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LEZIONE: “LA LEADERSHIP (PRIMA PARTE)PROF. ROBERTA TEMPONE

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La leadership (Prima parte)

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1  PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 

1.1.  ESISTE UNA LEADERSHIP OTTIMALE? ----------------------------------------------------------------------------------- 3 1.2.  E QUALI SONO I VALORI FONDAMENTALI DELLA LEADERSHIP? ------------------------------------------------------ 3 1.3.  QUALI SONO LE STRADE POSSIBILI PER DIVENIRE UN BUON LEADER? ----------------------------------------------- 3 

2  TEORIE SULLA LEADERSHIP: ------------------------------------------------------------------------------------------ 4 

2.1  “LA LEADERSHIP SITUAZIONALE” ------------------------------------------------------------------------------------------- 4 

3  L’ANALISI E LA DEFINIZIONE DELLE SITUAZIONI ------------------------------------------------------------ 5 

3.1  LA “MATURITÀ” PROFESSIONALE ------------------------------------------------------------------------------------------- 5 

4  GLI STILI DI COMPORTAMENTO DEL LEADER ------------------------------------------------------------------ 8 

5  CONSIDERAZIONI GENERALI ----------------------------------------------------------------------------------------- 11 

6  LA LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE --------------------------------------------------------------------------- 16 

7  LA LEADERSHIP TRANSAZIONALE ---------------------------------------------------------------------------------- 19 

8  SUCCESSIVE INTERPRETAZIONI: HOUSE E LA LEADERSHIP CARISMATICA ---------------------- 21 

9  SUCCESSIVE INTERPRETAZIONI: BASS E IL CONTINUUM DELLA LEADERSHIP ------------------ 23 

10  LEADERSHIP CHALLENGING (KOUZES, POSNER, 1987) ------------------------------------------------------ 24 

11  LEADERSHIP EMPOWERING (SENGE 1990), NANUS E DOBBS, (1999)------------------------------------- 26 

12  BIBLIOGRAFIA -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 27 

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1 Premessa Oggi la leadership è più che mai la continua ricerca della migliore integrazione tra

comportamenti, contesto e bisogni, che condurranno al processo decisionale in un percorso

mutevole e in continuo adattamento alle realtà emergenti. In sintesi, la leadership ottimale non è quella definita in un elenco di attributi che un leader

deve avere. Piuttosto, é la sua capacità di "leggere" gli eventi insieme alla sua organizzazione e di

adattare velocemente l'attività organizzativa al nuovo presente.

1.1. Esiste una leadership ottimale? Il valore di un leader si misura sulla base dell'impegno volto a scoprire e a far emergere le

capacità altrui.

Essere leader degli altri comporta in primis esserlo per sè stessi; dire sì a se stessi è il

presupposto per fare dire sì ai propri collaboratori.

1.2. E quali sono i valori fondamentali della leadership? La capacità di ascolto è una delle caratteristiche che permette al leader di entrare in empatia

con il collaboratore. L'accettazione dell'altro per quello che è nella sua individualità e nei suoi

bisogni senza pregiudizi è fondamentale. Occorre saper dire sì ai cambiamenti e gestire ogni

situazione come opportunità.

1.3. Quali sono le strade possibili per divenire un buon leader? Una delle possibili soluzioni può essere ricorrere al coaching, un servizio di consulenza

volto a rendere ciascuna persona leader di sè stesso e dei propri collaboratori.

Attraverso una relazione efficace creata con colloqui strutturati il coach aiuta il leader nel

processo di consapevolezza e di accettazione completa di sè stesso.

1.4 Quali benefici ne scaturiscono? Il leader, manifestandosi in modo autentico pur nel rispetto del ruolo, genera autenticità e

tensione positiva tra i collaboratori, in modo da raggiungere il massimo rendimento nel tempo

prestabilito. Sviluppa un clima di squadra entusiasmante e vincente. Diventa "forza" e non solo

guida per il suo team. Crea la capacità di far leva soltanto sulle proprie forze, crea fiducia,

autostima, senso di responsabilità

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2 Teorie sulla leadership:

2.1 “La leadership situazionale”

La capacità di agire più stili di leadership

L’aspetto più significativo della teoria della leadership situazionale, elaborata da Hersey e

Blanchard negli anni ’70, è di aver superato i “dogmatismi” delle precedenti teorie sulla leadership,

affermando che non esiste un modo “giusto” di essere leader, non è possibile definire un solo stile

di leadership che sia coerente alle diverse possibili situazioni ma, al contrario, lo stile deve essere

scelto in funzione delle diverse situazioni e delle diverse caratteristiche dei destinatari che il

capo si trova di fatto a gestire. Verrà usato in questa dispensa il termine “capo”, gestore di

risorse umane, come sinonimo di leader in quanto si propone l’approccio di Hersey e Blanchard

come possibile griglia di lettura dei comportamenti dei collaboratori.

Si tratta di una visione sistemica del rapporto capo-dipendente, nel quale il comportamento

dell’uno è influenzato da - e nello stesso tempo influenza - il comportamento dell’altro; la terza

variabile influenzante sono le caratteristiche del contesto nel quale si sviluppa la relazione stessa.

La griglia di diagnosi proposta da questa teoria offre indicazioni molto operative, utili per

determinare il comportamento, lo stile del leader più coerente allo scopo di incidere positivamente

sul collaboratore e stimolare così la sua crescita professionale.

Possiamo porci fondamentalmente due ordini di domande:

1. come analizzare e definire le situazioni;

2. quali sono i comportamenti suggeriti per il leader, gli stili più coerenti.

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3 L’analisi e la definizione delle situazioni

3.1 La “maturità” professionale Gli autori propongono una chiave di lettura del concetto di “maturità professionale”

considerando sia la “competenza nel lavoro” sia la “maturità psicologica”, vale a dire il rapporto

che il dipendente sviluppa con il ruolo e con l’organizzazione.

La “maturità nel lavoro” è la competenza professionale specifica, l’esperienza maturata

nello svolgere un particolare lavoro, nel raggiungere un determinato obiettivo.

La “maturità psicologica” è la disponibilità e la volontà di assumersi in prima persona le

responsabilità che derivano dagli obiettivi assegnati: l’impegno nello svolgere il proprio lavoro, lo

spirito di iniziativa, l’affidabilità relativa ai comportamenti organizzativi, il senso di appartenenza al

team e all’organizzazione.

Se un individuo o un gruppo, possiede sia maturità lavorativa che maturità psicologica,

emerge un’altra dimensione della maturità che ne rappresenta un po’ la sintesi: l’autonomia, che

definiamo qui come la capacità di stabilire obiettivi di lavoro personali elevati ed ambiziosi, ma

nello stesso tempo realistici e raggiungibili.

Possiamo affermare quindi che un individuo o un gruppo ha una “maturità alta” quando:

� Possiede le competenze e le capacità necessarie per svolgere un lavoro.

� E’ disponibile ad assumersi le responsabilità che ne derivano.

� E’ capace di prefiggersi obiettivi ambiziosi e raggiungibili.

� Sente appartenenza e si identifica con gli obiettivi comuni.

Un gestore di risorse umane ha il compito di diagnosticare, anche se a grandi linee, il livello

di maturità complessiva che ogni singolo individuo possiede, per poter decidere con consapevolezza

come guidarlo verso uno sviluppo funzionale.

Inevitabilmente la maturità è anche in funzione delle caratteristiche dello specifico compito

e del contesto all’interno del quale viene richiesto il risultato; si tratta quindi di analizzare il livello

di complessità e di “novità” del compito e dell’ambiente, in rapporto alle caratteristiche di

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maturità dei collaboratori.

Va sottolineato che a determinare la maturità non sono i “valori assoluti” ma il rapporto

relativo tra caratteristiche dell’individuo, del gruppo, del task e dell’ambiente.

In questo senso si comprende come la maturità dei collaboratori non è un dato stabile,

acquisito per sempre, ma può variare fortemente, come già detto, in funzione della complessità del

compito e/o del contesto nel quale si opera.

Si rende a questo punto necessario “classificare” i diversi gradi di maturità, in modo da

poterli poi correlare ai diversi comportamenti del leader.

E’ opportuno ribadire che non esistono sistemi oggettivi che consentano di “misurare” una

dimensione complessa come quella della maturità.

E’ la conoscenza che il responsabile ha dei suoi collaboratori, la sua valutazione delle

prestazioni e del potenziale, che gli permette di allocare ognuno in un’area della griglia proposta dal

modello, al fine di scegliere consapevolmente quale stile di leadership ritiene più idoneo per la

crescita professionale e personale dei sui dipendenti.

Si evidenziano quattro livelli di maturità (M):

Maturità Bassa (M1): la persona è “poco competente”, “non sufficientemente preparata”,

“non pronta ad assumersi responsabilità e non ha sviluppato identificazione con gli obiettivi”.

Troviamo in questo livello i neo assunti ma anche collaboratori da tempo in azienda che purtroppo

si sono rivelati poco adeguati al ruolo atteso.

Maturità Medio-bassa (M2): la persona non è ancora competente, ma dimostra disponibilità

e volontà di assunzione di responsabilità. Si verifica questa situazione quando il compito è

complesso e il dipendente, pur mostrando dedizione, non ha ancora raggiunto prestazioni

pienamente soddisfacenti.

Maturità Medio-alta (M3): il collaboratore è competente, ma si mostra

a) ancora insicuro, non completamente disponibile ad assumersi responsabilità personali,

oppure

b) esegue molto bene i compiti, con atteggiamento “specialistico” (come fosse un

consulente) senza farsi carico o identificarsi negli obiettivi complessivi dell’ azienda.

c) si può inserire in questo livello anche la situazione, molto delicata da gestire, di chi è

ormai demotivato, è magari retrocesso da M4 a M3.

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Maturità Alta (M4): il collaboratore è capace, competente, disponibile, assertivo, affidabile e

si identifica con gli obiettivi (li fa suoi). Questa classificazione è da ritenersi assolutamente

indicativa e da rappresentarsi lungo un continuum che va dalla scarsa maturità alla maturità

completa.

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4 Gli stili di comportamento del leader

La competenza di leadership di chi gestisce risorse umane è quella di presidiare due

dimensioni fondamentali:

Il comportamento di guida operativa

Il comportamento di cura della relazione

Viene qui incrociato il modello di Hersey-Blanchard con quello di Black e Mouton, detto

“Grid Manageriale”.

In questo approccio lo stile di direzione viene individuato attraverso un diagramma sulla cui

ascissa viene collocato l’ ”orientamento al compito” e sull’ordinata l’ “orientamento alla

dimensione sociale”.

Il comportamento di guida – orientato al compito, è composto da tutte le attività rivolte a

fornire al collaboratore indicazioni operative e normative, determinazione di obiettivi,

organizzazione del lavoro, addestramento, coaching, determinazione delle scadenze e dei controlli.

Il comportamento di cura della relazione è composto dalle attività tese a favorire un buon

rapporto capo-dipendente e a fornire sostegno e supporto da un punto di vista più psicologico,

relazionale: interazioni frequenti, coinvolgimento, scambio di opinioni, interesse per i problemi

personali, ascolto attivo, comunicazioni franche ed esplicite, capacità di dare feed back costruttivi,

capacità di esprimere apprezzamenti, ecc.

Pur essendo l’ideale un mix di queste due dimensioni fondamentali, ciò che distingue uno

stile da un altro è proprio il prevalere di una dimensione sull’altra e l’intensità di questi

comportamenti.

Ad esempio è possibile che lo stile soggettivo di uno specifico capo sia caratterizzato da una

rilevante componente di indicazioni operative, di istruzioni specifiche e da una scarsa attenzione

alla relazione personale:

ciò significa che, tendenzialmente, la relazione capo-dipendente verrà connotata dalla

prevalenza di contenuti tecnico-professionali, lasciando sullo sfondo le comunicazioni più

direttamente inerenti gli aspetti umani, senza però mai trascurarle.

La coerenza tra maturità e stile

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A. MATURITA’ BASSA (M1) : persona non competente e non preparata all’assunzione di

responsabilità.

Stile Direttivo

Probabilmente questo collaboratore avrà bisogno di avere indicazioni precise sul lavoro da

eseguire, di conoscere a fondo la normativa e le procedure necessarie per svolgere adeguatamente le

proprie

mansioni. Verrà quindi messo in primo piano uno stile di guida, pur monitorando gli aspetti

relazionali.

Questo stile viene anche chiamato “Telling”, cioè “che dice” le cose da fare; il termine

Direttivo sintetizza lo stile nel quale il leader prende le decisioni per i collaboratori, pianifica ed

organizza il loro lavoro; il ruolo dei dipendenti consiste nel fare ciò che viene loro ordinato.

Questo stile è caratterizzato da un Alto comportamento direttivo e da un relativamente Basso

comportamento di relazione.

B. MATURITA’ MEDIO-BASSA (M2): persona non ancora competente, ma disponibile ad

assumere responsabilità.

Stile Coaching (detto anche “persuasivo”)

Questa persona è caratterizzata, rispetto a quella in M1, da una maggiore disponibilità allo

sviluppo professionale: dimostra volontà di crescere e di assumere le responsabilità, ma non è

ancora

completamente capace di fare il lavoro assegnato.

Sarà dunque opportuno mantenere relativamente alto il supporto, l’aiuto (ma anche il

monitoraggio) per ciò che riguarda il contenuto del lavoro, affiancato dall’attenzione crescente a

spiegare il perché

delle decisioni, a sollecitare l’opinione del collaboratore e a sviluppare con lui un

comportamento di relazione più alto, al fine di “mantenere” la disponibilità e il senso di

appartenenza dimostrati.

È uno stile che si può definire di COACHING (o PERSUASIVO), nel quale le decisioni

rimangono una responsabilità del capo, ma vengono spiegate e motivate, con l’obiettivo di

coinvolgere maggiormente il collaboratore attraverso una significativa attenzione relazionale. È uno

stile caratterizzato da un Alto comportamento direttivo affiancato da un Alto comportamento di

relazione.

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Mentre in Black e Mouton, questo stile di direzione viene segnalato come punto di

riferimento ottimale (alta attenzione al compito e alta attenzione alla dimensione socio-relazionale),

in Hersey e Blanchard viene considerato uno stile di transizione, finalizzato allo sviluppo di una

potenziale maturità più alta dei collaboratori.

C. MATURITA’ MEDIO-ALTA (M3): Persona competente, ma ancora insicura per ciò che

riguarda l’assunzione di responsabilità individuali, oppure con poco senso di appartenenza o di

identificazione con gli obiettivi.

Stile coinvolgente/PARTECIPATIVO

Il collaboratore è, da un punto di vista professionale, ormai maturo, capace di svolgere

adeguatamente le proprie mansioni; mostra però qualche incertezza sul piano della

“determinazione”, della sicurezza delle proprie scelte che pure sono oggettivamente corrette. È

quindi il caso di diminuire il comportamento direttivo, mantenendo però alto il comportamento di

relazione: si tratta di “sostenere, rassicurare, responsabilizzare” il collaboratore, di dargli “fiducia

nelle proprie capacità”.

In questo stile Partecipativo, capo e collaboratore decidono insieme le scelte qualificanti il

lavoro e l’attenzione prevalente del leader sarà tesa ad agevolare l’assunzione di decisioni autonome

da parte del collaboratore (leadership empowering).

Lo stile partecipativo è caratterizzato da un Basso comportamento direttivo e da un Alto

comportamento di relazione.

D. MATURITA’ ALTA (M4): persona capace, competente, disponibile, responsabile, sicura

di sé.

Stile Delegante

A questo livello il collaboratore è autonomo, è in grado di fissarsi gli obiettivi all’interno

delle linee guida di riferimento stabilite dal capo.

In questa situazione l’intervento del leader è limitato alla definizione delle linee di

riferimento generali e alla disponibilità a fornire ai collaboratori aiuto e supporto solo quando viene

richiesto; la

supervisione e controllo è solo sui risultati e non sul processo.

È uno stile Delegante, nel quale i livelli di interazione personale sono relativamente bassi e

molto scarso è il comportamento direttivo.

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5 Considerazioni generali

5.1 Le degenerazioni degli stili

Crediamo valga la pena di sottolineare come ognuno di questi stili sia coerente con una data

situazione di maturità e nello stesso tempo che ciascuno di questi modi di essere capo può

degenerare in un comportamento che non è mai funzionale.

Fuori dallo schema sopra esposto, si possono evidenziare le esasperazioni degli stili:

� uno stile eccessivamente direttivo rischia di diventare autoritario;

� uno stile troppo supportivo rischia il paternalismo e uno eccessivamente persuasivo

diventa facilmente manipolativo;

� uno stile eccessivamente coinvolgente/partecipativo diventa assemblearismo, non si

decide nulla se non con il consenso di tutti quelli coinvolti;

� uno stile troppo delegante può degenerare in “scarica barile”, vale a dire che l’eccessiva

autonomia può diventare abbandono (che i collaboratori avvertono con disagio) oppure al contrario

può sfociare in lassismo, situazione in cui è come se il capo non ci fosse e i collaboratori decidono

autonomamente senza rendere conto dei risultati.

5.2 Utilizzo dello schema in una logica di “empowering”

Una delle responsabilità del capo dovrebbe essere quella di favorire lo sviluppo non solo

professionale ma anche personale dei collaboratori che gli sono affidati. Questo significa che lo stile

del leader dovrebbe, partendo dal grado di maturità dei collaboratori, promuoverne l’autostima,

l’assertività, lo spirito di iniziativa, insomma la crescita complessiva sia professionale che come

individui .

Dando una lettura di tipo sistemico della griglia in questione, dovrebbe essere possibile per

il capo promuovere l’evoluzione graduale dei propri collaboratori, influenzandoli (nel senso di

“lasciare traccia, incidere”) con il proprio stile di guida.

Errori nel comportamento di leadership di un responsabile di risorse umane possono essere

quelli di:

- dirigere i propri collaboratori adottando uno stile centrato su sé (autocentrato) invece che

centrato su di loro e sulla loro crescita organizzativa,

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- agire uno stile coerente con un livello di maturità inferiore a quello effettivo: ad esempio

adottare uno stile direttivo con collaboratori di maturità medio-alta. La conseguenza sarebbe in

questo caso di provocare una sorta di involuzione nella maturazione delle persone, facendole sentire

soffocate da uno stile troppo pressante,

- altrettanto rischiosa sarebbe la situazione opposta: ad esempio avere uno stile delegante nei

confronti di collaboratori con maturità bassa o medio-bassa. In questi casi le persone si sentirebbero

abbandonate e potrebbero interpretare la delega scarico di responsabilità da parte del capo stesso.

- credere che la collocazione virtuale di un collaboratore in un quadrante… valga per

sempre. In realtà anche uno che fa fatica a uscire dalla maturità 1 può, col tempo e la pazienza,

arrivare a M2 e poi a M4 per quanto riguarda il suo specifico ruolo lavorativo; così come un M4

può essere coinvolto in vicende personali e/o organizzative che lo fanno retrocedere in M3.

In sintesi, il modificarsi dello stile di leadership deve essere graduale nel tempo e deve

monitorare con attenzione e costanza i segnali di evoluzione e di cambiamento di ogni singolo

collaboratore.

Non sono da dimenticare le altre variabili che influenzano la maturità dei singoli individui (

e dei gruppi) è in funzione anche dello specifico compito da svolgere e dello “stato d’animo” del

momento: un collaboratore normalmente autonomo può, per motivi personali di insoddisfazione e

di scoraggiamento, retrocedere ad un livello di maturità inferiore; un obiettivo nuovo e

particolarmente complesso da raggiungere, in una situazione ambientale incerta ed ostile determina

un abbassamento della maturità relativa di collaboratori normalmente gestiti con stile partecipativo.

Il leader deve possedere la capacità e la sensibilità di valutare queste variazioni della

maturità relativa dei collaboratori e, di conseguenza, adattare il proprio stile di guida.

5.3 Gli stili individuali

La ricerca sperimentale ha evidenziato che la gran parte dei manager è caratterizzata

dall’uso prevalente di uno o due stili, che vengono chiamati stile fondamentale e stile di sostegno e

dal relativo abbandono degli altri due stili.

Ci riferiamo in questo caso a persone che tendono ad adottare un certo stile perché coerente

con i propri bisogni e con la loro personalità, e non in funzione della maturità effettiva dei

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collaboratori. La combinazione dei due stili determina una sorta di profilo prevalente del manager,

che può comportare alcuni rischi.

Vorremmo qui evidenziare i rischi insiti in ciascuno dei profili, ricordando che sono da

considerarsi tali nel momento in cui il manager adotta solamente od in prevalenza gli stili qui

descritti indipendentemente dal contesto specifico.

Profilo (direttivo-delegante)

Il rischio più grande che corrono i manager con questo tipo di profilo è quello di etichettare i

propri dipendenti dividendoli in due grandi categorie, nelle quali si perdono tutte le sfumature

individuali: i “buoni”, persone motivate ed affidabili; i “cattivi”, pigri ed irresponsabili da tenere

sotto controllo.

Essendo la relazione capo-dipendente un fenomeno sistemico, il rischio vero è che questa

visione del mondo del manager diventi poi la realtà: trattando le persone sempre in modo direttivo,

queste non assumeranno nessuna iniziativa e tenderanno a sfuggire gli incarichi più gravosi,

confermando così la “profezia” del capo.

Profilo (direttivo-partecipativo)

Questo profilo è molto simile a quello precedente, con una differenza: la divisione dei

dipendenti in due categorie non è fatta sulla base della loro motivazione al lavoro, bensì sulla base

della loro competenza. Da una parte ci sono i “competenti”, che vengono “lasciati in pace” liberi di

svolgere in piena autonomia i compiti loro affidati; dall’altra “gli incompetenti”, che hanno bisogno

di guida

costante, di indicazioni precise, di controlli puntuali.

Anche in questo caso valgono le riflessioni fatte in precedenza a proposito delle “profezie

autoconfermanti”.

Profilo (coaching-partecipativo)

È il profilo più diffuso. Il rischio di questo profilo (un po’ paternalista) è di essere scelto

perché “non rischioso”. Di fatto, adottando questo stile non si rischiano grosse incoerenze fra il

comportamento del capo e la maturità dei collaboratori: si tende però ad appiattire le differenze, non

si colgono le situazioni nelle quali sarebbe più opportuno un comportamento di sostegno

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motivazionale (M3) da quelle che necessitano di un rinforzo professionale (M2): le persone

e le situazioni vengono considerate molto simili.

Profilo (direttivo-coaching)

Questi manager non rinunciano mai al loro comportamento di guida, sono sempre portati, in

altre parole, a condurre il gioco. È il profilo tipico dei responsabili che provengono da una

professionalità fortemente tecnica o commerciale, i quali continuano ad occuparsi prevalentemente

dei contenuti specialistici del lavoro, fornendo costantemente supporto e indicazioni di

comportamento anche quando i loro collaboratori potrebbero essere in grado di cavarsela

autonomamente (difficoltà del capo a “svezzare” i collaboratori). Il pensiero che traspare dal

comportamento di questi manager potrebbe essere il desiderio di sentirsi indispensabili: “nessuno

può fare le cose meglio di come le farei io”.

Profilo (coaching-delegante)

Questi capi sono portati a tenere relazioni interpersonali molto intense con i loro

collaboratori, fornendo loro tutto il supporto di cui hanno bisogno. Manca loro la necessaria

“gradualità” nel passare allo stile delegante: se il collaboratore infatti reagisce bene allo

stilecoaching e dimostra disponibilità ed interesse, il capo può rischiare di affidare dei compiti

eccessivamente impegnativi, dimenticando che la disponibilità non corrisponde necessariamente

alla competenza sufficiente. Fiduciosi quindi che, siccome disponibili saranno anche capaci, il

manager passa troppo velocemente allo stile delegante, mettendo in difficoltà il collaboratore che

riceve la sensazione di un abbandono ingiustificato. Una delega troppo impegnativa può infatti

essere vissuta con una comprensibile ansia da prestazione oppure interpretata dal collaboratore

come un fattore di disinteresse del capo nei suoi confronti, quasi una punizione non meritata

(percezione della filosofia “vai e nuota… vediamo se ce la fai…”).

Profilo (partecipativo-delegante)

Il rischio insito nell’adozione di questo profilo è di fatto quello di avere aspettative alte, vale

a dire che non mettono in conto la possibilità di avere a che fare anche con collaboratori di maturità

bassa. Poiché mostrano fiducia e responsabilizzano ai collaboratori si aspettano automaticamente in

cambio comportamenti coerenti; in realtà rischiano forti delusioni non considerando questi livelli di

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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maturità il risultato di un investimento fatto per accompagnare la crescita graduale dei

collaboratori, un punto di arrivo, ma ritenendoli invece un ovvio punto di partenza.

Queste descrizioni risultano necessariamente schematiche e semplicistiche: il nostro

obiettivo era quello di evidenziare i rischi legati all’adozione di stili eccessivamente autocentrati

senza la necessaria flessibilità di comportamento che le situazioni richiedono.

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6 La leadership trasformazionale Il termine “leader trasformazionale” appare per la prima volta nel 1973 , utilizzato da

Downton.

E’ uno degli approcci che fanno parte del paradigma che si definisce “nuova leadership”,

che pone una particolare enfasi sugli aspetti emotivi e carismatici e si è sviluppato a partire dagli

anni ’80.

Definizione

La Leadership Trasformazionale è un processo che cambia e trasforma gli individui. E’

interessata alle emozioni, i valori, la morale, la qualità e gli obiettivi a lungo termine e comprende

nel suo processo valutativo le motivazioni dei followers, la soddisfazione dei loro bisogni, e li

considera effettivamente esseri umani.

La Leadership Trasformazionale implica una particolare forma di influenza che spinge i

followers a realizzare molto più di quanto solitamente ci si aspetterebbe da loro. E’ un processo che

spesso include una conduzione (leadership) carismatica e visionaria (immaginativa).

Origini

La leadership trasformazionale è centrata sull’impegno e le capacità dei componenti

dell’organizzazione e sulle strategie e i modi attraverso cui questi possono essere valorizzati

attraverso l’influenza della leadership. Definizioni che si possono associare a questa categoria sono

quelle di leadership carismatica, visionaria, culturale ed empowering.

Burns e le due tipologie di leadership

L’emergere della leadership trasformazionale come approccio importante per la leadership

ha origine con il classico lavoro del sociologo politico J. MacGregor Burns, intitolato Leadership

(1978), in cui l’autore sostiene che la leadership è del tutto differente dall’esercitare potere, poiché è

inseparabile dai bisogni dei followers (collaboratori).

La proposta di Burns era quella di “pensare alla leadership come ad una forma di

comprensione più realistica e sofisticata del potere e dell’esercizio di mutua persuasione, scambio,

elevazione e trasformazione che ne consegue”.

Burns distingue tra: leadership transazionale e leadership trasformazionale.

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La Leadership trasformazionale è un processo profondo, che trasforma gli individui: fa

evolvere i loro interessi e le loro motivazioni, coinvolgendoli e portandoli a raggiungere obiettivi

che vanno al di là di quanto ci si potrebbe aspettare da loro.

Nel processo intrapreso non sono solo i collaboratori a trasformarsi, ma anche il leader è

profondamente coinvolto: è attento a seguire il percorso di ognuno e a fare in modo che fornisca il

suo contributo, aiuta i singoli a valorizzare il loro potenziale, “interpreta” il contesto adattandosi per

ottenere il meglio. In questo modo il leader cambia anche se stesso, accettando l’influenza che i suoi

collaboratori possono avere su di lui.

Esempi di “trasformazione”

Questo tipo di leader è attento ai bisogni e alle richieste dei followers e cerca di aiutarli ad

accrescere il loro potenziale.

Gandhi, per Burns, è un classico esempio di Leadership Trasformazionale, poiché ha

alimentato le speranze e i desideri di milioni di persone e nello stesso processo ha cambiato anche

se stesso.

Sette fattori della Leadership Trasformazionale

Fattori della Leadership Trasformazionale

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La Leadership Trasformazionale si occupa della performance dei followers ma anche di

sviluppare il loro completo potenziale.

Gli individui che mostrano una Leadership Trasformazionale spesso possiedono un forte set

di valori e ideali interni e sono efficaci nel motivare i followers ad agire in modi che possano

supportare il bene comune piuttosto che il proprio interesse personale.

Le 4 i di Bass e Avolio: idealised influence e inspiration motivation

Carisma – influenza idealizzata: descrive leader che agiscono con modelli di ruolo

specifici con i followers, i quali si identificano con questi leader e desiderano emularli in tutto.

Solitamente questi leader hanno alti standard di condotta morale ed etica e si ritiene che facciano la

cosa giusta. Sono profondamente rispettati dai followers, i quali ripongono una grande fiducia in

loro, perché gli procurano una visione e il senso di un intento comune.

Motivazione – Ispirazione: è un fattore descrittivo dei leader che comunicano alte

aspettative ai followers, ispirandoli attraverso la motivazione a dedicarsi e a diventare parte di una

visione condivisa nell’organizzazione. In pratica, i leader usano simboli e appelli emotivi per

focalizzare gli sforzi dei membri del gruppo per raggiungere molto più di quanto potrebbero fare

con le singole forze. (un esempio potrebbe essere quello di un manager addetto alle vendite che

sprona i suoi followers ad eccellere nel proprio lavoro con discorsi incoraggianti comunicandogli

chiaramente il ruolo che loro stessi giocano nello sviluppo dell’azienda).

Stimolazione intellettuale: include i leader che stimolano i followers ad essere creativi e

innovativi e a mettere alla prova le proprie credenze e valori così come quelli dei leader e

dell’organizzazione, provando a sviluppare nuovi approcci e idee originali per l’organizzazione.

Considerazioni individualizzate: è rappresentativo dei leader che forniscono un clima di

sostegno nel quale ascoltano attentamente i bisogni individuali dei followers.

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7 La leadership transazionale Si esplica attraverso la negoziazione e lo scambio fra il leader e i suoi collaboratori (i

followers) in funzione del raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione: una sorta di “do ut

des”. In questo caso la motivazione dei membri dell’organizzazione avviene con il riconoscimento

del successo, con ricompense e incentivi concreti, oppure attraverso la punizione in caso di

insuccesso.

Esempi di “transazione”

I politici che riescono a prendere voti promettendo di non aggiungere tasse stanno mettendo

in atto un processo di leadership transazionale.

Similmente, i manager che garantiscono promozioni agli impiegati che superano se stessi nel

raggiungimento degli obiettivi, stanno mostrando una leadership transazionale.

In classe, i docenti dimostrano di essere leader transazionali quando danno agli studenti un

voto per il lavoro svolto.

Transazioni costruttive

Ricompensa contingente: si riferisce al processo di scambio tra il leader e i followers nel

quale lo sforzo dei followers è ricambiato con specifiche ricompense. In questo modo i leader

cercano di ottenere l’impegno dei followers su ciò che deve essere fatto e su quali saranno le

ricompense per chi lo farà (Un esempio è rappresentato dal genitore che contratta con il figlio

quanta televisione poter vedere solo dopo aver fatto un po’ di pratica con il pianoforte).

Transazioni correttive

Gestire con eccezione: si riferisce alla leadership che implica critiche correttive, feedback e

rinforzi negativi. Questo fattore ha due forme: attiva, quando si presta attenzione ai followers solo

per gli errori o l’inosservanza del proprio ruolo e si apportano azioni di correzione (esempio nella

leadership di un supervisore alle vendite che nel monitoraggio quotidiano di come gli impiegati si

approcciano al cliente, rapidamente corregge quei venditori che sono lenti nel servire il cliente

rispetto al modo prescritto); passiva, che interviene solo dopo che gli standard non sono stati

raggiunti o quando i problemi sono già sorti (esempio nella leadership di un supervisore che dà una

valutazione negativa di un impiegato per lo svolgimento del proprio compito senza aver mai parlato

con l’impiegato di quale fosse effettivamente e con chiarezza il suo compito).

Fattori della Leadership Laissez-faire

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Lasciar fare non transazionale: rappresenta l’assenza di leadership, ossia quei leader che

utilizzano l’approccio “giù le mani, lasciamo il corso delle cose”. Questi leader rinunciano alla

responsabilità, rinviano le decisioni, non danno feedback, e fanno il minimo sforzo per aiutare i

followers a soddisfare i propri bisogni.

Assenza di confronto: Non c’è scambio con i followers e nessun tentativo di aiutarli a

crescere. Un esempio potrebbe essere quello di un presidente di una piccola azienda manifatturiera

che non organizza incontri con i supervisori dello stabilimento, non ha piani a lungo termine per la

sua azienda, e si mette poco in contatto con gli impiegati all’interno dell’azienda.

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8 Successive Interpretazioni: House e la Leadership Carismatica

Circa nello stesso periodo in cui è uscito il libro di Burns, House (1976) pubblicò una teoria

sulla leadership carismatica, che è spesso descritta in modo da sembrare simile, ma non sinonimo,

alla Leadership Trasformazionale.

Il concetto di carisma fu inizialmente utilizzato per descrivere un dono speciale che

caratterizza gli individui che ne sono in possesso e che dà loro la capacità di fare cose straordinarie.

L’influenza sui followers

Weber (1947) definì il carisma come una speciale caratteristica della personalità che rende

una persona dotata di poteri eccezionali e superumani, riservata a pochi poiché di origini divine, e

porta la persona ad essere trattata come un leader.

Ciò che accomuna questa definizione alla Leadership Trasformazionale è il fatto che

nonostante l’enfasi di Weber sia sul carisma come caratteristica della personalità, egli allo stesso

tempo riconosce il ruolo importante giocato dai followers nel validare il carisma in quel leader.

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Caratteristiche Personali, Comportamenti ed Effetti sui Followers della Leadership

Carismatica

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9 Successive Interpretazioni: Bass e il Continuum della Leadership

Nel 1985, Bass, riprendendo i lavori di Burns e House, fornisce una più estesa ridefinizione

della Leadership Trasformazionale.

Amplia il lavoro di Burns, riponendo maggiore attenzione sui bisogni dei followers piuttosto

che del leader e descrivendo leadership transazionale e leadership trasformazionale come un unico

continuum.

Amplia il lavoro di House, riponendo maggiore attenzione agli elementi emotivi,

suggerendo che il carisma è un elemento necessario, ma non sufficiente per la Leadership

Trasformazionale.

La motivazione dei followers

Bass sostiene che la Leadership Trasformazionale motiva i followers a fare molto più di

quanto ci si aspetterebbe da loro, mettendo in pratica quanto segue:

• Aumentando i livelli di consapevolezza dei followers sull’importanza e il valore

degli obiettivi attesi.

• Spingendo i followers ad andare al di là dei propri interessi personali nell’interesse

del gruppo o dell’organizzazione.

• Invitando i followers ad occuparsi di bisogni di livello più elevato.

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10 Leadership challenging (kouzes, posner, 1987)

E’ una leadership challenging che “sfida” il Cambiamento o che lo fronteggia e addirittura

lo ricerca attivamente, ispirando una visione condivisa, “inseguendo” l’innovazione con

atteggiamento pioneristico, i collaboratori e facendo leva sulla loro motivazione.

Indicatori della leadership associati alla dimensione di “GUIDA”

Ascolto: rivolto al vendere, alla spiegazione di un compito, al coinvolgimento. Si fonda sulla

capacità di esercitare una “forte empatia”

Cura: considerazione individuale, predisporre opportunità di apprendimento, coinvolgere i

collaboratori supportandoli

Esempio: dimostrare impegno e passione per il proprio lavoro, essere un punto di

riferimento per competenza, integrità e coerenza

Fiducia: responsabilizzare i collaboratori attraverso la delega e la fiducia, trasferire autorità

e senso di efficacia, essere una guida e non un vigilante

Generosità: valorizzare il potenziale dei collaboratori, nutrire la collaborazione con

disponibilità di tempo e trasferendo esperienze e conoscenze

Indicatori della leadership associati alla dimensione di “SFIDA”

Apertura: stimola intellettualmente, sollecita creatività e iniziativa, sfida i processi

considerando ogni lavoro un’avventura coinvolgente e divertente

Cambiamento: considerazione individuale, predisporre opportunità di apprendimento,

coinvolgere i collaboratori supportandoli

Motivazione: dimostrare impegno e passione per il proprio lavoro, essere un punto di

riferimento per competenza, integrità e coerenza

Risolutezza: responsabilizzare i collaboratori attraverso la delega e la fiducia, trasferire

autorità e senso di efficacia, essere una guida e non un vigilante

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Visione: valorizzare il potenziale dei collaboratori, nutrire la collaborazione con

disponibilità di tempo e trasferendo esperienze e conoscenze

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11 Leadership Empowering (Senge 1990), Nanus e Dobbs, (1999)

Compito fondamentale del leader è di costruire organizzazioni capaci di apprendere. Per

raggiungere tale obiettivo, egli deve assumere il ruolo di progettista, educatore, assistente. In tali

ruoli è fondamentale il “trasferimento di potere ai collaboratori” (empowerment). Secondo tale

visione, la Leadership è soprattutto una questione di eredità, di capacità di far crescere la leadership

dei collaboratori .

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