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La questione teologica della salvezza dei non–cristiani
Sommario
Capitolo I: Linee emergenti dalla Sacra Scrittura sulla salvezza dei pagani ....................... 4 1. Prospettive di universalità del disegno di salvezza nell‟AT. ................................................ 5
2. L‟universalità dell‟azione divina di salvezza nell‟AT. ......................................................... 9 3. Lumi del NT sull‟università dell‟azione salvifica di Dio. .................................................. 13 4. Il NT sull‟universalità del disegno di Dio in Cristo. .......................................................... 15 5. Il legame di Cristo con i pagani alla luce dell‟insegnamento biblico. ................................ 16 6. Cristiani e pagani alla luce della capitalità del Risorto. ..................................................... 17
Bibliografia
Magistero
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2
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3
In questo corso ci proponiamo di fare un‟indagine teologica sulla situazione dei non–evangelizzati
nei confronti della salvezza. La dottrina cristiana ha sempre sostenuto (fondandosi sul contenuto
rivelato) che chi è fedele al vangelo ottiene la beatitudine eterna e chi rifiuta in linea teorica o
nell‟agire pratico gli insegnamenti di Gesù, se non si converte prima della morte, non potrà
partecipare in quella. Tuttavia il discorso sul destino di coloro che non hanno ricevuto la luce del
vangelo è di solito rimasto più generico e dubbioso. Oggetto di questo corso è riprendere la
questione a livello biblico, storico-teologico e magisteriale per cercare di illuminare teologicamente
questa domanda.
Punto di partenza resta il fatto, da sempre asserito nella Chiesa, che la salvezza cristiana è
universale, almeno nel senso che Dio vuole illuminare con il vangelo l‟intera umanità. Altrimenti
non si spiegherebbe il mandato missionario dato da Gesù ai discepoli e reso concreto dalle tante
iniziative evangelizzatrici che la Chiesa ha messo in opera nella sua bimillenaria storia. In questa
luce appaiono naturali le affermazioni che leggiamo nella Scrittura sul carattere universale della
salvezza, a cominciare dal noto brano della epistola a Timoteo: “Dio vuole che tutti gli uomini si
salvino” (1Tm 2,4). A questa generale dichiarazione d‟intenti da parte di Dio è facile abbinare
l‟idea che proprio perciò Cristo è venuto al mondo. Egli “è morto per tutti” (2Cor 5,14-15), per
l‟intera umanità, e ha offerto se stesso affinché il mondo abbia la vita eterna1.
Tuttavia queste affermazioni hanno un carattere generale. Esse nulla dicono della situazione di
coloro che non sono venuti a contatto con il vangelo, se non il fatto che essi sono destinatari
potenziali del beneficio redentore di Cristo. Questo beneficio però si dispiega di ordinario mediante
la predicazione della Chiesa e la fede battesimale che essa suscita, il che pone la domanda di cosa
accade quando tale predicazione non esiste, o almeno non esiste in modo significativo. Il Magistero
della Chiesa ha dato da tempo una risposta che suona così: i non–evangelizzati possono ottenere,
entro certe condizioni, la salvezza cristiana. Tale è stata anche la dottrina del Concilio Vaticano II2
sulla scia del Magistero precedente. Tale è anzitutto la logica conseguenza della fede in Gesù Cristo
come Salvatore unico e universale.
Ma la “questione del come” (attraverso quale mezzi, azioni, ecc) i pagani arrivino alla salvezza,
resta ancora oggetto della riflessione teologica, e rimane per certi versi una questione aperta. Il
principale nodo da risolvere è ancora quello classico, relativo al modo di superare la originaria
condizione di peccato da parte dei pagani3 e delle condizioni antropologiche affinché ciò possa
avvenire4. La questione si pone oggi però in un contesto diverso rispetto ad altre epoche della storia.
Perché vari fattori facilitano un relativismo culturale che rende arduo il compito di comunicare il
messaggio cristiano in modo significativo. Per cui è teoricamente possibile che molte persone, sotto
l‟influsso di un tale ambiente culturale, assumano in buona fede stili di pensiero e di vita che si
discostano da quello cristiano. Dio tuttavia offre anche a loro la possibilità di salvezza, perché la
fede ci indica che l‟offerta salvifica di Dio è universale, e deve raggiungere realmente ogni persona.
Ma come? E cosa aspetta da loro?
1 Cfr. Gv 3,16.
2 Cfr. Cost. Past. Gaudium et Spes, 22.
3 Per condizione di nascita l‟uomo viene al mondo in uno stato di separazione di Dio (dottrina cristiana del
peccato originale). Questa separazione è superata mediante il battesimo (dottrina della giustificazione battesimale), in
forza del quale il cristiano entra nella comunione con Dio e può raggiungere la vita eterna e la gloria. Ma il non–
evangelizzato rimane privo dal battesimo. Ci si chiede allora medianti quali mezzi, atti, ecc. egli possa rientrare nella
comunione con Dio.
4 Debbono avere fede, per esempio, nell‟esistenza di Dio? Portare una vita morale retta? Ecc.
4
In sintesi, questo corso cerca di riflettere e approfondire la questione teologica della
giustificazione (e dunque della salvezza) del pagano.
Delineata così la nostra questione, il corso si articola in tre fasi: nella prima intendiamo dare
uno sguardo alla Scrittura per individuare quel insieme di elementi che sono a fondamento del
discorso teologico sulla salvezza dei pagani. Nella seconda tenteremo di ripercorrere per sommi
capi la storia teologica della questione con una speciale attenzione alla teologia più recente. Infine
riprenderemo il tema teologicamente nel tentativo di delineare alcuni aspetti dello statuto
soteriologico dei pagani, e di come essi possano raggiungere la salvezza cristiana.
Un ultima osservazione sembra anche necessaria: lo studio della giustificazione del pagano non può essere
affrontato come questione a se, priva di riferimenti alle certezze di fede che abbiamo sulla salvezza, e che si
esprimono con le nozioni: Cristo, giustificazione, peccato, fede, battesimo, ecc. Non avrebbe senso teorizzare una
salvezza dei pagani che rendesse poi problematica o addirittura incomprensibile la dottrina sulla salvezza dei
cristiani, o di alcuni suoi aspetti quali, ad esempio, la dottrina sulla necessità della fede, di condurre una vita in
grazia o di appartenere alla Chiesa. Ciò potrebbe avvenire qualora non si tenesse sufficientemente conto delle
implicazioni fondamentali dell‟essere cristiano, e si puntasse su di una piatta identificazione tra “umano” e
“cristiano”5. Ma a quel punto le nozioni di cui parlavamo prima non avrebbero più rilevanza e l‟interrogativo su
una giustificazione del pagano non avrebbe già senso. Invece si deve partire del fatto che lo statuto soteriologico
del cristiano e quello del pagano da un lato sono diversi, ma dall‟altro devono far senso insieme. Perciò, dal punto
di vista metodologico, la salvezza dei pagani va considerata alla luce di quanto è stato rivelato sulla salvezza dei
cristiani, e non viceversa, in modo da porre il discorso soteriologico cristiano come luce per la situazione dei
pagani, così come accade, in fin dei conti, negli scritti del Nuovo Testamento.
Capitolo I: Linee emergenti dalla Sacra Scrittura sulla salvezza dei pagani
La riflessione sul disegno divino di salvezza riguarda il nucleo centrale dell‟esperienza
cristiana e della sua struttura fondamentale. Il Concilio Vaticano II dice: “Piacque a Dio, nella sua
bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante
il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al
Padre e sono resi partecipi della natura divina (cf. Ef 2,18; e Pt 1,4)”6. Esso colloca la rivelazione
salvifica in un quadro universale che ha luogo dai primordi dell‟umanità e che culmina con l‟invio
di Cristo. Nella Dei Verbum si legge: “Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del
Verbo (cf. Gv. 1, 3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cf. Rom. 1,
19-20)”7. La sua azione non si ferma però qui: “Inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste,
fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della
redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza (cf. Gen. 3, 15), ed ebbe costante cura del
genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro, i quali cercano la salvezza con la perseveranza
nella pratica del bene (cf. Rom. 2, 6-7)”. Soltanto allora segue il percorso più proprio della storia
della salvezza: “A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cf. Gen 2-3), che
dopo i patriarchi ammaestrò per mezzo di Mosè e dei profeti …”. Si prepara così la via al vangelo
che ha luogo con la vita e pasqua di Gesù.
5 Ciò sembra fare una (cattiva) teologia delle religioni quando propone una equivalenza sostanziale tra tutte le
religioni. Allora certamente si può parlare di una pari opportunità di salvezza per tutti (anche per coloro che scelgono
fare professione di ateismo, che è pure una opzione possibile), ma una tale posizione richiede l‟abbandono del dogma
cristologico ed è incompatibile con il Dio di Gesù Cristo, come ha opportunamente segnalato la Congregazione per la
Dottrina della Fede nell‟Istruzione Dominus Iesus (2000).
6 Cost. Dogm. Dei Verbum, 2.
7 Ibid., n. 3.
5
Da notare lo schema del testo:
Dio --------------- a tutti ------------------ manifestazione di sé ----------- per mezzo del creato
Inoltre:
Dio ------------- a tutti ----------------- apertura salvezza eterna ------------- cura sua personale
(manifestata nella storia di salvezza)
Lo schema implica che la prima via non porta direttamente alla salvezza eterna, ma sulla base
di questa Dio intraprende una seconda iniziativa. Entrambe hanno una portata universale.
In questa prima sezione si tratta di cogliere i principali elementi che mostrano nella Sacra
Scrittura che il disegno di salvezza è un disegno che riguarda l‟intera umanità, che tutti sono
chiamati ad essa e tutti possono raggiungerla di fatto, perché Dio dona a ciascuno le grazie
necessarie per arrivare a un tale traguardo.
Da notare:
Universalità del disegno di salvezza: il disegno è rivolto a tutti (universalità generale o di diritto)
Universalità dell‟azione salvifica: l‟azione di Dio raggiunge tutti (universalità concreta o di fatto).
1. Prospettive di universalità del disegno di salvezza nell’AT.
La Scrittura presenta l‟intera vicenda umana come inserita in un disegno che abbraccia l‟intera
umanità, nessuno escluso. Segnaliamo tre dimensioni principali di questa universalità: essa è
protologica8, escatologica9 e storica10.
a) Universalità protologica. Dall‟inizio Dio si mostra interessato nell‟uomo che Egli ha
creato. Quasi si direbbe che lo crea per chiamarlo ad essere un suo interlocutore. Il libro della
Genesi mette in evidenza l‟amicizia che Dio offre a uomo e donna, la sua preoccupazione affinché
l‟uomo non manchi del necessario, e che possa condurre una esistenza felice. G. Lafont fa notare
che dopo aver creato l‟uomo nel giardino dell‟Eden, Dio si rivolse a lui per avvertirlo che poteva
mangiare di tutti gli alberi del Paradiso tranne dell‟albero della conoscenza del bene e del male,
perché –affermò Dio– “quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gn 2, 17). In questo modo
l‟uomo dall‟inizio fu posto sotto la parola di Dio che dona e che proibisce: che dona la felicità della
vita nel giardino, ma che comanda anche di osservare un precetto: “il solo fatto di essere stati messi
chiaramente di fronte a un precetto divino –continua Lafont– (...) ingenera per la coppia e per
ciascuno dei suoi membri una presa di coscienza di sé di fronte a Dio”11. Adamo ed Eva dunque
dall‟inizio sono rapportati a Dio, chiamati a vivere nella responsabilità di questa amicizia con Dio, e
l‟intera stirpe umana è nello stesso rapporto.
Questa relazione può già essere espressa con il termine “alleanza”. Benché nell‟AT siano
importanti le alleanze con Abramo e, soprattutto, con Mosè, la storia delle alleanze non inizia con i
due patriarchi. I cicli di Adamo (Gen 1–5) e di Noè (Gen 6–9) che precedono quello di Abramo al
capitolo dodici raccontano dell‟alleanza universale di Dio con l‟umanità, per il fatto che attestano
l‟intima relazione del Creatore con Adamo, il primo essere umano. “Questa intima relazione
8 Questa parola derivata dal greco significa letteralmente il “discorso sulle cose prime”, e si usa in teologia per
indicare l‟ambito della creazione.
9 Siamo qui al “discorso sulle cose ultime” e dunque all‟ambito della consumazione di tutte le cose.
10 La storia, cioè, il tempo intermedio tra ciò che avvenne all‟inizio (proton ) e ciò che avverrà alla fine
(eschaton).
11 G. LAFONT, Dio, il tempo e l’essere, Piemme, Casale Monferrato 1992, p. 96.
6
simboleggia, come compresero bene i padri della Chiesa, una prima alleanza universale con la razza
umana. Tale interpretazione, inoltre, non è priva di basi bibliche: Sir 17,12 parla dell‟ alleanza
eterna stabilita da Dio con i nostri progenitori; Ger 33,20-26 e Sal 89 fanno riferimento ad un'
alleanza cosmica attraverso la creazione”12. L‟esistenza di questa alleanza cosmica originaria ci
dice molto sul senso dell‟uomo. Essa sta a indicare che l‟uomo, fatto ad immagine e somiglianza di
Dio, è creato per in vista della comunione con Dio13. Essa si estende tanto quanto l‟intera storia
umana.
La stessa universalità pone di manifesto anche nel ciclo di Noè (Gen 9). Qui, per la prima volta
appare nel testo la terminologia dell‟alleanza. Noè viene presentato come un “uomo giusto e integro
tra i suoi contemporanei (...) (che) camminava con Dio” (Gen 6,9). Dio promette di stabilire
un‟alleanza con lui già prima del diluvio14; e quando adempie questa promessa Egli parla di un
“alleanza eterna” (Gen 9, 16), da ricordare per mezzo dell‟arcobaleno.
Si tratta anche qui di un‟ “alleanza cosmica”, mediante la quale Dio si impegna a garantire la
permanenza e la stabilità del mondo dopo il diluvio, in base alla sua propria fedeltà ('emet) a la
creazione da Lui fatta15. Più concretamente l‟alleanza con Noè16 riprende l‟ordinamento iniziale
dato ad Adamo, ma in un contesto diverso che è quello già segnato dal peccato. Il senso dell‟intero
racconto non si trova nelle acque del diluvio che spazzano via il mondo, perché il racconto va oltre.
Le acque sono conseguenza dei peccati dell‟umanità, ma la punizione divina non ha un carattere
definitivo. Infatti, terminato il diluvio l‟umanità non è cancellata, ma viene rifondata a partire da
Noè e dalla sua famiglia. Noè riceve da Dio una benedizione simile a quella ricevuta dal primo
Adamo: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” (Gn 9, 1). Sono le parole di un nuovo
“sì” di Dio al mondo e alla vita umana, di una approvazione che non verrà mai a meno: “non ci
saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne” (Gen 9, 15)17. E ciò benché l‟uomo
che Dio ha dinanzi a Sé è un uomo fragile, peccatore, come Dio sa bene. Non è più l‟Adamo del
giardino iniziale, e tuttavia Dio non rifugge di manifestargli il proprio amore. Anzì, Egli s‟impegna
con un‟alleanza eterna a garantire la stabilità e sussistenza della sua creazione: “Questo è il segno
dell‟alleanza che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni
eterne. Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell‟alleanza tra me e la terra (...) L‟arco
sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l‟alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni
carne che è sulla terra” (Gn 9, 13.16). Questa parola è dunque garanzia della benevolenza divina nei
12 J. Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997, p. 49.
13 Secondo Giovanni Paolo II, la Scrittura “presenta la creazione dell‟uomo come una speciale donazione da parte
del Creatore, nella quale sono contenuti non solo il fondamento e la fonte dell‟essenziale dignità dell‟essere umano –
uomo e donna – nel mondo creato, ma anche l‟inizio della chiamata di tutt‟e due a partecipare alla vita intima di Dio
stesso. Alla luce della rivelazione, creazione significa nello stesso tempo inizio della storia della salvezza” Giovanni
Paolo II, Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, 15–VIII–88, n. 9.
14 Cf. Gen 6, 18.
15 I Padri della Chiesa non hanno parlato soltanto di due alleanze (mediante Abramo-Mosè e mediante Gesù
Cristo), ma di quattro, partendo dalle alleanze con Adamo e Noè. Essi percepivano che la storia della salvezza non è
ristretta ad un popolo eletto, ma si estende a tutta l'umanità e all'intera storia umana. Ireneo scrisse perciò: “furono dati
quattro testamenti al genere umano: uno prima del diluvio, al tempo di Adamo; il secondo dopo il diluvio, al tempo di
Noè; il terzo, che è la legislazione, al tempo di Mosè: il quarto è quello che rinnova l'uomo e ricapitola in sé tutte le
cose, quello che avviene mediante il Vangelo e solleva e fa volare gli uomini verso il regno celeste”. Adversus
Haereses, III, 11, 8.
16 Cf. Gn 6-9.
17 Cf. A. Bonora, Noè: un’alleanza per tutti i popoli, “Parola, Spirito e Vita” 16 (1987), 9-23; Id., La promessa
impegno di Dio con il mondo Gn 9, 8-17, “Teologia” 7 (1982) 37-45.
7
confronti della creazione18, del fatto che, nonostante l‟inclinazione dell‟uomo al peccato, il Creatore
guarda con benevolenza la vita che ha creato e l‟accompagna con la sua provvidenza e con la sua
grazia19.
b) Universalità escatologica. È naturale perciò che a questi aspetti universali fondati sulla
dottrina della creazione, la Sacra Scrittura faccia corrisponde altri riguardanti il destino dell‟uomo
(escatologici). Lo sguardo rivolto all‟origine conduce allo sguardo rivolto al futuro, verso il fine. E
all‟universalità della chiamata originaria alla salvezza, la Scrittura fa corrispondere un‟universalità
della retribuzione ultima, che segna o meno l‟effettiva realizzazione della salvezza. Questa
retribuzione ultima è collegata nell‟Antico Testamento al tema del giudizio di Dio20, e in definitiva
dell'azione di Jahvé in esercizio della sua regalità finale su Israele e sul mondo.
L‟azione di giustizia e di giudizio da parte di Dio riguarda certamente il tempo presente; Egli
può intervenire sulle vicende della storia quando lo considera opportuno, per porre fine al male. Il
suo giudizio tuttavia ha come ambito più specifico il momento ultimo della storia. Nell‟AT questo
momento ultimo della storia si esprime attraverso il tema del “giorno di Yahvé”, cioè, il momento
della consumazione delle promesse divine a Israele, quando Dio, dopo aver congregato il suo
popolo per la venuta e l‟azione del Messia, avrebbe purificato il popolo da ogni indegnità, eliminato
il male e annientato i nemici di Israele. Il “giorno di Yahvé” è allora una sorta di profezia di ciò che
Israele si aspetta per il futuro. Non sempre, tuttavia, l‟arrivo del giorno di Jahvé è visto nella
Scrittura come il momento della distruzione delle “nazioni” che hanno combattuto Israele. Spesso
significa l‟arrivo di una concordia e di una armonia universali anche con le nazioni. Il giorno di
Yahvé comunque si estende anche alle nazioni, ed è questo ciò che ci interessa adesso. E‟ il giorno
decisivo no solo per Israele, ma per tutti, per il mondo21. In Is 2, si dice per esempio:
2Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e s'innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti. 3Verranno molti popoli e diranno:
"Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci insegni le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri".
Poiché da Sion uscirà la legge
e da Gerusalemme la parola del Signore. 4Egli sarà giudice fra le genti
18 “Come in Gen 1 l‟ordine costitutivo del mondo dipende dalla Parola divina, così in Gen 9, 8-17 la stabile
sussistenza del mondo è sostenuta da una Promessa di Dio”. A. Bonora, La promessa-impegno di Dio con il mondo
(Gen 9, 8-17), "Teologia", 7 (1982), 43.
19 La descrizione dei settanta popoli che segue in continuazione (Gen 10) è, come fa notare il Danielou, il
compimento della benedizione data a Noè. L‟Autore sacro descrive compiaciuto un‟umanità divisa “in famiglie, in
lingue, in paesi e in nazioni”, che appare “come l‟espressione del disegno di Dio, come un aspetto della bellezza della
creazione”. In qualche modo, l‟arco dispiegato in cielo rappresenta un‟alleanza di Dio con la creatura vivente, con le
nazioni della terra, che si prolunga nei loro prodotti spirituali, culturali e religiosi. Cf. J. Danielou, In principio. Genesi
1-11, Morcelliana, Brescia 1963, p. 78.
20 Seguiamo G. Gozzelino, Nell’attesa della beata speranza. Saggio di escatologia cristiana, LDC, Leumman
1993, pp. 129ss.
21 M. Bordoni – N. Ciola, Gesù nostra speranza, EDB, Bologna 2000, p. 88.
8
e arbitro fra molti popoli.
Questo Salmo si riferisce insieme a Israele e alle nazioni e mostra bene l‟unità e l‟universalità
del disegno di salvezza. Il che fa vedere che nell‟AT il giudizio finale trascende in certo modo la
appartenenza formale a Israele, e si collega all‟operato dei singoli e delle nazioni.
c) Universalità storica. Un ulteriore aspetto che contribuisce a mostrare l‟universalità del
disegno di Dio e, concretamente, il fatto che i pagani appartengono ad esso, si riferisce alla storia, e
concretamente al rapporto che intercorre nella storia tra Israele e le nazioni.
1. Questo rapporto è spesso presentato in modo dialettico. Le nazioni giocano di solito un ruolo
di contrappunto, e ciò in un doppio senso: le nazioni sono da combattere, sono nemiche, perché
Israele deve combattere contro di esse per potere avere la terra promessa e per conservarla. D‟altra
parte l‟AT mostra come Dio si serve delle nazioni come di uno strumento per punire l‟infedeltà del
suo popolo. Il ruolo delle nazioni è comunque qui di opposizione a Israele. Perciò esse sono oggetto
della vendetta di Dio per il fatto di combattere il popolo scelto dal Signore; oppure Dio si serve
degli imperi come di uno strumento per purificare Israele; talvolta la potenza delle nazioni serve ad
manifestare la forza dell‟azione di Dio che libera Israele a loro spese, ma neppure manca la
considerazione che, poiché Dio ama Israele all‟estremo, Egli dispone la rovina di nazioni che pure
le appartengono per manifestare il suo amore verso Israele. Questo variegato rapporto mette però
chiaramente in evidenza almeno un aspetto: lo stretto collegamento tra il destino d‟Israele e quello
delle nazioni; il fatto che si tratta per tutti di un unico disegno.
2. Altri testi tuttavia delineano in modo più positivo il rapporto tra Israele e le nazioni. In essi
la dialettica cede il passo a modi più costruttivi, e si arriva a prospettare una salvezza delle nazioni
come complemento della salvezza d‟Israele22.
Punto di partenza di questa linea è la figura di Abramo. A lui Dio promette una
numerosa discendenza in questi termini: “...in te si benediranno tutte le famiglie della
terra...(Gen 12,3)”23. Abramo è chiamato a scoprire la sua particolare vocazione, che è
di paternità su Israele ma in stretta connessione con una benedizione universale per
l‟intera umanità.
Il riferimento a tutti i popoli non manca neanche nell‟evento fondativo del popolo
d‟Israele. Nel capitolo diciannovesimo dell‟Esodo, dopo la fuga dall‟Egitto e nel
contesto della preparazione alla teofania sinaitica, il Signore dice agli Israeliti: “se
ascolterete la mia voce e custodirete il mio patto (osservando i precetti), sarete per Me
un tesoro fra tutti i popoli, poiché a Me appartiene tutta la terra. Sarete per Me un regno
di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,5-6). Queste parole esprimono
contemporaneamente la dimensione dell‟elezione divina che distingue il popolo di
Israele dagli altri popoli e il particolare compito che tale elezione implica: di essere
segno di santità per le nazioni24.
22 Seguo qui E. L. Bartolini, Universalismo ebraico-cristiano e prospettive di dialogo a partire da Gerusalemme,
(Conferenza offerta nell'ambito del Convegno Internazionale “Nostra Aetate Oggi”, Pontificia Università Gregoriana,
Roma, 25-28/9/2005), pubblicata sul sito del Service International de Documentation Judéo–Chrétienne
(www.sidec.org). 23 Vedi l‟intero brano di Gen 12,1-4a. L‟idea è anche ripresa poi con il figlio Isacco in Gn 22, 15–18.
24 È utile osservare che nel rabbinismo si insegnava che la Torah era stata data da Dio sotto una duplice forma. In
modo esteso e dettagliato per Israele (i 613 precetti della Torah per gli ebrei) e in modo succinto per le nazioni (i 7
precetti per i non ebrei che desiderano partecipare alla salvezza del Dio di Israele). Questi sette precetti sarebbero stati
imposti ai figli di Noè, e si chiamano precetti “noachidi”: il primo prescrive loro di istituire magistrati; gli altri sei
proibiscono: 1) il sacrilegio; 2) il politeismo; 3) l‟incesto; 4) l‟omicidio; 5) il furto; 6) l‟uso delle membra di un animale
9
La vocazione d‟Israele in rapporto alla salvezza delle nazioni trova espressione anche
in altri passi della Scrittura, dove si delinea una visione misericordiosa nei confronti dei
pagani. Nella preghiera pronunziata da Salomone quando il Signore prese possesso del
Tempio si legge:
“Anche lo straniero che non appartiene a Israele Tuo popolo, se viene da un paese lontano a causa
del Tuo Nome perché si sarà sentito parlare del Tuo grande Nome, della Tua mano potente e del Tuo
braccio teso, se egli viene a pregare in questo Tempio, Tu ascoltalo dal cielo, luogo della Tua dimora, e
soddisfa tutte le richieste dello straniero, perché tutti i popoli della terra conoscano il Tuo Nome, Ti
temano come Israele tuo popolo e sappiano che al Tuo Nome è stato dedicato questo tempio che io ho
costruito (1 Reg 8, 41–44).
Nei libri dei profeti Isaia e Geremia troviamo parole ancora più esplicite:
“Il Mio Tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7);
“In quel tempo chiameranno Gerusalemme trono di JHWH; tutti i popoli vi si raduneranno nel
Nome di JHWH e non seguiranno più la caparbietà del loro cuore malvagio” (Ger 3,17).
Certamente, si trova spesso la visione di conflitto e anche di odio d‟Israele verso i popoli che la
hanno umiliata e deportata. I testi adotti in precedenza mostrano tuttavia che le nazioni hanno uno
spazio nel disegno di Dio, e che Dio desidera raccogliere con Sé non solo il popolo d‟Israele ma
anche le nazioni25.
Abbiamo dunque mostrato che il disegno di Dio secondo l‟AT è universale con una
universalità legata alla creazione, al giudizio finale e alla storia della salvezza.
2. L’universalità dell’azione divina di salvezza nell’AT.
In questa sezione lasciamo la prospettiva del progetto di Dio e adottiamo quella dell‟azione
divina, cioè dell‟influsso che Dio esercita sulla creatura umana per condurla al suo compimento. È
necessario studiare questa seconda dimensione perché si potrebbe pensare che il progetto o disegno
di salvezza è universale, ma che dovuto al peccato degli uomini, esso rimane bloccato in modo che
l‟umanità dopo il peccato non riceve più l‟influsso salvifico di Dio. O che soltanto per pochi casi
come Abramo, Mosé, etc. ci sia un influsso di salvezza, mentre per il resto dell‟umanità non ci
sarebbe nessuna azione di Dio tesa a salvare l‟intera umanità. Perciò vedremo in questa sezione che,
secondo l‟Antico Testamento, la dimensione di universalità si estende anche all‟azione di Dio sul
mondo e sugli uomini. Questa azione si dispiega anche al di fuori del popolo d‟Israele, portando con
sé salvezza ai gentili.
a) Dimensione universale della Parola, della Sapienza e dello Spirito. Certamente quando l‟AT
parla di questi temi non contiene ancora la portata cristologica e trinitaria propria del corpus
neotestamentario; Parola, Sapienza e Spirito vengono presentante come delle qualità o dei modi di
vivo. Questi precetti sono un “segno di salvezza”, che permette ai popoli di partecipare nella salvezza data attraverso la
Torah.
25 Questo raccoglimento ha però relazione con la manifestazione di Dio a Israele. La vera e genuina rivelazione di
Dio (rappresentata da Gerusalemme e dalla maggiore perfezione della Torah) deve essere riconosciuta dalle nazioni,
affinché esse possano beneficiare della salvezza. L‟AT non è scettico di fronte ad una tale possibilità. Esso vaticina il
pellegrinaggio delle nazioni verso Sion per partecipare nella salvezza (Is 2, 2; 19,23; 60; 25, 6–10).
10
agire di Dio sul creato, tuttavia, nel loro insieme, sono portatrici di un'efficacia divina universale,
come vediamo in seguito.
* La Parola di Dio (dabar Jahvé) è lo strumento primo della sua azione. Tramite essa il cosmo
fu creato (“Dio disse ...” [Gen l,3ss.; cfr. Sal 33,6-9; 107,20]), e furono date la Legge (Es 20,1-17;
Dt 5,6-22) e le promesse divine. La Parola è una realtà dinamica, operativa, che realizza i disegni
divini. Essa, una volta pronunciata, è infallibile e opera ciò che in essa è contenuto: la “[...] parola
uscita dalla mia bocca [...] non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e
senza aver compiuto ciò per cui l‟ho mandata” (Is 55,11). In particolare la Parola crea l‟uomo, la
prima coppia, e intrattiene con questa i primi dialoghi in vista di una comunione. Poiché tutto esiste
in forza di questa “Parola Onnipotente”, che comunica bontà e bellezza alla creazione, tutte le cose
create sono come un eco della Parola stessa, e danno notizia di Essa. I Salmi 8, 19 e 104 sono
significativi a questo scopo.
Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!(…)
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato, (…)
(Sal 8, 2.4-5).
I cieli narrano la gloria di Dio,
l'opera delle sue mani annuncia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il racconto
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
Senza linguaggio, senza parole,
senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
e ai confini del mondo il loro messaggio.
(Sal 19, 2-5).
Parla di una bontà essenziale (potremmo anche chiamarla “ontologica”) della creazione e di
ogni suo elemento. Essa fonda dunque la storia universale di salvezza.
* La Sapienza di Dio. La letteratura sapienziale dell'Antico Testamento si sofferma sulla
Sapienza (hok-mah) divina quale origine di ogni altra sapienza26. La Sapienza fu “creata” da
Jahweh “prima di ogni cosa”, “all‟inizio della sua attività, prima di ogni sua opera [...], dagli inizi
della terra” (Pr 8,22-26; Sir 1,1-9). Il Signore “l‟ha diffusa su tutte le sue opere” (Sir 1,9). Essa era
presente quando si dispiegò originariamente il progetto divino della creazione (Pr 8,27-29): “io ero
con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante;
dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo” (Pr 8,30-31),
ammaestrandoli ed insegnando loro ad essere saggi (Pr 8,32-36). Il Libro della Sapienza la descrive
come “un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell‟Onnipotente” (Sap
7,25).
I testi appena citati mostrano che la Scrittura considera la Sapienza divina in riferimento alle
cose create, quasi come un elemento strutturalmente appartenente al senso e al fine della creazione.
Dio fa tutto con sapienza e amore, dunque l‟intero disegno è condotto e guidato da tale Sapienza. In
26 Si notino specialmente Pr 8, Sir 24 e Sap 6-13.
11
questo senso la Sapienza preesiste al mondo, ed è “creata”, cioè, commisurata alla creazione. Come
la Parola, la Sapienza è anche una realtà dinamica, strettamente collegata a tutte le opere di Dio nel
mondo. Essa comunica alle opere di Dio qualcosa che è in Dio stesso: la bellezza, la saggezza e
l‟armonia presenti in Dio, e che sono partecipate alle Sue opere attraverso di Essa. La Sapienza
plasma dall‟interno il progetto divino a cominciare dalla creazione (cf. Sap 10, 1–24), ed anche
attraverso di lei che Dio lo porta a compimento.
Tutto ciò fa sì la Sapienza acquisti una dimensione “cosmica”: è presente in ogni essere, in
“ogni carne”, giacché nulla difetta di ruolo e di finalità nel concerto del disegno divino. La Scrittura
mette a fuoco il tema della Sapienza in rapporto a Israele, la migliore sapienza è vivere nel “timore
di Dio”, vivere la Torah, ma spesso si mette in luce anche il fatto che la Sapienza non ha confini. È
dispensatrice di ogni bontà e dell‟amicizia di Dio (Sap 7,14; 8); la fonte del diritto e della condotta
perfetta che insegna il timore di Dio e la giustizia (Pr 3,7; 8,13; Sir 17,14); la fonte della salvezza
per coloro che la accolgono (Sap 6,19-20.24). Essa esce “dalla bocca dell‟Altissimo” (Sir 24, 3) ed
è presente in tutta la terra, benché abita in Israele, popolo al quale è stata data la Torah.
"Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo
e come nube ho ricoperto la terra. 4Io ho posto la mia dimora lassù,
il mio trono era su una colonna di nubi. 5Ho percorso da sola il giro del cielo,
ho passeggiato nelle profondità degli abissi. 6Sulle onde del mare e su tutta la terra,
su ogni popolo e nazione ho preso dominio. 7Fra tutti questi ho cercato un luogo di riposo,
qualcuno nel cui territorio potessi risiedere. 8Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: "Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele".
(Sir 24,3-8).
La Sapienza “rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime
sante, forma amici di Dio e profeti” (Sap 7,27). In questo modo la Sapienza diventa presenza
interiore nel cuore di chi l‟accoglie; presenza stessa di un dono di Dio nell‟anima dell‟uomo.
* Lo Spirito di Dio (Ruah Jahvé). La Ruah rappresenta l‟energia e potenza divina operante
nelle azioni di Dio. Essa è un principio dinamico e apportatrice di vita: nella creazione estrae la vita
del caos (Gen 1, 2), negli altri interventi perfeziona il mondo creato. Ha dunque anche esso un ruolo
cosmico, come espresso dal testo di Sap 1, 7: “Lo spirito del Signore riempie l‟universo”.
Attraverso lo Spirito, la creazione riceve da Dio la capacità di vivere: “Se nascondi il tuo volto,
vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito,
sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 29–30). Essa rende anche possibile la
realizzazione di opere che non sono alla portata dell‟uomo, è trasforma costui in strumento
dell‟azione di Dio, già si tratti del re d‟Israele, o dei profeti o, specialmente del Messia (cf. Is 11, 2;
61, 1). Perciò, nel tardo giudaismo, lo Spirito sarà soprattutto colui “che ha parlato per mezzo dei
profeti”. Spesso però lo Spirito è presentato in chiave escatologica e collegato agli ultimi giorni: ai
tempi del Messia e dell‟Israele rinnovato, come nella profezia di Gioele 3, 1 ss. Da notare anzitutto
che l‟azione dello Spirito appare imprevedibile ed è legata più alla libertà di Dio che a schemi
istituzionali. L'azione privilegiata dello Spirito in Israele non gli impedisce tuttavia di esercitare
un'influenza universale, perché Dio si cura di tutto quanto a creato, senza dimenticare nulla:
“ Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non
l‟avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l‟avessi
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chiamata all‟esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo
spirito incorruttibile è in tutte le cose” (Sap 11,24–12,1).
Come conclusione: Parola, Sapienza e Spirito attestano, nell'Antico Testamento, l‟intrinseco
rapporto di Dio con la sua creazione e con l‟intera umanità. Benché normalmente si consideri
Israele come destinatario della Parola di Dio, e i profeti o alcuni personaggi singolari (come
Davide) come unti dal suo Spirito, tuttavia queste caratteristiche divine sono partecipate in certo
senso a tutti. Ogni uomo porta in sé una scintilla della Sapienza di Dio, è frutto della sua Parola ed
è, in qualche modo, sede dell‟azione dello Spirito.
b) Le figure bibliche dei pagani giusti. Un secondo modo di vedere come l‟azione di Dio si
dispieghi sui pagani è considerare le figure bibliche di pagani che sono venerati come santi, o
presentati come persone giuste davanti a Dio. Fra questi, alcuni precedettero cronologicamente le
allenaze di Dio con Àbramo e Mosè; altri furono invece contemporanei all‟economia giudaica, pur
trovandosi al di fuori di essa. Nel primo gruppo troviamo Abele, Enoch e Noè; in un celebre passo
della Lettera agli Ebrei (Eb 11,4-7) essi vengono presentati caratteristicamente come modelli -
prima di Àbramo - di quella fede “senza [la quale] è impossibile [essere] graditi [a Dio]”(Eb 11,6).
La Lettera agli Ebrei attesta perciò che la fede salvifica era possibile al di fuori dell‟economia
giudaica, ed anche prima di essa. La Bibbia non ci dice quanti santi pagani risposero positivamente
alla chiamata divina. Si limita a dirci che alcuni lo fecero, e a presentarli come modelli di fede per
tutti27.
* Abele. “Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa
fu dichiarato giusto” (Eb 11,4), Abele inaugura la schiera dei santi dell‟alleanza cosmica: egli pur
non avendo ricevuto una specifica parola di Dio è tuttavia presentato dalla Bibbia come santo.
Come il primo di una larga schiera.
* Enoch. Di Enoch, figlio di Caino, la Scrittura parla sobriamente. La lettera agli Ebrei ne
riprende i pochi dati per affermare: “Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la
morte […]. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a
Dio. Senza la fede però è impossibile essergli graditi” (Eb 11,-5-6). L'Antico Testamento attesta
infatti la familiarità di Enoch con Dio: “Enoch camminò con Dio” (Gen 5,22); “Enoch piacque al
Signore e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le generazioni” (Sir 44,16).
* Noè. “Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con
pio timore un‟arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne
erede della giustizia secondo la fede” (Eb 11,7). La Bibbia rende ripetutamente testimonianza alla
santità di Noè: “Noè trovò grazia agli occhi del Signore” (Gen 6,8); egli “camminava con Dio”
(Gen 6,9). Il Libro della Sapienza ne menziona la giustizia (Sap 10,3); secondo Ben Sira “Noè fu
trovato perfetto e giusto” (Sir 44,17); Ezechiele lo annovera fra gli eletti (Ez 14,14). Noè
simboleggia la persona che viene salvata. Perciò divenne pure lo strumento della salvezza del
mondo (Sir 44,16-17): il “resto” che è salvato dal giudizio di Dio ed è il principio di una nuova
umanità. Noè prefigura dunque Cristo, il quale riprende anche l‟umanità decaduta per dare corso ad
un‟altra nuova.
* Giobbe28. II Libro di Giobbe presenta il suo personaggio come abitante della terra di Uz. Egli
è tuttavia un modello di giustizia e di pietà, non secondo la Torah, che Giobbe non conosce, ma
sotto l‟economia dell'alleanza cosmica. “Uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male”
27 La seguente analisi dei santi pagani è basata in gran parte su Daniélou, I santi pagani, cit.
28 Anche se Giobbe non è una figura storica per il nostro proposito ciò è irrilevante.
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(Gb 1,1). Giobbe è rivestito di giustizia (cfr. Gb 29,14). Messo alla prova non vacilla la giustizia di
Giobbe: egli persiste nella sua integrità. Il caso di Giobbe dimostra che nell'ordine dell'alleanza
cosmica può darsi vera giustizia e che ciò non destava perplessità per la mentalità giudea.
* Melchisedek. Melchisedek va annoverato fra le più eminenti figure non giudaiche dell‟Antico
Testamento. La Genesi lo descrive “sacerdote del Dio altissimo”, allorché benedice Àbramo:
“Intanto Melchisedek, rè di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse
Abram con queste parole: „Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e
benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici‟ (Gen 14,18-20). Sal 110 (109)
vede in lui un modello del “sacerdote eterno”: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di
Melchisedek” (Sai 110 [109], 4). La Lettera agli Ebrei gli dedica ampio spazio: i cristiani esaltano
in lui il tipo di Cristo Sacerdote. Egli conosce il Dio Creatore. È il sacerdote della prima religione
dell'umanità che comprende tutte le genti, ed offre la pura oblazione del pane e del vino, il sacrificio
di ringraziamento.
* Andrebbero ricordati anche altri personaggi come Lot o la Regina di Saba nell‟Antico
Testamento e i re magi nel Nuovo che manifestarono con opere una viva religiosità.
Tutto ciò, secondo il Danielou, è indice della presenza di santità e di grazia nel mondo pagano:
“La santità nell'ordine della religione cosmica consisteva nel rispondere all'appello di Dio che si avvertiva
nella coscienza. Si tratta dunque di vera santità. [...]. Se io obbedisco alla legge morale, significa che riconosco in
essa la volontà infinitamente amabile di Dio. È Dio che io amo già in essa. La morale è già adorazione, e perciò la
coscienza è una rivelazione di Dio”29.
Tirando dunque la somma di quanto abbiamo visto in questo secondo punto, possiamo dire
che: l‟azione salvifica di Dio nei confronti dei pagani si manifesta nel fatto che essi partecipano alla
sua Parola–Sapienza–Spirito, e perciò possono obbedire a Dio anzitutto attraverso la percezione
della coscienza religiosa e morale che introduce l‟uomo nell‟ambito dell‟obbedienza al Creatore.
3. Lumi del NT sull’università dell’azione salvifica di Dio.
Nel passare al NT ci conviene continuare a studiare le due dimensioni che abbiamo distinto
nell‟AT ma invertiamo l‟ordine. Notiamo adesso che sia Gesù che gli apostoli riconoscono una
azione divina e un influsso di grazia divina che agisce sui pagani.
a) Gesù. Gesù intese la sua missione come diretta ad Israele, e così lo dichiara in Mt 15, 24:
“sono stato inviato alle pecore perdute della casa d‟Israele”. Perciò egli concentrò la sua attenzione
nell‟Israele del suo tempo. Tuttavia nei suoi viaggi Gesù venne a contatto con diverse persone non
appartenenti al popolo d‟Israele, e poté costatare la grande qualità spirituale e religiosa di alcuni di
loro.
Gesù si dimostra infatti pieno di ammirazione per la fede del centurione (“In verità vi
dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande”: Mt 8, 10), e coglie
l‟opportunità per annunciare che molti, dall‟Oriente e dall‟Occidente, saranno ammessi
nel Regno dei cieli (Mt 8, 11-12).
Succede altrettanto quando guarisce la figlia indemoniata di una donna cananea e si
meravigliò davanti alla fede di lei: “Donna, davvero è grande la tua fede! Ti sia fatto
come desideri” (Mt 15, 28).
29 J. Danielou, I santi pagani…, cit., 136–137.
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Notiamo anche la conversazione di Gesù con la donna samaritana nel pozzo di Sicar è
un altro esempio di questa discreta ma eloquente apertura di Gesù nei confronti dei
pagani30.
È significativo pure il fatto che Gesù abbia scelto la figura di un samaritano per
insegnare cosa è la carità vera (parabola del buon samaritano), e la abbia confrontata
con quella del levita e del sacerdote.
Ugualmente i vangeli sottolineano che, dei dieci lebbrosi che furono guariti, l‟unico che
fece ritorno da Gesù per ringraziarlo era un samaritano, il quale fu salvato “per la sua
fede” (Lc 17, 18–19).
In questi passi si vede che la fede in Gesù non si limita nei confini della religione giudea.
Questi pagani, non battezzati, avevano già la fede quando hanno incontrato Gesù. Si potrebbe dire
che erano molto ben disposti ad accogliere il vangelo prima di incontrare Cristo, il che è segno
dell‟azione dello Spirito nella loro vita. I miracoli poi, quali segni del Regno, Gesù li realizza pure
per loro, anche se non sono nel del popolo d‟IOsraele né appartengono –almeno visibilmente – alla
Chiesa.
b) Gli apostoli. Pure gli apostoli incontrano gentili che hanno ricevuto l‟azione dello Spirito. Il
libro degli Atti costituisce una testimonianza che l‟azione dello Spirito precede quella
evangelizzatrice della Chiesa. Dopo una visione, Pietro va a casa di Cornelio, un pagano desideroso
di accogliere al vangelo già prima di essere stato catechizzato e battezzato. La stessa dinamica si
scorge nell‟episodio, raccontato nel libro degli Atti, dell‟etiope eunuco, la cui inquietudine religiosa
precedeva già l‟incontro con Filippo. All‟inizio della sua predicazione a Corinto, il Signore rivela a
Paolo che Egli ha nella città “un popolo numeroso” per cui l‟apostolo non deve cedere alle difficoltà
ma continuare a predicare. Questo popolo però precede la predicazione dell‟Apostolo, il quale
resterà poi in città anno e mezzo (At 18, 9ss). L‟azione dello Spirito che “soffia dove vuole” (Gv 3,
8) precede sempre quella più istituzionale della Chiesa.
Gli apostoli stessi riconoscono questa azione di Dio, che non sembra avere confini. In casa di
Cornelio, Pietro esclama: “in verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma
chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34–35).
Egli riconosce che Dio usa con i pagani la stessa benevolenza che ha avuto con loro, poiché pagani
e giudei vengono portati alla stessa pienezza di verità. Nel discorso di Atene Paolo riconosce che
Dio non è lontano dei pagani, ma che in certo senso tutti “siamo stirpe di Lui” (At 17, 28). I pagani
cercano a tentoni il Dio vero, ma questo vero Dio non è affatto lontano di loro. Nella lettera ai
Romani, egli stesso riconosce che i mezzi di accesso a Dio non mancano ai gentili. Certamente essi
non hanno, come i giudei, la Legge e i profeti, ma rimane per loro aperta la via della coscienza:
“Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non
avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro
cuori […]” (Rm 2, 14.15). Attraverso la natura e la ragione i pagani possono, con l‟aiuto della
grazia, arrivare a una vera religiosità, a un rapporto con il Dio vero. I pagani possono operare bene e
allora verranno trattati da Dio alla stessa stregua dei giudei buoni e riceveranno la loro
ricompensa31.
30 I samaritani venivano considerati come pagani dai giudei, perché procedenti di famigli pagane che erano state
deportate nella Palestina, al tempo della deportazione d‟Israele. Ovviamente, non tutti gli israeliti furono deportati e la
regione finì per essere popolata da famiglie che fondevano pagani e israeliti. Rimase un certo culto a Jahvé che si faceva
sul monte Garizim, ma non si seguiva strettamente la Torah.
31 “Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco; gloria invece,
onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco, perché presso Dio non c'è parzialità” (Rom, 2,
15
4. Il NT sull’universalità del disegno di Dio in Cristo.
Anche qui troviamo di nuovo l‟universalità protologica, escatologica e storica di cui parliamo
sopra.
a) Universalità protologica.
S. Giovanni nel Prologo del Vangelo afferma che “tutto fu fatto mediante la Parola” (1, 3) e
che questa Parola “è la luce vera che illumina ogni uomo” (1, 9). Essa poi si è fatta carne per dare la
vita e la conoscenza vera dell‟unico Dio. Analoghe idee troviamo nell‟inno dei Colossesi: “per
mezzo di Cristo sono state create tutte le cose quelle del cielo quelle della terra … (1, 3). Di
conseguenza il disegno è stato fatto in Cristo e non c‟è nessun spazio della realtà che no abbia Lui
come centro e fondamento, come inizio e fine. I pagani e le nazioni hanno anche Cristo come centro
e ragione della loro chiamata all‟essere.
b) Universalità escatologica.
Il Nuovo Testamento riceve dall‟Antico il tema del giudizio di Dio, e lo svolge con chiavi
proprie. Anzitutto esso lo riferisce al Cristo: il giudizio è certamente per tutti, ma è deposto nelle
mani del Signore Risorto perché la risurrezione lo ha reso mediatore ultimo e insuperabile della
sovranità del Padre sulla creazione (cf ad es. Col 1,19-20; Ef 2,20-22).
Sulla base della regalità di Dio che impera sul mondo, Gesù esercita il giudizio in modo
universale. Questo giudizio le nazioni della terra (cf. Mt 24,30; 25,32; Ap 20,13), i giudei (cf.
Mt19,28), i pagani (cf Rm 2,9-10), e i cristiani (cf. 2 Ts 1,8; Eb 10,30.38; 7 Pt 4,17); l‟insieme degli
uomini e ciascuno di essi (cf Mc 16,15-16; 7 Ts 5,3; Rm 2,16; 7 Cor 4,5; Gal 6,7; Gc 15,6), i vivi e i
morti ( cf 7 Pt 4,5). Tutti dovranno “comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere
la ricompensa delle opere compiute finche era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10)”32.
Questa universalità è coerente con il fatto che la materia del giudizio non si riferisce a
qualcosa di proprio e esclusivo della fede cristiana, a opere o conoscenze inaccessibili per un
pagano. Le parole “venite, benedetti del Padre mio” (Mt 25, 34) che permettono l‟ingresso nel
banchetto eterno sono per coloro che hanno praticato le opere di misericordia33. Ciò è anche in linea
con le beatitudini: Gesù proclama beati “i poveri di spirito, i miti, i puri di cuori”, ecc. Non si
devono limitare troppo facilmente queste categorie ai cristiani devoti: abbiamo appena visto che
Gesù e gli apostoli hanno incontrato persone con queste o simili qualità anche tra i pagani.
Nel giudizio conclusivo, “Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù” (Rm 2,16),
“manifesterà le intenzioni dei cuori” (7 Cor 4,5), e tutti constateranno che “non vi e creatura che
possa nascondersi davanti a lui” (Eb 4,13). Non c‟è qui molto spazio per distinguere di
appartenenze a gruppi: uomo-donna, giudeo-gentile, schiavo-libero, ricco-povero, ecc.
Indipendentemente di queste categorie, ciascuno raccoglierà quel che avrà seminato34. Sarà
piuttosto la bontà o malizia delle opere realizzate, manifestative della bontà o empietà del cuore, il
6–11).
32 G. Gozzelino, Nell’attesa …, o.c. p. 131.
33“Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi
avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi"(Mt 25, 35-
36).
34 Gal 6,7; cf. Rm 6,21-22; 14,10.12; 7 Cor 3,13-15; 2 Cor 5,10; Ef6,S; Rm 2,6-8; Mt 12,36; 16,27; 18,35; Ap
2,23; 7 Pt 1,17.
16
criterio per valutare la vita di ciascuno, e chi non risulterà scritto nel libro della vita sarà gettato
nello stagno di fuoco sempiterno (cf. Ap 20,14.15; 21,8).
In sostanza il giudizio si collega alle disposizioni interiori dei cuori in rapporto alla volontà
divina e al modo come queste si sono poi trasformate in opere.
c) Universalità storica.
L‟azione redentrice di Cristo è fatta in beneficio di tutti ed è in questo senso universale. S.
Paolo lo dice chiaramente nella lettera ai Romani:
“Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in
tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato (…) Ma il dono di grazia non è come la caduta:
se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del
solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti.
La redenzione è per tutti come la caduta fu per tutti, ma “dove abbondò il peccato soprabbondò
la grazia”: se il peccato fu in grado di comunicare la sua distorsione a tutti, a maggior ragione
l‟opera di Cristo avrà potenza per comunicare a tutti la salvezza.
Questa salvezza di Cristo è un'unica salvezza per tutti. A questo scopo Gesù ha abbattuto i muri
che separavano l‟umanità in parti (giudei, gentili; uomo, donna; padrone, schiavo) e intende
comunicare la salvezza a tutti quelli che sono degni di essa senza distinzione di classe, razza,
cultura ecc. Una salvezza per tutti e un solo donatore della stessa per tutti: non c‟è ne è un altro
nome dato dal cielo nel quale si possa pensare di essere salvo. Solo a questo Nome ogni ginocchio
deve piegarsi in cielo e in terra.
Il compito di Cristo è di “ricapitolare tutte le cose” (Ef 2, 10) in Se stesso, cioè ricondurle
all‟unità con Dio Padre. In qualche modo in Gesù la salvezza si intende all‟intero cosmo: la
creazione stessa, sottoposta al presente alla caducità e alla morte, attende con impazienza l‟arrivo
del tempo ultimo, della sua trasformazione: quando si manifesterà la gloria dei figli di Dio,
modellata sul tipo della gloria di Gesù Risorto. L‟alleanza cosmica con Noe, riferita ad ogni carne,
trova il suo adempimento ultimo nella Nuova Alleanza.
Questa conduzione di tutte le cose a Cristo si realizza nel presente attraverso l‟azione salvifica
del Risorto che come Re e Signore della creazione conduce tutte le cose al suo destino per l‟azione
salvifica dello Spirito. Già l‟evento della Pentecoste parla di questa intenzione di Dio di universalità
salvifica. A partire di essa gli apostoli si renderanno conto che la loro missione consiste soprattutto
nell‟assecondare per quanto è nella loro possibilità la intenzione universale di Dio. Diviene per loro
sempre più evidente che Lui vuole che tutti gli uomini “siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità” (1 Tm 2, 5). Ciò è in sintonia con l‟esaltazione di Cristo: egli, divenuto eterno vivente, è
fonte di vita per i suoi e, attraverso loro, per tutto il mondo. Il grande desiderio missionario suscitato
negli apostoli dalla Pentecoste corrisponde all‟intenzione divina di ricapitolare tutto in Cristo.
5. Il legame di Cristo con i pagani alla luce dell’insegnamento biblico.
Riprendiamo adesso in modo sintetico i dati ottenuti fin qui. L‟AT ci ha mostrato che il
disegno di salvezza abbraccia tutti35 e che c‟è un‟azione di Dio costante per condurre gli uomini
verso la verità36, e questo agire divino non solo illumina l‟uomo ma in alcuni casi lo santifica, lo
35 Tutti sono stati creati da Dio e inseriti in alleanze con Lui (alleanze basiche come quelle cosmiche o più evolute
come l‟Alleanza mosaica).
36 La sua Parola, la Sapienza e lo Spirito reggono le creature e sono sempre “in azione”.
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rende gradito ai suoi occhi37. Con Gesù e gli apostoli riconosciamo che ci sono molte persone che
hanno buone disposizioni interiori (e ciò non può che essere il frutto dell‟azione dello Spirito) e
sono disposte ad ascoltare l‟arrivo del vangelo qualora esso si produca nelle loro vite. C‟è dunque
per loro una comunicazione di “elementi” di salvezza che può talvolta diventare comunicazione
“essenziale” della salvezza. Sono doni che vengono da Cristo, perché solo a Lui aspetta il compito
di portare o (dopo il peccato di Adamo) ri-portare tutto al Padre, e che diventano efficaci per i non-
evangelizzati attraverso l‟attenzione alla loro coscienza.
Infatti, dai casi presentati dal Nuovo Testamento (Cornelio, l‟Etiope eunuco e altri) vediamo
che l‟influsso della grazia di Cristo sulla vita dei pagani mira a migliorare le disposizioni dei loro
cuori, e così tende ad avvicinare le persone verso la Chiesa e il vangelo. L‟azione dello Spirito
prepara e avvicina il messaggio del Vangelo proprio attuando sull‟interiorità della persona,
promuovendo lì il bene e potenziando la legge di Dio che è iscritta nel cuore di ogni persona. E così
che Gesù, che è Signore della sua Chiesa, lo è anche di ogni creatura umana, non solo di diritto
(come redentore universale) ma anche di fatto, efficacemente, perché esercita la sua regalità
salvifica su tutti, quando gli attira verso di Sé per mezzo dello Spirito. Si comprende meglio così
che Gesù sia il giudice di tutti, cristiani e pagani, perché Egli è colui che da agli uni e agli altri i
mezzi necessari per la salvezza.
6. Cristiani e pagani alla luce della capitalità del Risorto.
Sebbene i dati della Scrittura mostrino che l‟azione salvifica di Cristo raggiunge il pagano e
non solo il cristiano, ciò non autorizza a pensare che non esistano importanti differenze tra le due
condizioni. Gesù ha cura del cristiano e del pagano in modo diverso. Da Lui il cristiano riceve la
grazia per camminare nella Chiesa come figlio di Dio; il pagano invece non è pronto per la
filiazione, ma Cristo gli concede luci adeguate alla sua condizione di immagine di Dio. Il pagano
viene preparato a poco a poco ad un eventuale annuncio del vangelo.
Forse questo rapporto differenziato può essere illustrato a partire della tematica
neotestamentaria (paolina) del Cristo Capo. Le lettere paoline indicano che Cristo ha una funzione
capitale in ordine alla salvezza umana. Esse distinguono due forme di questa Capitalità unica: la
prima si riferisce alla Chiesa e la seconda al cosmo38.
Paolo fa uso dell‟immagine del capo e del corpo per applicarla a Cristo e alla Chiesa.
Egli nota l‟esistenza di un legame organico e vitale che unisce entrambi, per cui la vita
del Risorto diventa principio animatore della Chiesa, che possiede così la stessa vitalità
del Capo.
o Con l‟espressione “Capo della Chiesa” Paolo vuole esprimere allo stesso tempo l‟unità e la
distinzione tra il Cristo individuale, morto e risorto, e la Chiesa che Egli forma attorno a Sé;
perché se da una parte il Capo (la Testa) è diversa dal Corpo (e ciò è utile per manifestare la
distinzione tra Cristo e i cristiani), dall‟altra c‟è una forte connessione tra le due realtà, le quali
sono strettamente unite in modo ordinato e organico: il Corpo riceve dal Capo un “influsso” di
governo e di animazione, una forza vitale che gli conferisce “la sua perenne energia, ne assicura
la coesione e ne produce la crescita armoniosa”39. Il Corpo riceve la comunicazione dello
Spirito del Risorto che dona specialmente la carità40. Dunque, attraverso l‟azione del suo
37 I casi visti dei “santi pagani”.
38 Vedi come sono svolte i due concetti nella catechesi di Benedetto XVI (Udienza generale, 14 gennaio 2009).
39 Ibid. p. 434.
40 Cf. Gal 5, 22; Rm 5, 5.
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Spirito, Gesù vivifica la Chiesa e la stringe a se stesso in molti modi, affinché essa sia
conformata con Lui in ogni cosa.
Invece quando si tratta di indicare il legame che unisce Cristo con il cosmo creato
l‟immagine del corpo non può essere applicata, poiché non c‟è omogeneità di vita tra
Gesù e il cosmo: la vita divina non è propriamente il principio unificante della realtà
cosmica e perciò non si può dire che Cristo e il cosmo siano una sola cosa41; tuttavia
Paolo nota un legame misterioso per cui il cosmo dipende dall‟influsso salvifico
generale di Cristo, e beneficia della pienezza esistente in Lui42.
o Nella lettera ai Colossesi Paolo afferma che Cristo è “il Capo di ogni principato e di ogni potestà”
(Col 2, 10), il che è da intendersi nel senso di una sovranità di Cristo su questi esseri celesti. Paolo
riprende questo tema delle “potenze” in Efesini laddove afferma che Dio ha collocato Gesù al di
sopra di ogni Principato e ha voluto sottomettere ogni cosa ai suoi piedi43. Tra Cristo e il cosmo
c‟è dunque un rapporto di autorità, un‟autorità che Cristo esercita su ogni essere del cielo e della
terra. Ma è possibile individuare anche un influsso di Cristo sul cosmo di natura più vitale, e più
simile al suo influsso sulla Chiesa. È chiaro che, a differenza della Chiesa, il cosmo non può
reclamare per sé un legame fisico-mistico con Gesù, eppure di un certo influsso vitale sul cosmo
da parte di Gesù sembrano parlare altri testi paolini e, concretamente, quelli che si riferiscono alla
“pienezza”44. Infatti, Paolo argomenta l'eccellenza della mediazione salvifica di Cristo con
l‟affermazione che Dio ha fatto abitare in Gesù ogni pienezza (pleroma)45 e collega questa
pienezza con la sovranità di Gesù su ogni cosa (Ef 1, 22), e con l‟universo riconciliato che è frutto
della morte di Cristo (Col 1, 20). La pienezza di Cristo indica la “ricchezza” divina di Gesù, cioè
l‟abbondanza di beni divini possedute da Cristo, che, destinato ad essere effuso sulle creature46,
rinnoverà la creazione alla fine dei tempi.
La Chiesa e il cosmo ricevono doni da Cristo, ma in modo diverso: la Chiesa come Corpo
possiede da Gesù la vita divina, l‟essenza della salvezza, benché manche a lei quella completezza
che ci sarà alla fine dei tempi. Il cosmo, invece, possiede germi della salvezza, insieme alla
speranza di riceverne sia l‟essenza sia la completezza. I non-evangelizzati sono in questa situazione:
l‟alleanza “cosmica” che esprimeva nell‟AT la loro posizione nei confronti di Dio, rappresenta per
loro un germe di salvezza. Nel NT questa alleanza cosmica è stata incorporata alla Nuova Alleanza
in Gesù Cristo, la quale possiede una dimensione cosmica. Infatti, Gesù è Capo del cosmo e non
41 Contrariamente a certe correnti di pensiero stoico.
42 Cristo, afferma R. Penna, “è in una situazione di trascendenza nei confronti sia del cosmo che della Chiesa; ma
solo con la Chiesa è anche in situazione di certa immanenza. Solo la Chiesa è l‟ambito della sua presenza più calda e
vivificante, cioè solo essa è il suo corpo e il suo pleroma (…). È però assente ogni idea di separazione o peggio di
contrapposizione tra i due poli; Cristo invece è il loro comune denominatore, e ciò vuol dire che fuori della Chiesa non
c‟è l‟inferno, ma c‟è ancora sempre Cristo, anche se in una identità più ridotta e parziale”. R. Penna, Lettera agli efesini,
o. c. p. 124.
43 Cf. Ef 1, 20-22.
44 Cf. Ef 1, 22-23; Col 1,19-20; 2. 9-10. Questa idea sembra collegata da un lato all‟idea biblica dell‟abitazione
della gloria di Dio in determinati luoghi e siti sacri, (dalla quale attinge anche il prologo giovanneo: “Il Verbo si fece
carne e venne ad abitare (eskenosen) in mezzo a noi” (Gv, 1, 14)), dall‟altra al contesto culturale greco di Colossi, dove
le idee stoiche del cosmo come un grande Tutto permeato del principio pneumatico divino erano ben note. Cf. P.
Benoit, Corpo, Capo …, o.c. pp. 446-447. Vedi anche il commento di R. Penna, Lettera agli Efesini, EDB, Bologna
1988, pp. 122-124.
45 Nell‟inno cristologico di apertura della lettera ai Colossesi, Paolo focalizza l‟argomentazione sul fatto che Gesù
concentra in se stesso ogni potenza di vita e di salvezza. Egli dice di Cristo: “perché piacque a Dio di fare abitare in lui
ogni pienezza” (Col 1, 19).
46 L‟AT aveva profetato la piena diffusione della gloria di Dio (Is 6, 3; Sal 71, 19), della sua parola e della sua
presenza sulla terra (Ger 23, 24; Sal 138, 8; Sap 1, 7).
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solo della Chiesa. Ma come nel AT l‟alleanza cosmica aveva una posizione marginale rispetto
all‟alleanza con Israele (solo questa ultima era centrale nell‟AT), così anche nel NT l‟azione
salvifica di Cristo sui pagani è in una posizione marginale se paragonata rispetto la sua azione
salvifica nella Chiesa. Tutti sono ordinati alla Chiesa, ma prima di entrarvi sono già sotto l‟influsso
salvifico che Cristo ha sull‟intera creazione a motivo redenzione da Lui compiuta.