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36 37 CRISIS, BRECHT AND AWARENESS EXPERIMENT AL JETSET “Possiamo mostrare un’immagine, ma allo stesso tempo, vogliamo essere sicuri che l’osservatore abbia la consapevolezza di guardare ‘solo’ un immagine. Non vogliamo catturare l’osservatore in qualche sorta di illusione…” KRISIS - Rob Stolk, padre di Marieke, fu uno dei fondatori del movimento Provo, un collettivo anarco/situazionista che agiva in Olanda durante gli anni ’60. Il movimento produsse una cr iti- ca radicale verso le autorità, e una riflessione sul ruolo dei media e della comunicazione nella società moderna. In che modo il loro pensiero ha influenzato il vostro lavoro? EXPERIMENTAL JETSET - Prima di cominciare a rispondere a questa domanda, desideriamo respingere il termine “Situa- zionista” che avete usato nella vostra descrizione del movi- mento Provo. Intendiamo aggiungere una sfumatura a questa precisazione: è vero che, in una vecchia intervista (pubblica- ta in Studio Culture , Unit Editions, 2009), abbiamo menziona- to un collegamento tra Provo e l’Internazionale Situazionista. Quando scrivemmo questo, ci riferivamo nello specifico alla figura di Constant Nieuwenhuys (meglio noto come “Con- stant”), che fu un importante membro dell’Internazionale dal 1957 al 1960, e divenne poi un personaggio centrale all’inter- no di Provo. Le idee di Constant a proposito della Nuova Babi- lonia e dell’Homo ludens (una concezione originaria di Johan Huizinga) ebbero una grande influenza sulla filosofia Provo. Così Constant può essere considerato come il principale collega- mento tra il movimento Provo e l’Internazionale Situazionista. Ma è importante ricordare che Constant smise di essere mem-  bro dei situazionisti nel 1960, quando venne “scomunicato” da Débord. In altre parole, se Provo fu sicuramente influenzato dal Situazionismo, si trattava del Situazionismo “Constantiano  più che di quello “Débordiano”. Volevamo solo chiarire questo. Ora, per rispondere alla vostra domanda... Provo ci ha influen- zati in molti modi: in via diretta e indiretta. Parlare di questa particolare influenza ci fa sempre sentire un poco goffi e “finti”. La verità è che troviamo davvero difficile comparare noi stes- si a Provo. Provo fu un movimento avventuroso, progressista, profondamente sovversivo; in confronto ai Provo, noi non sia- mo che un gruppo di tranquilli, compassati graphic designer.  Viviamo vite completamente diverse, in tempi completamente diversi, tuttavia riteniamo davvero importante parlare dell’in- fluenza che Provo ha avuto su di noi. Oggi molti giovani attac- cano i babyboomers , rinnegando le conquiste della generazione Sixties. Noi pensiamo sia importante far valere i propri diritti, e riconosciamo il fatto che ci sentiamo molto ispirati da questa cosiddetta generazione baby boom, in particolare da movimenti come Provo, la rivolta studentesca nella Francia del ’68, il movi- mento Hippie negli Stati Uniti, Tropicalia in Brasile, ecc Come già detto, Provo ci ha influenzati in maniera diretta e indi- retta. Un legame davvero diretto tra noi e Provo è ovviamente il fatto che Marieke è figlia di Rob Stolk, uno dei principali fonda- tori di Provo. Il legame tra Marieke e Rob è sicuramente molto forte. Ma allo stesso tempo, è una questione difficile da esprime- re a parole, proprio perchè è un legame così pers onale. Rob morì nel 2001, e ci s entiamo ancora emotivamente coinvolti da questo. Cosi è più facile, per noi, parlare dell’influenza indiretta che Pro- vo ha avuto su di noi come designer. Il fatto è che, anche se il movimento Provo è esistito solo per un paio d’anni (1965 -1967), ha avuto un grande impatto sulla società olandese: introdus- se nelle coscienze olandesi un senso di assurdo, di sovversione. Provo ha liberato un’intera generazione per sempre, e introdotto nella mentalità olandese un nuovo modo, più creativo e giocoso, di vedere il mondo. L’influenza di Provo è ancora evidente nella cultura olandese. Non importa quanto ben organizzata l’Olanda sembri essere, ci sono sempre dei  glitch, dei momenti di assur- do, delle correnti di antiautoritarismo. Questa è eredità di Pro- vo. Nel nostro lavoro, cerchiamo di evocare la stessa tensione trà ordine e assurdità. Da una parte, facciamo riferimento a un lin- guaggio grafico molto preciso, un linguaggio che ha molto a che fare con sistemi, format, ordine e organizzazione. D’altra parte, proviamo a usare questo linguaggio oggettivo in modo molto  soggettivo. Usando elementi funzionalisti in maniera personale, emotiva, quasi poetica, cerchiamo di creare un linguaggio che sia allo stesso tempo costruttivo e decostruttivo. Questa è la nostra personale interpretazione dell’eredità Provo. K - Pensate che i designer della comunicazione abbiano respon- sabilità circa il proprio ruolo nella società dei media? EJ - Forse  responsabilità è una parola troppo forte. Suggerisce che ogni singolo designer possa essere completamente impu- tabile per ciò che ha fatto in passato. In fondo questo è vero, e ogni individuo è imputabile per le proprie azioni. Ma d’altro canto, questo punto di vista suona troppo “impietoso”. Credia- mo nelle “circostanze mitiganti”, e odiamo giudichiare gli altri. Così “consapevolezza” potrebbe essere una parola più appro- priata. Come graphic designer, cerchiamo costantemente di essere consapevoli del fatto che siamo coloro che danno una forma materiale al mondo in cui viviamo. Spesso citiamo questa frase di Marx, forse troppo spesso, ma questo è il nostro personale motto: “se l’uomo è formato dal proprio ambiente, il suo ambiente deve essere fatto umano”. Questo è ciò di cui cerchiamo di rimanere consapevoli, costantemente. Ad ogni modo, di nuovo, non vogliamo imporre questa consa- pevolezza agli altri designer. Potrebbero esistere designer com- pletamente inconsapevoli del proprio ruolo nella società, ma che intuitivamente fanno la cosa giusta. E poi potrebbero esistere designer che sono molto consapevoli del proprio ruolo, ma che erroneamente fanno la cosa sbagliata. La consapevolezza non funziona allo stesso modo per tutti. Così non vogliamo forzare la nostra consapevolezza ad altri designer. Ognuno deve trovare la propria forma di consapevolezza, crediamo. K - In lavori come Disrepresentationism Now e Lost Formats sembrate occuparvi, in modo diverso, dei problemi legati alla Società dell’Immagine. Potete introdurre l’idea di base che gui- da questi progetti? EJ - Appena laureati, abbiamo letto La società dello spettaco- lo, di Débord, ed ebbe un grande impatto su di noi. Quel libro cambiò il nostro modo di guardare alla realtà: diventammo con- sapevoli della disconnessione tra gli oggetti e le loro immagi- ni, della crescente distanza tra il mondo materiale e quello del- la rappresentazione e, proprio come Débord, vedevamo questa “disconnessione” come la principale causa di alienazione nella società contemporanea. Così, per un breve periodo, diventam- mo piuttosto ossessionati dalla questione della rappresentazio- ne. Scrivemmo alcuni testi dogmatici sull’argomento ( Disrepre-  sentationism Now, Experimental Jetset versus The World , ecc) e producemmo alcuni lavori sull’argomento. Eravamo comple- tamente contrari alle rappresentazioni: provavamo ad evitar- le, per quanto possibile, e a sbarazzarci di immagini, proie- zioni e illusioni. Eravamo piuttosto fanatici al riguardo. Ora, anni dopo, siamo diventato in qualche modo più morbidi, più miti in un certo senso. Abbiamo realizzato che rappresenta- zioni ed immagini sono a volte inevitabili. Il nostro metodo è cambiato: invece di evitare le rappresentazioni a tutti i costi, proviamo ora a mostrare la costruzione della rappresentazio- ne. È un approccio più “Brechtiano” al problema, crediamo. Così possiamo mostrare un’immagine, ma allo stesso tempo, vogliamo essere sicuri che l’osservatore abbia la consapevolezza di guardare “solo” un immagine. Non vogliamo catturare l’os- servatore in qualche sorta di illusione: vogliamo renderlo consa- pevole che sta guardando inchiostro su carta. Solo inchiostro su carta: né più, né meno. Attraverso pieghe, forature, sovrastam- pe, spazi bianchi ecc. vogliamo essere sicuri che la falsa illusione delle immagini sia distrutta, e che l’oggetto appaia all’ossevatore come un “oggetto-umano”: un oggetto creato dall’uomo, e che quindi può essere cambiato dall’uomo.  K - Pensate che la direzione presa dalla società post-capitalistica abbia raggiunto un punto di non-ritorno o esiste ancora la pos- sibilita di prendere un’altra direzione? Pensate che l’attuale crisi possa aiutare a ripensare il presente? EJ - A rigor di logica, ogni punto nella storia è un “punto di non- ritorno”, poiché è impossibile tornare indietro nel tempo. (Per- sonalmente crediamo molto nel progresso, nell’idea che la storia stia andando da qualche parte, e che ci muoviamo costantemen- te in avanti. Tuttavia, non crediamo in un semplice, lineare pro- gresso: la storia funziona attraverso un complesso sistema di movimenti dialettici e paradossali. È un complicato pattern di tesi, antitesi e sintesi, e per noi è impossibile sapere che ruolo giochiamo all’interno di questo pattern. Quindi, alla fine, quello che possiamo fare è semplicemente stringerci alla nostra mora- le, alla nostra etica, alla nostra creatività e razionalità, sperando di giocare il giusto ruolo nella storia. A proposito della crisi, bisogna ammettere che il nostro pun- to di vista sul mondo è ancora molto influenzato da Débord nel senso che ancora vediamo la società dello spettacolo come la principale fonte di problemi. Nel caso di questa crisi econo- mica, è piuttosto evidente che i principali problemi siano cau- sati da una catastrofica disconnessione tra la base materiale (il concreto valore delle cose) e il mondo delle rappresentazioni (il valore virtuale delle cose, in quanto mediato da mercati, scam-  bi, debiti, ecc.). In questo senso, l’attuale crisi economica è prin- cipalmente una crisi di rappresentazione. Così, da un punto di vista Situazionista, la crisi è una cosa buona poiché segna la distruzione (benchè momentanea) della bolla della rappresen- tazione. La crisi mostra a tutti l’intima falsità delle immagini, delle proiezioni, dei valori. La fine della realtà virtuale (alme- no per ora). Per un Situazionista, questa è una buona notizia. Ma da un punto di vista più umano, la crisi è ovviamente terribi- le. Sta privando intere famiglie delle loro case, dei loro lavori, dei loro redditi. È facile per noi parlare in termini teorici, ma in fon- do si tratta di una realtà davvero feroce ed oscura. Non dovrem- mo mai dimenticarlo. ExperimentalJetset 

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