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La Punteggiatura tra restrizioni e creatività Marco Svolacchia * * * * 1. Introduzione: punteggiatura e creatività? È probabile che sulle prime possa suonare bizzarra l’idea che punteggiare sia un’attività creativa, non molto diversamente dal considerare creativa la pratica or- tografica, in relazione alla quale, al massimo, vengono in mente gli errori ortogra- fici (non esattamente un esempio di ‘creatività’ nel senso comune del termine). Lo scopo di questo contributo è di dimostrare che punteggiare è un’attività cognitivamente complessa e che, come spesso succede in questo caso, richiede in non pochi casi un’apprezzabile creatività. Non mira, invece, a fornire una descri- zione “esauriente” del fenomeno 1 . Nella 1 a parte si argomenta che punteggiare non è un’attività meccanica, nella 2 a che essa non interpreta l’intonazione, ma la sintassi; nella 3 a parte si propongo- no i principi che sottointendono la pratica del punteggiare; nella 4 a si analizzano gli errori più tipici e le configurazioni critiche. Nella 5 a parte si illustrano dei casi * * * * Marco Svolacchia, Università degli Studi Roma Tre, DIPED, via Madonna de’ Monti, 40 – 00184 Roma (Italia), [email protected]. 1 A questo fine esiste una ricchissima e variegata bibliografia, per cui ci si limiterà a qualche suggerimento minimo. Mortara Garavelli (2003) è un manualetto curato e di faci- le reperimento per gli italofoni, in cui si trovano anche molti riferimenti bibliografici utili (anche per francofoni e germanofoni). Un’opera che inquadra il problema in un’ottica lin- guistica generale è Halliday (1985). Per gli anglofoni Allen (2002) è un buon riferimento, mentre Truss (2003) è un’alternativa sui generis. Per un confronto tra lingue diverse (te- desco/francese/italiano), v. Stammerjohann (1992).

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La Punteggiatura tra restrizioni e creatività Marco Svolacchia∗∗∗∗ 1. Introduzione: punteggiatura e creatività?

È probabile che sulle prime possa suonare bizzarra l’idea che punteggiare sia un’attività creativa, non molto diversamente dal considerare creativa la pratica or-tografica, in relazione alla quale, al massimo, vengono in mente gli errori ortogra-fici (non esattamente un esempio di ‘creatività’ nel senso comune del termine).

Lo scopo di questo contributo è di dimostrare che punteggiare è un’attività cognitivamente complessa e che, come spesso succede in questo caso, richiede in non pochi casi un’apprezzabile creatività. Non mira, invece, a fornire una descri-zione “esauriente” del fenomeno1.

Nella 1a parte si argomenta che punteggiare non è un’attività meccanica, nella 2a che essa non interpreta l’intonazione, ma la sintassi; nella 3a parte si propongo-no i principi che sottointendono la pratica del punteggiare; nella 4a si analizzano gli errori più tipici e le configurazioni critiche. Nella 5a parte si illustrano dei casi

∗∗∗∗ Marco Svolacchia, Università degli Studi Roma Tre, DIPED, via Madonna de’ Monti,

40 – 00184 Roma (Italia), [email protected]. 1 A questo fine esiste una ricchissima e variegata bibliografia, per cui ci si limiterà a

qualche suggerimento minimo. Mortara Garavelli (2003) è un manualetto curato e di faci-le reperimento per gli italofoni, in cui si trovano anche molti riferimenti bibliografici utili (anche per francofoni e germanofoni). Un’opera che inquadra il problema in un’ottica lin-guistica generale è Halliday (1985). Per gli anglofoni Allen (2002) è un buon riferimento, mentre Truss (2003) è un’alternativa sui generis. Per un confronto tra lingue diverse (te-desco/francese/italiano), v. Stammerjohann (1992).

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di uso quasi-creativo della punteggiatura, richiedendo raffinate capacità metasin-tattiche; nell’ultima parte, infine, si analizzano alcuni aspetti della sintassi che ri-chiedono un uso decisamente creativo della punteggiatura2. 1.1. Regole di punteggiatura

Secondo la communis opinio, condizionata principalmente dall’insegnamento

scolastico, punteggiare sarebbe un’attività soggetta a regole precise, quindi sos-tanzialmente meccanica: si tratta di apprendere e applicare delle regole, in buona misura convenzionali. Non molto diversamente, di nuovo, dall’ortografia.

Due esempi tipici sono rappresentati dalle regole seguenti (formalizzate, for-mulate informalmente ed esemplificate), una negativa e una positiva3:

1. a. *, e (“ NON INSERIRE UNA VIRGOLA PRIMA DI ‘E’.”)

b. *Ho mangiato un cornetto, e bevuto un caffè. c. Ho mangiato un cornetto e bevuto un caffè.

2. a. E1, E2, E3, . . . (“ INSERIRE UNA VIRGOLA TRA GLI ELEMENTI DI UNA LISTA .”) b. Mi hanno regalato un libro, un MP3, un CD e un DVD. c. *Mi hanno regalato un libro un MP3 un CD e un DVD.

Tuttavia, è facile dimostrare che le regole di punteggiatura sono sopravvalutate per almeno due ragioni. La prima è che esse coprono un insieme modesto di casi (come la trattazione seguente intende mostrare). La seconda è che anche le regole esistenti sono molto meno applicabili di quanto non si creda comunemente. La ragione è che esse sono formulate in modo molto generico, tale che se venissero applicate alla lettera produrrebbero risultati inaccettabili. Un esempio è dato dalle frasi seguenti, che riprendono appositamente una delle regole appena illustrate:

3. a. ?Io vado a casa e tu che fai?

2 Questa trattazione non è concepita per essere comprensibile solo ai linguisti. Per

questo ci si è sforzati di evitare tecnicismi e termini specifici, o di non darli per scontati. È però possibile, data la natura altamente analitica della linguistica, che il compromesso non soddisfi pienamente né i linguisti (per difetto) né gli educazionalisti (per eccesso). Si spe-ra, tuttavia, che entrambi possano apprezzare l’essenza dell’argomentazione.

3 Le due regole sono in distribuzione complementare. Le formulazioni riflettono la prati-ca tradizionale. L’asterisco prima di un elemento indica che esso è inaccettabile.

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b. Io vado a casa, e tu che fai? c. Io vado a casa. E tu che fai?

Una frase come (3.a), in cui ‘e’ non è preceduta da una virgola è controintuiti-va. La gran parte degli scriventi troverebbe molto più naturale (3.b), in cui la con-giunzione è preceduta dalla virgola, in violazione della regola (1) sopra. La stessa frase con la congiunzione preceduta da un punto (3.c) è ugualmente accettabile, a conferma della bontà dell’intuizione.

Si noti che la perentoria regola (1) non fallisce in quanto assurda; al contrario essa si basa su un ragionevole criterio di economia: la congiunzione è sufficiente ad esplicitare la relazione di coordinazione tra due elementi equivalenti. Tuttavia, non tiene conto del fatto che la congiunzione può coordinare elementi che posso-no intrattenere relazioni logico-semantiche molto diverse tra loro.

La conclusione è che anche le poche regole di punteggiatura codificate hanno bisogno, per essere applicate utilmente, di una notevole dose di intuizione da parte dello scrivente.

1.2. Variazione della punteggiatura tra gli scriventi

Un altro aspetto che è incompatibile con l’idea che punteggiare sia un’attività meccanica è tanto evidente da passare quasi inosservato: la notevole variazione nella pratica del punteggiare entro la comunità degli scriventi (intendendo qui qualsiasi madrelingua alfabetizzato, compreso chi scrive per ragioni professiona-li). È senso comune che esista una sensibilissima difformità nelle pratiche del punteggiare persino tra chi scrive di professione. Inoltre qualsiasi scrivente, pro-fessionista o meno, ha sovente dubbi riguardo alla corretta punteggiatura di un testo, tanto che la punteggiatura è uno degli elementi più soggetti a revisione da parte di uno stesso scrivente.

Tra gli infiniti esempi possibili, ci si limiterà qui a due, che sono particolar-mente interessanti e, nei limiti del possibile, rappresentativi. Il primo è tratto da un saggio di uno dei massimi scrittori italiani del XX secolo (Calvino, 1980):

4. a. “Ora io credo che nell’uno come nell’altro caso *,1 la somma di due linguaggi che non sono interamente veri *,2 non riesce a costituire un linguaggio vero.”

Come si può vedere, si tratta di una punteggiatura che la gran parte degli scri-

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venti esperti giudicherebbe inaccettabile/incoerente. Per la precisione contiene due virgole erronee (numerate in apice), come è dimostrato chiaramente dalla ben più leggibile (4.b) seguente, una variante senza virgole della precedente:

4. b. “Ora io credo che nell’uno come nell’altro caso la somma di due linguaggi che non sono in-teramente veri non riesce a costituire un linguaggio vero.”

Mentre l’esempio (4.a) mostra che anche scrittori professionisti possono avere problemi nel punteggiare, l’esempio seguente, un articolo di giornale, mostra in-vece che esistono diverse possibilità accettabili di punteggiare uno stesso testo (I. Diamanti, La Repubblica, 10 novembre 2004):

5. a. C’è un aspetto tanto evidente da risultare quasi invisibile, nella crisi del governo Be-rlusconi e delle maggioranza di centrodestra.1 È il collasso di Forza Italia.2 Non solo sotto il profilo elettorale.3 Anche se il calo,1 alle elezioni regionali, è stato pesante.4 Oltre ogni previsione.5 Forza Italia,2 in questa consultazione, ha perso oltre un milione e mezzo di elettori (il 7%)1 rispetto al 2000 (e il 2% rispetto alle europee di un anno fa)2.6 Ma,3 sop-rattutto, ha perso la “faccia”.7 Nel senso che oggi non dispone più di un’identità specifi-ca.8 Né di un margine di autonomia,4 per quanto limitato, rispetto al suo leader.9 Di cui appare,5 ormai, una protesi.10 Meno efficace di altre,6 ai fini dell’attività e della comuni-cazione politica (penso alle aziende, ai media, alle bandane)3.11

Lo scrivente (un sociologo che scrive regolarmente per il quotidiano citato) ha uno stile di punteggiatura molto personale. Il testo non è caratterizzato da impro-prietà, ma è evidentemente iperpunteggiato: presenta segni di interpunzione lad-dove la gran parte degli scriventi non li inserirebbe. Ne risulta uno stile di lettura lento e enfatico, da cui deriva una leggibilità faticosa perché l’eccessiva frammen-tazione rende più difficile il compito di inferire la relazione tra le diverse “frasi”.

Nello specifico, in un testo che in un giornale consisterebbe normalmente di poche righe, l’Autore inserisce 6 virgole (con contatore numerico quadrettato in apice), 3 parentesi (numeri evidenziati in grigio), e ben 11 punti. Si noti che alcu-ni dei “periodi” sono ‘non frasi’, consistenti solo di un sintagma (sottolineati) o di una proposizione dipendente (con sottolineatura ondulata).

Una punteggiatura alternativa, che sarebbe giudicata probabilmente più nor-male (e più leggibile) dalla gran parte degli scriventi, è la seguente, in cui le vir-gole sono stati ridotte a 5, le parentesi a 2, i punti a 3 ed è stato inserito un ‘due

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punti’ (sottolineato):

5. ai. C’è un aspetto tanto evidente da risultare quasi invisibile, nella crisi del governo Be-rlusconi e delle maggioranza di centrodestra: è il collasso di Forza Italia,1 non solo sotto il profilo elettorale, anche se il calo alle elezioni regionali è stato pesante oltre ogni previ-sione.1 Forza Italia in questa consultazione ha perso oltre un milione e mezzo di elettori (il 7% rispetto al 2000 e il 2% rispetto alle europee di un anno fa)1,2

ma soprattutto ha perso la “faccia”.2 Nel senso che oggi non dispone più di un’identità specifica né di un margine di autonomia,3 per quanto limitato, rispetto al suo leader,4 di cui appare ormai una prote-si,5 meno efficace di altre ai fini dell’attività e della comunicazione politica (penso alle aziende, ai media, alle bandane).2

1.3. Conclusioni

Al termine di questa discussione introduttiva si può tirare una prima conclusio-ne: l’inadeguatezza delle regole di punteggiatura, da una parte, e la sensibile va-riazione nella pratica del punteggiare da parte degli scriventi, professionisti in-clusi, dall’altra, mostrano che punteggiare non è un’attività meccanica.

Resta da definire di quale tipo di attività si tratti: il candidato rimasto è che punteggiare sia un’attività interpretativa, vale a dire che codifica qualche tipo di conoscenza, evidentemente linguistica. È necessario esplorare di quali conoscenze precisamente si tratti.

2. Quali conoscenze linguistiche interpreta la punteggiatura?

La communis opinio è che la punteggiatura codifichi l’intonazione. Questa convinzione è supportata dal fatto che in molti casi a un certo segno di interpun-zione è possibile associare un tipo di intonazione e viceversa. Un’attenta osserva-zione dei fatti mostra invece che ciò non corrisponde al vero, come andiamo ad argomentare.

2.1. Punteggiatura/intonazione: variabilità del punteggiare

Un primo problema che incontra l’ipotesi intonazionale della punteggiatura è di carattere deduttivo: essa non rende conto del fatto, già discusso, che la pratica del

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punteggiare è caratterizzata da una notevole variazione. Per comprendere meglio la natura del problema è utile confrontare la punteggiatura con la pratica ortogra-fica. In altre parole, come mai la codifica alfabetica non è lontanamente soggetta allo stesso tipo di variabilità nella comunità degli scriventi? Chiaramente, non si vuole dire che non esistano deviazioni dallo standard ortografico, ma esse sono innanzitutto facilmente riconoscibili, esistendo una norma ben codificata. In se-condo luogo, gli errori ortografici sono confinati a dei casi ben delimitati. Quelli più interessanti in questo contesto sono gli errori di accesso fonologico, dovuti a una capacità metafonologica ancora immatura, che è propria degli apprendisti dell’alfabeto (tipicamente i bambini all’inizio della scolarizzazione). Nello speci-fico, gli apprendisti scriventi hanno difficoltà a codificare i fonemi che si trovano nelle posizioni ‘marcate’ (vale a dire meno naturali, più complesse) della sillaba, cioè la coda e il secondo elemento di un attacco multiplo. Gli esempi seguenti il-lustrano (con ‘1a fase’ si intende qui la codifica ortografica tipica dei bambini nei primi mesi di alfabetizzazione):

FONOLOGIA 1a FASE 2a FASE

6. a. /pasta/ pata pasta CODA DI SILLABA

b. /pal:a/ pala palla

c. /treno/ teno treno ATTACCO MULTIPLO Tuttavia, in capo a pochi mesi di addestramento, le capacità metafonologiche

dell’apprendista normale migliorano e questo tipo di errori scompaiono del tutto (‘2a fase’ nella tabella). Gli errori che permangono nel tempo sono dovuti ad altri fattori. Uno è l’incoerenza dell’ortografia rispetto alla rappresentazione mentale dei suoni del parlante nativo. Un caso è rappresentato in italiano dalle parole che contengono l’i muta ridondante, come l’esempio seguente mostra:

7. a. ERRORE b. ORTOGRAFIA c. FONOLOGIA *scenza scienza /SEntsa/

Il tipico errore ortografico in (7.a), la cui forma ortografica corretta è in (7.b), è dovuto al fatto che la forma ortografica contiene una i che non ha né realtà fono-logica (non è pronunciata, come evidenzia 7.c) né valore diacritico (per indicare la lettura di una consonante ambigua). Quindi, la necessità della ‘i’ muta ridon-dante in questa parola non deriva da una regola più o meno generale, ma da un

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specificazione lessicale: in alcune parole specifiche (contenenti uno grafemi c/g/sc seguiti da e) va inserita ‘i muta’4.

Errori ortografici di questo tipo, in conclusione, non derivano da problemi di accesso fonologico né da incomprensione delle regole ortografiche convenzionali, ma dal fatto che alcune parole sono scritte in modo eccezionale in quanto si tratta di ortografie storiche. Il punto è che non esistono grafie storiche per la punteggia-tura, né la sua notevole variabilità di uso è confinata ai principianti, ma persiste per sempre.

2.2. Punteggiatura/intonazione: asimmetrie

Un altro argomento contro l’ipotesi intonazionale della punteggiatura è tanto banale quanto diretto: se la punteggiatura codificasse l’intonazione dovremmo a-spettarci una correlazione biunivoca tra melodie intonative e segni di punteggiatu-ra. Ma questo è lontano dal vero, come la tabella seguente mostra:

MELODIE INTONATIVE SEGNI DICHIARATIVA FINALE

DICHIARATIVA NON FINALE

INTERROGATIVA GLOBALE

INTERROGATIVA PARZIALE

INTERROGATIVA ECO

VOCATIVA

IMPERATIVA

CONTRASTIVA

TOPICALE

DESIDERATIVA

ESCLAMATIVA . . .

,

; :

( )

. ? !

4 Per la relazione tra l’ortografia e la fonologia dell’italiano v. Svolacchia (2004). Nella rubrica ‘incoerenza tra ortografia e rappresentazione mentale’ rientrano anche i dialetta-lismi (e i fenomeni di transfer da una lingua straniera).

Page 8: La Punteggiatura tra restrizioni e creativitàLa Punteggiatura tra restrizioni e creatività Marco Svolacchia ∗∗∗∗ 1. Introduzione: punteggiatura e creatività? È probabile

Le melodie intonative considerate sopra sono solo quelle definite ‘sintattiche’ (riflettono delle proprietà sintattiche specifiche); non sono state considerate quelle ‘pragmatiche’ (relative all’atteggiamento del parlante: ironia, irritazione, ecc.). Nonostante ciò e nonostante che l’elenco non sia completo (come gli studiosi di intonazione rileverebbero), il saldo tra melodie intonative e i segni di interpunzio-ni di uso comune è ampiamente negativo. La conclusione è che, a meno che uno stesso segno di interpunzione non codifichi più intonazioni affini, non c’è modo che la punteggiatura codifichi l’intonazione5.

2.3. Punteggiatura/intonazione: incoerenza

È possibile mantenere l’ipotesi che la punteggiatura codifichi l’intonazione, sebbene in una versione più debole: la punteggiatura codifica l’intonazione, ma non in forma biunivoca (per esempio 1 punto/2 intonazioni affini)? La risposta sembra negativa, come si evince analizzando alcune corrispondenze segno/intona-zione. Ci si limiterà ai due casi che sembrano più chiari, il punto esclamativo e quello interrogativo. Persino per questi è dimostrabile che la corrispondenza con l’intonazione è tutt’altro che trasparente.

Il punto esclamativo viene utilizzato in italiano (e in molte altre lingue occiden-tali) per una varietà di usi, di cui sotto ricorrono i più tipici:

! IMPERATIVA ESCLAMATIVA VOCATIVA FOCUS DESIDERATIVA

Va’ via! Che caldo! Luciano! TU lo fai! Magari! Qualunque parlante nativo di italiano può verificare che si tratta di intonazioni

diverse, in alcuni casi assai diverse. Questo risulta evidente se ci si limita a per-mutare le intonazione tra le diverse frasi (p.e. se si applica l’intonazione vocativa alla frase imperativa ‘Va’ via!’): il risultato è completamente inaccettabile.

Un caso ancora più significativo, e rivelatore, è dato dal punto interrogativo, che a confronto col precedente sembra molto più trasparente. Il problema è che, contrariamente a quanto i più possano immaginare, il punto interrogativo è ben

5 Non sono stati considerati tutti i segni che rientrano nell’etichetta di ‘interpunzione’, i quali formano un insieme molto spurio. Sono stati esclusi quelli che Halliday (1985) cate-gorizza come ‘marche di relazione’, le quali non hanno contenuto linguistico (come le virgolette) o hanno valore morfologico (come il trattino nelle parole composte).

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lungi dal corrispondere a una specifica intonazione, né a intonazioni affini, come lo schema seguente illustra:

? INTERROG . GLOBALI (‘SÌ/NO’) INTERROG . PARZIALI (‘WH’) Stai andando via? Dove stai andando? Stai andando via? Dove stai andando?

DICHIARATIVA Sto andando a casa

Nello schema ci si è limitati alle due strutture più comuni: le interrogative glo-

bali (dette anche ‘SÌ/NO’, in quanto ammettono la possibilità di una risposta di questo tipo) e le interrogative parziali (o ‘WH’, dalle lettere iniziali degli elementi interrogativi/relativi in inglese). Come si vede, l’interrogativa parziale ha un an-damento melodico molto diverso da quella globale (che ha un picco nella sillaba tonica di frase): presenta nella sillaba tonica di frase un tono basso, ciò che l’assimila più a una frase dichiarativa che all’interrogativa globale6. Quindi, se la punteggiatura codificasse l’intonazione dovremmo aspettarci che le interrogative parziali fossero seguite da un punto.

Le interrogative permettono però una deduzione preziosa: essendo intuitivo che le due forme di interrogative abbiano qualcosa in comune, ci si deve chiedere di che cosa si tratti. La risposta è ovvia: si tratta di frasi sintatticamente affini7. Que-sta conclusione fornisce un candidato molto più autorevole per rispondere alla domanda iniziale di questo paragrafo: le conoscenze linguistiche che la punteg-giatura interpreta sono relative alla sintassi. Se ne deduce che tra sintassi, into-nazione e punteggiatura esiste una relazione formulabile nel modo seguente:

a) l’intonazione codifica la sintassi; b) nella lingua scritta la punteggiatura fa le veci dell’intonazione; c) punteggiatura e intonazione sono collegate indirettamente.

6 Per una descrizione compatta e accessibile dell’intonazione dell’italiano v. Bertinetto e Magno Caldognetto (1993). 7 Detto in termini informali, le due interrogative sono sintatticamente affini perché com-portano gli stessi processi sintattici, di cui una manifestazione apparente è l’inversione ausiliare-soggetto: p.e. 1. (AFFERM.): You1 are2 waiting for someone. 2. (INT. GLOB.): Are2 you1 waiting for someone? 3. (INT. PARZ.): Who are2 you1 waiting for?).

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La situazione può essere schematizzata come segue:

INTONAZIONE

SINTASSI

PUNTEGGIATURA

2.4. Conclusioni

Diversi fatti (la variabilità della punteggiatura vs uniformità dell’ortografia, l’ asimmetria melodie intonative/segni di interpunzione e l’incoerenza della pun-teggiatura rispetto all’intonazione) mostrano che l’ipotesi che la punteggiatura codifichi l’intonazione deve essere respinta. Un’ipotesi alternativa molto più promettente è che la punteggiatura codifichi la sintassi, facendo le veci dell’in-tonazione nella lingua scritta. Ne deriva che la relazione tra punteggiatura e into-nazione è solo indiretta; ciò che è compatibile col fatto che la coincidenza tra pun-teggiatura e intonazione è solo parziale.

3. Principi del punteggiare

Prima di esplorare gli usi creativi della punteggiatura è necessario analizzarne le restrizioni, in quanto la creatività si definisce necessariamente in relazione a un sistema di restrizioni. Ciò che segue è una proposta in tal senso. Va sottolineato che non si tratta norme (fondate su qualche presunta autorità) né di regole di buo-na pratica (sebbene questa applicazione sia possibile), ma di deduzioni dei prin-cipi generali che sottintendono la pratica del punteggiare, a prescindere dalle varie convenzioni. Allo stesso tempo hanno un valore predittivo riguardo all’influenza che un segno di punteggiatura ha sulla leggibilità di un testo.

Un primo criterio consiste nella Fedeltà alla struttura sintattica, conseguenza diretta del fatto che la punteggiatura si interfaccia con la sintassi. L’altro criterio, relativo alla coerenza, è invece puramente formale.

3.1. Fedeltà alla struttura sintattica

Un problema immediato che il criterio della Fedeltà alla struttura sintattica in-

Page 11: La Punteggiatura tra restrizioni e creativitàLa Punteggiatura tra restrizioni e creatività Marco Svolacchia ∗∗∗∗ 1. Introduzione: punteggiatura e creatività? È probabile

contra è che la sintassi delle lingue umane, contrariamente all’insegnamento sco-lastico o alla rappresentazione scritta di una frase, non è LINEARE ma gerarchi-ca e ricorsiva. Un esempio può chiarire il concetto:

8. a. Mio fratello vuole che Maria vada a casa sua.

PRINCIPALE SECONDARIA Come da rappresentazione, la frase sopra viene analizzata nella grammatica

tradizionale (‘analisi del periodo’) come un periodo (= frase complessa) formato da due frasi, di cui una principale (ovvero indipendente) e una secondaria (ovve-ro dipendente). Tuttavia, è facile constatare che non è così: la frase principale non è indipendente perché deve essere completata dalla frase dipendente; infatti ‘*Mio fratello vuole’ è una frase inaccettabile in quanto incompleta. La ragione è che il verbo volere richiede un complemento, rappresentato nella frase da ‘che Maria vada a casa sua’, detta appunto ‘frase completiva’ (= frase complemento). Una rappresentazione più realistica della stessa è la seguente

8. b. [F1 mio fratello [SV vuole [F2 che Maria [SV vada [SP a casa sua]]]]] in cui la frase secondaria (‘F

2’) ‘è ‘incassata’ (cioè “inscatolata”) nella frase prin-cipale (l’intera frase, ‘F1’); cioè: 8. c. F1 mio fratello vuole F

2 che Maria vada a casa sua Come si evince da (8.b), la frase ha due proprietà: (i) ha una struttura gerarchi-

ca e (ii) è caratterizzata dalla ricorsività, in quanto uno stesso costituente può comparire a qualsiasi livello della struttura (i.e. lo stesso elemento può comparire a un livello di incassamento qualsiasi e per un numero qualsiasi di volte).

Alla luce della natura della sintassi e in relazione all’oggetto della presente trat-tazione, si pone il problema di quali siano le configurazioni a cui debba essere sensibile la punteggiatura. Il resto di questa trattazione si focalizzerà sull’uso del-la virgola, in quanto è verosimilmente il segno di interpunzione più rappresen-

Page 12: La Punteggiatura tra restrizioni e creativitàLa Punteggiatura tra restrizioni e creatività Marco Svolacchia ∗∗∗∗ 1. Introduzione: punteggiatura e creatività? È probabile

tativo per frequenza e complessità8. Formalmente parlando, la Fedeltà alla struttura consiste nel criterio seguente: CRITERIO DI FUNZIONE DEL PARSING Una virgola è tanto adeguata quanto è funzionale al parsing9. Per ragioni espositive, il criterio verrà illustrato come due sottocasi distinti.

3.1.1. Precisione L’obiettivo minimo che una buona punteggiatura dovrebbe raggiungere è la

precisione di parsing, la capacità di indirizzare il lettore verso la giusta interpreta-zione. Da questo consegue che una punteggiatura che non evita l’ambiguità strut-turale non è adeguata. Un esempio di uso della punteggiatura a scopo di disambi-guazione è il seguente:

9. a. ?La dieta: a pranzo carne e verdura, alla sera riso, insalata e frutta a volontà.

b. [[riso, insalata e frutta] a volontà] c. riso, insalata e [[frutta] a volontà]

Nella frase in (9.a) il sintagma evidenziato ha portata ambigua (le parentesi

quadrate delimitano i sintagmi): può riferirsi all’intero sintagma nominale con-giunto, come in (9.b), o solo all’ultimo elemento, come in (9.c). La stessa frase può avere un’interpretazione univoca aggiungendo una virgola (è solo la frutta che si può mangiare a volontà):

9. d. La dieta: a pranzo carne e verdura, alla sera riso, insalata, e frutta a volontà. Il criterio di funzione del parsing valuta (9.d) come meglio punteggiata di (9.a).

8 Non rientra negli scopi di questo lavoro fornire una trattazione esauriente della punteg-giatura. Tuttavia, è evidente che si possano analizzare similmente altri segni di interpun-zione affini e la relazioni tra di essi. 9 Il termine parsing è in uso in molte scienze del linguaggio nel senso di ‘decodifica in tempo reale di un testo’. Verrà qui utilizzato per comodità al posto di una lunga perifrasi.

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3.1.2. Facilità

L’altro sottocriterio correlato alla fedeltà alla struttura è quello che chiameremo facilità di parsing. Una buona punteggiatura deve fare di più che evitare l’ambiguità: deve permettere di arrivare subito all’interpretazione intesa. Un e-sempio di applicazione è il seguente:

10. a. ?Noemi oggi come gli altri giorni che Dio ha fatto è stata ad aspettarti.

b. Noemi, oggi come gli altri giorni che Dio ha fatto, è stata ad aspettarti. Come si vede dal confronto tra (10.a) e (10.b), l’inserzione di una coppia di

virgole che delimitano il circostanziale rende la frase più leggibile. L’esempio seguente mostra che iperpunteggiare non si traduce necessariamente

in una maggiore facilità di parsing. Se la punteggiatura è applicata impropriamen-te il risultato è inverso (le virgole erronee sono numerate):

11. a. * Il termine fissato,1 per la presentazione delle domande e della eventuale documen-tazione,2 che integra le domande già presentate è perentorio, e non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti, e dei titoli comunque presentati dopo la scadenza del ter-mine stesso.

Una versione molto più leggibile è la seguente (da cui sono state tolte anche le virgole ridondanti):

b. Il termine fissato per la presentazione delle domande e della eventuale documenta-

zione che integra le domande già presentate è perentorio e non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti e dei titoli comunque presentati dopo la scadenza del termine stesso.

Le virgole eliminate non sono conformi alla struttura sintattica: ‘,1’ interrompe

una sequenza testa-complemento (‘per la presentazione…’ è il complemento di ‘fissato’); ‘,2’ interrompe una sequenza testa-modificatore (la relativa ‘che integra le domande…’ modifica il SN ‘eventuale documentazione’; per la modificazione v. avanti).

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3.2. Coerenza

Qualunque sia lo stile di punteggiatura adottato deve essere applicato in modo coerente. La coerenza può essere espressa nel modo seguente (di cui vengono da-te una versione formale, tra parentesi, e una informale, in corsivo):

CRITERIO DI COERENZA (Dn ~ D≤n, IN CUI ‘ D’ STA PER ‘ DISTANZA SINTATTICA ’)10 Una punteggiatura è tanto adeguata quanto è utilizzata in modo coerente. Il criterio di coerenza richiede che se si inserisce una virgola in una certa con-

figurazione sintattica la si deve inserire in tutte le altre configurazioni sintattiche equivalenti. Questo determina, p.e., che se si inserisce una virgola in (12.a), una punteggiatura come in (12.b), di struttura equivalente, è incoerente:

12. a. Sara, però, è mia figlia. b. *Sara comunque è mia figlia.

L’esempio seguente mostra un tipo di violazione al criterio di coerenza molto

frequente, per cui viene introdotta solo una virgola di una coppia:

13. a. *Sara però, è mia figlia. b. *Sara, però è mia figlia.

Entrambe le frasi in (13) sono incoerenti perché il connettivo è trattato come un

inciso, ma in (a) la virgola è inserita solo alla fine, in (b) solo all’inizio. Il criterio di coerenza richiede ancora che se si assegna la virgola a una data

configurazione sintattica la si dovrà assegnare anche (“a maggior ragione”) a una configurazione con distanza sintattica superiore. Gli esempi seguenti illustrano:

14. a. Sara, però, è mia figlia. b. *Sara come sapete è mia figlia.

In relazione a (14.a), in cui un avversativo è trattato come inciso, (14.b) è pun-

teggiata incoerentemente, dato che presenta un costituente dello stesso tipo ma

10 Si legge: “Una virgola in una configurazione con una certa distanza sintattica implica la virgola in una configurazione con distanza sintattica uguale o superiore”.

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pesante, perché frasale.

3.3. Conclusioni Dall’interazione dei criteri proposti, uno sostanziale (la fedeltà alla struttura

sintattica) e uno formale (la coerenza) deriva una concezione graduale dell’accettabilità della virgola, tale che possa essere concepita in forma scalare:

+ ACCETTABILITÀ –

OBBLIGATORIA ESCLUSA

Il fatto che l’accettabilità della virgola (e di molti altri segni di intepunzione)

non sia una proprietà complementare (‘SÌ/NO’) è un risultato rilevante della pre-sente proposta perché è compatibile (a) con la realtà osservativa (la “variabilità stilistica” della punteggiatura), (b) con la possibilità degli usi creativi della pun-teggiatura.

4. Opacità cognitiva: errori tipici

Nella trattazione che segue verranno illustrate alcune applicazioni esemplari dei criteri discussi e si farà particolare riferimento ai casi più soggetti a errori e incertezze. In altre parole, che sono caratterizzati da ‘opacità cognitiva’.

4.1. Testa-Complemento

La relazione che vige tra una testa e il suo complemento è la più stretta della sintassi. Questo determina che una frase come la seguente sia punteggiata in mo-do erroneo:

15. a. *Franco mangia, una mela.

b. Franco, mangia, una, mela. La ragione è che per il Criterio di coerenza si dovrebbe inserire una virgola tra

ciascun elemento della frase, come in (15.b) sopra, un risultato evidentemente pa-radossale. In un sistema del genere la virgola sarebbe completamente ridondante,

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equivalendo all’indicazione della divisione della frase in parole, funzione peraltro già assolta dallo spazio tra una parola e l’altra.

Naturalmente, un errore del tipo appena esemplificato viene commesso nor-malmente solo da scrittori molto inesperti, tipicamente da parte dei bambini nei primissimi anni di scuola. Tuttavia, l’errore si riscontra anche in scrittori profes-sionisti quando la stessa relazione appare in forma più complessa:

16. a. *Franco ha detto, che Carlo sta arrivando.

b. *Lavora ormai da molti anni e con grande dedizione alla dimostrazione, che il cli-ma sta cambiando.

Quelli in (16) sono esempi di frasi con un complemento frasale (evidenziato

in corsivo); in (16.b), inoltre, la completiva è retta da un nome (‘dimostrazione’).

4.2. Specificatore-Testa

L’altra relazione fondamentale della sintassi è quella esistente tra lo Specifica-tore e la sua Testa11. Similmente alla relazione precedente, i criteri proposti predi-cono che inserire una virgola tra lo specificatore e una testa (come in 17.a sotto) è inaccettabile. La ragione è che per il criterio di coerenza conseguirebbe una pun-teggiatura come in (17.b) seguente, in cui la frase iperpunteggiata risulta scarsa-mente leggibile:

17. a. *Franco, dorme.

b. Franco, mangia una, mela, acerba.

11 La nozione di ‘Specificatore’ è estranea alla grammatica tradizionale. Chi non ha fami-liarità con questo termine può pensarlo come ‘soggetto’. La grammatica tradizionale si limita a dire che il soggetto della frase non è un complemento. Nella sintassi contempora-nea il soggetto è lo specificatore del verbo (o ausiliare) flesso:

[SOGGETTO [FLESSIONE—COMPLEMENTO ]] SINTAGMA FLESSIVO

La rappresentazione significa che il soggetto intrattiene una relazione con l’insieme verbo flesso-complemento. Quindi la relazione tra il soggetto e il verbo flesso è molto stretta ma non quanto quella che intercorre tra un verbo e il suo complemento (per la nozione di soggetto v. Svolacchia, 1999).

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Anche in questo caso, la violazione non si verifica negli scriventi maturi in questi termini, ma è estremamente ricorrente quando il soggetto è pesante, come negli esempi in (18) seguente, in cui il soggetto è modificato da una frase relativa:

18. * Il libro che stai cercando di leggere, è mio.

L’esempio in (18) ha la particolarità di avere un soggetto ‘pesante’, perché mo-dificato da una frase relativa.

4.3. Modificatori

L’altra relazione fondamentale della sintassi è quella di Modificatore-Sintagma. I modificatori espandono sintatticamente un costituente, restringendo-ne la referenza (gli oggetti del mondo a cui si applica). Una frase come ‘Piero ha comprato [[un’auto] elettrica].’ (in cui il costituente evidenziato modifica il SN ‘un’auto’) è vera se e solo se (a) Piero ha acquistato un’auto e (b) il motore della stessa è elettrico.

Anche in questo caso, l’errore ricorrente si incontra quando il modificatore è pe-sante. Il caso tipico è dato dalle relative, per cui si considerino le frasi seguenti:

19. a. *Ho letto il libro, che mi hai consigliato. b. *Ho letto l’ultimo libro di Golden che ho trovato bellissimo.

Come anche l’intonazione rivela, si tratta di frasi molto diverse: (19.a) è restrit-tiva, quindi è un vero modificatore, (19.b) non è un modificatore, ma è appositiva. Il criterio del parsing (la ‘facilità’, nello specifico) determina che esse siano pun-teggiate come segue:

19. ai. Ho letto il libro che mi hai consigliato. (RESTRITTIVA)

bi. Ho letto l’ultimo libro di Golden, che ho trovato bellissimo. (APPOSITIVA)

Inoltre, per il principio di coerenza, punteggiare (19.a) come *‘Ho letto il libro, che mi hai consigliato.’ implicherebbe inserire sistematicamente una virgola tra un modificatore e la sua testa, come in *‘Ho comprato una macchina, giappone-se.’, un risultato chiaramente inaccettabile. Si noti, invece, che l’inserzione della virgola in (19.b) è coerente con la pratica di inserire una virgola prima di un SN nominale appositivo, come in ‘Ho letto un libro di Tolkien, il grande scrittore in-

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glese.’ Il criterio del parsing è chiamato in causa anche per l’aspetto ‘precisione’, co-

me gli esempi seguenti mostrano:

20. a. Franco ha incontrato il portiere che ha detto di non lasciare la bici dentro. b. (APPOSITIVA): nel condominio c’è un solo portiere; c. (RESTRITTIVA): nel condominio c’è più di un portiere.

(20.a) è ambigua, potendo avere un’interpretazione appositiva, come in (b), o restrittiva, come in (c). Questo determina la punteggiatura seguente, che guida il lettore alla giusta interpretazione:

20. bi. Franco ha incontrato il portiere, che ha detto di non lasciare la bici dentro.

ci. Franco ha incontrato il portiere che ha detto di non lasciare la bici dentro.

4.4. Conclusioni

L’analisi degli errori di punteggiatura più tipici mostra il potere predittivo dei criteri di punteggiatura proposti. Nello stesso tempo, il fatto che gli errori da parte degli scriventi, anche esperti, si verificano tipicamente in strutture di una certa complessità mostra che esiste una sorta di “opacità cognitiva” che interessa la sin-tassi, da cui consegue che ben punteggiare richiede delle notevoli capacità meta-linguistiche12.

5. Usi fini della virgola e intuizione sintattica

In questa parte verranno discussi dei casi caratterizzati da opacità cognitiva, tali che richiedono un’intuizione sintattica relativamente superiore. Non si tratta anco-ra di quello che nel senso comune si intende con ‘creatività’, ma si può convenire 12 È significativo che nel parlato, a prescindere dalla complessità sintattica, non si verifi-cano effetti di opacità cognitiva: un parlante nativo non sbaglia l’assegnazione dell’into-nazione-ritmo come sbaglia l’inserimento della punteggiatura. Questo conferma che leg-gere/scrivere non è un processo naturale come ascoltare/parlare e richiede di conseguenza un certo grado di consapevolezza (e, sembra lecito affermare, di addestramento specifico, specie per i casi più complessi).

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sul fatto che ci si trovi in un territorio molto prossimo.

5.1. Avverbi epistemici

La pertinenza dei modificatori per la punteggiatura non si esaurisce nei casi appena esaminati. Si considerino gli esempi seguenti:

17. a. Luca dorme probabilmente.

b. Luca dorme profondamente.

Per quanto nella grammatica tradizionale le due frasi verrebbero analizzate in modo identico, esse differiscono sostanzialmente. Una prima differenza è intona-tiva: mentre (17.b) è pronunciata con un’unica melodia intonativa, (17.a) è carat-terizzato da due melodie intonative, come la caduta di tono in coincidenza con ‘dormendo’ mostra chiaramente. Questo fenomeno è detto declinazione (nel senso di ‘abbassarsi’, come nella frase ‘Il sole sta declinando’) e si verifica in modo del tutto regolare alla fine di una unità frasale se non altrimenti specificato (p.e. nel caso di una interrogativa di tipo SÌ/NO, che richiede un tono alto sull’accento di frase). Il ritmo mostra lo stesso fenomeno: mentre in (17.b) la prominenza accen-tuale è su ‘profondamente’ (in conformità alla regola generale del ritmo in italia-no, che assegna la prominenza all’ultimo costituente della frase), in (17.a) ci sono due elementi prominenti (in conformità al fatto che ci sono due unità frasali di-verse), come la rappresentazione seguente illustra (gli elementi sottolineati hanno prominenza accentuale):

18. a. [

1 Luca dorme] [

2 probabilmente].

b. [1 Luca dorme profondamente].

In conclusione, l’intonazione e il ritmo indicano una differenza strutturale tra le

due frasi. Ma in che cosa consiste esattamente? Si noti che mentre avverbi come profondamente (un avverbio di modo) hanno una posizionabilità molto limitata nella frase, avverbi come probabilmente (avverbi ‘epistemici’: esprimono l’atteggiamento del parlante rispetto alla attendibilità di quanto detto) possono stare in altre posizioni, in particolare in inizio di frase. Si contrasti (19.a), che è perfettamente accettabile, con (19.b), che è inaccettabile (salvo che in usi molto particolari caratterizzati da intonazioni specifiche):

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19. a. Probabilmente Luca dorme.

b. *Profondamente Luca dorme. Questo contrasto posizionale indica chiaramente che i due avverbi hanno porta-

ta diversa, modificano cioè costituenti diversi; in particolare avverbi epistemici come probabilmente modificano un costituente superiore rispetto a quello modifi-cato da avverbi di modo come profondamente. Questo è confermato dal fatto che le due frasi non sono parafrasabili nello stesso modo:

20. a. È probabile che Luca dorma.

b. *È profondo che Luca dorma. Come si vede, solo l’avverbio epistemico permette di essere parafrasato come

il predicato di una frase principale che regge la frase ‘Gianni sta dormendo’. In al-tre parole, l’avverbio epistemico ha portata su tutta la frase in senso stretto. Que-sta è la ragione per cui questi avverbi vengono anche chiamati ‘avverbi proposi-zionali’, in quanto equivalgono a una intera proposizione. Possiamo rappresentare la differenza strutturale tra i due tipi di avverbio come segue:

21. a. [ [Luca dorme] probabilmente].

b. Luca [ [dorme] profondamente]. Come si vede, profondamente modifica il SV dormendo (= la frase è vera solo

se Gianni non solo dorme ma anche profondamente); probabilmente modifica, in-formalmente parlando, l’intera frase.

Dalle differenze strutturali descritte discende la punteggiatura corretta secondo il criterio della Fedeltà alla struttura:

22. a. Luca dorme profondamente.

b. Luca dorme, probabilmente.

5.2. Categorie implicite

Le differenze di portata appena discusse non si limitano agli avverbi. Si consi-derino i casi seguenti:

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23. a. Luca dorme perché si è stancato moltissimo.

b. Luca dorme perché le finestre sono tutte chiuse. Entrambe le proposizioni evidenziate sono causali. Tuttavia, le due frasi mo-

strano le stesse differenze prosodiche degli esempi precedenti.

23. a1. [ Luca dorme perché si è stancato moltissimo]. b1. [1

Luca dorme] [2 perché le finestre sono tutte chiuse].

La frase in (23.a) è pronunciata come un’unica melodia intonativa e ha un solo

elemento prominente, l’ultimo; la frase in (23.b), invece, è caratterizzata da due melodie intonative e, conformemente, ha due elementi prominenti, ciascuno alla fine della propria unità frasale. Anche in questo caso le due frasi sono semantica-mente molto diverse, come le parafrasi seguenti mostrano:

24. a. La causa del fatto che Luca dorme è che si è stancato moltissimo.

b. *La causa del fatto che Luca dorme è che le finestre sono tutte chiuse. La frase in (24.a) ha più o meno questo significato: ‘Luca dorme e la causa del

fatto è che si è stancato moltissimo’. In altre parole, la proposizione causale ha portata sul predicato (il SV) ‘dorme’. La frase in (24.b) non ha lo stesso significa-to (* ‘Luca dorme e la causa del fatto è che le finestre sono tutte chiuse.’). Da questo consegue che la causale non ha portata sul predicato. Il significato di (24.b) è piuttosto il seguente:

24. c. La causa del fatto (che affermo) che Luca dorme è che le finestre sono tutte chiuse.

Analogamente agli avverbi epistemologici, la parafrasi in (24) suggerisce che

la causale ‘perché le finestre sono tutte chiuse’ abbia portata su un costituente su-periore. Informalmente parlando, e analogamente a quanto detto in precedenza per gli avverbi epistemici, si potrebbe affermare con buona approssimazione che la causale abbia portata sull’intera frase. Vale però la pena di essere più precisi in questo caso: nella parafrasi compare un verbo correlato all’affermare/dichiarare (o significati simili). Questo non è il frutto di una coincidenza ma discende diret-tamente da una caratteristica fondamentale delle frasi. Ogni frase è caratterizzata

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da quello che viene chiamato ‘performativo’, che esprime la funzione fondamen-tale di una frase, lo scopo per cui viene prodotta: descrizione di uno stato di cose del mondo (dichiarativa), richiesta di una descrizione dello stato di cose del mon-do (interrogativa), richiesta di un comportamento da parte dell’interlocutore/degli interlocutori (imperativa), ecc. A seconda delle lingue e dei casi il performativo può essere esplicito (p.e. in italiano colloquiale si utilizza ‘che’ per le domande dirette, come in ‘Che fa freddo?’) o implicito, come nelle dichiarative, di cui la frase in (23.b) è un esempio. In altre parole, in (23.b) la causale ha portata sul per-formativo dichiarativo13.

In conformità alla struttura delle causali esaminate la punteggiatura corretta sa-rà come segue:

25. a. Luca dorme, perché le finestre sono tutte chiuse.

b. Luca dorme perché si è stancato moltissimo.

5.2. Conclusioni

L’analisi di alcuni casi (p.e. gli avverbi epistemici e i performativi impliciti) conferma che punteggiare è un’attività complessa che richiede una capacità meta-linguistica sofisticata. Questo può spiegare la ragione della grande variazione che si osserva nella pratica del punteggiare.

6. Usi creativi

In questa parte verranno esaminate delle applicazioni che richiedono creatività nel senso stretto del termine, in quanto implicano o di scegliere tra una serie di opzioni possibili, o di utilizzare la punteggiatura in settori in cui non esiste alcuna norma o pratica tradizionale. In effetti, si tratta di aspetti del linguaggio che sono terra incognita per la riflessione linguistica tradizionale e per l’insegnamento.

13 Gli avverbi epistemici non hanno esattamente la stessa portata delle frasi causali, ma modificano un costituente più basso, come si deduce dalla loro parafrasabilità: ‘Gianni dorme probabilmente’ non è parafrasabile come *‘È probabile che io affermo che G. dorma.’, ma come ‘Io affermo che è probabile che G. dorma.’. Il performativo domina l’avverbio epistemico, non viceversa. Per la posizione di questi avverbi v. Cinque (1999).

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6.1. Ritmo di lettura

Come si ricorderà, esistono diversi modi di punteggiare un testo che sono u-gualmente accettabili, i.e. tali che, in conformità ai criteri proposti, siano coerenti e che non producono differenze apprezzabili di parsing. Questo, però, non signifi-ca che siano equivalenti: per quanto indiretta, la relazione della punteggiatura con la prosodia fa sì che un lettore esperto sia condizionato da anni di pratica assidua di decodifica a rispondere velocemente agli stimoli della punteggiatura (ciò che è particolarmente evidente quando si legge ad alta voce). In altre parole, un lettore è condizionato dallo stile di punteggiatura che l’autore conferisce a un testo scritto. Un effetto stilistico immediato è il ritmo di lettura: uno stile di punteggiatura coe-rentemente “minimalista” (“punteggia solo dove è strettamente necessario”) con-diziona il lettore verso uno stile di lettura veloce, che rende il lettore più attento al senso generale che al dettaglio; viceversa, uno stile “massimalista” spinge il letto-re verso uno stile di lettura lento, che rende il lettore attento ai particolari, meno al contenuto generale. Per un esempio di questo stile di punteggiatura, in contrasto con uno più corrente, e per gli effetti correlati, si rinvia a (5a-b) già visti nell’Introduzione14.

6.2. Articolazione informativa

Un campo interessante e complesso è quello che riguarda quelle costruzioni a cui fin qui ci si è riferiti preteoricamente con ‘enfasi’. È giunto il momento di af-frontare l’argomento in qualche dettaglio e maggiore precisione.

La sintassi delle lingue umane convoglia più tipi di significati di quanto comu-nemente assunto. Un aspetto poco conosciuto ai non addetti ai lavori e studiato in modo sistematico solo di recente è quella che potremmo chiamare ‘articolazione informativa’. Con questo si intende quel tipo di informazioni di cui i parlanti ten-gono conto per cooperare reciprocamente nella conversazione. Una conversazione per avere successo deve essere molto più che grammaticale. Ad esempio una con-versazione come quella seguente non sarebbe considerata normalmente accettabi-le da qualsiasi parlante italiano (e, in linea di principio e lingua specifica a parte,

14 Ciò significa che, de facto, questo è l’effetto che iperpunteggiare produce su chi legge, non necessariamente che chi se ne avvale lo faccia consapevolmente.

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da nessun essere umano):

27. a. “A che ora hanno detto che parte questo treno?” b. * “È arrivato circa due ore fa.”

(27.b), pur perfettamente grammaticale, non è ovviamente accordata con la

domanda in (27.a) 15. Un errore meno banale del precedente e direttamente corre-lato al tipo di fenomeni in oggetto è il seguente:

28. a. “A che ora hanno detto che parte questo treno?”

b. * “QUESTO TRENO hanno detto che parte tra poco”. c. “Hanno detto che questo treno parte tra poco”. TOPIC FOCUS

La costruzione che interessa la frase in (28.b) si chiama focalizzazione e il co-

stituente interessato dalla proprietà di essere il focus della frase (in maiuscolo) si dice focalizzato. Dal punto di vista informativo il focus denota l’informazione che ha il maggiore contenuto informativo16. Ora si può capire perché (28.b) non può

15 Dato il tipo di inferenze innate che caratterizzano la nostra specie, è possibile pensare che (27.b) sia una risposta indiretta (se in una certa stazione i treni non sostassero più di due ore, la risposta ammonterebbe a ‘Non lo so, ma sapendo che sta qui da circa due ore, dovrebbe partire a momenti’). Per avere successo, però, un’inferenza simile richiede delle informazioni molto specifiche sullo stato di cose del mondo. Per una teoria delle inferenze naturali utilizzate nella conversazione v. Grice (1975). 16 La trattazione dei ruoli informativi è stata qui semplificata per necessità. In effetti, focus e elemento focalizzato non sono equivalenti: il concetto di focus è di tipo semantico e si applica a qualsiasi elemento che riveste quel particolare ruolo informativo; un elemento focalizzato, invece, è un sintagma sottoposto a quello specifico processo sintattico chia-mato focalizzazione. Nella letteratura specifica si utilizzano altri termini più o meno equi-valenti, senza sufficiente chiarezza. Ciò che è chiaro, però, è che è necessario distinguere due tipi diversi di focus. Il ‘focus forte’ (focalizzato) ha tipicamente un’interpretazione contrastiva, i.e. nega un’informazione presupposta:

(D) “Che cosa è successo?” → (R) “È arrivato Luca.” / (Ri) ?“LUCA è arrivato.”

La domanda in (D) crea un contesto molto generico, in cui nulla è presupposto (eccetto un avvenimento appena concluso). Mentre (R), con focus normale, è una risposta appropriata a (D), (Ri) non lo è. La ragione è che, essendo il focus forte inerentemente contrastivo, essa

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essere una risposta a (28.a): mentre il focus della domanda in (28.a) è rappresen-tato da ‘a che ora’ (perciò evidenziato), il focus nella risposta in (28.b) è rappre-sentato, come abbiamo visto, da ‘questo treno’ invece che da ‘tra poco’, come sa-rebbe logico. Infatti, la frase in (28.c) sopra (in cui ‘tra poco’ è il focus naturale perché in fine di frase, come la prominenza accentuale dimostra) è una risposta adeguata a (28.a) 17. In altre parole (28.c), ma non (28.b), si accorda con (28.a) dal punto di vista informativo.

Passiamo a considerare le implicazioni per la punteggiatura. A causa dell’arti-colazione informativa, vi sono diversi casi che risultano ambigui in forma scritta, sebbene non lo siano nel parlato. Si consideri l’esempio seguente:

29. a. Luca andava a trovare il padre quando poteva.

b. Luca andava a trovare il padre quando poteva. c. [1 Luca andava a trovare il padre] [2 quando poteva].

La frase in (29.a) è ambigua nello scritto, equivalendo a due diverse frasi per

articolazione informativa: può essere pronunciata come in (29.b) – in cui la pro-minenza prosodica (e quindi il focus informativo) è su ‘quando poteva’ – oppure come in (29.c), in cui prominenza e focus informativo sono su ‘il padre’. Pari-menti, in (29.b) il dato (le informazioni presupposte) è il costituente evidenziato, come mostra il fatto che (29.b) potrebbe essere la risposta a una domanda come ‘Quando andava a trovare il padre Luca?’, in cui tutta la frase principale è citata. Viceversa, in (29.c) sono dati il soggetto e la proposizione temporale (evidenziati in corsivo); pertanto la frase potrebbe essere una risposta a una domanda del tipo ‘Che cosa faceva Luca quando poteva?’, in cui sia ‘Luca’ sia la proposizione temporale sono citati18.

Dal punto di vista della punteggiatura è necessario, in accordo al Principio del-la fedeltà alla struttura (sia per la precisione sia per la facilità di parsing), che la

presuppone un contesto molto specifico, che a sua volta presuppone complesse inferenze. Per questo (Ri), in risposta a (D), suona molto strana. 17 Vi sono, naturalmente, altre risposte possibili (p.e., ‘Hanno detto che parte tra poco, questo treno’, ecc.), ma tutte aventi in comune il fatto che il focus è rappresentato dal sin-tagma ‘tra poco’. 18 Potrebbe anche essere una risposta a una domanda del tipo: ‘Chi andava a trovare Luca quando poteva?’, che determina che nella risposta ‘Luca andava a trovare il padre, quando poteva.’ tutti gli elementi eccetto ‘il padre’ siano dati.

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punteggiatura sia in grado di guidare il lettore alla corretta interpretazione di que-ste frasi. Le due interpretazioni sono punteggiate di seguito in conformità alla struttura: 30. a. Luca andava a trovare il padre quando poteva. (= b)

b. Luca andava a trovare il padre, quando poteva. (= c) La virgola viene introdotta in (30.b) alla fine del costituente frasale in senso

stretto, separando l’elemento topic, esattamente come avviene a livello prosodico e sintattico19. Un espediente grafico utilizzato a volte in rinforzo della virgola è la corsivizzazione del focus (specialmente quando questo non è in fine di frase e quindi automaticamente riconosciuto come tale). Le frasi precedenti avrebbero la forma seguente:

31. a. Luca andava a trovare il padre quando poteva.

b. Luca andava a trovare il padre, quando poteva20. Le frasi seguenti mostrano in modo ancora più evidente l’importanza della pun-

teggiatura per disambiguare frasi in cui l’articolazione informativa gioca un ruolo cruciale:

32. a. Rispondi quando sei interrogato!

b. Rispondi quando sei interrogato! c. Rispondi, quando sei interrogato!

19 Nella letteratura, e ancor più nella pubblicistica, vi sono molti esempi di questo uso del-la virgola, che richiede scrittori sofisticati e non convenzionali. Esso si accompagna a una prosa di vivacità e naturalezza prossima a quella della lingua parlata, come è particolar-mente desiderabile per i dialoghi e per i testi di discorsi o di sceneggiature. 20 È verosimile che l’uso del corsivo abbia una base iconica, in quanto il diverso carattere attira l’attenzione del lettore. Per le stesse ragioni, anche la maiuscolizzazione ottiene, ed è a volte utilizzato per, lo stesso scopo:

a. Gianni andava a trovare il padre QUANDO POTEVA. b. Gianni andava a trovare IL PADRE, quando poteva.

Il carattere tipografico e la maiuscolizzazione per gli usi non canonici non rientrano, per definizione, nella punteggiatura. Tuttavia, sono espedienti che possono assolvere alla stes-sa funzione di codificare informazioni prosodiche. Questo è tanto più vero oggi, in cui la videoscrittura gioca un ruolo sempre più fondamentale (rispetto alla scrittura a mano e alla ormai obsoleta scrittura a macchina).

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La frase in (32.a) potrebbe essere una risposta a una domanda del tipo ‘Quando

devo rispondere?’; il focus è rappresentato quindi dalla proposizione temporale. La frase in (32.b) potrebbe invece essere una risposta a una domanda del tipo ‘Che cosa devo fare quando sono interrogato?’.

In conclusione, l’articolazione informativa, che è uno degli aspetti che più con-tribuisce all’espressività del parlato, richiede un uso creativo della punteggiatura per sopperire alla povertà di risorse della scrittura.

6.3. Economia, inferenze naturali e gradazione informativa

Un altro aspetto rilevante dell’uso della virgola, e fonte di variazione e incer-

tezza, è correlato all’uso della virgola né in accordo né in disaccordo con i princi-pi di fedeltà alla struttura. Gli esempi seguenti illustrano il problema:

33. a. Non ho visto né Pietro, né Fernando.

b. Ho scritto sia l’introduzione, sia la conclusione. La virgola inserita nelle frasi sopra è ampiamente tollerata, se non favorita dal-

la norma tradizionale; tuttavia, è evidente che essa sia ridondante, come le stesse frasi senza virgola mostrano:

34. a. Non ho visto né Pietro né Fernando.

b. Ho scritto sia l’introduzione sia la conclusione. Tra le frasi in (33) e (34) non c’è nessuna apprezzabile differenza di parsing.

La ragione è che le “congiunzioni” ‘né’ e ‘sia’ esplicitano la relazione tra due e-lementi coordinati. La norma corrente, o almeno la sua indeterminatezza, è in questo caso sorprendente, in quanto c’è buona evidenza che la norma del punteg-giare sia improntata a un criterio di economia. Ad esempio, come si ricorderà (§ 1.1), le seguenti punteggiature sono considerate errate:

35. a. Vorrei due caffè, un cappuccino, e un cornetto.

b. * È un cavallo, o un mulo. La ragione, evidentemente, è che la virgola è giudicata ridondante perché la

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congiunzione assolve la funzione di indicare la relazione tra gli elementi. In real-tà, è facile dimostrare che questa norma non tiene conto di aspetti che non hanno nulla a che vedere con il criterio di economia della punteggiatura.

Le congiunzioni, in particolare ‘e’, assolvono una serie di funzioni diverse, co-ordinando frasi che intrattengono tra loro relazioni molto diverse21. Si considerino a questo proposito le frasi seguenti:

36. a. Noemi è una bambina sana e va bene a scuola.

b. Il libro è buono ed è probabile che abbia successo. Le frasi in (36) contengono una coordinazione tra proposizioni diverse con ‘e’

come connettivo. Tuttavia, hanno proprietà diverse, come risulta evidente cam-biando l’ordine dei congiunti:

37. a. Noemi va bene a scuola ed è una bambina sana.

b. ?Il libro è probabile che abbia successo ed è buono. Mentre (37.a) è perfettamente normale, (37.b) suona strana. La ragione è che, a

causa delle inferenze innate, il lettore tenta in tutti i modi di stabilire la relazione tra le informazioni che si susseguono anche quando questa non è esplicitata, come è il caso delle frasi citate, in quanto il connettivo ‘e’ ha una semantica alquanto povera. Nel caso di (36.a) il lettore non inferisce alcuna relazione particolare tra i due congiunti, in quanto tra le due nozioni ‘bambina sana’ e ‘andare bene a scuo-la’ non è possibile stabilire un nesso causale. Questa è la ragione per cui (37.a) è appropriato: cambiando l’ordine delle proposizioni il risultato non cambia, (36.a) equivale a (37.a). Viceversa, in (36.b) il lettore inferisce una relazione causale tra le due proposizioni: ‘il fatto che il libro è buono è la causa del fatto che è proba-bile che abbia successo’. Per questo è improprio invertire l’ordine delle proposi-zioni: *‘il fatto che è probabile che il libro abbia successo è la causa del fatto che è buono’. L’esempio seguente conferma:

38. a. Il cavaliere montò a cavallo e cavalcò verso est.

b. Il cavaliere montò a cavallo e (con quel cavallo, subito dopo) cavalcò verso est. c. ?Il cavaliere cavalcò verso est e montò a cavallo.

21 Per la semantica dei connettivi v. Chierchia (1997).

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Le inferenze naturali stabiliscono un nesso di successione temporale tra le due

proposizioni nella frase in (38.a): (38.b) è una rappresentazione informale delle informazioni implicite derivanti da inferenza (tra parentesi). Ciò spiega perché la frase in (38.c), in cui è stato invertito l’ordine delle proposizioni, è strana: l’ordine inverso non permette di mettere in relazione di successione temporale la nozione di ‘cavalcare’ e ‘di montare a cavallo’.

È interessante osservare, però, come la punteggiatura interferisca con le infe-renze naturali. Si considerino gli esempi seguenti:

39. a. Il libro è buono ed è probabile che abbia successo.

b. Il libro è buono, ed è probabile che abbia successo. La punteggiatura della frase in (39.b), con una virgola tra le due proposizioni,

suggerisce una pronuncia diversa da quella normale, per cui ogni proposizione è contraddistinta da una melodia intonativa autonoma:

39. c. [1 Il libro è buono], [2 ed è probabile che abbia successo]

Qual è la differenza di contenuto tra la frase in (39.a), senza pausa intonativa (e

virgola) e quella in (39.b)? Per quanto sottile, sembra di poter dire che mentre in (39.a) le proposizioni siano alla pari dal punto di vista informativo, in (39.b) la prima proposizione è prominente sulla seconda. In altre parole, lo scopo informa-tivo della frase non è distribuito omogeneamente su entrambe le proposizioni: lo scopo informativo primario è costituito dalla prima proposizione, mentre la se-conda proposizione è solo complementare22.

A conferma di questo c’è il fatto che la frase in (37.b) sopra (ripetuta sotto co-me 40.a), che è impropria a causa dell’ordine inverso delle proposizioni, diventa accettabile se si interpone una virgola (quindi una pausa intonativa) tra le due proposizioni:

40. a. ?Il libro è probabile che abbia successo ed è buono.

b. Il libro è probabile che abbia successo, ed è buono.

22 Si può immaginare che questa frase sia tipicamente pronunciata da un critico letterario, interessato più alla qualità del libro che a quante copie esso possa vendere.

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La frase in (40) diventa accettabile perché, a causa della pausa intonativa, le

due proposizioni diventano asimmetriche dal punto di vista informativo: l’informazione principale è ‘è probabile che il libro abbia successo’, mentre l’informazione che ‘il libro sia buono’ è complementare23.

Questa configurazione presenta molte analogie con la graduazione dell’importanza comunicativa attuata tramite l’articolazione proposizione princi-pale/secondaria, come gli esempi seguenti mostrano:

41. a. Il libro, che è probabile abbia successo, è buono. (= Il libro è buono, ed è probabile che ab-

bia successo.) b. Il libro, che è buono, è probabile abbia successo. (= Il libro è probabile che abbia successo,

ed è buono.) La frase in (41.a), in cui la nozione che ‘è probabile che il libro abbia successo’

è realizzata come una secondaria (relativa), equivale grosso modo alla frase in (39.b), con una virgola (e una pausa intonativa) tra le due proposizioni; la frase in (41.b), in cui, invece, è la nozione che ‘il libro è buono’ a essere realizzata come una relativa, equivale grosso modo alla frase in (40.b).

In conclusione, (contro la norma) la virgola può essere inserita prima di un connettivo per differenziare la priorità informativa tra proposizioni congiunte e i-nibire le inferenze sulla relazione tra di esse.

6.4. Conclusioni

La natura intrinseca della punteggiatura ne permette un uso creativo: lo stile

di punteggiatura di un testo condiziona il ritmo di lettura e l’atteggiamento cogni-tivo generale del lettore.

Alcuni settori del linguaggio (p.e. articolazione e gradazione informativa) ri-chiedono un uso creativo della punteggiatura per approssimarsi alla ricchezza e-spressiva della lingua parlata.

23 Si può immaginare che questa frase sia tipicamente pronunciata da un editore o un lib-raio, interessati più a quante copie il libro possa vendere che alla sua qualità.

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7. Conclusioni generali

Per concludere, verranno riassunti i risultati a cui è pervenuta l’argomentazione e verrà suggerita una conclusione riguardo alle conseguenze educative.

1. Punteggiare è in primis un’attività interpretativa, non meccanica. Le cono-scenze che la punteggiatura interpreta sono sintattiche; la relazione tra punteggia-tura e intonazione è, invece, indiretta.

2. Il criterio soggiacente alla punteggiatura è di essere una funzione del par-sing. Dall’interazione tra il criterio del parsing e un criterio formale di coerenza deriva la gradualità di accettabilità della punteggiatura, che è compatibile con la variabilità “stilistica” e la possibilità di usi creativi, della punteggiatura.

3. L’analisi degli errori di punteggiatura più tipici, condotta sulla base dei crite-ri proposti, mostra che esiste una “opacità cognitiva” sintattica, che conferma che ben punteggiare non è automatico, ma richiede capacità metalinguistiche.

4. L’analisi di alcuni casi particolari conferma che punteggiare è un’attività complessa che richiede capacità metalinguistiche sofisticate, fatto che può spiega-re la ragione della grandi differenze di “successo” nella pratica del punteggiare.

5. La natura graduale della punteggiatura ne permette un uso creativo: lo stile di punteggiatura di un testo condiziona il ritmo di lettura e l’atteggiamento cogni-tivo generale del lettore. Alcuni settori del linguaggio (articolazione e gradazione informativa), infine, richiedono un uso creativo della punteggiatura, a causa della scarsità delle sue risorse in relazione alla ricchezza espressiva della lingua parlata.

Dal punto di vista educativo, infine, i fatti suggeriscono la seguente conclu-sione: scrivere non è il risultato di apprendimento spontaneo come parlare, ma ri-chiede un insegnamento mirato. In particolare, ben punteggiare richiede che ven-gano considerevolmente potenziate le capacità metasintattiche dell’apprendista. Riferimenti bibliografici Allen, R. (2002), Punctuation, Oxford University Press. Bertinetto, P.M. e E. Magno Caldognetto (1993), «Ritmo e intonazione», in A. Sobrero,

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