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Massimo Coen Cagli
LA SOSTENIBILITÀ DELLE ISTITUZIONI DI ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE LA SFIDA DEL FUNDRAISING
con il contributo di Barbara Bagli, Andrea Caracciolo di Feroleto, Armanda Salvucci e Michele Messina
La Scuola nasce nel 2004 per iniziativa di alcuni fundraiser, dirigenti di organizzazioni non profit che hanno deciso di mettere le proprie
esperienze e professionalità al servizio del mondo non profit e delle altre istituzioni sociali e pubbliche. Per la Scuola il fundraising non è solo un insieme di tecniche ma è una strategia per rendere sostenibili progetti sociali. Se cresce il fundraising, cresce la capacità di garantire lo sviluppo sociale nel nostro paese e nel mondo. La missione della Scuola è affiancare gli attori dello sviluppo sociale (non profit, servizi alla collettività, fondazioni filantropiche, aziende socialmente responsabili), nella difficile opera di rendere sostenibili i loro progetti fornendo loro formazione, assistenza e conoscenze sul fundraising. Massimo Coen Cagli Autore del primo manuale italiano sul Fundraising (Carocci, 1998) dopo 20 anni di impegno nella dirigenza di organizzazioni non profit ha dato vita ad un network di professionisti attivi nel campo della consulenza, della formazione e della ricerca per l’empowerment del terzo settore e dei servizi pubblici. È direttore scientifico della Scuola di Roma, docente presso primarie università italiane e presso master post universitari. E’ membro del Comitato Scientifico del Festival del Fundraising.
© 2013 Tutti i diritti riservati GIFT Cooperativa di servizi via Virginia Agnelli, 21 00151 ROMA tel 06 6570057
[email protected] www.scuolafundraising.it www.blogfundraising.it
Scuola di Roma Fund-‐raising.it
@fundraisingroma Finito di stampare presso la tipografia Grafica Stef snc, via Cornelio Labeone, 71-‐75 – 00174 ROMA nel mese di giugno 2013
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Indice Presentazione p. 3 Capitolo primo Il fundraising in una prospettiva evolutiva p. 5 Capitolo secondo Definizione di fundraising e ambiti di applicazione p. 9 Capitolo terzo Il ciclo del fundraising p. 14 Capitolo quarto Fare fundraising step by step p. 21 Capitolo quinto Raccolta fondi da individui p. 47 Capitolo sesto Raccolta fondi da aziende p. 71 Capitolo settimo Raccolta fondi da fondazioni p. 85 Capitolo ottavo Raccomandazioni sulle policy p.91 Bibliositografia p. 96
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Presentazione di Massimo Coen Cagli Questo breve manuale è dedicato ai dirigenti e agli operatori degli Istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, ossia ai più di 130 enti che svolgono attività di formazione, produzione e ricerca in campo artistico nei settori delle arti visive, musicali, coreutiche, drammatiche e del design. Istituzioni per le quali il cosiddetto Bologna Process ha riaffermato il ruolo essenziale di generatori di sviluppo e coesione sociale e quindi attori essenziali per la realizzazione di un sistema altamente qualitativo di formazione che renda l‘Europa maggiormente competitiva. In questo contesto si riaffermano, tra le altre, due caratteristiche valoriali dell’istruzione superiore: l’essere un bene pubblico, sia nell’accezione di servizio sotto la responsabilità dei governanti, sia in quella di oggetto di attenzione di tutta la comunità; e la centralità della partecipazione degli attori e degli stakeholders al governo di tali istituzioni. Due aspetti che sono direttamente connessi con il fundraising. Infatti esso si applica a cause sociali, ossia a iniziative, organizzazioni e servizi che concorrono, senza finalità di lucro, a produrre benefici sociali. Al contempo, i sostenitori e i donatori, lungi dall’essere meri filantropi, sono necessariamente stakeholders degli istituti, non tanto e non solo in quanto apportatori di risorse, ma anche in quanto soggetti che si attivano accanto ai dirigenti e ai governanti per garantire la qualità e la piena fruibilità della offerta formativa, e quindi per alimentare lo sviluppo della comunità. Questo manuale prende le mosse proprio da queste ragioni politiche e sociali del fundraising, piuttosto che dalla mera dimensione tecnica o di marketing propria della raccolta fondi, sperando di favorire la difficile quanto necessaria adozione del fundraising da parte degli Istituti non in quanto mera risposta alla crisi economica ma come politica sociale intimamente connessa con lo sviluppo della formazione superiore in campo artistico e più in generale con la creazione di nuove forme di welfare sociale e di comunità.
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CAPITOLO PRIMO IL FUNDRAISING IN UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA 1. Una visione d’insieme Il fundraising, pratica tesa a reperire risorse necessarie a sostenere iniziati-‐ve sociali, ha le sue radici già nell’antichità e in diversi contesti culturali. Non c’è religione o cultura che non abbia promosso una pratica della donazione o della liberalità come regola alla quale i membri di una comuni-‐tà debbano attenersi. Come pratica organizzata e oggetto di un’azione ragionata e non spontaneistica, il fundraising nasce e si sviluppa con il sorgere delle organizzazioni sociali e il loro progressivo riconoscimento quali fautrici fondamentali nella costruzione di una società in grado di soddisfare i bisogni di tutti e in particolare delle persone più deboli o svantaggiate. Dagli anni ’60-‐’70 il fundraising assume i caratteri di una disciplina fondata su un approccio scientifico e professionale, codificata in metodologie e tecniche adattate ai differenti contesti sociali, culturali e istituzionali nei quali operano le organizzazioni che perseguono una causa sociale senza finalità di lucro. Negli ultimi anni, a causa della crisi economica e politica dei tradizionali sistemi di welfare, anche gli enti governativi e i servizi pubblici hanno iniziato a guardare al fundraising come ad una delle modalità possibili per rendere sostenibile l’implementazione di politiche pubbliche nei più disparati campi: dalla cultura, alla sanità, all’assistenza sociale, all’educazione e formazione delle giovani generazioni (solo per citarne alcuni). E’ opportuno, pertanto, guardare al fundraising come a una disciplina in costante e rapida evoluzione che, alla luce dei cambiamenti sociali, politici e culturali, assume nuovi significati sia per le organizzazioni, sia per chi apporta risorse (donatori, sponsor, ecc.) sia infine per la collettività tutta.
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2. Come cambia il fundraising La crisi economica, che sta attraversando l’Italia e tutti i paesi occidentali che posseggono un forte welfare state, ha senza dubbio accelerato alcuni processi di evoluzione del fundraising, sia perché la tipologia di cause sociali oggetto di attività di raccolta fondi comprende in modo crescente politiche e servizi che fino ad oggi erano sotto l’esclusivo controllo economico dello stato, sia perché la crisi investendo anche aspetti sociali, culturali e politici ha fortemente cambiato il punto di vista della comunità sul fenomeno della donazione e del fundraising. Tali tendenze possono essere così riassunte: -‐ un maggiore protagonismo dei donatori nei progetti finanziati (la
donazione non rappresenta più un “sostituto” dell’azione sociale, bensì una delle possibili forme nelle quali essa può concretarsi insieme al volontariato, all’impegno civico, al coinvolgimento nella realizzazione di progetti, alla creazione d’imprese sociali;
-‐ la perdita di significato della tradizionale cultura del filantropismo e della beneficenza a favore di una cultura dell’investimento sociale;
-‐ un riequilibrio tra aspetti emozionali e retorici della comunicazione per il fundraising e aspetti razionali-‐politici del sostegno alle cause sociali;
-‐ Il rafforzarsi della dimensione comunitaria e delle reti sociali (on line e offline) quali sistemi fiduciari indispensabili a rendere disponibili risor-‐se economiche (il superamento della tradizionale frattura tra donatori, organizzazioni e beneficiari).
Proprio riguardo a questi più recenti trend sociali e culturali, il fundraising appare sempre più essere una forma particolare di economia legata all’azione organizzata di soggetti non statali, pubblici e privati in quanto attori sociali della governance. Una sorta di economia della collettività che concorre, insieme all’economia politica (fiscalità e redistribuzione), a quella del mercato (libero scambio) e al filantropismo tradizionale (generosità individuale), a rendere sostenibile il sistema di welfare, ga-‐
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rantendone alti livelli di socialità e capacità di generare uno sviluppo socia-‐le ed economico della collettività1. Questa visione apre nuove strade e nuovi mercati proprio a quegli enti che sostengono cause sociali non tradizionalmente presenti sullo scenario del fundraising (ad esempio, l’educazione e formazione dei giovani o l’intero ambito della cultura e della produzione artistica, finora legate quasi esclusivamente al finanziamento pubblico o al libero mercato) senza la quale esse avrebbero poco spazio perché si tratta di un mercato da molto tempo presidiato da cause sociali quali la ricerca medica, l’aiuto umanita-‐rio, il sostegno di opere religiose, ecc. 3. Le sfide del fundraising per le istituzioni di formazione artistica: dalla erogazione di servizi pubblici alla produzione di valore sociale aggiunto. Quali sono le implicazioni di tale scenario per quelle organizzazioni che operano nell’ambito dell’educazione e formazione delle nuove generazioni e del loro inserimento nel mondo del lavoro? Ne elenchiamo di seguito quattro, che a ben vedere rappresentano altrettante sfide da affrontare: a) la possibilità/necessità di porre tale causa sociale sul piano dei
finanziamenti privati e non solo su quello del finanziamento pubblico (come sarebbe naturale nel tradizionale schema di welfare);
1 Per un approfondimento del tema si veda M. Coen Cagli, “Il fundraising come strategia globale per lo sviluppo sociale ed economico”; lectio magistralis tenuta in occasione del Workshop “Fundraising e comunicazione”, ASVI, Roma, luglio 2007 (http://www.blogfundraising.it/knowledge-‐center/sul-‐fund-‐raising/) Sull’evoluzione del rapporto tra economica politica, economia civile e welfare si vedano i numerosi lavori realizzati da S. Zamagni e in particolare: “Verso il Mercato di Qualità Sociale: I Presupposti Politici ed Economici” in Verso il mercato di qualità sociale a cura di Giulio Ecchia e Diego Lanzi, AICCON, 2003; “Volontariato come fraternità. Per lo sviluppo di un rinnovato modello sociale” (working paper, Le giornate di Bertinoro http://www.legiornatedibertinoro.it/documenti.cfm); “L’identità organizzativa del non profit: verso una governance civile” (working paper); “Gratuità e agire economico: il senso del volontariato” (working paper 9/2005, Università di Bologna-‐Facoltà di Economia -‐ www.aiccon.it/working_paper.cfm); “Beni relazionali e principio di reciprocità”, in (a cura di) Stefano Zamagni, Nonprofit come economia civile, Il Mulino, Bologna, 1999; Economia Civile, di Bruni L., Zamagni S. (2004) Il Mulino, Bologna.
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b) la necessità di trasformare il proprio mandato istituzionale in una vera e propria causa sociale, che metta in evidenza una missione, una visio-‐ne e una strategia di azione sulla quale richiedere il coinvolgimento della comunità e non solo l’erogazione di determinati servizi da rivolgere ad una specifica utenza;
c) La necessità di creare ampie partnership tra i differenti attori sociali, portatori e promotori di interessi verso le giovani generazioni e la cultura in quanto bene comune, che si prendano in carico di rendere disponibili risorse adeguate.
La necessità di legare la richiesta di fondi non tanto al mantenimento dello status quo (per quanto sia necessario garantire la continuità dei propri servizi, principalmente connessa con il finanziamento pubblico) ma soprattutto al valore aggiunto prodotto dalle proprie attività sia in senso sociale sia in senso individuale (ossia che porta un beneficio al donatore). In tal senso il fundraising dovrà essere strettamente legato alla produzione di qualità riconosciuta tale dai donatori. Tale sfida si sostanzia anche nella necessità di produrre bilanci sociali e di missione in grado di rendere conto ai donatori sull’utilizzo dei soldi ricevuti e i risultati (obiettivi, impatti e quant’altro) ottenuti con essi.
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CAPITOLO SECONDO DEFINIZIONE DI FUNDRAISING E AMBITI DI APPLICAZIONE Alla luce dell’evoluzione del contesto sociale, culturale e politico, il fundrai-‐sing può essere definito non solo e non tanto come la “nobile arte di insegnare il piacere di donare”2 o come la tecnica per gestire in modo efficace lo scambio di valori sociali e umani (di cui sono portatori le organizzazioni di volontariato) con il denaro delle persone sensibili, ma come una vera e propria strategia di sostenibilità delle cause sociali. Tra le tante possibili definizioni, in questo manuale faremo riferimento a una che tiene in massimo conto il significato e le implicazioni che tale disciplina ha per le organizzazioni sociali.
Il fundraising è un’attività strategica di reperimento di risor-‐se finanziarie volta a garantire la sostenibilità di
un’organizzazione nel tempo e a promuovere il suo sviluppo costante, affermando la
”missione” della organizzazione stessa verso una molteplicità di interlocutori
affinchè investano risorse per raggiungere benefici sociali3
“Fundraising”, anche etimologicamente, non vuol dire raccogliere fondi. Il verbo to raise, infatti, significa promuovere, far crescere, incrementare, sviluppare, ecc. Tale disciplina, quindi, si caratterizza non tanto e non solo
2 Si fa riferimento qui alla tradizionale definizione coniata da H. Rosso (Rosso H., Tempel E.
R., Melandri V. Il Libro del fundraising, ETAS, 2003) che, sottolinea l’importanza di diffondere una cultura della donazione in quanto condizione essenziale per l’esistenza del fundraising.
3 Ambrogetti F., Coen Cagli M, Milano R., Manuale di fundraising, Carocci, 1998 (rist. 2005)
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come un insieme di tecniche per raccogliere fondi in modo efficace, ma soprattutto come processo di analisi, ricerca, progettazione e imple-‐mentazione di una strategia di sostenibilità di cause sociali.
1. Le implicazioni organizzative A partire dalla definizione del fundraising che abbiamo appena definito, ora possiamo individuare alcune basi comuni del fundraising che rap-‐presentano altrettante sfere d’influenza che tale disciplina ha sul versante interno delle organizzazioni e sull'ambiente di riferimento. a) In primo luogo vi è una forte relazione tra fundraising e cultura della
donazione e del finanziamento a scopo sociale che lega il fundraising a una prospettiva di mutamento e sviluppo della cultura sociale.
b) In secondo luogo, il fundraising è frutto di un’azione sociale e collettiva volta a porre sotto controllo i rischi sociali (creando un beneficio percepibile da una intera comunità) e ciò evidenzia il suo legame con la dimensione della cittadinanza sociale dei "donatori".
c) In terzo luogo, il fundraising si fonda su un progetto di sviluppo di un’organizzazione ed ha un valore strategico per il raggiungimento della mission della organizzazione stessa. Il fundraising, quindi, è indissolubilmente legato all'area della pianificazione strategica (strategic planning) di un’organizzazione.
d) Inoltre, il fundraising dipende in modo diretto dall’esistenza o meno di un sistema di relazioni sociali verso l'ambiente in cui opera un’organizzazione. Questo pone in evidenza il forte legame del fundraising con la comunicazione pubblica, sociale e interpersonale.
e) Un ulteriore fondamento del fundraising sta nella progettazione e gestione di scambi tra idee, progetti, programmi, valori e risorse necessarie a realizzarli il che lo lega alla dimensione del marketing.
f) Infine, vi è una reciproca influenza tra fundraising e gestione delle risorse umane, tecniche, organizzative ed economiche che lega tale disciplina alla dimensione del management strategico di un’organizzazione.
Da un punto di vista organizzativo, quindi, la pratica del fundraising investe in modo rilevante 5 sfere funzionali: la progettazione strategica, la
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comunicazione e le relazioni pubbliche, la produzione, la promozione e la raccolta di fondi, il management delle risorse chiave (umane, strutturali, organizzative, tecniche, finanziarie, ecc.).
Per progettare e fare fundraising, quindi, è necessario un coinvolgimento rilevante sia delle professionalità operanti in queste 5 sfere, sia del “gruppo dirigente” di un ente. Non sono sufficienti, quindi, i “tecnici” della raccolta di fondi. La definizione della mission di un’organizzazione, infatti, così come la concezione dei propri prodotti e servizi, o le relazioni pubbli-‐che sono tipiche aree (per citarne solo alcune che sono indispensabili per mettere a punto una strategia di fundraising) presidiate solitamente dalla dirigenza.
2. Gli ambiti e le modalità di applicazione Le principali modalità di applicazione del fundraising, nel campo dei servizi di utilità sociale, quali la produzione della cultura e la formazione delle risorse umane che intendono operare in questo campo, sono legati ai tre principali bisogni economici degli enti, ossia: → il finanziamento di servizi e strutture che hanno una continuità nel
tempo (ossia l’attività istituzionale ordinaria, ma anche edifici, uffici, inclusi la conservazione e il ripristino di un bene e l’allestimento);
→ Il sostegno alla realizzazione di singole iniziative o progetti (un corso di formazione, una banca dati, una rivista, un’indagine, ecc.);
→ l’apporto di risorse finanziarie per dare vita a nuovi enti o imprese culturali (si pensi ad esempio alla creazione di fondazioni civiche con capitali privati e pubblici -‐ per la gestione di nuovi e vecchi servizi alla collettività).
In relazione a questa tipologia di bisogni si possono mettere in pratica tre differenti modalità di fundraising (spesso coordinate tra loro): → fundraising di capitali e dotazioni di base spesso legati all’acquisizione
o all’allestimento delle strutture e in genere forniti da soci o partner dell’impresa sociale anche in quanto co-‐fondatori;
→ “annual fundraising”, concernente donazioni e finanziamenti legati alla gestione ordinaria di un ente;
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→ “operational fundraising”, che riguarda finanziamenti finalizzati a realizzare iniziative e progetti specifici (ricerche, corsi di formazione, internship, stage, viaggi di studio, ecc.), campagne straordinarie (sensibilizzazione, informazione, ecc.) o il sostegno degli allievi (borse di studio, premi, ecc.).
3. Il fundraising per le istituzioni di formazione artistica in Italia e nel mondo Detto sinceramente, questo paragrafo si sarebbe potuto eliminare facilmente, in quanto l’esperienza di raccolta fondi per tali istituti, in Italia, è pressoché nulla, fatti salvi alcuni casi sporadici di attività di raccolta fondi (spesso auspicate e non realizzate) in occasione di emergenze, come nel caso di danni provocati alle strutture dal terremoto, o la necessità di restaurare un vecchio edificio che ospita un conservatorio. Sono comunque pochi i tentativi di raccogliere donatori non occasionali e non emergenziali. Tuttavia è importante tenere conto di questa realtà che pone gli istituti italiani in una sostanziale situazione di start-‐up e quindi con la necessità di incominciare a sperimentare quanto prima veri e propri programmi di raccolta fondi, non episodici e in un’ottica di medio e lungo termine senza pensare che i risultati possano arrivare nel brevissimo termine come per miracolo. Se non si facesse questo sforzo adesso, il rischio è che in uno scenario di possibile sostegno alle istituzioni culturali, tali istituti rimanga-‐no in una posizione estremamente arretrata, con maggiore difficoltà a sostenere la competizione con altre istituzioni e con l’aggravante che i fondi pubblici e istituzionali saranno sempre più limitati. Differente è la situazione nel mondo, soprattutto anglosassone, dove, inve-‐ce, i conservatori e gli istituti di formazione artistica sono soggetti molto attivi nel campo del fundraising, presentandosi non solo come semplici erogatori di educazione artistica e formazione professionale ma come vere e proprie istituzioni della cultura che interagiscono con la propria comunità non solo di utenti ma di cittadini amanti della musica e dell’arte e interessati a sostenere la nascita di nuovi talenti. Soprattutto negli USA e in Canada i conservatori nel campo del fundraising sono ad un livello molto
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avanzato. C’è chi ha articolati programmi di raccolta fondi come il Royal Conservatory del Canada (www.rcmusic.ca/giving) o chi ha una strutturata offerta di beni e prodotti connessi con la danza il cui ricavato è legato a sostenere l’istituto (come nel caso del Maple Youth Ballet Cons. -‐ www. mapleconservatory.com), chi organizza eventi conviviali che incontrano i gusti e l’interesse di persone di ogni genere con il duplice scopo di raccogliere fondi e avvicinare il pubblico al conservatorio, come il Victoria Conservatory of Music (http://vcm.bc.ca/events/uncork-‐your-‐palate/). Anche in Germania è forte e radicato il fundraising per tali istituti. Il Conservatorio del dr. Hoch a Francoforte (è una fondazione) ha una associazione di patrocinanti alla quale aderiscono persone e aziende la cui quota è utilizzata per borse di studio e progetti speciali (www.dr-‐hochs.de). Anche il Conservatorio di Kottbus ha un Club di sostegno istitui-‐to nel 1991 su impulso della direzione, composto da docenti, ex docenti, alunni, genitori, ecc... (www.konservatorium-‐cottbus.de). Nel caso del Carl Schroeder-‐Konservatorium (www.carl-‐schroeder-‐konservatorium.de/home.php) Il Club di sostegno è stato istituito proprio per rispondere alla questione dei tagli della spesa pubblica alla cultura. Ne fanno parte 100 membri. Tuttavia si tratta di un’antica tradizione. Infatti la Hochschule fuer Musik und Theater Hamburg (una tra le più famose della Germania -‐ www.hfmt-‐hamburg.de) ha un circolo di amici sin dal 1947. Ma anche un circolo “top” di sostenitori dove si può entrare solo dopo aver effettuato una donazione consistente. In tutti i casi, però, va notato che in USA, Germania, Inghilterra, Canada e molti altri paesi ogni istituto di formazione artistica ha un vero e proprio programma di fundraising composto da diverse iniziative e con una funzione professionale che garantisce la sua continuità e qualità. Un esempio di tale approccio strategico lo troviamo nel Royal Conservatory Canadese (www.rcmusic.ca/giving). Ed è questa la cosa che forse fa la differenza sostanziale con il sistema italiano che insieme a quello francese, si basa esclusivamente sul finanziamento pubblico senza segnali significativi di attività spontanea di fundraising.
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CAPITOLO TERZO IL CICLO DEL FUNDRAISING Partendo dalla definizione del fundraising, è possibile costruire e descrive-‐re uno strumento che alcuni studiosi4 hanno definito come il "ciclo del fundraising”. Esso rappresenta uno schema di lavoro utile a guidare quel complesso processo di analisi, progettazione, attuazione e valutazione che è il presupposto di un’attività di fundraising di successo. Il processo del fundraising, qui rappresentato a fini esemplificativi in modo schematico, può seguire itinerari articolati e non ovvi. In questa chiave, esso ha anche e soprattutto la funzione di garantire l'ordine logico tra le diverse attività che è necessario realizzare. Di seguito si riporta lo schema d’insieme del ciclo del fundraising. Fig. 1: Il ciclo del fundraising
4 Si vedano in particolare Rosso H.Tempel E. R., Melandri V. Il Libro del fundraising, ETAS, 2003 e Ambrogetti F., Coen Cagli M, Milano R., Manuale di fundraising, Carocci, 1998 (rist. 2005)
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Per ciascuna delle 7 fasi del ciclo vengono riportate le attività di analisi e progettazione e le azioni operative che un’organizzazione deve realizzare. Le principali saranno illustrate in dettaglio più avanti.
I fase: avvio del fundraising -‐ disegno della “governance del fundraising” -‐ definizione del case statement -‐ individuazione e superamento degli ostacoli e delle resistenze interne -‐ people raising e formazione dei volontari -‐ formazione dello staff di fundraising II fase: analisi dell’organizzazione -‐ SWOT (Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats) analysis -‐ analisi del capitale sociale -‐ analisi della composizione dei fondi III fase: analisi dell'ambiente -‐ SWOT e PEST (Political, Sociological, Economical e Technological) analysis -‐ analisi dei soggetti e dei mercati pubblici e privati -‐ definizione dei target di raccolta fondi e metodo LAI IV fase: progettazione e pianificazione -‐ definizione del piano di fundraising -‐ progettazione delle singole attività -‐ scelta degli strumenti di raccolta fondi (contatto diretto, mailing, sponsorizzazioni, convenzioni, ecc.) -‐ piano di comunicazione V fase: implementazione -‐ monitoraggio e management -‐ internalizzazione/esternalizzazione dei servizi di fundraising -‐ gestione degli aspetti finanziari, contabili e fiscali VI fase: valutazione e gestione degli esiti -‐ valutazione economica -‐ valutazione del potenziale -‐ fidelizzazione: rinnovo e incremento VII fase: revisione del ciclo La valutazione complessiva di un ciclo di fundraising dà luogo anche alla revisione di alcuni suoi presupposti, che coincide con l'inizio di un nuovo ciclo
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1. L’avvio del ciclo di fundraising
La decisione di partire Gli studi sulle organizzazioni hanno identificato un momento cruciale nel processo di avvio di una qualsiasi impresa o attività: la "decisione di parti-‐re". Questo momento richiede tre elementi fondamentali: una decisione condivisa e cogente per l’organizzazione, un investimento di risorse umane, tecniche e organizzative per la realizzazione del fundraising e una buona causa per la quale raccogliere fondi. La “decisione di partire”, evidentemente, non consiste solo in una dichiarazione d’intenti. Chi non sottoscriverebbe l’affermazione che è necessario garantire un migliore futuro economico alla propria organizzazione? Esiste un’ampia letteratura che dimostra quanto sia delicato il passaggio dalle intenzioni alla messa in pratica delle azioni necessarie per realizzarle. Qui entrano in gioco vari fattori e spesso il principale è la mancanza di opinioni e rappresentazioni condivise sul fundraising all'interno dell'organizzazione. Ciò significa che possono esserci alcuni fattori psicologici, culturali, organizzativi che rappresentano un ostacolo o un freno all'avvio del fundraising o che, in altri termini, rendono difficile la scelta di fare fundraising. La decisione di dotarsi di una strategia di fundraising, inoltre, può apparire velleitaria se non tiene conto delle risorse, quelle umane in particolare, necessarie a sostenerla, dando vita così ad uno staff di fundraising e av-‐viando un programma di formazione dello stesso. Ma oltre allo staff, che deve possedere determinati strumenti professionali, è importante sollecitare la collaborazione attiva degli altri soggetti: i dirigenti innan-‐zitutto, ai quali compete la guida della strategia, la gestione delle relazioni e il controllo della mission in funzione del fundraising, i dipendenti e i volontari che, devono rendere il loro lavoro ordinario funzionale al fundraising, cercando di orientarlo al raggiungimento degli obiettivi di raccolta fondi. Si pensi ad esempio, all’importanza del lavoro di chi si occu-‐pa delle relazioni con gli studenti o con il pubblico, laddove l’organizzazio-‐ne realizzi eventi pubblici, o ancora degli addetti alla comunicazione, o di chi realizza i singoli progetti e programmi dell’organizzazione, tra i primi testimoni – anche verso l’esterno -‐ dell’importanza di avere risorse adeguate.
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La definizione della buona causa La seconda azione relativa all'avvio del fundraising è quella di definire in modo univoco ed efficace la "buona causa" per la quale vengono raccolti fondi, nella consapevolezza che al centro del fundraising e all'attenzione dei mercati di riferimento c’è la mission dell'organizzazione. Definire la buona causa non è scontato e spesso richiede di re-‐interpretare le ragioni per cui un’organizzazione è nata e in virtù delle quali agisce. La buona cau-‐sa, inoltre, deve essere comunicabile all'esterno e quindi possedere alcuni criteri di efficacia e d’impatto sotto il profilo della logica e della retorica. 2. L’elaborazione di una strategia Si noti che i primi tre passaggi del ciclo (start up, analisi interna e analisi esterna) sono collegati tra loro in elementi che concorrono a disegnare un itinerario di analisi e progettazione finalizzato a individuare quale sia il migliore modello di fundraising adottabile da un’organizzazione in relazio-‐ne alla proprie caratteristiche e a quelle dell’ambiente di riferimento. Una strategia di fundraising, come vedremo più avanti, deve essere salda-‐mente fondata sui punti di forza di chi dovrà chiedere soldi e sulle opportunità offerte dall’ambiente al quale si rivolge. Pertanto, gran parte della possibilità di dare vita a strategie efficaci di finanziamento dipende dalla capacità di dotarsi di un modello di fundraising in grado di massi-‐mizzare i fattori di potenziale successo, tenendo conto delle caratteristi-‐che istituzionali, organizzative e soprattutto socio-‐culturali di un’organiz-‐zazione. Il successo nel fundraising è legato in particolar modo a punti di forza o elementi qualificanti che risiedono nelle seguenti aree tematiche: → la qualità e la distintività della mission e delle attività; → il capitale sociale e relazionale; → le competenze e le conoscenze necessarie ad operare sui mercati e a
gestire le operazioni di fundraising; → il sistema di comunicazione efficace; → il management moderno e imprenditoriale delle proprie risorse5.
5 Per un approfondimento si veda M. Coen Cagli, Strategie e strumenti di fundraising , in: A. Hinna, Organizzare e gestire il terzo settore, Carocci, 2005
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L’analisi dell’ambiente interno L'analisi dell'organizzazione è un’indagine volta a evidenziare le risorse che essa possiede (o che potenzialmente può acquisire) per raggiungere determinati obiettivi (nel nostro caso economici e di fundraising). Essa è una fotografia, allo stato attuale, dei punti di forza e di debolezza dell’organizzazione. Lo strumento di analisi maggiormente utilizzato è quello della SWOT analysis, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti delle forze e delle debolezze che derivano dalle caratteristiche e dallo stato reale di un’organizzazione. Altri strumenti utilizzabili sono l’internal audit, la ricerca-‐azione, la valutazione e analisi della qualità e altre ancora. Tale analisi, inoltre, deve riguardare il sistema di relazioni che l’organizzazione ha con l’ambiente nel quale opera, al fine di individuare i target e la tipologia di pubblici che più facilmente possono condividerne la causa e le proposte (analisi del capitale sociale). L’analisi, infine, deve anche riguardare le fonti di finanziamento praticate allo stato attuale e la loro incidenza percentuale rispetto al bilancio com-‐plessivo dell’organizzazione. Tale analisi fornisce informazioni indispensa-‐bili a comprendere, in una logica di funding mix, quale sia stata fisiologi-‐camente la strategia di sostenibilità dell’ente o quale sia il modello di sostenibilità praticato da altri organismi ed enti simili al nostro.
L’analisi dell’ambiente esterno di riferimento Oltre al versante interno, è necessario analizzare anche il versante esterno di un’organizzazione prendendo in considerazione l'ambiente nel quale essa opera. Sono tre gli aspetti essenziali che è opportuno analizzare. In primo luogo i pubblici, ossia l'insieme dei soggetti individuali, collettivi e sociali che sono o possono essere in relazione con l’organizzazione, le sue attività e le sue finalità. In secondo luogo è necessario eseguire un’attenta analisi dei soggetti (individuali o collettivi, come le aziende o le fondazioni, che possono rappresentare potenziali finanziatori). Infine c’è l’analisi dei mer-‐cati che si creano a partire dalla loro potenziale offerta di risorse finanzia-‐rie.
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E’ utile compiere anche un’analisi dei trend sociali, culturali, politici e tecnologici che indirettamente influiscono sui comportamenti, i valori, le idee dei pubblici di riferimento, in modo da intercettare eventuali sinergie tra questi trend e le proposte dell’organizzazione. Queste analisi concorrono a definire un insieme di opportunità e di minac-‐ce che possono presentarsi a un’organizzazione nel momento in cui decidesse di dare vita ad una propria strategia di fundraising. 3. Progettazione e Pianificazione Il piano di fundraising è il principale strumento di progettazione operativa attraverso il quale si traducono in programmi e attività le indicazioni e le informazioni provenienti dalla realizzazione delle fasi del ciclo. Il piano di fundraising, quindi, è uno schema operativo integrato che tiene conto delle diverse implicazioni che le singole attività da svolgere hanno relativamente alle finalità dell’organizzazione, alle sue risorse, ai destinata-‐ri/beneficiari delle sue attività, alle strategie di comunicazione, partendo da un’ identificazione dei fabbisogni economico-‐finanziari. Nella progettazione del fundraising si deve tenere conto delle specificità che hanno le diverse tecniche di raccolta. Pertanto in questa fase l’organizzazione deve dotarsi di una sorta di "borsa degli attrezzi", contenente le regole e le tecniche proprie di ciascuna modalità di raccolta che potrà scegliere di utilizzare in base agli obiettivi e ai destinatari previsti dal piano (vedi seconda parte). 4. Management e valutazione Gran parte dell'efficacia di un piano di fundraising è legata alla capacità di gestire e controllare la sua implementazione valutando in corso d'opera la rispondenza tra i risultati delle singole attività e gli obiettivi generali del piano.
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La messa in opera del piano richiede anche che siano risolti, in fase iniziale, una serie di aspetti organizzativi ed economici che rappresentano altrettanti dilemmi per un’organizzazione circa le migliori modalità di implementazione da adottare. Si pensi, ad esempio, agli investimenti di risorse economiche, umane organizzative da fare per avviare le attività di fundraising (ciò spesso richiede forme di accesso al credito), all’ internalizzazione o, viceversa, all’esternalizzazione (verso fornitori esterni) delle differenti funzioni da attivare per il fundraising; alla creazione di strutture e organici specificamente dedicati al fundraising, ecc. In questa fase l'organizzazione si deve dotare di un sistema di monitorag-‐gio avanzato che permetta di eseguire un controllo e una valutazione costante della qualità del proprio fundraising. Inoltre, l’efficacia del fundraising è legata anche alla capacità dell'organiz-‐zazione di praticare una valutazione articolata delle attività svolte e degli obiettivi raggiunti. Non si tratta solo di valutare gli obiettivi economici ma anche quelli che indirettamente possono portare a un maggiore successo (in prospettiva) delle azioni di raccolta. La valutazione complessiva di un ciclo di fundraising dà luogo anche alla revisione di alcuni suoi presupposti iniziali. Questa azione, che coincide con l'inizio di un nuovo ciclo, si baserà sui risultati ottenuti e sul complessivo sviluppo dell'organizzazione come conseguenza dell'attuazione del piano.
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CAPITOLO QUARTO
FARE FUNDRAISING STEP BY STEP PRIMO STEP: LA GOVERNANCE DEL FUNDRAISING Si tratta di costituire nei fatti (ma anche nella forma) il soggetto attore dell’azione di fundraising. E’ opportuno adottare un approccio di governance che tenga conto, non tanto e non solo del sistema interno dell’organizzazione, quanto, piuttosto di tutti gli stakeholders 6 e interlocutori che possono condividere a priori interessi e finalità connessi con il progetto iniziale. In tal senso, il coinvolgimento d’interlocutori in qualità di alleati della raccolta fondi può portare valore aggiunto e un potenziale di successo maggiore. Da questo punto di vista è opportuno creare un Comitato di raccolta fondi, (ossia un insieme di soggetti interni all’organizzazione e interlocutori della stessa) che si assuma l’impegno di lanciare il fundraising e di guidarlo verso il suo sviluppo e che garantisca tre caratteristiche: → capacità operativa, in genere legata allo staff operativo dell’ente; → capacità decisionale e autorevolezza all’interno della organizzazione,
legata in genere al gruppo dirigente e ai fondatori dell’ente; → capacità di creare legami, relazioni e capitale sociale e fiduciario per
l’ente legata, in genere, a personalità esterne che condividono il progetto iniziale.
Il Comitato di raccolta fondi, così come tutta l’organizzazione, deve condividere non solo un progetto formativo e artistico ma anche un progetto di fundraising e, soprattutto, un orientamento strategico verso la sostenibilità della causa sociale. Spesso questa condivisione richiede il superamento di ostacoli operazionali: disponibilità di tempo e professionalità a disposizione per il fundraising; uno spazio adeguato
6 Con il termine stakeholder (o portatore d’interesse) si definiscono i soggetti influenti nei confronti di un'iniziativa, di un progetto, di una policy o di una organizzazione. Secondo un approccio di management strategico, sono stakeholder tutti i soggetti che possono influenzare oppure che sono influenzati da un’organizzazione, e di cui essa deve tener conto nella misura in cui subiscono, o fruiscono, le sue attività.
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nell’attività di dirigenza dedicato alla ricerca di fondi; mezzi e strutture per svolgere le attività di raccolta fondi (telefoni, internet, computer, spese postali, spese di comunicazione e pubblicità, ecc.), ma anche di ostacoli culturali o “cognitivi” legati alla nostra visione del fundraising, al nostro stile di lavoro, ecc. Fig 2: La costituzione di un Comitato Promotore come strategia di governance del fundraising
Può essere opportuno, pertanto, in questa fase realizzare: → seminari e incontri sul fundraising con esperti, consulenti, testimoni
di esperienze analoghe; → partecipazione a corsi di formazione sul fundraising; → giornate di studio interne in cui costruire e condividere un proprio
programma di fundraising.
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SECONDO STEP: INDIVIDUARE, CONDIVIDERE E COMUNICARE LA “BUONA CAUSA” I soldi si donano (e/o si investono) non per una organizzazione ma per una buona causa. Il punto centrale del fundraising, quindi, è il progetto che intendiamo sostenere, le sue finalità, le sue strategie e le sue attività concrete. Sono centrali anche i valori, gli approcci, la cultura che accom-‐pagnano l’organizzazione nell’ideare e proporre la realizzazione di un progetto. La seconda operazione fondamentale per il fundraising, quindi, è quella di elaborare lo “statement”, ossia la buona causa, una dichiarazione di inten-‐ti che rappresenti per il potenziale donatore non solo una presentazione dell’organizzazione, ma anche l’insieme delle buone ragioni per cui sostenerla. Questo processo si realizza attraverso tre attività consequenziali: → elaborazione strategica della mission e degli obiettivi del progetto; → definizione di un dossier di dati e informazioni a sostegno del proget-‐
to; → realizzazione degli strumenti di comunicazione (in genere legati alle
differenti modalità di raccolta fondi e comunicazione utilizzate: lette-‐ra, manifesto, spot, documento di sponsorizzazione, sito internet, ecc.).
La buona causa è come il DNA del progetto ed è fondata su quattro elementi: → la vision, ovvero la capacità dell’organizzazione di offrire
un'interpretazione e un’analisi convincente della realtà e dei suoi problemi e di identificare in prospettiva il ruolo e la funzione che essa intende svolgere in tale contesto;
→ la mission, ovvero il traguardo, la causa generale di una organizzazio-‐ne, il suo fine ultimo;
→ gli obiettivi strategici che ci si pone per realizzare la mission, cioè un piano di azione su larga scala;
→ gli obiettivi operativi, cioè le scelte tattiche e tecniche necessarie per mettere in atto le strategie.
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Per prima cosa, quindi, l’organizzazione deve determinare e formalizzare in modo condiviso la propria buona causa che è l’“oggetto” della raccolta fondi e quindi “motivo” per il quale gli interlocutori decideranno di rende-‐re disponibili risorse economiche. Di seguito si riporta un esempio di “statement” di un conservatorio funzionale alla raccolta fondi.
Un esempio di statement The Royal Conservatory è una delle istituzioni di educazione musicale più grandi e rispettate nel mondo e fornisce il più alto grado di eccellenza nella formazione, nella qualità dei docenti e nei programmi sociali art-‐based. La missione di The Royal Conservatory è quella di sviluppare il potenziale umano attraverso la leadership nella musica e nelle arti e si fonda sulla convinzione che le arti siano gli strumenti più importanti che l’essere umano ha per raggiungere la crescita personale e la coesione sociale. Il programma di studi musicali del Conservatorio è diventato un prototipo nazionale essendo stato riconosciuto come il miglior programma canadese per unire il popolo canadese attraverso il legame dato dalla condivisione di esperienze artistiche . Gli oltre cinque milioni di ex allievi di The Royal Conservatory hanno goduto dei numerosi benefici tratti dallo studio della musica e li hanno trasferiti nelle loro carriere di medici, ingegneri, avvocati, imprenditori, atleti e insegnanti. Altri, come Glenn Gould, Oscar Peterson, Angela Hewitt, il St. Lawrence String Quartet, e Measha Brueggergosman hanno ottenuto riconoscimenti a livello internazionale e dato prestigio al Canada nel mondo. The Royal Conservatory è anche leader nello sviluppo di programmi sociali a contenuto artistico progettati per affrontare questioni quali i giovani a rischio, lo sviluppo dei bambini nei primi anni di vita e il benessere degli anziani. I programmi Learning Through the Arts ® e Living Through the Arts® del conservatorio utilizzano le ultime scoperte della ricerca nel campo delle neuroscienze e delle scienze sociali per la creazione di programmi concreti di educazione con specifici obiettivi e risultati quantificabili.
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The Royal Conservatory offre una vasta serie di programmi di formazione per i giovani artisti di talento attraverso The Glenn Gould School e The Phil and Eli Taylor Performance Academy for Young Artists. Il Conservatorio presenta e produ-‐ce anche una vasta gamma di concerti con i migliori artisti canadesi e internazionali nei suoi magnifici spazi Koerner Hall e Mazzoleni Hall. Radicata nella mente e nei cuori dei canadesi, il Royal Conservatory ha unito generazioni di cittadini sin dal suo inizio, nel 1886. Fonte: http://www.rcmusic.ca/overview
E’ essenziale che la buona causa sia definita adottando il punto di vista di chi la dovrebbe recepire. In tal senso, se ci rivolgiamo a un pubblico ampio dovremo far capire quanto e come la nostra mission produce benefici e impatti positivi per l’intera comunità e non solo per gli studenti o gli addet-‐ti ai lavori. Così come dovremo mettere bene in evidenza il valore sociale aggiunto7 che le attività del conservatorio garantiscono al di là del mero mandato istituzionale e amministrativo. La buona causa deve essere accompagnata da un insieme d’informazioni, conoscenze, dati di contesto, ecc. che possano supportare il progetto nella prospettiva di accreditarlo sui differenti mercati e quindi di convincere i nostri interlocutori. A tale proposito è opportuno raccogliere e organizzare in un dossier informazioni quali: → contesto o quadro di riferimento; → attività; → strutturagramma-‐organigramma; → destinatari delle attività; → fabbisogno (tecnico, finanziario, organizzativo, di personale, ecc.); → curriculum (storia della organizzazione, iniziative realizzate, successi
ottenuti, ecc); → sistemi di verifica della qualità; → modalità di reperimento e utilizzazione delle risorse finanziarie. La nostra buona causa, infine, per essere “vincente” deve possedere alcu-‐ne caratteristiche che, sul piano retorico, facilitino la determinazione di un consenso “attivo” dei nostri interlocutori. Essa pertanto deve risultare: 7 Si veda il punto 3 del capitolo 1
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→ fattibile, realistica, gli obiettivi devono apparire ragionevolmente raggiungibili;
→ distintiva, con elementi di accentuata distinzione da altre buone cause;
→ motivante, deve spingere a mobilitarsi, a fare un atto di donazione, avere un impatto in quanto dimostra che è “urgente o necessario fare qualcosa per”.
In questa logica, è opportuno comunicare in modo facilmente comprensibile l’impatto che il nostro progetto può avere sui bisogni e le aspettative della nostra comunità. Guardiamo ancora una volta l’esempio del Conservatorio Reale del Canada. Perché donare Puoi essere determinante. Sostieni il Royal Conservatory, adesso! Ogni donazione ad ogni livello è importante e fa la differenza. Potete essere sicuri che la vostra donazione sarà accolta con gratitudine e utilizzata in modo responsabile. Insieme, siamo in grado di garantire i più elevati standard d’istruzione, conquistare i migliori docenti e studenti, offrire un’eccellente formazione per le stelle di doma-‐ni, attrarre finanziatori per i nostri spettacoli di alta qualità e continuare a scoprire la vastità e la profondità del legame tra musica e mente e sui vantaggi per le perso-‐ne di tutte le età. Sono molti i modi di sostenere The Royal Conservatory affinchè realizzi la sua missione di sviluppare il potenziale umano attraverso la musica e le arti. Fonte: http://www.rcmusic.ca/donate-‐now
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TERZO STEP: ANALIZZARE I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DELLA NOSTRA PROPOSTA IN CHIAVE DI FUNDRAISING Una strategia di fundraising per essere vincente, deve essere fortemente compatibile con le caratteristiche della organizzazione. Essa deve poggia-‐re su quelli che sono i suoi principali punti di forza. Ad esempio, se l’organizzazione non ha un nome già conosciuto e largamente affermato nel nostro ambiente di riferimento, sicuramente non conviene puntare su campagne di raccolta di fondi rivolte a un largo pubblico, realizzate mediante l’uso di mailing per raccogliere tante “piccole donazioni” (mercato delle donazioni individuali), anche perché queste campagne richiedono ingenti investimenti e solitamente sono remunerati-‐ve nell’arco di 3-‐5 anni. Eventualmente tali campagne -‐ nell’esempio preso in esame -‐ potrebbero essere più utili per diffondere la conoscenza e la percezione dell’organizzazione piuttosto che per raccogliere fondi. Se, invece, l’organizzazione, per quanto poco conosciuta, possiede un forte sistema di relazioni con soggetti istituzionali o con ambienti imprenditoria-‐li, allora senza dubbio, può, più facilmente, realizzare campagne di raccolta fondi basate sul contatto diretto e orientate a raccogliere poche “grandi donazioni” o, meglio ancora, a creare una partnership di aziende locali che, aderendo alla causa della organizzazione, diano concretezza alla loro responsabilità sociale di impresa (mercato del corporate fundraising). Se, infine, l’organizzazione è poco conosciuta al largo pubblico, ma è molto radicata in un territorio (ad esempio, un quartiere) o una rete sociale (ad esempio, le associazioni o le scuole del territorio) allora converrà senza dubbio puntare anche su forme di raccolta fondi territoriali, quali i punti di raccolta (banchetti), gli eventi conviviali, i raduni, ecc.
Lo scopo dell’analisi dei punti di forza e di debolezza è, quindi, duplice: a) sapere e decidere ora quale strategia di fundraising adottare e cioè:
-‐ su quali mercati operare e con quali obiettivi di bilancio; -‐ quali modalità tecniche utilizzare;
b) conoscere i fattori sui quali l’organizzazione deve migliorare -‐ per accedere a nuovi mercati; -‐ per utilizzare nuove modalità di fundraising.
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Quali ambiti dell’organizzazione e del progetto si devono analizzare?
→ Il primo è l'ambito della "produzione" (servizi, iniziative, attività, eventi, ecc.) che l'organizzazione intende "mettere sul mercato" del fundraising, valorizzando la propria mission e le strategie di cui è in possesso. In quest’ambito la qualità della propria mission, in termini di chiarezza, efficacia, distintività e impatto rispetto alla realtà sociale, così come la qualità progettuale delle iniziative possono fare la differenza nell'affermare una organizzazione all'interno dei mercati del fundraising.
→ Il secondo ambito è quello del capitale sociale, ossia l'insieme di
relazioni professionali e istituzionali, conoscenze personali, inserimen-‐to in network e tutti i rapporti sociali che determinano un clima di fiducia nei confronti dell’organizzazione. Per un’organizzazione non profit, così come per qualunque tipo d’impresa, tale capitale vale oggi molto di più del capitale economico e delle dotazioni strutturali. Costruire, valorizzare e sviluppare il proprio capitale sociale è dirimen-‐te per attrarre soggetti portatori di risorse necessarie per la propria mission.
→ Il terzo è l'ambito del capitale cognitivo di un’organizzazione, ossia
l'esistenza di un sistema di knowledge management in grado di controllare dati, informazioni, saperi, conoscenze in senso lato e quindi, da un lato, di controllare e monitorare le opportunità di fundraising che l’organizzazione può cogliere e, dall'altro, di individua-‐re quali sono le conoscenze chiave che si devono possedere per controllare le differenti strategie e tecniche di fundraising. In questo caso è evidente, di fronte alla crescente complessificazione dei mer-‐cati e delle modalità di fundraising, quanto la conoscenza di ciò che determina le regole di tali mercati appare risolutiva ai fini del fundrai-‐sing.
→ Un quarto ambito, fondamentale per il successo, è quello del "sistema
di comunicazione", comprendendo in questa definizione i messaggi, i target, i mezzi (di massa, personali, diretti, istituzionali, propagandisti-‐ci, ecc.), i canali di raccolta dei feedback, ma anche e soprattutto un orientamento e una cultura organizzativa della comunicazione.
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L'aumento di soggettività sociale e quindi il moltiplicarsi di attori "intelligenti" nello scenario del fundraising (sia in quanto portatori di risorse, sia in quanto soggetti in grado di attrarle) impone una grande capacità di comunicazione per interagire in modo efficace con essi.
→ Infine, vi è un quinto ambito che forse svolge il ruolo principale nel
determinare il successo: quello dell’organizzazione. Si fa qui riferimen-‐to sia alle pratiche di management (organizzativo, amministrativo, delle risorse umane, della produzione, istituzionale, ecc.) sia allo spiri-‐to imprenditivo. Due caratteristiche che contraddistinguono qualun-‐que soggetto collettivo che voglia realizzare con successo una propria mission in un ambiente fortemente competitivo.
A partire da questi 5 ambiti, che rappresentano altrettanti elementi che concorrono a disegnare un modello che risponda in modo efficace alle caratteristiche specifiche di un’organizzazione e dell'ambiente in cui opera, si può fare un’analisi dei punti di forza della organizzazione funzionale a stabilire le migliori strategie di raccolta fondi8.
TEMI E ASPETTI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE NELL’ANALISI DELLE FORZE E DELLE DEBOLEZZE DELLA ORGANIZZAZIONE
IL SISTEMA DEI PRODOTTI E DELLA MISSION
→ case statement e la sua efficacia rispetto, ad esempio, ai parametri di fattibilità, distintività e mobilitazione
→ prodotti e i "marchi" di una organizzazione rispetto alla loro riconoscibilità da parte dell'ambiente esterno e rispetto al loro grado di qualità effettiva e percepita
→ tipo di prodotto (attività, iniziativa, servizio, ecc.) e ambito temati-‐co di riferimento
→ percezione della mission nell'ambiente in cui operiamo rispetto, ad es., a opzioni quali consenso/conflitto e tradizione/innovazione
8 Coen Cagli M., Strategie e strumenti di fundraising in Hinna A., Gestire e organizzare nel terzo settore, Carocci, Roma, 2005
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IL SISTEMA DEL CAPITALE SOCIALE
→ patrimonio di relazioni sociali e personali che possono essere concretamente attivate ai fini del fundraising
→ inserimento in reti di collegamento (network) → ambito territoriale di azione e di influenza della organizzazione → tipo di relazione prevalente con l'ambiente in cui opera
l'organizzazione tesa a comprendere se l'organizzazione è isolata, integrata, conosciuta, auto-‐referenziale, pro-‐attiva, ecc.
LA GESTIONE DELLE CONOSCENZE-‐CHIAVE (KNOWLEDGE MANAGEMENT)
→ uso effettivo di strumenti di accesso alle informazioni (internet, banche dati, giornali e riviste, ecc.) in ordine a informazioni su finanziamenti, politiche e strategie degli interlocutori, dati e informazioni sugli ambiti tematici della organizzazione
→ uso di strumenti di accesso ai saperi professionali (libri, formazio-‐ne, convegni, ecc.)
→ presenza di sistemi di gestione della conoscenza organizzativa (banche dati, archivi, ecc.)
→ sistemi di monitoraggio qualitativo che coinvolgono tutti i membri dell’organizzazione
→ investimento nello sviluppo di capitale cognitivo (formazione esterna e interna, screening delle capacità e conoscenze del personale, ecc.)
IL SISTEMA DI COMUNICAZIONE
→ target ai quali ci si rivolge (chi sono gli interlocutori istituzionali, finanziari, beneficiari)
→ consistenza quantitativa e qualitativa del target → modalità di comunicazione utilizzate (di massa, personale, diretta, ecc.) → strumenti di comunicazione già in possesso e utilizzati L'ORGANIZZAZIONE
→ risorse umane e professionali → risorse tecniche e organizzative → posizione economico-‐finanziaria e il fabbisogno di base (liquidità,
sviluppo, recupero del debito) → caratteristiche giuridico-‐istituzionali → conflittualità interne → Quantità e qualità di attività di raccolta di fondi già avviate
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→ Cultura dell’organizzazione su aspetti quali il fundraising, l'imprenditività, l'innovazione tecnologica, il management, lo stile di lavoro del personale, ecc.
QUARTO STEP: ANALIZZARE, COSTRUIRE E SVILUPPARE IL CAPITALE SOCIALE E DI RELAZIONI Quando un’organizzazione è in fase di avvio del fundraising, l’analisi del proprio capitale sociale (di cui abbiamo parlato in precedenza) assume un’importanza particolare. E’ proprio l’esistenza di relazioni attive che può, tra gli altri aspetti, permettere a un’organizzazione di muovere i primi passi nel campo della raccolta fondi. Tale approccio è fortemente collegato anche con quanto affermato in precedenza circa la governance del fundraising (cfr. Primo step): un primo Comitato di raccolta fondi che sostenga l’organizzazione e che va inteso non solo o non tanto come un insieme di primi donatori, ma anche e soprattutto come un “attivatore” di ulteriore capitale di relazioni per la organizzazione in grado di trasformarlo in una molteplicità di opportunità per raccogliere fondi. Opportunità che nascono proprio attorno a quei soggetti che sono già “amici” o lo possono diventare più facilmente proprio perché già hanno relazioni attive con l’organizzazione. Nelle università statunitensi (che sono, in termini economici, i primi fundraiser al mondo), ad esempio, i consigli di amministrazione, oltre ad essere incaricati primariamente del fundraising, sono costituiti proprio in quanto patrimonio di relazioni d’interesse con i diversi interlocutori (ambienti e settori sociali, economici, istituzionali, politici, ecc.) che posso-‐no e vogliono sostenere la causa della università. Non deve apparire strano, quindi, che la forza di una strategia di fundrai-‐sing si fondi proprio sull’analisi del capitale sociale interno o vicino alla organizzazione partendo dagli indirizzari istituzionali e dalle rubriche telefoniche personali dei membri responsabili del progetto. Un’analisi del capitale relazionale produce un primo database di potenziali sostenitori che, in seguito va vagliato alla luce di tre caratteristiche che
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permettono di individuare i differenti target di raccolta di fondi. Tale lavo-‐ro va fatto seguendo il metodo LAI (Linkage, Ability, Interest) per il quale le caratteristiche che i potenziali sostenitori devono possedere, sono:
→ il legame (linkage) con l’organizzazione o con i soggetti che vi operano
(legame che può essere di tipo familiare, sociale, professionale, o con-‐nesso al fatto che si è beneficiato dei servizi della organizzazione, ecc.). Si tratta di valutare la forza del legame e la reale capacità (in senso tecnico) di praticare tale legame per raggiungere il pubblico in modo efficace (con una lettera, una telefonata, con una visita personale, tramite i mezzi di comunicazione di massa, ecc.);
→ la capacità finanziaria e l’orientamento a donare (ability) ossia la valutazione della capacità economica del soggetto e del suo orientamento a donare. Ad esempio, un’azienda, oltre ad avere una riserva economica che gli permette di donare dovrà avere anche un capitolo di bilancio attivo in sponsorizzazioni o donazioni filantropiche o in responsabilità sociale di impresa;
→ l'interesse (interest) (grado di coinvolgimento e consenso verso la causa sociale). L’interesse può essere di diversa natura, relativo alla nostra mission, al target dei beneficiari, alla comunità in cui operiamo, alla natura delle nostre attività, alla nostra capacità di veicolare anche l’immagine e la reputazione del nostro interlocutore, ecc.).
Fig 3: individuazione dei target di fundraising secondo il metodo L.A.I.
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QUINTO STEP: L’ANALISI DELLE OPPORTUNITÀ OFFERTE DALL’AMBIENTE ESTERNO
I mercati del fund rasing e lo scambio con i “donatori” Il fundraising presuppone che vi sia, da un lato un’organizzazione che OFFRE una causa sociale o iniziativa alla quale aderire e quindi DOMANDA risorse per realizzarla e, dall’altro lato, un soggetto individuale o collettivo che ha una DOMANDA rispetto ad un proprio bisogno (senso di appartenenza, reputazione, interesse a investire socialmente, senso di solidarietà, autostima, ecc.) per la quale ha una OFFERTA di risorse, principalmente economiche (potrebbero essere anche beni e servizi, la-‐voro volontario, ecc.). Laddove vi è una dinamica di domanda e offerta e quindi una serie di re-‐gole formali (fiscalità, contratti, progetti finanziabili, ecc.) o informali (comportamenti, mode, tendenze, consuetudini, ecc.) lì c’è un mercato. Il fundraising è un mercato delle cause sociali. In relazione alle diverse categorie di finanziatori, esistono specifici mercati di fundraising che per semplicità possono essere divisi in 4 grandi catego-‐rie per ognuna delle quali esistono diverse tipologie di fundraising
I MERCATI DEL FUNDRAISING 1. Mercati degli individui (o persone fisiche)
-‐ Quote per servizi erogati dall’organizzazione ad utenti -‐ Donazioni liberali -‐ Quote associative -‐ Lasciti testamentari, cessione e uso di strutture, ecc.
2. Mercato dei privati (o persone giuridiche)
-‐ Sponsorizzazioni - In denaro - In servizi
-‐ Donazioni liberali -‐ Investimenti sociali
- Partnership - Programmi di Responsablità sociale di impresa - Joint venture
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3. Mercato delle fondazioni e degli intermediari filantropici - Contributi (anche una tantum) - Finanziamento di progetti - Partnership
4. Mercato degli enti pubblici e governativi (locali, nazionali, europei,
internazionali) - Finanziamento di Progetti su bando dell’ente - Convenzioni per la realizzazione di servizi - Partnership (anche attraverso la sottoscrizione di quote associative)
Un’altra variabile in base alla quale segmentare il mercato generale è la tipologia di scambi che possono essere praticati con gli interlocutori. Un’organizzazione, infatti, non solo può richiedere liberalità (donazioni) ma anche quote associative, il corrispettivo (in termini di contributo) a copertura di spese necessarie ad erogare un servizio di cui il donatore è anche il fruitore (come ad esempio in corsi di formazione rivolti ad un largo pubblico, o concerti, ecc..), oppure stipulare contratti di sponsorizzazione con aziende, o ricevere dotazioni e capitali per costituire una fondazione, o, infine, stipulare contratti con enti pubblici per la realizzazione di progetti e servizi. Per ognuna di queste modalità si praticano scambi di natura di-‐versa. Quali sono gli scambi possibili?
scambi materiali Un primo tipo di scambi è quello in cui il valore materiale è prevalente rispetto a valori sociali e relazionali aggiunti. Un’organizzazione non pro-‐fit, ad esempio, scambia con un ente pubblico finanziatore la realizzazione di un servizio che esso deve erogare (ad esempio un asilo nido o un centro di accoglienza per disabili). In tal caso si fa riferimento a un insieme di risorse che si fondano sul prelievo fiscale che lo Stato e gli enti locali praticano verso gli individui e le aziende e che possono essere trasferiti, a loro volta, verso organizzazioni che erogano materialmente tali servizi. Un’organizzazione non profit può anche offrire servizi a un’azienda a fronte di un corrispettivo. Ad esempio un’organizzazione fornisce all’azienda servizi di comunicazione e immagine (la vendita di spazi pubblicitari all’interno di una propria rivista) o anche, nel caso di una
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cooperativa di tipo B, l’erogazione di servizi verso una azienda quali la cura delle aree verdi o il servizio di pulizia. Infine un’organizzazione non profit può scambiare verso i propri soci o un pubblico più vasto servizi alla persona come, ad esempio, una visita guida-‐ta ad un museo o un corso di formazione o una pubblicazione. In questi casi si fa riferimento a uno scambio tra valori equivalenti (che è il principio cardine del libero mercato).
scambi immateriali o sociali Esiste un secondo tipo di scambi che fa riferimento principalmente a valori sociali aggiunti che, in qualche modo, non sono compresi nel sistema ordinario di welfare (anche per carenza di risorse) e quindi non sono sostenuti dalla contribuzione (tasse, tributi, fiscalità ecc.). Un’organizzazione può scambiare con i propri sostenitori libere donazioni a fronte di programmi di diffusione della cultura e delle arti e, ossia iniziative che soddisfano aspettative e aspirazioni sociali, etiche, religiose, culturali, ecc. Così come può ricevere donazioni e investimenti di un’azienda in cam-‐bio di un progetto che rafforzi lo sviluppo locale della collettività e quindi, indirettamente, crei un ambiente favorevole anche per lo sviluppo della azienda (programmi di accesso e fruizione della cultura, aiuto alle famiglie in difficoltà, ecc.). Questo secondo tipo di scambi è quello principale per il fundraising nel quale lo scambio deve essere incentrato principalmente, se non esclusivamente, sul valore sociale (in senso lato) della nostra causa e delle nostre iniziative.
L’analisi dei mercati Cosa si deve analizzare dei mercati per coglierne eventuali opportunità o indicazioni per rafforzare la nostra capacità di operarvi? La domanda e offerta; le regole e i soggetti.
a. Valore della domanda e dell’offerta -‐ contenuti caratteristici dei mercati -‐ entità totale e delle singole transazioni
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b. Le regole dei mercati -‐ formali -‐ informali
c. I soggetti persone giuridiche (aziende, fondazioni, enti) - struttura/organico - economia/budget - programmi/politiche - bisogni (in termini di marketing) - agenda (urgenze) - legami (network) - consuetudini sul mercato - potere interno
persone fisiche - legami (network) - aspetti anagrafici-‐geografici e sociografici - aspetti motivazionali soggettivi - aspetti motivazionali sociali-‐relazionali - bisogni (in termini di scambio) - disponibilità economica - orientamento a donare Non sono molti, in Italia, gli studi di mercato relativi al fundraising. In altri paesi, soprattutto di cultura anglosassone, esistono molti istituti che effettuano ricerche e indagini sulle motivazioni che spingono a donare o a finanziare e sull’evolversi dei flussi finanziari (entità totale, entità media della donazione, ambiti di interesse, modalità di finanziamento, ecc.). Di seguito vengono presentati in modo sintetico i trend attuali dei differenti mercati del fundraising in Italia9.
9 Per un’indicazione circa gli enti e gli istituti che effettuano ricerche utili ai fini dell’analisi dei mercati del fundraising, si veda la sito-‐bibliografia riportata alla fine.
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MERCATO DELLE IMPRESE
- Il mercato italiano delle sponsorizzazioni (sport, cultura e utilità sociale) nel 2011 ha toccato quota 1.400 milioni di euro, con un calo del 5% rispetto al 2010. Dal 2009 c’è stato un calo del 20% circa e siamo tornati al livello degli anni 90.
- Il settore cultura è stato colpito in modo significativo (rappresenta circa il 20% del settore pari, quindi, ad oggi a circa 300 milioni all’anno). Reggono i restauri di opere importanti ma lo spettacolo e le mostre sono in sensibile calo. Il settore utilità sociale cresce o almeno è stabile.
- Le aziende sono impaurite dalla crisi economica ma anche dall’inefficacia delle sponsorizzazioni fatte fino ad oggi. Fanno fatica a trovare partner di lungo periodo ma solo progetti ed eventi occasionali. Manca originalità e specificità dei progetti.
- Aumenta invece la domanda di servizi, ed è oggi il problema numero uno percepito dalle comunità di riferimento delle aziende.
- Le aziende da “bancomat” a partner delle iniziative: non vogliono più essere solo un “logo” sul manifesto.
- In relazione alla crisi economica si registra un brusco calo dei finanziamenti da parte di aziende (soprattutto di tipo pubblicitario e promozionale) ma in attesa di una ripresa magari su presupposti differenti e più ragionati.
MERCATO DELLE DONAZIONI INDIVIDUALI
→ Mercato statico (crisi economica) ma non in grave decrescita (circa 2 – 2,5
mld. di euro). → Rapida obsolescenza dei mezzi di raccolta tradizionali e di marketing. Forte
tenuta del contatto diretto. → Le strategie di mantenimento sono essenziali più che quelle di incremento
di donatori. → Le agevolazioni fiscali tendono ad incrementare il mercato (come nel caso
del 5/000). → Spostamento dell’attenzione verso le cause connesse al welfare (forse an-‐
che conquistando nuovi donatori). → Il donatore è molto esigente (informazioni, rendicontazione, trasparenza) → La complessificazione della società e dei bisogni fa sì che una gran parte dei
donatori siano sensibili anche a cause sociali innovative e non solo a quelle più conosciute ed affermate.
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MERCATO DELLE FONDAZIONI FILANTROPICHE
→ Le fondazioni di origine bancaria (che sono in tutto 88) erogano ogni anno circa 1,3 miliardi di euro. Esiste una forte concorrenza degli enti e servizi pubblici nei confronti del non profit (il 40% dei fondi erogati dalle fonda-‐zioni bancarie vengono raccolti dagli EE.LL.). Le altre fondazioni filantropi-‐che erogatrici (2400 circa) erogano ogni anno circa 2 miliardi di euro con una media di 830.000 euro per ciascuna fondazione.
→ Le fondazioni bancarie erogano il 12% dei loro fondi verso il settore educa-‐zione, formazione e istruzione sia in strutture che in programmi. Il 20% delle altre fondazioni filantropiche sono coinvolte in programmi connessi con la formazione e i giovani (borse di studio, progetti formativi, costruzio-‐ne di strutture – anche se in modo minoritario -‐, ecc.).
→ Le fondazioni bancarie investono anche nella costituzione di altre fonda-‐zioni (tra le quali le fondazioni di comunità) partecipando come fondatori o comunque come apportatori di capitali e fondi per la operatività.
→ Nel meridione, dato il basso numero di fondazioni bancarie originarie, que-‐sti istituti intervengono mediante un fondo comune che è all’origine della costituzione della Fondazione per il Sud che si è dotata di un programma per il finanziamento di un articolato piano sociale di intervento.
SESTO STEP: LA PIANIFICAZIONE OPERATIVA Il piano di fundraising è il principale strumento di progettazione operativa attraverso il quale si traducono in programmi e operazioni le indicazioni e le informazioni provenienti dal ciclo di fundraising. Il piano di fundraising, quindi, è uno schema di azione operativo integrato, che tiene conto delle diverse implicazioni che le singole operazioni da svolgere hanno rispetto alle finalità dell’organizzazione, alle sue risorse, ai destinatari/beneficiari delle sue attività, alle strategie di comunicazione. Il punto di partenza è, comunque, l’identificazione di quali sono i fabbisogni economico-‐finanziari di un’organizzazione. Il processo di pianificazione prevede le seguenti azioni: -‐ definizione del fabbisogno economico e finanziario; -‐ definizione delle attività di fundraising; -‐ scelta delle modalità di raccolta di fondi.
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La definizione del fabbisogno economico-‐finanziario
La natura e la tipologia di fabbisogno economico finanziario o di dotazioni e strutture fornisce una prima indicazione sul tipo di fundraising da utiliz-‐zare e sui mercati ai quali bisogna rivolgersi. La tipologia dei costi da tenere presente in fase di analisi del fabbisogno è la seguente: → COSTI DI AVVIAMENTO
Quelli relativi all’acquisizione delle dotazioni e delle risorse necessarie per la costituzione e lo svolgimento delle attività (ad esempio patrimoni e fondi per la costituzione di una fondazione, l’acquisizione di stabili, macchinari, ecc.)
→ COSTI FISSI
Quelli generalmente legati all’esistenza di una organizzazione (le sedi, le utenze di base, il personale minimo, le iniziative che devono essere realizzate a tutti i costi, ecc).
→ COSTI VARIABILI
legati a progetti che possono essere realizzati in relazione alla capaci-‐tà di raccogliere fondi ad hoc.
→ COSTI DI FUNDRAISING necessari a realizzare le iniziative di fundraising previste dal piano,
E opportuno notare che, da questo punto di vista, il lavoro non retribuito prestato da volontari o soci ha un valore economico. E’ opportuno, quindi, calcolarlo in prima istanza come “costo” (per le attività o per la gestione ordinaria) e poi come “entrata” in servizi di pari valore economico (oneri figurativi). Dal punto di vista delle organizzazioni di formazione in campo artistico si può fare riferimento al seguente schema.
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SCHEMA DI ORIENTAMENTO VERSO TIPI, INTERLOCUTORI E MODALITA’ DI FUNDRAISING IN BASE AI FABBISOGNI DELLA ORGANIZZAZIONE Tipo di fabbisogno Tipo di fundrai-‐
sing Interlocutori/mercati ai quali rivolgersi
Esempi di modalità di raccolta
Capitali per la costituzione - Fundraising di capitali
- Fondazioni filantropi-‐che e bancarie
- Enti pubblici - Grandi aziende - Associazioni imprenditoriali e di categoria
- Costituzione di una partnership
- Proposta di co-‐fondare un ente apportando ca-‐pitali
Acquisizione e/o ri-‐strutturazione e adegua-‐mento delle strutture
- Fundraising di capitali
- Campagne straordina-‐rie
- Fondazioni filantropi-‐che e bancarie
- Enti pubblici - Grandi aziende - Associazioni imprenditoriali e sin-‐dacali
- Grandi donatori
- Lasciti - Cessione o uso strut-‐ture, edifici
- Donazioni aziendali in beni
Costi di funzionamento della struttura/ organizza-‐zione (personale, macchinari, utenze, ecc. )
- Annual fundraising
- Costituenti e soci - Enti pubblici - Fondazioni filantropi-‐che
- Quote “associative” - Base di sostenitori da coltivare nel tempo
- Campagne annuali le-‐gate alla mission gene-‐rale dell’organizzazione
- Contributi (una tantum) Realizzazione dei progetti istituzionali - corsi di formazione - ricerca e analisi dei biso-‐gni
- laboratori di impresa - accompagnamento all’inserimento pro-‐fessionale,
- ecc.
- Operational fundraising
- Finanziamen-‐to su pro-‐getto
- Donatori individuali - Promotori di politi-‐che sui temi dell’organizzazione (enti locali e governativi, UE, ecc.)
- Fruitori e utenti dei progetti
- Presentazione di progetti a bando o come proposta di partnership
- Quote per accesso ai servizi
Progetti di informazione, sensibilizzazione, comunicazione pubblica,
- Operational fundraising
- Aziende - Fondazioni - Associazioni di categoria
- Vendita spazi pubblicità - Sponsorizzazione, - Donazioni liberali, - partnership e patrocini
Sostegno dei beneficiari (borse di studio, assisten-‐za, stage, ecc.)
- Operational fundraising
- Fondazioni - Aziende
- Donazioni liberali
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L’azione di fundraising, nel suo complesso (includendo quindi ogni possibi-‐le fonte di finanziamento) deve rispondere all’intero fabbisogno ed indica-‐re verso quali mercati e interlocutori si raccoglieranno i soldi in relazione alle differenti iniziative ed attività. E’ fondamentale stabilire a priori per cosa è già assicurato il finanziamento di fonte pubblica (o in quanto finanziamento istituzionale o in quanto finanziamento di progetti specifici presentati a bando, come nel caso dei fondi UE) o derivante dal pagamento di rette, in modo da stabilire precisamente il fabbisogno che va soddisfatto attraverso azioni di fundraising.
La struttura del piano di fundraising In secondo luogo la pianificazione è necessaria per verificare la fattibilità operativa delle diverse iniziative di fundraising sotto il profilo delle risorse umane, tecniche e organizzative disponibili per realizzarle, e in relazione ai tempi di realizzazione. Di seguito viene fornito uno schema essenziale di progettazione operativa del fundraising che si sviluppa attorno a 6 cardini. → COSA -‐ gli obiettivi da raggiungere (di natura direttamente economica
o di altra natura, ma comunque funzionali ad aumentare il potenziale di fundraising di un’organizzazione). Tali obiettivi possono essere di lungo, medio e breve termine. Si deve stabilire anche il tipo di stambio che viene praticato con gli interlocutori (individuando anche le moda-‐lità di realizzazione ed eventuali oggetti/strumenti che lo sanciscono).
→ CHI -‐ il target o i pubblici cui ci si rivolge (i donatori-‐sostenitori acquisi-‐ti o da acquisire, persone-‐chiave, le opportunità che si presentano nel raggiungere il target e, di conseguenza, le tattiche per introdurre l’organizzazione presso determinati pubblici).
→ COME -‐ le operazioni che sono necessarie per raggiungere gli obiettivi
e per far effettuare le transazioni dai donatori alla organizzazione, nonché le conseguenti scelte di management (le responsabilità, le risorse tecniche, organizzative e umane necessarie a compiere tali operazioni).
→ QUANDO -‐ il timing delle operazioni.
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→ QUANTO -‐ la definizione dei costi e dei ricavi delle operazioni previste
dal piano, anche al fine di attuare un controllo su di essi. → TEST -‐ le modalità di sperimentazione e “test” delle attività di raccolta
fondi che possano rappresentare una valutazione “ex ante” della raggiungibilità degli obiettivi economici e di verifica della nostra pianificazione.
La scelta delle modalità di raccolta fondi
Nella progettazione del fundraising si deve tenere conto chiaramente an-‐che delle specificità che hanno le diverse tecniche di raccolta. In questa fase, pertanto, un’organizzazione deve dotarsi di una sorta di "borsa degli attrezzi", contenente le regole e le tecniche proprie di ciascuna modalità di raccolta che potrà scegliere di utilizzare in relazione agli obiettivi e ai destinatari previsti dal piano10. Questo tipo di pianificazione va effettuata per ciascuna attività di fundrai-‐sing (piano operativo dell’attività). Le diverse attività vanno integrate tra loro in modo da effettuare un controllo sull’azione di fundraising (piano generale di fundraising) anche al fine di verificare il risultato economico generale (così come i costi generali) e creare eventuali sinergie tra il fundraising e le altre attività dell’organizzazione (comunicazione, pubbliche relazioni, progettazione, amministrazione, ecc.).
SETTIMO STEP: IL MANAGEMENT DEL FUNDRAISING Gran parte dell'efficacia di un piano di fundraising è legata alla capacità di gestire e controllare la sua implementazione valutando in corso d'opera la
10 Nella economia generale del presente manuale non è possibile prendere in considerazione gli aspetti specifici delle singole modalità di raccolta di fondi. Per un approfondimento di tipo tecnico è opportuno fare riferimento a una manualistica dettagliata ed in particolare: Ambrogetti F., Coen Cagli M, Milano R., Manuale di fundraising, Carocci, 1998 (rist. 2005); Crescenzi M. (a cura di), Manager non profit. La sfida etica, ASVI, 2002; Melandri V.-‐ Masacci A., Fundraising per le organizzazioni non profit, Il Sole 24 ore 2000; Rosso H.Tempel E. R., Melandri V. Il Libro del fundraising, ETAS, 2003
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rispondenza tra i risultati delle singole attività e gli obiettivi generali del piano. La messa in opera del piano richiede anche che vengano affrontati, in fase iniziale, una serie di aspetti organizzativi e economici che rappresentano altrettanti dilemmi per una organizzazione circa le migliori modalità di implementazione da adottare quali, ad esempio, gli investimenti di risorse economiche, umane e organizzative da effettuare per avviare le attività di fundraising (ciò spesso richiede forme di accesso al credito), la internalizzazione o viceversa la esternalizzazione delle differenti funzioni da attivare per il fundraising; la creazione di strutture e organici specificamente dedicati al fundraising. In questa fase l'organizzazione si deve dotare di un sistema di monitorag-‐gio che permetta di effettuare un controllo e una valutazione costante della qualità del proprio fundraising. Il monitoraggio è un’attività che coinvolge tutti i soggetti che prendono parte alla realizzazione di un programma, attraverso la quale vengono sottoposte a controllo le funzioni e i compiti affidati alle singole persone. Più in generale il monitoraggio favorisce l'efficacia e la pertinenza generale di un’organizzazione basandosi su uno degli aspetti che maggiormente influenza la qualità totale, ossia la circolazione delle informazioni ai fini della presa di decisioni e dell'adeguamento dell'azione di ogni singolo elemento dell’organizzazione. OTTAVO STEP: VALUTAZIONE E GESTIONE DEGLI ESITI L'organizzazione deve sempre praticare una valutazione articolata del piano di fundraising e degli obiettivi raggiunti. E' opportuno tenere pre-‐sente che le azioni di fundraising devono fornire due tipi di risultati. Accan-‐to al risultato economico, che è la ragione principale dell'azione di fundrai-‐sing, deve essere perseguito anche un risultato di tipo "non economico" legato all'ottenimento di maggiori informazioni e conoscenze sui donato-‐ri, sui mercati, sull’efficacia o meno delle differenti modalità di raccolta e, infine, sul potenziale di fundraising della organizzazione stessa. Per potenziale si intende la capacità di una organizzazione di gestire al me-‐glio processi quali la comunicazione, il controllo sull'ambiente esterno e
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sulle opportunità da esso offerte, il management e il suo essere all'altezza dei compiti di fundraising, la chiarezza della mission e il suo impatto sugli interlocutori ecc. Nel valutare un ciclo o una singola azione di fundraising va sempre tenuto presente che questi devono portare all’organizzazione tre tipi di risultati: - ECONOMICI
valutabili in termini di entrate in relazione ai costi e agli investimenti sostenuti
- RELAZIONALI aumento dei contatti e delle relazioni attive con potenziali finanziatori (sviluppo del data base dei donatori, lista di interlocutori delle aziende “sponsor”, acquisizione di partner che possono influenzare il risultato della raccolta di fondi, ecc.)
- CONOSCITIVI aumento delle informazioni e delle conoscenze chiave per operare sui mercati del fundraising (una prima azione di richiesta di sponsor può non portare ad un risultato economico immediato ma può aiutarci a comprendere meglio come funziona il mercato, le sue regole tacite e le consuetudini, le migliori strategie retoriche per affermare la nostra proposta, ecc.. Il che rappresenta un risultato enorme nella logica dello start up o avvio di una azione di fund rasing).
NONO STEP: LA GESTIONE DEGLI ESITI Un’ultima azione da realizzare, indispensabile per gestire in modo efficace il processo di fundraising, è quella relativa alla fidelizzazione dei donatori e dei sostenitori. Per fidelizzazione, termine mutuato dal marketing, si inten-‐de una strategia volta a mantenere costante il numero dei sostenitori e ad aumentare la entità dei loro apporti. Con questa strategia si vogliono an-‐che rafforzare i legami con coloro che, a diverso titolo, hanno sostenuto l'organizzazione. Per fare ciò è necessario dotarsi di strumenti specifici che permettano un’efficace gestione delle relazioni con i finanziatori.
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IL PROCESSO DI FIDELIZZAZIONE
GESTIONE DELLA CORTESIA - telefonate, lettere di ringraziamento - invio di gadgets o oggetti che possano rappresentare un segno distintivo per
il donatore - invito a momenti di socializzazione rivolti ai donatori - menzione dei donatori sugli strumenti di comunicazione dell’organizzazione GESTIONE DELLA INFORMAZIONE - invio di informazioni sui risultati delle campagne di raccolta fondi e sull'uso
delle risorse ricevute - invio di materiali sulle iniziative della organizzazione - invio del notiziario o di una lettera periodica di informazione - invio di un report generale sulla organizzazione - garanzia per il donatore di accedere a servizi utili, informazioni, consigli, ecc. - realizzazione di riunioni pubbliche aperte anche ai donatori COINVOLGIMENTO NELLA ORGANIZZAZIONE - presenza dei donatori nel corso delle iniziative pubbliche (soprattutto degli
sponsor e dei rappresentanti di amministrazioni finanziatrici di progetti realizzati dalla organizzazione)
- coinvolgimento nelle attività di programmazione e progettazione generale della organizzazione
- invito a diventare volontario o collaboratore - campagne di rinnovo e incremento delle donazioni già effettuate
Le attività di fidelizzazione sono orientate verso due strategie di sviluppo del fundraising -‐ RINNOVO
ossia far ripetere il finanziamento anche negli anni successivi minimizzando i costi necessari per la promozione della richiesta (far rinnovare una donazione ad un socio già acquisito ha costi infinitamente minori rispetto alla acquisizione di un nuovo socio).
-‐ INCREMENTO ossia far aumentare l’importo della donazione/finanziamento (un donatore che si è già avvicinato alla nostra causa ha maggiori elementi per poter comprendere che per rispondere al fabbisogno egli può svolgere un ruolo più importante anche perché ha avuto modo di verificare più da vicino la bontà della nostra azione).
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Oltre all’informazione sulle attività (newsletter, sito internet, incontri, articoli sul giornale) e alla dimostrazione di una corretta gestione dei fondi raccolti (bilanci consuntivi) è importante per una organizzazione non profit presentare ai propri donatori un bilancio sociale e di missione che sia in grado di dimostrare (attraverso un processo scientifico di valutazione) che la sua azione ha raggiunto gli scopi prefissi (il che è diverso dalla gestione corretta dei fondi) e come li ha raggiunti. Lo strumento del bilancio di missione ha una grande importanza anche perché oltre a fornire informazioni può permettere un coinvolgimento, tra gli altri stakeholders, anche e soprattutto dei donatori che sono chiamati ad integrarsi nel processo di valutazione. Inoltre il bilancio sociale e di missione permettono alle organizzazione di “certificarsi” sia in senso formale, attraverso l’utilizzo di strumenti e regole previsti dalla UE (la certificazione UNI EN ISO 9001:2000, ad esempio, per la formazione, o le nuove certificazioni per la responsabilità sociale), sia soprattutto in senso sostanziale facendo della valutazione una attività di revisione strategica del proprio progetto in una ottica di piena apertura ai propri stakeholders.
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CAPITOLO QUINTO
RACCOLTA FONDI DA INDIVIDUI Introduzione Negli ultimi decenni si è affermata una diffusa cultura della donazione che spinge sempre di più le persone a sostenere le attività delle organizzazioni non profit. Gli individui non donano più esclusivamente per beneficenza e non sostengono solo le cause che possano toccarli direttamente, o quelle legate al proprio territorio, ma anche quelle riguardanti contesti sociali più complessi e ambiti territoriali molto distanti. Più di recente, spinte dalla crisi economica, anche le istituzioni culturali di educazione e formazione e i servizi socio-‐sanitari si sono affacciati al mondo del fundraising, spesso senza adeguate strategie e con una cono-‐scenza relativa delle professionalità necessarie. Tuttavia è da sottolineare che gli individui non hanno mostrato un particolare rifiuto verso richieste di fondi provenienti da soggetti in qual-‐che modo collegati allo stato e quindi già finanziati attraverso il prelievo fiscale. Insomma, potremmo dire che in Italia c’è una certa apertura verso la donazione a favore di istituzioni, seppure a determinate condizioni. Le donazioni sono divenute un fenomeno di massa che investe all’incirca la metà della popolazione adulta e che quindi richiede nuove e più sofisticate tecniche di fundraising, in grado di raggiungere i soggetti più propensi a sostenere la causa dell’organizzazione. Il mercato delle donazioni individuali è molto competitivo e complesso ed è necessario controllarne numerosi aspetti: culturali, sociali, economici, di marketing e comunicazione, ecc. 1. Un po’ di strategia Al di là delle singole tecniche di raccolta utilizzate, è importante che una organizzazione abbia chiaro sin dall’inizio quali obiettivi intende raggiunge-‐
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re. Infatti, oltre all’obiettivo generale di raccogliere donazioni bisogna chiarire quali siano gli obiettivi strategici, ognuno dei quali deve rispondere ad un bisogno specifico. In ogni organizzazione sussistono 4 bisogni e altrettante strategie di fundraising verso gli individui che sono: Se non ho donatori (parto da zero) Acquisizione Se ho donatori e li voglio mantenere Fidelizzazione Se ho donatori ma voglio aumentarli Espansione della base a partire da essi stessi Se ho donatori ma voglio aumentare Valorizzazione l’importo della donazione Ci soffermiamo sulla prima strategia, consapevoli che la maggior parte dei lettori del manuale si troverà in una situazione di start up. Inoltre si tenga presente che la strategia di acquisizione è costante nel tempo perché è costante il bisogno di allargare la propria base di partenza, anche per colmare la perdita fisiologica di donatori già acquisiti Quando parliamo di strategie di acquisizione bisogna tener presenti due concetti apparentemente sovrapponibili, che sono invece distinti: quello di donatore e quello di donazione. Si potrebbe fare, ad esempio, una raccolta solo di donazioni minimizzando l’aspetto “donatore”, perché si ha bisogno di “fare cassa” subito. E’ il caso degli SMS solidali o del 5 per mille, che non permettono di avere una relazione diretta in quanto il donatore è anonimo o dei banchetti per strada, nella misura in cui si raccolgono piccole donazioni senza intrattenere un rapporto con le persone che si fermano. Al contrario si possono realizzare campagne che minimizzano la donazione (magari perché vengono richiesti contribuiti molto bassi), per favorire l’ingresso nel nostro database di nuovi donatori con cui costruire una relazione nel tempo. Come nel caso di iniziative che non hanno uno scopo diretto di raccolta fondi ma che permettono di stabilire nuovi contatti (ad
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esempio la raccolta di firme per una petizione).
Come un individuo diventa donatore Il donatore è la parte più importante perché può rinnovare la sua donazio-‐ne e interagire nel medio e lungo periodo con l’organizzazione e soprattut-‐to è un individuo che preesiste al fenomeno della donazione verso la no-‐stra organizzazione. Per arrivare a donare, quindi, richiede un itinerario di relazione che lo porti a compiere questo atto e che possiamo così sintetizzare (riportando le azioni che per ciascuna “tappa” andranno realizzate CONOSCENZA. Il donatore innanzitutto deve conoscere l’organizzazione alla quale donare. Non si tratta solo di fama ma anche di sapere cosa fa e quali sono i suoi obiettivi. La raccolta di donazioni quindi inizia con il promuovere, attraverso gli strumenti di comunicazione, la nostra organizzazione ad un pubblico target che potrà essere raggiunto in seguito da un messaggio di raccolta fondi. RELAZIONE/CONTATTO. Il donatore, per ricevere una proposta di donazione, deve essere raggiungibile. Deve quindi essere un nome e un cognome dentro il nostro database. Se non abbiamo i suoi dati non possiamo fare nulla. E’ fondamentale quindi entrare nell’ordine di idee che ogni contatto, ogni relazione entri in un data base di potenziali donatori. RICHIESTA E’ la parte più evidente. Il donatore deve ricevere una richiesta. Che sia una lette-‐ra, un messaggio, una proposta fatta personalmente. Se non si chiede in modo chiaro ed esplicito non si può pretendere che il donatore effettui la donazione. RISPOSTA Per diventare tale il donatore deve poter praticare un canale nel quale far transitare i soldi. Per cui l’organizzazione deve allestire tali canali e gestirli offren-‐do tutte le opportunità all’individuo (CCB, CCP, Bonifico, carta di credito, ecc..)
Quindi “a monte” della richiesta di fondi un’organizzazione deve costante-‐mente comunicare la propria missione, i programmi, gli obiettivi, le attività verso i target che ritenga siano potenzialmente orientati a sostenerla.
Le liste di potenziali donatori In tal senso è opportuno ragionare su due differenti liste di soggetti ai quali rivolgersi:
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Lista dei contatti caldi (o suspect) Individui che sospettiamo possano donare • “affezionati” alla organizzazione • firmatari di petizioni • beneficiari/utenti e loro reti sociali (famiglia, amici, ecc.) • beneficiari indiretti • sponsor • fornitori • amici, parenti, conoscenti Lista dei contatti freddi ( o prospect) Individui che in prospettiva potrebbero donare (in genere sono soggetti ad un test per verificare la nostra ipotesi). • coloro che hanno un legame potenziale o un interesse con la causa e con le
attività dell’organizzazione • persone ad alta disponibilità economica • persone simili alle liste calde (per variabili demografiche, economiche,
geografiche, sociografiche) • la comunità di riferimento Qualunque sia la tecnica o lo strumento che vogliamo utilizzare, il primo punto di partenza è proprio quello di elaborare una lista di destinatari a cui sottoporre la nostra richiesta di fondi. 2. L’ideazione e pianificazione di un’attività di raccolta di donazioni Non esiste, apriori, una modalità migliore di un’altra per raccogliere fondi da individui. Scegliere la modalità giusta e progettarla nel modo migliore, in buona sostanza, vuol dire seguire questa semplice e pratica procedura: 1-‐ a chi chiedere Identificare il target 2 -‐ per cosa chiedere Identificare il progetto o la finalità per i quali si chiedono fondi 3 -‐ cosa scambiare Benefici materiali e immateriali
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4 -‐ come chiedere Con quale modalità e mezzo arrivare al target 5-‐ quanto chiedere Attenzione al rapporto costo/ricavi Stabilire varie entità di donazione 6 -‐ il messaggio Formalizzare la nostra proposta e ideare il materiale promozionale 7 -‐ fare un test
Qui di seguito approfondiamo i primi 5 punti di tale procedura: A CHI CHIEDERE Chi è il destinatario o il target della nostra richiesta di fondi? Questo è il primo punto da definire. Ciò comporta la necessità non solo di comprende-‐re bene le sue caratteristiche per indirizzargli la proposta migliore, che risponda alle sue aspettative e al suo modo di vedere la questione del finanziamento delle cause sociali ma anche di scegliere, tra i tanti interlocutori possibili, quelli che abbiano maggiori possibilità di rispondere positivamente. Ecco alcuni spunti per approfondire quest’ aspetto.
Comprendere chi è il donatore e perché dona Il cittadino comune che compie l’atto di donare per un’organizzazione non profit è un soggetto (preso individualmente) più facile da esaminare rispetto ad organizzazioni complesse, siano esse pubbliche o private. Tuttavia il mercato risulta complesso da analizzare dal momento che, trattandosi principalmente di piccole e medie donazioni, una organizzazio-‐ne non profit deve essere in grado di raggiungerne una quantità significa-‐tiva per conseguire risultati economici rilevanti. Esistono diversi approcci alla questione dell’identificazione di un target di individui a cui un’organizzazione può rivolgersi per raccogliere fondi. Uno di questi pone l’accento sulla rete di legami che va dalle persone presenti all’interno di un’organizzazione (dirigenti, volontari, staff ecc..) verso l’ambiente in cui essi operano (amici, familiari, colleghi di lavoro, reti di appartenenza, abitanti dello stesso quartiere ecc..).
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Come vedremo più avanti, gli approcci di questo tipo possono essere particolarmente fruttuosi per le piccole organizzazioni non profit, fortemente radicate in un territorio e quindi dotate di molteplici legami con gruppi di individui ben definiti. Un altro approccio che prenderemo in esame punta invece sull’analisi delle caratteristiche del donatore o sostenitore “tipo” di un’organiz-‐zazione. Recenti indagini (Eurisko, 2007-‐08) hanno evidenziato che il dona-‐tore non è più semplicemente un benefattore. Egli ha un alto livello d’istru-‐zione e qualificazione professionale ed è sempre più esigente rispetto alla qualità del non profit e delle cause da sostenere. La donazione assume sempre più i tratti di un “investimento sociale”, dotato di un significato e di un’intenzionalità molto superiori a quello della carità o del dover pagare le tasse: il donatore sceglie di diventare partner di una causa sociale.
VISIONE DI INSIEME DEL “DONATORE MEDIO” ITALIANO
• Il 61% dei donatori sono donne. Appartiene principalmente alla fascia di età 35-‐
55 (43%). Anche gli ultra 65enni sono presenti in numero rilevante. • Il 64% tende a sostenere regolarmente un’organizzazione e afferma che conti-‐
nuerà a farlo in futuro. Gli altri lo fanno solo occasionalmente e non assicurano continuità negli anni a venire.
• La maggior parte ha un titolo di studio e uno status professionale medio alto. • La donazione media annua è 180 euro (di cui 107 alla organizzazione sostenuta
maggiormente). La donazione media singola è di circa 35 euro. Le fasce di donazione maggiormente scelte sono 30-‐50 euro (20%), 90-‐100 euro e 200-‐300 euro (entrambe il 10% circa)
• Il 54% dei donatori ha deciso di farlo a seguito di un contatto diretto e fiducia-‐rio (il 34% a seguito di passaparola).
• Il 58% ha donato perché colpito/interessato dalla causa dell’organizzazione (il 35% perché coinvolto direttamente, il 21% per l’affidabilità della organizzazio-‐ne)
Fonte Eurisko/Istituto Italiano della Donazione 2007-‐2008
Costruire una base di donatori partendo dal proprio sistema di relazioni E’ infatti proprio l’esistenza di relazioni attive che può, tra gli altri aspetti, permettere ad una associazione di muovere i primi passi nel campo della raccolta fondi, costruendo un primo indirizzario di destinatari che siano potenzialmente interessati al nostro messaggio. Opportunità che nascono
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proprio attorno a quei soggetti che sono già amici o possono diventarlo più facilmente. Un approccio di questo tipo può essere fruttuoso anche per piccole organizzazioni non profit non particolarmente conosciute, ma fortemente radicate in un territorio e dotate di molteplici legami con gruppi di indivi-‐dui ben definiti. Un’analisi del proprio capitale sociale (ovvero delle rubri-‐che d’indirizzi e contatti dell’organizzazione e dei suoi membri) produce un primo database di potenziali sostenitori esaminato alla luce di tre caratteristiche che permettono di individuare i differenti target di raccolta fondi: la forza del legame, il livello d’interesse per noi e per la nostra causa, la capacità finanziaria. Sono i tre parametri utilizzati dal metodo LAI di cui abbiamo parlato nel capitolo. PER COSA CHIEDERE Per cosa daranno soldi i nostri donatori? La prima cosa da determinare è proprio il contenuto specifico della nostra proposta, ossia se proponiamo di finanziare la nostra missione o un progetto specifico. Si tratta di una dichiarazione che deve essere chiara sia da un punto di vista logico che da quello retorico. A ben vedere l’efficace realizzazione di questo impegno è il primo ritorno che il donatore si aspetta in cambio dei suoi soldi. Appare quindi evidente che tra noi e il donatore s’instaura un rapporto di scambio tra costi e bene-‐fici: noi sosteniamo costi per raggiungere le finalità che producono un beneficio sociale ma, in ultima analisi, anche per il donatore che soddisfa sue aspettative e bisogni. Il donatore sostiene costi (la donazione) aspettandosi, quindi, qualcosa di materiale o immateriale in cambio. Intendere la donazione come scambio non è un modo di “commercializza-‐re” la nostra causa ma, anzi, un modo per capire profondamente il rappor-‐to che instauriamo con il donatore. COSA SCAMBIARE
La donazione come parte di uno scambio costi/benefici Per quale motivo le persone donano? Alcune delle principali motivazioni sono state richiamate nella figura 1 del secondo capitolo. Le organizzazioni non profit devono raggiungere un buon livello di comprensione delle motivazioni a donare, se vogliono essere efficaci nella loro raccolta fondi.
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Si pensa spesso che le donazioni siano dovute a puro altruismo: anche se questo può essere in certi casi vero, è altrettanto vero che gli individui danno qualche cosa in cambio di qualcos’altro che ricevono dall’ organizzazione. In altre parole, dobbiamo pensare alle donazioni non come trasferimenti ma come parte di uno scambio tra costi e benefici per ciascu-‐na delle parti coinvolte. Ci dobbiamo quindi chiedere: che cosa riceve il donatore? Le persone donano per un bisogno di autostima, per il riconoscimento degli altri, per ridurre la paura, la pressione sociale, per riconoscenza o come atto “precauzionale”. Esiste il donare senza ricevere? Alcune persone affermano di non aspettar-‐si nulla in cambio, ma in realtà hanno delle “aspettative”: si aspettano che le organizzazioni usino efficacemente i fondi, che chi raccoglie i fondi dimo-‐stri gratitudine e così via. Un problema comune a molte organizzazioni non profit è il tentativo di sollecitare donazioni sottolineando ai potenziali donatori le necessità dell’organizzazione, mentre come abbiamo visto, le persone donano per soddisfare bisogni sociali ed aspettative e per i quali si presta maggiore attenzione. Al centro delle nostre richieste di fondi ci deve essere sempre la nostra missione e i nostri progetti con l’intenzione di “fare di più” e di creare condizioni di “sviluppo ulteriore” e non solo “mantenere le nostre attività ordinarie” e i nostri “vecchi” progetti. Per una raccolta fondi di successo si deve scoprire quali siano i bisogni, le aspettative e le aspirazioni di ogni segmento obiettivo e dimostrare, di conseguenza, come la donazione risponda direttamente o indirettamente a tali aspetti.
Possibili benefici per i donatori Cosa dare in cambio, quindi? Ecco un elenco di alcuni possibili benefici prodotti per il donatore. Questo è uno strumento per ideare una vostra proposta da rivolgere (esplicitamente o implicitamente) al donatore.
Informazione Controllo sulle attività (newsletter, lettere d’informazione da parte dei beneficiari, una copia del bilancio di missione) Controllo sull’amministrazione delle donazioni (il bilancio di esercizio con evidenza sull’uso delle donazioni o i costi di fundraising sostenuti, una pagina del nostro sito dove è possibile “tracciare” la singola donazione)
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Scambi immateriali sociali La realizzazione dei nostri progetti e delle nostre cause (la newsletter informativa, il bilancio di missione, l’accesso a pagine del nostro sito dove vi sono aggiornamenti costanti sul progetto) La attenuazione o eliminazione di problemi e rischi sociali (report sull’evolversi dei problemi trattati) L’affermazione di un’idea (la sottoscrizione di un appello pubblico) Scambi immateriali individuali La soddisfazione di un’aspettativa o la concretizzazione di un valore nel quale crede (l’adozione di un bambino a distanza) Provare un sentimento o una sensazione positiva (ringraziamento personale dei beneficiari) Associarsi e acquisire poteri come da statuto (tessera di adesione) Scambi immateriali relazionali Il senso di appartenenza a una comunità (il coinvolgimento in un’iniziativa pubbli-‐ca) Il riconoscimento pubblico della sua generosità (ad es. la pubblicazione del suo nome tra i donatori), appartenere a un gruppo sociale (ad es. una tessera, una targa, ecc.), appartenere ad un social network, conoscere persone e stringere nuove relazioni (partecipando ad un evento/riunione su invito) ecc. Scambi materiali (beni o servizi) Un gadget simbolico e significativo (un oggetto prodotto o regalato dall’organizzazione), il diritto ad accedere ad un servizio a titolo gratuito (visita ad un palazzo storico, l’entrata ad un parco naturale, un test medico-‐sanitario, l’abbonamento ad una rivista, ecc.) la partecipazione ad un evento-‐raduno (iscrizione alla maratona cittadina)
COME CHIEDERE La quarta questione riguarda la scelta delle modalità, attraverso le quali proponiamo al donatore di avere uno scambio con noi e i canali, attraverso i quali l’interlocutore può realizzare la donazione.
Comunicare efficacemente al donatore Ogni target ha il suo mezzo di comunicazione più adatto. Ad esempio potrebbe essere più efficace comunicare la nostra proposta ad amici attraverso un incontro conviviale che, anche se dispendioso in termini di tempo e fatica, sicuramente può essere accolto meglio dal nostro amico e soprattutto può ragionevolmente ottenere risultati economici più rilevanti. Ma questo sicuramente non sarà il mezzo migliore per contattare un gruppo numeroso di persone che ancora non ci conosce (come una lista
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cosiddetta “fredda”). In quel caso una lettera potrebbe essere il canale migliore. Ma se questo gruppo, ad esempio, è composto interamente da avvocati, allora potremmo pensare che un giornale loro dedicato, o addirittura la newsletter della loro associazione, potrebbero essere meglio indicati per inviare un messaggio rivolto specificamente a loro e, in questo caso, il canale utilizzato potrebbe sicuramente risultare più credibile e pertinente. Bene. Il primo lavoro da fare è, quindi, scegliere il canale più adatto sapen-‐do che le modalità per comunicare ai donatori possono essere di natura diretta o indiretta e tenendo conto dei costi che l’uso di questi canali può avere per l’organizzazione. Contatto diretto Contatto indiretto • Lettera personalizzata • Lettera generica • Telefonata • Visita personale Riunio-‐
ne/incontro • Colloquio presso un
punto di raccolta o la propria sede o quella del donatore Evento/Raduno
• Email personalizzata • Chat • ………….
• Passaparola • Depliant, brochure in luogo pubblico • Appello su mezzi di comunicazione di
massa • TV (spazi pubblicitari e cronaca) • Siti internet • Radio (spazi pubblicitari e cronaca) • Carta stampata (spazi pubblicitari e
cronaca) Manifesti murali • Locandine in luoghi pubblici • Volantini • Ospitalità in luoghi e su mezzi di comuni-‐
cazione di una rete di persone (associazione, club, ordine professionale, ecc.)
• Presenza in esercizi commerciali e altri ritrovi con propria comunicazione rivolta alla clientela
• ……………
Gestire i canali di donazione Come fa il donatore ad effettuare materialmente la donazione? Questa è la seconda domanda che ci si deve porre per offrire il modo più comodo, meno oneroso e più sicuro per effettuare il versamento di danaro. Anche in questo caso ogni pubblico specifico potrebbe prediligere una modalità particolare. In ogni caso di seguito riportiamo un elenco di alcuni canali
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attraverso i quali è possibile fare un versamento.
CANALI DI DONAZIONE • Versamento in contanti direttamente ad operatori della organizzazione (in
genere è sempre legato a forme di scambio con prodotti o servizi come “comprare” una pianta dell’organizzazione XYZ, o la bomboniera solidale dell’associazione ABC)
• Versamento tramite bollettino di CCP (è ancora il sistema più usato!) Bonifi-‐co Bancario (una tantum)
• R.I.D. (Mandato presso la propria banca di effettuare un versamento periodico ad una organizzazione)
• SMS Solidale o telefonata da telefono fisso (tramite convenzione con le compagnie telefoniche)
• Carta di credito tramite telefono, internet, o presso il punto di raccolta
• Assegno bancario non trasferibile (inviato tramite posta o altro sistema)
• Una quota parte di soldi versati per acquistare un prodotto o un servizio (in accordo con il venditore)
• Uso di transazioni effettuate da e con altri operatori (Bancomat, Carte di Credito, Sportello automatico per acquisto biglietti, ecc.)
• Payroll giving (metodo attraverso il quale il datore di lavoro, d’accordo con il lavoratore, trattiene una quota stabilita sullo stipendio mensile da destinare a una organizzazione gestendo la parte amministrativa e fiscale).
QUANTO CHIEDERE E’ necessario, infine, affrontare gli aspetti economici che rappresentano l’elemento decisivo per la scelta delle modalità da utilizzare. Quanto è possibile ricavare da una determinata attività? Ossia qual è il rapporto tra costi da sostenere, risorse umane, tecniche e organizzative da impiegare e la quantità ed entità di donazioni che si possono ottenere? Già in questa domanda sono contenute quasi tutte le variabili da tenere presente nel calcolo economico: • il costo generale dell’operazione (attenzione alle spese vive, in genere non dilazionabili e a quelle non vive che invece possono essere più fa-‐cilmente ridotte tramite il lavoro volontario, i tempi di pagamento, ecc.)
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• il costo per ogni contatto stabilito con un potenziale donatore, il costo per ogni contatto utile (ossia che produce la donazione) il numero di donazioni che si possono/devono ottenere per raggiungere l’obiettivo economico
• L’entità delle singole donazioni (che incidono in modo determinante sul risultato finale) Il costo per garantire ai donatori lo scambio proposto (la newsletter, la lettera di ringraziamento, il gadget, ecc…..)
Ragionando su questi parametri è molto più facile scegliere la modalità giusta in relazione al target di persone che vogliamo raggiungere e individuare l’obiettivo economico raggiungibile nonché controllare, strada facendo, che questo venga effettivamente raggiunto. Ad esempio la lotte-‐ria potrebbe avere costi abbastanza sostenuti. Ma se abbiamo dei fornitori amici che ci garantiscono premi a titolo gratuito e una tipografia che ci permette di stampare i biglietti, pagando solo i costi vivi, allora potremmo ottenere buoni risultati se contattiamo un pubblico generalizzato tramite una rete di distribuzione che si presta volentieri a vendere i biglietti (l’associazione tabaccai di cui magari noi siamo amici o la rete dei volontari che nella nostra organizzazione sono numerosi), tenendo conto comunque che il costo di un biglietto non potrà superare i 3-‐5 euro (in linea con gli attuali gratta e vinci). 3. Le tecniche di raccolta fondi Esistono numerosi strumenti di fundraising che vanno dalla tradizionale attività di invio lettere (mailing diretto) a soci e amici o ad un largo numero di soggetti, all’organizzazione di eventi o manifestazioni o all’ organizza-‐zione di punti di raccolta. Gli strumenti per operare in questo mercato si rinnovano con grande rapidità, anche perché l’uso di modalità inedite e originali di raccolta fondi e di scambio con i donatori può rappresentare un vantaggio sul piano della competizione con altre iniziative. Ecco un elenco non esaustivo delle modalità maggiormente utilizzate.
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In questa sede prenderemo in considerazione 3 modalità di raccolta di donazioni da individui che più facilmente possano essere applicate ai conservatori e ad altre istituzioni analoghe: Il mailing, perché è la modalità che meglio permette di spiegare come progettare una attività di raccolta fondi; gli eventi perché spesso sono una delle attività facilmente organizza-‐bili da un istituto artistico musicale; la costituzione di gruppi e comitati di amici del conservatorio e il 5 per mille perché è una attività alla portata di tutti che non richiede enormi sforzi organizzativi. 3.1. Il direct mailing E’ uno strumento mutuato dal marketing diretto, che ha la finalità di co-‐municare e raccogliere fondi tramite l’invio di lettere, quanto più possibile personalizzate, a un alto numero di destinatari che sospettiamo o siamo si-‐curi possano essere interessati alla nostra proposta. Per alcune organizza-‐zioni è uno dei metodi più efficaci per costruire un’ampia base di donatori.
Direct mailing, ossia l’invio di un numero significativo di lettere ad una lista (anche tramite email)
Face to face, ossia una richiesta fatta di persona rivolta ad un pubblico numeroso (i cosiddetti dialogatori)
Lasciti e testamenti (che prevedono una “lunga marcia di avvicinamento”)
New media (usare social network, internet, blog e quant’altro)
Eventi speciali (cena di gala, concerto, ecc..)
Eventi di piazza (postazioni organizzate di raccolta nell’ambito di una campagna strutturata)
Pubblicità sui mezzi di comunicazione di massa (in genere collegati a mezzi facilmente accessibili di donazione)
Cassette e salvadanai presso centri di grande affluenza
Campagne associative (richiesta di diventare socio con versamento di quota)
Merchandising (la vendita o lo scambio liberale di oggettistica legata alla raccolta fondi)
Porta a porta
Donazioni in memoria
Incontri One To One, in genere legati alla richiesta di grandi donazioni
5x1000
Adozione di persone o di strutture
Telemarketing, ossia la richiesta per telefono
SMS solidale Mobile e smartphone, ecc.. (meccanismi analoghi al SMS ma con maggiori possibilità di donazione e adesione) Alla creatività non c’è limite…..
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Il direct mailing ha come obiettivi generali: l’acquisizione di nuovi donato-‐ri; il rinnovo dell’adesione da parte di donatori già acquisiti; l’aumento del numero di donazioni o dell’entità di una singola donazione. E’ efficace soprattutto per raccogliere fondi su progetti specifici e molto concreti. E’ un metodo che, nel lungo periodo, può raggiungere obiettivi di raccolta ambiziosi in quanto in grado di coinvolgere un numero molto elevato di donatori ma che richiede investimenti economici piuttosto rilevanti in relazione ai costi di produzione e alla necessità di acquisire indirizzi nuovi. Ecco di seguito un quadro sintetico dei vantaggi e degli svantaggi
Vantaggi Svantaggi • Accurata selezione di tutti i destinatari
• Possibilità di personalizzare la comunicazione
• Non vincolato a tempi ristretti • Assenza di concorrenza con altri messaggi al momento della lettura
• Misurazione esatta dei risultati • Possibilità di mantenere i donatori nel tempo
• Costi elevati • Percentuali di risposta basse (an-‐che per una certa obsolescenza del mezzo)
• Ritorni economici lontani nel tempo
• Organizzazione complessa • Forte concorrenza con altre organizzazioni dotate di marchio conosciuto
Proprio per le caratteristiche di tale tecnica è opportuno che un’ organizzazione con un marchio poco conosciuto ponga al centro delle operazioni di mailing il proprio capitale sociale e le relazioni di ogni genere che intrattiene con l’ambiente esterno anche a livello personale. La scelta dell’adozione del direct mailing come strumento di raccolta fondi può dipendere da molteplici fattori illustrati di seguito.
La verifica della fattibilità Non sempre un’operazione di mailing è fattibile per un’organizzazione. In particolare è opportuno verificare gli aspetti illustrati analiticamente di se-‐guito.
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La struttura organizzativa interna Per realizzare una campagna di direct mailing sarà necessario verificare l’esistenza di presupposti (risorse umane, competenze e tecnologie) che permettano di gestire direttamente ed entro i tempi necessari le fasi cru-‐ciali del processo (la raccolta, la selezione e l’inserimento degli indirizzi, l’invio, la gestione delle risposte, l’invio del materiale promesso) o di supervisionare l’azione condotta da fornitori specializzati, nonché di pro-‐durre quei dati che supportano la campagna, come i risultati della raccolta fondi, le modalità con cui vengono impiegati, gli obiettivi concretamente raggiunti da essi. Le condizioni esterne In particolare occorrerà valutare la diffusione di campagne di direct mai-‐ling, soprattutto nel periodo pianificato, la cui concomitanza può vanificare o ridurre notevolmente l’investimento effettuato. Inoltre è opportuno domandarsi quanto e come l’ambiente esterno sia già sensibilizzato alla causa sociale proposta dal conservatorio. In caso negativo, l’obiettivo primario dell’operazione di mailing sarà la sensibilizzazione. La coerenza con la gestione finanziaria I tempi di risposta del direct mailing oscillano tra le tre e le quattro settimane, fino ad oltre tre mesi dopo l’invio. La percentuale di risposta raggiunge l’apice tra le 4 e le 8 settimane ma i risultati sono molto diluiti nel tempo e poco prevedibili. La raccolta fondi proveniente da questo tipo di azione dovrebbe pertanto essere utilizzata per il finanziamento strutturale di lungo periodo o per progetti specifici con esigenze finanziarie protratte nel tempo.
I fattori di successo Il successo del mailing è prevalentemente legato ad una serie di fattori che vanno attentamente analizzati prima di scegliere questa modalità Un’attenta selezione dei destinatari Tutti gli esperti di marketing e di raccolta fondi sono concordi nell’affermare che questo è il fattore chiave del successo di una campagna basata sul mailing. Quante più persone “potenzialmente” interessate riusciamo a contattare, tanto maggiori saranno le possibilità di adesione. E’ quindi necessario lavorare alla definizione di liste partendo dal proprio
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capitale sociale e relazionale e ipotizzando quali categorie di persone del nostro ambiente di riferimento possano essere più orientate a donare, utilizzando il metodo LAI. La notorietà o comunque la conoscenza ed una buona immagine dell’organizzazione presso i destinatari Queste variabili influenzano due aspetti di fondamentale importanza per la stima dei risultati che l’organizzazione può ragionevolmente attendersi: il grado di attenzione e quindi la possibilità che la lettera sia aperta e letta; la fiducia sull’utilizzo effettivo dei fondi vincolante per decidere di aderire alla richiesta. La valutazione di tali aspetti sarà rilevante ai fini della determinazione dell’obiettivo qualitativo che si vuole raggiungere attraver-‐so la campagna. La forza retorica e logica del testo della lettera La donazione ha sempre un’alta componente emotiva e pertanto i contenuti e la forza del messaggio possono davvero fare la differenza: an-‐che un prodotto apparentemente semplice necessita di un attento studio sui testi, sulla selezione delle immagini, sullo stile della comunicazione. Tuttavia, la logica del contenimento dei costi può indurre ad internalizzare queste funzioni che, richiedendo competenze specializzate, possono comportare costi significativi. Dal momento che questo tipo di competenze sono difficilmente presenti all’interno dell’organizzazione è comunque consigliabile rivolgersi a professionisti specializzati (copywriter). La presenza di risorse finanziarie adeguate a sostenere investimenti di me-‐dio e lungo termine In generale i costi del direct mailing riguardano le seguenti voci:
• La selezione e verifica dell’indirizzario • Il copywriting e la realizzazione grafica • La stampa • La spedizione • La stampa e l’invio della lettera di ringraziamento • La stampa e l’invio del materiale promesso • Il personale interno impiegato
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Quattro cose da non dimenticare:
• Le informazioni sulla detraibilità e deducibilità fiscale. Risultano più efficaci se spiegate in modo chiaro, piuttosto che citando semplicemente la legge.
• La clausola sul trattamento dei dati personali in base alla legge sulla tutela della privacy e le modalità per richiedere la cancellazione dalla lista.
• Un coupon di risposta da allegare al bollettino di CCP o altra ricevuta di pagamento nel quale il donatore può fornire informazioni utili per conoscerlo meglio.
• L’invio della lettera di ringraziamento per la donazione effettuata e altri messaggi contenenti informazioni sull’andamento della campagna e su quanto avete già raccolto.
3.2. Gli eventi Cos’è un evento di fundraising? E’ un’iniziativa che si svolge in un determinato spazio e tempo e che coinvolge un pubblico più o meno am-‐pio, il cui scopo primario è quello di raccogliere soldi per una causa sociale. Il coinvolgimento del pubblico prevede quindi, attraverso differenti forme, una donazione o altra modalità di sostegno della causa per la quale si realizza l’evento.
Premesse generali alla scelta dell’evento da realizzare La prima cosa da fare è un’attenta analisi dei propri punti di forza in modo da avere elementi utili all’ideazione di un evento e all’ individuazione delle sue caratteristiche essenziali. Tale analisi, inoltre, ci deve aiutare a capire quale sia la via migliore per garantire un buon rapporto costi/ricavi. L’area sulla quale indagare in modo più dettagliato e attento è quella della capacità autonoma di realizzare eventi. Per un istituto artistico musicale è possibile ipotizzare che vi sia una parte di produzione delle proprie attività che già di per sé rappresenta un evento (un saggio, una prova di un’opera, la presenza di visiting professor di fama, ecc…). Inoltre è importante analizzare le opportunità che possono pervenire dal nostro capitale sociale, sia come apporto di competenze e conoscenze necessarie a rendere l’evento di successo (giornalisti, catering, ecc…) sia come potenziale pubblico dell’evento.
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Un evento per avere successo deve prevedere una partecipazione significativa o per il numero di persone che intervengono o per la loro capacità di donazione. L’analisi dell’ambiente esterno deve essere, quindi, particolarmente attenta a capire quali sono le persone alle quali rivolgersi per coinvolgerle nell’evento. Particolare attenzione va riservata alla gestione delle risorse umane. In questa fase, tenendo conto delle peculiarità dell’evento, si deve disporre di personale adeguato e all’altezza. Le persone vanno addestrate, innanzitut-‐to per la raccolta fondi e anche sugli aspetti organizzativi e relazionali dell’evento. Qui è il caso di domandarsi se non serva l’aiuto di professioni-‐sti del settore. Ricordiamoci sempre di non prendere solo le donazioni dei partecipanti, ma anche e soprattutto nomi e indirizzi, sempre nel rispetto della privacy e della volontà dei nostri interlocutori. Infatti, con gli eventi si devono ottenere sempre soldi, contatti e relazioni. E’ molto importante che la valutazione sia fatta su tutti questi aspetti. Potremmo aver fatto pochi soldi ma raccolto molti contatti e pubblicizzato il nostro nome e il nostro progetto. Questa potrebbe essere una condizione di successo per una “seconda edizione” dell’evento. La raccolta fondi non è l'unico obiettivo di un evento anche se in genere è il principale. Gli obiettivi sono molteplici e possono comprendere: attrarre nuovi volontari, costruire relazioni nel territorio, comunicare la propria missione, incrementare il nostro database, ringraziare i donatori, comunicare o lanciare un particolare progetto.
Come farsi venire una buona idea e valutarne la fattibilità Sono tante le attività che si possono svolgere per raccogliere fondi ma per realizzarle occorrono tempo, persone ed organizzazione. Pertanto è importante scegliere con accortezza quali tra le tante iniziative possibili sono: fattibili, cioè che sono alla portata della nostra capacità organizzati-‐va; di successo, ossia che incontrano con facilità il favore e l’interesse dei nostri potenziali donatori; vantaggiose, ossia che possono avere risultati economici elevati rispetto ai costi sostenuti. Le attività di raccolta di fondi negli eventi si fondano quasi tutte su due aspetti: la convivialità, lo stare insieme e l’attrazione verso un contenuto (in senso lato).
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La nostra iniziativa deve quindi cercare di rappresentare, per i partecipanti, un valido modo di fruire questi due valori (ad esempio un evento sportivo per appassionati di sport, oppure un momento conviviale, come una cena, per persone interessate a stare in compagnia o a fare nuove conoscenze; un torneo di carte per gli appassionati del gioco; uno spettacolo teatrale per gli amanti dello spettacolo, ecc.). Qui di seguito viene presentato un metodo molto semplice per individuare le iniziative migliori da realizzare a livello locale. Seguendo passo dopo passo queste indicazioni, in poco tempo si avranno le idee più chiare su cosa fare.
Facciamo tesoro dell’esperienza Analizzare precedenti eventi di raccolta fondi già realizzati o altri “eventi” e iniziative che hanno attratto persone valutando il successo ottenuto dal pubblico e l’eventuale risultato economico (verifica di quello che sappiamo già fare). Si confrontino tra loro queste iniziative, domandandosi quale si potrebbe organizzare nuovamente, con poco sforzo e con una maggiore possibilità di successo anche economico.
E’ più facile fare ciò che ci piace Verificare se vi siano tra i membri dell’organizzazione o tra gli amici e i conoscenti abitudini, hobbies, passioni, professionalità che portano ad organizzare iniziative e attività pubbliche o tra amici. Ad esempio: un mem-‐bro appassionato di pittura che ha partecipato a mostre collettive con altri pittori, che potrebbero essere utilizzate per un’asta o semplicemente per un momento conviviale in cui i partecipanti possano fare delle donazioni. O, ancora, il proprietario di un supermercato potrebbe coinvolgere i propri clienti in una appassionata gara di solidarietà semplicemente facendo delle piccole donazioni nel momento in cui passano alla cassa a pagare. Bisogna pensare ai conoscenti sia come persone che possono effettuare donazioni consistenti (in questo caso l’evento al quale può partecipare rappresenta il “momento” giusto dove effettuarla), sia come persone che possono, grazie alla loro attività, essere d’aiuto nella realizzazione delle iniziative di raccolta fondi. Ecco qualche esempio che può essere di soste-‐gno alla riflessione.
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Categorie di persone/attività • Imprenditori e dirigenti d’azienda • titolari di catene ed esercizi commerciali e punti vendita • Operatori e personaggi della cultura, dello sport e dello spettacolo • Titolari di esercizi o servizi che possono essere utili per le iniziative di raccolta
fondi(ristoratori, produttori eno-‐gastronomici, alberghi, tipografie, TV, radio, giornali, agenzie di comunicazione e pubblicità, promoter finanziari, pubbliche relazioni, ecc.)
• Amministratori/politici • Direttori e amministratori di enti di credito e banche • Circoli sportivi e ricreativi, associazioni culturali e sociali, parrocchie e altri enti
che aggregano persone • Altre tipologie (usate l’intuito e, soprattutto, la rubrica dei contatti)
Prendere in considerazione altri eventi di raccolta fondi realizzati Può essere utile anche pensare di realizzare iniziative di raccolta fondi di cui si hanno notizie o alle quali si è partecipato. Ecco alcuni esempi:
Elenco di possibili eventi di raccolta fondi • Visite guidate a monumenti, mostre, ecc. • Aste di opere d’arte • Feste in occasione di anniversari (es: festa di 18 anni; anniversario di
matrimonio) • Feste laiche e religiose (carnevale, periodo natalizio e capodanno; ferragosto,
ecc.) • Lotteria, riffa • Spettacoli in cui noi siamo protagonisti (coro, gruppo teatrale spontaneo,
compagnia musicale di amici) • Spettacoli realizzati da compagnie professionali disponibili a dedicarli a scopi
di raccolta fondi (Teatro, Musica classica o leggera; cabaret; Opera, ecc.) • Mostre personali di pittura, artigianato, scultura, fotografia, ecc. • Serata di giochi da tavola • Partite e/o tornei sportivi amatoriali con pubblico di parenti/amici • Pet show • Raduni ciclistici o Ciclopasseggiate • Maratone • Corsi di pittura, cucina, punto croce o tombolo; decoupage, bricolage; ecc.
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• Open House (pensa al valore che può avere la tua sede. Può essere oggetto di una visita molto particolare. Ad es. la sede del conservatorio se ha un valore artistico/storico )
• Inaugurazione di una sede o di una struttura • Competizione di nuovi talenti • Gare sportive amatoriali ( maratone, tornei di tennis, calcio a 5, biliardo, ping
pong, ecc.) • Serata danzante • Concerto/Discoteca • Cena di gala • Un cocktail party • Degustazione di vini con un sommelier
Selezioniamo le opzioni possibili Verificare quali di queste iniziative attrae/coinvolge un maggior numero di persone, ricordandosi che più persone si coinvolgono, più donazioni si possono ricevere e migliore sarà il risultato per la Campagna di raccolta di fondi. Si deve valutare anche quali eventi si adattino maggiormente alle nostre capacità e possibilità organizzative.
Attenzione ai costi e ai ricavi Si tratta di stabilire un budget (bilancio) preventivo dei costi e dei ricavi possibili che ci permetta di raccogliere il massimo delle donazioni possibili con il minimo dei costi, tenendo conto di questi 3 parametri: • n. di partecipanti coinvolti • entità della donazione costi (in danaro) per realizzare l’iniziativa • un budget preventivo che permetta di controllare il raggiungimento
dell’obiettivo economico. 3.3. I gruppi e i comitati di amici dell’istituzione Quella dei gruppi o comitati di persone che affiancano un’istituzione per interesse alla sua causa sociale e perché permette loro di svolgere attività interessanti, è una antica tradizione non solo anglosassone ma anche italiana. Si tenga conto che molte delle attuali istituzioni culturali e di formazione hanno avuto un’origine popolare. Stiamo parlando di bibliote-‐che, scuole, musei e teatri e forse anche qualche conservatorio o istituzio-‐ne musicale.
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Nel tempo, con la completa statalizzazione di questi istituti, l’origine popolare si è trasformata nella costituzione di gruppi di appoggio, comitati di sostegno, associazioni “Amici di…”. Le biblioteche, ad esempio, hanno gruppi di lettura se non veri e propri comitati di raccolta fondi organizzati su base volontaria. Le scuole hanno i comitati genitori – previsti anche dalla legge – che svolgono un’azione di animazione sociale e di raccolta fondi per il miglioramento delle scuole e talvolta per garantire borse di studio e altre agevolazioni per gli studenti. Grandi istituzioni musicali come auditorium, istituzioni concertistiche o artistiche (come musei, teatri, ecc.) hanno club di amici a volte composti anche da VIP e persone influenti, che hanno interesse a sostenerne le attività in virtù del loro grande valore sociale. Quella dei gruppi di sostegno è, senza dubbio, una strada da percorrere perché permette di radicarsi sul territorio, creare un’identità sociale, far conoscere l’organizzazione e, chiaramente, raccogliere risorse utilizzando un attore in grado di produrre fiducia. Il cittadino comune o l’ex studente o i genitori degli allievi sono i testimoni più efficaci della nostra causa e sono in grado, più dei dirigenti, di coinvolgere reti sociali, professionali, amicali attorno alla causa che loro hanno sposato. In tutto il mondo sono molto sviluppate le associazioni “ex alumni”. Ossia allievi che restano legati alla propria scuola anche dopo aver finito il ciclo di studi, soprattutto perché lì hanno trovato le conoscenze e le capacità che hanno permesso loro di costruirsi una professione e di soddisfare le proprie aspettative. Ogni ex alunno – se veramente ha potuto vivere una esperienza formante ma anche umana e sociale nel conservatorio – sarà in grado di fare qualcosa per l’istituto e coinvolgere la sua rete di relazione. Alcuni di loro diventano persone importanti e influenti e possono offrire al loro ex istituto molte opportunità. Pensiamo ad un giovane musicista che poi è diventato uno strumentista o un cantante di fama. Pensiamo anche a quanto potrebbe fare per un istituto. Ma anche persone che magari non fanno i musicisti ma che sono diventate dirigenti di azienda. Il gruppo di amici inoltre può accedere più facilmente ad alcuni mercati del fundraising, praticati principalmente da associazioni Onlus: il 5 per mille, le
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stesse campagne di direct mail, il contatto diretto verso un largo pubblico, l’organizzazione di eventi… Ecco alcune cose da fare per creare e rendere operativo un comitato di amici. • Individuare il gruppo promotore, ossia costituire un primo gruppo informale
di persone che voglia assumersi la responsabilità di dare vita al “comitato”. • Condividere con loro l’idea, valutando la loro reale passione per l’obiettivo . • Capire le aspettative che le persone possono avere nei confronti dell’istituto
e gli interessi che potrebbero soddisfare e organizzare attività che possano rispondere alle loro aspettative (ad esempio i gruppi di lettura si aspettano dalle biblioteche un’animazione del gruppo, la possibilità di usare i locali, l’opportunità di invitare scrittori per discutere delle loro opere, fare dei corsi di scrittura, ecc..).
• Dare autonomia nelle scelte e nelle modalità di azione (renderli protagonisti) pur nel rispetto di un regolamento generale condiviso.
• Riconoscere il loro ruolo all’interno dell’istituto, coinvolgendoli anche in alcu-‐ne scelte (con buon senso ma senza essere di manica stretta…) e verso l’ambiente esterno (ad esempio inserirli, quale struttura portate dell’istituto, nel sito internet, dando una bacheca o un posto di visibilità all’interno dell’istituto, invitandoli a parlare nelle occasioni pubbliche, ecc… ospitarli volentieri nelle strutture dando loro una sede, l’uso di macchinari, ecc..).
• Condividere con loro il programma e le strategie di raccolta fondi, fissando insieme obiettivi e attività che essi possono realizzare e dando libero sfogo alla loro creatività e iniziativa.
• Aggregare sempre più persone nella struttura, a partire dagli allievi e dalle loro famiglie anche attraverso vere e proprie campagne di adesione (diventa amico di…., oppure, amico chiama amico)
• Favorire un impegno volontario del personale dell’istituto (lavoratori, insegnanti, ecc…) per creare un clima di collaborazione e coinvolgimento tra istituzione e gruppo di appoggio. Negli USA i gruppi di appoggio alle scuole sono spesso misti; genitori, studenti, insegnanti/personale scolastico.
• Dare una forma giuridica al comitato e, in particolare, scegliere lo statuto di onlus che permette di concedere ai donatori agevolazioni fiscali e di partecipare al 5 per mille e ad alcuni strumenti di raccolta generalmente riservati ad esse.
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3.4. Il 5 per mille Questa è una modalità di raccolta che può avere ottimi risultati se si ha un nome conosciuto e soprattutto se si è radicati in una comunità e si ha un buon capitale di relazioni, basate anche sull’interesse per la causa. Tutta-‐via da un punto di vista formale è necessario che il 5 per mille venga praticato da una associazione onlus. Un istituto di formazione di per sé – in quanto ente pubblico o privato a fine di lucro – non può partecipare a que-‐sta forma di fundraising. Si tratta di una tecnica di fundraising sviluppatasi negli ultimi anni. Il cinque per mille è una pratica significativamente diffusa: circa il 60% dei contri-‐buenti lo utilizza a fronte del 30 % degli italiani che si dichiarano donatori (quindi il 5‰ aumenta la popolazione donante). L’entità della donazione non è trattabile (se ho poco reddito non posso decidere di donare tanto). La quantità quindi è essenziale per avere risultati significativi. Così come è importante il livello di reddito del contribuente che aderisce. Il successo di una “campagna “ per il 5‰ dipende essenzialmente dai seguenti fattori: • La notorietà dell’organizzazione e dei suoi progetti presso il pubblico che
viene contattato • Il consenso che la causa sociale riscuote presso il largo pubblico (la causa
maggiormente sostenuta è quella della ricerca medica) • La prossimità, anche territoriale, dei progetti realizzati dall’organizzazione
con i contribuenti • Un buon sistema di “distribuzione” della proposta di destinare il 5‰ alla
vostra organizzazione, in modo che sia vicino al momento della dichiarazio-‐ne dei redditi e al posto in cui viene materialmente effettuata.
• L’uso del passaparola quale sistema promozionale fiduciario. In tal senso l’attivazione di reti sociali e altri gruppi a favore della vostra organizzazione possono incrementare enormemente i risultati. Insomma, anche in questo caso, il Capitale sociale e relazionale dell’organizzazione e dei suoi membri rappresenta uno dei maggiori punti di forza da utilizzare.
• Facilitare il contribuente nel ricordare o annotare il vostro C.F. (essenziale per effettuare la donazione)
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CAPITOLO SESTO
RACCOLTA FONDI DALLE AZIENDE Spesso si pensa che le aziende siano interessate solo a forme di sponsorizzazione che possano offrire loro opportunità di pubblicizzare i propri marchi e prodotti o che diano visibilità e prestigio. E’ senza dubbio una delle ragioni che spinge alcune aziende a investire risorse a sostegno di progetti e cause sociali. Soprattutto nel settore della cultura e dell’arte. Ma non è l’unica e forse in questo momento neanche la principale. Negli ultimi anni, anche a seguito del diffondersi della responsabilità sociale delle imprese e di una nuova cultura filantropica (si veda oltre), si è fatta strada nelle aziende l’intenzione di non essere più considerate come un semplice “bancomat”, ossia un soggetto che di per sé, in quanto produttore di profitto, rappresenta uno sportello dove riscuotere fondi. L’azienda non vuole essere più un mero erogatore, e neanche solo un generoso sostenitore delle istituzioni non profit, ma vuole essere considerata sempre più come un partner e quindi entrare nel merito della progettazione e della realizzazione delle attività nonché condividere in modo più ragionato la mission che le anima. Per operare con successo su tale mercato un’organizzazione deve possedere alcuni requisiti essenziali. • Capacità di analisi dei soggetti (le aziende e i loro dirigenti). • Capacità progettuale e impatto sulla realtà. • Propensione alla comunicazione sociale e pubblica (in quanto le
aziende devono comunque comunicare la loro presenza sociale). • Predisposizione al lavoro in partnership con le aziende. 1. Le forme del corporate fundraising Le tecniche di raccolta fondi dalle imprese sono numerose e possono essere raggruppate in tre grandi aree: donazioni filantropiche, sponsorizzazioni, partnership e investimenti sociali.
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1.1. Donazioni filantropiche Consistono in donazioni per una causa sociale senza un ritorno diretto e un interesse di tipo commerciale se non la semplice menzione dell’azienda. Possono essere sostenute da forme di agevolazione fiscale per le aziende fino ad un massimo di 70.000 euro l’anno. Nel box seguente vengono riportate alcune tecniche di raccolta di donazioni filantropiche.
Donazioni filantropiche LIBERALITA’ IN DENARO -‐ L’azienda appoggia una determinata causa con una elargizione in denaro senza nessun tipo di ritorno. BENI E SERVIZI -‐ Anche in questo caso un’azienda non richiede che vi sia un ritorno/interesse economico ma partecipa con mezzi e servizi che hanno anche un valore economico (e in quanto tali possono essere oggetto di defiscalizzazione) Esempi di donazioni di beni/servizi: -‐ materiale di cartoleria (spesso eccedente in azienda); -‐ spazi (es.: spazi da utilizzare per incontri); -‐ surplus di magazzino. TEMPO E PROFESSIONALITA’ DEI DIPENDENTI (SECONDEMENT) -‐ L’azienda mette a disposizione dell’organizzazione i propri dipendenti per un determinato periodo di tempo affinché svolgano un lavoro legato all’iniziativa/progetto. Il secondment apporta benefici: all’azienda -‐ in termini di esperienza, immagine interna di responsabilità sociale, coesione interna; al dipendente -‐ in termini di competenze, acquisizione di valori, interesse personale; alla organizzazione -‐ in termini di expertise, forza lavoro, appoggio da parte di un’azienda. RACCOLTA FONDI TRA I DIPENDENTI -‐ Si tratta di un’attività di fundraising a beneficio di una organizzazione o di un’iniziativa sociale, in cui sono direttamente coinvolti, in quanto donatori, i dipendenti dell’azienda. Elementi chiave per l’attivazione di un’iniziativa di “Employee Fundraising” sono: la condivisione della causa (consenso degli impiegati che spesso sono i propositori di una campagna alla dirigenza dell’azienda); la meccanica: individuare un comitato promotore all’interno dell’azienda e fare in modo che l’attività sia coinvolgente e piacevole. Le principali modalità: organizzazione dell’anno: per un periodo limitato l’azienda (dipendenti e/o dirigenti) decidono di sostenere le iniziative di un’organizzazione coinvolgendo anche i clienti, i fornitori, la comunità; adozione di una organizzazione: simile al sostegno definito organizzazione dell’anno ma più duraturo nel tempo; volontariato d’impresa: i dirigenti incoraggiano i propri dipendenti a dedicare parte del proprio tempo al sostegno di un’iniziativa portata
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avanti da un’organizzazione locale; Payroll Giving: donazione regolata mensilmente (trattenuta automaticamente dallo stipendio dei lavoratori). REGALI DI NATALE -‐ L’azienda fa una donazione ad una organizzazione al posto dei classici doni di natale e dà ai destinatari del regalo una ricevuta di tale donazione, oppure acquista doni, gadget etc, da una organizzazione per distribuirli al posto dei tradizionali doni.
1.2. Sponsorizzazioni Tra l’azienda e l’organizzazione o il progetto sociale, c’è un rapporto di mutuo beneficio di tipo commerciale o para-‐commerciale in cui la organizzazione offre dei “mezzi” di comunicazione e promozione all’azienda che, in cambio, retribuisce tale servizio. In quanto rapporto commerciale è retto da un contratto tra le parti e prevede il versamento dell’IVA. Nel box seguente vengono riportate le principali modalità di sponsorizzazione utilizzate nel campo sociale e culturale.
Sponsorizzazioni SPONSORIZZAZIONI COMMERCIALI L’azienda finanzia un’iniziativa in cambio di visibilità legata al marchio o ai suoi prodotti/servizi. CORPORATE HOSPITALITY L’azienda ha spazi di presenza autonoma nell’ambito dell’iniziativa che finanzia. LICENSING L’associazione concede l’utilizzo del proprio marchio all’azienda a fronte di un pagamento di tale servizio, commisurato al valore del marchio. CAUSE RELATED MARKETING L’azienda sostiene l’iniziativa/il progetto associandolo alla vendita di un prodotto.
1.3. Partnership e investimenti sociali Una terza modalità di fundraising dalle aziende riguarda forme più innovative, spesso legate alla responsablità sociale dell’impresa, nelle quali l’azienda è protagonista (in quanto partner o anche autonomamente) di una “impresa” o di un progetto sociale con proprie risorse.
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Questa modalità in genere riguarda progetti complessi o la costituzione di una nuova impresa “sociale” come nel caso di fondazioni di partecipazione o di quelle culturali nei cui costituenti entrano a far parte anche alcune aziende. Più che di specifiche modalità di raccolta fondi in questo caso si fa riferimento a partnership costruite insieme alla azienda e che possono prendere le forme di investimenti (sottoscrivere quote per diventare soci o costituenti di una organizzazione); joint venture anche di tipo commerciale, la messa a disposizione di strutture e beni per la realizzazione di progetti entrando in “società con la organizzazione” e molte altre. 2. Superare i luoghi comuni sulla “sponsorizzazione” Al di là delle distinzioni sopra riportate riguardanti le diverse modalità di corporate fundraising, si usa parlare spesso di sponsorizzazioni dando a questo termine un valore generale di “finanziamenti dalle imprese”. Questa semplificazione prodotta dal gergo comune non aiuta però a comprendere bene perché e per cosa l’azienda “sponsorizza”. Innanzitutto è meglio chiarire quali sono le caratteristiche formali dell’istituto della sponsorizzazione.
Caratteristiche formali della sponsorizzazione • Le definizioni tradizionali delle sponsorizzazioni sono: un contratto atipico
che prevede uno scambio tra due soggetti tra denaro e prestazioni e opportunità fornite dal soggetto sponsorizzato.
• Si tratta di un’attività di impresa come l’acquisto di pubblicità o la consulenza e quindi le organizzazioni, in questo caso sono fornitori per l’azienda.
• I costi della sponsorizzazione rientrano tra i costi d’impresa. • L’azienda compra e quindi controlla la qualità e i risultati, anche se non può
legare il pagamento ad essi (però può recedere dall’impegno preso con la organizzazione).
• Per l’azienda è un servizio utile per promuovere se stessa, i suoi prodotti e la loro immagine.
• Non è uguale alla pubblicità perché a differenza di quest’ultima è più diretta e personalizzata e permette un ruolo attivo dell’azienda.
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Le sponsorizzazioni possono essere di due tipi: • in denaro (soldi in cambio di visibilità); • in servizi (beni o mezzi a titolo non oneroso in cambio di visibilità o altro).
Le forme più frequenti e classiche dello sponsor sono: sponsor unico o title sponsor in cui l’azienda è l’unico partner presente in un’iniziativa; main sponsor, che svolge un ruolo primario nel sostegno e nella comunciazione; sponsor semplice, che si lega insieme ad altri ad una iniziativa; sponsor tecnico, l’azienda fornisce beni e servizi essenziali alla riuscita della iniziativa a titolo non oneroso o con forti sconti quali l’assicurazione di opere d’arte, l’hotel per ospitare i partecipanti, il giornale per garantire la copertura stampa di una iniziativa, ecc.
Accade spesso che, andando a chiedere una “sponsorizzazione” a una azienda, non si va a proporre quanto sopra riportato. Così come l’azienda stessa quando sostiene di sponsorizzare qualcosa, in verità sta cercando di raggiungere benefici e obiettivi diversi da quelli menzionati. Tenendo conto dei casi e delle esperienze analizzate in più di 10 anni di fundraising, pensiamo che vi siano 5 modi di intendere le cosiddette sponsorizzazioni e per ognuno di questi vi sono interessi specifici che l’azienda persegue.
5 modi di intendere la sponsorizzazione dal punto di vista dell’azienda 1 -‐ Pratica tesa a regolare e mettere sotto controllo le relazioni istituzionali e politiche dell’azienda con i suoi stakeholders (portatori di interesse quali istituzioni, dipendenti, clienti importanti, mondo della finanza, ecc.).
2 -‐ Joint venture tra azienda e partner con l’intenzione di produrre effetti sul business e sui fattori che lo determinano (ideazione di prodotti, produzione, marketing, ecc.).
3 -‐ Politica di immagine e pubblicità dell’azienda e dei suoi prodotti che ha quindi fondamento soprattutto, se non esclusivamente, sulla capacità mediatica e comunicativa delle iniziative da sponsorizzare.
4 -‐ Vantaggio fiscale, di bilancio e contabile.
5 -‐ Forma della Responsabilità sociale d’impresa, funzionale, quindi, a realizzare i propri progetti nel campo del sociale. In tal caso l’azienda stessa tende a distinguere questo ambito da quello della sponsorizzazione tradizionale per far emergere che l’obiettivo perseguito non è di tipo commerciale.
L’azienda può chiaramente perseguire uno o più di questi obiettivi insieme, ma probabilmente ve ne sarà uno che è trainante rispetto ad altri.
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Partendo da questo assunto di fondo, è opportuno che la organizzazione capisca “a priori” che cosa può realmente offrire per rispondere a queste motivazioni di fondo di una azienda. Lo schema che segue mette in evidenza gli elementi qualificanti che una organizzazione o una iniziativa devono avere per rispondere alle specifiche motivazioni di fondo delle aziende. Strategie di sponsorizzazione dell’azienda
Elementi qualificanti dell’organizzazione e/o dell’iniziativa
1 -‐ sponsor/relazioni istituzionali
Ø Iniziative che coinvolgono direttamente o indirettamente target istituzionali, amministrazioni o mondo della finanza, ecc... Avere un capitale sociale di relazioni che comprende personalità importanti per l’azienda o per i suoi interlocutori. Iniziativa che permette un coinvolgimento dei lavoratori/personale interno all’azienda.
2 -‐ sponsor/joint venture
Ø Iniziative che permettono/prevedono uno sfruttamento a fini commerciali o azioni di Cause Related Marketing. Avere un forte orientamento al marketing e a sostenere la competizione di mercato. Avere capacità di produzione (organizzativa, qualità, innovazione, ecc.).
3 -‐ sponsor/pubblicità Ø Avere un brand forte (marchio) o elementi di brand nella organizzazione e nelle sue iniziative. Iniziative che toccano un largo pubblico (rilevante da un punto di vista quantitativo ) o un pubblico specifico importante per l’azienda. Gestire o accedere a sistemi di comunicazione di massa efficaci. Toccare target di pubblico che coincidono con clienti o potenziali clienti dell’azienda.
4 -‐ sponsor/vantaggio fiscale-‐contabile
Ø Avere elementi giuridico/istituzionali o della organizzazione o della iniziativa che prevedono forme di defiscalizzazione o che permettono azioni finanziarie vantaggiose (ad esempio la azienda compra un terreno o uno stabile per una organizzazione e ne resta proprietaria).
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5 -‐ sponsor/RSI Ø Conoscere bene il fenomeno della Responsabilità sociale di impresa (cultura, programmi, linee di azione delle aziende, ecc.) ed essere in grado di interloquire con qualità su tale aspetto. Conoscere molto bene le linee programmatiche della RSI delle aziende. Capacità progettuale avanzata in grado di integrare i bisogni dell’azienda nell’iniziativa (coprogettazione). Saper lavorare in partnership. Iniziativa che può impattare socialmente sugli stakeholder chiave dell’azienda che in genere sono i primi interlocutori del bilancio sociale di una azienda.
3. La centralità della Responsabilità sociale d’impresa Abbiamo detto che un’azienda tende a distinguere l’area della sponsorizzazione commerciale da quella della sua responsabilità sociale e più volte abbiamo richiamato questo fenomeno come un buon “viatico” al corporate fundraising. Alcuni la chiamano Corporate citizenship (cittadinanza di impresa) mettendo in evidenza più che l’aspetto meramente etico e filantropico, le caratteristiche più politiche e civiche del fenomeno basandosi sull’idea che una azienda non deve conquistare solo una sua cittadinanza economica (il fatto di dare lavoro e produrre ricchezza) ma anche una sua cittadinanza sociale e civile (il fatto di essere un buon cittadino al pari e insieme ad altri) e quindi di occuparsi anche della comunità, del territorio in cui opera e dei problemi che li caratterizzano. Cosa è la Responsabilità sociale d’impresa? Per ragioni di spazio non possiamo trattare a fondo la questione in questo manuale. Rimandiamo pertanto a una ampia letteratura esistente anche nel nostro Paese e che ormai è fruibile anche sul web. Non senza però aver fornito una definizione largamente accettata da tutti, che è quella proposta dall’Unione Europea.
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DEFINIZIONE UE DI RESPONSABILITA’ SOCIALE DI IMPRESA O CORPORATE CITIZENSHIP
“E’ l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali, nella produttività e nei loro rapporti con le parti interessate. Un modo per gestire il cambiamento verso una economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo e di conciliare lo sviluppo sociale e una maggiore competitività.” RSI e approccio multi-‐stakeholder Il passaggio culturale che viene proposto è tra un modello mono-‐stakeholder, orientato cioè alla soddisfazione di un unico soggetto, l’azionista, attraverso la massimizzazione del profitto, e un modello multi-‐stakeholder, in cui “chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder.” Sull’onda di tale fenomeno molte aziende ormai progettano e realizzano un programma complesso di RSI, incaricando professionisti e dirigenti della sua attuazione. Spesso i responsabili di tali programmi sono i dirigenti generali della comunicazione e delle relazioni esterne o addirittura l’Amministratore delegato stesso, e questo dimostra, quindi, che la RSI non “abita” necessariamente nella stessa casa del marketing e della pubblicità. E’ importante comprendere che, nella logica di questa definizione, le organizzazioni non profit sono o possono essere uno stakeholder importante o agire e svolgere attività che coinvolgono stakeholders fondamentali per l’azienda. 4. La procedura per ideare, progettare e promuovere il corporate fundraising La procedura che un’organizzazione dovrebbe seguire per ideare una azione di corporate fundraising può essere ben rappresentata dallo schema seguente.
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Fig. 4 Procedura per la ideazione e progettazione del corporate fundraising
Analizziamo ora i singoli passaggi ANALISI DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA La proposta di sponsorizzazione o di altra forma di elargizione da parte dell’azienda è frutto di una procedura di analisi e progettazione che coinvolge due versanti: quello della offerta (ossia la organizzazione non profit, le sue iniziative e attività, la sua causa sociale) che la organizzazione può rivolgere all’azienda e quello della domanda (ossia l’azienda, i suoi bisogni da soddisfare in termini di comunicazione, marketing, relazioni, responsabilità sociale, ecc..) che può essere soddisfatta anche legandosi ad una organizzazione non profit. La proposta da indirizzare a un’azienda, quindi, è il frutto della mediazione dell’analisi della domanda e dell’offerta. Bisogna dunque essere in grado di saper analizzare le iniziative che intendiamo far sponsorizzare/finanziare e le aziende che intendiamo contattare per richiedere il finanziamento dell’iniziativa/progetto.
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Lo scopo primario di questa analisi è quello di trovare tra noi e l’azienda un punto di contatto, un legame (link) che giustifichi il possibile “matrimonio” tra le due parti (vedi il paragrafo successivo). E’ attorno a questi link che si costruisce una proposta di sponsorizzazione o finanziamento da parte della azienda. Gli elementi da analizzare legati all’iniziativa e all’organizzazione sono: • la missione dell’organizzazione; • gli obiettivi della iniziativa; • gli ambiti tematici toccati; • gli impatti (cambiamenti/benefici); • i pubblici coinvolti (target); • le attività in senso materiale; • la comunicazione; • i partner della iniziativa. In tale fase di analisi può risultare opportuno utilizzare una griglia che ci permette di individuare il legame che ci può essere tra l’iniziativa (e più in generale l’organizzazione) e determinate tipologie di aziende (in questo caso le ipotesi che vengono elaborate possono riguardare sia categorie merceologiche e produttive di aziende sia una o più aziende nello specifico). Nell’analizzare le aziende con cui intendiamo prendere contatto dobbiamo tener presente che un’azienda è un organismo economico complesso, composto da più individui, e più strutture guidate da un programma di azione comune il cui scopo principale è il profitto. I tre elementi chiave di un’azienda sono: • i programmi e le strategie attraverso i quali comunica, si posiziona,
scambia beni, governa il rapporto con gli stakeholders; • le persone e le strutture ognuna delle quali ha specifiche funzioni e
poteri; • le risorse e il budget che regolano il sistema di investimenti e di spesa
dell’azienda.
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L’INDIVIDUAZIONE DEL LINK Dopo l’analisi della domanda e dell’offerta bisogna essere in grado di individuare un link tra tale domanda ed offerta. Generalmente ci si trova di fronte a due macro-‐tipologie di link definibili come: -‐ link di tipo relazionale; -‐ link di tipo contenutistico. Il link “arriva” dal mercato, ossia sono le aziende e i casi di sponsorizzazione già realizzati che mettono in evidenza il bisogno di questo link (in tal caso è opportuno dare uno sguardo a casi di sponsorizzazione che hanno coinvolto organizzazioni e iniziative simili alle nostre). Il link viene individuato a partire dai contenuti dell’iniziativa (esso viene espresso principalmente dai contenuti specifici delle nostre attività). Nel box seguente viene riportato un elenco di possibili link, utilizzando la “letteratura” aziendalistica delle sponsorizzazioni.
TIPOLOGIA DI LINK (DAL PUNTO DI VISTA DELL’AZIENDA) • PRODUCT LINK (LEGAMI DI PRODOTTO) -‐ L’attività sponsorizzata utilizza o è
associata a prodotti/servizi dell’azienda che sponsorizza (ad esempio azienda petrolifera o produttrice di motori come sponsor di gare automobilistiche).
• PRODUCT IMAGE LINK (LEGAMI CON L'IMMAGINE DEL PRODOTTO) -‐L’attività sponsorizzata ha un’immagine simile a ciò che produce lo sponsor (ad esempio azienda produttrice di abbigliamento per giovani come sponsor di concerti rock).
• CORPORATE IMAGE LINK (LEGAMI CON L'IMMAGINE DELL'AZIENDA) -‐L’attività sponsorizzata ha un legame con l’immagine aziendale (ad esempio istituti di credito come sponsor di istituti di ricerca economica).
• TARGET LINK (CLIENTI, POTENZIALI PARTNER-‐ALLEATI E ALTRI PUBBLICI IMPORTANTI PER L’AZIENDA) -‐ L’attività sponsorizzata ha come target un target primario per l’azienda (ad esempio un’azienda produttrice di colla per dentiere che sponsorizza un centro anziani).
• HISTORIC LINK (LEGAME STORICO) -‐ L’iniziativa sponsorizzata è già stata in passato sponsorizzata da quella determinata azienda.
• OPPOSED LINK (LEGAME OPPOSTO) -‐ L’attività della organizzazione che richiede la sponsorizzazione ha una immagine completamente opposta a quella dello sponsor (ad esempio, azienda di detersivi o frigoriferi con forte impatto ambientale come sponsor di gruppi ambientalisti).
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• PERSONAL LINK (LEGAME PERSONALE) -‐ Esiste un legame tra imprenditore o dirigenti (intesi come persone) con gli obiettivi e le strategie del soggetto in cerca di sponsor.
• GEOGRAPHIC LINK (LEGAME GEOGRAFICO-‐TERRITORIALE) -‐ Esiste un legame tra imprenditore o dirigenti (intesi come persone) con gli obiettivi e le strategie del soggetto in cerca di sponsor.
• NO LINK (NESSUN LEGAME RICONOSCIUTO IN MODO SPECIFICO) -‐ Non esiste nessun legame di quelli sopraelencati
OGGETTO SPONSORIZZABILE L’oggetto della proposta che verrà rivolta alla azienda è costruita sul link e non direttamente sul progetto o l’iniziativa per il quale noi abbiamo bisogno di risorse. La proposta, in pratica, è non una proposta diretta di finanziamento del nostro progetto ma una proposta di declinare attraverso attività specificamente dedicate alla azienda il link che la lega a noi e alla nostra iniziativa. L’accogliere questo link e quindi fornire risorse affinché l’azienda contribuisca alla realizzazione delle attività comporta per l’azienda stessa che vi siano dei vantaggi o delle opportunità che giustifichino il suo impegno di risorse. PROPOSTA, PROMOZIONE, CONTRATTO La proposta viene in genere contenuta in un progetto scritto ad hoc per l’azienda alla quale ci rivolgeremo, non prima di aver realizzato una analisi di fattibilità della sponsorizzazione dal punto di vista della organizzazione proponente (abbiamo le capacità per realizzare l’iniziativa? Vogliamo avere relazioni con le aziende di un certo tipo? Abbiamo le strutture e i mezzi per garantire quello che proponiamo all’azienda?, ecc…..) Sulla base di tale progetto si procede ad una fase di proposta -‐ trattativa -‐ contratto che riguarda principalmente la ricerca di un contatto nella azienda e l’invio o la presentazione personale (assolutamente da privilegiare rispetto alla prima modalità) del documento di proposta. In questa fase è possibile che si apra una trattativa che riguarda anche gli aspetti economici oltre che contenutistici (aggiustamento del progetto, inserimento di proposte dell’azienda al suo interno, ecc.).
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Al termine di tale fase vi deve essere comunque una formalizzazione, sia che si tratti di una sponsorizzazione in senso tradizionale (contratto), sia che si tratti di una donazione (tale formalizzazione può essere, ad esempio, una lettera in cui l’azienda dichiara che intende procedere ad una donazione indicando tempi e modalità della stessa). Nella fase di proposta è necessario tenere presenti le tempistiche di una azienda, in quanto risultano determinanti per il buon successo di una proposta. Partendo dall’ipotesi che l’anno fiscale inizi a gennaio, allora i ragionevoli tempi delle sponsorizzazioni potrebbero essere quelli esposti di seguito.
REALIZZAZIONE E FIDELIZZAZIONE Firmato il contratto bisogna procedere alla realizzazione dell’iniziativa, nella cui fase acquisiranno peso tutti quegli elementi legati alla capacità di produzione. In questa fase chi ha richiesto la sponsorizzazione (il fundraiser) ha anche il compito di accompagnare l’azienda nel corso della
TEMPO AZIENDE ORGANIZZAZIONE
ANNO 0 GENNAIO-‐APRILE
Elaborazione delle linee guida d’investimento. Elaborazione del bilancio preventivo per l'anno 1 anche sulla base dei risultati dell'anno 0 e -‐1
Individuazione delle iniziative previste per l'anno 1 e degli interlocutori a cui rivolgersi. Elaborazione dei documenti di sponsorizzazione
ANNO 0 MAGGIO-‐AGOSTO
Definizione degli investimenti Inserimento in bilancio delle iniziative di sponsorizzazione
Invio dei documenti di sponsorizzazione. Contatto con gli interlocutori per illustrare le proposte e ricevere feedback e suggerimenti
ANNO 0 SETTEMBRE-‐DICEMBRE
Definizione dei contratti e spesa dei fondi
Individuazione di ulteriori proposte di sponsorizzazione di piccola e media entità o finalizzate a specifici interlocutori
ANNO 1 Spesa dei fondi Invio delle proposte con procedura di urgenza e relative trattative
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attività tutelando anche i diritti che ha acquisito nell’accordo (ad esempio la menzione dell’azienda o la presenza in uno spazio pubblicitario, ecc.). Scopo di questa azione di “accompagnamento” è soprattutto quella di fidelizzare l’azienda (visto che riuscire a fare questo matrimonio è costato tempo e fatica!) e quindi di permettere che il suo impegno con noi venga rinnovato nel tempo. Chiaramente ciò è massimamente legato alla soddisfazione dei bisogni e delle attese dell’azienda che l’hanno portata a stabilire un rapporto di collaborazione con noi.
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CAPITOLO SETTIMO
RACCOLTA FONDI DALLE FONDAZIONI 1. Alcuni cenni sulle Fondazioni Secondo la definizione dell’European Foundation Center (EFC),le fondazio-‐ni sono associazioni che, pur strutturate in maniera differente l’una dall’altra, si prefiggono l’obiettivo comune di utilizzare risorse private per scopi di pubblica utilità. La loro caratteristica identitaria è quella di essere “un patrimonio per uno scopo”. Ossia esse si fondano a partire dall’esistenza di un patrimonio il cui frutto viene utilizzato per scopi sociali, a differenza delle associazioni che sono “persone per uno scopo”. Esistono tre tipi di fondazioni: le fondazioni operative, quelle di erogazione e quelle miste. Le fondazioni operative realizzano direttamente servizi di pubblica utilità attraverso la gestione di attività o strutture che possono essere, ad esem-‐pio, case di cura, scuole, musei, biblioteche, centri di ricerca, teatri, ecc. Le fondazioni operative sono le più diffuse in Italia. Le fondazioni di erogazione sono enti che raggiungono lo scopo indirettamente, erogando sussidi e contributi ad altri soggetti, persone o istituzioni non-‐profit, che intervengono con la propria struttura per offrire beni e servizi alla collettività. Appartengono a questo gruppo, tra le altre, le fondazioni bancarie. Le fondazioni miste svolgono entrambe le funzioni indicate sopra. Le principali fondazioni erogative, in Italia, sono quelle di origine bancaria costituite per legge come sviluppo delle Casse di Credito, anche se ve ne sono altre di grande rilevanza che sono state create spontaneamente dagli altri gruppi bancari.
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Alcune grandi o medie aziende si sono dotate di una propria fondazione che tende ad avere un ruolo specifico per realizzare i programmi di responsabilità sociale dell’impresa “madre”. Non tutte le fondazioni d’azienda hanno un’attività di erogazione verso soggetti terzi. Esistono poi le fondazioni costituite da individui o famiglie che intendono perseguire uno scopo connesso con i loro interessi sociali, culturali o professionali. Anche queste fondazioni non sono esclusivamente erogative. Di recente, su impulso della Fondazione Cariplo prima e in seguito della Fondazione per il Sud, si è affermata in Italia la figura della fondazione di Comunità che prevede un forte coinvolgimento della società civile locale (aziende, istituzioni sociali, organizzazioni non profit, singoli individui, ecc.). Tutti questi soggetti perseguono, in modo organizzato e attraverso l’attivazione di tutte le componenti della società, interessi della comunità locale o di specifiche categorie di persone. Sono fondazioni sia operative che gestiscono servizi e strutture complessi per la comunità, sia erogative. Ai fini del fundraising le fondazioni da prendere in considerazione per una richiesta di finanziamento sono quelle erogative e quelle miste. I fondi messi a disposizione possono avere anche un’entità elevata e sono di natu-‐ra esclusivamente filantropica. Non bisogna assolutamente escludere che la richiesta di fondi di una organizzazione possa essere rivolta a fondazioni internazionali. Molte di esse, infatti, hanno interessi e perseguono cause sociali che riguardano anche altri paesi (prevalentemente quelli in via di sviluppo) ma anche paesi come l’Italia dove, ad esempio, l’interesse per la cultura di alcune fondazioni può trovare ampia soddisfazione. Sicuramente un’associazione o un’ istituzione che si occupa di cultura, di arte e di educazione in Italia, può guardare senza nessuna remora a fondazioni quali la Bill e Melinda Gates Foundation o la Stephen Lewis Foundation, solo per citarne due tra le migliaia operanti nel mondo. 2. Le fondazioni di origine bancaria In Italia le fondazioni che hanno una maggiore capacità e attività erogativa sono quelle di origine bancaria. Sono soggetti non profit, privati e autono-‐mi, che perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione
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dello sviluppo economico. Sono 88 e dispongono di ingenti patrimoni che investono in attività diverse. Dagli utili derivanti dalla buona gestione di questi investimenti traggono le risorse per sostenere attività d'interesse collettivo. Come soggetti filantropici, le Fondazioni di origine bancaria ogni anno erogano circa 1,3 miliardi di euro (prima della crisi erogavano anche 1,5 miliardi di euro). Più di un terzo dell’erogato è appannaggio di attività e istituti che si occupano di cultura e arte. Il settore dell’educazione scolare e superiore occupa un 15% dell’erogato. In relazione alla crisi economica è cresciuta l’attenzione delle Fondazioni bancarie verso quei servizi costituti-‐vi del nostro welfare tra i quali anche l’istruzione e l’avviamento professionale. Nel caso in cui si trovino a finanziare istituzioni e servizi pubblici, esse tendono però a non sostenere le mere attività ordinarie o a fare donazioni non finalizzate ma piuttosto a sostenere progetti di innovazione e moltiplicazione delle attività, valorizzando la capacità di fare rete e di coinvolgere soggetti che altrimenti non parteciperebbero alle politiche di formazione ed educazione. 3. Le modalità di raccolta fondi Le modalità per richiedere e ottenere fondi, in generale, sono le seguenti: • Partecipazione a un bando lanciato dalla fondazione che richiede la
presentazione di progetti su temi specifici, stabilendo tipologica di progetti, caratteristiche progettuali, tipo di costi sostenibili, ecc… Tali bandi possono essere a scadenza determinata oppure “aperti” fino a quando il fondo di finanziamento non si esaurisce. Questa è la prassi seguita da quasi tutte le fondazioni di origine bancaria e dalla Fondazione per il Sud. Anche alcune fondazioni di azienda (in genere le più grandi e strutturate) usano questa modalità.
• Libero contributo rivolto a organizzazioni e iniziative sia in senso generale sia in senso specifico (determinati settori o temi)
• Partnership o joint venture.
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La fondazione è comunque sempre un soggetto privato che ha piena autonomia nell’utilizzo dei fondi. Pertanto, può liberamente investirli per creare nuove attività o iniziative in proprio o in collaborazione con organizzazioni non profit. In tal senso non è pubblicato un bando ma, eventualmente, si tratta di proporre dei progetti complessi chiedendo di condurli a termine insieme. Ecco alcuni presupposti da tenere presenti per accedere ai fondi. • Occorre redigere un progetto chiaro e ben dettagliato. Molti bandi
prevedono l’adozione, da parte dei proponenti, di un modulo apposito fornito dall’ente, che guida nella redazione del progetto stabilendo determinati standard.
• L’erogazione dei fondi avviene a tranche e quasi mai in un’unica soluzione. A volte può essere assoggettata alla presentazione di documentazione contabile che attesti le spese effettuate. Il finanziamento può essere parziale rispetto al totale dei costi del progetto.
• Talvolta bisogna anticipare buona parte delle spese del progetto (e questo potrebbe avere un impatto non indifferente sulle finanze della organizzazione).
• Le fondazioni, sempre più spesso, eseguono un monitoraggio costante attraverso la rendicontazione economica e i sistemi di valutazione relativi all’organizzazione e al progetto.
• Le aree d’intervento e i temi oggetto delle proposte sono, in genere, ben delineati dalla fondazione (questo avviene sicuramente per le fondazioni di origine bancaria mentre alcune fondazioni sono “aperte” a ricevere anche qualsiasi tipo di proposta).
L’unico strumento d’informazione sulle fondazioni (quante e quali sono e cosa fanno) è rappresentato a tutt’oggi dal data base gestito dalla Fondazione Agnelli (www.fondazioni.it) che, tuttavia, non contiene notizie di dettaglio nè contatti aggiornati e dati sulle attività erogative. Per quanto riguarda le fondazioni di origine bancaria, invece, il punto di riferimento essenziale è l’ACRI (www.acri.it), che annualmente pubblica un rapporto sulle attività di queste fondazioni. Ciascuna fondazione, in genere, ha un sito piuttosto esaustivo su finalità, tempi e modalità di partecipazione ai bandi. Importante seguire assiduamente l’Associazione tra le fondazioni di
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erogazione (d’azienda o di famiglia) che ne raccoglie le principali. Assifero (questo il nome dell’associazione) ha un sito aggiornato e pubblica una newsletter che contiene interessanti notizie sulle loro attività. In ogni caso, individuata una o più fondazioni, la prima cosa da fare è quella di analizzarne l’identità (missione), gli organi direttivi, i programmi ed eventualmente le modalità di erogazione e i bandi (qualora siano pubblicizzati). Le fondazioni che usano lo strumento del bando tendono ad avere una procedura di valutazione oggettiva e impersonale e non prevedono forme di promozione diretta dei progetti. Le altre fondazioni, che non usano il bando, possono essere più facilmente oggetto di un’azione promozionale da parte della organizzazione. Ribadiamo che le fondazioni decidono apriori per cosa dare i soldi. Quindi è necessario studiare le fondazioni prima di presentare il progetto e creare un legame tra loro e la nostra causa. Le attività promozionali per accedere alle fondazioni sono molto semplificate, non prevedendo altri strumenti che la presentazione di una richiesta e di un progetto per il quale la maggior parte fornisce un formato o un formulario al quale attenersi. Questo non vuol dire che non sia opportuno avere un’attività di pubbliche relazioni e di comunicazione con le fondazioni in modo tale che possano conoscere l’organizzazione, le sue finalità e posizionarla adeguatamente nel vasto ambiente dei soggetti che richiedono, a prescindere dalla richiesta avanzata.
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CAPITOLO OTTAVO
RACCOMANDAZIONI SULLE POLICY Quelle che seguono sono alcune indicazioni di massima per dare vita ad alcune “policy”11 che possono favorire lo sviluppo del fundraising sia al livello del singolo istituto, sia al livello del settore degli istituti artistici e musicali nel complesso (e quindi delle loro reti od organizzazioni di categoria) sia al livello degli organismi politici e amministrativi ai quali afferisce la attività degli istituti. 1. Raccomandazioni circa le misure da adottare all’interno del sistema delle reti formative e rivolte agli attori della rete Una delle condizioni preliminari per avere un buon sviluppo del fundraising è quella di svolgere attività di networking, ossia inserire l’istituto in reti di relazioni con altri soggetti o dare vita per propria iniziativa a reti sociali. Più soggetti sono coinvolti nelle attività dell’ente e più l’ente è coinvolto in attività di altri soggetti e maggiore sarà la capacità di raccogliere risorse. Una recente ricerca promossa dalla Regione Lombardia12 e condotta da esperti del fundraising tra i quali la Scuola di Roma Fund-‐raising.it sulla esperienza delle Learning Week (reti per lo sviluppo di attività didattiche nelle scuole) ha messo in evidenza che tali reti tendono a produrre naturalmente risorse aggiuntive – legate preferibilmente a progetti specifici – sia in termini direttamente economici sia attraverso beni e
11 Con il termine policy si intende la politica pubblica, "reale", contrapposta alla politics che invece soggiace a meri rapporti di forza, su basi ideologiche, tra forze politiche e leader. I due significati non sono distinguibili in italiano perché entrambi i significati ricadono sotto il termine generico di "politica". 12 Regione Lombardia, “La Learning Week come strumento di rete”, ricerca realizzata da MBS, in collaborazione con la Scuola di Roma Fund.raising.it nel quadro delle attività di valutazione del Consorzio Entertraining
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servizi che hanno valore economico di mercato. Un 40% circa dei soggetti (non istituti scolastici) che hanno partecipato in rete a tali progetti si sono dichiarati disponibili in futuro a mettere volontariamente a disposizione risorse per la realizzazione di nuovi progetti. E’ importante che le reti costruite attorno ai progetti degli istituti siano allargate (ossia coinvolgano un numero rilevante di soggetti differenti) e eterogenee, (ossia siano composte da soggetti che non sono per loro statuto e finalità già impegnati sui temi specifici degli istituti). A tale proposito appare utile segnalare che, nell’esperienza internazionale degli Stati Uniti, tra gli indicatori di qualità degli Enti di formazione appaiono anche indicatori di pro-‐socialità e networking (ovvero una valutazione del capitale sociale e relazionale) quali condizioni necessarie per garantire la sostenibilità nel tempo degli stessi istituti. In tal senso appare opportuno creare all’interno degli istituti figure di networker, ossia operatori che abbiano tra gli altri, lo scopo di convocare, sensibilizzare e coinvolgere soggetti sociali differenti nella realizzazione delle attività. Appare utile, ad un livello di politiche generali del settore, incentivare e premiare quegli istituti che creano e sviluppano network di soggetti che accompagnino la realizzazione di progetti didattici (o di altro genere) che prevedono un impatto sociale che va al di là degli stretti obiettivi istituzionali dell’istituto. I soggetti di cui si dovrebbe privilegiare il coinvolgimento sono: • associazioni di aziende; • professionisti singoli e/o associati; • associazioni professionali e di categoria; • organizzazioni sociali presenti nel territorio la cui missione è attinente
al tema del progetto di rete (ad esempio progetto volto alla multiculturalità verso associazioni di migranti o verso associazioni che si occupano di integrazione e inserimento sociale);
• fondazioni (con particolare riferimento a quelle che hanno scopo erogativo);
• istituzioni sociali di base (parrocchie, biblioteche, centri anziani, circoli sportivi, etc.);
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• servizi territoriali rivolti alla collettività (sportelli d’informazione, consultori, etc.).
E’ essenziale che i soggetti coinvolti in rete più che essere semplici supporter o partner formali siano invece attivamente coinvolti nella realizzazione delle attività anche in modo propositivo. E’ stato osservato, infatti, che in questi casi la propensione a rendere disponibili risorse è molto maggiore rispetto a reti puramente formali. A un livello di settore è consigliabile creare un sistema di analisi, formalizzazione e condivisione di buone prassi circa il networking (ad esempio istituendo una semplice foglio notizie da condividere con tutti i responsabili degli istituti) e affiancare tali responsabili con professionalità nel campo del networking e della gestione di processi partecipativi. 2. Raccomandazioni circa la creazione di un ambiente favorevole per le politiche formative in campo artistico e musicale Come sottolineato in precedenza, non basta potenziare le competenze delle reti, in tema di network e fundraising, a garantire la sostenibilità del sistema. Occorre un ambiente favorevole, disposto a investire nella formazione di qualità, quale motore per lo sviluppo del capitale umano. A questo proposito riportiamo indicazioni specifiche su come stimolare e coinvolgere il territorio di riferimento. a) Oltre alle campagne di comunicazione istituzionali, realizzare una o più campagne di comunicazione sociale sull’importanza della formazione di qualità, che accompagnino il lancio e la realizzazione dei programmi e dei progetti degli Istituti allo scopo di affermare nell’ambiente di riferimento generale e in quello specifico, la causa sociale della formazione di qualità per le attività artistiche, valorizzando il ruolo delle reti sociali in tal senso. b) Conferire agli istituti di formazione e al tema generale della formazione in campo artistico la forza di un marchio che garantisca agli istituti una più forte identità sociale tale da poter sostenere la competizione con le altre cause sociali.
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c) Avviare un’azione di sensibilizzazione verso quei settori della società che possono svolgere un ruolo di sostegno: aziende, fondazioni, organizzazioni sociali, anche attraverso la realizzazione di incontri bilaterali e multilaterali e stabilendo partnership con gli istituti che promuovono e sostengono l’impegno delle aziende nel sociale (ad esempio: Sodalitas, Altis dell’Università Cattolica di Milano, ecc.). d) Avviare, contestualmente alle attività di sensibilizzazione, un confronto aperto con questi soggetti per rilevare aspettative e bisogni, in modo da definire insieme le condizioni alle quali è possibile un loro coinvolgimento nel Programma. e) Istituire forme premianti e certificanti dell’impegno degli interlocutori sociali nei progetti degli Istituti quali, ad esempio: • marchio d’impegno sociale per la formazione artistica; • eventi pubblici in cui rendere noto l’impegno di tali soggetti e facilitare
una loro relazione con gli stakeholders istituzionali; • dare visibilità ai casi di successo;
forme di comunicazione sociale e pubblica che permettano una loro menzione;
• la possibilità di interloquire sistematicamente con gli interlocutori istituzionali che si occupano di politiche importanti per gli interlocutori coinvolti (ad esempio politiche del lavoro, politiche ambientali, etc.);
• verificare, nelle sedi opportune, la possibilità di creare forme di detrazione o deduzione dei contributi in danaro e in beni tangibili offerti da questi interlocutori o comunque agevolazioni economiche (evidentemente legate a tributi locali).
f) Redigere annualmente un bilancio di missione degli istituti e se possibile un bilancio di missione aggregato di tutto il settore e presentarlo pubblicamente allo scopo di valorizzare non solo la missione della formazione di qualità ma anche la capacità del programma di produrre un valore sociale aggiunto tangibile e misurabile e quindi permettere una rappresentazione adeguata dell’efficacia delle donazioni e degli altri apporti volontari ottenuti. Appare essenziale coinvolgere nel processo di valutazione per il bilancio di missione gli interlocutori (aziende, fondazioni, organizzazioni sociali, etc.) che si sono impegnati nella realizzazione dei
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programmi degli istituti riconoscendo loro quindi un ruolo essenziale nelle politiche di formazione. 3. Raccomandazioni circa le strategie e le attività di fundraising a) Testare, attraverso “progetti pilota”, iniziative di raccolta fondi quali, ad esempio: • Forme di partecipazione (quali quote di adesione) da parte delle
famiglie connesse al raggiungimento dei risultati degli itinerari (ossia connesse alla condivisione della missione dell’itinerario).
• Donazioni filantropiche da parte di Enti erogatori, quali le fondazioni, sulla base di programmi di investimento inerenti la formazione dei giovani.
• Raccolta di prestazioni, strumentazioni, servizi, strutture, etc., da parte di aziende, professionisti già in fase di progettazione degli interventi (partnership di risorse).
• Ideazione di itinerari formativi finalizzati alla produzione di beni o strumenti oggetto di una attività di tipo commerciale.
• Realizzazione di eventi che coinvolgano gli attori degli itinerari e le loro reti relazionali, sponsorizzati da aziende.
c) Studiare nelle sedi opportune la possibilità di promuovere la
costituzione di gruppi di amici e comitati di sostegno (genitori, studenti, docenti) degli istituti che assumano una veste non profit tale da poter operare con nuove risorse umane e con forme giuridiche adeguate nei mercati della raccolta fondi.
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Bibliografia Ambrogetti Francesco, Coen Cagli Massimo, Milano Raffaela, Manuale di
fundraising per le organizzazioni non profit, Carocci, 1998 (rist. 2005) Bauman Zygmunt, Modernità Liquida. Laterza, 2002 Bruni Luigini, Zamagni Stefano, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica,
Il Mulino, 2004 Coen Cagli Massimo, Strategie e strumenti di fundraising in Hinna A., Gestire e
organizzare nel terzo settore, Carocci, Roma, 2005 Coen Cagli Massimo
• Il fundraising come strategia globale per lo sviluppo sociale ed economico • Un fundraising complesso per una crisi complessa. Alcuni spunti per
superare la crisi economica • Le nuove frontiere del fundraising (con Caracciolo Andrea) • Un’efficace strategia di raccolta fondi condiziona l’atto donativo (con
Caracciolo Andrea) Disponibili su www.blogfundraising.it//knowledge-‐center/ • Fundraising. Un altro welfare è possibile. Disponibile su www. blogfundraising.it/wp-‐content/uploads/2013/06/intervento-‐7-‐giugno.pdf
Friedman Carolyn S. e Hopkins Karen B., Successful Fundraising for Arts and Cultural Organizations, Greenwood Publishing Group, 1996
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