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IMPRESSIONI DI SETTEMBRE ALIMENTAZIONE E STILI DI VITA WWW.KARPOSMAGAZINE.NET AGRICOLTURA OGGI AGLIO CIPOLLA PATATA ZUCCHINO STILI DI VITA CIBO E BELLEZZA PAESAGGIO RAJASTHAN E KASHMIR Anno I - N° 4 Settembre 2012 - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, Comma 1, DCB Bologna Supplemento mensile da vendersi esclusivamente in abbinamento al numero odierno di - Poligrafici Editoriale SpA - Via Enrico Mattei 106 - 40138 Bologna - Mensile € 4,90 + prezzo del quotidiano

Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 4 - Settembre 2012

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Mensile - n. 4 - Settembre 2012 - Supplemento a QN, Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. Dall'editoriale "Con Karpòs vogliamo raccontare i buoni frutti della terra che funzionano da base per lo sviluppo della nostra società. Non ci interessa ripetere una delle tante museificazioni dell’agricoltura, oggi di moda, che sono quasi sempre per partito preso contro ogni modernizzazione, contro l’efficienza produttiva e spesso persino contro la scienza. Con Karpòs vogliamo raccontare la vera agricoltura, quella che produce per tutti, quella che dialoga con la società di mercato, quella che fa funzionare le Università e la Ricerca. Insomma l’Agricoltura che attraversa la nostra vita reale."

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IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

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EDITORIALE

01EDITORIALE

RENZO ANGELINI

I cambiamenti programmati sono l’ossigeno necessario alla nostra economia, per riprodurre le condizioni che permettono la distribuzione di ricchezza e lavoro auspicata da chi ha a cuore l’equilibrio della società.

Ma è altresì vero che negli ultimi decenni tutti i comparti economici hanno cercato di accelerare i mutamenti, nella speranza che con essi aumentassero i consumi. Anche nel settore agroalimentare le pressioni per aumentare la velocità dei processi è stata evidente.Per un po’ il motore dell’economia sottoposto a repentini cambiamenti di velocità sembrava potesse funzionare. La globalizzazione dei mercati ha giocato un ruolo importante nel cambio di marcia che abbiamo vissuto intorno al Duemila.Tuttavia anche i cambiamenti forzati o le mode, per certi versi entrambi facce della stessa moneta, hanno incontrato il loro limite.Prima l’ecologia, poi la crisi economica, ci hanno fatto pensare se non fosse più sano e razionale decelerare i cambiamenti, in favore di uno stile di vita slow, contrapposto all’ossessione del mutamento ad ogni costo. Intorno a queste questioni è nato un grande dibattito, tutt’ora in corso, senza un reale vincitore.L’agricoltura, riguardo questo problema, può suggerire un modello di riferimento di grande fascino.Infatti: cosa significa in agricoltura, cambiamento dei prodotti in funzione del mercato in un’arco di tempo dato? A tal riguardo il senso comune usa una parola di grande saggezza: stagionalità dei prodotti, ovvero esistono produzioni legate al territorio che hanno la loro fase di maturità (e di consumo) in determinati mesi dell’anno.I dietologi raccomandano a gran voce, stagione dopo stagione, l’inserimento di questi prodotti nella dieta quotidiana. Infatti essendo prodotti just in time, possono arrivare sul mercato pronti al consumo senza i trattamenti necessari per conservarli a lungo o per trasportarli da una parte all’altra del mondo. Quando li consumiamo, tutte le proprietà alimentari che possiedono sono attive e pronte ad essere assimilate dal nostro organismo.

Ebbene, questo cambiamento nel registro dei gusti alimentari, strettamente legato a processi produttivi storici e alla natura di un territorio, è stato sottoposto alla pressione del mercato globale e a prodotti che arrivano da tutto il mondo in ogni momento.Ma, se ci pensate bene, avere tutti i giorni tutti i prodotti, per un po’ può essere attraente ma poi alla lunga comincia a diventare noioso e controproducente. Tutti i prodotti tutti i giorni significa in realtà nessun mutamento. Significa fare mancare il terreno sotto i piedi ai processi naturali che presiedono all’assimilazione delle proprietà nutrizionali ai quali il nostro corpo si è abituato da secoli. Significa inoltre cancellare lo stupore, la bellezza delle primizie del mercato, suscettibili di attivare i recettori nervosi che stimolano il loro consumo.Insomma, se il cambiamento è fondamentale per l’economia, il ritmo dei mutamenti strutturali nel settore agroalimentare dovrebbe fare tesoro dei fenomeni connessi alla cosiddetta stagionalità dei prodotti. Di conseguenza anche la comunicazione dovrebbe avere la massima attenzione al gioco delle primizie, i cui protagonisti, imprenditori o manager, come le sfilate di una nuova collezione di moda o il lancio di nuovi prodotti, dovrebbero imparare a comunicare la loro specificità al consumatore. In tal modo potremmo dire che il mutamento del gusto nel settore agroalimentare è scandito da processi naturali e perfettamente commisurato ai bisogni del nostro corpo.

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

Renzo AngeliniDirettore editoriale

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01EDITORIALE

IMPRESSIONI DI SETTEMBRERenzo Angelini

19CALEIDOSCOPIOCON I PIEDI PER TERRA

14ECONOMIA E CONSUMICONSUMI NELLA CRISI

Dario Casati

20ALIMENTAZIONE E SALUTE

SE HAI FEGATO METTITI A REGIMEAnna Del Prete, Alessandro Federico,

Carmela Loguercio

36BIODIVERSITÀIL TARASSACOMassimo Rinaldi Ceroni, Roberto Rinaldi Ceroni

30ALIMENTAZIONE E SALUTE

ANTIOSSIDANTIMassimo Cocchi, Giovanni Lercker

04STILI DI VITACIBO E BELLEZZALamberto Cantoni

58AGRICOLTURA OGGIAGLIO TRA TRADIZIONELEGGENDA E CULTURALuciano Trentini

KARPÒS MAGAZINE

n. 4 • SETTEMBRE 2012

67CALEIDOSCOPIO

AGLIO DI VOGHIERA DOP

42AGRICOLTURA OGGI

PATATE, UTILIPER IL NOSTRO BENESSERE

Luigi Frusciante

Direttore editoriale Renzo Angelini

Direttore responsabileLamberto Cantoni

Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 variazione in corso di registrazione

Proprietario ed editore della testataKarpòs S.r.l.

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CULTURA E SOCIETÀL’AURELIA, DA VIA DEL MARMO A VIA DEL VINOAttilio Scienza

ARTE E NATURANUVOLELamberto Cantoni

143CALEIDOSCOPIOMIXOLOGY BY PERRIERSELENELLASPECIAL K® CLASSI

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DISTRIBUZIONEALLA CONQUISTA DI CONEGLIANO VENETO

Daniele Tirelli

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FOTOSINTESICOME ANDARE “OLTRE IL TERREMOTO”?

Roberta Filippi

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78AGRICOLTURA OGGI

LO ZUCCHINODALL’AMERICA CON SAPORE

Nicola Calabrese

68AGRICOLTURA OGGILA CIPOLLA SALVAVITAMassimo Schiavi

87CALEIDOSCOPIOTRUVIA

130ARTE E NATURA

IL SOSTENIBILE MIRACOLODEL CORPOSimona Gavioli

CALEIDOSCOPIOLE BIRRE COLLESICARDENAL MENDOZACALVADOS BOULARD

139Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti.La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti.L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet.Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.

Per le fotografie:Nicola Calabrese: 81Galleria Forni: 104-105-107-108Giorgio Lupatelli: 130-131-132-133-134-136-138Gruppo Miroglio: 4-5-7-8-10-11-12-13Orogel: 25-85Massimo Schiavi: 70-71-74-75Tutte le altre fotografie: © Renzo AngeliniIn copertina: immagine di Renzo Angelini

AMBIENTE RURALE E PAESAGGIORAJASTHAN E KASHMIRRenzo Angelini

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STILI DI VITA

CIBO E BELLEZZADopo più di un decennio dominato dalla magrezza estrema, i grandi interpreti della moda stanno orientandosi verso una immagine del corpo che riscopre le rotondità e con esse il lato sexy dell’apparire

Lamberto Cantoni

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Al centro la super modella e attrice Carré Otis Sfilata 2012

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06STILI DI VITA

LAMBERTO CANTONI

2. impegno degli stilisti e delle grandi marche a rifornire i propri negozi anche con taglie 46-48, per permettere alle ragazze in soprappeso di rispondere al proprio desiderio di essere all’ultima moda, senza innescare nelle più fragili “quel ciclo perverso di auto-condanna che caratterizza l’insorgere di un disturbo alimentare”; 3. infine, il Manifesto di autoregolazione, prevedeva inoltre un certificato medico di idoneità per le modelle che aldilà della diagnostica tradizionale basata sull’IMC (indice di massa corporea), comprendesse una diagnosi di esclusione del disturbo alimentare.

MAGRO È SEMPRE BELLO?Si possono discutere gli argomenti sui quali Giovanna Melandri basava l’intervento regolatore del Governo, ma le sue assunzioni di fondo erano largamente condivise. Per esempio in Spagna il Ministro della salute Elena Salgado, per aprire la via e a giustificazione di un provvedimento legislativo assolutamente prescrittivo e autoritario, nei fashion show sul suolo spagnolo non potevano sfilare modelle di taglia inferiore alla 40, rilasciava interviste nelle quali dichiarava: “Il modello di bellezza sempre più associato all’estrema magrezza è ormai un problema sanitario”.Impossibile darle torto. Solo un cieco poteva negare che l’ossessione di diventare sempre più magra non fosse un sogno alimentato dalla moda. Infatti, a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento, subito dopo la generazione delle cosiddette top model (Cindy Crowford, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Carla Bruni, Christy Turlington…) nel sistema moda si erano imposte modelle sempre più magre. Gli stilisti e le agenzie di modelle sembravano aver preso di mira le ragazze con le curve giuste.Ma la tendenza da appiattire il corpo femminile era già ben delineata nel decennio precedente.Fin dagli anni Ottanta, per esempio, Giorgio Armani privilegiava le modelle dal seno minuscolo che valorizzavano in modo sublime le sue impeccabili, rigorose, eleganti giacche. Gianni Versace era probabilmente più versatile nella scelta delle modelle ma prima di lanciare il fenomeno delle top model, oscillava tra un glamour sexy compatibile con tette appena disegnate ad un glamour da guerriera dell’eleganza provvista di glutei da centometrista ma con i seni praticamente inesistenti. Tuttavia, in quei giorni, l’apparenza della maggioranza delle ragazze usate dal circo della moda per i suoi eventi, corrispondeva al concetto di corpo che la gente comune definirebbe sexy. Per contro, le modelle super magre cominciarono ad essere focalizzate come il corpo ideale della moda con l’entrata in scena di Kate Moss e dello stile osannato dalle giornaliste inglesi definito “Heroin Chic”. Come si presentavano queste

Nel 2006, Giovanna Melandri, Ministro per le Politiche Giovanili del Governo Prodi, si recò a New York ad un convegno organizzato dalle Nazioni Unite sulla Global Youth Leadership. Il contributo della autorevole esponente del nostro Paese verteva sull’impostazione che il Ministro voleva dare all’azione di contenimento e prevenzione dell’anoressia e della bulimia tra i giovani. L’idea centrale di Giovanna Melandri era decisamente innovativa: al posto del dirigismo dall’alto, il Ministro preferiva una collaborazione con tutti gli operatori del settore moda per modificare i contenuti dello specchio immaginario che, nei soggetti più fragili, poteva accentuare o addirittura fare esplodere una malattia legata ai disturbi alimentari dalle cause sconosciute anche agli occhi dei più agguerriti psicoanalisti e psichiatri.A tal riguardo Giovanna Melandri, in interviste apparse su tutti i media, aveva rassicurato a più riprese stilisti e manager della moda. Nel libro, apparso nel 2007, intitolato Come un chiodo (Donzelli Editore), al termine di un percorso che culminò con la firma congiunta del Manifesto di autoregolamentazione della moda italiana contro l’anoressia, da parte degli esponenti del Governo con le massime istituzioni della moda, l’allora Ministro scriveva: “La mia opinione è che non sia certo la moda il fattore più significativo nella diffusione di massa dei disturbi alimentari, quanto piuttosto la crisi contemporanea del discorso educativo in generale, che sempre meno riesce a offrire ai giovani modelli identificatori positivi, non conformistici né distruttivi, perché sembra aver perso la sua funzione orientativa di fronte alla spinta al consumo compulsivo delle esperienze”.Ma se la moda non è direttamente coinvolta nelle origini dell’anoressia-bulimia, si chiedevano in molti, perché chiamarla platealmente in prima linea sul fronte di patologie così devastanti e drammatiche? La risposta che in più di una occasione diede Giovanna Melandri era piena di buon senso. “Se dunque la moda […] non è la causa scatenante di queste malattie, essa svolge però un ruolo decisivo nella definizione dei canoni estetici della bellezza femminile. Il rischio di una enfatizzazione eccessiva dell’immagine del corpo magro – che talvolta l’industria della moda alimenta – può dunque incoraggiare comportamenti patologicamente emulativi nelle giovani donne incanalandole nella spirale pericolosa dell’anoressia-bulimia”.Da queste considerazioni generali, il Ministro faceva discendere la scelta politica di coinvolgere le massime istituzioni della moda in una sorta di protocollo d’intesa la cui efficacia era basata sugli effetti di tre decisioni: 1. esclusione dalle sfilate delle modelle adolescenti, sotto i 16 anni, dalle taglie impossibili (le terrificanti 36-38);

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Febbraio 2011

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ragazze sulle passerelle? Pallide, occhi fortemente truccati, magre come forse non s’erano mai viste nel circo della moda, dai modi espressivi inquietanti. Insomma il tipo di donna con la quale un uomo non uscirebbe mai a cena. Non ci sono dubbi sul fatto che una creazione di moda possa essere valorizzata da un corpo inespressivo. Le modelle di Balenciaga, famose per la loro efficace alterità rispetto al bel corpo femminile, lo avevano già mostrato fin dagli anni Cinquanta. Ma verso la fine del Novecento il sogno di una magrezza al limite, alimentato da fotografi, riviste di moda, sfilate, probabilmente ha superato la soglia del buon senso. Non è questa la sede per chiedersi perché interi settori della moda abbiano cercato un aldilà delle bellezza con tanta intensità e ostinazione. Probabilmente la ricerca di stile e il bisogno di differenziarsi, sottoposti al doppio principio dell’emulazione e della competizione tra marche hanno costretto gli image makers della moda ad effettuare scelte radicali selezionando corpi-immagine via via sempre più improbabili. É chiaro che le conseguenze inconsapevoli della scelta intenzionale di privilegiare un corpo impossibile, non possono che significare una difficoltà per le donne normali ad aderire all’immagine del corpo ideale prescritto dai dispositivi di induzione passionale della moda. Se ipotizziamo che, malgrado la realtà suggerisca il contrario, persista l’identificazione immaginaria delle donne al significante visivo della moda dominato dalla magrezza estrema, allora, come conseguenza di questa sorta di “doppio legame” (devi essere ciò che non puoi essere) ecco apparire i leggendari disastri alimentari delle giovani modelle e la pletora di diete deliranti che ci ha accompagnato nell’ultimo ventennio.

LA MODA AUTO CORREGGEI PROPRI ERRORIRitorniamo all’inizio dell’articolo, e restiamo ancora per un po’ nella New York dell’autunno 2006, raggiunta da una Giovanna Melandri già consapevole della giustezza delle sue preoccupazioni riguardo l’anoressia-bulimia, ma ancora alla ricerca di piccole verità e, forse, di alleanze.Giunta in una delle città simbolo della moda contemporanea, terminati i suoi impegni istituzionali, decise di ascoltare l’opinione di una delle donne più influenti del pianeta sulle questioni legate al gusto e alle tendenze. Chiese dunque e ottenne, un incontro con Anne Wintour, leggendaria direttrice di Vogue America, presentata regolarmente dalle giornaliste come una inflessibile, autoritaria e reattiva donna di potere, in grado di distruggere in un attimo la reputazione di un creativo o di elevarlo al rango di

star.Esagerazioni divenute verità conclamata soprattutto dopo la pubblicazione del romanzo “Il diavolo veste Prada”, e di una sua traduzione cinematografica, nei quali molte giornaliste sostennero di aver riconosciuto nel personaggio della irritante direttrice descritto dall’autrice Lauren Wisberger, l’alter ego della Wintour.Per farla breve, l’incontro tra le due primedonne non ebbe l’esito auspicato dal Ministro.“Minister Melandri, the problem is not anorexia. The problem is obesity” , pare che abbia risposto la direttrice, aggiungendo che la moda non poteva farsi carico direttamente del problema della corretto stile di vita e dell’alimentazione.Chiedere alla responsabile della testata colonizzata dalle marche della moda e dai fotografi più compromessi con la diffusione del paradigma del corpo magro, di dissociarsi clamorosamente dalle strategie di immagine dei suoi migliori clienti era francamente troppo.Come abbiamo visto sopra, le istituzioni della moda italiane risposero il modo molto più costruttivo alle idee del Ministro. Per la prima volta stilisti e grandi marche si trovarono proiettati in prima linea sul fronte della guerra preventiva ai disturbi alimentari giovanili. Ci furono momenti di comunicazione congiunta, Governo e rappresentanti della moda, di grande impatto. Cominciarono ad emergere, attraverso interviste a protagonisti, le assurdità alimentari imposte alle modelle da agenzie e da stilisti. Velocemente si trasmise tra gli addetti ai lavori una consapevolezza verso modelli di bellezza distanti dalla magrezza estrema.A distanza di circa sei anni, dal colloquio tra Melandri e Wintour, possiamo dire che il Ministro aveva visto giusto. Infatti nel mese di giugno 2012 l’editoriale di tutte le edizioni di Vogue (19 Paesi) annunciava il varo di The Health Initiative. Di cosa si tratta? Sostanzialmente il gruppo Condé Nast accoglie la richiesta delle istituzioni della moda degli Stati Uniti e del Regno Unito di collaborare alla promozione ad un approccio più sano all’immagine del corpo.I direttori di Vogue, Anne Wintour in testa, si impegnano a non lavorare con modelle di età inferiore ai 16 anni o che paiono soffrire di disordini alimentari. Si impegnano ad incoraggiare condizioni di lavoro salutari, a favorire l’istituzione di programmi guida per le ragazze più giovani e soprattutto, “inviteremo gli stilisti a riflettere sul fatto che le taglie dei loro campionari, inverosimilmente piccole, limitano la scelta delle modelle per i servizi fotografici, favorendo la selezione di quelle estremamente magre”.

09STILI DI VITA

LAMBERTO CANTONI

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Elena Miroglio,a sinistra, insieme a Helena Christensen

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Le immagini di questo articolo si riferiscono ai look che la marca Elena Mirò (in questa fotografia a sinistra), in controtendenza, fece sfilare a Milano a partire dal settembre 2005. Grazie al successo di fashion show interpretatati con ironia da ragazze piene di dolci curve, di taglia 48 e oltre, la marca del gruppo Miroglio sorprese e divertì gli addetti ai lavori rendendoli consapevoli dei limiti estetici e salutistici della moda centrata sull’estrema magrezza.In modo divertente e senza polemiche frontali la marca cominciò a metacomunicare attraverso le passerelle l’urgenza di emancipare le donne rispetto l’ossessione di diete discutibili, nei tempi lunghi quasi sempre inefficaci, per riscoprire un rapporto temperato col proprio corpo all’insegna dell’eleganza e della bellezza.

LA RIVOLUZIONE PIENA DI BUON SENSO DI ELENA MIRÒ

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Crystal Renn e Lizzie Miller, supermodel curvy

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13STILI DI VITA

LAMBERTO CANTONI

Ritroviamo nel progetto The Health Initiative, l’ossatura logica del Manifesto di autoregolamentazione della moda italiana contro l’anoressia, anche se, quest’ultima parola non appare mai, e al suo posto si focalizza il problema dell’obesità. Ma lo sappiamo tutti, in termini quantitativi la seconda patologia citata risulta molto più grave della prima. Gli impegni della Condé Nast rappresentano dunque una svolta significativa. Cosa li ha convinti a dissipare i dubbi che manifestarono al tempo dell’incontro con Giovanna Meandri?

IL RITORNO DI CURVY,IL LATO GLAMOUR DELLE ROTONDITÀNel numero di Vogue della svolta che ho citato sopra, Marco Malvaldi con un bel articolo intitolato Healthy appeal, si assume la responsabilità di narrativizzare il nuovo paradigma estetico al quale Vogue dichiara di aderire. In sintesi, l’autore, ci racconta che dopo anni di dominio di donne copertina magre, oggi, in tempo di crisi, si sta imponendo “una donna che prima di essere bella, è salutare”. Chiamando in ballo l’evoluzionismo, Marco Malvaldi, ipotizza il ritorno di un orientamento biologico alla bellezza. In altre parole, siamo programmati per apprezzare le rotondità giuste dal momento che segnalano la presenza di un possibile partner in buona salute (una donna che un giorno potrebbe darci un figlio). Quindi, anche se mode cervellotiche hanno tentato di imporci gusti diversi (innaturali), per esempio l’elogio incondizionato della magrezza, l’istinto alla fine si riprende ciò che i processi culturali avevano messo in discussione: il bello ci attrae quando è salutare e conferma il benessere della specie (la sua riproducibilità).Anche se l’evoluzionismo in pillole di Marco Malvaldi farà storcere il naso a più di un lettore di Charles Darwin, le sue argomentazioni suonano rassicuranti. Ma perché la moda per tanti anni è andata in deroga all’evidenza delle ragioni della natura? Possiamo con

un uso disinvolto del concetto di istinto cancellare di colpo l’andamento vorticoso del desiderio? Forse, ci conviene essere prudenti nelle risposte e prendere per ora atto che è in moto da alcuni anni una riscoperta culturale del corpo glamoroso. Per esempio, se andate il libreria troverete libri come quello di Daniela Fendi e Lucia Ferlenga, Curvy (Mondadori), dedicati all’elogio e alla manutenzione delle curve; oppure, 10 ottimi motivi per non cominciare una dieta (Dieci), di Martina Liverani, per la quale ogni dieta è un modo subdolo di imprigionare le donne con il loro consenso.Più che il silenzioso lavoro dell’istinto, io vedo al lavoro la cultura con tutti gli intrecci economici che la sostengono. In altre parole, l’immagine della magrezza estrema ha esaurito la sua carica differenziale nella semiosi della moda. Il brusco cambiamento di paradigma promette maggiore controllo nella regolazione del mutamento del gusto. Ecco allora rovesciate tutte le coordinate sino a ieri rimosse dall’immaginario degli stilisti.Siamo sicuri che allontanandoci dalla magrezza estrema approderemo in modo lineare e felice al benessere? Oppure, come ricordava spesso Giovanna Melandri, ci troveremo gettati sull’altra dimensione dei disturbi alimentari, ovvero la bulimia? É una questione di misura, ovviamente. Come scriveva Aristotele nell’Etica, che leggevo quando da studente cercavo nella filosofia la strada stretta dell’arte del saper vivere, la giusta misura sta nel mezzo. Ebbene, dal punto di vista del successo mediatico, il giusto mezzo è poco comunicabile. La vera notizia, l’attivazione dell’interesse della gente, richiede polarizzazioni. Se ho detto magro, ora rivoluziono tutto e dico “viva le rotondità”. Ma facendo questo non sono guidato dalle leggi della natura bensì da quelle della comunicazione spettacolo. Per questo motivo dobbiamo apprezzare la svolta salutistica di motori delle mode come Vogue, senza crederci troppo.

Febbraio 2012 Settembre 2007 Aprile 2006

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CONSUMI NELLACRISI

L’evoluzione dei consumi dopo quattro anni di crisi sta rendendo il consumatore

più consapevole dei criteri che stabiliscono la qualità degli alimenti pur in presenza

di un sostanziale ridimensionamento delle possibilità di spesa

Dario Casati

ECONOMIA E CONSUMI

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16ECONOMIA E CONSUMI

DARIO CASATI

In tempo di crisi inevitabilmente cambia il nostro rapporto con il cibo. Il minore reddito costringe il consumatore a rivoluzionare l’ordine delle priorità costringendolo a scelte spesso innovative.

Tutta l’economia nell’anno quarto della crisi è colpita da questo fenomeno le cui dimensioni ormai sfuggono, senza che emergano ragionevoli prospettive d’uscita. È così anche per i consumi alimentari, in genere meno coinvolti dalle vicende congiunturali.Nel corso degli ultimi anni e, in particolare, del 2011 e dei primi mesi del 2012 si è registrata una forte caduta di tutti i consumi a causa della sensibile riduzione della capacità di spesa delle famiglie. Il fenomeno ha colpito anche quelli alimentari che, in generale, hanno la caratteristica di resistere meglio: quando l’insieme dei consumi cala, essi tendono a farlo ma in misura minore o, addirittura, mostrano modesti incrementi. Questo comportamento viene definito

“anticiclico”, proprio per indicare una dinamica specifica, ma comprensibile, perché riguarda un bisogno fondamentale come la sopravvivenza delle persone.Invece in questa occasione i consumi alimentari, dopo aver toccato un loro massimo storico nel 2006/07, sono poi scesi sino al 2009, mostrando una ripresa nel 2010 per poi toccare un nuovo minimo nel 2011. Un andamento sostanzialmente simile a quello degli altri consumi che sembra smentire la loro natura anticiclica. Cerchiamo di capirne il perché.Lo sviluppo dei consumi alimentari passa attraverso alcune fasi facilmente identificabili. All’incremento dei redditi segue, in un primo tempo, un’espansione quantitativa di tutte le categorie di alimenti, basti pensare all’Italia del dopoguerra e alle immagini dei nostri grandi attori del tempo impegnati a divorare montagne di spaghetti. In seguito guadagnano terreno consumi più ricchi, come gli zuccheri, i grassi e gli

Serra multitunnel per la produzione di rucola destinata alla quarta gamma Piana del Sele (SA)

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17ECONOMIA E CONSUMI

DARIO CASATI

alimenti di origine animale e cioè latte, formaggi, carni e salumi. Così è avvenuto anche in Italia, con la rivoluzione della bistecca e con un’alimentazione che, nel rispetto del tradizionale modello italiano, integrava il consumo di cereali e di ortofrutticoli freschi con alimenti che il benessere crescente rendeva disponibili per un numero crescente di persone.Poi si è fatta strada una maggiore ricerca di qualità, in parte basata su elementi parametrabili, come il contenuto in nutrienti, in parte affidata ad elementi legati a scelte sempre più evolute. Si sono affermati modelli di consumo legati ai prodotti tipici, sia pure reinterpretati, alle esigenze dietetiche, alla diffusione di alimenti a contenuto salutistico, o ad altri requisiti, come il cibo biologico, quello etnico e così via, in un crescendo di variazioni e di caratterizzazioni collegati agli stili di vita, ai modelli importati dall’estero, a fattori di caratterizzazione sociale.In sostanza, si è passati da consumi tipici di un paese

povero che entrava nell’euforia dei consumi di massa, a quelli di un paese con un crescente benessere. Ora la crisi ha portato alla luce una serie di contraddizioni che sembravano destinate a rimanere nascoste. Il minor reddito disponibile, nonostante la implicita rigidità della spesa alimentare, si è fatto sentire anche su di essa perché nel frattempo sono diventati importanti - e meno sostituibili che in passato - altri consumi, anch’essi frutto del nuovo status medio della popolazione. Per intenderci, ricordiamo che i consumi alimentari assorbono appena il 16% della spesa delle famiglie, mentre mezzo secolo fa arrivavano a circa il doppio. È accaduto che si è ritenuto di poter risparmiare anche sull’alimentazione, un comportamento nuovo che però si è affiancato alla costanza del modello alimentare italiano. Il calo ha colpito in misura minore i prodotti freschi, ovvero quelli a modesta manipolazione come gli ortofrutticoli di IV gamma, tipicamente le insalate lavate e insacchettate in ambiente sterile per

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conservarle, un cibo già preparato e che fa risparmiare tempo e lavoro al consumatore. Vi è stata una certa contrazione di consumi come zuccheri, grassi e carni, ma con scelte non tanto legate al prezzo a scapito della qualità, ma alla capacità di ottenere gli stessi prodotti a minore costo grazie alle promozioni. Ciò ha portato a una caduta maggiore delle vendite nei piccoli negozi e a un incremento negli iper e nei supermercati che hanno giocato molto bene questa carta che, secondo dati recenti, permette di realizzare circa il 30% del loro fatturato. Ciò consente ad esempio di mantenere molto elevato il consumo di olio extravergine di oliva e di tanti altri prodotti tipici di pregio conservando anche l’attrattiva della marca, a cui sono paradossalmente più legati negli acquisti i giovani da 25 a 34 anni e gli anziani oltre i 65. L’annotazione principale, parlando di consumi alimentari negli anni della crisi, è sostanzialmente che, nonostante una certa smentita della loro tipica anticiclicità, che abbiamo cercato di ricollocare nell’attuale contesto sociale ed economico, il nostro consumatore non ha interrotto il suo percorso

evolutivo in cui affianca al modello alimentare tradizionale una costante ricerca del miglioramento in termini nutrizionali e quella di valenze ulteriori dell’alimentazione a cui non si sente di rinunciare nonostante la crisi e la minore capacità di spesa che ne consegue. Da ciò nascono da un lato nuovi comportamenti più consapevoli e dall’altro opportunità interessanti per i produttori agricoli, l’industria alimentare e la distribuzione.Nel momento in cui ci si interroga affannosamente in ogni sede sulle strade per la possibile ripresa dell’economia è un’indicazione importante da non trascurare.

La cosiddetta quarta gamma,spinta dai grandi cambiamenti sociali degli ultimi decenni,

sta risentendo della crisi meno degli altri settori dell’agroalimentare

32% 16%

Incidenza sul reddito della spesa alimentare degli italiani

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DARIO CASATI

Dario CasatiProrettore VicarioUniversità degli Studi di Milano

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Vigna e vino, ulivo e olio, orticole e frutta estiva, aglio e patate, sapori di mare e il punto sul bio: questi i prodotti del menù di “Con i piedi per terra” nelle settimane forse più importanti per l’agricoltu-ra italiana, quelle che siglano l’estate e portano i primi bilanci. Un racconto ambientato nelle aree più significative d’Italia settimana dopo settimana, attraverso il pro-gramma “Con i piedi per terra” (sabato alle 12.30 e martedì alle 21 su Telesanterno, lu-nedì alle 20.30 su Odeon tv e Sky 914), un reportage at-tento ai fatti giorno per gior-no con il telegiornale agroali-mentare “Agrinews” (alle 7, a mezzogiorno e alle 19), una radiografia puntuale di tutti gli avvenimenti agricoli, delle indicazioni fitosanitarie, delle problematiche dei mercati, delle previsioni di produzione minuto per minuto sul canale tematico “Antenna Verde” (656 dell’Emilia-Romagna).

Quanto ai temi particolari, incontreremo la forza giova-ne del paese in gara per ag-giudicarsi l’Oscar nazionale di Coldiretti per l’agricoltura innovativa: in Emilia dimo-strano di essere più forti del terremoto e della crisi, come il giovane di Concordia sulla Secchia che non rinuncia all’introduzione di nuove tecnologie per l’allevamento di mucche da carne an-che se vive in container perché la sua casa è parzialmente crollata, o chi ha ripreso in mano l’azienda del nonno in montagna e ri-strutturato un borgo del Set-tecento o chi produce olio e vino dalle noci e chi a rilan-ciato la produzione di elisir dall’assenzio. Proseguiremo

il nostro itinerario sulla mon-tagna bolognese, a scoprire come l’architettura rurale o le emergenze minori possano diventare attrattiva ed occa-sione per il territorio, dall’an-fiteatro calanchivo di Sasso Marconi allo scorrere dell’ac-

qua di Camugnano. E poi l’Emilia-Romagna che è “Un Mare di Sapori” perché, chi arriva in riviera, ne possa gustare appieno i sapori più tradizionali, dal Fuoco al Mito (la cottura del latte, sul fuoco a legna nella tradiziona-

le caldaia di rame, destinato a diventare una forma di Parmi-giano Reggiano direttamente in spiaggia), alle degustazioni di Tramonto DiVino, appunta-menti al calar del sole, in al-cune delle piazze più ricche di fascino e di storia, in compa-gnia dei migliori vini e dei mi-

gliori prodotti DOP e IGP della regione) fino a Sapore di Sale che valorizza l’oro bianco di Cervia. Ci occuperemo poi del mondo bio,

con la grande fiera del natu-rale, il Sana di Bologna, ma anche di prodotti tipicamente mediterranei come l’olio, se-guendo la vita dell’ulivo a Vi-terbo, nelle giornate in cui si tiene l’incredibile manifesta-zione della macchina di Santa Rosa, una torre illuminata di

fiaccole altra 30 metri e pesante 50 quintali, portata in processione per le vie della città da 100 robusti uomini chiamati i Facchini di San-ta Rosa. E poi ancora Patata in Bo, il tubero

celebrato sotto le due torri, e una puntata tutta green realiz-zata all’ombra dell’autodromo Dino ed Enzo Ferrari di Imola. Senza pause, senza repliche, in sintonia con il lavoro degli agricoltori e le promozioni dei territori italiani.

www.conipiediperterra.com Il quotidiano online su agricoltura, nutrizione, territorio

“Con i piedi per terra”, “Antenna Verde” e “Agrinews” Tris vincente per l’agricoltura che si racconta in tv

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SE HAI FEGATO METTITI A REGIMEIn Italia, circa il 30% delle persone adulte ha fegato grasso: è ora di metterlo a dieta. Il modello alimentare mediterraneo rimane l’unico approccio terapeutico: una corretta nutrizione, il calo di peso graduale e l’attività fisica aerobica sono il rimedio ideale per rimediare alla steatosi.

Anna Del Prete, Alessandro Federico, Carmela Loguercio

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É noto come in Italia, oggi, almeno la metà della popolazione adulta ha problemi di sovrappeso e/o obesità, entrambi fattori di rischio per malattie cardio-vascolari, diabete, ictus, ecc...

Anche il fegato partecipa a questo complesso puzzle e oggi il “fegato grasso” o meglio la steatosi epatica (NAFLD - Non Alcoholic Fatty Liver Disease) è diventata ormai uno dei più comuni problemi del fegato nei paesi maggiormente sviluppati. In Italia, circa il 30% delle persone adulte ha fegato grasso, che si può riscontrare in una piccola percentuale anche nei bambini, ma tale percentuale aumenta fino al 50% se questi sono obesi. La prevalenza della NAFLD varia dal 60% al 95% negli obesi, dal 28% al 55% nei soggetti con diabete mellito di tipo 2 e dal 20 al 92% in quelli con dislipidemie (ossia bruschi aumenti dei grassi nel sangue). Il problema del fegato grasso è che esso comprende un ampio spettro di alterazioni che vanno dal semplice accumulo di trigliceridi (grassi che l’organismo produce dal cibo che riceve)

fino alle forme più avanzate di steatoepatite (NASH), cirrosi (malattia cronica in cui le cellule sane del fegato vengono danneggiate e sostituite da tessuto cicatriziale) e cancro del fegato.Causa principale di tutte queste alterazioni è la nostra dieta. Infatti tra le abitudini alimentari del nostro paese emerge sempre di più la ben nota “dieta occidentale” piuttosto che la dieta mediterranea. Una dieta che si fonda sull’utilizzo giornaliero di sproporzionate quantità di grassi, carboidrati e proteine a dispetto di fibre e micronutrienti quali sali minerali e vitamine. Quotidianamente vengono utilizzate una o più porzioni di zuccheri semplici: dolci, caramelle, cioccolatini, bibite zuccherate; grassi saturi: formaggi grassi, insaccati, dolci al cucchiaio, condimenti vari; fritture ad alte temperature che producono sostanze tossiche, come l’acrilammide, che sottopongono il fegato a un surplus di lavoro; snack e panini; bevande alcoliche. L’alcol è una delle maggiori cause di steatosi e, in Italia, è la seconda causa di malattie epatiche gravi (cirrosi). Bastano 40 grammi

Bastano 40 grammi di alcol al giorno (circa tre bicchieri di vino a pasto) per innescare danni che, nel tempo, portano prima a steatosi e poi a epatite cronica e

cirrosi. La causa principale di tutte queste alterazioni è la nostra dieta.Mangiamo sproporzionate quantità di grassi, carboidrati e proteine a dispetto di

fibre e micronutrienti quali sali minerali e vitamine.

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La steatosi si verifica quando la cellula epatica accumula trigliceridi in conseguenza di una aumentato assorbimento di acidi grassi, dovuto o ad una condizione patologica (ad esempio diabete e obesità), o, come abbiamo visto, ad una ridotta capacità di eliminazione dei lipidi da parte del fegato. Il “superlavoro” di smaltimento metabolico cui il fegato è sottoposto a causa di diete troppo ricche di grassi saturi, genera radicali liberi a loro volta nocivi se non contrastati da un opportuno apporto di antiossidanti. Per questo la prevenzione della steatosi passa attraverso una dieta povera di grassi polinsaturi e ricca di antiossidanti (come la vitamina C ed E), o altre sostanze nutrienti che sostengono l’azione disintossicante del fegato (come le vitamine del gruppo B e il selenio).COME UNA SPUGNA - A conti fatti quest’organo è una spugna ricca di sostanze chimiche come ad esempio il glutatione (GSH), un composto che non solo disintossica il fegato, ma che è anche essenziale per la sua rigenerazione.

STEATOSI EPATICA: COS’È E COME SI PREVIENE

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di alcol al giorno (circa tre bicchieri di vino a pasto) per innescare danni che, nel tempo, portano prima a steatosi e poi a epatite cronica e cirrosi. Negli ultimi anni diversi studi epidemiologici e sperimentali hanno evidenziato come, in aggiunta alla scarsa attività fisica, alla dieta ipercalorica e alla predisposizione genetica, l’aumentato consumo di fruttosio, onnipresente nelle moderne diete occidentali, possa giocare un ruolo importante nello sviluppo della attuale epidemia di sindrome metabolica e con essa della steatosi epatica. È interessante notare che il consumo di fruttosio, sottoforma di sciroppo di glucosio-fruttosio, sia aumentato vertiginosamente negli ultimi trenta anni parallelamente all’epidemia di obesità che caratterizza il mondo occidentale. L’assunzione di bevande arricchite con fruttosio (soft drink e bevande gassate) è riconosciuta, infatti, come un fattore di rischio di obesità infantile. Oggi la maggior parte dei grassi nella dieta sono polinsaturi, derivati da oli vegetali soprattutto dalla soia, oltre che dal mais, dal cartamo e dalla colza. Le diete moderne possono contenere fino al 30% delle calorie come oli polinsaturi, ma la ricerca scientifica indica che tale quantità è troppo alta (non dovrebbe superare il 4%). Il consumo eccessivo di oli polinsaturi contribuisce a un gran numero di patologie tra cui il cancro e l’aumento delle malattie cardiache, la disfunzione del sistema immunitario, i danni al fegato, agli organi riproduttivi, ai polmoni, disturbi digestivi, capacità di apprendimento, depressione, crescita ridotta e aumento di peso. I grassi trans sono i grassi non naturali come la margarina, ottenuti industrialmente dalla trasformazione di oli scadenti e rancidi con il processo di idrogenazione. Vengono trasformati artificialmente gli oli vegetali liquidi in grasso solido. I grassi trans contribuiscono alle malattie

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Nella prevenzione del fegato grasso, le spezie e il consumo di alcol durante i pasti, hanno un’azione significativa per il loro effetto antiossidante.

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cardiache, cancro, problemi ossei, squilibri ormonali e malattie della pelle, sterilità, difficoltà nella gravidanza, problemi per l’allattamento, basso peso dei neonati, problemi di crescita e difficoltà di apprendimento nei bambini. Essi sono diffusi in moltissimi cibi elaborati perchè non irrancidiscono e sono facili da lavorare per cui è imperativo leggere le etichette dei prodotti confezionati che acquistiamo e lasciare sugli scaffali quelli che contengono grassi idrogenati o trans.

LA DIETA MEDITERRANEA COME RIMEDIOFortunatamente la steatosi, ossia la presenza di grasso nel fegato, è una condizione alla quale si può rimediare (e si può anche prevenire). Non ci sono terapie mediche o chirurgiche standardizzate per il fegato grasso. Ma il modello alimentare mediterraneo, nelle sue tipiche componenti, rimane l’unico approccio terapeutico. Le linee guida internazionali, nazionali e sempre più pubblicazioni scientifiche sono oggi disponibili per guidare la prevenzione ed il trattamento del fegato grasso. Una corretta alimentazione (una riduzione dell’apporto di cibi fritti e di grassi a favore di una dieta più corretta ricca di vitamine, sali minerali e sostanze antiossidanti, che aiutano l’organo a eliminare le sostanze tossiche), il calo di peso graduale e l’attività fisica aerobica rimangono il gold-standard terapeutico.Come regola generale, è fondamentale che la dieta sia equilibrata e variegata, facendo attenzione alle dosi per non eccedere con le calorie. La dieta mediterranea è l’unico regime dietetico che risponde a queste esigenze nutrizionali. Nel suo lavoro di disintossicazione il fegato agisce, infatti, trasformando i prodotti nocivi in composti meno tossici. Per favorirne poi l’eliminazione, questi ultimi vengono legati a molecole che li rendono più solubili in acqua, così da essere facilmente espulsi attraverso le urine o le feci. Durante tali processi si formano, però, radicali liberi, che sono essi stessi dannosi. Al nostro fegato servono quindi sostanze antiossidanti, che neutralizzino i radicali liberi, e composti che contengono zolfo, che utilizza per aumentare l’idrosolubilità delle sostanze nocive da eliminare. Gli alimenti che assumiamo ogni giorno, e quelli che non mangiamo, hanno un grande effetto sul fegato e sulle sue funzioni. Alcuni contengono nutrienti che sostengono le attività disintossicanti del fegato. Per esempio, vitamine del gruppo B, compreso

l’acido folico, gli antiossidanti come il beta-carotene (precursore della vitamina A), le vitamine C ed E e il selenio, ma anche il glutatione. Quest’ultimo è uno degli antiossidanti più importanti; è sintetizzato nel nostro organismo, ma si trova anche in determinati cibi, come arance, carote, fragole, patate, pesche e spinaci.Lo stress ossidativo è uno dei principali meccanismi responsabili della progressione di danno epatico nella NAFLD. Pertanto non solo una dieta bilanciata può contribuire nel trattamento e nella prevenzione della steatosi epatica, ma ha un ruolo significativo e promettente l’utilizzo di alimenti tra cui le spezie, che posseggono un importante effetto antiossidante. La dieta mediterranea ha un elevato consumo di pane, frutta, verdura, erbe aromatiche, cereali, olio di oliva, pesce e vino (in quantità moderate). L’olio di oliva (grazie al suo elevato contenuto di omega 3) sembra abbassare i livelli di colesterolo nel sangue; si pensa inoltre che il consumo moderato di alcol durante i pasti, sia un altro fattore protettivo, forse per gli antiossidanti contenuti nelle bevande alcoliche. Secondo la letteratura, la dieta mediterranea diminuisce il tasso di mortalità della coronaropatia (malattia coronarica) del 50%. Inoltre la dieta mediterranea spiega che sarebbe meglio bere minimo 6 bicchieri d’acqua al giorno. Un posto privilegiato nella dieta mediterranea è occupato dai cereali integrali, e suoi derivati. Contrariamente a quanto il senso comune potrebbe indurre a pensare, questa classe non è e non deve essere rappresentata

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solo dagli alimenti pane, pasta e al massimo riso, ma è ottima cosa variare, coinvolgendo altri cereali spesso, purtroppo, poco considerati: mais, orzo, farro, avena, oppure il riso integrale, forniscono vitamine del gruppo B e sostanze antiossidanti come il selenio. I legumi spesso denominati “la carne dei poveri” sono ingiustamente esclusi molte volte, o comunque altamente sottovalutati. La loro funzione è duplice, giacché la loro composizione vede una discreta presenza di carboidrati a lento assorbimento (basso indice glicemico), ma soprattutto, se comparata con altri cibi vegetali, una corposa presenza di proteine. Una dieta equilibrata che comprenda l’associazione di cereali e legumi è completa dal punto di vista proteico, in quanto fornisce all’organismo tutto lo spettro amminoacidico necessario. I legumi hanno anche il merito di apportare discrete quantità di sali minerali, alcune vitamine e fibra alimentare. Le leguminose più diffuse sulle nostre tavole sono le lenticchie, i ceci, i fagioli nella loro varietà (borlotti, cannellini, di Spagna etc.), le fave, i piselli e i lupini. Generalmente la dieta mediterranea tende a consigliare un consumo di pesce più largo rispetto a quello della carne. Il pesce, d’altra parte, non ha potuto restare escluso dalle tavole mediterranee, proprio per la presenza dell’ambiente marino che ha plasmato e determinato la storia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.Gode principalmente di ottime quantità proteiche, di acidi grassi essenziali e alcuni sali minerali. Il pesce inoltre è ricco di grassi omega 3, molto utili poiché assistono il fegato nel metabolismo dei lipidi e nel ridurre la produzione di trigliceridi. Quanto alla carne, si tende a preferire quella bianca (pollo, tacchino, coniglio) a quella rossa. Ricca in proteine, vitamine e sali minerali, la componente lipidica (grassi) dipende fortemente dall’animale di provenienza e anche dalla parte dell’animale. Diversi studi sostengono il ruolo protettivo della caffeina nello sviluppo della steatosi epatica. Nonostante la scarsità dei dati riguardanti l’esatto meccanismo attraverso cui il caffè e i suoi componenti influenzano l’eziologia dell’epatopatia, ci sono diverse ipotesi che propongono azioni metaboliche. Uno studio recente eseguito su colture di cellule ha dimostrato che il caffè è in grado di promuovere l’espressione di geni che codificano per proteine con azione citoprotettiva e antiossidante, studi precedenti hanno dimostrato che la metilxantina, largamente contenuta nel caffè, può inibire la sintesi di fattori di crescita che promuovo la fibrosi epatica. Dunque si propone una relazione inversa tra consumo di caffeina e NAFLD. La caffeina, inoltre, potrebbe avere un ruolo ipoglicemizzante mediante la riduzione dell’insulina resistenza. Le Crucifere: cavolo, cavolfiore, broccolo, cavoletti di Bruxelles, contengono un’elevata quantità di composti dello zolfo (si sentono dall’odore che emanano durante la cottura). Inoltre

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ANNA DEL PRETE, ALESSANDRO FEDERICO, CARMELA LOGUERCIO

sono ricchi di glucosinolati, sostanze che aiutano il fegato a produrre gli enzimi di cui ha bisogno per i processi di disintossicazione. Aglio e cipolle sono ricchi di composti dello zolfo e sono un’ottima fonte di glutatione; inoltre, l’aglio contiene anche molto selenio. La s-allylmercaptocysteine (SAMC) è un composto idrosolubile presente nell’estratto di aglio. In diversi studi è stato dimostrato l’attività “anti-cancro” e antiossidante della SAMC. Il meccanismo attraverso cui la SAMC abbia un effetto epatoprotettore nella NAFLD non è ancora noto. Uno studio recente ha dimostrato che la somministrazione di SAMC in topi che seguivano una dieta ad alto contenuto di grassi riduceva lo sviluppo di NAFLD, la fibrosi, lo stress ossidativo e la necroinfiammazione. La cipolla è ricca di quercetina, sostanza nota in molti studi per i suoi effetti positivi sulla steatosi epatica. La cronica assunzione di quercetina riduce l’accumulo di grasso epatico e migliora i parametri sistemici relativi alla sindrome metabolica, probabilmente attraverso la riduzione dello stress ossidativo e mediante la riduzione dell’espressione nel fegato di geni associati alla steatosi.Le carote e le barbabietole sono ricche di beta-carotene e altri carotenoidi e contribuiscono a proteggere il fegato. La barbabietola contiene anche composti in grado di assorbire i metalli pesanti ed è un’ottima fonte di acido folico.I carciofi e gli spinaci forniscono acido folico e altre vitamine del gruppo B, oltre ad aumentare la produzione della bile. È stato scoperto che 30 minuti dopo il consumo di carciofo, il flusso della bile aumenta del 100% circa.L’insalata verde in foglie specie se “amara”, come la cicoria, l’indivia o la lattuga romana aiutano a stimolare il flusso della bile.Frutta antiossidante: livelli elevati di antiossidanti si trovano, in ordine discendente in prugne, uvetta,

mirtilli, more, fragole, lamponi, arance, pompelmo rosa, melone, mele e pere. Le mele contengono inoltre la pectina che si lega ai metalli pesanti (in particolare nel colon) e aiuta la loro escrezione riducendo il carico sul fegato. L’anguria è ricca di glutatione, mentre la papaia e l’avocado aiutano il nostro organismo a sintetizzarlo.Le uova sono ricche di vitamine del gruppo B e contengono molti aminoacidi solforati che, come si è visto, aiutano il lavoro epatico di disintossicazione.La curcuma o turmeric, come viene chiamata dagli inglesi e dagli indiani, è una spezia gialla che si ricava dalla radice della pianta omonima: Curcuma longa (e altre varietà) della famiglia delle Zingiberaceae, la stessa dello zenzero. Il colore giallo brillante della curcuma viene principalmente dai pigmenti dei polifenoli in essa contenuti, i curcuminoidi. In India è conosciuta ed utilizzata da almeno 5.000 anni, come medicina, spezia e anche o dimostrato come l’estratto di foglia di rosmarino possa limitare l’aumento ponderale indotto da una dieta ad alto contenuto in grassi e proteggere contro la steatosi. Il rosmarino aumenta l’attività degli scavengers degli anioni superossidi o meglio il suo supplemento con la dieta è fondamentale in quanto ha elevate capacità antiossidanti, interviene nei processi di rimozione dei radicali liberi di ossigeno.

Carmela LoguercioGastroenterologia ed Endoscopia Digestiva.Centro Interuniversitario Ricerche su Alimenti, Nutrizione e Apparato digerente (CIRANAD) Seconda Università di Napoli

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ANTIOSSIDANTISe ne parla da tempo: tanto e male. Sono capaci di combattere e prevenire numerose patologie come, per esempio, le malattie cardiache, l’invecchiamento precoce, le modifiche al DNA, la demenza, il cancro.La più grande banca dati al mondo ha elencato oltre 25mila antiossidanti: ma cosa sono davvero e perché sono così importanti se contenuti nei cibi?

Massimo Cocchi, Giovanni Lercker

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MASSIMO COCCHI, GIOVANNI LERCKER

Gli antiossidanti sono stati le sostanze più studiate dall’ambiente scientifico, soprattutto negli ultimi quindici anni, ma anche quelle più considerate dai mezzi d’informazione di massa senza

che siano state approfondite in maniera comprensibile l’azione e l’importanza che hanno nella nostra alimentazione. Gli organismi viventi hanno un meccanismo vitale, di termoregolazione e di altre attività indispensabili, che prevede la produzione dell’energia necessaria attraverso reazioni di combustione di nutrienti provenienti più o meno direttamente dalla dieta, basate su processi ossidativi. In relazione a questa necessità, in relazione ai meccanismi di tipo ossidativo, sono presenti anche sostanze che provvedono alla protezione dell’organismo, denominati per la loro azione antiossidanti. In condizioni di normale fabbisogno la produzione di antiossidanti da parte dell’organismo è sufficiente a mantenere bilanciata l’inevitabile presenza di sostanze ossidanti. Quando sono sviluppate altre attività corporee che coinvolgono movimenti muscolari, a diversi livelli, la necessità energetica aumenta e proporzionatamente anche l’attività ossidante e il consumo di antiossidanti. In questo caso la produzione endogena di antiossidanti potrebbe essere insufficiente e sostanze reattive dell’ossigeno (ROS) in eccesso potrebbero causare danni biologici.

SOSTANZE IN E OUTÈ bene precisare, prima di tutto, che quando si considerano gli antiossidanti di solito si intendono quelli che evitano l’evento più probabile e negativo:

l’ossidazione delle sostanze grasse, sia nella forma di oli o grassi sia come lipidi degli organismi viventi e di quelli contenuti negli alimenti.Gli organismi viventi sono costituiti da un numero molto elevato di strutture cellulari, una specie di piccoli motori del nostro organismo, capaci di farlo funzionare oltre a far parte della struttura portante.Ciascuna cellula svolge la sua diversa attività, attraverso un comune meccanismo di introduzione di nutrienti (metabolismo) - forniti dai fluidi sanguigni - e di espulsione dei componenti da eliminare (catabolismo). Per selezionare le sostanze giuste nelle due necessità, introduzione ed espulsione, la cellula utilizza una membrana di struttura complessa formata da sostanze lipidiche particolari chiamati fosfolipidi che, insieme al colesterolo, lipoproteine e glicoproteine, fungono da barriera protettiva capace di “filtrare” le sostanze idonee dalle due parti.Gli acidi grassi, costituenti principali di tutte le sostanze grasse e presenti anche nelle membrane biologiche, nella molecola dei fosfolipidi, hanno un comportamento da mettere in relazione con la presenza di doppi legami e con la lunghezza della catena idrocarburica. Questi due parametri sono ben correlabili con la compattezza o meno della membrana dipendente dal punto di fusione dell’acido grasso: tanto più insaturo, tanto minore è il punto di fusione e, a parità d’insaturazione, tanto più lunga è la catena idrocarburica tanto maggiore è il punto di fusione. Tali proprietà fisiche risultano molto utili nell’interpretazione delle composizioni degli acidi grassi nelle membrane biologiche, in relazione alla funzione della membrana stessa (più fluida, meno fluida, più rigida, meno rigida, più permeabile, meno

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permeabile) e dell’attività della cellula. Tuttavia, l’insaturazione è direttamente proporzionale alla velocità di ossidazione e quindi all’ossidazione degli acidi grassi di membrana, per cui quelle più insature sono a maggiore rischio di ossidazione e di successiva rottura e probabile morte della cellula.Molte delle reazioni che avvengono durante l’ossidazione dei lipidi sono di tipo radicalico, anche se oggi si ritiene che l’innesco dell’ossidazione sia di carattere enzimatico o avvenga attraverso un meccanismo di reazione “fotosensibilizzata”. Questo tipo di reazione si verifica solo quando, oltre all’ossigeno, è presente anche una sostanza (fotosensibilizzatore) che può trasferire l’energia luminosa (ad esempio la luce del neon) all’ossigeno rendendolo molto più reattivo (fino a 32.000 volte di più) di quello allo stato fondamentale, cioè quello che respiriamo. Questo corrisponde ad un incremento di velocità pari a un’ossidazione - di tipo non radicalico - che normalmente avverrebbe in un mese a temperatura ambientale e che invece si produce in circa 4 minuti. Dato che negli alimenti i fotosensibilizzatori sono grosse molecole corrispondenti a pigmenti (clorofille, emoglobina, metmioglobina e loro derivati), oltre ad altre sostanze particolari, è facile che in moltissimi alimenti l’ossidazione avvenga con questo tipo d’innesco.Pertanto, l’esposizione alla luce di molti alimenti provoca un innesco dell’ossidazione che, però nelle fasi successive, procederà con meccanismo radicalico, meccanismo sempre molto rapido e non rallentato o fermato con facilità. I problemi maggiori dell’ossidazione dei lipidi, dovuti al

meccanismo d’innesco non radicalico (enzimatico e fotosinsibilizzato) sono collegati al fatto che non esistono antiossidanti (antiradicalici o chain breaking) capaci di interromperlo.

MANGIARE BENE PER MANTENERSI IN SALUTEIl nostro corpo si è evoluto in tanti aspetti relativi agli organismi che lo costituiscono mediante processi sviluppati in tempi di molte migliaia di anni, secondo la selezione genetica, che ci ha condotto a quello che oggi siamo. Proprio tra questi adattamenti la sintesi e la sistemazione di sostanze antiossidanti sulla superficie delle membrane cellulari e al loro interno, ha portato ad una maggiore stabilità e alla migliore programmazione della vita cellulare. In uno stile di vita corretto e senza intensa attività fisica, la disponibilità di antiossidanti a livello cellulare è sufficiente alla normale protezione della cellula, ma in altra situazione esasperata per eccesso di attività corporea o di introduzione con gli alimenti di sostanze molto ossidate, la dotazione di antiossidanti sarà insufficiente e potranno attuarsi danni alle cellule.Ecco l’importanza dell’aiuto che possiamo fornire, attraverso l’alimentazione, al problema delle membrane cellulari nel nostro organismo: in primo luogo scegliere alimenti non ossidati ed in secondo luogo consumare alimenti ricchi di antiossidanti naturali.Se si considera importante bilanciare la nostra alimentazione a livello settimanale, per l’aspetto dell’ossidazione attraverso gli alimenti è bene ridurre al minimo i cibi che si considerano possibili portatori

33ALIMENTAZIONE E SALUTE

MASSIMO COCCHI, GIOVANNI LERCKER

ACIDI GRASSI AUTOSSIDAZIONE AUTOSSIDAZIONE OSSIDAZIONE PERIODO (1) (2) FOTOSENSIBILIZZATA * DI INDUZIONE 2 (ORE)

Saturi 1 1 -Monoinsaturi 10 100 1,1 (32.000) 82Diinsaturi 100 1200 2,9 (1.600) 19Triinsaturi 200 2500 3,5 1,34Tetrainsaturi ** 300Pentainsaturi ** 400Esainsaturi ** 500* Fra parentesi il rapporto fra ossidazione fotosensibilizzata e autossidazione** Ipotesi coerente

1) and * modified from Gunstone FD, Harwood JL, Padley FB, The lipid handbook., Chapman & Hall Eds., London-New York, 1986, pp. 453-457.

2) Belitz H-D, Grosch W, Schieberle, Food Chemistry, Springer Verlag Ed., Berlin, Heidelberg, New York, London, Paris, Tokyo, 1987, p.175.

VELOCITÁ RELATIVA DI OSSIDAZIONE DEGLI ACIDI GRASSI CON DIVERSA INSATURAZIONE

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Un team internazionale di ricercatori provenienti dalla Norvegia, gli Stati Uniti e il Giappone ha realizzato un database in grado di contenere tutte le informazioni relative a oltre 25mila sorgenti di sostanze antiossidanti, tra cui alimenti, erbe, spezie e piante officinali. L’elenco è stato pubblicato sul Nutrition Journal. Dopo aver reclutato 3139 alimenti e averli sottoposti ad analisi per accertarne il contenuto di antiossidanti, gli studiosi hanno annotato le differenze tra i cibi: «Abbiamo scoperto che gli alimenti a base vegetale possiedono generalmente un più alto contenuto di antiossidanti rispetto ai prodotti alimentari di origine animale e misti», scrivono i ricercatori che hanno notato come frutta e verdura, e più nello specifico noci, cioccolato e frutti di bosco, contengono da 5 a 33 volte di più di antiossidanti rispetto ai prodotti a base di carne. Anche il caffè possiede un alto contenuto di antiossidanti, tuttavia la quantità dipende dal tipo di caffè. Ottimo anche il succo di melograno, il tè verde e il tè nero, il succo d’uva e il succo di prugna. Al contrario, birra o soft-drink contengono meno antiossidanti. E la scoperta può sembrare davvero quella dell’acqua (calda), visto che da sola, è un liquido privo di antiossidanti. «É interessante notare che il contenuto di antiossidanti nel latte materno umano è paragonabile a quello di succo di melograno, fragole e caffè – sottolineano gli autori dello studio – e, in media, è superiore al contenuto di antiossidanti osservato nelle formulazioni per l’infanzia disponibili in commercio e analizzati nel nostro studio».

DATABASE

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di sostanze ossidate, quali ad esempio le carni molto pigmentate, principalmente quelle di cavallo e di bovino, i cibi fritti in oli sfruttati allo scopo, cotture a temperature elevatissime (della brace ad esempio) soprattutto dei prodotti di origine animale, gli alimenti non freschi e ricchi di grassi in superficie, ecc.Per quanto riguarda una scelta generale di alimenti dotati di antiossidanti, quelli che sono considerati le maggiori fonti di tali sostanze nella nostra alimentazione sono: frutta, verdura e olio extravergine di oliva, ricordando che con la frutta e l’olio si introducono anche un po’ di calorie e quindi è necessario non esagerare nel loro consumo associato ad altri alimenti.

GOVERNARE LA FAMESi dice da tempo che è bene consumare 5 porzioni al giorno fra frutta e verdura e ora si può capire meglio l’importanza degli antiossidanti, dato che normalmente sono associati a quegli alimenti. In tutti gli alimenti il patrimonio di antiossidanti si riduce con la conservazione in attesa di consumo, anche a bassa temperatura. Questo è dovuto allo stesso meccanismo di sopravvivenza corporea e di produzione di energia, o a causa di maltrattamenti termici e di condizioni non ottimali di conservazione. Per l’olio extravergine di oliva le ultime indicazioni scientifiche ci confermano l’utilità del consumo in primo luogo per la composizione dell’olio, particolarmente adatta per i suoi acidi grassi poco insaturi ad una resistenza maggiore all’ossidazione,

in secondo luogo per la presenza di antiossidanti naturali. Ciò è dovuto al fatto che da una parte questi antiossidanti ci garantiscono di evitare l’introduzione di sostanze ossidate e dall’altra una maggiore introduzione dei preziosi antiossidanti di cui si potrebbe avere necessità.Inoltre, oggi è noto che la composizione degli oli da olive è particolarmente ricca di acido oleico che, oltre a fornire una certa protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari, è in grado di essere trasformato in piccola quantità in una sostanza (oleiletanolammide) che, trasportata dal sangue, quando arriva al nostro cervello ci fornisce la sensazione di sazietà. Si potrebbe dire che una buona bruschetta con l’olio extravergine di oliva come antipasto, possa ridurre il consumo successivo di altri cibi. Si tratta quindi dell’unico caso, per ora, in cui si può consigliare di consumare tranquillamente olio extravergine di oliva, tipica sostanza grassa della cosiddetta dieta mediterranea, perchè autoregola il desiderio di consumare altro cibo. Naturalmente questo è vero se consumiamo il cibo abbastanza lentamente in modo da dare tempo alla formazione di quella sostanza e al meccanismo d’informazione cerebrale di attuarsi.

35ALIMENTAZIONE E SALUTE

MASSIMO COCCHI, GIOVANNI LERCKER

Massimo CocchiL.U.de.S. UniversityLugano (Svizzera)

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Il tarassacoUmile ma virtuoso

Si utilizzano il fiore, la foglia e la radice per depurare l’organismo ed è attivo soprattutto sul fegato.

Pianta molto diffusa ma poco utilizzata, chi impara a conoscere le sue virtù saprà apprezzarla: rinforza la

resistenza del corpo alle infezioni, migliora la coagulazione del sangue e ripulisce i condotti linfatici.

Massimo Rinaldi Ceroni, Roberto Rinaldi Ceroni

BIODIVERSITÀ

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Insalata di tarassaco - Il sapore amaro delle foglie è gradevole se queste vengono raccolte prima che la pianta fiorisca e possono essere unite a foglie di lattuga, condite con olio di oliva, sale, succo di limone, aglio e prezzemolo finemente tritati.

In forma curativa - Diverse sono le proprietà attribuite al tarassaco (stomachico, depurativo e diuretico), conosciute in erboristeria e proposte nei vari derivati, capsule, tinture, compresse. La medicina popolare raccomanda alle persone con problemi gastrointestinali di mangiare 5 fiori di tarassaco venti minuti prima dei pasti, masticandoli attentamente. Capace di fornire una bella scorta di ferro, calcio, iodio e fosforo, è una buona soluzione per i problemi a denti, ossa e articolazioni: basta mangiare a stomaco vuoto 10 petali freschi di tarassaco. Per di più, lo si può riscontrare come ingrediente in diversi rimedi per curare il sistema nervoso e quello cardiovascolare, contiene infatti grandi quantità di magnesio. Un infuso di radici di tarassaco è usato nella medicina popolare per curare l’acne, la foruncolosi e l’arteriosclerosi. Risolve anche i problemi alla tiroide: basta arricchire il proprio menu con un’insalata a base di tarassaco.

NON SOLO RICETTE

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In Italia lo si conosce come soffione, dente di leone o anche piscialetto alludendo alle sue proprietà diuretiche. Linneo, a metà del settecento, lo battezzò Taraxacum officinalis.La prima parola, il genere botanico, deriva

dal mondo arabo che già dal X secolo conosceva e utilizzava questa pianta, mentre il nome della specie, officinalis, Linneo gliela attribuisce perché si impiegava nelle farmacie che a quel tempo si chiamavano officine.Umile e rustica pianta erbacea che cresce nei prati e negli incolti, ai bordi delle strade, dei boschi o dei corsi d’acqua dalla pianura fino alla montagna è riconoscibilissima per la bella infiorescenza gialla tipica della famiglia delle Asteracee chiamata capolino. Se si guarda bene però ognuno di quelli che a noi sembrano petali in realtà sono piccoli fiori. Dopo essere stati impollinati dagli insetti ciascuno forma verso l’esterno un piccolo paracadute che agevola col vento la dispersione del seme quando poi si stacca dal capolino.Del tarassaco si utilizzano la radice, le foglie e i fiori.La radice è un fittone che nelle piante di qualche anno, specie su terreni soffici, raggiunge anche i 15/20 centimetri di lunghezza. Si raccoglie quando la pianta è in riposo vegetativo cioè a partire dall’autunno. Si utilizzava in decozione per via orale come tonico nelle attività del fegato. Oggi sul mercato sono presenti tinture, compresse e capsule. Le foglie, dalla caratteristica dentellatura dei margini con lobi molto incisi (da cui il nome comune di dente di leone), si cominciano a utilizzare in primavera fino alla piena fioritura quando diventano molto dure. Si consumano fresche in misticanze o lessate insieme alle comuni bietole e spinaci. Sono ricche di fibra, di sali

minerali e di sostanze amare che aiutano i processi digestivi. Con le infiorescenze si fa uno sciroppo dal gusto intenso e leggermente amarognolo. Ci vogliono 200 grammi di capolini raccolti in piena fioritura. Se non si ama il gusto amarognolo allora conviene tagliare tutto il calice prima di metterli insieme a un limone tagliato in 4 spicchi, qualche chiodo di garofano e 1 litro d’acqua a bollire lentamente per un’oretta in una pentola d’acciaio. Dopo averlo raffreddato si filtra, si aggiunge mezzo chilo di zucchero e si lascia bollire sempre lentamente per un’ora circa a seconda della densità voluta. Si imbottiglia sterilizzando in contenitore e una volta aperto per l’uso va tenuto in frigo: c’è molto lavoro ma ne vale la pena. Un’altra ricetta del tarassaco in cucina è l’antipasto di capolini in aceto. Ricetta laboriosa ma di grande gratificazione. Si raccolgono i capolini ancora chiusi poco prima della fioritura. Si sbollentano un attimo in acqua, sale e un po’ di aceto di vino. Si asciugano bene e si dispongono in vasetti appena pressati coperti da olio di semi. Abbiamo detto che il tarassaco è una pianta che cresce un po’ dappertutto e proprio per questo occorre attenzione nel raccoglierlo lontano da fonti di inquinamento come strade, frutteti e campi dove si praticano trattamenti alle colture. Si può anche coltivare facilmente in giardino, nell’orto o addirittura in qualche fioriera un po’ capiente.

Massimo Rinaldi Ceroni Dottore Agronomo con specializzazione universitaria in Fitopatologia ed in Erboristeria, Istituto Agrario di Faenza (RA)

40BIODIVERSITÀ

MASSIMO RINALDI CERONI, ROBERTO RINALDI CERONI

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PATATE, UTILI PER IL NOSTRO

BENESSERE Da cibo povero a must dei ristoranti. L’aroma delle patate

cotte al forno ha il potere di sollevare l’umore delle persone, stimolando ricordi piacevoli e buonumore. Oltre a rendere

felici, se mangiate bollite e fredde fanno dimagrire. Le novelle, ideali contro i bruciori di stomaco, sono perfette

per chi soffre di insonnia o nevralgie: rilassano i muscoli e il sistema nervoso, grazie alla produzione di serotonina.

Luigi Frusciante

AGRICOLTURA OGGI

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La patata fu introdotta in Europa nella seconda metà del XVI secolo dagli spagnoli, prima presenza nelle Isole Canarie già nel 1567. Lentamente, nel

corso del Seicento, questa coltura cominciò a diffondersi prima in Inghilterra e in Irlanda, poi in seguito in Francia, dove inizialmente non fu usata come alimento perché ritenuta portatrice di malattie come la lebbra. La sua diffusione “a tavola” come alimento, in Italia, la si deve ad Antoine Augustin Parmentier che ne aveva sperimentato il suo grande valore nutrizionale durante la guerra dei sette anni (1756-1763): fatto prigioniero dai Prussiani, l’agronomo francese ne imparò ad apprezzare il gusto. Tanto che, rientrato in patria, nel 1786 ottenne da re Luigi XVI, il permesso di una coltivazione sperimentale in campo, su una superficie di circa 20 ettari alle porte di Parigi. Si narra che per indurre i contadini a coltivare la patata, e soprattutto a utilizzarla nell’alimentazione, abbia usato lo stratagemma di far sorvegliare i campi in modo molto evidente, spargendo voce che si trattava di una coltivazione speciale e preziosa destinata alla corte del re, ma lasciando di notte le coltivazioni completamente sguarnite in modo da favorirne il furto da parte dei contadini, che così erano indotti a coltivare e a utilizzare come cibo le patate.

IL TUBERO NEL VECCHIO MONDODopo essere comparsa negli orti botanici di diverse città del Vecchio Continente, quasi contemporaneamente, essere state scambiate per tartufi e quindi assaggiate crude (con ovvio disgusto), la specie iniziò a diffondersi a macchia d’olio. Anche in Germania, grazie all’impegno di Federico II di Prussia “sovrano illuminato” il quale, durante il suo regno, sviluppò l’economia del paese incentivando l’aumento della colonizzazione contadina delle province orientali, riuscendo a far trasferire nel territorio tedesco circa 500.000

nuovi abitanti. Grande successo ebbe la sua riforma agraria che permise, grazie all’introduzione dei magazzini statali, di evitare le carestie, nutrire i soldati durante le campagne militari evitando i saccheggi, e di controllare il prezzo del grano. Introdusse la patata nell’alimentazione tedesca prima della guerra dei sette anni (che Winston Churchill definì la prima vera “guerra mondiale”, poiché fu il primo conflitto della storia ad essere combattuto non solo sul territorio europeo, ma anche in varie parti del globo), promuovendone la coltivazione, che garantiva elevati rendimenti e cibo sufficiente per i suoi soldati durante le campagne belliche. Inoltre migliorò le tecniche di coltivazione, bonificò e disboscò numerosi terreni, aumentando così notevolmente la superficie da destinare all’agricoltura. Ancora oggi è possibile trovare patate sulla tomba di Federico Il Grande in segno di riconoscimento, per aver spinto la sua coltivazione in Germania.La lenta diffusione della coltivazione di questo tubero in Europa può essere attribuita a diverse concause: diffidenza nei confronti di ciò che cresce sottoterra o di ciò il cui consumo potesse causare la lebbra; casi di intossicazione riscontrati dopo aver consumato patate che, lasciate alla luce per lungo tempo, avevano prodotto solanina; infine perché era considerato cibo di scarsa qualità in quanto consumato da ex galeotti o dai soldati nei tempi di guerra. Nonostante questa cautela iniziale, nell’Ottocento la patata diventò la specie più coltivata nel Regno Unito, in Olanda, in Germania e in tutti i Paesi del Nord Europa per effetto delle sue alte rese.Ben presto le patate divennero la fonte di sostentamento principale e un alimento insostituibile per le popolazioni rurali grazie alle loro proprietà nutrizionali e all’apporto vitaminico e di minerali in esse largamente contenute, divenendo così protagoniste assolute delle mense contadine e simbolo

45AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

Coltivazione di patate in Chiapas (Messico)

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Recenti studi molecolari indicano che la patata è originaria del Perù, nelle vicinanze del lago Titicaca, vicino al confine boliviano. A un’altitudine di circa 4000 metri (dove si trovano le cosiddette “patate amare” a causa dell’elevato contenuto di glicoalcaloidi), la domesticazione della patata avvenne almeno 7000 anni fa. Non si conosce con esattezza la specie che ha dato origine alla Solanum tuberosum (la “nostra” patata), ma le specie selvatiche che tuberizzano sono distribuite tra i 38° di latitudine Nord nel territorio degli Stati Uniti, fino ai 45° Sud del Cile, arcipelago di Chiloé. Data la grande diversità che si incontrava nella zona di origine, gli antichi popoli andini selezionavano varietà senza alcaloidi, dando luogo al loro principale alimento.Nella foto panoramica sul Machu Picchu, la città perduta degli Inca, costruita nella roccia a 2350 metri sul valico di una montagna le cui pendici si gettano nella sottostante valle dell’Urubamba. E’ uno spettacolo di rovine e terrazzamenti dove venivano coltivate le patate native.

LE ORIGINI DELLA PATATA

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della triste condizione dei lavoratori della terra, come testimonia I mangiatori di patate, primo quadro di figure di Vincent Van Gogh. L’importanza che la patata aveva assunto nell’alimentazione divenne ben visibile dopo che la Peronospora ne distrusse le coltivazione nel 1845, provocando milioni di morti ed una forte emigrazione di buona parte dei sopravvissuti verso il Nord America.

CIBO POVERO MA VERSATILELa patata coltivata è da sempre un alimento fondamentale per la dieta dell’uomo, essendo una buona risorsa di carboidrati e calorie. Essa rappresenta la più importante coltura non cerealicola presente al mondo occupando, in termini di superficie investita e di produzione a livello mondiale, il quarto posto dopo riso, frumento e mais. Oggi questa coltura è una risorsa importante per lo sviluppo economico. Le aree coltivate, infatti, possono trovarsi in diverse condizioni ambientali, in regioni con clima sia tropicale sia temperato, ed in regioni ad altezza dal livello del mare fino a 4000 metri. Il suo successo è da collegare sia alla sua versatilità agronomica sia alle sue proprietà nutrizionali associate alla molteplicità del suo uso. Questa coltura è molto importante perché contiene grandi quantità di Vitamina C, amminoacidi e costituisce una valida risorsa di almeno 12 minerali e vitamine.Data la sua importanza, la FAO ha dichiarato il 2008 l’anno internazionale della patata. All’inizio degli anni Novanta, infatti, la maggior parte della produzione e del consumo di patate era concentrato in Europa, Nord America e nei paesi della ex Unione Sovietica mentre negli ultimi anni si è assistito ad un incremento della produzione mondiale di patata soprattutto nei paesi in via di sviluppo quali Asia, Africa ed America Latina, dove si è passati da una produzione di 84 milioni di tonnellate del 1991 a 165 milioni di tonnellate nel 2007. La produzione pataticola mondiale ammonta a circa 321 milioni di tonnellate coltivate su 19,2 milioni di ettari. Nell’attuale quadro, la superficie investita nell’Unione Europea è di circa 2,2 milioni di ettari (dati FAOSTAT 2007) con una resa per ettaro di circa 27,9 tonnellate; l’Italia si colloca al nono posto in termini di superficie investita e al sesto posto in termini di produzione. Dopo il pomodoro, la patata rappresenta la coltura più diffusa in Italia, con una produzione di circa 1,9 milioni di tonnellate ed una superficie investita di circa

48AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

Tra le malattie crittogamiche, la Peronospora è sicuramente la più dannosa e una delle più gravi in assoluto. La storia la ricorda per le devastazioni che ha provocato a metà del 1800 in Irlanda, causando la morte di migliaia di persone e costringendo gli irlandesi ad emigrare in America, dato che un terzo della popolazione, per sopravvivere, contava sull’annuale raccolto di patate. È causata da un oomicete, ovvero un organismo molto simile ai funghi, che attacca tutti gli organi della pianta eccetto le radici. Il primo attacco avviene sulle foglie basali; successivamente la malattia può interessare anche gli steli e i tuberi. I tuberi colpiti presentano lesioni leggermente depresse, di colore variabile dal grigio-bluastro al bruno e di consistenza spugnosa, che si prestano all’insediamento di altri funghi e batteri e che provocano il disfacimento del tubero. La difesa agronomica per la Peronospora passa per alcuni interventi:- la scelta di tuberi sani;- varietà meno suscettibili;- eliminazione dei tuberi infetti;- ampie rotazioni; - rincalzature per ridurre la probabilità di infezione;- irrigazione a goccia. Gli interventi di lotta chimica rivestono principalmente un carattere preventivo: il primo trattamento viene effettuato quando si presume che le condizioni ambientali siano favorevoli all’infezione.

LA PERONOSPORA

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49AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

settantaduemila ettari (dati FAOSTAT 2007). Percorrendo tutta la penisola si incontrano le condizioni pedo-climatiche favorevoli alla coltivazione della patata con produzione di tuberi pressoché ininterrotta lungo tutto il corso dell’anno. La sua coltivazione si è andata concentrando, nel corso degli ultimi anni, nel Sud Italia, dove è presente il 62% del numero totale di aziende e il 70% della superficie coltivata.

LA PATATA IN ITALIALa produzione pataticola italiana si avvale di tre raccolti annui con coltivazione da novembre a maggio (patata precoce), da aprile a settembre (patata comune) o ancora da agosto a dicembre (patata bisestile). La quota principale del prodotto nazionale

costituita dalla patata comune è diffusa nelle regioni settentrionali, dove le condizioni pedo-climatiche favoriscono elevate rese per ettaro mentre, in considerazioni delle peculiari esigenze climatiche, la dislocazione territoriale della coltura precoce è prevalentemente meridionale. La superficie coltivata a patata precoce in Italia ha subito una costante contrazione passando da oltre 23mila ettari nel triennio 1960-62 ai circa 20 mila nel triennio 2007-09. Le particolari condizioni climatiche di alcune aree costiere del nostro Mezzogiorno e l’adattabilità della coltura ai cicli extrastagionali consentono, pertanto, di realizzare, in Italia, un calendario di produzione pressoché continuo che copre quasi tutto l’anno e che si può così riassumere: - tra fine febbraio e tutto giugno, nelle regioni

Campania 15

Emilia-Romagna 14

Toscana 12

Abruzzo 11

Calabria 8

Veneto 7

Lazio 5

Sicilia 5

Piemonte 4

Molise 3

Puglia 3

Sardegna 3

Lombardia 2

Trentino-Alto Adige 2

Liguria 2

Basilicata 1

Friuli-Venezia Gulia 1

Marche 1

Umbria 1

PRODUZIONE DELLA PATATA IN ITALIA %

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50AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

Ciclo vernino-primaverile (precoce) Ciclo estivo-autunnale (bisestile) Comune

Epoca di semina Novembre-febbraio Metà agosto-metà settembre Marzo

Epoca di raccolta Marzo-giugno Dicembre–febbraio Luglio

Durata del ciclo 120-130 giorni 100-110 giorni

Varietà impiegate Arinda, Timate, Mondial, Spunta, Sieglinde, Safrane, Antea

Timate, Spunta, Mondial

Materiale di propagazione- provenienza- certificazione- maturazione fisiologica- modalità d’uso

Olanda, GermaniaSiDa sufficiente a buonaPorzioni di tubero

Reimpiego aziendaleNoDa insufficiente a sufficienteTuberi interi

Centro-Nord Italiae aree interne del Sud

Destinazione prevalente del prodotto

Mercati nazionali ed esteri Mercati nazionali Industria di trasformazionee mercato fresco

Produzione [t/ha] 15-50 10-20

CONFRONTO TRA PATATA PRECOCE, BISESTILE E COMUNE

meridionali ed insulari è prodotta la patata cosiddetta “primaticcia” (seminata nei mesi invernali), il cui calendario di raccolta parte cronologicamente in Sicilia e si conclude in Campania. Il prodotto dei cicli precoci (comunemente noto anche con il nome di “novello”) è caratterizzato da tuberi raccolti prima della completa maturazione fisiologica e la cui buccia si stacca ancora facilmente. Solo in Campania, una piccola parte del prodotto viene raccolto quando i tuberi hanno raggiunto la completa maturazione e si presentano con la buccia ben aderente alla polpa; - da giugno ad ottobre si raccoglie il prodotto dei cicli cosiddetti “comuni” (prima quello delle coltivazioni di pianura e poi quello di montagna), rappresentato da tuberi completamente maturi e ben abbucciati; - tra fine novembre e gennaio si ottiene, infine, nelle stesse aree della coltura primaticcia, la patata cosiddetta “bisestile”, che sta incontrando, negli ultimi anni, il favore crescente dei consumatori, i quali possono, in tal modo, disporre di tuberi freschi nel periodo invernale, in cui normalmente è presente sul mercato solo prodotto proveniente da stoccaggio post-raccolta.

I tuberi prodotti in entrambi i cicli extrastagionali (precoce e bisestile) sono destinati prevalentemente al consumo allo stato fresco e vengono commercializzati subito dopo la raccolta, mentre il prodotto del ciclo comune, proveniente sia dalla pianura sia dalla montagna, oltre ad essere consumato fresco (subito dopo la raccolta o, per la maggior parte, dopo frigoconservazione), limitatamente a specifiche varietà, è destinato anche all’industria di trasformazione.

La richiesta di alimenti arricchiti con elementi funzionali è sempre più pressante e sono molti i prodotti che sono commercializzati con etichette che richiamano questi concetti. La biofortificazione della patata è avvenuta attraverso l’uso di due elementi chimici: il selenio e lo iodio somministrati alle piante attraverso concimazioni fogliari. In particolare, la prima patata “fortificata”, Selenella, è stata prodotta e commercializzata in Emilia-Romagna a partire dal 2000 e ad essa è seguita Iodì nel 2007. Di per sé l’uso di questi additivi chimici non incide sulla destinazione d’uso delle patate in quanto quest’ultima dipende dalle caratteristiche delle varietà sottoposte al trattamento. Pertanto le varietà mantengono le proprie attitudini culinarie anche in presenza di trattamenti con selenio e iodio. Infine, mentre sono facilmente identificabili le patate al selenio e allo iodio perché commercializzate con propri marchi (Iodì e Selenella), per conoscere la loro destinazione d’uso è necessario accertarsi (leggendo l’etichetta) del nome della varietà sottoposta al trattamento.

PATATE ALLO IODIO E AL SELENIO

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Variabilità di forma e colore delle patate native peruviane

51AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

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Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

PATATE CRUDE PATATE FRITTE

Parte edibile (%) 83 100

Acqua (g) 78,5 55,5

Proteine (g) 2,1 3,9

Lipidi (g) 1,0 6,7

Clesterolo (g) 0 0

Carboidrati disponibili (g) 17,9 29,9

Amido (g) 15,9 26,6

Zuccheri solubili (g) 0,4 0,6

Fibra totale (g) 1,6 2,2

Fibra insolubile (g) 0,85 -

Fibra solubile (g) 0,71 -

Alcol (g) 0 0

Energia (kcal) 85 188

Energia (kJ) 354 787

Sodio (mg) 7 12

Potassio (mg) 570 660

Ferro (mg) 0,6 0,8

Calcio (mg) 10 11

Fosforo (mg) 54 62

Magnesio (mg) 28 -

Zinco (mg) 1,24 -

Rame (mg) 0,19 -

Selenio (µg) tr -

Tiamina (mg) 0,10 0,24

Riboflavina (mg) 0,04 0,02

Niacina (mg) 2,50 0,70

Vitamina A retinolo eq. (µg) 3 tr

Vitamina C (mg) 15 9

Vitamina E (mg) - -

COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE ENERGETICOPER 100 G DI PARTE EDIBILE

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54AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

SAPORE E SALUTELa patata oggi è consumata sia come prodotto fresco sia trasformato. Soprattutto quest’ultimo sta subendo una notevole evoluzione. Infatti, accanto ai tradizionali prodotti quali surgelati, precotti, chips, stick e altre tipologie a base di patata, stanno riscuotendo un grande successo anche cibi pronti e/o biofortificati aventi sempre il tubero come protagonista della tavola. Negli ultimi tempi è stato necessario selezionare tipologie diverse di patata in funzione della loro destinazione d’uso. Le catalogazioni standard sono tre: Tipologia A (patate non farinose, a polpa soda ed umida, adatte per patate gratinate); Tipologia B (patate a polpa abbastanza soda, debolmente farinosa, adatte per

insalate e cotte al vapore) e Tipologia C (patate farinose, a pasta piuttosto tenera ed asciutta, buone per patate fritte e per puré). Ma accanto a questa triade, si sta affermando con grande forza una nuova varietà (biofortificata) che presenta grandi quantità di antiossidanti, soprattutto fenoli e flavonoidi. Le difficili condizioni climatiche che accompagnano il ciclo biologico delle colture extrastagionali fanno sì che non tutte le cultivar - costituite quasi esclusivamente all’estero, poiché i contesti ambientali sono molto diversi da quelli italiani - siano in grado di manifestare un adeguato adattamento. Pertanto, al fine di soddisfare le particolari esigenze della pataticoltura italiana si è assistito, negli ultimi anni, all’attuazione di programmi di produzione

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55AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

(breeding) realizzati da alcune istituzioni di ricerca nazionali grazie ai quali è stato possibile costituire le prime varietà italiane adatte ai peculiari contesti ambientali delle colture extrastagionali, consentendo quindi la selezione di genotipi adatte alle nostre aree meridionali e più in generale a quelle mediterranee. In particolare, per il ciclo precoce vanno impiegate cultivar tolleranti le basse temperature in quanto, essendo caratterizzate da pronta differenziazione e rapido accrescimento dei tuberi, riescono a svilupparsi prima dell’arrivo della stagione calda e secca. Per il ciclo estivo-autunnale, invece, risultano più adatte cultivar tolleranti al caldo nelle prime fasi ed al freddo nelle fasi conclusive del ciclo, e caratterizzate da un elevato tasso di tuberizzazione.

PROSPETTIVECon la coltivazione della patata precoce, un tempo basata su un numero limitato di varietà, si è potuto assistere ad un significativo ricambio e arricchimento del panorama varietale. Per esempio nei primi anni Novanta, quattro sole varietà (Sieglinde, Spunta, Jaerla e Nicola) intercettavano quasi i 3/4 delle superfici complessive. Oggi, invece, il panorama varietale risulta molto più diversificato, dando la possibilità di poter contare su un’intera serie di nuove varietà quali Arinda, Matador, Labadia, Antea, Timate, Mondial, Safrane, Marabel, Bellini, Ditta (quest’ultima molto utilizzata per le colture biologiche), che vanno progressivamente consolidando le loro posizioni.In molti areali pataticoli sono presenti

Patate in fioritura nella campagna bolognese

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56AGRICOLTURA OGGILUIGI FRUSCIANTE

numerose varietà locali che si sono adattate, con il passar del tempo, alle particolari condizioni pedo-climatiche dei diversi ambienti. Generalmente esse interessano piccole superfici dove, ancora oggi, continuano ad essere coltivate con agrotecniche tradizionali tipiche, in relazione proprio ai diversi ambienti. Grazie alla passione e alla sensibilità di tanti singoli agricoltori che ne hanno, di fatto, assicurato la custodia, queste varietà locali sono entrate

a far parte a pieno titolo della storia e delle tradizioni culturali, colturali e culinarie di numerose piccole realtà rurali del nostro Paese scongiurando così la perdita di una preziosissima fonte di biodiversità.

Luigi FruscianteUniversità degli Studi di Napoli Federico II

La Cina è il primo produttore mondiale di patate

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AGLIO TRA TRADIZIONE LEGGENDA E

CULTURAA tunica bianca o rossa, le categorie di più frequente

uso sono l’aglio ferrarese e quello campano. Noto come alimento e pianta medicinale sin dall’antichità, se ne

conoscono circa 300 specie, di cui una trentina in Italia. Indicato come rimedio efficace contro le punture di

insetti e il mal di testa, combatte anche il dolore.

Luciano Trentini

AGRICOLTURA OGGI

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61AGRICOLTURA OGGILUCIANO TRENTINI

É una pianta erbacea perenne, che appartiene alla famiglia delle Liliacee, denominata botanicamente con il nome di Allium sativum L. È un pianta

bulbosa dal sapore forte, piccante e penetrante in tutte le sue parti, in particolare nel bulbo. Ha un ciclo di coltivazione annuale. Presenta un fusto alto 40-60 centimetri e dei bulbi, che sono composti di bulbilli (comunemente chiamati spicchi), di colore bianco, rosso o rosati, in numero pari variabili da 8 a 18, quasi sempre 10 o 12 avvolti da una sottile tunica. Le foglie avvolgenti il fusto sono di colore verde chiaro, i fiori sono biancastri o tendenti al rosa, di piccole dimensioni; le radici sono affastellate in numero di 40-60 e possono raggiungere una profondità massima di 25-30 centimetri. Questo tipo di apparato radicale, poco profondo, impone al produttore la necessità di disporre di un impianto irriguo di soccorso, per evitare stress idrici dannosi alla coltivazione ed alla qualità del prodotto stesso alla raccolta.

LA STORIALe prime segnalazioni relative alla presenza di questa specie, si hanno in Asia, e più precisamente nell’antica Cina. Un ricercatore svedese vissuto nel XII secolo, invece vuole individuare nelle terre della Sicilia la sua origine. Altri studiosi indicano la presenza di agli spontanei in India e in Asia centrale, altri ancora nel deserto del Kirghisi.La prima vera notizia sull’aglio è una citazione medica che si identifica nel 1550 a.C., nel primo testo medico conservato, il Codex Ebers, un papiro egiziano di circa 20 metri di lunghezza, nel quale sono contenute molte formule terapeutiche di cui in una ventina di queste danno informazioni sull’impiego dell’aglio come rimedio contro il mal di testa o per lenire i dolori provocati da punture di insetti.Resti di aglio, sono stati ritrovati nella tomba di Tutankhamon (faraone nell’Egitto della XVIII dinastia), mentre citazioni

sulle sue proprietà sono state rilevate anche nelle iscrizioni nella piramide di Giza. Era ritenuto alimento indispensabile nella dieta degli schiavi impiegati nella costruzione delle piramidi stesse (Erodoto 480-424 a.C.), che si nutrivano con pane, aglio e cipolla per ridurre la sensibilità alle malattie, in particolare quelle intestinali, e aumentare la resistenza alle fatiche. L’aglio viene citato nel anche da Omero. Nel canto X dell’Odissea, infatti Ulisse enfatizza le virtù protettive dell’aglio, contro i filtri magici della maga Circe. Molte delle informazioni provenienti dall’Egitto, sono state poi elaborate dai Greci, che lo utilizzavano prima di ogni competizione anche sportiva. Nella Roma imperiale contadini e soldati ne facevano largo uso; i primi lo consideravano la “farmacia dei poveri”, mentre ai soldati dalle legioni straniere veniva somministrato per prevenire le infezioni, come vermifugo oppure, come si legge da più parti, per esaltarne l’ardore nel combattimento.Furono i romani a diffonderlo fra le popolazioni dell’Europa ed è Plinio il Vecchio che cita l’Allium sativum nella sua Historia Naturalis. Se ne trova traccia anche nelle opere di Terrenzio Vallone. In un manoscritto del XVI secolo, l’Erbario di Urbino, dove si menzionano ricette con l’aglio, ma soprattutto le proprietà terapeutiche dell’aglio.Quando la peste comparve per la prima volta in Europa, l’aglio divenne un prodotto molto ricercato, in quanto considerato l’unico rimedio contro questa patologia. Nel 1858 fu lo scienziato Luigi Pasteur a dimostrare scientificamente le proprietà antibiotiche dell’aglio, che furono confermate anche successivamente, nel 1918, durante l’epidemia della “spagnola”, quando l’aglio fu ampiamente utilizzato in molti paesi Europei per arginare l’epidemia.

LA DIFFUSIONE Trova ampia diffusione in molte parti del mondo, in particolare dove si ritiene essere

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Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

Parte edibile (%) 75 Sodio (mg) 3

Acqua (g) 80,0 Potassio (mg) 600

Proteine (g) 0,9 Ferro (mg) 1,5

Lipidi (g) 0,6 Calcio (mg) 14

Clesterolo (g) 0 Fosforo (mg) 63

Carboidrati disponibili (g) 8,4 Magnesio (mg) -

Amido (g) 0 Zinco (mg) -

Zuccheri solubili (g) 8,4 Rame (mg) -

Fibra totale (g) 3,1 Selenio (µg) -

Fibra insolubile (g) - Tiamina (mg) 0,14

Fibra solubile (g) - Riboflavina (mg) 0,02

Alcol (g) 0 Niacina (mg) 1,30

Vitamina A retinolo eq. (µg) 5

Energia (kcal) 41 Vitamina C (mg) 5

Energia (kJ) 171 Vitamina E (mg) -

COMPOSIZIONE PER 100 GRAMMI DI PARTE EDIBILE

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• Raccomandato in caso di raffreddore, sindrome influenzale, otite, pertosse, faringite e bronchite;• è ritenuto un ottimo immunostimolante e vari esperti ipotizzano che possa ridurre i tempi di recupero dopo le infezioni gastrointestinali;• è utilizzato come rimedio contro i parassiti intestinali (gli elminti), nonché contro la candida vaginale;• gli sono attribuite proprietà antisettiche, tanto da essere consigliato per il trattamento delle ferite: non è un caso che i soldati russi durante la seconda guerra mondiale portassero degli spicchi da aglio da schiacciare sulle ferite onde evitare che s’infettassero;• viene ritenuto adatto altresì per la cura dei calli, dei porri e delle infezioni virali cutanee;• viene consigliato, in un uso quotidiano a lungo termine, anche come trattamento preventivo per i disturbi di ordine cardiocircolatorio: diluisce il sangue e previene anche la formazione dei trombi;• agisce altresì sugli ormoni sessuali e grazie al miglioramento della circolazione, al potere diluente del sangue e alla sua azione mirata sugli ormoni sessuali, risulta essere anche un buon “compagno di letto”. Anche se è bene chiarire che, quando è cucinato, l’aglio perde la gran parte delle sue proprietà nutritive e microbicidiche;• viene indicato anche come chelante in casi di intossicazioni da piombo.

USI IN FITOTERAPIA

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64AGRICOLTURA OGGILUCIANO TRENTINI

originario dell’Asia centrale. Oggi è la Cina il primo paese produttore al mondo in grado di immettere sul mercato oltre 12,5 milioni di tonnellate di agli coltivati su di una superficie di oltre 700.000 ettari, circa il 75% della produzione totale mondiale, stimata in 16,5 milioni di tonnellate. A lunga distanza segue l’India, con 150.000 ettari coltivati. La tallona la repubblica del Bangladesh, dove la superficie investita ad aglio è di soli 33 mila ettari. Seguono la Korea con 29.000 ettari, la Federazione russa con 25.500 ettari e ancora. L’Italia è uno dei fanalini di coda del sistema produttivo mondiale infatti, nel 2011, la superficie impegnata per la coltivazione dell’aglio è stata di soli 3.150 ettari, in grado di produrre 30.500 tonnellate di agli, delle differenti tipologie presenti sul territorio nazionale.

Statisticamente, alla superficie coltivata ad aglio viene sommata anche quella relativa allo scalogno, la cui superficie coltivata risulta essere modestissima, circa un centinaio di ettari.La diffusione della coltivazione a livello mondiale, europeo e nazionale, ci fa pensare ad una specie a basse esigenze in fatto di clima e di terreno. È una coltivazione che cresce bene nei climi temperati, temperato caldi, meglio se in aree soleggiate. I migliori suoli per la coltivazione dell’aglio, sono quelli sciolti e sabbiosi, provvisti di un buon drenaggio, ricchi di sostanza organica, ben drenati e di buona fertilità. Considerata una coltura da rinnovo (come accade con mais, patata, barbabietola e varie aromatiche come salvia, origano, menta e timo, sono piante che lasciano il terreno in buone condizioni,

Campania 9.122

Emilia-Romagna 6.297

Veneto 4.135

Abruzzo 2.917

Puglia 2.386

Sicilia 1.928

Lazio 955

Sardegna 946

Piemonte 890

PRODUZIONE DI AGLIO IN ITALIATonnellate

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65AGRICOLTURA OGGILUCIANO TRENTINI

poiché richiedono molte concimazioni e lavorazioni), è bene che l’aglio sia coltivato in successione ad una coltura cerealicola o una coltivazione di proteoleaginose (come soia e colza). Nelle coltivazioni industriali si consiglia una rotazione quadriennale che, se possibile, deve essere rispettata anche dagli appassionati che coltivano l’orto famigliare se non si vogliono correre rischi derivanti da attacchi di parassiti o malattie fungine.La semina dell’aglio può avvenire in momenti differenti a seconda delle varietà e delle condizioni climatiche. In Emilia-Romagna, dove si coltiva prevalentemente aglio bianco, la semina avviene dal 15 di settembre al 30 di novembre. I bulbilli per la semina dopo essere stati selezionati accuratamente, sono posti a dimora con macchine seminatrici pneumatiche alla profondità di 6 centimetri, distanti fra loro sulla fila minimo 8 centimetri. Le file sono posizionate a distanze che possono variare da 20 a 50 centimetri, a

seconda delle attrezzature disponibili, in particolare le sarchiatrici. Per seminare un ettaro di aglio sono necessari dai 600 a 1200 chili circa di “spicchi da seme”, la quantità è variabile in funzione delle dimensioni dei singoli spicchi. La raccolta avviene da metà giugno fino alla fine di luglio e varia a seconda del tipo di commercializzazione: agli verdi/freschi, semisecchi, secchi. La raccolta di piccole partite avviene manualmente, mentre a livello industriale si opera meccanicamente. Se non commercializzato subito come prodotto fresco (massimo 5 giorni dopo la raccolta), l’aglio deve subire una essiccazione naturale che può avvenire: - in pieno campo per un periodo variabile da cinque a dieci giorni;- oppure in azienda per un periodo variabile da 10 a 30/40 giorni, su bancali in legno al riparo dall’umidità;- l’impresa può optare anche per sistemi di

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• Come togliere l’odore d’aglio dalle mani? È sufficiente lavarle con sapone di Marsiglia, aggiungendo un cucchiaino di caffè in polvere prima di sciacquare con acqua.• Volete neutralizzare o ridurre l’effetto che ha l’aglio sull’alito? Masticate un po’ di prezzemolo o qualche chicco di caffè.• Se l’aglio risulta difficilmente digeribile, abbiate cura di rimuovere il piccolo germoglio centrale (cosiddetto “anima”) di colore verde, prima di utilizzarlo in cucina o ingerirlo.

CONSIGLI

66AGRICOLTURA OGGILUCIANO TRENTINI

conservazione più moderni, come l’atmosfera controllata in cella climatizzata a 25/35° C.

LA COMMERCIALIZZAZIONE L’aglio può essere immesso sul mercato con modalità diverse:- in treccia con bulbi di categoria prima o extra, con numero di bulbi variabili a seconda della calibro e delle caratteristiche qualitative;- in rete. Si utilizzano particolari sacchetti in rete, generalmente di colore bianco di peso variabile da 100 a 500 grammi. Oppure in sacchi che possono raggiungere i 30 chilogrammi;- si possono confezionare poi trecce più piccole o confezionare l’aglio in bulbi singoli.L’aglio non viene usato solo con la destinazione descritta ma può essere

trasformato ad esempio in paté, da solo o abbinato alla cipolla o con altri ingredienti, ma anche messo sott’olio.La qualità extra o prima è indicata dal calibro del bulbo, determinato dal diametro massimo della sezione equatoriale. Si definisce “extra” un aglio che ha un calibro di almeno 45 millimetri, e di “prima” quelli che hanno un calibro di 40 millimetri.

LE CARATTERISTICHE NUTRITIVEAll’aglio ormai da tempo è stata attribuita una doppia valenza, alimentare e terapeutica. Quest’ultima funzione è stata riconosciuta anche dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, attraverso numerosi studi scientifici, ha dimostrato le virtù curative dell’aglio prima attribuite solo dalle credenze popolari. Relativamente alla composizione chimica, il principale componente dell’aglio fresco è l’allilina sostanza che è anche la causa del suo particolare odore.

Luciano TrentiniVicepresidente AREFLH (Associazione delle Regioni Europee Ortofrutticole)

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CALEIDOSCOPIO

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CONSORZIO DI PRODUTTORIAGLIO DI VOGHIERA DOPLa presenza dell’aglio come prodotto rilevante per Voghiera è comprovata sin dal 1928 da documenti contabili legati al commercio di “agli e cipolle” con alcuni paesi europei. Grazie a studi e ricerche sulle caratteristiche biomolecolari, realizzati in collaborazione con il dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, si è riusciti a “differenziare l’aglio di Voghiera dalle altre varietà riconosciute in Italia, che nel 2010 ha portato all’ottenimento del prestigioso riconoscimento europeo della Denominazione di Origine Protetta (DOP). La coltivazione di cerca 80 ettari, si estende nei 5 comuni della provincia ferrarese di Voghiera, Masi Torello, Portomaggiore, Argenta e Ferrara e vede coinvolti circa 40 produttori. Area caratterizzata dal tipico clima della pianura ferrarese e dal suolo argilloso e limoso che conferiscono all’Aglio di Voghiera DOP proprietà organolettiche uniche. Si presenta di color bianco brillante, con un bulbo rotondeggiante, costituito da una corona di pochi bulbilli estremamente grossi e regolari il cui inconfondibile aroma è caratterizzato dalla considerevole presenza di allicina, potente battericida che nasce dalla reazione chimica dello schiacciamento o taglio dello spicchio. La composizione chimica è un perfetto equilibrio tra enzimi, vitamine, sali minerali e flavonoidi che conferiscono una specifica identità genetica all’Aglio di Voghiera. Il prodotto si riconosce per l’inconfondibile profumo ed è apprezzato dal consumatore per la freschezza e il sapore delicato che conferisce ai piatti un gusto deciso ma non pungente. Il ciclo produttivo comincia a settembre con la scelta dei bulbilli migliori prodotti nell’ultima campagna di raccolta e segue con la semina e con la crescita dell’aglio.

Una volta giunta la maturazione, il prodotto viene raccolto tra fine giugno e luglio, dopodiché viene essiccato e confezionato, pronto per essere destinato al mercato. Le aziende ferraresi consorziate, che gestiscono la commercializzazione sono le aziende agricole: Aglio del Nonno, Le Aie e Mazzoni.Nel 2000, è nato Il Consorzio di Tutela dell’Aglio di Voghiera, organismo riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per la tutela, la vigilanza, la valorizzazione e la promozione di questo aglio le cui caratteristiche organolettiche e merceologiche distintive sono legate alle condizioni ambientali e ai metodi tradizionali di lavorazione. Il Consorzio si prefigge lo scopo di garantire e contraddistinguere il prodotto “Aglio di Voghiera DOP”, le sue caratteristiche, la sua provenienza, anche attraverso iniziative promozionali finalizzate ad incentivare la commercializzazione ed il consumo, nonché la promozione di forme associative che assicurino un reddito garantito ai produttori ed una efficiente gestione della commercializzazione. Nel rispetto del disciplinare di produzione DOP, tutte le fasi della produzione realizzate all’interno del distretto produttivo, dalla semina al confezionamento nei magazzini di lavorazione sono accuratamente monitorate e garantite dal Consorzio grazie all’implementazione di un sistema di controllo qualità.

Il Consorzio dei Produttori Aglio di Voghiera DOPViale Bruno Buozzi 12 - Voghiera (FE)T./F. 0532 328046 - [email protected]

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AGRICOLTURA OGGI

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LA CIPOLLA SALVAVITA

Toccasana contro attacchi cardiaci, infarti e ictus, insaporisce tutte le preparazioni con

pochissime calorie. Apprezzata sin dall’antichità da Romani, Egizi e Greci, le più pregiate sono i

bulbi dalle tuniche e la polpa di colore rosso e il sapore dolce di Tropea.

Massimo Schiavi

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La cipolla (Allium cepa L.) è una pianta erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Alliaceae. Il genere Allium, oltre alla cipolla, comprende circa

500 specie tra cui le coltivate: aglio, porro, scalogno, erba cipollina e cipolletta.La zona di origine e differenziazione della cipolla è ritenuta l’Asia centro-occidentale ed in particolare una vasta area comprendente Iran, Afganistan, Pakistan, Turchestan, Uzbekistan e Tagikistan. Sin dai tempi antichi, è un ortaggio importante per le popolazioni di tutto il mondo, sia per scopi alimentari che medicinali e religiosi. Alcuni autori fanno risalire la coltivazione della cipolla a circa 4000 anni a.C. Documenti provano che veniva già consumato dai popoli della Mesopotamia, dagli Egizi e dai Greci che la introdussero in Italia, da dove si è poi diffusa in Europa e in America. Proprio

nell’Egitto antico, la cipolla visse momenti di vera gloria ed oltre ad essere consumata in grandi quantità venne considerata una vera e propria divinità come scrisse Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia.Nel mondo la cipolla è coltivata su circa 3.700.000 di ettari, per una produzione di 75 milioni di tonnellate ed è diffusa in tutti e cinque i continenti. Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo incremento: sia delle superfici che delle produzioni. I principali paesi produttori sono la Cina e l’India seguite con produzioni decisamente più contenute da Stati Uniti, Turchia, Russia ed Iran. L’Unione Europea coltiva a cipolla circa 185.000 ettari con una produzione di 5.500.000 tonnellate.I principali Paesi produttori sono: Olanda, Spagna, Polonia e Germania. L’Italia con 12.600 ettari e 380.000 tonnellate, si colloca al quinto posto.

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Nel Bel Paese, tra le regioni, primeggia l’Emilia-Romagna (con il 32% della produzione nazionale), seguita dal Piemonte e dal Veneto. Tra le regioni meridionali il primato spetta a Campania Sicilia e Puglia, con circa il 24% della produzione italiana.

REGIONE CHE VAI,CIPOLLA CHE TROVINumerosissime sono le varietà di cipolla in commercio. Oltre 80 sono quelle iscritte al Registro Nazionale delle Varietà e più di 700 quelle iscritte al Registro Europeo. Inoltre, nei paesi del bacino del Mediterraneo e in Italia in particolare, elevata è la presenza di varietà locali. Il nostro Paese può essere infatti considerato un centro di differenziazione secondario per questa specie. Le varietà di cipolla sono classificate in base a forma e colore del bulbo, risposta al fotoperiodo e destinazione del prodotto.

Riguardo alla forma i bulbi possono essere: appiattiti, sferici, ovoidali, a trottola più o meno allungata, fusiformi. I tre colori principali delle tuniche esterne sono il bianco, il giallo e il rosso, con sfumature e gradazioni molto variabili. Le scaglie interne sono generalmente bianche, sebbene nelle varietà intensamente colorate possano presentare striature più o meno intense.Ogni varietà ha una lunghezza critica del giorno (ore di luce) necessario per l’induzione della formazione del bulbo. Possiamo distinguere: varietà a giorno corto, a giorno intermedio, e a giorno lungo.Le varietà a giorno corto ed intermedio sono coltivate prevalentemente nel meridione, con semina e trapianto autunnale e raccolta primaverile. Sono generalmente varietà precoci, resistenti al freddo destinate al consumo fresco. I bulbi poveri di sostanza secca mostrano bassa pungenza e hanno

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Raccolta della cipollaa Margherita di Savoia (FG)

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73AGRICOLTURA OGGIMASSIMO SCHIAVI

utilizzate varietà dotate di elevato contenuto in sostanza secca (superiore al 20%).Nel settentrione le tradizionali varietà, quali Dorata di Parma, Ramata di Milano, Paglierina di Sermide o di Felonica un tempo largamente coltivate, sono state completamente soppiantate dalle nuove varietà ed ibridi.Nel meridione sono tuttora molto diffuse varietà locali spesso dotate di pregevoli caratteristiche organolettiche e dotate di bassa pungenza; molte di queste varietà, coltivate in areali molto ristretti, danno luogo a manifestazioni gastronomiche in ambito locale e vengono consumate in modo prevalente nelle zone di produzione. Per contro alcune varietà locali, come la Rossa di Tropea in Calabria e Bianca di Pompei nell’agro Nocerino-Sarnese, sono coltivate più estesamente e vengono commercializzate

scarsa capacità di conservazione (alcuni mesi). Le varietà a giorno lungo sono coltivate prevalentemente nel settentrione con semina diretta in febbraio-marzo e raccolta estiva (luglio-agosto); queste varietà, generalmente più consistenti e ricche di sostanza secca, sono idonee alla conservazione che in alcuni casi si protrae fino al marzo dell’anno successivo alla raccolta.Oltre che per il consumo fresco, la cipolla viene consumata come prodotto trasformato in sott’olio o sottaceti, oppure come disidratati (polveri, granuli, fiocchi, fettine). Nei primi due casi sono preferite varietà a bulbo bianco o paglierino (per esempio Borettana, Bianca di Maggio, Cristal White Wax, Eclipse), seminate ad elevata densità, in modo da ottenere bulbi di diametro inferiore ai 20-25 millimetri. Nel caso della disidratazione, sono

Emilia-Romagna 32,2

Piemonte 16,7

Veneto 11,2

Campania 9,5

Sicilia 7,9

Puglia 7,3

Calabria 5,5

Altre 9,7

PRODUZIONE DI CIPOLLA IN ITALIA%

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A Isernia, dove si producono delle magnifiche cipolle tonde e schiacciate, originariamente di color vinato, la locale delegazione dell’Accademia italiana della cucina ha svolto un processo pubblico a carico del popolare bulbo. Le accuse? Sono così antiche che Bettino Ricasoli, uomo politico e grande proprietario in Chianti, ne voleva vietare l’uso alimentare ai suoi contadini. L’avversione per le cipolle, indigeste, povere di sostanza e flatulente, era motivata da norme igieniche di corretta alimentazione che furono riprese pari pari da Pellegrino Artusi nel suo celeberrimo manuale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Lo si apprende da una leggenda popolare, che racconta come Ricasoli arrivò addirittura a scacciare uno dei suoi contadini che si ostinava a mangiare la cipolla. Non si sa quanto il racconto dica il vero, ma è curioso quanto il «Barone di ferro» si preoccupasse anche dell’igiene alimentare dei suoi mezzadri e, al contempo, di come allora la cipolla non godeva di buona fama. Mangiare solo cipolle, come poteva accadere nell’Ottocento ai contadini, non era un bel mangiare. Il povero mezzadro, del resto, accompagnava la cipolla con il pane. La cipolla cruda, però, era indigesta e anche oggi molti sostengono che si «rinfaccia».In realtà la cipolla in cucina è una splendida risorsa specialmente per le zuppe di pane e le minestre, ma anche per le salse, cominciando da quelle al pomodoro. Ci sono minestre con la cipolla famose e in Francia addirittura raffinate. A Isernia si prepara la «cipollata» che è una minestra nutriente e saporita. Si tagliano le cipolle di Isernia a fettine sottili e si bagnano con l’acqua per addolcirle, poi si mettono in padella con olio di oliva e poca acqua. Si unisce il prezzemolo tritato e poi si versano nella padella delle uova appena sgusciate. Dopo aver salato si copre la padella con un coperchio e si fa cuocere il tutto fino al formarsi della «camicia». A quel punto non resta che mangiare con del pane abbondante come facevano i contadini a colazione.

DIBATTITO SULLA CIPOLLA

• Per arginare l’effetto lacrimogeno che la contraddistingue, causato da composti solforati, volatili a temperatura ambiente e idrosolubili, occorre bagnare spesso la lama del coltello mentre si taglia la cipolla.• Conservare le cipolle in frigorifero o lavarle con acqua prima di accingersi a tagliarle: il freddo rallenta l’evaporazione della sostanze irritanti.• Per chi non sopporta l’odore della cipolla, deve tagliare a fette molto sottili e condirle con olio e limone alcune ore prima dell’uso.• Così come accade per l’aglio, la cipolla è tradizionalmente considerata molto più di un semplice alimento, ma come una vera e propria medicina naturale. Nel caso si soffra di mal di denti o di infiammazioni gengivali, si suggerisce di masticare delle fettine di cipolla cruda, una pratica che sarebbe in grado di rendere il dolore più sopportabile.• Per togliere l’odore dalle mani, strofinare con limone sale o aceto e successivamente lavare con acqua e sapone.

RIMEDI SUGGERITI DALLA TRADIZIONE POPOLARE

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La rutina contenuta nella cipolla (ma anche in mele e arance), può impedire la formazione di coaguli nel sangue ritenuti i responsabili di attacchi di cuore e ictus. Lo sostengono alcuni ricercatori della Harvard Medical School di Boston, i quali hanno pubblicato i risultati di uno studio clinico sul Journal of Clinical Investigation. «La rutina ha dimostrato di essere il composto più potentemente anti-trombotico che abbiamo mai testato in questo modello – spiega l’autore principale dello studio, dottor Robert Flaumenhaft – I coaguli si formano sia nelle arterie che nelle vene. I coaguli nelle arterie sono ricchi di piastrine, mentre quelli nelle vene sono ricchi di fibrina. Questa scoperta suggerisce che un unico agente è in grado di trattare e prevenire entrambi i tipi di grumi». Per ora queste informazioni sono derivate da uno studio condotto su modello animale. Il prossimo passo vedrà il coinvolgimento di soggetti umani su cui testare gli effetti della rutina, dopo che l’FDA (Food and Drug Administration) americana ha dato il suo benestare all’utilizzo di questa sostanza ritenuta priva di effetti collaterali e dal basso costo. Intanto si sa che il composto naturale oggetto dello studio si è dimostrato in grado di bloccare un enzima chiamato PDI (proteina disolfuro isomerasi) che è coinvolto nella formazione di coaguli nel sangue: questo enzima è infatti rapidamente rilasciato quando si vengono a formare questi grumi nelle vene e nelle arterie. C’è da dire che la rutina si è dimostrata la sostanza più efficace nel contrastare questo processo, tra le oltre 500 sostanze testate durante lo studio.

SALVAVITA

Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

Pianta edibile (%) 83 Sodio (mg) 10

Acqua (g) 92,1 Potassio (mg) 140

Proteine (g) 1,0 Ferro (mg) 0,4

Lipidi (g) 0,1 Calcio (mg) 25

Colesterolo (mg) 0 Fosforo (mg) 35

Carboidrati disponibili (g) 5,7 Magnesio (mg) -

Amido (g) 0 Zinco (mg) -

Zuccheri solubili (g) 5,7 Rame (mg) -

Fibra totale (g) 1,0 Selenio (µg) -

Fibra insolubile (g) 0,88 Tiamina (mg) 0,02

Fibra solubile (g) 0,16 Riboflavina (mg) 0,03

Alcol (g) 0 Niacina (mg) 0,50

Vitamina A retinolo eq. (µg) 3

Energia (kcal) 26 Vitamina C (mg) 5

Energia (kJ) 110 Vitamina E (mg) -

COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE ENERGETICOPER 100 G DI PARTE EDIBILE

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su tutto il territorio nazionale e all’estero. Le “Sagre” legate a questo ortaggio sono numerosissime; noi ne abbiamo contate oltre 20 e distribuite su tutto il territorio nazionale dal nord (Sagra della cipolla di Breme in Lomellina) all’estremo sud (Sagra della cipolla di Castrofilippo, Agrigento).

ASPETTI NUTRIZIONALIE SALUTISTICICotta al forno in agrodolce o cruda (meglio la seconda, magari da mangiare con una bella fetta di pane leggermente scaldato), la cipolla è una fonte eccellente di composti nutrizionali quali minerali (calcio, manganese, potassio, selenio), vitamine (C, B6, acido folico), fibra (circa 18%), polisaccaridi e polifenoli. In particolare due classi di prodotti sono noti per avere effetti benefici sulla salute: composti solforati e polifenoli. I primi sono principalmente amminoacidi solforati non proteici derivati dalla cisteina; sono parte integrante del metabolismo della cipolla e contribuiscono oltre che al caratteristico sapore e odore, alla pungenza responsabile della lacrimazione. Tali sostanze stimolano

la diuresi e di conseguenza, diminuiscono il rischio di ipertensione, risultando utili a prevenire le malattie cardiovascolari.Sebbene siano sicuramente i composti solforati le sostanze che più caratterizzano il genere Allium, due tipi di flavonoidi sono presenti in cipolla, in maggior misura nelle varietà colorate, con importanti effetti benefici sulla salute: antocianine e quercetina.Tra le proprietà terapeutiche e medicinali attribuite alla cipolla sono da ricordare le attività: antiossidante, anticarcinogenica, antibiotica, cardiovascolare, antiasmatica. Questo ortaggio, ha inoltre proprietà cosmetiche: è infatti utilizzata come principio attivo di alcune creme cicatrizzanti riuscendo a diminuire notevolmente lo spessore delle cicatrici provocate dalle smagliature.

76AGRICOLTURA OGGIMASSIMO SCHIAVI

Massimo SchiaviCRA – Unità di Ricerca per l’Orticoltura a Montanaso Lombardo (LO)

Varietà Fiamma F1

Varietà Opera F1

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LO ZUCCHINO DALL’AMERICA

CON SAPOREA partire dal XVI secolo, dopo la scoperta del nuovo mondo,

si diffuse in Europa, Asia e Africa. In Italia la coltivazione della zucca da zucchini si propagò rapidamente, facilitata

anche dalle favorevoli condizioni pedoclimatiche. E ben presto l’Italia diventò un importante centro di miglioramento e

selezione di questo ortaggio.

Nicola Calabrese

AGRICOLTURA OGGI

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Con il miglioramento genetico è possibile costituire nuove cultivar che possano soddisfare le esigenze degli agricoltori e dei consumatori, che siano adatte alle richieste

della distribuzione moderna e dell’industria della trasformazione.

80AGRICOLTURA OGGINICOLA CALABRESE

ORIGINE E STORIA Lo zucchino, il cui nome botanico è Cucurbita pepo L., fa parte della grande famiglia delle Cucurbitaceae, che comprende alcune tra le specie orticole più diffuse nel mondo e di maggior interesse economico, tra le quali ricordiamo oltre alla zucca, il cocomero, il melone, il cetriolo, la lagenaria. L’area di origine e diversificazione è costituita da un’ampia fascia compresa tra la parte meridionale degli Stati Uniti e il Messico nord orientale. Numerose testimonianze storico-botaniche evidenziano che la prima domesticazione delle forme selvatiche, tuttora presenti in natura, fu operata dai nativi americani circa 10.000 anni fa in Messico, nelle zone di Puebla e Oaxaca, e poi in tutta l’America centrale e nella parte meridionale dell’America del Nord. Probabilmente all’epoca venivano consumati i semi, altamente energetici e ricchi di proteine e solo successivamente iniziò la selezione per il consumo dei frutti. A partire dal XVI secolo, dopo la scoperta del nuovo mondo, si diffuse in Europa, Asia e Africa. In Italia la coltivazione della zucca da zucchini si diffuse rapidamente, facilitata anche dalle favorevoli condizioni pedoclimatiche; ben presto l’Italia diventò un importante centro di miglioramento e selezione di questo ortaggio. A testimonianza della grande e rapida diffusione di questo ortaggio nella cucina dell’epoca, un famoso dipinto del 1580 di Vincenzo

Campi, La fruttivendola, custodito presso la Pinacoteca di Brera a Milano, raffigura una venditrice con il suo banco di frutta e ortaggi, tra i quali sono compresi fiori e frutti di zucchini. La forma, la dimensione e l’aspetto generale dei fiori e dei frutti raffigurati nel dipinto, sono molto simili a quelli di alcune varietà ancora oggi coltivate. Quindi, meno di un secolo dopo la scoperta dell’America, questo ortaggio era già entrato negli orti e nella cucina degli italiani.

IMPORTANZA E DIFFUSIONE Potremmo definire lo zucchino come un ‘frutto appena nato’, infatti viene normalmente raccolto dalla pianta dopo appena 2-3 giorni dall’antesi e molto spesso viene commercializzato con il fiore femminile ancora attaccato al frutto.La coltivazione è diffusa in tutta Italia; nel 2011 in pieno campo ha interessato circa 14.000 ettari, con una produzione totale pari a 345.000 tonnellate. Le regioni dove la coltura è maggiormente praticata sono nell’ordine Sicilia, Puglia, Emilia-Romagna, Piemonte e Lazio. Quest’ultima, in virtù della elevata produttività per ettaro, balza al secondo posto per quanto riguarda la produzione totale. L’insieme della produzione delle prime cinque regioni, rappresenta il 60% del totale nazionale. Latina (915 ha), Ragusa (900 ha), Foggia (700 ha) e Vercelli (550 ha), sono le province in cui si concentra maggiormente la

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Fiore femminile a sinistra, con l’ovario da cui si sviluppa il frutto (zucchino)e fiore maschile a destra, caratterizzato da un lungo peduncolo

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Esistono otto gruppi di varietà coltivate, di cui due selezionate in Italia che hanno per questo conservato nella lingua inglese la denominazione italiana di Cocozelle e Zucchini.

82AGRICOLTURA OGGINICOLA CALABRESE

coltivazione dello zucchino. Di notevole interesse agronomico ed economico è la produzione ottenuta in serra, che nel 2011 è risultata di poco inferiore alle 200.000 tonnellate. Lazio e Sicilia contribuiscono rispettivamente con il 58 e il 20% della produzione nazionale. La coltivazione in serra consente l’approvvigionamento dei mercati durante l’inverno; in questo modo lo zucchino riesce ad essere presente sulle nostre tavole per tutto l’anno.

MORFOLOGIA E CARATTERISTICHELa pianta dello zucchino può avere portamento ad alberello, cespuglioso oppure prostrato, il fusto presenta normalmente 4-5 solchi. Le foglie, sono tormentose e provviste di picciolo lungo e cavo, mentre il lembo fogliare di colore verde scuro con marezzature di colore bianco, è suddiviso in 5 lobi. La pianta è monoica, cioè presenta separatamente i fiori maschili e quelli femminili. Entrambi i fiori sono molto attraenti e questa caratteristica serve per attirare gli insetti che provvedono all’impollinazione. I fiori maschili, che solitamente vengono emessi per primi, sono caratterizzati da un lungo peduncolo e da una ampia corolla di colore giallo, mentre quelli femminili presentano un peduncolo corto, la corolla gialla e l’ovario da cui si sviluppa il frutto. Elevate temperature e giorno lungo favoriscono la produzione di fiori maschili, mentre basse temperature e giorno corto

promuovono l’emissione di fiori femminili. Il frutto, chiamato ‘peponide’, è caratterizzato dalla buccia (epicarpo) sottile, mentre la polpa (endocarpo), sprovvista di cavità centrale e con semi assenti o appena accennati, ha consistenza carnosa, ma risulta tenera al taglio anche con un semplice coltello. La forma del frutto può essere globosa, clavata, cilindrica, ovale (più o meno allungata, a volte ricurva ad una estremità), spesso sono presenti delle costolature lungo l’asse longitudinale. Il colore della buccia può variare dal verde molto scuro al verde pallido quasi biancastro; spesso le tonalità del verde si alternano formando delle striature molto evidenti o più frequentemente delle screziature. Non mancano zucchini di colore giallo più o meno intenso. Ogni pianta può produrre anche 20 frutti. Numerosissime sono le varietà di zucchino presenti sul mercato, alcune coltivate solo in areali limitati da cui spesso prendono il nome, altre invece sono largamente commercializzate, a volte con denominazioni differenti, in tutti i continenti. In considerazione della notevole diffusione del consumo e dell’importanza economica di questo ortaggio, la ricerca, e in particolar modo il miglioramento genetico, è continuamente impegnata a mettere a punto nuove cultivar che possano soddisfare al meglio le diverse esigenze degli agricoltori e dei consumatori, e che siano adatte alle richieste della distribuzione moderna e dell’industria della trasformazione.

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COMPOSIZIONE CHIMICA E VALOREENERGETICO PER 100 g DI PARTE EDIBILE

Acqua g 93,6

Proteine g 1,3

Lipidi g 0,1

Carboidrati g 1,4

Amido g 0,1

Zuccheri solubili g 1,3

Fibra totale g 1,2

Sodio mg 22

Potassio mg 264

Ferro mg 0,5

Calcio mg 21

Fosforo mg 65

Energia kcal 11

Energia kJ 47

Tiamina mg 0,08

Riboflavina mg 0,12

Miacina mg 0,70

Vitamina A retinolo eq. (µg) 6

Vitamina C (mg) 11

(zucchino crudo)

84AGRICOLTURA OGGINICOLA CALABRESE

VALORE NUTRIZIONALE E UTILIZZAZIONEAnche se l’antico proverbio siciliano ‘Cònzala comu voi, ca sempri cucuzza è’, non sembra rendere giustizia a questo ortaggio, in realtà l’utilizzazione dello zucchino in tantissime ricette è principalmente dovuta al gusto neutro che lo caratterizza e che ne fanno un componente apprezzato di piatti che vanno dall’antipasto al dolce. Altra caratteristica di notevole importanza in questi tempi di alimentazione attenta alle calorie che si assumono con il cibo, è costituita dal bassissimo contenuto calorico, appena 11 nel prodotto crudo e 27 in quello cotto, per 100 g di prodotto. Lo zucchino ha un bassissimo valore calorico perché è costituito per il 94% da acqua. Povero di carboidrati e proteine, possiede invece un buon contenuto di potassio che, unito al basso contenuto di sodio, dà a questo ortaggio proprietà diuretiche. Discreto è il contenuto di vitamina A, C e di carotenoidi. Fin dall’antichità lo zucchino veniva utilizzato per favorire il sonno, rilassare la mente ed era particolarmente indicato per chi si sentiva spossato. Se il consumo dei frutti è diffuso in tutto il mondo, non altrettanto avviene per l’uso in cucina dei fiori. In Italia e in molti Paesi mediterranei, invece i fiori rappresentano una prelibatezza per gli amanti della buona tavola, tanto da rientrare storicamente nella preparazione di numerosi piatti molto apprezzati a livello regionale e nazionale. Chiamato anche fiorillo, si prepara spesso in abbinamento con la pasta, in pizze e torte salate, ripieno oppure fritto, come nel caso dei noti sciurilli c’a pastetta napoletani e i fiori in pastella alla romana. Di solito si utilizzano i fiori maschili, ricchi di polline, raccolti al mattino presto, ma anche i fiori femminili, quando ancora turgidi e ben attaccati al frutto, hanno ottime caratteristiche organolettiche.

Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

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SUPERFICIE COLTIVATA E PRODUZIONE TOTALE DI ZUCCHINO IN ITALIA E NELLE PRINCIPALI REGIONI

Italia: 369.508 (t)14.286 (ha)

Italia: 193.380 (t)2.807 (ha)

Sicilia: 64.295 (t)2.563 (ha)

Sicilia: 38.156 (t)100 (ha)

Puglia: 42.697 (t)1.800 (ha)

Campania: 13.533 (t)441 (ha)

E-R: 39.357 (t)1.341 (ha)

Veneto: 9.357 (t)241 (ha)

Piemonte: 25.857 (t)1.340 (ha)

Calabria: 5.601 (t)109 (ha)

Lazio: 50.711 (t)1.344 (ha)

Lazio: 112.368 (t)1.598 (ha)

Calabria: 29.128 (t)1.110 (ha)

Pieno campo serra

(Fonte: ISTAT, 2011)

85AGRICOLTURA OGGINICOLA CALABRESE

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Si racconta che Giacomo Leopardi, che trascorse gli ultimi anni della sua breve vita a Napoli ospite del suo fraterno amico Antonio Ranieri, fosse ghiotto di gelati partenopei

e di confetti ma che odiasse la minestra e i paccheri con zucchine e vongole.

86AGRICOLTURA OGGINICOLA CALABRESE

BIODIVERSITÀ E SELEZIONEAppartengono a Cucurbita pepo L. numerosissime tipologie di zucchino, alcuni autori affermano che siano più di mille, che differiscono tra loro per la forma, la dimensione, il colore e l’utilizzazione (non solo per usi alimentari) del frutto ed eventualmente dei fiori e dei semi. La diversità delle cultivar e la facilità con la quale si ibridano in natura, porta a molta confusione nella loro nomenclatura. Per cercare di mettere ordine in questo incredibile universo ricchissimo di biodiversità, numerosi tentativi sono stati condotti per definire dei parametri ordinatori e creare gruppi omogenei. Grazie ai recenti studi di genetica molecolare, è stato possibile raggruppare le differenti tipologie di zucca in tre subspecie: pepo, texana e fraterna. La prima comprende solo zucche coltivate; la seconda raggruppa sia tipologie coltivate che selvatiche, mentre alla terza appartengono solo popolazioni selvatiche presenti nel Messico nord orientale.Più interessante per noi italiani, perché rende lustro al nostro orgoglio nazionale, è la classificazione basata sulle caratteristiche morfologiche del frutto, che stabilisce otto gruppi di varietà coltivate. Tra questi gruppi, due sono stati selezionati in Italia e per questo hanno conservato nella lingua inglese la denominazione italiana di Cocozelle e Zucchini. A quest’ultimo appartengono quei frutti di forma cilindrica regolare e di colore verde scuro, tra cui ricordiamo la cultivar ‘Nero di Milano’, mentre fanno

parte del gruppo Cocozzelle le cultivar che presentano frutti lunghi, spesso di forma clavata e costoluti, di colore verde con striature più chiare come il Lungo di Toscana, l’Alberello di Sarzana, il Romanesco e lo Striato pugliese. La selezione di queste tipologie è avvenuta in Italia, da cui poi è seguita la diffusione in tutto il mondo. Negli Stati Uniti furono introdotti all’inizio del 1900, portati dai nostri emigranti. Così si compie, dopo quattro secoli dalla partenza, il viaggio di ritorno alla terra d’origine di un frutto che ha conquistato il mondo.

Nicola CalabreseCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari

ZUCCHINO O ZUCCHINA?

Occorre chiarire come dobbiamo chiamare questo ortaggio così comune sulle nostre tavole. Entrambi i termini derivano da ‘zucca’ e ne sono in origine il diminutivo, uno maschile e l’altro femminile. La prima attestazione del termine ‘zucchino’ risale al 1875, seguito a breve (1879) da ‘zucchina’. Il sostantivo maschile, che diventa “zucchini” al plurale, è frequente nel dialetto toscano e indica il nome del frutto, mentre a volte è usato in italiano per indicare anche il nome della pianta. Alcuni dizionari della lingua italiana riportano entrambe le forme, altri attribuiscono il corretto nome del frutto o all’uno o all’altro termine.

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CALEIDOSCOPIO

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LO CHEF PIETRO LEEMANN E FEDERAZIONE ITALIANA FITNESS CON TRUVIA®:INSIEME PER LA RICETTA DEL “PIENO BENESSERE”L’Alta Cucina Naturale incontra il fitness olistico per Truvia®, il primo dolcificante a base di estratto di foglia di stevia naturalmente dolce e senza calorie. Nasce il progetto “Il percorso del pieno benessere Truvia®”, un’esperienza che propone 6 speciali ricette dalle proprietà sensoriali e benefiche ideate dallo chef Pietro Leemann in abbinamento a esercizi di fitness olistico studiati da David Stauffer, Donato De Bartolomeo e Elisabetta Cinelli, personal trainer F.I.F. (Federazione Italiana Fitness), con l’obiettivo di esaltare e potenziare le proprietà benefiche di Truvia®. Ogni ricetta preparata con Truvia® è inoltre accompagnata da tabelle nutrizionali commentate e perfezionate da un team di nutrizionisti.La partnership nasce dalla consapevolezza che l’abbinamento di un’alimentazione equilibrata, attenta alla genuinità e provenienza degli ingredienti, alla pratica di una attività fisica in grado di influire positivamente sul rendimento mentale e sull’umore, permetta di lavorare contemporaneamente su corpo, mente e anima per favorire il pieno benessere.Buonumore, Nuovo Benessere, Verità, Gusto lungo, Dolce evoluzione e Salute a Oriente sono le creazioni fredde e calde, da bere o da gustare al cucchiaio, abbinate a Io Sorrido, Nuova Sens-Azione, La Verità sul proprio corpo, Lungo equilibrio, Muovi-Mente e Risveglio a Levante: esercizi fisici e di training autogeno messi a punto dai professionisti del fitness, incentrarti sul respiro, postura e movimento attraverso tecniche di yoga, pilates e ginnastica dolce.www.truvia.it

LE 6 RICETTE DEL PIENO BENESSEREFIRMATE PIETRO LEEMANN

VERITÀ Colazione/merenda: Muffin di cioccolato, composta di lamponi e datteri.

GUSTO LUNGOPiatto unico: Riso al salto con asparagi agrodolci, spuma soffice di cannellini e menta fresca.

DOLCE EVOLUZIONE Dolce: Strudel di mele e ciliegie, con salsa vaniglia senza uova. Profumata al sambuco.

BUONUMORECentrifugato di fragole.

NUOVO BENESSEREAperitivo: Centrifugato di mele, carote e arancia ai semi di finocchio. Servito con pinzimonio di asparagi.

SALUTE A ORIENTESushi di verdure, riso e asparagi.

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DISTRIBUZIONE

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ALLA CONQUISTA DI

CONEGLIANO VENETO

Una versione italiana dello specialty food shop, il formato che tanto successo ha in America. Un supermercato di

nuovissima concezione specializzato sia in prodotti tipici di alta gamma che freschissimi.

Daniele Tirelli

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Al gourmet market il piacere gastronomico è per tutti. A Eat’s si va a scuola di cultura alimentare, tra degustazioni e corsi di cucina, un’antica bottega dove fare food-shopping e un ristorante dove assaggiare quanto in vendita al piano inferiore. Con l’ortolano che monda, lava, prepara e serve l’ortofrutta.La crisi del punto di vendita “generalista” sembra irreversibile. La spinta verso la segmentazione verso il basso (discount) e verso l’alto (gourmet) si fa strada anche nel nostro paese e non solo nelle grandi città. La ricerca della raffinatezza gastronomica, del servizio, della atmosfera e perché no, della cultura alimentare è una tendenza che trova spazio anche in luoghi apparentemente insospettati. Prova ne è l’esperienza di Eat’s una versione più nazional-popolare dello specialty food shop destinato ad una clientela ampia e non particolarmente selezionata.Collocato a Conegliano Veneto questo supermercato di nuovissima concezione si è specializzato non solo nell’offerta di prodotti tipici di alta gamma, ma soprattutto di quelli freschissimi. Persegue in questo modo l’obiettivo di aumentare il servizio al cliente e di democratizzare il piacere gastronomico senza chiudersi in una nicchia elitaria. Tutto ciò riproponendo i benefici della tradizione alimentare reinterpretati con le tecniche più moderne del merchandising e della logistica. Eat’s valorizza il passato avvalendosi delle pregresse esperienze nella moderna distribuzione.Sfruttando i suoi 2300 m2 per la vendita a libero servizio questa eclettica “antica bottega”, agisce in sinergia con un ristorante di 500 m2 collocato nel mezzanino sovrastante. Offre pertanto la possibilità di assaggiare cucinato tutto ciò che è in vendita al piano inferiore. L’esperienza del cliente prosegue poi con gli assaggi offerti dai vari reparti e con le dimostrazioni su specifici argomenti gastronomici: un lavoro che si completa con i corsi di cucina che si susseguono nel corso dell’anno. Eat’s trasferisce cioè alla propria clientela competenze e ne accresce la cultura alimentare: una strategia per rafforzare la fedeltà del cliente valorizzando il suo assortimento speciale e profondo.Oltre ai reparti grocery di alta gamma sono quelli dei prodotti freschissimi e deperibili a creare la speciale atmosfera di questo punto di vendita. Il punto focale è infatti il banco servito della frutta e verdura. L’idea di avere l’ortolano che monda, lava, prepara e serve l’ortofrutta per altri potrebbe apparire “folle” dati i suoi costi. Tuttavia sia l’immagine resa sia il servizio fornito contribuiscono a generare traffico al punto che il 60% di fatturato di Eat’s è costituito dal “fresco”. La frutta “a prova di fotografo” e le altre specialità sono inoltre gli elementi costitutivi dei gift basket che, soprattutto a Natale, diventano una source of business niente affatto trascurabile.

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92DISTRIBUZIONE

DANIELE TIRELLI

Spettacolare è anche la macelleria con carni di razze pregiate nutrite con foraggi naturali e cereali, provenienti da un proprio allevamento di Montebelluna e, con un tocco di raffinatezza, le cornici barocche dorate apposte alle finestre dei frigoriferi invitano ad osservare le mezzene in frollatura. Il banco del pesce è un altro punto di forza e annuncia la sua freschezza attraverso la presenza di un acquario. E come non citare la gastronomia. Artigianale e appetitosa è oggetto del lavoro degli chef che la firmano preparandola anche per il ristorante. Infine l’ampia varietà di salumi e formaggi di provenienza nazionale e internazionale presenta un range di scelte con pochi uguali, anche nelle grandi città del nostro paese.Eat’s ha superato i suoi tre primi anni di vita. Non si tratta quindi di un esperimento dal futuro incognito. Portando nella provincia veneta il concetto di food specialty store (che tanto successo riscuote negli USA) dimostra che anche in Italia si può sfuggire al gorgo

della guerra dei prezzi attraverso il percorso dell’alta qualità e della varietà. Eat’s attribuisce molta importanza anche al catering, similmente a quel che fanno i supermercati americani d’avanguardia. Dunque, arriva ad offrire il proprio chef a domicilio a chi organizza feste e party di una certa importanza. Si può quindi affermare che l’insegna appare consolidata e pronta a rafforzare le sue strategie di marketing introducendo una propria loyalty card, e progettando le prime “clonazioni” in altri luoghi. Per tutti gli scettici ecco dunque il messaggio finale: introdurre il gourmet supermarket in Italia è fattibile, ... viaggiare e vedere per credere!

Daniele TirelliIULMMilano

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L’AURELIA, DA VIA DEL MARMO A VIA DEL VINOAttilio Scienza

CULTURA E SOCIETÀ

Un tratto della vecchia via Aurelia

Le strade hanno fatto Roma grande, la caput mundi, hanno disegnato paesaggi con le loro linee ritte, i ponti, i tratti scavati nelle roccia, ma soprattutto con le stazioni di sosta e gli abitati che sono sorti numerosi lungo i loro tracciati.

L’Aurelia è la prima delle numerose strade consolari che hanno contribuito in modo determinante alla conquista romana dell’Italia e dell’Europa. Il suo percorso è una carta geografica di storie: è sufficiente spostare un fotogramma, rovesciare qualche angolatura per intravedere la filigrana in controluce di una trama di eventi millenari, spesso ormai tracce impercettibili di pietre vive, lemmi, sostrati, toponimi, il Genus etruriae.

LE ORIGINI,L’IMPORTANZA, LA DECADENZAIl primo tratto, l’Aurelia vetus, venne costruito nel 214 a. C. dal console Gaio Aurelio Cotta per collegare Roma a Cerveteri e al porto di Pyrgi (Santa Severa), importante centro della koinè etrusca. Il prolungamento fino Pisa e Luni, non solo consentiva a Roma di avvicinarsi ai territori controllati dai Liguri e dai Celti, ma soprattutto di permettere il trasporto del marmo dalle Alpi Apuane, dopo che il porto di Luni a causa del suo interramento non fu più agibile alle cosiddette “marmorarie”, navi di grandi dimensioni costruite per trasportare i blocchi di marmo con i quali è stata costruita la Roma imperiale. Da Luni, l’Aurelia continuava verso Derthona (Tortona) e a ovest attraverso la Costa Azzurra, verso Arles, la Gallia e Cadice, ricca di miniere di piombo, con il nome di Julia Augusta. Una strada lunga ben 2.700 Km!Prima che il tracciato dell’antica Aurelia giungesse a Populonia, gli Etruschi nel IV sec a. C. avevano collegato questa città, i cui forni fusori lavoravano il ferro dell’isola d’Elba, con Pisa, dalla quale attraverso l’Appennino e Felsina (Bologna) il ferro si imbarcava nel porto di Spina sulle navi focesi per l’oriente. Le spade forgiate a Populonia vennero usate dai legionari romani nelle Guerre Puniche e nelle campagne di Giulio Cesare contro i Galli.Il suo ruolo strategico venne confermato nella descrizione dei tracciati dell’Itinerarium Antonini e nella Tabula Peutingeriana. Cento anni dopo, nel 109 a. C. viene costruita la via Emilia del censore Marco Emilio Scauro, parallela alla via Aurelia, ma

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A sinistra busto di Gaio Aurelio Cotta, costruttore del primo tratto della via Aurelia;sopra monete del periodo romano con l’effige del console

97CULTURA E SOCIETÀ

ATTILIO SCIENZA

nell’entroterra, per decongestionarne il traffico ma soprattutto per evitare le sempre più frequenti zone paludose e malariche che si erano formate sul litorale per l’inadeguato drenaggio delle “fosse” che dalle colline portavano l’acqua al mare. Di questo tracciato rimane però sono un tratto tra Pisa e Cecina.La decadenza dell’Aurelia inizia con il tramonto della potenza di Roma e con le prime invasioni dei Goti. Il tracciato diviene insicuro e insalubre, i borghi si spostano in collina, cambiano nome aggiungendo l’aggettivante “marittimo”, che non vuol dire “del mare”, ma maremmano e la via si sposta verso l’interno, abbandonando lunghi tratti del vecchio itinerario. Solo in Liguria essa mantenne la propria identità. Il poeta Rutilio Namaziano nel V sec d. C. scrive riguardo alla sempre minore agibilità dell’Aurelia: “Si sceglie il mare, perché le vie di terra, fradice in piano per i fiumi, per i monti sono aspre di rocce… è meglio affidare le vele al mare sebbene incerto”. Un ulteriore fattore di declino è, nell’alto Medioevo, legato allo sviluppo di una rete viaria tra la Francia e l’Italia per portare i pellegrini a Roma (la via Francigena), attraverso la Cisa per evitare i bizantini della Romagna e della Liguria e raggiungere così Roma passando da Siena.

LA STORIA DELL’AURELIAUNA STORIA CICLICALa parola greca mythos che significa racconto, leggenda in epoca classica, con l’idealismo ottocentesco

diviene un concetto fondativo dell’identità di un popolo e della sua storia. Ma quale storia? Gli esperti distinguono due modelli antropologici di storia, la storia lineare e la storia ciclica. La prima corrisponde a una sequenza di eventi lungo il corso del tempo, in un rapporto di causa ed effetto. La storia ciclica invece immagina ogni evento in una realtà atemporale e lo concepisce come destinato a ripetersi: la storia non va più quindi verso un futuro che la prolunga, ma ha un destino già segnato in partenza. I miti di fondazione delle vie come delle città, sono uno dei capisaldi della storia ciclica e costituiscono un importante concetto antropologico in quanto trasferiscono in una narrazione (il mito), alcuni significati profondi, legati a “figure” particolari. Nel caso della nascita dell’Aurelia, il collegamento di Roma con Populonia non rappresentò solo un vantaggio strategico per i Romani, in quanto era la città più importante degli Etruschi in campo siderurgico, ma anche perché gli aruspici etruschi attraverso la scienza fulguratoria (l’osservazione delle traiettorie dei fulmini), avevano interpretato in questi segni, il presagio che con la creazione della via Aurelia, Roma avrebbe vinto la guerra contro Cartagine. Cambiano le figure del mito fondativo, ma alcuni tratti restano ricorrenti, quasi degli schemi simbolici fissi. Il fondatore leggendario ricorre al vaticinio di un oracolo per prevedere il buon esito della sua iniziativa. Il responso segnala sempre un oggetto di riconoscimento, da interpretare,che appartiene al mondo naturale. Spesso si tratta di

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ATTILIO SCIENZA

un animale-guida, nel caso specifico un cavallo. Nella storia ciclica dell’Aurelia, la “figura” del mito fondatore ritorna sotto le vesti di Ribot, che con i suoi successi in tutti gli ippodromi del mondo, anticipa quelli dei vini prodotti lungo la via Aurelia.Prodromi alla via Aurelia sono le vie cave etrusche, di Sovana e Pitigliano, percorsi viari artificiali scavati nel tufo le cui pareti possono raggiungere i trenta metri di altezza, collegati tra loro con una fitta rete di strade di comunicazione. Quando si percorrono queste profonde trincee, immerse nel mondo misterioso delle necropoli etrusche, si prova la sensazione di essere in un mondo irreale, a cavallo tra la “vita” e la “morte” e le suggestioni che ispirano ci immergono negli antichi riti funerari, quasi si sentono le voci e i suoni delle processioni. Nella De Divinazione di Cicerone, che raccoglie i segreti delle arti divinatorie etrusche, si comprende come la religione era la componente fondamentale di quella civiltà e come ogni cosa terrena come il volo degli uccelli, i fulmini, il ciclo del sole o l’osservazione delle viscere di un animale ucciso, erano l’espressione della divinità principale, la Madre Terra. In questo contesto le vie cave vengono intese come dei percorsi sacri che consentivano di penetrare nella terra, per poter meglio venerare la divinità madre.Il modello antropologico della storia ciclica riporta ai nostri tempi, i miti dell’origine, dove l’anelito degli Etruschi a ingraziarsi la Terra madre, trova in Mario Incisa un inconsapevole continuatore. Attorno agli anni Ottanta, mentre si spegneva l’ecologismo della contestazione giovanile, rivolto contro le multinazionali della chimica e lo sfruttamento del Terzo mondo, fa la sua comparsa nell’agricoltura europea, un movimento spontaneo che rifiuta l’uso di prodotti di sintesi nella lotta ai parassiti e alle erbe infestanti. Sulle orme della Rivoluzione del Filo di Paglia di Fukuoka, Mario Incisa a Bolgheri, teorizza alcune idee che sarebbero diventate alcuni decenni più tardi, i principi dell’agricoltura biologica più avanzata e i cardini delle iniziative di protezione della natura del WWF italiano, di cui il Marchese Incisa fu il primo presidente. Non è questo il luogo per approfondire gli argomenti portati a sostegno della sua visione di agricoltore biologico, ma fondamentali rimangono le sue intuizioni e le iniziative agronomiche intraprese per mantenere nel suolo adeguati livelli di sostanza organica così importanti per la sua fertilità, che un uso scorretto della lavorazione dei terreni attuata con arature molto profonde, riduceva drammaticamente. Il manuale che raccoglie i suoi scritti, dal titolo La terra è viva si ispira alla grande scuola agronomica italiana e si contrappone all’esoterismo della “guida cieca” staineriana. L’Aurelia diviene allora un luogo della

mente, un topòs culturale che identifica un modello di vita che è riassunto in una frase con la quale si chiude il libro del Marchese Incisa: “...il mondo naturale funziona secondo leggi naturali e ci sono molti cicli del mondo naturale con cui si deve vivere in armonia. Quello che bisogna ricercare è una libertà all’interno di questi cicli e di queste leggi…”

TRADIZIONE E INNOVAZIONE DELLA VITICOLTURA DELLA VIA AURELIAUn altro modello di fondazione è quello costituito dalle fusioni e dalle integrazioni. Roma ne è un esempio evidente con la sua origine polietnica di Enea, eroe troiano che sposa Lavinia, figlia del re locale, Latino, così come Praga venne fondata mescolando popolazioni celte e slave. La viticoltura sorta sulla via Aurelia è il risultato dell’incontro dei terroir della Maremma con i vitigni del bordolese, spesso con la mediazione di viticoltori provenienti da altre regioni italiane. I fatti che hanno accompagnato l’arrivo di questi vitigni non sono facili da dimostrare, anche per la riservatezza che accompagna l’azione delle antiche famiglie. A Migliarino, sull’Aurelia, i duchi Salviati possiedono fin dal Cinquecento una grande tenuta. Negli anni Cinquanta, Veronelli ne I vini d’Italia loda un loro vino ottenuto dal Cabernet, chiamato “Marie” in onore della madre di Pietro che aveva avuto il vitigno dal Bordolese, da dove proveniva la famiglia di sua madre. Forse, ma la storia non è precisa, il Cabernet della prima vigna di Sassicaia piantata da Mario Incisa, proveniva dai vigneti dei suoi amici Salviati o forse erano barbatelle che aveva avuto dai Rothschild, i cui cavalli erano gli avversari più temibili di Ribot sugli ippodromi europei. Con il matrimonio del M.se Mario Incisa della Rocchetta e della contessa Clarice della Gherardesca, nel 1930, la via Aurelia diventa testimone di due fenomeni di rilevanza mondiale: la nascita della scuderia Tesio-Incisa alla quale apparteneva Ribot e lo sviluppo di un vino, il Sassicaia, che sarebbe diventato il prototipo del rinascimento della viticoltura toscana. Il Sassicaia, almeno nelle sue prime espressioni, nasce a Castiglioncello, una fortezza abbandonata che sovrasta il territorio a 400 m.s.l.m., dove Mario Incisa aveva condotto i primi esperimenti di coltivazione di diversi vitigni, prima di centrare nel Cabernet sauvignon la varietà vincente. Il primo vino commerciale che nasce nel 1964, commercializzato per la prima volta nel 1970, è però prodotto nel podere da cui prende il nome, situato più in basso vicino all’Aurelia. Sulla spinta del successo del Sassicaia, dai territori di Montescudaio, alla Maremma grossetana, passando per la Val di Cornia, si sviluppa una nuova viticoltura toscana, dai decisi connotati innovativi, dalla scelta delle varietà alle tecniche di vinificazione

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Filari di viti e ulivi lungo la costa maremmana.Sotto il campione Ribot.

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ATTILIO SCIENZA

“I cipressi che a Bólgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar...” come celebra Giosuè Carducci nell’ode “Davanti a San Guido”, collegano la via Aurelia a Bolgheri, terre di grandi vini e oli.

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La Lancia Aurelia B24 continua a fare parlare di sé, grazie al legame con il grande schermo: esplode nel 1962, anno nel quale esce nelle sale il capolavoro di Dino Risi “Il Sorpasso”. Dove più che Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant, la vera star è proprio la B24 Convertibile con la quale i due protagonisti si lanciano in una scorribanda automobilistica in un’incantevole Roma estiva fino alla folle corsa al ritmo del clacson bitonale sulle strade costiere della Toscana. L’epilogo, come certi vizi d’Italia di allora, é infausto e si conclude tragicamente in una curva. Naturalmente, della via Aurelia.

Stefano Panzeri

e invecchiamento. Non c’è azienda vinicola famosa italiana, come Gaja, Berlucchi, Folonari, Antinori, Terre Moretti solo per citare i nomi più famosi, che non sia stata stregata dal fascino dei luoghi, dalla fama e dalla qualità dei vini. Anche il Morellino, sebbene sia prodotto da uve Sangiovese, ha avuto un battesimo transalpino in quanto agli inizi dell’Ottocento furono i francesi che dal Bordolese e dalla Borgogna introdussero la loro tecnica enologica. Segue un periodo di oblio e negli anni Ottanta sull’onda del successo del Sassicaia nascono molte aziende piccole e grandi. L’origine polietnica si ripete. I territori attorno all’Aurelia, a sud di Grosseto, nel secolo XVI passano in mano agli spagnoli di Filippo II, re di Napoli e della Sicilia che fonda lo Stato dei Presidi con lo scopo di proteggere le flotte dai pirati. A questa presenza spagnola va attribuita la coltivazione dell’Alicante (o Grenache, Garnacha), vitigno che integra lo spettro aromatico ed ammorbidisce i tannini del Sangiovese

nelle terre argillose e assolate della Maremma. Anche l’anguilla in “escabeche” affumicata e messa quindi in aceto, è un retaggio della presenza spagnola negli Stati dei Presidi, anche se originaria delle Fiandre. I vini di questo tratto della costa tirrenica sono emozionanti per il loro carattere unico. Per l’amatore che entra in questo mondo dalla complessità rara, ogni bottiglia è una scoperta, una rivelazione. È come uno spartito musicale che può essere interpretato in una maniera piatta o espressiva e conduce l’auditorio all’estasi per la qualità degli strumenti, degli interpreti, del direttore d’orchestra. La qualità del silenzio che regna in sala è allora comparabile a quella che si impone quando viene degustato un vino eccezione da parte di un grande degustatore. Le grandi gioie come i grandi dolori sono muti. Rappresenta una risposta intelligente ai rischi di uniformità della mondializzazione di vini. Non sono quindi delle ripetizioni identitarie, ma come tutte le opere d’arte, espressioni della ricchezza della

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ATTILIO SCIENZA

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condizione umana. La diversità, come ha scritto A. Renaut nel 2009, può essere intesa come un concetto filosofico che ci permette di vivere assieme malgrado le nostre differenze. Ricercare e coltivare la diversità in tutte le cose e nella scelta dei vini, non è solo il mezzo più efficace per potenziare i rapporti tra gli uomini, ma è anche il modo migliore per usare la mondializzazione galoppante.

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ATTILIO SCIENZA

Attilio Scienza Di.Pro.Ve.Dipartimento di Produzione VegetaleUniversità degli Studi di Milano

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NUVOLECOSA SANNO DI NOILe nuvole sopra di noi hanno una loro meravigliosa bellezza non le senti, quasi non te ne accorgi ma sono sempre in costante mutamento. Se ci pensate bene la nostra vita funziona proprio così: in silenzio qualcosa ci trasforma, proprio come una nuvola, in meglio e in peggio, nel bene e nel male.

Lamberto Cantoni

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LAMBERTO CANTONI

Vi siete mai fermati a guardare le nuvole? Probabilmente sì! Forse con un pizzico di senso di colpa: avere la testa tra le nuvole in una società che nevrotizza il lavoro nel preciso momento in cui sta per scomparire (nella forma che conoscevamo), non rappresenta certo il massimo dell’esperienza. E nel tempo libero siamo troppo interessati a prenderci cura dei nostri piaceri per portare l’attenzione ai miracoli che producono ogni giorno le nubi sopra le nostre teste.Tuttavia la pervasività della meteorologia, con le sue trasformazioni fisiche, ci avvolge e comunica con noi in ogni momento, attraverso i sensori del nostro corpo. Il caldo, il freddo, l’umido, il vento riportano lo sguardo verso il cielo alla ricerca dei segni che possano farci indovinare le modificazioni che auspichiamo o che temiamo. Ecco allora che incontriamo le mutevoli forme, candide e splendenti, soffici o pesanti, minuscole o immense come astronavi che gravano sulle nostre teste. Insomma nuvole senza frontiere, in cammino verso ognidove, portatrici di pioggia e bellezza.Guardare le nuvole può essere un modo di accedere alla contemplazione, allo stupore e persino alla creatività di insospettabile valenza estetica e conoscitiva. Gavin Pretor-Pinney, lo dichiara apertamente fin dalle prime righe del suo Cloudspotting (Guanda), divenuto un pregevolissimo testo cult: “Ho sempre amato contemplare le nuvole. Niente in natura può competere con la loro mutevolezza e la loro scenografica teatralità. Niente possiede la stessa bellezza effimera e sublime”. Il fosco cumulonembo attraversato da un fulmine che sovrasta il paesaggio bucolico alla base de La Tempesta di Giorgione illustra benissimo ciò che Pinney vuole dirci. Riconoscevano la sublime bellezza delle nuvole anche straordinari pittori come Jacob Van Ruisdael (1629-1682) abilissimo nel drammatizzare molti paesaggi con cieli di densi cumuli e William Turner (1775-1851) del quale il critico John Ruskin scriveva: “Nessun artista ha disegnato il cielo come lui; persino le nuvole di Tiziano e quelle di Tintoretto sono convenzionali”. Tanto tempo fa, dopo aver visto gli innumerevoli studi del cielo nuvoloso di John Constable (1776-1837), uno straordinario pittore della stessa generazione di Turner, stranamente poco apprezzato da Ruskin, conservati al Victoria & Albert Museum di Londra, ho capito che quando guardiamo le nuvole non siamo solo attratti da un parallelismo lungo l’asse metaforico con i nostri stati interni ovvero con la nostra meteorologia interiore. Secondo Constable il cielo e le sue configurazioni erano l’essenza e il principale portavoce del sentimento nel paesaggio. Le nuvole non portano solo pioggia ma ci illuminano di bellezza pensosa e ci invitano a conoscere la natura come un

dispositivo mutevole, difficile da catturare per chi è provvisto delle armi della pittura. Possiamo veramente vedere la natura solo dopo averla compresa. Dipingere dunque è una conseguenza dell’attività del conoscere ciò che le cose non ci dicono direttamente. Oggi la fotografia può forse restituirci con maggiore precisione dei dettagli la presa reale di un cielo nuvoloso, pur facendone un riflesso dei sofisticati sentimenti che provano i fan interessati alle molteplici attività di cloud appreciation.Il primo fotografo a trasformare le nuvole in un soggetto artistico vero e proprio fu il grande Alfred Stieglitz. All’inizio degli anni Venti del Novecento, puntando l’obiettivo verso il cielo cominciò a realizzare una serie di ritratti di nuvole che verso la fine della decade raccolse sotto il titolo di Equivalents. Stieglitz fu il protagonista della secessione fotografica americana, creò Camera Works, probabilmente la rivista di fotografia più importante mai pubblicata, diede un contributo decisivo per far conoscere l’arte delle avanguardie europee ai collezionisti americani. Nelle nuvole Stieglitz trovava un effetto di senso assolutamente centrale per il suo vangelo estetico: l’immagine realista che diviene una effigie dell’astrazione; in altre parole, grazie alla natura caotica che anima i cieli, per la fotografia veniva a risolversi l’antiniomia tra astratto e figurativo.Ai giorni nostri, Stefano Olivieri, sulle tracce di Stieglitz, ha dedicato due anni del suo lavoro di fotografo alle nuvole. Il suo rigoroso programma di ricerca estetica lo ha portato a scegliere un unico punto di vista dal quale osservare l’orizzonte sul mare, scrutando e riprendendo con innumerevoli scatti il frattale di mondo compreso nel suo campo fotografico.Che cosa sta guardando Olivieri? Non è certo il mare ad essere protagonista e tanto meno il sottile lembo di terra che si intravede all’orizzonte. Sono le nuvole a dominare la scena, tutto il resto rappresenta solo il gioco di dettagli irrilevanti che pur attraversando l’inquadratura o apparendo ai suoi margini non sembrano provvisti di un proprio significato. Infatti, non a caso, l’obiettivo è puntato verso il cielo; lo sguardo metaforizzato dal puntamento della macchina non è interessato ad analizzare ciò appare o accade sulla superficie terrestre, ma è rivolto verso l’alto per cogliere la dimensione più metafisica e pensosa del paesaggio, le nuvole, silenziose viaggiatrici della volta celeste. Le foto di Olivieri non hanno la propensione all’astrazione dei lavori di Stieglitz, ma evocano con la stessa evidenza l’attitudine a illustrare momenti dell’anima che per estensione fanno pensare a una certa visione della vita.Dopo di due anni di osservazione, Olivieri calcolate la portanza di ogni variazione di quell’angolo di mondo apparentemente sempre uguale, eppure così diverso

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LAMBERTO CANTONI

per la varietà di sfumature generate dalla luce, ha infine effettuato la scelta di immagini che raccontano il suo punto di vista di ciò che sanno le nuvole. Gli scatti sono stati presentati in una mostra alla Galleria Forni di Bologna, non nuova a percorsi espositivi legati a temi naturali.Nelle foto esposte, il susseguirsi delle stagioni, i cambiamenti meteorologici, nonché le diverse declinazioni della luce del giorno, si condensa in tonalità, ora calde e pastose, ora algide e rarefatte che riproducono cieli tersi leggermente striati di nuvole così come cieli plumbei, pesanti e minacciosi. Nello spazio semantico aperto dalle immagini strutturalmente quasi identiche, il protagonismo delle nuvole innesca stati d’animo estremamente diversificati che inducono a congetturare quanto la nostra coscienza debba, nelle sue contorsioni metafisiche, al mondo che la circonda. La natura ama nascondersi dicevano gli antichi. Ma non è detto che ci riesca sempre.

L’ARTE E LA TECNICAdi Stefano Olivieri

Sebbene gli scatti vengano ef-fettuati in digitale, l’elaborazione successiva segue un procedi-mento tradizionale, quasi fosse un processo di sviluppo in camera oscura, ovvero l’autore, prove-nendo dalla scuola analogica, in-terviene esclusivamente su lumi-nosità e contrasto senza alterare nessun altro elemento. La stam-pa avviene solitamente su plexi-glass ma i grandi formati saranno stampati in questa occasione su carta Baryte montata su d-bond. I formati in esposizione sono due: cm 40x60 e cm 130x100. Gli esemplari arrivano fino ad un massimo di 5 per soggetto.

Si ringrazia la Galleria Forni Bologna per la collaborazione

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RAJASTHANE KASHMIRDai maharaja al mercato globaleRenzo Angelini

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RENZO ANGELINI

L’India ha vissuto, nell’ultimo ventennio una crescita eccezionale tanto da farla entrare nel novero dei quattro Paesi più virtuosi, identificati con l’acronimo di BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Una

serie di ambiziose riforme economiche ha risvegliato le forze latenti del Paese. Oltre il 40% del territorio è destinato all’agricoltura che dà occupazione a oltre il 60% della forza lavoro e contribuisce per oltre il 60% del PIL. L’andamento delle produzioni agricole risente delle condizioni sfavorevoli quali la diversità geografica del suolo (le zone montuose e desertiche coprono buona parte del territorio del nord) e la variabilità climatica dei monsoni rende ogni anno i raccolti incerti sia in quantità che in qualità. Il settore industriale è la seconda voce del PIL, registrando un notevole sviluppo, a seguito di un piano di liberalizzazione dell’economia, consistente nello snellimento delle procedure burocratiche, aumento del limite di partecipazione del capitale straniero al controllo delle società, al fine di facilitare l’entrata di investimenti stranieri; liberalizzazione e apertura verso il privato anche nei settori strategici quali le telecomunicazioni, il petrolio, la chimica ed il settore agroalimentare. Nel 1998 viene istituita la National Task Force per lo sviluppo della Information Technology e del software con la finalità di rafforzare le competenze tecniche e la formazione, potenziare

gli investimenti in infrastrutture di rete, diffondere internet. Fattori principali del successo sono l’abbondanza di forza lavoro tecnica e manageriale qualificata e il significativo differenziale del costo della forza lavoro rispetto ai Paesi occidentali. Il grande problema dell’India è il livello di povertà della popolazione. Sono state pianificate politiche per il miglioramento del rapporto tra crescita economica e distribuzione dei benefici in termini di occupazione e spesa pubblica destinata alla sanità e ai servizi per il benessere della famiglia (acqua, alimentazione, igiene). Altro grave problema è l’ambiente e questo varia in funzione del livello di sviluppo delle diverse aree: mentre nelle are rurali come il Rajasthan, i problemi sono legati al basso livello di sviluppo economico, in altre zone sono dovuti all’aumento indiscriminato del consumismo con conseguente inquinamento idrico, atmosferico e degrado in generale.

KASHMIR: LA VALLE INCANTATAIl Kashmir è la regione situata nel nord-ovest del subcontinente indiano, conta circa quattro milioni di abitanti di cui il 95% musulmani. L’economia dell’area è basata sull’agricoltura: tradizionalmente il riso è la coltura principale e l’alimento base della popolazione, coltivato lungo le pendici delle vallate, su piazzole perfettamente orizzontali create dalla sapiente mano dell’uomo, su terreni fortemente

Mietitura del riso nelle valli del Kashmir e mercato delle spezie

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RENZO ANGELINI

argillosi che garantiscono agli agricoltori la prima fonte di sostentamento durante l’inverno quando neve e ghiaccio isolano la regione dal mondo. Mais, grano, orzo, avena sono gli altri cereali maggiormente diffusi. Non mancano le colture orticole come asparagi, carciofi, fagioli, cavoli, cavolfiori, rape. Le colture frutticole più diffuse sono peri, meli, ciliegi e peschi. Storicamente il Kashmir è conosciuto nel mondo per la famosa lana di Cashmere, per le morbide pashmine e per lo zafferano. Incastonato tra le cime innevate dell’Himalaya e del Karakorum, questa regione sprigiona ancor oggi tutto il suo fascino di paesaggi che mutano di ora in ora e di stagione in stagione. Uno scenario ricco di contrasti, un lussureggiante tappeto di verde e di fiori disteso ai piedi della maestosa catena di montagne e costellata di fiumi, di laghi e di risaie. La natura vi profonde le sue ricchezze a piene mani, assicurando proficui raccolti. In primavera quando i raggi del sole sciolgono le nevi, la natura riprende il ciclo delle stagioni, la valle si risveglia e ostenta i suoi colori più sgargianti. D’estate i laghi si riempiono di giardini galleggianti in cui abbondano fiori, frutti e foglie verdi. In autunno i campi dorati di riso e le distese di zafferano a dare spettacolo con le distese di piccoli fiori violacei che vengono raccolti con delicatezza per non sciupare i preziosi pistilli. Con l’inverno la neve cancella ogni forma apparente di vita e la regione entra nel suo lungo letargo. Il particolare fascino del

Kashmir non risiede solo nelle bellezze naturali. Alla grandiosità del paesaggio, alla serenità che emana e alle sue tinte brillanti i Gran Moghul, amanti dell’arte e della perfezione delle forme, aggiunsero un tocco di simmetria creando una serie di magnifici giardini. Trasmisero ai sudditi kashmiri il loro senso estetico, favorendo lo sviluppo di un artigianato di grande raffinatezza che rispecchia la bellezza e la grazia del paesaggio; si riconoscono infatti negli arabeschi dei tessuti e degli scialli le geometrie tracciate dai filari di piantine e dagli argini delle risaie. Srinagar è la capitale dello stato del Jammu-Kashmir, a 1768 metri di altitudine, sorge lungo le rive del fiume Jhelum da cui parte una fitta rete di canali che attraversa la città. Superba è la bellezza di questa capitale estiva, una grande cartolina panoramica con le montagne sullo sfondo e in primo piano le acque azzurre del lago Dal, su cui scivolano silenziose le shikara, piccole e agili imbarcazioni di legno, guidate con una pagaia, talvolta coperte tanto da assomigliare a gondole. La vita di Srinagar si svolge in gran parte sull’acqua: molti dei suoi 450.000 abitanti vivono nei semplici barconi ancorati lungo le sponde dello Jhielum e dei laghi, nei mesi caldi coltivano gli orti allestiti nel lago Dal su grandi zattere di bambù e vendono i loro prodotti al pittoresco “mercato galleggiante” che si tiene la mattina presto. Esperienza indimenticabile è, alle prime luci dell’alba salire su una shikara, e aspettare

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l’arrivo dei commercianti con le loro barche cariche di cipolle, di rape, di scialli filati rozzamente con la lana più pregiata del mondo; donne avvolte in eleganti scialli bianchi da assomigliare a madonne, uomini con la pelle arsa dal sole di montagna e la barba lunga proporre i prodotti delle loro fatiche, a poche rupie. Ma anche l’altra Srinagar è piena di fascino, quella delle vecchie case di legno e mattoni, spesso fatiscenti, addossate sulle due sponde dello Jhelum e delle anguste stradine alle loro spalle. Passeggiando nel dedalo di vicoli che si insinuano tra le moschee e gli animati bazar, qua e là si avverte il profumo penetrante di spezie e dolci, e nella penombra delle botteghe si scorgono venditori in turbante e narghilè che non apprezzano la fretta bensì il lento cerimoniale della trattativa che non è un semplice atto di vendita ma un momento per condividere conoscenze, sentimenti, punti di vista. Dalle prime luci dell’alba e sarà così fino a notte fonda perché, come in ogni parte dell’India la cucina “on the road” prescinde da qualsiasi situazione meteorologica, nonostante l’andamento delle precipitazioni spesso comprometta drammaticamente i raccolti provocando bibliche alluvioni (come nel Kashmir) oppure tremende siccità (come nel Rajasthan) per il ritardo con cui arrivano. Sulla strada si va quotidianamente alla ricerca e alla consumazione non causale del cibo che, per concezione religiosa, deve nutrire corpo e spirito: infatti “quello che mangiamo diventa noi e

noi diventiamo ciò che mangiamo”. Di conseguenza è altrettanto importante la trasformazione delle materie prime, quindi la gastronomia. E quella indiana è una delle più straordinarie e complesse, lo è in particolare perché comprende tante cucine diversissime tra loro così come lo sono le etnie di questa nazione grande come un continente che ogni giorno, per almeno due o tre volte, mette a tavola ben oltre un miliardo di persone. Pur registrando disparità tra regione e regione, le derrate alimentari non mancano più. Infatti per evitare le frequenti carestie che causano sottoalimentazione ed epidemie, sono state realizzate importanti opere per arginare i corsi d’acqua e regolare l’irrigazione dei campi; la “rivoluzione verde” ha introdotto nuove varietà di cerali ad alta resa, le quasi sterili spighe di riso oggi sono turgide, il frumento addirittura si esporta, abbondano frutta e verdura e, forse pochi lo sanno, anche in Italia arrivano i vegetali della fertile pianura indogangetica. Ma il consumo di tutto ciò è condizionato dalle diverse credenze religiose e dalle tradizioni culturali della sua composita popolazione. Così gli indù non mangiano carne bovina, pur contando il Paese oltre 200 milioni di capi (il maggior patrimonio al mondo) utilizzati solo per il lavoro nei campi o per ricavare latte, yogurt, burro e alcuni formaggi; così i musulmani non mangiano il maiale; i giainisti, assolutamente vegetariani, evitano caccia, pesca e agricoltura perché tali attività

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RENZO ANGELINI

Il mercato galleggiante sul lago Dal alle prime luci dell’alba

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provocano la morte di esseri viventi. E, come se non bastasse, ogni casta, ogni setta ha i suoi tabù e le sue regole alimentari. Alcune rifiutano gli ingredienti che accendono la passione come il peperoncino e l’aglio; altri bandiscono i vegetali che maturano sottoterra come i tuberi e le radici; altri suggeriscono il digiuno settimanale nel giorno dedicato alla divinità cui si è devoti. Mentre Cristoforo Colombo faceva rotta verso le Indie e scopriva l’America, dall’altra parte del mondo, nell’India, le truppe del Gran Mogol irrompevano attraverso gole impervie in una vallata tappezzata di fiori nell’ estremo nord del Paese: il Kashmir. Scacciarono i musulmani e decisero che il Paradiso Terrestre si trovava da queste parti. Negli anni in cui in Europa esplodeva il Rinascimento anche il Kashmir viveva una luminosa civiltà e Srinagar, Venezia d’Oriente, entrava nella leggenda. Molte pagine della mitologia indù, in particolare quelle amorose, furono ambientate qui: in particolare la rovente passione fra il dio Shiva e la sua compagna Parvati.

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Il Palazzo dei Venti a Japur,detta “la città rosa”Lake Palace, sul lago Pichola-Udaipur

La Cattedrale giaina a Ranakpur Mercato

Jodhpur detta la “città blu”Interno del villaggio nel deserto di Thar

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Mercato galleggiante

Villaggio nel deserto di Thar

Jaisalmer

Mercato

Jodhpur detta la “città blu”

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Anche per questo il Kashmir fu ribattezzato il “giardino degli dei”. Il Kashmir, pur facendo parte a tutti gli effetti dell’Unione Indiana, possiede un’anima islamica e nutre forti sentimenti indipendentisti. Come sempre ciò comporta lo scorrere del sangue dal dopoguerra ad oggi; nel ’47 è un territorio musulmano governato da un indù, il Pakistan brama ad annetterselo e l’India, appena liberatasi dagli inglesi, è titubante. I pakistani irrompono in Kashmir e i musulmani uccidono gli indù e questi i musulmani. È una guerra santa che si conclude con la annessione all’Unione Indiana, che respinge i pakistani oltre le linee di confine. Per i diciotto anni che seguono i cento milioni di pakistani hanno una idea fissa: liberare i loro correligionari dal giogo indiano. Non è solo una questione religiosa ma soprattutto il controllo dei tre fiumi che attraversano il Kashmir, Indus, Jhelum e Chenab e continuano la loro corsa in Pakistan, il cui controllo è fondamentale per l’ economia del Paese. Nel 1965 scoppia la guerra. India e Pakistan, riforniti di armi occidentali sono rispettivamente appoggiati da Urss e Cina. L’ultimo conflitto risale al 1999 e proseguono ancora oggi le forti tensioni ad opera degli indipendentisti che si battono per un Kashmir libero.

RAJASTHAN: LA TERRA DEI MAHARAJANel nordovest dell’India, al confine con il Pakisthan, c’è una terra vasta quanto l’Italia, che per oltre mille anni è stato teatro dell’epopea di una delle più fiere e indomite razze guerriere del mondo, popolato oggi da 35 milioni di persone sparse tra le fertili valli dell’est e il deserto del Thar a ovest, le tracce di un passato ricco di travolgenti vicende storiche segnano in modo indelebile uno scenario naturale affascinante. I palazzi di Udaipur, che si specchiano nel lago Pichola, Jaisalmer appare come un miraggio nel deserto, la capitale Jaipur detta “la città rosa” dal colore dei palazzi della città vecchia, Jodhpur “la città blu” per il colore delle case del quartiere dei brahmini, l’inno di marmo del tempio di Ranakpur, formano il ritratto di un Paese che sembra uscire dalle pagine di Kipling.

È il Rajasthan, patria dei rajputs, per secoli custodi di un codice d’onore simile a quello della cavalleria europea del Medioevo. Sotto l’impero britannico la regione prese il nome di Rajputana, suddivisa in principati. Ognuno fu governato da un maharaja, cui si devono le più sontuose ville patrizie del Paese. È una terra aspra, alla quale il deserto del Thar e l’abbigliamento variegato e ricercato della gente danno colori brillanti dai contrasti forti e un’atmosfera esotica tra le più coinvolgenti del subcontinente. L’economia della regione si basa sull’agricoltura infatti l’80% della popolazione vive nelle aree rurali e la sua sopravvivenza dipende dall’esito dei raccolti, dominato da un fenomeno fondamentale: il regime monsonico della circolazione atmosferica. Dalla durata e dalla intensità delle piogge monsoniche dipendono sia il raccolto, e di conseguenza l’alimentazione quotidiana ma anche la produzione di energia necessaria per gli usi domestici e industriali. Una piovosità scarsa è causa di siccità, carestie, blocco della erogazione di elettricità con sensibile calo della produzione: una eccessiva piovosità provoca allagamenti, devastazioni nei centri abitati e nelle aree coltivate, il cui risultato è ancora una volta la fame per milioni di famiglie. I cereali fecero la loro comparsa ai primi anni del 3000 a.C.; quelli più coltivati oggi sono il miglio, di cui il Rajasthan è il primo produttore dell’India, consumato soprattutto dai nomadi, il sorgo, coltivato durante la stagione dei monsoni, l’orzo e il frumento coltivati sui terreni irrigati dal canale Indira Gandhi, che bagna la zona occidentale di Bikaner e Jaisalmer. Seguono il sesamo (secondo produttore indiano), arachidi per la produzione di semi oleosi, il mais, genere di prima necessità per le tribù dei monti Aravalli. Infine il cotone, usato per i noti tessuti del Rajasthan, fondamentale per l’economia del Paese. La società rurale ha come unità base il villaggio la cui realtà è rimasta intatta, ed è difficile pensare che il suo futuro possa essere di segno radicalmente diverso. È nei villaggi che ancora oggi hanno piena espressione le caste, nel ben definito sistema di diritti e doveri che le caratterizza.

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RENZO ANGELINI

Donne del Rajasthan nei tipici costumi, durante le attività quotidiane.Sono loro a svolgere i lavori più pesanti, sotto il controllo vigile degli uomini.

“È una terra aspra, alla quale il deserto del Thar e l’abbigliamento variegato e ricercato della gente danno colori brillanti dai contrasti forti e

un’atmosfera esotica tra le più coinvolgenti del subcontinente”

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Il rapporto con la terra è rimasto lo stesso di un secolo fa e le tecniche di coltivazione non sono affatto cambiate. I villaggi sono costituiti di case povere costruite in pietra, fango argilloso, ricoperte in superficie di sterco animale. Lo sterco, utilizzato come combustibile domestico, è un cemento naturale ed economico, un intonaco perfetto, resistente alle piogge più catastrofiche. La corte centrale, spesso con un pozzo e in un lato la stalla, contornata da verande, diventa un punto focale per la vita della famiglia e dove si dorme all’aperto. Intorno al villaggio si usano recinti spinosi di acacia arabica per evitare la fuga degli animali domestici.Ancora oggi l’irrigazione nei campi viene eseguita con la noria, metodo conosciuto nelle regioni centrale e orientale dove l’acqua freatica è facilmente accessibile. I bovini, aggiogati al braccio di trasmissione, fanno girare la ruota principale alla quale sono fissati dei secchi che, entrando nel pozzo, si riempiono di acqua che viene poi convogliata nel canale di irrigazione che scorre nei campi.

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IL SOSTENIBILE MIRACOLO

DEL CORPOSimona Gavioli

Giorgio LupattelliFast Forward (start, M. Bolt)208x120(2009)

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IL SOSTENIBILE MIRACOLO

DEL CORPOSimona Gavioli

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Giorgio LupattelliJust do Itpittura sagomata 250x100 (2002)

Fast Forward (M. Phelps) 310x100 (2009)

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Il corpo. I corpi. La nascita del corpo, il suo uso, la sua idea, la sua morale, il suo senso, la sua potenza, la sua energia, la sua bellezza e ancora il corpo della donna e quello dell’uomo, il corpo di Cristo e il suo senso, il corpo che

nasce, scorre, si evolve, cambia, fiorisce e cresce. Il corpo che matura, muore, si trasforma in materia e si dissolve nella natura integrandosi con essa. Il corpo degli altri e il nostro che osserviamo continuamente. Esiste una cultura del corpo, una manipolazione del corpo, una coscienza del corpo, c’è il sacramento del corpo (di Cristo) e il corpo come contenitore dell’eternità. Il termine corpo in filosofia riespone il significato del linguaggio comune dichiarando come “corpo ogni essere esteso nello spazio e percepibile attraverso i sensi”. Così M. Foucault vede nel corpo un “luogo assoluto” che è sempre altrove, ma legato fortemente a tutti gli “altrove del mondo”. Merleau-Ponty afferma che “il corpo è l’unico mezzo che abbiamo per andare al cuore delle cose” e per Bodei “il corpo è ciò che pone l’uomo in contatto con il mondo” ribadendo che “l’uomo non ha un corpo, ma è un corpo”. Non c’è nulla di così immediato e concreto che attragga e allo stesso tempo respinga quanto un corpo. In lui viviamo, fuggiamo, cerchiamo, amiamo e odiamo, per lui curiamo, ascoltiamo, esultiamo e disprezziamo. Siamo completamente schiavi della nostra corporeità,

cercando complessi equilibri ed esigenti armonie che esaltino il nostro essere fisico. Allora il corpo diventa una specie di carcere dal quale non possiamo ne fuggire ne prescindere, diviene “il luogo senza appello a cui siamo condannati” facendoci raggiungere la consapevolezza che il corpo è, senza remissioni. Un corpo che attraverso i sentimenti ci racconta che siamo “qui e ora” e che, con le sue manifestazioni, si trasforma in uno specchio dell’anima. Il corpo, sfuggendo alla sua origine naturale, è un “filtro culturale” in cui, la società, manifesta gli usi e i costumi di tutte le epoche e culture. Così, l’immagine corporea si modifica e a contatto con il mondo esprime lo stile e il senso della nostra biografia, la storia dell’individuo riflette la sua condizione, la nostra società e il nostro IO. C’è, quindi, il “corpo disprezzato” nel Medioevo, in cui la salvezza passa attraverso la penitenza corporale, c’è “la perfezione delle sfere” nel Rinascimento, c’è il corpo “incipriato e frivolo” nel Settecento e ci sono le varie declinazioni del “corpo-detrito e corpo-

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Giorgio LupattelliFast Forward 150x140(2010)

...Il corpo è ciò che pone l’uomo in contatto con il mondo. Vorrei ribadire che, secondo la filosofia contemporanea, l’uomo non ha un corpo, ma è un corpo. Seguendo questa concezione, corpo ed anima non sono separati. Pure ammettendo che tale separazione ci sia, il corpo può fungere da veicolo per la crescita e per la grandezza dell’anima... remo Bodei

frammento” nell’Ottocento, in cui i corpi cercano di recuperare una bellezza perduta inventando una nuova fede al limite tra raffinatezza, gusto, eccentricità, grazia e “sregolamento dei sensi”. Un corpo s/vestito della sua sensualità e dell’eros in cui si percepisce il crepuscolo tra moralismo e trasgressione. Nel Ventesimo secolo ritorniamo alle origini consacrando come punto di partenza la centralità del corpo e il suo essere nudo o vestito. Il Novecento modifica il corpo, lo rifà, lo reinventa, lo polverizza, lo distrugge per poi rimontarlo, lo reinterpreta, lo travisa, lo modifica, lo maschera, lo distorce, lo interrompe, lo deforma e lo restituisce mostruoso, lo rende un oggetto su cui sperimentare ma soprattutto lo erotizza ricercandone la verità dello spirito. Nell’arte contemporanea il corpo diviene la rappresentazione dello stato d’animo di chi produce l’opera e nella pittura diviene la verità della nostra società. È un corpo su cui si riversa tutto e che abbiamo bisogno di esibire nella sua totalità. E

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Giorgio LupattelliEquilibriumpittura e ferro 250x250(2002)

Il mio corpo, in realtà, è sempre altrove. È legato a tutti gli altrove del mondo. E, a dire il vero, è altrove solo nel mondo. Perché è intorno a esso che le cose si dispongono, è rispetto a esso, e rispetto a esso come rispetto a un sovrano, che ci sono un sopra, un sotto, una destra, una sinistra, un avanti, un dietro, un vicino, un lontano. Il corpo è il punto zero del mondo, là dove i percorsi e gli spazi si incrociano. Il corpo non è da nessuna parte.michel foucault

poi c’è il nuovo millennio, l’anno zero e il ritorno alla pittura pura che vede il corpo nella sua raffigurazione di energia, potenza, forza e bellezza perentoria. Un corpo che attinge la sua immagine dalla televisione, dai giornali e dai nuovi media. Nel Ventunesimo secolo i corpi acquistano luminosità, divengono lucidi, la pelle è liscia e levigata e i muscoli tesi allo sforzo appaiono in tutta la loro dirompenza come nelle opere di Giorgio Lupattelli (Magione, PG). Qui il corpo evidenzia il suo splendore, è quasi un miracolo. Le immagini raffigurano atleti nel momento di massima tensione, pronti allo scatto, in attesa del “pronti, via”. I suoi sportivi si preparano allo start. Sono nuotatori, centometristi o ballerini, tutte eccellenze in procinto di partire, con la muscolatura tesa, la concentrazione trapelante, lo sforzo che fuoriesce dalla tela. Sono uomini e donne che hanno regalato la loro esistenza alla ricerca della perfezione che non è da intendersi solo fisica. La saturazione iperrealista della superficie

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Giorgio LupattelliStartpittura 100x150(2002)

GiorGio LupatteLLi, MaGione, peruGia.Dopo la maturità scientifica si iscrive a ingegneria, dove completa il biennio. In seguito si trasferisce a Firenze per proseguire gli studi in architettura. Il carattere tecnico scientifico del suo percorso formativo si ritrova nella sua ricerca artistica che ha come centro l’uomo contemporaneo in rapporto con la società e con i progressi della tecnologia e della scienza. La sua prima mostra personale risale al 1993 presso la Galleria Neon di Bologna.

La sua galleria di riferimento è Betta Frigieri Arte Contemporanea, Modena.

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dipinta prepara l’attesa del superamento di un limite, c’è sempre la possibilità di non arrivare primi ma si è in gara per esserlo. Così il colore diventa effetto, le sfumature catturano l’emozione, i contorni si muovono come se fossimo noi stessi l’immagine che stiamo guardando. C’è una tensione trasudante in tutta la composizione, la pennellata sembra respirare in attesa della vittoria. Lupattelli rappresenta il corpo al massimo delle sue potenzialità fisiche, nel momento di culmine, lo esibisce ossessivamente mostrandolo nella sua radiosa e quasi eterna giovinezza. Un corpo-mondo, che con la sua figura integrale vuole essere messo a nudo, toccato, sfiorato, conosciuto e visto nella sua intimità. L’estrema concentrazione della pennellata crea un intervallo tra la suspance e ciò che succederà tra pochi minuti. Siamo di fronte a campioni, numeri uno diventando spettatori di una possibile vittoria data dall’unione inscindibile tra corpo e mente. Ma qual è il destino del corpo e cosa significa nelle opere di Lupattelli? È consapevolezza, rispetto, cura, salute, bellezza, fatica, dolore, sport Tutte risposte possibili che dichiarano che il corpo non esiste solo nella bellezza ma anche nella raffigurazione dell’imperfezione (quasi impercettibile), nella tensione della mente, nell’emozione dell’anima. Il destino del corpo lupattelliano è quello di esorcizzare il dolore e la sofferenza, Mens sana in corpore sano, sembrano sussurrarci i suoi sportivi, nel destino hanno un’unica scritta, Just do it, fallo ora.

Simona GavioliCritico e curatore

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LE BIRRE COLLESI DI APECCHIO SUL PODIOALL’INTERNATIONAL BEER CHALLENGE DI LONDRA In linea con l’euforia dei mercati e con il clamoroso fermento nel settore delle birre artigianali italian style, anche la recente ricerca di AssoBirra-ISPO che ha analizzato il consumo di birra in Italia e da cui è emerso che questa bevanda viene oramai consumata dal 71% degli italiani, il suo gradimento cresciuto del 26% nell’ultimo anno ed è la “bevanda preferita” da un italiano su tre, soprattutto tra gli under 55. Le birre Collesi di Apecchio sul podio all’International Beer Challenge di Londra replicano il successo ottenuto di recente negli Stati Uniti e dimostrano che il fermento in questo settore è inarrestabile e non conosce crisi. n poco tempo le birre Collesi si sono, infatti, affermate a New York e Chicago ma anche in Europa. E’ recente il riconoscimento del birrificio di Apecchio ottenuto a Londra, una delle più autorevoli competizioni mondiali dedicate all’alogastronomia, che ha visto premiate la Imper Ale Chiara, con la medaglia d’oro, l’argento alla Imper Ale Nera e alla Triplo Malto, mentre quella di bronzo alla Imper Ale Ambrata.www.collesi.com

NUOVA CONFEZIONE PER IL BRANDY SPAGNOLO CARDENAL MENDOZADa oltre un secolo il Cardenal Mendoza è uno dei Brandy più famosi del mondo. Il suo nome deriva da quel Cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza (1423 - 1495) che tanto favorì Cristoforo Colombo nel suo primo viaggio di scoperta del Nuovo Mondo.Ottenuto da uve autoctone Airén e prodotto tramite una lenta distillazione in alambicchi di rame, il Brandy spagnolo Cardenal Mendoza invecchia per oltre 15 anni in botti che hanno precedentemente contenuto Sherry Oloroso e Pedro Ximenez. Di colore scuro, brillante e luminoso, il Brandy Cardenal Mendoza ha profumo elegante, profondo, con sentori di frutta secca mirabilmente amalgamati a ricordi di rovere; al gusto è pieno, morbidissimo, con retrogusto persistente e molto equilibrato.A temperatura ambiente, è un distillato straordinario per concludere un pranzo o una cena importante, ed è accompagnamento di elezione per un grande sigaro caraibico; unito a ghiaccio e soda, può essere usato splendidamente anche nel bere miscelato.

Da oggi il celebre distillato iberico rinnova il suo astuccio cambiando la forma della confezione - da rotonda a quadrata - e colore - da beige chiaro a bruno scuro - evidenziando maggiormente la leggendaria etichetta gialla.www.rinaldi.biz

PIOGGIA DI MEDAGLIE PER I CALVADOS BOULARDFondata nel 1825, la Maison Boulard è stata la prima Società nel Calvados a integrare tutta la filiera produttiva:

dalla produzione delle mele (di cui seleziona ben 120 qualità differenti), alla produzione del sidro base (100% del proprio fabbisogno), fino alla doppia distillazione del Calvados (100% A.O.C. Pays d’Auge, la denominazione più pregiata). La Boulard opera una rigorosa selezione fra famiglie diverse di mele. Tutte le mele devono provenire dalla regione Pays d’Auge, come pure all’interno dei confini della regione devono svolgersi la produzione del sidro base e il processo di doppia distillazione del Calvados. Il 2012 è stato finora prodigo di medaglie e riconoscimenti per la Maison Boulard: medaglia d’oro, doppia medaglia d’oro, menzione di “Best Brandy in Show”, menzione di “Best Calvados” al “San Francisco World Spirits Competition”; finalista, con menzione “Excellent, highly recommended” all’“Ultimate Beverage Challenge” di New York; una medaglia d’oro e due medaglie d’argento al “Concours Mondial de Bruxelles” e altre due medaglie d’oro al “Concours des A.O.C. de Cambremer”.I celebri Calvados possono essere apprezzati lisci, on the rocks o come ingredienti di prestigiosi cocktail e long drink, e possono inoltre completare egregiamente molte raffinate preparazioni gastronomiche.www.calvados-boulard.com - www.rinaldi.biz

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COME ANDARE “OLTRE IL TERREMOTO”?Un evento per promuovere 22 prodotti DOP e IGP dell’area colpita dal sisma.

Roberta Filippi

“La ricostruzione del territorio passa attraverso un provvedimento legislativo che dà vantaggi fiscali per ripartire”. Con queste parole Tiberio Rabboni, Assessore all’agricoltura, economia ittica, attività faunistico venatoria della Regione Emilia-Romagna, ha aperto il convegno “Oltre il terremoto”, svolto il 13 luglio a Villa Fondo Tagliata di Mirandola (Mo) e organizzato da Karpòs, in collaborazione con le Regioni Lombardia, Emilia-Romagna e QN (Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione), e moderato da Beppe Boni, vice direttore de Il Resto del Carlino.

“Si tratta di due fondi”, ha spiegato Rabboni: “Un fondo generale di 2 miliardi e mezzo di euro per la ricostruzione anche dei “muri”, e poi un fondo agricolo di 140 milioni di euro destinati a risarcire i danni alle imprese agricole danneggiati dal terremoto. Attraverso il Credito Bancario c’è inoltre anche un fondo destinato a chi vuole ripartire immediatamente: ciò permetterà di attingere a questi soldi con un costo per le imprese agricole pari all’euribor 6 mesi mettendo a carico del decreto tutti gli altri costi dell’anticipazione bancaria. È il risultato di un atto di solidarietà delle regioni italiane e dello stesso Ministero dell’Agricoltura nei confronti dell’Emilia-Romagna”. Ma quanto messo insieme da Renzo Angelini, direttore di Karpòs è stato un confronto unico: far conoscere i 22 prodotti d’eccellenza IGP e DOP colpiti dal sisma, rendendo consapevoli i consumatori della loro importanza strategica per l’economia del nostro Paese. Perché il miglior sostegno alle aziende colpite dal terremoto è proprio la loro preferenza verso prodotti che, nonostante i danni subiti, continuano a presidiare i mercati. Avete mai visto il Consorzio del Parmigiano Reggiano accanto a quello del Grana Padano? Quello dell’asparago verde di Altedo e del melone mantovano confrontarsi con il Consorzio del Salame Cremona? Tutti uniti per un

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unico obiettivo: ripartire. Come hanno fatto e stanno facendo in molti della zona. “Per quanto riguarda l’IGP” spiega Enrico Corsini in rappresentanza del Presidente Cesare Mazzetti del Consorzio Aceto Balsamico di Modena IGP, “tre aziende di Carpi, Cavezzo e Solara di Bonporto hanno avuto problemi strutturali ma nel giro di 40 giorni, a tempi di record, sono riusciti a ripartire”. “La provincia di Modena è stata quella più colpita dal sisma”, ha sottolineato l’Assessore all’Agricoltura e alla qualità del territorio rurale della Provincia di Modena Gian Domenico Tomei. “Il 50% delle aziende agricole della provincia di Modena sono state danneggiate dal sisma. Il danno maggiore si è avuto col Parmigiano Reggiano che rappresenta, per la provincia di Modena, il 40% del lordo vendibile. Ma ci sono ovviamente tutte le altre produzioni: dai lambruschi agli aceti balsamici sia DOP che IGP”.“Mantova ha visto come evento insolito quello di un milione e mezzo di forme atterrate che tradotte in euro corrispondono almeno a 90 milioni di euro in termini di valore di prodotto” dichiara Maurizio Castelli, Assessore allo sviluppo economico e politiche agroalimentari della provincia di Mantova. “È stato stimato che i danni al sistema agroalimentare è di 270 milioni solo nella provincia Mantova. Tra questi

si contemplano i danni alle strutture delle imprese agricole e allevamenti (circa 106/107 milioni) e ai caseifici (20 milioni circa). Bisogna tener conto anche delle operazioni di ripristino come l’asportazione delle macerie, la riattivazione dei magazzini (altri 10 milioni) e di bonifica (40 milioni)”. Per superare questo momento e andare «oltre il terremoto» c’è chi ha pensato ad azioni di bonifica già messe in atto per evitare grosse problematiche a ottobre-novembre. E ora scatta la paura che tutto il sistema della filiera ceda e non tutte le cooperative riescano ad intervenire. È il direttore generale del Consorzio per la tutela del Grana Padano Stefano Berni a rimarcare che “le difficoltà ci sono: sono state atterrate 300.000 forme, più della metà delle quali sono già andate in discarica o in fusione. Rispetto al Parmigiano Reggiano abbiamo avuto comunque meno danni. Siamo riusciti ad attivare una catena di solidarietà interna: i 120 caseifici non danneggiati aiuteranno i 30 caseifici con difficoltà ad attenuare i danni. Al consumatore richiediamo di comprare un po’ più Grana Padano e Parmigiano Reggiano invitandoli a non farsi ingannare da coloro che «scimmiottano» i formaggi italiani fingendosi tali”.Fortunatamente la produzione del Parmigiano Reggiano, come informa il Direttore del consorzio

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Stefano Berni, Anna Anceschi, Riccardo Deserti, Paolo Ferrari

Ermi Bagni e Enrico Corsini

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Riccardo Deserti, è tornata ad essere quella pre-terremoto. Ma nel «guardare oltre», il prof. Michele Carruba, evidenzia un dato allarmante: “La popolazione mondiale sta crescendo vertiginosamente e fino ad ora abbiamo avuto energia in termini di nutrimenti. Assumiamo cibo 4 volte al giorno ma non sempre lo facciamo con razionalità nello scegliere cosa mangiare. «Noi siamo quello che mangiamo», le nostre cellule vivono qualche mese o qualche giorno e vengono ricambiate in funzione di quello che ingeriamo. È quindi molto importante razionalizzare ciò che mettiamo in bocca perché questo fa della nostra «macchina umana» una «macchina in salute che funziona bene» o una «macchina che si inceppa». Essenziale, dunque, capire la sostenibilità dell’alimentazione del mondo: un miliardo di persone muore per mancanza di cibo e un altro miliardo, invece, muore per eccesso. La scienza ha dimostrato attualmente che le malattie che più ci inquietano sono legate ad una cattiva alimentazione. “Possiamo prevenire il 40% dei tumori solo mangiando bene e il 50% delle malattie vascolari cercando di non diventare obesi”. È stato poi compito di Renzo Angelini, concludere l’evento: “Abbiamo colto l’occasione per dare un segnale, una mano indiretta, a coloro che hanno subito questo grave disagio. È diventata un’occasione per accendere un faro sulle tipicità di queste provincie che fanno del made in Italy un riconoscimento riconosciuto nel mondo. L’agricoltura non è solo produzione ed economia ma è cultura, trasferimento di conoscenze, l’elisir di lunga vita, del benessere”.

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KARPÒS IN ABBONAMENTODa oggi è possibile riceverela rivista direttamente a casa vostra.Non perdete l’incredibile offerta!www.karposmagazine.net

Roberta FilippiGiornalista

Alberto Zambon, Mauro Aguzzi, Neda Barbieri, Alessandra Ravaioli

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SPETTACOLO E MAGIA CON I COCKTAIL MOLECOLARI “MIXOLOGY BY PERRIER”I cocktail molecolari si ispirano alla celebre pratica della gastronomia molecolare, ovvero l’applicazione alla cucina tradizionale di conoscenze scientifiche anche estranee al mondo del cibo. Non solo un piacere da bere ma soprattutto uno spettacolo da ammirare. E Perrier, la più celebre fra le acque minerali internazionali, espressione di un mondo glamour e di una nightlife esclusiva e accattivante, diviene l’ingrediente perfetto per una miscelazione fuori dai consueti schemi con cocktail molecolari inediti e spettacolari, firmati Mixology by Perrier e realizzati dal guru della mixologia d’avanguardia Laurent Greco, patron della Liquid Chef di Parigi, conosciuto in tutto il mondo per ingegno e professionalità e che ha messo la sua arte a servizio di Perrier. Ed è dalla genialità del maestro francese che nascono cocktail mozzafiato come il Perrier Moijto Cube, un grande e intramontabile classico realizzato in chiave moderna e chic dove, grazie all’alternarsi di solido/liquido, si aggiungono nuove sensazioni di sapore; il Perrier Black Currant Sushi, un “tocco” di fascino d’Oriente che appaga il palato e sorprende la vista, che la donna potrà offrire al proprio uomo diventando la sua “geisha per una sera”; il Magic Perrier, drink insolito e particolare, una vera e propria magia che si svela a poco a poco sul bancone. Questi sono solo alcuni tra i numerosi cocktail molecolari creati grazie alla preziosa aggiunta di Perrier, che hanno sedotto e conquistato i locali più cool ed esclusivi del mondo, stuzzicando i palati da Londra a San Paolo, passando per i lounge bar di Parigi, New York e Seul.www.perrier.com - www.rinaldi.biz

NUOVI CEREALI SPECIAL K® CLASSIC PER LE DONNE CHE DESIDERANO DI PIÙ DALLA PRIMA COLAZIONESpecial K®, da sempre vicino alle donne che desiderano prendersi cura della propria forma in ogni momento dell’anno, ha rinnovato la sua formula di prodotto per rispondere alle esigenze delle consumatrici che non si accontentano e che desiderano di più dalla loro prima colazione. Pensati per chi vuole stare in forma sin dal primo pasto della giornata, i nuovi cereali Special K® Classic, deliziosi fiocchi di riso, frumento integrale e orzo sono ancora più croccanti e gustosi, fonte di fibre, ricchi di vitamine e ferro e sempre con solo l’1,5% di grassi. Special K® aiuta le donne a vivere un rapporto equilibrato con il cibo, sin dalla prima colazione, senza troppe rinunce o sacrifici, e le incoraggia a sorridere allo specchio ed essere soddisfatte di se stesse. Sicurezza, radiosità, fiducia e vitalità sono alcune delle “conquiste” della donna Special K®. Le consumatrici Special K® possono creare programmi alimentari personalizzati disponibili gratuitamente sul sito internet e visitare la nuova pagina Facebook Special K Italia.www.myspecialk.it

SELENELLA, IL CONSORZIO CAMBIA NOME Il “Consorzio delle Buone idee”, nato nel 2000 con il compito di valorizzare la produzione del territorio bolognese, cambia il proprio nome in “Consorzio Patata Italiana di Qualità” rendendo così più chiara la mission: italianità ed eccellenza qualitativa. Selenella è la patata 100% italiana. La provincia di Bologna è diventata uno dei territori più attivi in Italia nella promozione e valorizzazione della patata. Come Consorzio vengono adottati rigorosi sistemi di certificazione, dalla rintracciabilità di filiera con cui si identifica la patata, alla fase di raccolta e confezionamento, fino alla certificazione di prodotto con cui si garantisce lo standard qualitativo secondo le stringenti specifiche del disciplinare del Consorzio prevedendo l’adozione di tecniche di produzione integrata rivolte alla tutela dell’ambiente e della salute limitando al minimo l’utilizzo di fertilizzanti ed antiparassitari. Selenella ha così ottenuto il marchio QC - Qualità Controllata della regione Emilia-Romagna che disciplina e verifica con rigidi controlli l’intero processo dalla coltivazione al post-raccolta. Il nuovo marchio “Consorzio Patata Italiana di Qualità” vuole rappresentare tutto ciò, anche graficamente attraverso la raffigurazione dell’accurata rincalzatura del terreno sotto cui hanno dimora le patate durante il processo di crescita, sormontato da tre foglie il cui tricolore simbolizza l’italianità della produzione.www.selenella.it

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KARPÒSALIMENTAZIONE E STILI DI VITA

ANTEPRIMA N° 5ALIMENTAZIONEPREVENZIONEE SALUTEALIMENTAZIONE OGGIDA DOVE DERIVA IL LATTEGiovanni Savoini

AGRICOLTURA OGGIIL TEMPO DELLE MELESilviero Sansavini

AGRICOLTURA OGGIPICCOLI FRUTTI,RISORSA DEL PIEMONTEMichele BaudinoSilvio Pellegrino

ALIMENTAZIONE E SOCIETÀLA TENEREZZA DELLACARNE BOVINAVittorio Dell’OrtoGianluca Baldi

GEOGRAFIE DELL’OLIOVIAGGIO NELL’ITALIA OLIANDOLALuigi Caricato

Giovanni BallariniPresidenteAccademia Italiana della Cucina

Paolo BalsariDEIAFAUniversità degli Studi di Torino

Corrado BarberisPresidente INSOR(Istituto NazionaleSociologia Rurale)

Alessandro BertacciniUrologoUniversità degli Studi di Bologna

Samantha BialeNutrizionista di “Occhio alla spesa” e “Linea Verde”, giornalista, diet coach

Paolo Bruni Presidente Cogeca (Confederazione Cooperative Agroalimentari Europee)

Giorgio Cantelli FortiPresidente Polo ScientificoDidattico di RiminiUniversità degli Studi di Bologna

Ettore Capri Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale - Università Cattolica del Sacro Cuore (PC)

Luigi CaricatoOlio Officina

Michele CarrubaDirettoreCentro di Studi e Ricerca sull’ObesitàUniversità degli Studi di Milano

Dario Casati Prorettore VicarioUniversità degli Studi di Milano

Federico Castellucci Direttore Generale OIVOrganizzazione Internazionale della Vigna e del Vino

Sergio Coccheri Professore Ordinario di Malattie Cardiovascolari Università degli Studi di Bologna

Paolo De Castro Presidente Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo

Ambrogio De Ponti Presidente Unaproa

Roberto Della Casa Università degli Studi di Bologna - Polo di Forlì

Carlo Fideghelli CRA - FRU (Centro di Ricerca per la Frutticoltura - Roma)

Maurizio Gardini Presidente Fedagri Confcooperative

Maria Lodovica Gullino Centro AgroinnovaUniversità degli Studi di Torino

Giovanni Lercker Dipartimento di Scienze degli AlimentiUniversità degli Studi di Bologna

Vitangelo Magnifico Già Direttore Centro di Ricerca per l’Orticoltura Pontecagnano (NA)

Alberto Marcomini Scrittore e giornalista

Ornella MelogliIstituto Ricovero e Curaa Carattere Scientifico, San Raffaele - Milano

Antonio PascaleScrittore

Walter PasiniDirettoreCentro Travel Medicine and Global Health

Corrado PiccinettiFacoltà di Scienze Università degli Studi di Bologna

Michele PisanteAgronomia e Coltivazioni Erbacee Università degli Studi di Teramo

Gianfranco Piva Università Cattolica del Sacro Cuore (PC)

Francesco Salamini Fondazione Edmund Mach San Michele all’Adige (TN)

Marcelo Sànchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze

Silviero Sansavini DCA (Dipartimento di Colture Arboree)Università degli Studi di Bologna

Claudio ScaliseSG Marketing AgroalimentareBologna

Attilio Scienza Di.Pro.Ve. (Dipartimento di Produzione Vegetale)Università degli Studi di Milano

Daniele Tirelli IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione) Milano

Luciano Trentini Vicepresidente AREFLH (Associazione delle Regioni Europee Ortofrutticole)

COMITATO SCIENTIFICO

W W W . K A R P O S M A G A Z I N E . N E T

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