericolosi come "gruppi".

La situazione cambia lentamente. Il già citato Zermelo presenta a partire dal 1908 una teoria degli

insiemi con cui si evitano i paradossi noti. Tale teoria diventa poi una specie di standard e oggi, in

un modo esplicito o implicito, molta Matematica fa riferimento ad essa. La centralità degli insiemi,

oltre ai motivi detti nella costruzione o ricostruzione del concetto di numero, diviene sempre più

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evidente. In un certo senso a partire dal 1939, con la pubblicazione del primo fascicolo degli

Éléments de Mathématique di N. Bourbaki, viene assunto il linguaggio insiemistico come lingua

comune della Matematica, ed anzi il testo citato ha come scopo quello di mostrare, tra l'altro, che i

concetti e gli oggetti matematicamente interessanti ammettono una ripresentazione in termini di

insiemi. Altro aspetto fondamentale dell'opera di Bourbaki è il ruolo "esclusivo" della assioma-

tizzazione vista come via per introdurre le strutture, ciò che, secondo il gruppo di matematici fran-

cesi che si celano sotto tale nome, è a fondamento della matematica.

L'opera di Bourbaki è ispirata alla filosofia dello strutturalismo, scuola che nasce in ambito

linguistico, si applica a vari campi, ad esempio l'antropologia con l'opera di C. Lévi-Strauss (n.

1908). Un altro ambito in cui l'influenza dello strutturalismo è assai forte è quella

dell'Epistemologia genetica campo di studi dello psicologo J. Piaget (1896 - 1980). L'opera di

Piaget e dei suoi collaboratori ha grande influenza nella impostazione didattica ed a partire dagli

anni '60 del XX secolo, sono molti gli stati nazionali che ispirano i loro programmi scolastici alla

cosiddetta "nuova matematica". Speranza 1 afferma che:

«A livello universitario l'impostazione strutturalista si è affermata quasi dappertutto, con un movimento di

espansione successiva. In Italia, per esempio, è stata accolta dapprima in alcune università soprattutto del Nord

e del Centro; poi i giovani "generali di prima nomina", intorno al '70, hanno portato i nuovi principi anche là

dove Napoleone e i suoi non erano arrivati, fino in Sicilia e Sardegna.»

Sapendo che a 35 anni (nel 1967) Speranza è risultato vincitore di una Cattedra di Geometria

presso l'Università di Messina, è facile vedere in questo passo un connotato autobiografico. Il

risultato di questa posizione è che per gli studenti universitari ( non solo essi)

«… grazie anche all'abitudine di prendere le cose così come le trasmettono i professori, lo strutturalismo è per

loro "trasparente", non so se se ne accorgono "come un pesce non si accorge dell'acqua".» 2

e questo atteggiamento può entrare in conflitto poi con lo stile cognitivo degli allievi cui tali

studenti vanno ad insegnare, una volta raggiunta la qualifica professionale.

2. Gli insiemi nei programmi scolastici italiani.

Gli insiemi sono presenti nei programmi didattici odierni, spesso accompagnati da distinguo e

cautele (ad esempio nei programmi per le scuole elementari). La ragione di ciò è forse da ricercarsi

nel fatto che per un decennio, a partire dal 1960 si era ritenuto, a ragione o a torto, che

l'insegnamento esplicito della Insiemistica avrebbe promosso la comprensione anche di altri con-

cetti. 1 Si veda Speranza F.: 1998, ‘Strutturalismo o strutturalismi’, manoscritto non pubblicato. 2 Tratto da ‘Strutturalismo o strutturalismi’. Nel brano originale tale atteggiamento è riferito ai matematici italiani.

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L'esperienza non ha contraddetto queste aspettative: il fallimento didattico degli insiemi, motivo

delle cautele di cui si diceva, è forse più un fallimento di strategie scelte dal Ministero

dell’Istruzione di introdurre innovazioni a livello nazionale nei contenuti dei programmi, senza

avere assolutamente predisposto le competenze del corpo insegnante che poi deve gestire tali nuovi

concetti. Finché le scelte ministeriali saranno di questo tenore, si può facilmente pronosticare il

fallimento di qualsiasi innovazione.

Altre analisi 1 ritengono che:

«Quelli che in Francia hanno impostato la presentazione della matematica direttamente sulle strutture -

all'università e poi anche nelle scuole secondarie - si sono nettamente scostati dalla propria esperienza

formativa. Questa può essere stata una delle cause del sostanziale insuccesso del bourbakismo nelle scuole

secondarie, sfociato in una reazione "termidoriana", che ha portato a buttare con ignominia anche idee valide.»

Una seconda ragione dell'insuccesso didattico del bourbakismo la si può vedere adombrata in un

brano di Speranza apparso in Controindicazioni al riduzionismo 2:

«Nel seguito, non contesterò la liceità di tracciare un programma riduzionista 3: interpretare una teoria entro

un'altra è di regola un'importante acquisizione, che getta nuova luce sul sistema delle scienze. Mi batterò contro

la pretesa di presentare la teoria T solamente come un'appendice alla teoria R: soprattutto quando si tratta di

esporre nell'insegnamento la teoria T, e ancor di più quando la si espone agli insegnanti. Quella che contesto è

dunque la prassi riduzionista.

Da questo punto di vista, non tutti i riduzionismi vanno posti sullo stesso piano. Bisogna intanto vedere se vi

sono effettive alternative a una esposizione riduzionista della teoria T; o meglio, alcune riduzioni sono

profondamente radicate nel nostro sottofondo culturale, e, senza che ce ne accorgiamo, ci condizionano.»

La stessa poca attenzione ministeriale che ha causato il fallimento italiano dell'insiemistica viene

applicata ad altri ambiti: attualmente l'Informatica non è entrata neppure nei corsi sperimentali, al

di là della buona volontà dei pochi insegnanti che avevano una preparazione adeguata. Anche la

Geometria delle trasformazioni nella sua essenza è largamente assente dalla scuola, pur se presente

nei programmi; i pochi che la trattano la vedono come "capitolo" della Geometria cartesiana,

sconvolgendo in tale modo la sostanza dell'approccio trasformazionale. Stessa sorte è toccata al

calcolo delle probabilità ed alla statistica, tranne nelle scuole tecniche in cui "serve".

Altro argomento male inteso e spesso ridotto a considerazioni elementari ed irrisorie, è la Logica

che forse affascina gli insegnanti, ma statisticamente è assente dal curriculum degli studenti nei

suoi aspetti più pregnanti.

1 Tratto da ‘Strutturalismo o strutturalismi. 2 Pubblicato in La Matematica e la sua didattica, 1990, 4, f. 3, 12 - 17, ripubblicato in Speranza F.: 1997, Scritti di Epistemologia della Matematica, Pitagora, Bologna, 37 - 44. 3 Ed in un elenco precedente di programmi riduzionisti cita esplicitamente «La presentazione bourbakista delle strutture matematiche come insieme.»

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Per alcuni testi ed estensori di programma, l'Insiemistica è parte integrante della Logica (MPI,

1985). Per questo chi tratta gli argomenti riguardo agli insiemi ritiene di avere svolto la parte di

Logica. Così non è, o almeno, questo è un modo assai riduttivo e storicamente scorretto di

interpretare il tema.

L'idea ambiziosa che mi propongo qui è di contribuire a chiarire punti non sempre presi in conside-

razione dalle pubblicazioni didattiche e divulgative di Teoria degli Insiemi e che spesso generano

confusioni e incomprensioni sia nei docenti che nei discenti e, nel contempo, di fornire informa-

zioni su teorie di grande interesse sia matematico che metodologico. Il docente accorto può sicura-

mente evitare le precisazioni che propongo, non deve però ritenerle superflue perché deve essere

pronto, in caso di difficoltà da parte del discente a comprendere l'origine di tali difficoltà.

3. Alcune riflessioni iniziali.

Serve la teoria degli insiemi? Molta matematica, anche universitaria, sembra farne a meno. Quello

che è assai diffuso nella presentazione odierna della Matematica è il linguaggio della Teoria degli

insiemi. Ad esempio in testi di Geometria (che per sua natura potrebbe farne a meno!) si trovano

spesso affermazioni quali: una retta è un insieme di punti, un punto appartiene ad una retta,

affermazioni talvolta presentate mediante il simbolismo specifico degli insiemi.

Ormai la Teoria degli insiemi, o peggio l'Insiemistica, è divenuta bagaglio comune nella scuola

italiana, a partire dalla fascia dell'obbligo, come prevedono i programmi per la Scuola Primaria. I

motivi di ciò si possono ricollegare a svariate ragioni didattiche e storiche. Il mio intendimento è di

proporre una riflessione spero interessante, sulla Teoria degli Insiemi e nel contempo di puntualiz-

zare alcuni aspetti collegati alle scritture scelte.

Molto spesso si legge sui testi scolastici, anche universitari, che gli insiemi sono collezioni di og-

getti e su questa strada poi ci si muove per introdurre in modo abbastanza elementare le più

semplici collezioni in senso intuitivo, salvo precisarne poi l'uso. Manca spesso la precisazione che

si considerano le collezioni di tutti e soli gli oggetti di un certo tipo, precisato appunto dall'insieme.

E' questo l'approccio originale che trae origine dalle ricerche di Cantor. In esso convergono idee

più antiche provenienti dalla filosofia greca. In sostanza la definizione cantoriana di insieme

discende dal principio di comprensione, vale a dire l’affermazione che una proprietà ϕ individui

univocamente una collezione, quella di tutti e soli gli elementi che soddisfano la proprietà ϕ 1.

1 Può suscitare perplessità motivate il fatto che assumere un principio di questo tipo che ha tutto l’aspetto di un assioma, quindi di puro ambito sintattico, richieda invece considerazioni semantiche come la ‘soddisfacibilità’. Ai

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Raramente i testi si soffermano su un'analisi critica di questa posizione che si potrebbe

definire ingenua, anche se l'approfondimento delle richieste implicite ed esplicite di questo modo

di procedere ha assunto grande importanza in Teoria degli Insiemi. Voglio cioè puntualizzare che

introducendo «ingenuamente» le nozioni relative agli insiemi si presentano difficoltà concettuali

notevoli, quali le antinomie matematiche. Anche la notazione che viene utilizzata risente di questa

superficialità e talvolta non viene neppure adeguatamente spiegata.

La presentazione degli insiemi poi non è unica: talvolta gli insiemi vengono indicati come

un elenco di elementi (per elencazioni) talaltra con una scrittura più complessa in cui intervengono

notazioni matematiche che fanno uso, ad esempio, di variabili e formule (per caratteristica). Ad

esempio si può considerare l'insieme {1,0,3} i cui elementi sono tutti e soli quelli compresi nell'e-

lenco presentato tra le parentesi graffe, oppure l'insieme {x | x∈��∧�x è una cifra usata per scri-

vere il numero 103} i cui elementi sono tutti e soli quelli che soddisfano la proprietà detta, la carat-

teristica dell'insieme.

Il fatto che un insieme sia la collezione di tutti gli elementi che godono di una data pro-

prietà ha come conseguenza che se un elemento soddisfa la detta proprietà, è elemento

dell'insieme, ma questo non esclude che nell'insieme vi possano essere elementi di altra natura; il

fatto che all'insieme appartengano solo gli elementi che soddisfano la data proprietà esclude che

nell'insieme sia presente "spazzatura", quindi se un oggetto è elemento dell'insieme deve

soddisfare la proprietà. Questi aspetti andrebbero sottolineati didatticamente perché presentano

l'ente insieme mediante una contrapposizione, cioè individuando cosa ne è elemento e cosa no, pur

non avendo un "criterio" esplicito.

Talvolta sui testi scolastici viene presentato (in modo non chiaro) il concetto di insieme

assieme ad un "criterio" mediante il quale deve essere chiaro cosa appartiene all'insieme e cosa no.

Questa richiesta introduce considerazioni complesse che se "perseguite" in modo coerente

porterebbero ad una teoria degli insiemi totalmente diversa da quella "consueta". Per chiarire un

esempio: è noto che il numero � è un numero irrazionale, anzi grazie ad un teorema del 1882 di

Lindemann (1852 - 1939) si tratta di un numero reale trascendente, risolvendo così una volta per

tutte, in senso negativo, il problema della quadratura del cerchio. Il numero � pertanto ammette

una scrittura come numero decimale illimitato periodico e dal 1986 si conoscono le prime

29.360.128 cifre decimali. Sia a l'insieme delle cifre che compaiono infinite volte nello sviluppo

decimale di �. C'è un criterio per cui si possa decidere quali sono gli elementi di a? Un tale criterio

tempi di Cantor la distinzione tra semantica e sintassi non era ancora emersa come uno dei punti fondamentali della Matematica.

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non può essere fornito, anzi le cifre di � vengono assunte come esempio di numeri aleatori. Questo

non ci permette di dire che a è un insieme? Eppure si può affermare che a � ∅ e che #a > 1!

Sempre rimanendo all'intero degli esempi precedenti, x∈{1,0,3} sta a significare che x è un ele-

mento della elencazione data, visto che {1,0,3} raccoglie solo gli elementi individuati da una ben

precisa elencazione. D'altra parte 0, 3 e 1 sono compresi nell'elencazione, ma {1,0,3} è la collezio-

ne di tutti gli elementi della elencazione quindi 1∈{1,0,3}, 3∈{1,0,3} e pure 0∈{1,0,3}.

Questi aspetti appaiono più chiari nel caso di insiemi dati per caratteristica. Ad esempio se α(x)

denota una proprietà di una certa specie di enti matematici, {x | α(x)} sta ad indicare la collezione

di tutti e soli gli enti prefissati che godono o soddisfano la proprietà α. Ma il fatto che la scrittura

individui la collezione di tutti gli elementi che soddisfano la proprietà α comporta che per ogni a

per cui α(a) si ha a∈{x | α(x)}. Il fatto che in {x | α(x)} siano collezionati solo gli elementi che

soddisfano la proprietà P, si traduce nel fatto che da a∈{x | α(x)} si deduce α(a).

Quale scegliere tra caratteristica ed elencazione? Quando gli insiemi sono finiti e in certi casi

quando gli insiemi sono infiniti è possibile usare l'elencazione: ad esempio con la scrittura

{0,1,2,…} talvolta si denota l'insieme dei numeri naturali. Non vi è nulla di fondamentalmente

scorretto, potendosi pensare a convenzioni per rappresentare gli insiemi, però viene a cadere la

possibilità di esibire completamente gli elementi dell'elencazione. Talvolta poi la rappresentazione

per elencazione è possibile ma non utile. Ad esempio è più semplice considerare l'insieme degli

abitanti di New York alle 14.30 del 3 luglio 1997, dato mediante una caratteristica, che mostrare

per ostensione l'elenco completo degli abitanti di New York desunto dagli archivi dell'Anagrafe

della città americana, nel momento temporale che interessa.

La scrittura per caratteristica è più corretta per gli insiemi infiniti (e l'unica davvero utilizzabile nel

caso di insiemi finiti "grandi") e dagli esempi già mostrati è utilizzabile anche per denotare insiemi

finiti. Privilegiare le elencazioni per gli insiemi finiti e le caratteristiche per insiemi infiniti

potrebbe causare una mancanza di coerenza di rappresentazione e ciò potrebbe dare fastidio, in

vari modi. Le due maniere di rappresentare gli insiemi risentono di due diverse impostazioni con-

cettuali: con l'elencazione si pensa di identificare l'insieme citandone esplicitamente ed in modo

esaustivo gli elementi, e per fare questo non servono strumenti logici di sorta (o se proprio si vuole

il solo connettivo di disgiunzione), ma solo un'adeguata dose di «pazienza». Utilizzando il secondo

modo, cioè con l'uso di formule, è necessario avere forgiato prima un adeguato strumento lin-

guistico, precedente al concetto d'insieme. Poi si determina se ciascun individuo appartiene o no

all'insieme, testando se soddisfa la proprietà e l'effettuazione di questa prova spesso potrebbe es-

sere solo immaginaria, non eseguita. In tal modo aumenta il «fabbisogno» di Logica, anche nelle

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fasi iniziali della teoria. Un punto delicato è poi la forma della scrittura, negli insiemi dati per

caratteristica, e i ruoli delle indeterminate (variabili). Una prima osservazione banale ma assai

importante è che si ha {x | α(x)} = {y | α(y)}, cioè non ha importanza il nome della indeterminata

(variabile se è fissato il dominio di variazione) usata nella scrittura. In termine tecnico i logici di-

cono che le presenze di x in {x | α(x)} sono vincolate. Tutto ciò accosta il simbolo { … | …} al

quantificatore universale. Si deve ritenere quantificata l'indeterminata (o le indeterminate) che

sono poste a sinistra della sbarra. Talvolta capita che nella proprietà usata siano presenti altre

indeterminate col ruolo di parametri, ad esempio nel linguaggio degli insiemi si ha {x | x∈A ∧

x∈B}, scrittura usata per rappresentare l'insieme (A ∩ B). Come si vede il "risultato" dell'insieme

{x | x∈A ∧ x∈B} dipende da A e B (i parametri) che sono presenti nella scrittura, ma solo a destra

della sbarra ed in una formula senza quantificatori su A e B. La dipendenza va intesa nel senso che

cambiando A e B muta il risultato, cioè l'intersezione. L'indeterminata x che è presente sia a destra

che a sinistra è da ritenersi vincolata. Il lettore non si lasci ingannare dal fatto che si usino lettere di

tipi tipograficamente diversi, anche A e B svolgono il ruolo di indeterminate. Su questo punto si

torna in seguito.

Si capisce così la necessità di quella che sembra una ripetizione insignificante e pedante: se si

vuole considerare l'insieme delle regioni italiane si può scrivere {x | x è una regione italiana}, op-

pure, con pazienza l'elenco completo, ma non {x è una regione italiana} perché mancando la sbarra

e prima di essa l'indicazione della indeterminata da quantificare, la scrittura {x è una regione italia-

na} si può interpretare solo come un insieme dato per elencazione, con un unico elemento in tale

elenco, la frase “x è una regione italiana”.

Se ad esempio si vuole descrivere l'insieme dei numeri (naturali) pari si ha la possibilità di sce-

gliere tra queste due rappresentazioni: {n | ∃m∈�(n = 2m)} e {2n | n∈�}. Entrambe dipendono

solo dal parametro �. Nella prima è presente la variabile m che però ha le presenze vincolate dal

quantificatore esistenziale, quindi la proprietà scritta a destra della sbarra dipende solo da n. Se si

può fare una "graduatoria" di non gradimento, sicuramente il quantificatore esistenziale "vince" sul

quantificatore universale.

Talvolta è possibile vedere denotato lo stesso insieme con le scritture più semplici {2m} o { n | n =

2m}. Della prima scrittura vale quanto detto per le regioni italiane. Nella seconda l'insieme { n | n

= 2m} dipende dal parametro m, per cui si sottintende l'appartenenza ai numeri naturali. Fissato un

valore per m, tale insieme è costituito da un singoletto, non si tratta quindi dell'insieme dei numeri

pari. Il fatto che spesso il quantificatore universale venga omesso (o sottinteso) fa sì che se si

esplicita come ∀m∈�({n | n = 2m}) si commette un errore di natura morfologica: la quantificazio-

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ne si applica ad una formula, mentre {n | n = 2m} è un termine. Se non si fa caso a questa impreci-

sione, la scrittura significa che si sta considerando la totalità dei singoletti dei numeri pari. Se inve-

ce la quantificazione universale su m viene scritta all'interno delle parentesi graffe, {n | n = 2m,

∀m∈�} si utilizza una scrittura ancora scorretta perché non segue le regole di formazione delle

formule del linguaggio dei numeri naturali, se si intende la scrittura come una variante sinonimica

di {n | ∀m∈�(n = 2m)}, ma l'insieme che si ottiene in questo modo è ∅, dato che non esiste alcun

numero naturale che sia il doppio di ogni numero naturale, cioè non esiste alcun numero che sia

contemporaneamente, questo è il significato della quantificazione universale, uguale a 0, a 2, a 4,

… Eppure questo tipo di scritture viene tuttora utilizzato.

Molto spesso sui testi si trova per l'intersezione di due insiemi la scrittura formale scritta prima,

che qui si ripresenta: (A∩B) = {x | x∈A ∧ x∈B}. Ad esempio, dati gli insiemi A = {1,2,4,8} e B =

{0,2,4,6,8}, forse la scrittura formale A∩B = {x | x∈A ∧ x∈B} è superflua, facendo intervenire

delle considerazioni logiche, laddove con un semplice algoritmo di confronto tra gli elementi degli

insiemi di partenza si potrebbe trovare il risultato. Ancora peggio è la scrittura che riguarda

l'unione: (A∪B) = {x | x∈A ∨ x∈B}. In essa interviene il connettivo di disgiunzione e, non ostante

tutta l'analisi critica sviluppatasi da G. Boole (1815 - 1864) in poi, ancora oggi sui testi scolastici si

presenta tale connettivo nell'accezione disgiuntiva (aut).

4. Insegnare gli insiemi?

Viste le difficoltà che queste pur semplici considerazioni mettono in rilievo, forse l'insegnante può

propendere per continuare con l'insegnamento privilegiando gli aspetti intuitivi, obiettando che un

più dettagliato insegnamento quale quello che viene sostanzialmente proposto in queste note,

andrebbe al di là delle esigenze didattiche che motivano l'introduzione degli insiemi. Ciò può

essere vero in ambiti quali la scuola dell'obbligo, ma cessa di avere valore in scuole superiori in cui

viene richiesta una riflessione più matura. Se viene ancora introdotta la Geometria, in special modo

quella euclidea, come sistema ipotetico-deduttivo, eguale importanza ha la Teoria degli Insiemi

come sistema deduttivo, anzi tale teoria è indispensabile per chiarire i rapporti tra approcci

assiomatici ed approcci formali, che vengono richiamati nei cosiddetti Programmi Brocca. Una

critica a discapito della nostra teoria è una pretesa minore verificabilità nel mondo dell'esperienza

fisica ma questa non dovrebbe essere una ragione per introdurla in modo non accurato. Rifiutare

un approfondimento corretto della Teoria degli Insiemi è una posizione da considerarsi

contraddittoria per i seguenti motivi:

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

- 11 -

1) spesso la Teoria degli Insiemi viene utilizzata nei primi anni di scuola come strumento per l'in-

troduzione di altri concetti più astratti, quali quello di numero naturale. Tale pratica è stata

spesso criticata per i problemi logici e psicologici cui dà adito. I programmi della Scuola

Primaria tengono conto dell'importanza culturale della Teoria degli Insiemi, indicandola come

uno dei contesti irrinunciabili, anche se invitano alla cautela nell'utilizzazione della

simbolizzazione, in quanto una precoce formalizzazione non sembra opportuna. Ma se questo è

vero per la scuola dell'obbligo, cessa di essere vero nelle Superiori. Cade inoltre l'eventuale

asserzione di una minore intuitività della Teoria degli Insiemi rispetto alla Geometria in quanto

questi due modi di fare matematica vengono contemporaneamente introdotti nei nuovi

curricola scolastici, visto che spesso la capacità di intuire è direttamente legata ad una

conoscenza precedente.

2) La posizione di non introdurre correttamente la Teoria degli Insiemi, almeno alle scuole supe-

riori, è contraddetta dalle esigenze di ammodernamento che sono state accolte dal Piano

nazionale di introduzione dell'Informatica e dalle varie proposte di innovazione dei curricola.

Tutti gli aspetti formali, spesso trascurati dall'insegnamento, devono assumere grande

importanza ed anche le strutture astratte che in un certo senso trovano la loro giustificazione

nel formalismo, devono acquisire maggiore rilevanza. La Teoria degli Insiemi potrebbe allora

essere introdotta come particolare tipo di teoria astratta. In essa in luogo di operazioni o di una

relazione (binaria) d'ordine ha ruolo preponderante l'appartenenza. Anche in questo caso si

tratta di una relazione binaria con proprietà sue proprie, diverse da quelle di ordine. Lo studio

della Teoria degli Insiemi può essere visto appunto come lo studio delle proprietà di tale

relazione, denotata con il simbolo ∈ che è divenuto ormai familiare ad ogni studente, come

dicevo, dalle elementari in poi. In questa ottica riprendendo idee di M. Pieri, gli assiomi

servono esattamente per definire implicitamente il predicato di appartenenza.

3) Il fatto che storicamente la Teoria degli Insiemi sia nata per risolvere problemi matematici e

che poi sia stata utilizzata come teoria fondamentale per la Matematica stessa, non può essere

taciuto in un contesto di analisi critico-filosofica della scienza odierna, inserita nella Filosofia

della scienza che dovrebbe essere insegnata già con i programmi "vecchi" al Liceo scientifico e

che una proposta di riforma dei programmi per le Superiori prevedeva in ogni tipo di scuola.

4) Come si diceva sopra il concetto di insieme permette di chiarire concetti matematici complessi.

Un esempio è dato dal concetto di funzione che per motivi storici e contenutistici si è dipanato

con molta difficoltà fino alle attuali "proposte" di identificare una funzione come un sottin-

sieme di un prodotto cartesiano, con condizioni opportune.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

- 12 -

Un altro esempio è dato dal concetto geometrico di luogo di punti, dizione non sempre trasparente

per indicare un insieme.

Un ulteriore esempio è quello di integrale indefinito. E' ben noto che il simbolo solitamente uti-

lizzato ricorda quello di integrale definito. Cioè se f è una funzione reale di variabile reale definita

nell'intervallo [α,β] ed ivi integrabile, si ha l'integrale (definito) che si denota con �b

adxxf )( , ed il

risultato dipende da f, da a e da b. Ora l'integrale indefinito si denota col simbolo � dxxf )( , sembra

che siano "spariti" gli estremi dell'intervallo di integrazione, che invece sono presenti nel dominio

di definizione della funzione f.

Dall'analisi morfologica di questa scrittura il risultato dipende solo da f. Questa sparizione di pa-

rametri in varie occasioni "matematiche" sta a segnalare che si compie una generalizzazione sui

parametri, cioè si considera una proprietà o una quantità indipendente dai parametri stessi in

quanto "valida" per ogni valore dei parametri. Ma così non è: l'intervallo [a,b] è fissato perché è

fissata la funzione f. Se si cambiano si ha piuttosto a che fare con un integrale generalizzato, non

con un integrale indefinito. L'integrale indefinito è in realtà un insieme, l'insieme delle funzioni

primitive della funzione f, cioè l'insieme di tutte e sole le funzioni definite in [a,b], derivabili in

]a,b[ e la cui funzione derivata nell'intervallo ]a,b[ 1 coincide con la data funzione f. In simboli

� dxxf )( = {g: [a,b] → � | Dg = f}.

Un altro modo di indicare l'integrale indefinito è dato da � dxxf )( + c, scrittura "abominevole" che

oscura il fatto che si ha a che fare con un insieme. Può essere giustificata solo osservando che

ponendo per ogni coppia di funzioni reali di variabile reale definite in [a,b] ponendo «due funzioni

sono equivalenti se hanno la stessa derivata in ogni punto di ]a,b[» è una relazione di equivalenza.

L'integrale indefinito è una particolare classe di equivalenza, rispetto alla relazione detta sopra.

La funzione � dxxf )( + c è un rappresentante di tale classe, ma identificare una classe di

equivalenza con il rappresentante non sembra molto corretto e certamente offre tutti i problemi

visti in ogni parte della matematica.

Per di più le "formule" che affermano � �= dxxfdxxf )()( λλ = e

� � �+=+ dxxgdxxfdxxgxf )()()()(( vanno analizzate assai accuratamente perché sembrano

utilizzare la somma di due insiemi o il prodotto di un numero reale per un insieme, operazioni

almeno "strane" se non definite in modo corretto. Qui si tratta di provare come in tanti altri casi

che il risultato delle operazioni non dipende dal rappresentante scelto per individuare la classe. 1 Talvolta si considera la coincidenza in [a,b], della derivata della primitiva con f intendendo però che la derivata destra della primitiva in a e sinistra in b.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Spesso gli studenti, giustamente, non comprendono perché

cdxxgdxxfcdxxgxf +� � �+=++ )()()()(( e non compaia invece un 2c.

Anche nel linguaggio comune si utilizzano spesso gli insiemi: si confrontino tra loro le due af-

fermazioni Gli apostoli sono ebrei e Gli apostoli sono dodici, oppure Il lupo ulula o Il lupo è in via

di estinzione. Nelle seconde frasi delle due coppie non si parla dei singoli individui ma dell'insieme

di tali individui: ebreo è un aggettivo qualificativo applicabile ad apostolo, dodici è un aggettivo

numerale cardinale non applicabile ad apostolo, ma riferibile alla cardinalità dell'insieme degli

apostoli. Allo stesso modo ululare è un verbo applicabile a ciascun animale mentre essere in via di

estinzione non è riferito al singolo individuo ma all'insieme (specie) dei lupi.

5. Le operazioni insiemistiche.

Come esempio di considerazioni critiche assai semplici che si riallacciano a problematiche ben

note, prendiamo l'introduzione delle operazioni insiemistiche. Dati due insiemi A e B si dice

unione dei due insiemi un insieme C costituito da tutti e soli gli elementi che appartengono ad

almeno uno dei due. In simboli si può caratterizzare l'insieme C scrivendo

(1) x∈C ↔ (x∈A ∨ x∈B).

In base all'analisi precedente, tutti si traduce nel fatto che (x∈A ∨ x∈B) → x∈C, mentre soli si tra-

duce nel fatto che x∈C → (x∈A ∨ x∈B). In questa scrittura, oltre ai nomi degli insiemi A, B e C

(indeterminate) compare una indeterminata x che traduce matematicamente l'elemento generico su

cui si fanno le varie predicazioni: appartiene a C se e solo se (tradotto dal simbolo matematico ↔)

è elemento di A oppure è elemento di B o ancora è elemento di entrambi (e tutte queste eventualità

sono riassunte nel simbolo matematico ∨). Dopo aver spiegato nei dettagli la scrittura, tra l'altro as-

sai frequente in vari testi anche elementari, ci si dovrebbe porre la domanda se esiste un insieme

unione che viene descritto dalla (1), e se sia unico.

Stranamente mentre nella Geometria vengono spesso presentati gli assiomi con dovizia di partico-

lari e di considerazioni sui termini primitivi e sul significato dell'assunzione di principi elementari

quali appunto gli assiomi, ben poca attenzione viene posta ai problemi di esistenza ed unicità degli

enti definiti mediante le operazioni insiemistiche. Questo vale sia per l'operazione di unione, come

per le operazioni di intersezione, differenza, passaggio all'insieme delle parti, quoziente rispetto

alle relazioni di equivalenza, ecc. Il motivo di questa «dimenticanza» potrebbe essere trovato in

una intuitività delle operazioni insiemistiche, maggiore rispetto agli aspetti geometrici, in contrasto

con la pretesa eccessiva astrazione della Teoria degli Insiemi, di cui si diceva prima.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Certamente per qualcuna delle operazioni citate può sembrare strano chiedere esplicitamente ed in

via preliminare che un insieme risultato dell'operazione esista e, per di più, sia univocamente de-

terminato. Ad esempio se si deve costruire l'insieme intersezione di due insiemi dati A e B, indicato

con la scrittura (A∩B) ed individuato dalla relazione

(2) x∈(A∩B) ↔ (x∈A ∧ x∈B),

si può pensare che tale insieme esista perché si tratta di una collezione di elementi più «piccola»

dei due insiemi A e B presi in considerazione. Cioè vedendo in modo «costruttivo» gli insiemi, am-

messo di aver costruito A e B, quando tutti i loro elementi sono stati costruiti ed individuati, gli

elementi dell'intersezione risultano già «presenti» ed individuati dalla (2). Ragionamenti un poco

diversi, ma dello stesso tenore, possono essere portati a giustificazione di altre operazioni elemen-

tari sugli insiemi. Questo punto di vista risente di certe impostazioni predicativiste della

Matematica (Poincaré, H. Weyl).

Così quando si «costruiscono» insiemi mediante attività manipolative, assai consigliabili nella

Scuola Primaria (per esempio, contornando oggetti posti su di un piano mediante una cordicella),

sembra ovvia l'esistenza dell'intersezione. Per chiarire con un esempio di tale attività, si supponga

di avere formato gli insiemi A, costituito dai blocchi logici di forma rettangolare, e B costituito dai

blocchi logici di colore rosso, l'insieme (A∩B) è costituito dai blocchi logici che sono contempora-

neamente di forma rettangolare e di colore rosso. Se la visualizzazione degli insiemi è data

racchiudendo i blocchi in esame in parti di piano delimitate da cordicelle, resta ben visibile nel

piano stesso l'insieme intersezione che si trova appunto nella parte di piano comune ai due insiemi.

Il problema dell'esistenza dell'intersezione è quindi risolto dall'immediata costruibilità dell'insieme

(A∩B), con la tecnica mostrata. In modo analogo è facile costruire altri insiemi che sono il risultato

delle operazioni di unione o di differenza tra due insiemi.

Gli esempi mostrati se servono assai bene a fare comprendere come si opera sugli insiemi finiti

sono meno idonei a far comprendere il problema nelle sue linee generali, ad esempio nascondono

la necessità di garantirsi a priori dell'esistenza degli insiemi che vengono definiti mediante le ope-

razioni.

Quello che serve è che le operazioni insiemistiche diano luogo a leggi di composizione interne per

gli insiemi, così come si chiede che il risultato dell'addizione eseguita nei numeri interi relativi dia

un numero intero relativo.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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6. Necessità di abbandonare l'approccio intuitivo.

Da un altro punto di vista, operando con insiemi qualunque (finiti o infiniti), l'esistenza dei risultati

delle operazioni può sembrare implicita dall'assunzione che un insieme sia costituito dalla colle-

zione di tutti e soli gli elementi che soddisfano una certa proprietà, quali ad esempio quelle illu-

strate in (1) e (2). Tale richiesta è il principio di comprensione. E' questo il punto di vista intuitivo

su cui mi sono soffermato prima e che, ribadisco, è inaccettabile, senza opportune limitazioni,

perché porta a contraddizioni. Forse la più nota di tutte le antinomie causate dalla posizione

«ingenua» che ogni proprietà determini un insieme è quella dovuta a Russell (1872 - 1970), già

introdotta ed analizzata nelle lezioni sul problema degli universali.

L'analisi che porta al paradosso di Russell mette in luce che l'approccio ingenuo ha dei limiti e

forse, se la "spesa" è poca, è meglio acquistare merce buona piuttosto che merce scadente, anzi che

sappiamo "deteriorata".

I testi a volte cercano di salvare l'approccio ingenuo introducendo un non ben precisato universo

del discorso; da riguardarsi con un certo sospetto 1. Infatti dati due insiemi a e b 2, in realtà

sottinsiemi dell'insieme universo V, richiedere che esistano l'insieme unione dei due, o l'insieme

intersezione o ancora l'insieme differenza (a – b), in quanto sottinsiemi di V, vuol dire assumere un

principio di esistenza non introdotto esplicitamente, ricavandolo forse dalla nozione comune

euclidea (la VIII) secondo la quale il tutto è maggiore della parte. Ma anche accogliendo questa

soluzione resta poi il problema di giustificare l'esistenza di insiemi quali la coppia non ordinata

{a,b} oppure l'insieme delle parti �(a).

Che fare dunque? Apparentemente quanto detto sopra potrebbe scoraggiare un «utente» intuitivo

della Teoria degli Insiemi e fargli pensare che non vale la pena preoccuparsene e forse utilizzare

gli insiemi solo come linguaggio "stenografico". E’ bene ricordare che questo intervento è diretto

ai (futuri) docenti che si devono «misurare» con la Teoria degli Insiemi e che forse per presentarla

meglio sentono il bisogno di conoscerla più in profondità.

Dapprima si osservi che spesso gli argomenti di Teoria degli Insiemi vengono presentati in contesti

più complessi, traendo spunto per esemplificazioni da altre parti della Matematica o dall'espe-

rienza, con una commistione di linguaggi, che oscura la essenzialità del problema: per studiare le

questioni insiemistiche è sufficiente un unico predicato, l'appartenenza, ∈, che viene assunto

quindi come concetto primitivo. Gli esempi di antinomie nate sulla base di una presentazione in-

1 E' possibile introdurre rigorosamente gli universi in connessione con cardinali (fortemente) inaccessibili, ma questo porta ad assumere assiomi "forti" di infinito. Una conseguenza di ciò è la coerenza della teoria ZF degli insiemi che in base ai risultati di incompletezza di Gödel non è dimostrabile utilizzando la teoria ZF stessa. 2 D'ora in poi, salvo esplicito avviso contrario, si usano le lettere minuscole per denotare degli insiemi.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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tuitiva degli insiemi, fanno riflettere sulla opportunità di trattare l'argomento in modo assai control-

lato e controllabile.

Una possibile strategia per ottenere la soluzione è condurre un'analisi accurata allo scopo di de-

terminare le esigenze da soddisfare per utilizzare in modo coerente e corretto la Teoria degli In-

siemi e poi vedere se esista una formulazione adeguata, ad esempio con un sistema assiomatico già

noto e studiato in cui tali richieste vengono soddisfatte. La necessità di una presentazione assio-

matica è giustificata dall'esigenza di rigore, di cui si diceva prima: infatti data l'importanza che gli

argomenti insiemistici hanno assunto in varie parti della Matematica, la presenza di antinomie

avrebbe conseguenze spiacevoli per l'edificio generale. La domanda è retorica perché di sistemi

assiomatici che soddisfano le richieste precedenti ve n'è più d'uno.

Quello che si intende fare in questi appunti è mostrare la «naturalità» o «intuitività» di un sistema

ben noto in letteratura ed indicato con la sigla ZF per ricordare i suoi proponenti: i matematici

Ernst Zermelo e Abraham Fraenkel (1891 - 1965).

Come prima richiesta c'è quella, apparentemente elementare, che esistano degli insiemi, in par-

ticolare, per motivi di semplificazione, che ne esistano almeno due: uno privo di elementi ed uno

con infiniti elementi, questo se almeno si vuole fare quella parte dell'Aritmetica e dell'Analisi in

cui si richiede che ci siano gli insiemi dei numeri naturali, quello dei numeri interi relativi, quello

dei numeri razionali, ecc. Per questi due insiemi useremo simboli particolari che vengono assunti

come costanti del linguaggio, in aggiunta al predicato ∈, ∅ per un insieme privo di elementi e ω

per un insieme infinito (che poi acquisterà anche il significato di primo ordinale trasfinito). Stori-

camente, la formulazione di una Teoria degli Insiemi è stata motivata appunto dal problema di

fornire argomenti saldi all'Aritmetica e, in via subordinata, all'Analisi 1.

Nasce però, immediatamente un problema: se di insiemi privi di elementi ve ne fossero più d'uno,

quale di questi sarebbe l'insieme vuoto ∅? Il problema è più generale: dati due insiemi, quale

criterio usare per indicare che in realtà i due insiemi possono essere identificati dal punto di vista

insiemistico? Non si chiede che i due insiemi siano identici, perché in questa accezione una

relazione di eguaglianza sarebbe troppo difficile da maneggiare. L'idea è quella che spesso gli

studenti (ed Euclide) sottintendono quando formulano scorrettamente il teorema di Pitagora dicen-

do che in ogni triangolo rettangolo la somma dei quadrati costruiti sui cateti è eguale al quadrato

costruito sull'ipotenusa. La precisazione di cosa significhi eguale dipende dalla teoria che si sta

considerando. Ed una volta stabilita l'eguaglianza, è necessario che per essa valgano le consuete

proprietà che ne fanno una relazione di equivalenza nell'accezione matematica del termine. Inoltre 1 Per gli scopi della Matematica non basta la presenza solo di questi insiemi, ma devono essere disponibili le costruzioni utilizzate per la costruzione dei sistemi numerici quali partizioni, relazioni di equivalenza, funzioni, ecc.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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per essa deve valere una proprietà sostitutiva, nel senso che se due individui sono uguali, ciò che si

predica su uno di essi, si può parimenti predicare del secondo.

Oramai dovrebbe essere ben noto che il criterio per considerare eguali due insiemi, almeno dal

punto di vista insiemistico (estensionale), sia quello di verificare se hanno gli stessi elementi. Ciò

vuol dire che se a e b sono eguali, allora per ogni x∈a si ha anche x∈b, e viceversa, dunque in

simboli,

(3) a = b → ∀x(x∈a ↔ x∈b).

Questo è ovvio se i due insiemi sono identici, forse è meno ovvio il fatto che se due insiemi hanno

gli stessi elementi debbano ritenersi eguali, in simboli

(4) ∀x(x∈a ↔ x∈b) → a = b.

Per mostrare che la (4) non è altrettanto ovvia della (3), si osservi che se x = y, nel senso che hanno

gli stessi elementi, non si vede dal fatto che x∈a debba necessariamente concludersi che y∈a. Tale

esigenza viene però giustificata dalla richiesta, presentata sopra, che valga un principio di

sostitutività (per entrambi i "posti" della relazione di appartenenza).

Riassumendo, due insiemi sono da ritenersi insiemisticamente eguali se e solo se hanno gli stessi

insiemi come elementi. In simboli, evidenziando la generalità della richiesta

(5) ∀a∀b(a = b ↔ ∀x(x∈a ↔ x∈b)).

Tale assioma di estensionalità è il primo assioma che si pone nella teoria, dopo di che si è sicuri

che se due insiemi hanno gli stessi insiemi come elementi, sono eguali. In particolare se due

insiemi non hanno elementi, hanno ovviamente … gli stessi elementi, nel senso che non si trova un

elemento che appartiene ad un dei due insiemi e non all'altro. Dunque per i nostri scopi si può

ritenere che vi sia un unico insieme vuoto. E' allora corretto indicarlo con un simbolo speciale: ∅.

Da una sistemazione di questo tipo sembrano restare escluse la Geometria ed altre parti della

Matematica, per il fatto che mancano elementi primitivi (o urelementi), cioè individui che possono

essere posti solo a sinistra del simbolo di appartenenza, che dunque, a loro volta non hanno ele-

menti. Si osservi che sia l'insieme vuoto, sia un qualsiasi urelemento non hanno elementi; per la

(5) si avrebbe dunque che non aver elementi garantisce che ogni elemento (inesistente) dell'insie-

me vuoto soddisfa parimenti alla condizione di (non) appartenere ad un urelemento 1. Si dovrebbe

pertanto identificare l'insieme vuoto con ciascuno urelemento e tutti gli urelementi tra loro. Si

1 Secondo Speranza (1932 - 1998) in Speranza, F.: 1993, ‘Contributi alla costruzione d'una filosofia non assolutista della Matematica’, Epistemologia, Vol. 16, 255 - 280 (ristampato in Scritti di Epistemologia della Matematica, Pitagora Editore, Bologna, 1997, 87 - 102), la presenza di urelementi in una versione "informale" della teoria degli insiemi può essere assunta come un falsificatore potenziale della Teoria degli Insiemi, nel senso detto dal filosofo ungherese I. Lakatos (1922-1974) in I. Lakatos: 1967, ‘A renaissance of empiricism in the recent philosophy of mathematics?’ Philosophica Papers, vol. 2, Cambridge U.P., Cambridge, 24 - 42.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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pensi a quali effetti avrebbe questa posizione in una riformulazione insiemistica della Geometria o

dell'Algebra, in cui si utilizzano anche strumenti insiemistici: i punti, o gli elementi di una struttura

algebrica, non hanno elementi dunque sarebbero urelementi e pertanto tutti tra loro indistinguibili.

Questo tipo di problemi è stato ampiamente affrontato e risolto dalla presentazione di Teorie degli

Insiemi che prevedono urelementi, la cui presenza altera la formulazione dell'assioma di

estensionalità, con l'aggiunta di clausole che esplicitino che l'eguaglianza tra urelementi si riduce

all'identità stretta e che due insiemi sono eguali se hanno per elementi gli stessi urelementi oppure

se hanno gli stessi insiemi per elementi. La presentazione ovviamente diviene più complicata.

In una teoria che non distingua tra elementi ed insiemi ha senso, fino ad un certo punto, distinguere

tra questi due tipi di oggetti usando lettere minuscole per elementi e maiuscole per insiemi. Ma si

comprende presto che tale distinzione deve essere abbandonata, altrimenti bisognerebbe inventare

un alfabeto con infiniti tipi diversi, dato che un insieme a sua volta può essere elemento di un altro

insieme, come capita ad esempio per mezzo dell'operazione di passaggio all'insieme delle parti,

operazione che si può reiterare. Ciò spinge a denotare gli insiemi e gli elementi con lettere

minuscole.

7. Assiomatizzazione delle operazioni.

La più semplice Teoria degli Insiemi è quella che considera un solo tipo di oggetti, gli insiemi, in

cui non ci sono urelementi, tranne l'insieme vuoto ∅, caratterizzato, anzi definito dall'assioma del

vuoto:

(6) ∀x(x∉∅).

Queste limitazioni però hanno un peso relativo in quanto lo strumento insiemistico così ridotto si è

mostrato idoneo a molte parti della Matematica e, con un poco di buona volontà, anche a quelle

che sembrano richiedere in modo essenziale gli urelementi.

Sempre per rendere più semplice e snella la trattazione si introduce una definizione: un insieme a

si dice incluso in un insieme b se ogni insieme elemento di a è anche elemento di b. In simboli, la

relazione di inclusione è definita da

a ⊆ b ↔ ∀x(x∈a → x∈b).

Didatticamente la relazione di inclusione è difficile, anche perché è associata ad altri due concetti

difficili: immersione e restrizione. Ad esempio si dice o si scrive «l'elemento contenuto

nell'insieme», mentre la relazione tra elemento ed insieme è solo l'appartenenza. Un linguaggio

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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non controllato da parte del docente "provoca" una confusione nei discenti tra questi concetti

diversi.

Nell'ottica di garantire l'esistenza degli insiemi, che sono risultato di operazioni insiemistiche, per

mezzo di assiomi si può chiedere che dati due insiemi a e b esistano gli insiemi che si incontrano

nelle più semplici operazioni insiemistiche elencate qui sotto:

• l'insieme unione ∪ di due insiemi, definito da

(7) ∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ (x∈a ∨ x∈b));

• l'insieme intersezione di due insiemi, definito da

(8) ∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ (x∈a ∧ x∈b));

• l'insieme differenza di due insiemi, definito da

(9) ∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ (x∈a ∧ x∉b));

• l'insieme coppia ordinata di due insiemi definito da (assioma della coppia):

(10) ∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ (x = a ∨ x = b));

• l'insieme delle parti di un insieme, definito da (assioma delle parti)

(11) ∀a∃c∀x(x∈c ↔ (x ⊆ a)).

Si osservi una particolarità che sarà utile nel seguito. Le formule (7) - (11) si esprimono mediante

scritture che iniziano con quantificatori universali ∀. In realtà il punto delicato è la presenza di un

quantificatore esistenziale. Fa eccezione (6) in cui la richiesta esistenziale è camuffata dalla

presenza del simbolo ∅. Si potrebbe presentare la (6) nella forma seguente

(6*) ∃c∀x(x∉c).

e ad essa nel seguito ci si riferirà come assioma del vuoto.

Si distinguono quindi due tipi di esistenza: una assoluta ed una condizionata. Con la (6) si chiede

che esista un insieme, ∅, caratterizzato dalla proprietà scritta; questa è una proprietà di esistenza

assoluta come si vede in (6*). Con le restanti formule si richiede che esista un opportuno insieme,

dati altri insiemi. Queste ultime sono richieste di esistenza condizionata.

Un'altra osservazione: nelle (7) - (11) le formule all'interno dell'ultima quantificazione universale è

presente il connettivo di equivalenza. Ciò comporta che l'insieme che soddisfa la condizione scritta

a destra di ↔ è univocamente determinato, grazie all'assioma di estensionalità. Cioè se x∈y ↔

ϕ(x), con ϕ formula che non contiene y, allora se anche x∈z ↔ ϕ(x), ne discende che x∈y ↔ x∈z e

pertanto, dalla genericità di x si conclude y = z. Per l'insieme vuoto e la sua unicità si è detto sopra.

Si possono modificare pertanto gli assiomi nella seguente forma in cui si introduce il quantificatore

universale unico:

(6’) ∃!c∀x(x∉c).

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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(7’) ∀a∀b∃!c∀x(x∈c ↔ (x∈a ∨ x∈b));

(8’) ∀a∀b∃!c∀x(x∈c ↔ (x∈a ∧ x∈b));

(9’) ∀a∀b∃!c∀x(x∈c ↔ (x∈a ∧ x∉b));

(10’) ∀a∀b∃!c∀x(x∈c ↔ (x = a ∨ x = b));

(11’) ∀a∃!c∀x(x∈c ↔ (x ⊆ a)).

Grazie all'unicità si possono esprimere gli assiomi introducendo operazioni tra gli insiemi per

denotare quegli insiemi che esistono e sono univocamente determinati. Ciò fa "sparire" la

quantificazione esistenziale:

(6) ∀x(x∉∅);

(7”) ∀a∀b∀x(x∈(a∪b) ↔ (x∈a ∨ x∈b));

(8”) ∀a∀b∀x(x∈(a∩b) ↔ (x∈a ∧ x∈b));

(9”) ∀a∀b∀x(x∈(a–b) ↔ (x∈a ∧ x∉b)) 1;

(10”) ∀a∀b∀x(x∈{a,b} ↔ (x = a ∨ x = b));

(11”) ∀a∃!c∀x(x∈�(a) ↔ (x ⊆ a)).

La tradizione matematica, non molto influenzata dagli sviluppi della Logica Matematica del XX

secolo, fa inoltre "sparire" la quantificazione universale esterna, uso questo che una volta

esplicitato non pone problemi di sorta. Si ottengono così scritture che spesso si trovano sui testi

scolastici

(6‘“) x∉∅;

(7‘“) x∈(a∪b) ↔ (x∈a ∨ x∈b);

(8‘“) x∈(a∩b) ↔ (x∈a ∧ x∈b;

(9‘“) x∈(a–b) ↔ (x∈a ∧ x∉b);

(10‘“) x∈{a,b} ↔ (x = a ∨ x = b);

(11‘“) x∈�(a) ↔ (x ⊆ a).

Questa lunga successione di formule dovrebbe far cogliere i motivi di certe precisazioni, in

particolare gli usi nascosti dei quantificatori.

Purtroppo con questa lista non si sono esaurite le richieste di esistenza di insiemi, almeno se si

vuole svolgere la parte «insiemistica» che solitamente prelude all'introduzione dei numeri naturali.

Ad esempio come definire in prodotto cartesiano di due insiemi? La ricerca fino agli '20 del XX

1 L'uso delle parentesi per racchiudere il risultato dell'operazione insiemistica è superfluo, ma didatticamente efficace. Infatti la scrittura x∈a - b ha una possibile lettura "aritmetica" soprattutto da parte dello studente che sta apprendendo l'argomento insiemistico, dopo aver avuto numerose esperienze di ambiti aritmetici, proprio mentre sta costruendo il suo "significato" della relazione di appartenenza e del simbolo che denota tale relazione.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

- 21 -

secolo si è posto questo problema cercando di risolvere l'altro quesito ad esso connesso: cosa è una

coppia ordinata? Il legame tra prodotti e coppie ordinate è costituito dal fatto che si assume che il

prodotto cartesiano abbia per elementi le coppie ordinate. La definizione insiemistica richiede uno

sviluppo della teoria degli insiemi che va al di là dei semplici aspetti intuitivi sulla base dei quali

vengono introdotti gli insiemi, anzi si può dire che il risultato di questa indagine, vale a dire la

definizione di coppia ordinata come insieme, è del tutto anti-intuitiva. Dalla definizione di

funzione di Peano 1, in poi è indispensabile la nozione di coppia ordinata. Anche per questa non c'è

univocità nella letteratura: si passa dal concetto primitivo, come lo presenta Peano, alla scrittura

della coppia ordinata con componenti a, b come {{a,1},{b,2}}, secondo Hausdorff (1868 - 1941)

2, o come {a,{a,b}}, proposta da Wiener (1894 - 1964) nello stesso anno 3, o ancora �a,b� =

{{a},{a,b}}, definizione presente in vari autori, ad iniziare da Kuratowski (1896 - 1980) 4. In ogni

caso la nozione di coppia ordinata porta con sé problemi di complessità dei tipi (semplici 5) come

mostra l'uso scorretto di chiamare elementi di una coppia ordinata le sue componenti; di

conseguenza una funzione vista come insieme di coppie ordinate si colloca nella gerarchia dei tipi

ad un livello superiore di quello delle coppie e ancora maggiore rispetto a quello delle componenti.

Usando la definizione di Kuratowski, le coppie ordinate sono enti "costruibili" a partire dalle

richieste viste in precedenza. Infatti per (10) esistono {x,y} e {x,x}, ma quest'ultimo si può

scrivere, più velocemente come {x}. Quindi sempre da (10) si ottiene {{x},{x,y}}. Che questa

costruzione davvero "traduca" il concetto di coppia ordinata non è per nulla banale. Sono possibili

altre definizioni, ma questa sembra la più semplice e la più "elegante" tra le varie possibilità.

Per garantirsi che dati gli insiemi arbitrari a e b esista il prodotto cartesiano (a×b), cioè la

collezione di tutte le coppie ordinate la cui prima coordinata sia elemento di a e la seconda

elemento di b, bisogna richiederlo con un assioma che affermi l'esistenza del prodotto cartesiano

∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ ∃z∃w(x = �z,w� ∧ z∈a ∧ w∈b)).

1 Peano, G.: 1911, ‘Sulla definizione di funzione’, Atti della Reale Accademia dei Lincei, Rendiconti Classe di scienze

fisiche, matematiche e naturali, Serie V, Vol. XX, 3 - 5. 2 Hausdorff, F.: 1914, Grundzüge der Mengenlehre, Ristampa Chelsea, New York, 1949. 3 cf. Mangione, C. & Bozzi, S.: 1993: Storia della Logica - Da Boole ai nostri giorni, Garzanti, Milano. 4 Kuratowski, C.: 1921, ‘Sur la notion de l'ordre dans la Théorie des Ensembles’, Principia Mathematica, Tom II, 161-

171. 5 Secondo le definizioni date in Chwistek, L.: 1922, ‘Uber der Antinomien der Prinzipien der Mathematik’,

Mathematische Zeitschrift,14, 236 - 242 e riprese in Ramsey, F.P.: 1925, ‘The Foundations of Mathematics’, Proc.

London Math. Soc. 25, 338 - 384.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Ripetendo quanto detto prima nella presentazione degli assiomi, si osserva, dalla scrittura, che si è

in presenza di un assioma di esistenza condizionata. Inoltre per la presenza di ↔ l'insieme la cui

esistenza viene richiesta è univocamente caratterizzato (dal punto di vista insiemistico). Pertanto è

possibile introdurre un simbolo specifico per l'operazione di prodotto cartesiano, ottenendo

x∈(a×b) ↔ ∃z∃w(x = �z,w� ∧ z∈a ∧ w∈b).

Per parlare di cardinali degli insiemi si definisce la relazione di equipotenza tra insiemi ponendo

a= b se esiste una corrispondenza biunivoca tra i due, cioè un'applicazione f ⊆ (a×b) tale che ad

ogni elemento di a corrisponda uno ed un solo elemento di b (cioè una funzione di dominio a e

codominio b) e per ogni elemento y∈b esista uno (suriettiva) ed un solo elemento (iniettiva) x∈a

tale che �x,y�∈f (con altra scrittura f(x) = y). In questo contesto la nozione di funzione non è quella

che viene utilizzata in considerazioni di Analisi. Qui infatti non viene richiesta la legge o la

espressione analitica, anche perché, data la natura del tutto arbitraria degli insiemi a e b, non è

detto e non è dato su essi struttura alcuna che permetta di esprimere una legge o una espressione

analitica. In questo senso la Teoria degli Insiemi è strumento assai importante per far distinguere

tra funzione, sua rappresentazione e valore assunto dalla funzione per certi valori dell'argomento.

Si ottiene facilmente che ogni insieme è equipotente a se stesso, cioè a = a; basta considerare

l'identità, cioè quella che fa corrispondere ad ogni x∈a lo stesso x (e qui è facile definire la legge).

Ma ancora una volta non siamo in grado di garantire, se non in certi casi particolari che esista una

tale applicazione, cioè che esista un insieme che sia l'applicazione data, cioè che esista un insieme

che collezioni le coppie ordinate �x,x� al variare di x in a, dato che tale collezione non è un

insieme, se non lo si richiede esplicitamente.

8. L'assioma di isolamento.

Il catalogo degli insiemi che «servono» anche in considerazioni elementari e di cui non siamo, fino

a questo punto, in grado di affermare l'esistenza, se non con un postulato apposito, sarebbe ancora

lungo: cito qui solo alcuni, tra quelli più importanti. Servirebbero postulati di esistenza per la

composizione di due relazioni (funzioni), per l'insieme quoziente di un insieme rispetto ad una

relazione di equivalenza, per la collezione degli elementi che ne precedono uno dato in un insieme

con una relazione d'ordine, ecc.

Come si vede impostare la Teoria degli Insiemi su questa base sembra poco «elegante», per non

dire poco efficace. Ad un certo momento, a forza di introdurre postulati di esistenza si rischia di

non controllare più la situazione, per cui viene a mancare quel requisito di semplicità ed intuitività

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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che è alla base di ogni teoria fondazionale, quale è appunto la Teoria degli Insiemi. Se con questa

teoria vogliamo matematizzare un certo tipo di «realtà» in cui si imbatte il matematico, dobbiamo

esser in grado di semplificare le richieste cercando di limitarne il numero, o meglio il tipo,

evitando di porre postulati sovrabbondanti.

Per questo motivo è preferibile assumere uno schema di assiomi, vale a dire un'affermazione

richiesta valida per opportune formule (con delimitazioni esplicite sull'applicabilità a particolari

tipi di formule), cioè apparentemente una sola formula, che in effetti cattura un'ampia serie di casi

e rende quindi inutile enunciare tutti i casi particolari. Lo schema che si propone è la traduzione, in

termini insiemistici, della nozione comune euclidea che la parte è minore del tutto. Con essa

affermiamo che una collezione di insiemi (usando qui il termine collezione in senso intuitivo, non

tecnico), che siano tutti elementi di un insieme dato, è anch'essa un insieme. Per tradurre l'articolo

indeterminativo scritto sopra in corsivo, dobbiamo far ricorso ad una totalità di collezioni, in

quanto sarebbe più corretto affermare che ogni collezione d'insiemi che sono elementi di un

insieme, è essa stessa un insieme. Il passaggio da questa affermazione all'assioma è abbastanza

complesso e lo si delinea qui in maniera schematica:

1) si identificano le collezioni di insiemi con le famiglie degli insiemi che godono tutti di una

stessa proprietà.

2) si identificano le proprietà degli insiemi con le formule che possono essere scritte nel

linguaggio degli insiemi, vale a dire col solo ∈ (ed eventualmente i simboli ∅ e ω).

3) Se con a si indica un insieme dato e con ϕ(x) la generica formula, si può scrivere un esempio

dell'assioma di isolamento ( o di comprensione):

(12) ∀a∃y∀x(x∈y ↔ (x∈a ∧ ϕ(x)).

Il significato è, come si diceva, quello di garantire che, preso comunque a, la collezione degli

elementi di a che godono della proprietà ϕ è un insieme. Dato che in (12) è presente il connettivo

↔, l'insieme la cui esistenza (condizionata) è garantita da (12) è univocamente determinato.

Quindi è possibile usare un simbolo specifico per denotarlo, simbolo che rende più semplice la

scrittura stessa

(13) ∀a∀x(x∈{z∈a | ϕ(z)} ↔ (x∈a ∧ ϕ(x)).

Questo schema di assiomi va inteso, se si vuole, come una congiunzione infinita: per ogni formula

ϕ si ottiene un assioma, particolarizzando la formula.

Potrebbe venire il sospetto che questo schema riproponga la situazione che ha portato al paradosso

di Russell. Ma prendendo come formula ϕ(x), x∉x, dato un insieme a, posto r per l'insieme {x∈a |

x∉x}, si pone il problema se r∈r oppure r∉r. Nel primo caso si ha r∈{x∈a | x∉x}, quindi r∈a ∧

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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r∉r, il che è contraddittorio. Nel secondo caso r∉r, vale a dire r∉a ∨ r∈r. Non si è in presenza di

alcun assurdo, ma solo alla conclusione che r∉a, quindi il dilemma di risolve con l'affermazione

che r∉r in quanto r∉a.

Lo schema di assiomi porta semplificazioni notevoli nell'elenco dei postulati di esistenza,

rendendone superflui un buon numero. Ad esempio la presenza di un simbolo per denotare

l'insieme vuoto è superflua, dato che preso ad arbitrio un insieme a, si può considerare {x∈a |

x∉a}. Ovviamente nessun insieme può soddisfare tale condizione; egualmente da (12) tale insieme

esiste, ma è vuoto. Quindi si può riottenere l'insieme vuoto come caso particolare dell'assioma di

isolamento. Attenzione: apparentemente tale insieme dipende dalla scelta di a, ma così non è

perché {z∈b | z∉b} è egualmente vuoto, quindi ha gli stessi insiemi per elementi e pertanto

dall'assioma di estensionalità {x∈a | x∉a} = {z∈b | z∉b}.

Come secondo caso, l'intersezione di due insiemi a, b può essere presentata come la collezione

degli insiemi che appartengono ad a ed a b, oppure, in modo del tutto simmetrico, la collezione

degli elementi di b che appartengono anche ad a. Si ha così

(14) (a∩b) = {z∈a | z∈b} = {z∈b | z∈a}

in quanto sostituendo nella (13) l'espressione x∈b in luogo di ϕ(x), si ritrova la (8).

L'esempio della intersezione deve servire da paradigma: visto che nella formula che esprime

l'intersezione c'è scritto x∈a ∧ …, l'assioma di isolamento garantisce che un insieme siffatto esiste.

Ma l'intersezione non è l'unica operazione in queste condizioni: ad esempio anche nella

formulazione della differenza è presente la scrittura x∈a ∧ …, per cui anche la differenza di due

insiemi esiste ed è un insieme. Ancora ammessa l'esistenza dell'insieme (a×a), l'applicazione

identica di a su se stesso può essere descritta come

ida = {�y,z�∈(a×a) | y = z}

dunque anche l'identità è un insieme. Questo non è un caso: ogni applicazione è un insieme,

costituito di coppie ordinate.

In modo analogo si prova che la composizione di due funzioni è un insieme.

Con un poco di pazienza, necessaria per «eliminare» le parentesi graffe, si scopre che se

�x,y�∈(a×b), allora x∈a e y∈b, ma, a maggior ragione, sia x sia y appartengono a (a∪b). Di qui

{x},{x,y} ⊆ (a∪b), vale a dire {x},{x,y}∈�(a∪b), per cui �x,y� = {{x},{x,y}} ⊆ �(a∪b), ed in

conclusione, �x,y�∈�(�(a∪b)). Data la genericità della coppia ordinata �x,y�∈(a×b), si prova in

questo modo che (a×b) ⊆ �(�(a∪b)). Così per provare che il prodotto cartesiano di due insiemi è

un insieme, basta sapere che esistono gli insiemi definiti dalle (7) e (11), applicando poi la (12). Ne

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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segue poi che essendo ogni applicazione contenuta in un prodotto cartesiano, essa stessa è un

insieme.

La tecnica esibita è del tutto generale: per provare che una data collezione di elementi è un insieme

basta provare che è contenuta in un insieme. Restano comprese, come casi particolari, le

costruzioni delle immagini e delle controimmagini di un insieme in applicazioni ed anche l'insieme

quoziente di un insieme dato rispetto ad una relazione di equivalenza. Infatti data una relazione di

equivalenza su un insieme a ogni classe di equivalenza è sottinsieme di a, elemento di �(a), per

cui l'insieme quoziente è sottinsieme di �(a).

9. Rapporti tra assioma di isolamento e gli altri assiomi.

Viene il sospetto che tutti i postulati di esistenza (condizionata) che sono stati messi prima siano

«superflui», nel senso che basti lo schema di assiomi di isolamento, opportunamente applicato, per

ottenere anche l'esistenza dell'unione o della coppia ordinata o dell'insieme delle parti. Ma così non

è, come ci si rende conto del fatto che il risultato dell'unione di due insiemi non è un sottinsieme

degli insiemi dati, e lo stesso dicasi per la coppia non ordinata e le parti. Questo rapido controllo

afferma che l'esistenza degli insiemi richiesti con (7), (10) e (11) non è riconducibile ad una

applicazione dello schema di assiomi di isolamento. C'è quindi bisogno di richieste specifiche.

Per quanto riguarda l'unione però da diverse applicazioni matematiche quali le partizioni, la teoria

della misura o la topologia, c'è bisogno di una generalizzazione se si vuole considerare anche

l'unione di una famiglia di insiemi. Ad esempio per una partizione di un insieme a indotta da una

relazione di equivalenza su a, le classi di equivalenza in cui si ripartisce l'insieme sono tali che la

loro unione fornisce di nuovo l'insieme a. Se si hanno solo due o un numero finito di classi si può

scrivere l'insieme a come unione delle due classi o, con maggiore pazienza, l'unione di un numero

finito di classi di equivalenza (sfruttando una proprietà associativa che dovrebbe però essere dimo-

strata!). Ma nel caso, pur frequente, che l'insieme quoziente non sia finito l'operazione di unione

introdotta prima non basta più per esprimere il fatto che ogni elemento dell'insieme a appartiene ad

almeno una delle classi di equivalenza (anzi essendo una partizione, ad una sola). Si consideri ad

esempio l'insieme (��*) delle coppie ordinate di numeri interi relativi, con la seconda coordinata

diversa da 0. In un tale insieme si introduca la relazione ≡ definita da

�p,q� ≡ �p’,q’� se e solo se p·q’ = p’·q.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Le classi di equivalenza sono i numeri razionali qp

e l'insieme quoziente, indicato con �, è

appunto l'insieme dei numeri razionali. Se si volesse esprimere il fatto che l'unione delle classi di

equivalenza fornisce tutto l'insieme (�×�*), non si può usare l'operazione di unione binaria.

Questo esempio dovrebbe aver illustrato la necessità di un'operazione di unione unaria, applicabile

a famiglie di insiemi, viste come un unico insieme, quale quella definita dalla seguente formula

(assioma dell'unione)

(15) ∀a∃y∀x(x∈y ↔ ∃z(z∈a ∧ x∈z)).

In parole povere se a è una famiglia di insiemi, esiste un insieme, qui indicato con y tale che ha per

elementi tutti gli elementi degli elementi di a. Si notino alcuni fatti: il primo che si tratta di una

esistenza condizionata, come d'altra parte avviene in (7). Il secondo fatto è che è presente il

connettivo di equivalenza ↔ quindi in realtà si ha che l'esistenza è di fatto una esistenza unica, ciò

permette l'introduzione di un simbolo specifico di operazione; si può scrivere quindi

∀a∀x(x∈∪(a) ↔ ∃z(z∈a ∧ x∈z)).

Una terza considerazione riguarda il quantificatore esistenziale, di per sé assai difficile di-

datticamente. Si può interpretare tale quantificatore come una sorta di disgiunzione infinita (e per

simmetria il quantificatore universale si può interpretare come una sorta di congiunzione infinita).

Con questa lettura si ha minore difficoltà ad accettare che l'operazione introdotta prenda il nome di

unione.

Un altro modo per mostrare come questa operazione sia più generale dell'unione binaria è quello di

riottenere l'unione consueta da questa più generale. Se a, b sono insiemi, allora {a,b} è un insieme

e dunque anche ∪({a,b}) è un insieme. Ma gli elementi di ∪({a,b}) sono tutti e soli gli elementi

degli elementi di {a,b}, cioè tutti e soli gli elementi di a oppure di b, quindi ∪({a,b}) = (a∪b).

Si ha inoltre che l'operazione di unione unaria è, in un certo senso, l'inverso della operazione delle

parti. Si ha infatti che per ogni insieme a, ∪(�(a)) = a; ciò perché gli elementi di ∪(�(a)) sono gli

elementi degli elementi di �(a), quindi sono elementi di sottinsiemi di a, quindi appartengono ad

a. Viceversa se x∈a, allora esiste z∈�(a), lo stesso a tale che x∈z, cioè x∈∪(�(a)). Si noti però

che in generale �(∪(a)) � a, perché in �(∪(a)) compaiono altri elementi, sottinsiemi di ∪(a) che

non sono considerati come elementi di a.

Riassumendo, gli assiomi che davvero «servono» per la Teoria degli Insiemi sono quelli di

estensionalità, di coppia ordinata, di unione unaria, di parti e lo schema di isolamento che per

comodità si riscrivono qui di seguito:

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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(5) ∀a∀b(a = b ↔ ∀x(x∈a ↔ x∈b)); (assioma di estensionalità)

(10) ∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ (x = a ∨ x = b)); (assioma della coppia)

(11) ∀a∃c∀x(x∈c ↔ (x ⊆ a)); (assioma delle parti)

(12) ∀a∃y∀x(x∈y ↔ (x∈a ∧ ϕ(x)); (assioma di isolamento)

(15) ∀a∃y∀x(x∈y ↔ ∃z(z∈a ∧ x∈z)). (assioma dell'unione)

In altra forma, esplicitando le operazioni insiemistiche così introdotte, si possono riscrivere (10),

(11), (12) e (15) nella forma

(10”) ∀a∀b∀x(x∈{a,b} ↔ (x = a ∨ x = b));

(11”) ∀a∀x(x∈�(a) ↔ (x ⊆ a));

(12”) ∀a∀x(x∈{z∈a | ϕ(z)} ↔ (x∈a ∧ ϕ(x));

(15”) ∀a∀x(x∈∪(a) ↔ ∃z(z∈a ∧ x∈z)).

10. Assioma di infinito.

All'inizio di questa presentazione si è detto che c'è l'esigenza di un insieme infinito. L'insieme

vuoto si è visto che è riottenibile con lo schema di assiomi di isolamento e poi grazie all'assioma di

estensionalità si dimostra che è unico. A partire da esso si possono costruire infiniti insiemi, ∅,

{∅}, {{∅}}, …, {…{∅}…}, …. Dagli assiomi fin qui introdotti non c'è la possibilità di

"collezionare" questi infiniti insiemi in un unico insieme, né di individuare un insieme con infiniti

elementi. C'è quindi bisogno di richiedere esplicitamente l'esistenza di un insieme infinito.

Ciò può essere fatto in più modi: ad esempio richiedendo che esista l'insieme ω dei numeri naturali

oppure che esista un insieme infinito. In sostanza le due richieste sono equivalenti: la più semplice

da esprimere la seconda, ma la più interessante per l'insegnamento, senza dubbio, è la prima.

Si esplicita la seconda richiesta come l'esistenza (incondizionata) di un insieme al quale appartiene

l'insieme vuoto e tale inoltre che se x appartiene a tale insieme, anche {x} vi appartiene:

(16) ∃a(∅∈a ∧ ∀x(x∈a → {x}∈a)). (assioma d'infinito)

In tale formula non si vede con immediatezza che a sia un insieme infinito, solo la discussione

precedente mostra che esso è (potenzialmente) infinito.

Se invece si vuole esplicitare che tra gli insiemi c'è anche quello dei numeri naturali, bisogna prima

definire cosa è un numero naturale. Questo problema ha grande valenza didattica, come mostrano i

programmi delle scuole elementari che invitano a presentarli in vari modi. Anche per questo

problema ci sono varie strategie di risoluzione. Forse la più immediata è quella di assumere i

numeri naturali come enti primitivi, ma questo, a ben guardare porta all'interno della teoria formale

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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una molteplicità di simboli che potrebbe essere molto «sospetta». Tali simboli poi avrebbero nel

contesto insiemistico uno statuto di urelementi e ciò introdurrebbe complicazioni con l'eguaglianza 1. Un altro motivo per andare cauti è quello che se si introducesse un simbolo per ogni numero

naturale, ciò significherebbe che la teoria degli insiemi ha al suo esterno i numeri naturali, quindi

ci sarebbe un riferimento matematico esterno e poi non sarebbe agevole esplicitare ogni volta se si

considerano i numeri naturali "interni" della teoria o quelli esterni collocati nella metateoria.

L'altra strada è quella di ritenere i numeri naturali come esempi di insiemi 2, anzi di ordinali,

concetto che viene richiamato dai programmi della scuola elementare, che si incontra nella

grammatica italiana, ma che raramente viene presentato su testi non universitari. Per chiarirlo, si

considerino dati i numeri naturali, 0, 1, 2, … ed il loro insieme � e la relazione d'ordine "naturale"

su �. Si può associare, in modo naturale (si perdoni il bisticcio linguistico poco indicato), ad ogni

numero naturale un insieme, ponendo

0 = {x∈��| x < 0} = ∅;

1 = {x∈� | x < 1} = {0};

2 = {x∈� | x < 2} = {0,1}; ecc.

E’ chiaro come fare per associare ad un generico numero naturale n∈�, l'insieme n ⊆ �.

Alcune proprietà dei numeri naturali si "trasformano" grazie al sottosegno in proprietà espresse in

modo insiemistico. Ad esempio siano n,m∈�, si ha

n < m se e solo se n∈m.

Inoltre se n,m∈� sono tali che n ≤ m, allora n ⊆ m. Viceversa, se n ⊆ m, allora si hanno due casi:

n = ∅, oppure n � ∅. Nel primo caso n = 0 e qualunque sia m si ha n ≤ m. Nel secondo, dato che n

- 1∈n, si ha pure n - 1∈m, quindi n - 1 < m, da cui n ≤ m. Riassumendo si ha

n ≤ m se e solo se n ⊆ m

In particolare, siccome per ogni n∈� si ha 0 ≤ n, si ha 0 ⊆ n. Di più si ha

n < m se e solo se n ⊂ m.

Presi poi p,q∈m, si ha

p < q oppure p = q o ancora q < p,

condizioni che possono essere ripresentate in modo insiemistico scrivendo

p∈q oppure p = q oppure q∈p.

1 La possibilità di sviluppare un simile approccio, per altro abbastanza intuitivo, è stata ripresa in tempi recenti in Benaceraff P.: 1973, ‘Mathematical Truth’, The Journal of Philosophy , 70, 661 - 680. 2 In questo senso si muove molta ricerca dei fondamenti ad iniziare da Frege.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Ciò mostra che le più semplici proprietà della relazione d'ordine tra numeri naturali si possono

«tradurre» in proprietà insiemistiche che utilizzano appartenenza e inclusione (e il sottosegno).

Viene voglia di cercare di esprimere altre proprietà dei numeri naturali mediante relazioni

insiemistiche. Questo può essere fatto per la nozione di numero successivo. Dato n∈�, il

successivo di n è il numero che lo segue immediatamente nell'ordine, cioè n+1. Ebbene dal

confronto tra n e n+1 si ha

n+1 = n ∪ {n},

infatti n = {0,1,…,n - 1}, mentre n+1 = {0,1,…,n-1,n}. Si vede facilmente che, escludendo 0, per

ogni n∈�,

se n � 0, esiste m∈� tale che n = m ∪ {m}.

Le proprietà fin qui descritte, come semplici proprietà dei numeri naturali, servono per definire

quegli enti, i naturali di Von Neumann, dal nome del matematico e fisico Von Neumann (1903 -

1957) scolaro di Hilbert. La funzione dei naturali di Von Neumann è quella di rappresentare i

numeri naturali in termini insiemistici. Per arrivare a definirli basta riprendere le considerazioni

precedenti e… togliere il sottosegno. L'avere distinto in un primo tempo tra numeri ed insiemi ad

essi associati, mediante il sottosegno, è solo un «trucco» espositivo. In questo approccio c'è la

possibilità di "definire" l'eguaglianza di numeri naturali riconducendola all'eguaglianza

insiemistica; diversamente se si assumono i numeri naturali come primitivi non c'è altro modo per

dire che due numeri naturali sono eguali se non constatare che sono eguali e quindi assumere

anche l'eguaglianza di numeri naturali come primitiva. Le proprietà scritte sopra divengono defini-

zioni

0 = {x∈��| x < 0} = ∅;

1 = {x∈� | x < 1} = {0} = {∅};

2 = {x∈� | x < 2} = {0,1} = {∅,{∅}};

3 = {x∈� | x < 3} = {0,1,2} = {∅,{∅},{∅,{∅}}} ecc.

Inoltre si ha

n ⊆ m se e solo se n ≤ m,

per cui la relazione d'ordine "naturale" viene definita in modo insiemistico, divenendo, se

possibile, ancora di più "naturale". Inoltre

n ⊂ m se e solo se n∈m se e solo se n < m.

La definizione d'ordine stretto mette in risalto che per questi insiemi la relazione di appartenenza

ed inclusione stretta sono equivalenti. E' importante notare che n∈m se e solo se n ⊂ m: questa è

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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una particolarità degli ordinali di Von Neumann. Presi due numeri naturali p,q∈m, essi sono

sempre confrontabili nell'ordine consueto, cioè si ha

p∈q oppure p = q oppure q∈p.

La nozione di successivo viene espressa dalla scrittura

n+1 = n ∪ {n}

e si può ancora affermare che, escludendo ∅,

per ogni n � ∅ esiste m tale che n = m ∪ {m}.

Con questa notazione è possibile osservare che ogni elemento p di un numero naturale è a sua volta

un numero naturale, dunque è ∅ oppure esiste q tale che p = q∪{q}.

Si rappresenta sinteticamente questa situazione mediante scritture formali: si introducono alcuni

predicati 1-ari (ad un posto). Sia a un insieme:

Sc(a) (da leggersi a è un successivo) per ∃y(a = y ∪ {y});

Tr(a) (da leggersi a è transitivo) per ∀x(x∈a → x ⊆ a);

Conn(a) (da leggersi a è connesso) per ∀x∀y((x∈a ∧ y∈a) → (x∈y ∨ x = y ∨ y∈a)).

Finalmente, facendo intervenire solo concetti insiemistici, la definizione di numero naturale è

espressa dalla scrittura 1:

N(a)(da leggersi a è un naturale) per

Tr(a) ∧ Conn(a) ∧ (a = ∅ ∨ (Sc(a) ∧ ∀x(x∈a → (x = ∅ ∨ Sc(x))))

La scrittura precedente si presenta abbastanza complessa, dato che si tratta della congiunzione di

tre formule. La prima, Tr(a) garantisce che ogni elemento di a ne è pure un sottinsieme. Questa

situazione, come visto prima, si verifica nel caso dei numeri naturali. La seconda Conn(a) esprime

il fatto che presi due arbitrari elementi di a, essi sono confrontabili rispetto alla relazione di

appartenenza, ciò che si realizza nei numeri naturali. La terza proprietà afferma che ∅ è un numero

naturale e ogni altro numero naturale è un successivo ed ha per elementi solo ∅ e successivi. Pure

questo si realizza per i numeri naturali.

Anche se la definizione si presenta in modo sintetico ed è di difficile comprensione immediata, val

la pena di familiarizzare con essa, dato che questa di Von Neumann rappresenta una (non l'unica!)

definizione esplicita di numero naturale, data con soli strumenti insiemistici, senza fare ricorso a

"numeri naturali" esterni alla teoria. In essa non c'è bisogno di corrispondenze biunivoche o di

sospette classi di tutti gli insiemi che hanno lo stesso numero di elementi (Cantor, Frege), come se

1 Ad essere rigorosi si dovrebbe aggiungere una quarta proprietà che però diviene superflua se si assume nella Teoria degli Insiemi l'assioma di fondazione, come viene fatto nel seguente § 11.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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il concetto di numero si potesse dare solo conoscendolo a priori o solo con l'uso di collezioni

troppo grandi per essere insiemi (col rischio di antinomie).

Non ci si sofferma sullo sviluppo di questi aspetti, perché esulano dall'argomento, ma la

conoscenza approfondita di questa parte della Teoria degli Insiemi, connessa col concetto basilare

di numero, è assai importante per un docente di scuola, dalla primaria alle superiori. Inoltre mi

sembra assai opportuno che tali nozioni facciano parte del bagaglio culturale dello studente

universitario di materie scientifiche e mi rammarico che ciò non avvenga al presente.

Tornando alla presentazione degli assiomi della Teoria degli Insiemi: si è introdotta la definizione

di numero naturale per fornire una diversa versione dell'assioma di infinito, una sorta di

definizione implicita del simbolo ω:

(17) ∀x(x∈ω ↔ N(x)).

Il confronto e la dimostrazione di equivalenza tra le due versioni dell'assioma di infinito (16) e (17)

non sono immediati. L'avere assunto che nel linguaggio sia presente un simbolo specifico per

denotare un insieme infinito in realtà è superfluo perché si potrebbe scrivere

(17’) ∃y∀x(x∈y ↔ N(x)). (assioma d'infinito)

In questa forma l'assioma mostra la sua natura di richiesta esistenziale non condizionata, come

avviene per l'insieme vuoto.

Nell'assioma poi è presente il connettivo di equivalenza, quindi l'esistenza è unica, pertanto è

possibile utilizzare un simbolo specifico, ω appunto, per denotare tale insieme. Nella forma (17)

l'insieme infinito ω è dato dalla collezione di tutti i naturali, quindi si tratta dell'insieme �.

Per tradizione, in Teoria degli Insiemi, si preferisce denotare tale insieme con la lettere greca

minuscola ω, per indicare non solo l'insieme dei numeri naturali, ma anche il tipo d'ordine che è

posto su tali insiemi.

Per indicare, a meno di biezioni, l'insieme �, pensando solo alla sua struttura insiemistica (e

quindi al suo aspetto cardinale) si usa un altro simbolo ℵ0, essendo ℵ la prima lettera dell'alfabeto

ebraico.

A parte questi dettagli di notazione, resta in sospeso se oltre ai numeri naturali ci possono essere

altri insiemi cui sia applicabile il predicato N. Inoltre ci si può chiedere se la nozione formale di

numero naturale sia adeguata a quella informale. Chiamiamo intuitivi i naturali dell'«esperienza» e

confrontiamoli con gli insiemi che abbiamo definito come numeri naturali di Von Neumann.

Certamente il confronto tra una presentazione formale di numero naturale ed un concetto intuitivo

non può essere formale! Tuttavia alla domanda cosa siano i numeri naturali sono state fornite altre

risposte, egualmente adeguate alla nozione intuitiva. In particolare ciò è avvenuto coi Postulati di

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Peano, dovuti al matematico italiano postulati che hanno assunto nuova importanza didattica ed

oggi se ne auspica la conoscenza anche per gli insegnanti della scuola dell'obbligo.

Così, in ZF, mostrare per i naturali di Von Neumann, la validità dei postulati di Peano (che sono

proprietà vere per i numeri naturali intuitivi, anzi li possiamo pensare come una definizione

implicita dei numeri naturali) convince della adeguatezza della rappresentazione dei numeri

naturali nella Teoria degli Insiemi. Inoltre questo risultato permette di escludere che vi siano altri

insiemi, non numeri naturali di Von Neumann, cui sia applicabile il predicato N.

Si noti ancora che i numeri naturali intuitivi non sono solitamente presentati correttamente, nel

senso che anche alla fine del ciclo scolastico, preuniversitario (o forse anche dopo l'Università!),

per gli studenti è facile rispondere alla domanda se 0, 1, 2, ecc. sono numeri naturali, molto più

difficile è avere risposte alla domanda su che cosa sono i numeri naturali.

11. Altri assiomi del sistema di Zermelo-Fraenkel.

La presentazione del sistema di Zermelo non è ancora completata, manca un assioma, detto di

fondazione, di difficile significato intuitivo, che ha varie applicazioni, soprattutto nella

semplificazione di alcune dimostrazioni. Una conseguenza di tale assioma è che nessun insieme

appartiene a se stesso; dunque che alla collezione di Russell {x | x∉x} appartengono tutti e soli gli

insiemi «normali». Una espressione formale di tale principio è

(18) ∀x(x � ∅ → ∃y(y∈x ∧ x∩y = ∅)).

Tale assioma si può leggere come la richiesta che in ogni insieme non vuoto x ci sia un elemento di

x disgiunto da esso, cioè che non ha elementi comuni ad x. Ad esempio se x = {{∅}, {∅,{∅}},

{{∅}}} si può usare come elemento che soddisfa (18) l’insieme {∅} perché il su unico elemento è

∅ che non appartiene a x.

Oltre all'assioma di fondazione, nel sistema originale di Zermelo era presentato anche l'assioma di

scelta, principio che ha molti aspetti critici. Oggi si preferisce enunciare separatamente l'assioma di

scelta, per cui parlando di sistema ZF non si "congloba" in esso l'assioma di scelta.

Anche senza l'assioma di scelta, nel sistema formale presentato da Zermelo è possibile ricostruire

l'Aritmetica, e buona parte dell'Analisi, nel senso che si possono definire i vari insiemi numerici:

l'insieme dei numeri interi relativi �, l'insieme dei numeri razionali �, quello dei numeri reali �

ed anche l'insieme dei numeri complessi �. Anche numerose costruzioni utilizzate in Algebra e

Geometria si possono giustificare con gli strumenti insiemistici ottenibili con la teoria di Zermelo.

In questo senso la Teoria degli Insiemi è divenuta il linguaggio in cui si esprime quasi tutta la

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Matematica del nostro tempo. Tuttavia il sistema non permette di ripetere una costruzione analoga

ad una assai tipica della geometria: la costruzione del multiplo di un segmento. Dato ad esempio

un segmento AB, per costruire un segmento AC doppio del segmento dato AB basta riportare sulla

stessa retta un segmento BC eguale a quello dato, con C da parte opposta di A rispetto a B.

Nella Teoria degli insiemi c'è bisogno spesso di fare qualcosa di analogo: ricopiare un insieme

dato. Ma questo non è possibile, in generale, con gli assiomi fin qui posti. Bisogna vedere quale

significato insiemistico dare alla parola ricopiare. L'interpretazione più semplice è quella di

costruire, attraverso una funzione, un insieme come immagine di un insieme dato 1. Si tratta, come

si vede dopo, di una funzione in un senso più generale. Ed è appunto in questo caso che Fraenkel

propose un assioma detto di rimpiazzamento che ha questo scopo. Solo che questo non è un

assioma, ma come per il principio d'isolamento (12) si tratta di uno schema di assiomi. Anzi si può

dimostrare che lo schema d'assiomi di rimpiazzamento ha come conseguenza proprio lo schema di

assiomi di isolamento, così per minimizzare le richieste della teoria, è sufficiente aggiungere lo

schema di assiomi di rimpiazzamento in luogo dello schema di isolamento. La formulazione

esplicita è assai complessa e la si riporta per dovere di completezza. Si tratta di un principio molto

utilizzato nelle dimostrazioni formali e tra le conseguenze che se ne ricavano ci sono le dimo-

strazioni che varie collezioni non sono insiemi. Ad esempio non sono insiemi la collezione di tutti i

singoletti , vale a dire degli insiemi del tipo {a}, con a insieme arbitrario. Dunque quella col-

lezione che nella presentazione di Frege e spesso anche nella presentazione ingenua, viene iden-

tificata col numero naturale 1, nell'approccio cardinale non è un insieme. Altri esempi sono la

collezione di tutti gli ordinali, quella di tutti i cardinali, ecc.

Sia ϕ(x,y) una formula contenente due indeterminate libere, cioè che parli di x e di y. La formula si

dice funzionale se si verifica che dato x, y è univocamente determinato, vale a dire se si ha

∀x∀y∀z(ϕ(x,y) ∧ ϕ(x,z) → y = z).

In un certo senso il concetto di formula funzionale generalizza il concetto di funzione e tale

generalizzazione si vedrebbe meglio scrivendo (in modo improprio) y = ϕ(x) invece di ϕ(x,y). Lo

schema di rimpiazzamento è l'affermazione che data una formula funzionale, per ogni insieme,

esiste l'insieme che si può denotare con ϕ[a] 2 definito da

∀y(y∈ϕ[a] ↔ ∃x(x∈a ∧ ϕ(x,y)).

1 Attenzione, non si tratta di una funzione o applicazione definita come un sottinsieme del prodotto cartesiano di due insiemi, perché in tale caso è sufficiente un'applicazione dello schema di assiomi di isolamento per ottenere che l'immagine di un insieme è un insieme. 2 Un costrutto di questo tipo si incontra nell'analisi dell'argomento di De Morgan, presentato per mostrare la insufficienza del sillogismo categoriale nelle lezioni sulle didattica della Logica.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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In modo più corretto e completo lo schema di rimpiazzamento si può formulare per ogni formula

ϕ(x,y), come

∀x∀y∀z(ϕ(x,y) ∧ ϕ(x,z) → y = z) → ∀a∃x∀y(y∈x ↔ ∃z(z∈a ∧ ϕ(z,y))).

Il sistema ZF così introdotto si è mostrato molto utile, in quanto, come detto prima, permette di

dare un significato insiemistico a molti importanti concetti della Matematica tradizionale,

assegnando così alla Teoria degli Insiemi un ruolo fondazionale privilegiato. Inoltre con la

modifica apportata da Fraenkel al sistema di Zermelo si sono approntati metodi più duttili. Questo

ha fatto sì che per molti matematici ZF sia il sistema assiomatico degli insiemi per eccellenza.

I problemi posti dalle antinomie, che sono conseguenza di una formulazione intuitiva del concetto

di insieme, non si ripresentano nel sistema ZF, per cui esso sembra abbastanza sicuro almeno nel

senso che da più di cinquanta anni a questa parte non ha mai dato luogo a situazioni paradossali.

12. L’assioma di scelta.

Una trattazione a parte merita l'assioma di scelta che era presente nel primo sistema di Zermelo e

che di solito viene omesso.

Si tratta di un principio che a lungo è stato usato e ritenuto una legge logica (Cantor). Per questo

motivo nel 1904 Zermelo affermava che si poteva ben ordinare �, mentre König affermava il

contrario.

Una formulazione (poco comprensibile) di tale assioma è la seguente:

∀x((x � ∅ ∧ ∀y(y∈x → y � ∅)) → ∃z∀w(w∈x → ∃!u(u∈w ∧ u∈z))).

Si è poi visto che l’assioma di scelta è presente in molte forme equivalenti, e non, in varie parti

della Matematica.

Elenchiamo alcune forme dell’assioma di scelta:

a. Ogni insieme si può bene ordinare.

b. Dati comunque due insiemi essi sono equipotenti se e solo se hanno lo stesso cardinale.

c. Dato un insieme Y � ∅ non vuoto tali che per ogni i∈Y, si abbia un insieme Xi �∅, il

prodotto cartesiano ∏∈Yi

iX è un non vuoto.

d. Sia r ⊆ a×b, allora esiste f ⊆ a×b corrispondenza funzionale tale che f ⊆ r e dom(f) =

dom(r).

e. Teorema di Tychonof: Il prodotto topologico di spazi topologici è compatto se e solo se gli

spazi di cui si fa il prodotto sono compatti.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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f. Per ogni funzione suriettiva f : a → b, esiste una funzione iniettiva g : b → a tale che (f�g)

= idb.

g. Lemma di Zorn: un insieme ordinato induttivo ammette un elemento massimale.

h. Ogni spazio vettoriale ammette una base.

i. Tutte le nozioni di insieme finito sono equivalenti.

j. Lemma di Krull: In ogni anello commutativo unitario un ideale non banale può essere

esteso ad un ideale massimale.

k. Data una relazione di equivalenza si può individuare in ogni classe di equivalenza un

rappresentante privilegiato.

Conseguenze matematiche (per la scuola superiore) dell’assioma di scelta:

• Il Teorema di Bolzano degli zeri (o principio di continuità).

• Il Teorema di Weierstrass sui massimi e minimi delle funzioni continue.

• Il Teorema di Heine Cantor sulla continuità uniforme.

• Il Teorema della Media (di Lagrange).

• Il Teorema di Rolle.

• Il Teorema di Cauchy.

• La descrizione e le proprietà del limite di funzioni mediante i limiti delle

successioni.

• Il Teorema di Bolzano – Weierstrass per successioni.

Motivi per non accettare l’assioma di scelta:

Gli enti che si trovano con essi non hanno un aspetto costruttivo: il Teorema di König garantisce

che il buon ordine che si può trovare con il Teorema di Zermelo non può essere descritto in termini

costruttivi.

Alcuni paradossi

La negazione del principio di determinazione per i giochi matematici.

La decomposizione paradossale della sfera.

Dopo il 1904 si assiste ad una serrata critica sull’uso degli insiemi e dei principi non costruttivi

responsabili di tali paradossi, veri o no. L’assioma di scelta viene posto in discussione, e

soprattutto ci si chiede se esso sia compatibile con i restanti assiomi della teoria degli insiemi.

Gödel nel 1941 prova che l’assioma di scelta e l’ipotesi del continuo 1 sono entrambi principi

compatibili con la teoria degli insiemi, mostrando che dato un modello della teoria degli insiemi

esiste un modello della teoria degli insiemi e dell’assioma di scelta e dell’ipotesi del continuo.

1 L’ipotesi del continuo si può formulare dicendo che ogni sottinsieme infinito di � è equipotente a � oppure a �.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Nel 1963 Cohen prova che la negazione dell’assioma di scelta è compatibile con gli assiomi della

teoria degli insiemi. Anzi Cohen dà una tecnica di costruzione dei modelli con cui riesce a provare

che assioma di scelta e sua negazione, ipotesi del continuo e sua negazione in ogni combinazione

possibile sono coerenti con la teoria degli insiemi.

Questi risultati di grande rilevanza concettuale ed anche epistemologica sembrano

abbondantemente rimossi dalla consueta prassi didattica anche a livello universitario.

13. Introduzione delle classi.

La trattazione degli insiemi, permessa in modo corretto dalla teoria ZF (o da altre teorie similari),

esclude però la considerazione delle collezioni d'insiemi, quali vengono intuite ed introdotte nella

primitiva formulazione di Cantor. Non si possono cioè considerare la collezione di tutti gli insiemi,

la collezione di tutti i singoletti, la collezione di tutti i cardinali, la collezione degli insiemi che non

appartengono a se stessi, ecc. Queste collezioni sono, se si vuole, una curiosità, e forse sembrano

avere poca importanza matematica. Più rilevanti per la nostra scienza, sono collezioni quali quella

di tutti i gruppi, quella di tutti gli omomorfismi tra gruppi, quella degli spazi vettoriali su un

campo, ecc. Lo studio di collezioni di tale fatta, considerate come un unico ente, si è rivelato

importante, per cui l'attenzione degli studiosi della Teoria degli Insiemi, si è accentrata

sull'individuazione di metodi che rendano possibile la considerazione e l'utilizzazione di simili

enti, senza causare paradossi o antinomie.

A tale scopo sono state avanzate varie proposte. Qui intendo soffermarmi su due di esse, note con

le sigle NBG da Von Neumann, P. Bernays (1888 - 1977) e K. Gödel; MKM da A. Morse, J.

Kelley e A. Mostowski (1913 - 1975).

E' interessante anche la proposta di G. Takeuti e A. Zaring di una versione di ZF in cui siano

presenti classi, ottenute come ampliamento definitorio della teoria ZF.

Ovviamente gli enti «insiemi» che abbiamo già considerato, devono trovare posto in queste nuove

formulazioni, anzi, sostanzialmente, la Teoria degli Insiemi che si ottiene sarà la stessa. Le

collezioni di cui si diceva prima danno origine a classi ed è questo il nuovo concetto che vuole

tenere conto anche delle totalità prima escluse. L'idea è che si possano fare collezioni di elementi:

quando queste sono piccole danno luogo ad insiemi, quando sono grandi forniscono classi. Allora

ZF è lo studio delle collezioni piccole. Però, in tutta generalità, gli oggetti dello studio sono le

collezioni, o più appropriatamente le classi, siano esse piccole (= insiemi) o grandi (= classi

proprie). Dunque le teorie di cui vogliamo parlare sono teorie delle classi. Per tradizione le classi

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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si denotano con lettere maiuscole. Si recuperano così, in modo rigoroso, varie scritture, spesso

presentate in modo acritico, nelle scuole preuniversitarie.

Ancora, come per gli insiemi, si pone il problema di decidere quando due classi siano eguali. La

risposta è la stessa: se hanno gli stessi elementi. Ma cosa sono gli elementi delle classi? A questa

domanda si deve rispondere allo stesso modo in cui si risponde in ZF: gli elementi sono insiemi. 1.

Nel caso di ZF non c'è scelta, in quanto le indeterminate che stanno in luogo di insiemi, visti come

concetti primitivi, definiti implicitamente dagli assiomi. Ora la situazione è diversa: sappiamo che

le indeterminate maiuscole stanno a denotare collezioni, anzi con termine tecnico classi, ed allora

gli insiemi non sono altro che gli elementi delle classi. In questo modo si realizza la separazione

tra i due tipi di enti, prima tratteggiata come una differenza di «taglia».

Così piccolo vuol dire elemento di qualcosa, cioè stare alla sinistra del simbolo di appartenenza,

grande vuol dire semplicemente essere posto solo a destra del simbolo di appartenenza. Questa è

una definizione ben diversa da quella citata all'inizio affermante che gli insiemi sono collezioni,

anzi la presentazione viene di fatto completamente ribaltata in quanto ora insieme è ciò che è

elemento. La proprietà di essere un insieme si definisce, in simboli, come:

Set(A) (da leggersi A è un insieme) per ∃Y(A∈Y).

L'affermazione che A è un insieme è una affermazione di tipo esistenziale. Per semplicità si

denotano gli insiemi con lettere minuscole, mentre per le classi si continuano ad utilizzare lettere

maiuscole.

Con questa convenzione rimangono validi gli assiomi di ZF, del vuoto, della coppia, delle parti,

dell'unione e dell'infinito. Si ha così:

(6*) ∃c∀x(x∉c).

(10) ∀a∀b∃c∀x(x∈c ↔ (x = a ∨ x = b));

(11) ∀a∃c∀x(x∈c ↔ (x ⊆ a));

(15) ∀a∃y∀x(x∈y ↔ ∃z(z∈a ∧ x∈z));

(17’) ∃y∀x(x∈y ↔ N(x)).

Le scritture restano invariate, quello che cambia è il significato perché, quando si scrive ∀x, questo

non va inteso nel senso di «per ogni classe x» , ma più restrittivamente, «per ogni classe x che sia

un insieme». Così pure la quantificazione esistenziale ∃x va letta «esiste una classe x che è un

insieme…». A parte queste precisazioni, vengono ripresi gli assiomi della Teoria degli Insiemi per

1 Sono state prese in considerazione anche teorie delle classi con urelementi, ma tutto sommato presentano complicazioni e non apportano significativi miglioramenti alla teoria.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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ché si vuole una teoria che sia applicabile ad insiemi e classi, ma che fornisca sugli insiemi le

stesse «cose» di ZF.

14. Le teorie NBG e MKM.

Gli assiomi in cui intervengono più specificamente le classi sono gli assiomi di estensionalità, di

rimpiazzamento e lo schema di astrazione.

Dell'assioma di estensionalità si è già detto sopra, a parole; qui si presenta la scrittura simbolica:

∀X∀Y(X = Y ↔ ∀z(z∈X ↔ z∈Y))

E' ovvia l'analogia con l'assioma di estensionalità di ZF. E' altresì ovvio che se due insiemi sono

eguali come classi, cioè hanno gli stessi insiemi per elementi, sono uguali anche come insiemi.

A differenza di quanto accade in ZF, il principio di rimpiazzamento non abbisogna di uno schema,

qui è sufficiente un solo assioma. Come si è detto per introdurre in ZF lo schema di

rimpiazzamento, l'idea è quella di richiedere che l'immagine di un insieme in una funzione sia

ancora un insieme. Ma nel contesto attuale basta richiedere questo attraverso una funzione che sia

una classe. Per fare ciò si introduce gradualmente la definizione di funzione (qualche autore

preferisce parlare di relazione o corrispondenza funzionale). Come prima cosa si osserva che resta

invariata la nozione di coppia ordinata di insiemi, in quanto tale nozione è basata solo sull'assioma

della coppia. Una classe A è detta una relazione se tutti i suoi elementi sono coppie ordinate di

insiemi. In simboli

Rel(A) (da leggersi A è una relazione) per ∀x(x∈A → ∃y∃z(x = �y,z�)).

Come nel caso degli insiemi una funzione è una particolare relazione: quella per cui due coppie che

abbiano la prima coordinata eguale devono avere anche la seconda coordinata eguale. In simboli

Fnc(A) (da leggersi A è una funzione) per

Rel(A) ∧ ∀x∀y∀z(�x,y�∈A ∧ �x,z�∈A → y = z).

Con queste abbreviazioni l'assioma di rimpiazzamento diventa

∀X(Fnc(X) → ∀x∃y∀z(z∈y ↔ ∃w(w∈x ∧ �w,z�∈X))).

Resta ancora da precisare l'ultimo assioma, o meglio schema di assiomi: quello di astrazione. Con

esso si dà la possibilità di costruire la «collezione», ora con termine preciso, la classe, di tutti e soli

gli insiemi che soddisfano una data proprietà. Però attenzione: una classe è una collezione di

insiemi, non una collezione di classi! Lo schema di astrazione è la controparte formale del

principio di comprensione già visto in precedenza.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Finora non si sono distinti tra loro i sistemi NBG e MKM, in quanto gli assiomi fin qui posti sono

comuni ai due insiemi. La distinzione appare solo nell'enunciazione dello schema di astrazione.

Apparentemente si tratta di una distinzione che ha solo ragioni formali. Ma, analizzando meglio la

sostanza, appare chiaro che la distinzione ha una ragione di fondo, di carattere filosofico, e sono

questi aspetti che ora si illustrano.

Come si è detto più volte, con l'assioma di astrazione si vuole legittimare l'esistenza di alcune

collezioni che non trovano posto nella teoria ZF. Si tratta di quelle collezioni definite mediante

una proprietà. Dapprima dobbiamo precisare come formalizzare la nozione di proprietà. Tra i

possibili modi d'intendere tale concetto, quello che sembra più chiaro e maneggevole (anche se

limitativo) è quello proposto da Frege di identificare le proprietà con le formule della teoria. Forse

così facendo si riduce la molteplicità delle proprietà solo a quelle che si possono esprime con un

fissato linguaggio e questo potrebbe essere una riduzione troppo drastica e grossolana, ma almeno

ha il pregio di essere univocamente intesa. Se dunque si accetta di ricondurre le proprietà a formule

della teoria, presa comunque una formula ϕ(x), con l'indeterminata x volutamente presa minuscola

per denotare un insieme, esiste la classe di tutti e soli gli insiemi che verificano ϕ(x). In simboli:

(19) ∃X∀x(x∈X ↔ ϕ(x)).

Questo è l'assioma come appare nel sistema MKM. Si tratta di una assioma in cui è presente una

richiesta esistenziale non condizionata. Forse la forma in cui è presentato in (19) è poco

«trasparente». Ma osservando che in esso è presente il connettivo di equivalenza ↔ si ha subito

che la classe definita in (19) è univocamente determinata. Si può quindi introdurre una scrittura

apposita e riformulare come

(19’) ∀x(x∈{z | ϕ(z)} ↔ ϕ(x)).

Si riottiene così il principio di comprensione, vedendo non l'insieme, ma la classe scritta a sinistra,

come la collezione di tutti e soli gli elementi che soddisfano la condizione espressa da ϕ, con

l'unica differenza che ora non si impone più che la collezione ottenuta sia un insieme, ma basta sia

una classe.

Nella teoria NBG si restringe ulteriormente l'applicabilità dello schema ad una classe particolare,

quella delle formule predicative. La ragione va cercata nell'idea di circolo vizioso di Russell o di

definizioni impredicative di Poincaré. Per questi due studiosi, la ragione delle antinomie consiste

proprio nell'uso «disinvolto» del principio di comprensione. Infatti quando si deve definire una

totalità dicendone quali sono i suoi elementi e tra gli elementi stesi c'è la totalità da definire, o

elementi per la cui definizione ci si deve avvalere sempre della stessa collezione che si vuole

definire, allora si ottiene una definizione impredicativa o un circolo vizioso.

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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Per evitare questo pericolo nella teoria NBG si applica l'astrazione solo a formule predicative, cioè

a quelle in cui non può apparire la classe da definire come un elemento, né vi sono elementi la cui

definizione dipende dalla classe che si sta definendo. Per raggiungere questo scopo basta

richiedere che le formule cui applicare il principio di astrazione non contengano quantificatori su

indeterminate maiuscole. Questo evita che inavvertitamente si possano considerare tra le classi su

cui varia la quantificazione anche la classe da definire. La forma dell'assioma però è la stessa:

basta riscrivere la (19) con la precisazione che la formula che interviene sia predicativa. La scelta

di restringere lo schema di astrazione a formule predicative ha una conseguenza sorprendente

provata da Bernays, cioè che la teoria ammette una assiomatizzazione con un numero finito di as-

siomi.

La teoria MKM è dunque più generale in quanto evita la restrizione alle formule predicative. Il

motivo è che le definizioni predicative sono scorrette se si giustifica l'esistenza degli enti

insiemistici solo in quanto le definizioni introdotte «chiamano all'esistenza» gli enti stessi. Ma se a

riguardo del problema dell'esistenza degli enti matematici si è in una posizione di sapore platonico:

gli insiemi e le classi esistono di per sé, nel mondo delle idee, e le teorie sono una semplice

descrizione dei rapporti che intercorrono tra tali enti ideali, allora le definizioni impredicative non

sono scorrette, in quanto non è la definizione che fornisce l'esistenza della collezione o ne può

delimitare le proprietà. Ecco perché è possibile estendere l'assioma di astrazione alla totalità delle

formule, come chiede appunto la teoria MKM.

L'assioma di astrazione è molto «potente» in quanto le ordinarie costruzioni insiemistiche eseguite

sulle classi si possono riottenere da esso, senza la necessità di ulteriori richieste esistenziali. Come

esempio di utilizzazione, date due classi A e B si può affermare che esiste l'unione delle due classi

in quanto si può scrivere

(A ∪ B) = {x | x∈A ∨ x∈B}.

In modo analogo si definiscono per le classi le operazioni di intersezione, differenza, parti,

prodotto cartesiano e unione unaria, operazione questa che ripete per le classi la (15) stabilita per

gli insiemi. Possono venire però due sospetti: il primo è che l'introduzione della astrazione porti a

paradossi, in particolare si possa ripetere il paradosso di Russell. Il secondo sospetto che gli

assiomi posti sugli insiemi che garantiscono per gli insiemi, l'esistenza di questi tipi di operazioni

siano superflui.

Vediamo il primo tipo di problema. Considerata la formula x∉x questa è sicuramente una formula

della Teoria degli Insiemi, privo di quantificatori, quindi è una formula predicativa. Si può

considerare l'astrazione all'interno della teoria NBG. Applicando (19’) si ottiene l'esistenza di

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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R = {x | x∉x}

In base all'assioma di astrazione questa è una classe. Non si pone però il problema se R∈R oppure

R∉R, in quanto dal paradosso di Russell si ottiene che R è una classe propria, e non un insieme. In

questo contesto l'argomento portato da Russell per produrre l'antinomia è vista come la

dimostrazione del fatto che R sia una classe propria.

Sul secondo tipo di perplessità, si osservi che grazie all'astrazione, presa una proprietà, si può

concludere solo l'esistenza di una classe che ha le proprietà volute, ma non di assicurare che si

tratti di un insieme. Ecco dunque qual è la funzione degli assiomi delle operazioni sugli insiemi.

Si può affermare che la cosiddetta «insiemistica» o approccio ingenuo agli insiemi, sia in realtà

una «classistica», in quanto, dalle analisi sopra svolte, il giusto concetto di generalità sembra

essere quello di classi e non quello degli insiemi.

Si osservi inoltre che tutte le operazioni insiemistiche elementari prima citate hanno la possibilità

di essere considerate sia in NBG sia in MKM in quanto le formule che si utilizzano sono

predicative. poiché in esse non intervengono quantificazioni su variabili maiuscole.

L'assioma di astrazione garantisce che la collezione d'insiemi soddisfacenti una data proprietà (si

legga formula), costituisce un ente della teoria: una classe, non necessariamente un insieme.

Questo comporta delle fastidiose limitazioni: dati due insiemi a e b esiste la classe {a,b} data da {x

| x = a ∨ x = b}. Tale classe è un insieme solo in virtù dell'assioma apposito (10) o meglio, più

esplicitamente (10”). Tuttavia date le classi A e B, se sono classi proprie, non esiste la classe

{A,B}, o meglio tale classe è l'insieme vuoto, ∅, in quanto l'assioma di astrazione applicato

sostituendo alle minuscole le maiuscole, fornisce

{A,B} = {x | x = A ∨ x = B} = ∅,

dato che non esistono insiemi che siano eguali alle classi proprie A e B.

Il limite delle teorie con le classi è proprio questo, non si possono considerare collezioni di classi.

Sono state presentate nel seguito, ed in tempi più vicini ai nostri, teorie che prevedono la

possibilità di collezionare oggetti «grandi», ma sono troppo recenti per poterne trarre una

valutazione oggettiva della loro importanza. Il bisogno tuttavia non è solo quello di complicare

ulteriormente la teoria. Sia dal punto di vista intuitivo che da quello matematico, il procedere dei

livelli di astrazione ha fatto sì che divenissero importanti le considerazioni di tali enti finora non

esprimibili nelle teorie degli insiemi e delle classi sopra illustrate.

Dal punto di vista didattico bisogna avere il coraggio di chiamare classe ciò che solitamente viene

chiamato insieme e giocando sulla non simmetria della relazione di appartenenza distinguere tra

classi ed insiemi. Bisogna inoltre giustificare il fatto che non sono indispensabili gli urelementi,

C. Marchini - Appunti del corso di Didattica della Matematica I

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anche se si presentano spontaneamente, ma ciò vuol dire scegliere come impostazione filosofica

quella che viene detta platonismo insiemistico.

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