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iPodissea 1 2001-2011 iPodissea Playlist di racconti e articoli a cura di Valentina Ziliani

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2001-2011

iPodisseaPlaylist di racconti e articoli a cura di Valentina Ziliani

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4 Intro di Valentina Ziliani

6 iPod, icona di stile e cambiamento di Maurizio Natali

8 Un contenitore o un nuovo medium? di Tommaso Pincio

10 Piccole follie digitali di Nicola Gaiarin

12 .... killed the radio star di Cristiano Valli

14 Stanley Kubrick e Nathan Never di Gianfranco Franchi

16 Torna a casa, lossy! di Lorena Cornelli

18 Ogni suono è illuminato di Robin L. Fernandez

20 Take the iPod and ride di Isaia Invernizzi

24 Un iPod, una donna di Ramona Norvese

26 In effetti non ti amo di Giulia Cavaliere

28 TPS-L2 di Tommaso Labranca

30 Una coda infinita di gente sfinita di Federico“Accento Svedese”

32 Ladri di iPod di Enrico Molteni

34 “Touch me, I wanna be dirty!” disse lo schermo di Elena Mariani

38 Casuale stato di aggregazione della musica di Andrea Signorelli

40 Crediti

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[È stato, me lo ricordo bene, un mesetto fa. Come in un film di Woody Allen, il fantasma di Steve Jobs, luminosissimo, m’è apparso ai piedi del letto puntando l’indice verso il mio comodino. Non ho fatto in tempo a chiedere udienza allo spirito che quello era svanito, lasciando l’iPod illuminato.

Mi sono svegliata di colpo, stordita dall’epifania onirica, e ho notato che il lettore era davvero acceso.]

2001-2011: 10 anni dalla presentazione del primo iPod.Cosa è per me l’iPod? Prendo a prestito e riadatto la celeberrima formula disneyana: iPod, iPod delle mie brame, chi è l’oggettino più coccolato del reame?, con la sola differenza che se allo specchio la regina vanesia di Biancaneve chiedeva delle conferme, io padroncina - barra - user rivolgo delle attenzioni amorevoli al mio lettore facendolo sentire amato e nutrito (ma quanta musica ti carico?) – e quando raramente si permette di crashare gli rifilo una bella ramanzina, come se facesse i capricci (non farlo mai più).Al di là della semplice affezione, c’è un attaccamento fisico – cosa sono le cuffiette se non un meraviglioso cordone ombelicale hi-tech? –. O forse, come direbbero i Daft Punk, il mio è un amore digitale per qualcosa che è stato a lungo l’oggetto…delle mie brame. E che ora mi accompagna mentre bicicletto come una forsennata sui peggio provinciali, facendomi canticchiare anche quando sono senza fiato.

Ma al di là del legame affettivo, quali sono gli altri fattori connessi all’uso dell’iPod? E ancora: un oggetto, un rettangolino di alluminio e plastico, è riuscito a cambiare i gusti e le modalità di ascolto in soli 10 anni?Da queste premesse si muove iPodissea, un progetto corale che raccoglie racconti e scritti inediti di scrittori, giornalisti, critici, blogger, giovani penne e musicisti italiani che hanno posseduto – ma anche no – il lettore Apple. Un’occasione non solo per celebrare o criticare l’icona indiscussa della prima decade degli anni Zero, ma anche per tentare di fare un punto della situazione più ampio sul nostro rapporto con la cultura mp3, con la musica e inevitabilmente coi ricordi.

Buona lettura

introdi Valentina Ziliani

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L’iPod è senza ombra di dubbio uno dei prodotti più importanti nella storia della Apple, sicuramente quello che più di tutti è stato portatore di cambiamento. Da quando Steve Wozniak creò i primi due personal computer (Apple I e II), l’azienda non era mai più riuscita a realizzare un prodotto così apprezzato da riuscire a conquistare quote di mercato di maggioranza. Va certamente segnalato il primo Macintosh del 1984, un prodotto di un’importanza storica senza pari per la presenza di interfaccia grafica e mouse, ma che non ottenne il successo di vendite che si sperava. Apple Computer (semplificato in Apple solo nel 2007) ha poi navigato per lungo tempo in cattive acque, almeno fino al ritorno dell’esiliato Jobs avvenuto nel 1997.Dopo un po’ di riorganizzazione interna ed il rilancio della linea Macintosh con l’iMac, Jobs decise di scommettere producendo un player musicale tascabile. Ve n’erano già altri in circolazione ma erano brutti e complessi da utilizzare. Apple fece ciò che le riesce meglio: perfezionare. Il mercato della musica digitale era in fermento per via dei sistemi peer-to-peer come Napster ma con iTunes Store Apple chiuse il cerchio e riuscì ad indicare la via per la distribuzione legale della musica via web.Nel 2001 iniziò così la storia del player musicale che divenne velocemente il più famoso del mondo, il primo tentativo veramente riuscito della Apple di realizzare un prodotto che non fosse un computer.Tutti i precedenti esperimenti come il Newton, il Pippin e la meno nota Macintosh TV, avevano fallito miseramente, l’iPod invece ottenne risultati che neanche Jobs poteva immaginare diventando non solo il player musicale più venduto di sempre con un market share di circa l’80%, ma soprattutto un’icona di stile capace anche di rilanciare il ruolo di Apple nel mondo dei computer. L’iPod è il fulcro su cui questa azienda ha fatto leva per dimostrare la validità di un progetto unitario – hardware, software e servizi – culminato

poi nel 2007 con la presentazione dell’iPhone e dei suoi eredi.Nel 2011 la linea iPod ha letteralmente saltato il suo ciclo di ammodernamento essendo stati presentati solo aggiornamenti software per iPod nano e touch e nessuna novità per shuffle e classic. I più famosi ed ammirati lettori musicali del mondo non destano più lo stesso interesse con l’iPhone e l’iPad a sfilare in passerella e a dividersi gli onori della cronaca. Probabilmente nel prossimo futuro ci saranno dei tagli sulla linea musicale e verranno eliminati i prodotti che vendono meno, cosa che Apple continua a fare con logica spietata come nei recenti casi degli Xserve e dello storico MacBook bianco. Ma l’iPod e le sue distintive cuffiette bianche saranno per sempre il simbolo di un’era.

iPod, icona di stile e cambiamentodi Maurizio Natali

È in rete da quando non c’era e aveva un BBS nell’era dei dinosauri. Suona, osserva, scrive, impara, fotografa, spiega, programma, riflette, disegna…non si finisce mai. Ma in fondo la cosa bella è il viaggio. Nel tempo libero ha creato il blog www.saggiamente.com che ora richiede più tempo del suo vero lavoro. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, se fate un referendum avete il suo voto.

www.saggiamente.com

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Confesso che non ho mai posseduto un iPod. In effetti, per lungo tempo non ho mai posseduto nessuno degli stilosi oggetti dell’universo Apple. Dico per lungo tempo perché giusto di recente, dovendo acquistare un nuovo portatile, mi sono arreso: ho preso un Mac. Mi dicevano tutti, vedrai che roba e invece non trovo una gran differenza con pc e sistema Linux, a parte l’eleganza della confezione che sotto certi aspetti può risultare persino indigesta. Mi rendo tuttavia conto che il pretesto dell’iPod può essere inteso in senso lato. Dunque sì, ho posseduto un comunissimo lettore mp3. Però anche in questo caso la mia esperienza è poco significativa, perché ho fatto un uso limitatissimo di questo dispositivo e per una ragione precisa: solitamente quando sono in giro, che cammini o vada in bici, preferisco non ascoltare nulla perché quelli sono momenti che uso per pensare alla scrittura. La musica impone derive emotive proprie, è una corrente che ti guida dove vuole lei, e quando penso voglio essere io a mantenere il controllo della barca. Così, solitamente ascolto musica non quando penso o scrivo, bensì quando sono impegnato in attività manuali, dipingendo o, più modestamente, facendo le pulizie di casa, e in queste circostanze non c’è bisogno di iPod; il vecchio impianto stereo va più che bene, anzi va meglio. Certo, si potrebbero fare considerazioni d’ordine più generale.Per esempio, la possibilità di farsi la propria discoteca virtuale e via dicendo. Quanto a questo, però, sarà perché appartengo a un’altra generazione, sono un po’ riluttante. Penso infatti che il mondo in cui la musica era ancora un oggetto tangibile, un disco di vinile o anche un’orrida musicassetta con un libretto da sfogliare e una sequenza dei brani imposta e non modificabile, fosse un mondo migliore. Gli oggetti portano il segno del tempo, come e più delle persone, e questo contribuisce a conferirgli un valore. I flussi di informazione no.Invecchiano i dispositivi, è vero, gli iPod, i lettori. Ma i dispositivi non sono

Un contenitore o un nuovo medium?di Tommaso Pincio

la musica, ma semplici contenitori dove le cose entrano indifferentemente dalla loro provenienza. Per le nuove generazioni, il tempo d’origine della musica è difatti molto meno rilevante. Lady Gaga e i Led Zeppelin possono camminare, e di fatto camminano, in uno spazio contiguo se non identico. E se da un lato questo apre squarci di libertà (perché ai miei tempi si era molto più settari, integralisti, nelle passioni musicali), dall’altro costituisce anche una forte limitazione in termini di valore, di potenza simbolica, di aggregazione. La musica oggi è molto meno legata al proprio tempo di quanto non lo fosse fino gli anni Novanta, il che riduce parecchio, forse persino azzera, le sue potenzialità eversive. È certamente possibile che queste mie considerazioni siano dettate dall’età, ma quand’anche non lo fossero, importerebbe poco perché il mondo in cui viviamo è ormai questo e non ha senso vivere di rimpianti. Musica e rivoluzione sono parte integrante della natura umana, troveranno pertanto il modo di tornare a essere ciò che erano in passato, ma in forme nuove e diverse da quelle attuali. Sono convinto che l’era iPod sia transitoria, ovvero l’inizio di un salto, un’evoluzione. Diciamo anche che voglio esserne convinto, ma poco cambia.

Tommaso Pincio è uno scrittore. Fine conoscitore e appassionato di letteratura americana (il suo nome è infatti un omaggio a Thomas Pynchon), è anche pittore e illustratore. Tra i suoi romanzi, Un amore dell’altro mondo (Einaudi, 2002) è dedicato a Kurt Cobain, leader dei Nirvana.

http://tommasopincio.splinder.com/ http://lumiletrascrittore.net/

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Meditando su come è cambiata la mia relazione con la musica con l’avvento dell’iPod (nel mio caso, dei ben più prosaici lettori mp3 di marche ignote) ho iniziato a scrivere, memore delle venerabili ricerche di Krafft-Ebing, una piccola Psycopathia Digitalis, accompagnata da domande utili per diagnosticare la presenza di una o più forme di patologia connessa all’utilizzo degli mp3 player portatili.

Psychopathia Digitalis

− Euforia nostalgica : ma davvero posso scaricare e portarmi in giro quel disco dei Misfits che da ragazzino ho inseguito disperatamente per anni?

− Onnipotenza da download: che bello, posso avere con me una quantità di musica che non basterebbe un anno per ascoltarla tutta!

− Malinconia digitale: vale la pena ascoltare tanta musica quando la vita è così breve?

− Iperconsumo compulsivo: perché dovrei ascoltare più di una volta un disco quando ho così tanta musica nuova appena scaricata?

− Frammentazione percettiva: perché dovrei ascoltare un disco per intero quando posso ascoltare solo i pezzi che preferisco? − Disordine della memoria tecnologica: dove è finito il mio walkman con la cassetta dei Modern Talking?

− Nevrosi ossessiva combinatoria: ascolterò solo i primi cinque secondi di

Piccole follie digitalidi Nicola “Sig. Hulot” Gaiarin

ogni quarto pezzo di ogni album caricato nel mio lettore.

− Bulimia monostilistica rumorosa: ho nel mio iPod la discografia completa di Merzbow e da venti giorni non ascolto altro!

− Mania persecutoria da playlist: chi ha caricato Lady Gaga nel mio lettore?

− Amnesia da ascolto continuo: come si chiamava quella canzone che ho ascoltato ieri, quella col giro di synth acido?

− Paranoia Ipodica: io non ascolto il mio iPod, è lui che ascolta me.

Signor Hulot è l’identità virtuale di Nicola Gaiarin, consulente di direzione e formatore. Laureato su Gilles Deleuze, appassionato di musica e cinema, lavora con DOF Consulting su progetti di sviluppo sociale e sperimentazioni organizzative. Ultimo progetto su cui è attivo: The Village, social game sulle competenze sociali www.insidethevillage.org.

http://signorhulot.blogspot.com/

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Per me la musica è lavoro, nel senso che la scelgo mica che la suono, che non sono mica matto. quando sono in giro quindi faccio altro. per molti versi insomma, qui dentro non ci azzecco nulla, io non ho mai avuto un coso portatile, fin dai tempi in cui William Gibson teorizzò il walkman. però questa cosa che si è passati da tanta gente con pochi brani in rigoroso ordine dalprimoall’ultimo [suvvia, in quanti, al mondo, programmavano l’ordine dei brani di un cidì?] a tutti quanti con tutti i brani del mondo, per me che la musica la scelgo, la consiglio, la promuovo, la metto in onda, è cambiato quasi tutto.

Fino a vent’anni fa [facciamo quindici] io ero uno che i dischi li ascoltava prima di tutti, che si preoccupava di chi ascoltava cosa e dove. Ed il chi era molta meno gente di adesso, il cosa eran sempre le stesse cose, il dove eran tre o quattro luoghi al massimo. Insomma, diciamocelo, scegliere la musica era il nuovo rubare le caramelle ai bambini. Però adesso mica sto a rifare tutta la storia della musica, internet, i mercati, gli emmepitrè. insomma quelle cose lì che le sapete tutti tutte.

È che musica a parte, per chi fa radio, con l’ipod il verbo si è fatto carne. sotto forma di podcast. Il maledetto podcast. che ci puoi avere anche tutti i tuoi begli anni di studi sull’ascolto singolo o collettivo della radio, su fasce e target, sulla differenza fra una trasmissione che fai di notte ed una di mattina, sulla permanenza all’ascolto, etcetera. Adesso, quando parli, non sai. chi ti ascolta, da dove, in quanti, in che lingua. Se non stai attento a quel che dici, scadi dopo dieci minuti. ci son trasmissioni che sei già scaduto come apri bocca, andato a male, ti puzza l’alito per radio.Poi siccome in italia ci si occupa di piattaforme e non di contenuti,

…killed the radio stardi Cristiano Valli

chissenefrega se la trasmissione sul traffico ascoltata il giorno dopo è un nonsense che manco in Helzapoppin’.L’importante è che ci sia il podcast, che sia inutile è un trascurabile dettaglio.

Insomma deve essere per questo che al di fuori di una nicchia blindata per adesso nessuno se ne dev’essere accorto. che fare radio con l’ipod è diventato più difficile, dico. e più bello. che poi alla fine è quello che conta.

Giornalista, autore e speaker radiofonico a Radiopopolare è anche babysitter d’alto bordo, pubblicitario e un sacco di altre cose. Scopritore o inventore della sindrome di Assembach, scrive come parla, letteralmente, e di proposito.

http://coserosse.net/c

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Stanley Kubrick aveva già sbirciato nelle case degli anni Zero, e degli anni Dieci. Sapeva che le pareti sarebbero state spoglie di dischi, e che interi scaffali sarebbero scomparsi nel nulla. Sapeva che l’iPod avrebbe biancheggiato le nostre stanze, dissolvendo, chirurgico, anni di ricerche, di desideri e di gelosie. Anni di oggetti amati e collezionati con vera dedizione. Quando ho visto per la prima volta “2001”, bambino, negli anni Ottanta, non riuscivo a credere che in futuro le stanze sarebbero diventate così bianche, così beckettiane. Adesso comincio a capire perché potrà succedere. E come.

Medda, Serra e Vigna, come Stanley Kubrick, avevano già visto il futuro, quando inventavano Nathan Never, nei primissimi anni Novanta. Nathan Never aveva una grande nostalgia del nostro vecchio mondo, pieno di oggetti: dell’arte pop posseduta, e fatta unica, da ognuno. Lui viveva in un secolo in cui i libri di carta, i dischi di vinile, i film in vhs non esistevano più. Tutto stava nel palmo d’una mano. Le pareti erano spoglie. Tutto era diventato bianco. L’iPod è nato bianco.

Stanley Kubrick e Nathan Neverdi Gianfranco Franchi

Gianfranco Franchi (Trieste, 1978), letterato romano di sangue giuliano, austriaco e istriano, ha pubblicato in narrativa “Monteverde” (Castelvecchi, 2009), “Disorder” e “Pagano “(Il Foglio Letterario, 2006, 2007); in saggistica, “Radiohead. A Kid” (Arcana, 2009) e “L’arte del Piano B” (Piano B, 2011); in poesia, “L’inadempienza” (Il Foglio Letterario, 2008). Dal 2003 anima il portale di comunicazione letteraria e dello spettacolo Lankelot.Nella vita di tutti i giorni è un consulente editoriale, uno scout e un critico letterario.

www.lankelot.eu

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Quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sull’iPod, sono rimasta piuttosto perplessa. Io neppure ce l’ho l’iPod, e se devo dirla tutta non è che mi piaccia moltissimo.Ma mentre scrivo queste righe, vengo a sapere del triste destino della EMI, il cui patrimonio storico è stato inglobato da altre due grandi etichette discografiche, Sony e Universal. Non è che mi piaccia moltissimo, eh, la EMI. Eppure in fondo un po’ di simpatia la suscita, perché dà l’idea del gigante che si distrugge con le proprie mani, oltre a offrirmi un pretesto per introdurre il discorso. Ma andiamo con ordine. Ai miei tempi la Electric and Musical Industries era il maggior colosso musicale. Erano i primi anni ’90, l’epoca delle musicassette. Le nuove generazioni ne avranno solo vaghi ricordi, ma se vi sforzate vi ricorderete sicuramente il mangianastri, che si chiamava evidentemente così per una ragione: all’ennesimo ascolto il disco che stavate sentendo si tramutava all’improvviso in un blblblimuuuuoooouoooou e se non si riusciva a fermare in tempo il diabolico marchingegno, si aveva la fortuna di vedere come erano fatte le cassettine dentro. Interi pomeriggi persi a riavvolgere nastri magnetici sono stati probabilmente il motivo che ha spinto le case discografiche a lanciare sul mercato un nuovo supporto musicale: il compact disc, a.k.a. CD, una sorta di vinile elettronico, piccolo, agile e che prometteva prestazioni che sembravano esagerate per le effettive esigenze dell’epoca. E di lì a poco le stesse etichette daranno il loro appoggio incondizionato al formato mp3, totalmente inconsapevoli che la solita speculazione di mercato avrebbe invece causato una rivoluzione nella fruizione e nella produzione musicale che le avrebbe portate al collasso.Come potete immaginare a questo punto, non è che mi piaccia moltissimo, l’mp3. Ne riconosco la praticità: solo l’idea dei poverini che vent’anni fa si aggiravano con walkman giganteschi ormai fa ridere, quando in uno spazio

Torna a casa, lossydi Lorena Cornelli

minuscolo è possibile contenere centinaia di album. Nondimeno, a costo di sembrare eccessivamente nostalgica e retriva, mi chiedo: servono davvero centinaia di album? Una volta ci si metteva una vita a collezionare così tanti dischi, mentre adesso bastano pochi click e una manciata di secondi perché qualsiasi tassello della storia della musica si materializzi sul vostro desktop. Certo, mi rendo conto dell’importanza di una simile innovazione, ma continuo a pensare che non si abbia il tempo effettivo per ascoltare realmente tutto quel materiale e per di più si perde uno dei piaceri del collezionista, ossia quello di cercare gli album preferiti di bancarella in bancarella. Vinile vs. mp3 1-0, quindi. Tié, mp3!Inoltre l’mp3 sfrutta un tipo di compressione audio lossy, che quindi, come suggerisce il nome stesso, comporta una perdita di dati e un abbassamento della qualità rispetto ad altri formati. Problema che invece il vinile non aveva. Peraltro, non so se avete mai ascoltato il suono della puntina sul vinile. Oppure se avete presente il rapporto, anche fisico, che si può avere con un album, che dopotutto è un oggetto e come tale può diventare un vero feticcio, per alcuni. O anche solo il piacere di ammirare l’artwork delle copertine. Assolutamente impossibile con l’iPod. Vinile vs. mp3 2-0. A me pare una vittoria schiacciante. D’altronde anche i più grandi critici musicali prevedono il declino dell’era del CD e annunciano che presto si tornerà al vinile. Non è che mi piacciano moltissimo in realtà, i critici musicali, ma per una volta sono d’accordo con loro. Quindi aspetto con ansia di poter recuperare il mio vecchio giradischi. Torna a casa, lossy!

Lola è studentessa non praticante di lingue e letterature straniere.Pur essendo nata nel 1981, un difetto osseo le impedisce dicompiere più di 25 anni. Ama i giochi di parole e abusa deltrattino lungo – in inglese hyphen. Non riesce a riconoscere lepersone quando indossano il cappello.

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Mi manca il fruscio delle musicassette. Non c’erano mai due fruscii uguali. C’erano le cassettine a cui ti affezionavi, e continuavi ad ascoltarle nonostante il palese deterioramento del suono.Esempi:Sgt. Pepper su cassettina originale acquistata all’estero, con le traduzioni dei titoli tra parentesi nel foglietto interno e il nastro che, dopo una decina d’anni di onorata carriera, estendeva le sonorità rendendo Being For The Benefit of Mr. Kite ancora più psichedelica.O ancora: Hot Rats di Zappa raccattato in un mercatino dell’usato, in un mix dei primi anni ottanta che se poi vai a vedere online scopri che è la versione da evitare come la morte causa minutaggi ridotti e certificata inascoltabilità. E tu ce l’avevi su cassettina. Smagnetizzata. E la ascoltavi tre volte al giorno.Ancora oggi penso che l’unico vero modo di ascoltare Sgt. Pepper sia su cassettina marca Jugoton col nastro che in certe parti aggiunge e dilata suoni con un criterio tutto suo.Con l’avvento dell’mp3, e il conseguente miglioramento della qualità d’ascolto, molte di queste cose sono andate perdute per sempre. Forse talune persone particolarmente noiose insistono che sia pure per il meglio. Io però per molto tempo ho sentito la mancanza di una certa personalità intrinseca al supporto: l’mp3 suonerà sempre uguale, non importa quante volte lo copi da lettore a lettore. Si toglieva così dall’ascolto l’elemento personale, il sapere perché a un certo punto l’audio peggiorava, il conoscere le circostanze che hanno portato quei cambiamenti e gli apparecchi con cui sono stati inflitti. Il disco era più tuo perché anche tu avevi contribuito a peggiorarlo.Eppure recentemente mi sono accorto che la pulizia sonora immutabile dell’mp3 in realtà regala mondi ancora più vasti. La scomparsa del fruscio mi ha fatto scoprire una traccia audio ugualmente indesiderata che prima

Ogni suono è illuminatodi Robin L. Fernandez

era molto meno preponderante: il mondo esterno. Il letto di rumore bianco della cassetta mi nascondeva l’esistenza del chiacchiericcio dei passanti, dello stridio dei freni del regionale, dei clacson che vengono suonati perfettamente a tempo col fretless di Babooshka di Kate Bush.Oggi sono convinto che l’unico vero modo per ascoltare Worm Mountain dei Flaming Lips sia in autobus, con una signora seduta dietro di te che parla al telefono in macedone, accentando ogni terza vocale. Un’ esecuzione stupenda, avreste dovuto esserci.Ringrazio quindi tutte le persone coinvolte nella creazione e diffusione dell’mp3, da Leonardo Chiariglione a Shawn Fanning e, perché no, anche Steve Jobs anche se i suoi prodotti non me li posso permettere, per avermi portato a comprendere ancora meglio gli insegnamenti di John Cage: ogni suono è musica, e – mi permetto di aggiungere – per quanto ci proviamo è impossibile controllarla del tutto. E il risultato è ovunque attorno a noi, ed è meraviglioso e irripetibile più di qualsiasi concerto.

Robin L. Fernandez lavora per La Famosa Etichetta Trovarobato, realtà che esiste dal 2002 e che diffonde attività musicali su tutto il territorio italiano e recentemente anche su quello estero. Nata inizialmente per la gestione della band Mariposa, nel 2009 Trovarobato è stata insignita del Premio Italiano per la Musica Indipendente per la miglior etichetta indie.

www.trovarobato.com

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Faccio un uso illegale dell’iPod. Ogni mattina indosso le cuffiette sotto il casco qualche secondo prima di infilare i guanti e tentare di avviare a pedalina il motore della Vespa. Otto chilometri da percorrere in quattordici minuti, pioggia e fetenti che sorpassano freccia permettendo. Per dare una parvenza di legalità, quando all’orizzonte si intravede la banda verde fluo della polizia locale, tolgo la cuffia sinistra e fingo spudoratamente di essere impegnato in un’accesa conversazione. Incredibile, funziona.

Negli anni, poi, ho sviluppato una tecnica sopraffina: quando la strada è libera “accordo” il motore con il pezzo in playlist. Per spiegare meglio: con l’acceleratore si regola la potenza, i giri, e di conseguenza il rumore che si traduce in suono. Le quattro marce fanno il resto, per una scala infinita di bassi da sovrapporre alla melodia in cuffia. Ho raggiunto risultati molto soddisfacenti, per ora, solo con alcuni dischi: Black Rainbow degli Aucan, Frontiera dei Bancale, My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky degli Swans e Isam, ultimo disco di Amon Tobin. Però mi sto allenando anche su James Blake e l’obiettivo è avventurarmi al più presto in Embryonic dei Flaming Lips. Con i pezzi dei Verbal non ce la farò mai.

Ah, mi raccomando: casco sempre ben allacciato, luci accese anche di giorno e prudenza (qui ci va un respiro che dura più di una virgola), sempre (detto veloce).

Take the iPod and ridedi Isaia Invernizzi

Nato l’ultimo giorno di maggio del 1987, Isaia è uno dei quattro redattori di un piccolo giornale online di provincia,Bergamonews.it. Ma è anche chitarra e Omnichord nei Verbal,band che sta per dare alla luce il primo omonimo disco. Da un anno collabora all’organizzazione degli eventi Neverlab. Nel tempo libero dorme.

http://www.facebook.com/verbaltrust

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È bello, nostalgico, vintage e decisamente attuale (v. voce retromania) affermare con aria di superiorità: “io continuo a preferire il suono del vinile”, “adoro fare cassette per la macchina”, “quando c’erano i lettori CD…”, però non si può negare che Apple abbia regalato a noi giovani melomani la macchina più importante del secolo: l’iPod. A volte anch’io pronuncio delle frasi simili a quelle appena menzionate, trincerandomi così tra i radicalchicsnobnostalgici; tuttavia, guardando quel cosettino nero con 160GB di memoria che completa l’elenco dei miei organi vitali devo davvero rimangiarmi molte delle cose dette.Non sono una Mac fanatica, non ho pianto per la morte di Jobs né ho fatto la fila per comprare la biografia ufficiale; a dire il vero non ho nemmeno poi tanta confidenza con questo nuovo mondo iTecnologico: però una cosa è certa, questa macchina è troppo importante per me per lasciare che qualcuno me la manometta.Ascolto musica in continuazione tanto da credere di soffrire di una rara malattia chiamata bulimia musicale; e questo da sempre – ok, sempresempreno – però ricordo bene la gioia che provai nel passare dal walkman al bellissimo lettore CD con tanto di anti-shock che resisteva alla guida spericolata dei vari autisti dell’autobus n. 21.

Ma il grande salto musicale nella mia vita arrivò con il mio primo prodotto Apple, che mi costò un’estate di lavoro e mille dubbi sulla cospicua spesa (per una diciassettenne!). Era nero, piccolo, aveva solo 8GB però rivoluzionò la mia adolescenza: tutto ciò che volevo, tutto ciò che poteva cambiare il mio umore, era lì a portata di freccina e di tasca! Au revoir anti-shock, au revoir CD che gli amici puntualmente ti graffiavano: io avevo lui, e da quel momento tutto cambiò. Posso affermare con certezza che il mio primo iPod (nano) è stata la mia salvezza: tantissima musica – sì, allora 8GB mi

Un iPod, una donnadi Ramona Norvese

sembravano tantissimi – in alta qualità, cosa che fino ad allora i riproduttori mp3 in circolazione – ed i rispettivi file – non erano in grado di offrire. Correva l’anno 2004 e l’occasione fu regalatami da un fuori tutto di MediaWorld. Per i successivi 7 anni il mio iPod nano nero da 8GB è stato sempre con me, viaggiando per 3 continenti, sostenendomi durante la maturità e gli esami universitari, facendomi compagnia in lunghe ore in treno, passeggiate, risate e, perché no, pure più di un pianto. Mi abbandonò non per vecchiaia ma perché, devo proprio ammetterlo, a volte sono un po’ sprovveduta. Nessun calcolatore 9000 ha mai commesso un errore o alterato un’informazione. Noi siamo, senza possibili eccezioni di sorta, a prova di errore, e incapaci di sbagliare, diceva l’elaboratore HALL 9000 nella celeberrima opera Kubrickiana, ed il mio nano nero da 8GB in sette lunghi anni di attività non aveva mai né commesso un errore, né tantomeno alterato un’informazione.

Ho sofferto tanto dopo averlo – scioccamente e stupidamente – perso. È stato duro accettarlo, elaborare il lutto e continuare con la mia vita. Ho provato per un breve periodo ad andare in bicicletta/metro/in cucina la mattina a fare il caffè senza le cuffie: non ce l’ho fatta. Il mio nuovo piccino è il fratello maggiore, sempre nero, del disperso. Ed è, senza ombra di dubbio, un mio organo vitale. Grazie, mr. Jobs, per aver completato l’anatomia del mio corpo.

Classe 1986, Ramona Norvese, r. per gli amici, è avvocata (sì, con la A) e collaboratrice della webzine Frigopop. Ama smodatamente l’indiepop e vive da 3 anni a Barcellona in simbiosi con le adorate urban-ears verde smeraldo; è assolutamente convinta che l’amore non esista ed ègeograficamente instabile, tutt’ora indecisa fra las cañasbaratas e gli scones caldi per il brunch la domenica.

http://frigopop.blogspot.com

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La prima volta che ti ho incontrato ero seduta al tavolo della cucina del mio ex fidanzato quando mi domandò se fosse una buona idea farti arrivare a casa per il suo compleanno. Io non ti conoscevo, scettica ho fatto qualche domanda sul tuo conto e poi ho lasciato a lui la scelta.Quando ti siamo venuti a prendere e ti abbiamo portato a casa ti ho trovato bellissimo, poco invadente, sobrio al punto giusto e naturalmente è stato quando ci hai mostrato di cosa eri capace che ho pensato che ti volevo anche io a casa mia, per un po’, da soli sul mio letto, a passeggiare a lungo sul fiume e poi giocare al buio prima di dormire.Prima di te c’era stato quello grande e grosso, un po’ ingombrante e al tempo stesso poco rassicurante e meno capace, una relazione finita in fretta e durata tutto sommato molto poco; prima ancora però avevo provato il meglio del meglio: uno di quelli che ti costringono a tacere e ascoltarli dall’inizio alla fine senza interromperli eppure è molto raro che ti diano fastidio e lasciarli fare è un piacere, uno di quelli che quando ti stanno parlando non saltano da un concetto all’altro lasciandoti i vuoti da tutte le parti. Lui, il migliore, se n’era andato e aveva portato con sé tutte le matite che spesso gli servivano per fare il punto della situazione, per proseguire o ricominciare da capo i suoi bellissimi racconti. Era stato veramente difficile rassegnarsi a quella perdita, impossibile colmare il vuoto lasciato dopo tutti i momenti condivisi: i lunghi viaggi in auto verso il nord Europa, le serate in solitudine quando iniziava la primavera e avevo solo voglia di stare con lui, io lui e un disco di Battiato che non avevo mai conosciuto. Era grandioso, sapevo che qualsiasi tasto avessi toccato lui avrebbe comunque reagito al meglio e io sarei stata felice, malinconica, esaltata e sempre appagata.Ci ho messo un po’, insomma, ad abituarmi a te, anche quando ti ho scelto e ti sei trasferito a casa mia, con quel tuo abitino grigio metallizzato che ancora adesso che sei diventato ricco e fai scelte d’abbigliamento più pregiate, io rimpiango. Con te è stato strano da subito, dalla prima volta che siamo usciti, ti infilavi nelle mie tasche e mi facevi fare tutto quello

In effetti non ti amodi Giulia Cavaliere

che volevo: mi facevi scegliere sempre il mia storia preferita e solo allora ti usciva la voce, mi istigavi a eliminare l’ascolto di tutte le belle parole che in quel momento non avevo voglia di ascoltare. Con te è stato da subito tutto più facile, una di quelle unioni che potenzialmente possono durare tutta la vita perché semplicemente funzionano, non c’è mai disaccordo, tu mi dai sempre ragione e quando andiamo a letto e mi addormento tu non smetti di raccontare anche se poi alla mattina sei distrutto, stanco, scarico di ogni energia e attorcigliato fastidiosamente intorno a me con lo sguardo di uno che è crollato nel sonno mentre ti stava dicendo ancora qualcosa di fondamentale. Io e il mio fidanzato ci siamo lasciati ma non è stata colpa tua anche se qualcuno potrebbe giustamente farmi notare che la relazione tra me e te sta ancora durando e va avanti ormai da sette anni. Non ho nulla da recriminare, con te si sta benissimo, è difficile trovare nella vita situazioni simili alla nostra e senz’altro è arduo imbattersi in qualcosa che abbia il tuo pregio migliore: la voglia e la possibilità di cambiare sempre senza annoiare mai chi ti è vicino come se ogni volta, anche dopo anni, fosse la prima volta che stiamo camminando insieme e insieme alla sicurezza di sapere che sei sempre tu, io trovassi in te tantissime eccitanti novità. Eppure ora te lo posso dire, visto che sto raccontando come sono andate le cose: capita spesso che io rimpianga quei tempi andati, l’epoca in cui raggiungevo il Belgio con lui che non si fermava mai e parlava e parlava e io tenevo in mano la sua matita oppure, ora ricordo, una penna Bic blu, in attesa che si inceppasse nel racconto mentre mi veniva voglia di andare avanti ad ascoltarlo o ricominciare da capo. Sei bellissimo e perfetto, non rimpiango il nostro incontro e nemmeno i 4, 8, 16 GB dei tuoi abbracci, tuttavia no, in effetti non ti amo.

Giulia Cavaliere, 26 anni, pavese di nascita, milanese d’amore,scrive di musica e arte su alcune riviste cartacee e online tra cui SentireAscoltare e Cosebellemagazine. È appassionata di tecnologia, serie tv ciniche e infusi sdolcinati.

http://www.sentireascoltare.com/ http://www.cosebellemagazine.it/

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Nell’autunno del 1979 in città saremmo stati una decina ad avere il TPS-L2, il primo walkman della Sony, quello viola con il tasto arancione: Loredana Bertè, io e altri otto sconosciuti. Dovevo dire grazie al metodo Ricucci, due anni di mancette settimanali risparmiate mi avevano permesso quell’acquisto impegnativo da 190.000 lire. In euro oggi sarebbe quanto serve per comperare un iPhone 4S da 64 giga, forse. Prima del Walkman ero una persona molto puntuale. Dopo iniziai ad accumulare ritardi perché, prima di uscire di casa, mi attardavo a scegliere quale cassetta portare con me. Era una selezione difficile, fatta in base al meteo, a chi avrei incontrato, all’abbigliamento, all’umore. Interi quarti d’ora buttati via scorrendo i titoli scritti con il normografo sui dorsi di C90. Alla fine ne prendevo una e uscivo soddisfatto, ma per poco. Appena salito sul tram mi veniva voglia di ascoltare un’altra cassetta che era rimasta a casa.L’iPod invece è come la chiocciola latina che diceva Omnia Mea Mecum. Ha tutto dentro, mi fa recuperare i ritardi accumulati in quell’era prototecnologica, ma ha peggiorato la mia ansia. La cassetta ti imponeva l’ascolto dell’intera traccia, al massimo potevi fare avanzare velocemente il nastro, producendo squittii che mi hanno compromesso l’udito. L’iPod ti permette di saltare da un brano all’altro, da una atmosfera, un ricordo, uno stato mentale al successivo solo sfiorando un comando. E allora finisce che non ascolto nulla se non le prime cinque battute di ogni pezzo, convinto che forse quello successivo è più coinvolgente, più bello, più adatto al paesaggio. Riesco a far scorrere così anche duemila brani senza averne ascoltato uno solo. Non ho nostalgia del walkman a cassetta, però a volte rimpiango la cura per il suono che si aveva prima dell’iPod. Si registrava un LP subito dopo averlo acquistato per evitare di rovinarlo con troppi ascolti. Si sceglievano le cassette più costose, identificate da strani simboli chimici, e per tutta la registrazione si fissavano gli aghi dei Vu Meter per tenere a bada ogni

TPS-L2di Tommaso Labranca

distorsione. Oggi il formato mp3 è una macelleria del suono. Lo comprime, lo appiattisce, lo uccide. Tant’è che mai nella pubblicità di iPod e simili viene sottolineata la fedeltà dell’audio. Ti allettano con schermi a sfioramento, portabilità e numero di canzoni che puoi immagazzinare. Ma nessuno dice una sola parola sulla qualità di quanto ascolterai. Ciò nonostante cercano di venderti sofisticate cuffione da passeggio dai prezzi improponibili che mai esalteranno il brano a 96 kbps scaricato abusivamente. Intorno a me pare che i nativi digitali non se ne cruccino e per strada ascoltano la musica dagli altoparlanti degli smartphone, gracchianti come vecchie radioline in AM.Quanto dovremo aspettare perché l’iPod si svesta dell’abito dell’esibizionismo tecnomodaiolo per rivestire i panni più dimessi della nostalgia? Almeno fino alla prossima rivoluzione sonora. La tecnologia rivela inattesi aspetti romantici quando non c’è più. Provo nostalgia per le visioni disturbate e ondeggianti di certe tristi emittenti locali della già antica tv analogica. Mentre non provo struggimento, ma solo fastidio quando l’immagine del digitale terrestre si scompone in tanti enormi pixel quadrati. Allo stesso modo ho un po’ di rimpianto per gli inconvenienti del walkman: le pile esaurite in un pomeriggio domenicale con i negozi chiusi, la cassetta che si inceppava e il nastro aggrovigliato negli ingranaggi. Per ora, invece, i fastidi dell’iPad (impossibilità di sostituire le batterie esaurite con nuove pile, sincronizzazione di iTunes che cancella tutti i brani presenti, necessità di rinominare tutti gli 11000 pezzi indicando album, genere e gruppo) restano solo fastidi.

Tommaso Labranca è uno scrittore. Negli anni ‘90 ci spiega tutto sul trash con “Andy Warhol era un coatto” (Castelvecchi, 1994) quando ancora a nessuno era venuto in mente di farlo. È anche autore televisivo e radiofonico e nel 2006 ha messo un algido iPod bianco sulla copertina de “Il piccolo isolazionista” (sempre Castelvecchi).

http://www.tommasolabranca.eu/

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Io con l’iPod ho un rapporto veramente molto strano. Mi ha consentito per la prima volta di ascoltare tanta musica in poco spazio e gliene sono davvero grato, però dopo un primo periodo di entusiasmo iniziale l’ho completamente accantonato perché avere a disposizione tanta musica così facilmente mi portava a non ascoltare più nulla. È un po’ contorta come cosa, però è così (come lo vogliamo chiamare un ascolto compulsivo di brani che venivano skippati repentinamente per cercare qualcosa di più soddisfacente? Tutte le volte andava a finire che nel lungo tragitto parcheggio-ufficio ascoltavo solo intro di brani) ed ho dovuto gettare la spugna dopo un po’.

E meno male che avevo uno di quegli iPod Mini di seconda (o terza? O prima? Sembra la taglia di un reggiseno) generazione, quelli pesantissimi di metallo con 4gb di spazio che spesso e volentieri si bloccavano e dovevi resettare tutto & ti si scaricava la batteria & bestemmiavi come un turco (o come un veneto, che è quasi uguale). Se avessi avuto uno di quelli attuali sarei impazzito – o magari avrei iniziato a bere o a farmi, non so – ma non ho mai preso in considerazione l’idea di comprarne un altro perché troppo faticoso. E pericoloso. Infatti, il mio iPod lo comprai all’allora modico prezzo di 99 euro ad un fuori tutto da MediaWorld, e feci davvero a botte per riuscire ad accaparrarmelo vista la ressa disumana che si era venuta a creare per acquistare quello che si avviava a diventare un vero feticcio moderno. L’ho letteralmente preso di mano ad un bambino che scappò piangendo dalla mamma e probabilmente adesso per il trauma – lui sì – avrà iniziato a bere o a farsi, non so. Mi sono sentito malissimo, ma è stato un malessere che è passato subito e fino a qualche secondo fa non lo ricordavo nemmeno. Così è la vita.

Una coda infinita di gente sfinitadi Federico “Accento Svedese”

L’autore di questo pezzo non esiste perché è una leggendametropolitana. Si dice sia un blogger che lavora sotto copertura per oscuri centri studi che cercano ostinatamente messaggi subliminali nella musica, nel cinema o nellapubblicità, ma non è vero niente perché è nato a cavallo tra gli anni settanta e glianni ottanta, vive in una amena località della Bassa Padana, scrive per hobby e fa tutt’altro nella vita. Buona notte e buone botte (cit.).

http://accentosvedese.blogspot.com

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Ricordo l’arrivo dell’iPod come una piccola rivoluzione nella nostra quotidianità d’occidente. Che poi lo sapevamo già tutti che era solo un walkman. Eppure ci siamo scoperti in molti a viverlo come oggetto del desiderio, uno status/music/motus symbol. Il primo me lo hanno rubato il giorno dei morti di qualche anno fa a Bologna, quando ci hanno aperto il furgone. Quindi oltre a basso, amplificatore, testata, documenti, occhiali da vista, chiavi di casa e all’amata maglietta dei Modest Mouse, si sono portati via anche il mio piccolo gioiello bianco. Il dispiacere è stato così grande che ho dovuto acquistarne subito un altro. Che però mi è stato rubato nei camerini del Rolling Stone di Milano durante un nostro concerto. Che sfortuna, direte voi.Effettivamente non potevo credere ai fatti. È anche vero che la gente vedeva nell’iPod qualcosa di molto prezioso, quasi come fosse il Santo Graal. È in quel momento che ho comprato il terzo iPod, che non mi hanno più rubato poiché l’ho custodito sempre a casa, chiuso a chiave, in cassaforte, con sistema di sicurezza satellitare e guardie giurate e filo spinato tutto attorno.

Ancora oggi fatico a rinunciare alla tecnologia da tasca, ma l’iPhone ha sostituito completamente l’iPod poiché svolge anche le sue funzioni. Non capisco chi possiede più dispositivi quando ce n’è uno che fa tutto.Il mio terzo iPod rimane ancora oggi sotto stretta sorveglianza, anche se so che non me lo ruberà più nessuno. È vecchio. E forse è anche responsabile di un grande crimine contro l’umanità: l’aver spinto con due mani un’intera generazione dentro la bolla comunicazionale di cui parlava Patrice Flichy nel 1992, rendendola incapace di comunicare con le altre generazioni. Sì, j’accuse!, punto il dito contro l’iPod. E schiaccio play.

Ladri di iPoddi Enrico Molteni

Enrico Molteni è un allegro ragazzo morto che vive dal 2000 dentro La Tempesta.

www.latempesta.org www.treallegriragazzimorti.it

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Nei miei pochi anni di vita tutto mi è cambiato intorno, a partire dalla musica. E non parlo dei generi musicali, ma della netta fatica nel seguire come e dove stavamo andando. Con l’arrivo dell’iPod il cambiamento tattile è stato importantissimo, ma a quanto pare vi siete abituati tutti in maniera esemplare. Ma qui c’è gente che ha un cuore! Qui c’è gente che ama schiacciare i tasti.Queste dita non sono state fatte per suonare, ma di certo sono state fatte per schiacciare tasti.Insomma, nessuno pensa ai bambini?In 22 anni di vita, ogni volta che succedeva qualcosa di nuovo, mi sentivo come il vecchio che vendeva le caramelle nel bar dell’oratorio quando arrivò l’Euro. Andò in palla.Nel 1999 il bar dell’oratorio andò in bancarotta.Tu scherzi, ma la domenica, quando si andava a fare stragi di vermi gommosi, il vecchio sapeva che doveva fare i conti con l’Euro ed iniziava a sudare.Ti guardava da dietro le caramelle, i baffi tremuli gli occhi sbarrati, si stava lì ore per il resto. C’era la domenica che, con 2 euro, tornavi a casa con un sacchetto pieno di gommosità mentre la settimana dopo non ti bastavano neanche per un leccalecca.Così è stato per me: un giorno sei quella con il lettore cd sempre dietro mentre quello dopo sei l’unica senza mp3 o iPod in tasca.Cosa sono un mostro in evoluzione? Ti sembro un X-Men?Dopo anni che ci leviamo i denti del giudizio questi ricompaiono nelle bocche dei nostri figli e tu ti aspetti che io passi così, senza dire nulla, dai tasti al touch screen?Il lettore cd laccato in argento della Sony era il meglio che una ragazzina potesse desiderare.Con il mio lettore ho imparato tante cose, una su tutte la grande mossa dello

“Touch me, I wanna be dirty” disse lo schermodi Elena Mariani

– studente annoiato ma zitto che prevede di far passare una cuffietta dalla manica del maglione e portarla all’orecchio con la mano.Con questa mossa la tua posizione sul banco si inclinava tutta da una parte, uno spostamento totale della colonna vertebrale, con la mano che sostiene il viso e racchiude quel piccolo tesoro che è la cuffietta.La mossa, insegnata da un tamarro di quartiere che non aveva neanche il lettore cd ma una radiolina, si rivelò utilissima nelle lunghe giornate delle superiori. Questo insegnamento fu il suo regalo per la fine della medie, dopotutto era un ripetente, ne sapeva un sacco.Se per quelli delle generazioni precedenti alla mia la cura della materia musicale, dei vinili e del giradischi, era qualcosa di fortemente spirituale, un modo di dimostrarsi attenti e riconoscenti verso la musica, per noi, per me, non era così. Il lettore era l’oggetto più maltrattato di tutta la cartella. Il povero veniva sbattuto di cartella in cartella, sempre in mano, con il sole, con la pioggia e anche sulla sabbia estiva. Non ci mise molto a scrostarsi, il simbolo sui tasti cancellato, la chiusura che faceva cilecca e le finte tag scritte sopra con il pennarellone indelebile.Era lì che sgomitava tra i libri di filosofia e quelli di arte, era conficcato alla fine sotto l’astuccio e le squadre, era traballante e arrugginito nella borsa del mare, si miscelava insieme al tabacco delle sigarette nella tasca esterna della borsa. Stessa sorte per i cd, al tempo pochi quelli originali, che mostravano crepe che con l’età non centravano proprio nulla.Non mostravo sensibilità alcuna per quell’oggetto che, al contrario, me ne mostrava eccome. L’unica sensibilità a cui tenevo era la mia, ero io che sensibilmente avevo bisogno di sentire “Post” di Bjork nelle ore di visiva o i peggio mix sul pullman, le cuffie immortali nelle orecchie e le dita che sbattevano veloci e pesanti sul lettore.Unghiate e tamburellate come se non ci fosse un domani, dannazione. Con l’iPod è tutto cambiato, ho dovuto necessariamente capire che al mondo esistono anche le altre persone, ma d’altronde crescere significa anche questo. Con l’iPod e i suoi surrogati mi sono dovuta dare una calmata.

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Il suo vero nome è Elena Mariani, ma da quando è entrata nelweb ha sempre avuto il soprannome di Infetta.Cultrice di video pop, appassionata di moda, vera riccia in unmondo di frangette, scrive le sue storie sul blog “Non esistono più i lettori cd, figurati l’amore” e disegna ancora peggio sullapagina facebook FUMETTI DI INFETTA.La puoi trovare anche su Grazia.it e su Vitaminic.it.

www.infetta.blogspot.com

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Benvenuta nel mondo degli adulti, adesso impara dove e come mettere le mani, impara ad avere rispetto delle superfici più lisce e lussuose di te. Tasti minuscoli contro cui combattere e touchscreen contro cui nulla è possibile.Ingrandire, rimpicciolire, sfogliare, accarezzare le ordinate cartelle con dentro le canzoni e premere delicatamente play.E poi cercare, ricordare, condividere, la mia sensibilità musicale ormai è il mio punto G esterno.Sfiorare superfici lisce e lussuose, fare sharing con quel che scovo nei meandri delle cartelle e della rete, sono ormai i miei preliminari per farmi notare al mondo.Dedichiamo canzoni a cotte virtuali che neanche nella realtà sembrano così belle e tocchiamo applicazioni che, quando si aprono, ci emozionano più dello sbocciare dei fiori in primavera.Voyuerismo digitale dove dita e polpastrelli devono essere morbidi, sensuali, roseii.Se prima lasciavamo ditate sul corpo dell’altro adesso marchiamo il terreno seminando ditate sulla sua bacheca.La canzone in bacheca è il nuovo primo bacio.Molte volte non sappiamo parlarci, ma quello che è certo è che sappiamo linkarci da dio.Allora io tocco il mio schermo, tu tocchi il tuo e ti dico:Ehi bello sono qui e questo touch è per te.

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Amo i treni. Un po’ per vocazione e un po’ per condizione ci passo un sacco di ore; mi piace, non mi annoio quasi mai e posso fare un sacco di attività e da quando gioventù corrisponde a povertà (che è più o meno sempre) prendo treni regionali.Se mi chiedessero – come si fa nelle conversazione stupide o nei corsi di scrittura creativa – di descrivere i treni regionali con 3 aggettivi io vi direi (i) che sono o troppo caldi o troppo freddi; (ii) che è facilissimo non fare il biglietto con pochi accorgimenti; (iii) che mancano come il sale delle prese elettriche; vi lascio indovinare quale di questi tre statements c’entra con la riproduzione di musica portatile e con i vantaggi che tutti i lettori che ho avuto hanno apportato.Quando sei in mezzo ad un viaggio di cinque ore e i tuoi dispositivi cominciano a segnare low battery il panico può essere alle porte, potresti essere costretto a guardare il panorama e, ok, per venti minuti lo puoi fare, ma quando è novembre ed è già buio? Scenari talmente inquietanti che si fa fatica ad evocarli: occhi sbarrati, voce rotta, sudore ghiaccio.Io ho fatto passare diversi aggeggi; nel 2003 comprai un lettore di cd mp3 che per compensare la sua bruttezza blu elettrica mi aveva permesso di mettere 15 dischi su uno solo, ora ho un quadratino grigio e d’alluminio che posso toccare e che conta i miei passi mentre esco a correre (lo guardo quel piccolo bastardo se li fa giusti, aumento il ritmo, lo rallento, cammino, mi fermo di colpo e lui conta i passi e lo fa bene).Nel mezzo un’odissea di trabiccoli prodotti da marche con nomi improbabili e dai gradi più vari di plagio nei confronti di iPod verso cui provo una simpatia che quello vero non mi suscita nella sua perfezione originale.Intendiamoci, mi piace, è algido, fa quello che gli dico e non mi fa provare nostalgia per altre tecnologie. Io già nello stereo programmavo la riprodu-zione dei cd per sentire solo le tracce che mi andavano, ma lo amo per due

Casuale stato di aggregazione della musicadi Andrea “Schiaffino” Signorelli

motivi sopra tutti gli altri.Puoi barare!, nessuno ci può frugare come sfoglia i tuoi cd in macchina o vede le maglie dei gruppi che metti; che disagio quando una persona che ti piace e a cui vuoi piacere può frugare tra i tuoi cd (nel mio caso facendo quasi sempre facce schifate); l’iPod è mio è piccolo e nessuno si permetterebbe di guardarci dentro. Secondo, ma principale motivo, non mi fa sentire in colpa quando metto in atto una pratica per cui più di una persona me l’ha giurata: lo shuffle!! Com’è dirompente e rivoluzionario e dadaista passare da Moby ai Gatti di Vicolo Miracoli. Lo shuffle non è una semplice modalità di riproduzione per quelli la cui mente fa fatica a stare concentrata su una cosa per più di qualche minuto, è uno state of mind o una way of life o – riempi con locuzione inglese a scelta composta da tre parole – ; e si contrappone fieramente all’ascolto degli interi dischi o, orrore! dell’ascolto in loop di una singola traccia.Insomma l’iPod per me è stato uno sdoganamento rispetto a chi si sente di guardarti storto perché ne sa più di te o pretende di.Avanti Pop quindi, senza juicio.

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iPodisseaUn’idea di Valentina ZilianiA cura di Valentina Ziliani e Andrea “Schiaffino” SignorelliEditing a cura di Valentina ZilianiProgetto grafico e artwork New Target Group

Chi siamoVZ è nata nel 1985 in provincia di Bergamo ed è laureata in Letterature Europee e Panamericane. Quando non viene fagocitata da Internet, le piace comporre e ascoltare musica di tutti i generi. Si diletta nel fare collegamenti tra cose che possono apparire sconclusionate e ad usare figure retoriche. È redattrice di Contaminazioni Positive. Il fortunato incontro con Schiaffino risale al 2008 nella sede della radio dell’Università.

Schiaffino studia da tempo immemorabile. È ossessionato dall’attualità e dalla politica e in genere da quelli che ne parlano, bene. Appassionato di serie tv e format di canali tematici da tv digitale. Legge molto, scrive quando ha qualcosa da dire su www.onepotato.eu.

Santa Jessica è laureanda in Progettazione della Moda; le piacciono i dischi (quelli veri, che si toccano), le illustrazioni, i fumetti e le matriosche. Inveisce spesso contro i programmi di grafica, ma poi fanno pace ed escono illustrazioni come quella di pagina 39.

Crediti

Hanno scritto per iPodisseaValentina ZilianiMaurizio Natali (www.saggiamente.com)Tommaso Pincio (http://tommasopincio.splinder.com)Nicola Gaiarin (http://signorhulot.blogspot.com)Cristiano Valli (http://coserosse.net/c)Gianfranco Franchi (www.lankelot.eu)Lorena CornelliRobin L. Fernandez (www.trovarobato.com)Isaia Invernizzi (www.facebook.com/verbaltrust)Ramona Norvese (http://frigopop.blogspot.com)Giulia Cavaliere (www.sentireascoltare.com)Tommaso Labranca (http://www.tommasolabranca.eu)Federico “Accento Svedese” (http://accentosvedese.blogspot.com)Enrico Molteni (www.latempesta.org)Elena Mariani (http://infetta.blogspot.com)Andrea “Schiaffino” Signorelli (http://www.onepotato.eu)

[email protected]@gmail.comwww.contaminazionipositive.it

In collaborazione con

Pubblicato nel mese di Dicembre dell’anno 2011

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Playlist di racconti e articoli a cura di Valentina Ziliani