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LANTERNA POLITECNICO Periodico dell’associazione studentesca “La Terna Sinistrorsa” Gennaio 2013 #40 Ascolta il discorso integrale su youtube, sul canale del POLI...oppure usa il codice! “Questi frammenti trasmettono lo spirito più bello del Politecnico, la convinzione di essere parte di un progetto che è più della somma delle nostre personali aspirazioni. Sono il segno tangibile di un’unione che è già presente, e che dovrà crescere e ampliarsi in futuro per permetterci di migliorare ancora.” Fabrizio Cotini (presidente degli studenti del POLImi) Dal discorso dell’inaugurazione del 150° A.A.

Lanterna #40

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Il 40° numero del giornalino de La Terna Sinistrorsa, il sistema di riferimento del Politecnico di Milano!

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LANTERNAPOLITECNICOPeriodico dell’associazione studentesca “La Terna Sinistrorsa”

Gennaio 2013#40

Ascolta il discorso integrale su youtube, sul canale del POLI...oppure usa il codice!

“Questi frammenti trasmettono lo spirito più bello del Politecnico, la convinzione di essere parte di un progetto che è più della somma delle nostre personali aspirazioni. Sono il segno tangibile di un’unione che è già presente, e che dovrà crescere e ampliarsi in futuro per permetterci di migliorare ancora.”

Fabrizio Cotini (presidente degli studenti del POLImi)Dal discorso dell’inaugurazione del 150° A.A.

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INDICE

Editoriale di Shendbart Dalani03

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Erasmus a Trondheim di Anna Realini

I fiori rosa della primavera araba di Miriam Cristofoletti

Spazio Giochi

Erasmus bene comune di Roberto Paulson

Erasmus a Segovia di Veronica Frattini

Tecnicamente contro la guerra di Erica Lenzi

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“Vuoi scrivere per il Lanterna?”“Magari, ma non sono cosi bravo, e poi di cosa?”“Di quello a cui tieni di più”

Lo spirito del Lanterna è questo: ognuno parla dei temi che più gli stanno a cuore. Viviamo in una realtà dove la sensibilità delle persone di-minuisce in modo proporzionale alla quantità di informazione disponibile. Per questo abbiamo deciso di ovviare alla carenza di tempo, all’indifferenza e alla diffidenza trattando argomenti che per noi sono importanti. Speran-do che diventino importanti per tutti.La scelta di pubblicare con cadenza fissa un giornale universitario, per di più in facoltà non prettamente uma-nistiche, come qui al Politecnico, non è banale. Non volendo relegare il ruo-lo formativo dell’università al solo ambito scientifico e professionale, un canale destinato allo scambio delle

idee, al confronto e al dibattito è vi-tale. Il Lanterna ha viaggiato per 40 edi-zioni su due binari: il finanziamento da parte del Politecnico di Milano (dunque anche da parte degli studen-ti), che ha garantito la continuità del progetto e la redazione che l’ha fatto evolvere durante tutti questi anni. Non è facile mandare avanti un gior-nale con un ricambio generazionale cosi frequente, capace di adattarsi alle esigenze di ogni periodo attra-versato dall’università e dalla società italiana negli ultimi 16 anni.Il punto di forza del Lanterna è pro-prio questo: viene pubblicato dagli studenti per gli studenti, rimanendo un contenitore del libero pensiero, uno spazio dove coltivare la democra-zia, un occhio critico nei confronti di tutto e di tutti e soprattutto un’agorà moderna per gli studenti. E adesso? Il traguardo raggiunto per noi è un nuovo punto di partenza, se vuoi scrivere un articolo o proporre una tua creazione, trovi i nostri con-tatti in retrocopertina.Buon Lanterna!

EDITORIALE

di Shendbart Dalani

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Primi giorni di settembre. Spolverando i conti dei fondi europei ci si accorge che le borse Erasmus per il secondo semestre sono scoperte. Scoperte come quando credi di avere i soldi per un caffe, frughi nelle tasche e sconvolto dal nulla fissi la macchinetta. Scoperte come quando scopri il bosone di Higgs e quasi ti staccano la corrente (si,stava per succedere davvero). Sono scoperte.In una manciata di giorni l’ ESU (e UDU in Italia) lanciano l’allarme, la stampa lo raccoglie: serve una misura correttiva al bilancio europeo, e serve presto. Dietro queste decisioni ci sono complessi (dis)equilibri che si possono figurare come tavoli a cui siedono vari attori (Europa, nazioni, a volte regioni) tutti concordi che l’ educazione pubblica e il diritto allo studio vadano sostenuti, in particolare concordi che qualcun altro debba farsi carico del peso finanziario. Ma bene o male il buco é stato tappato e la parte scoperta per quest anno è sufficientemente contenuta da auspicare che sia coperta da istituzioni locali.Trovo piuttosto interessante quello che è successo mediaticamente nel mentre. Il programma Erasmus,

oramai venticinquenne, è balzato all’occhio (spesso distratto) e sulle labbra dei giornalisti, commentatori e opinionisti. Una tra le prime correnti di pensiero sostiene che l’Erasmus sia inutile, in quanto gli studenti perdono tempo e al ritorno si ritrovano a dover recuperare esami. Essa dimostra una profonda ignoranza dei meccanismi degli scambi internazionali e delle loro reali problematiche. Sebbene nella teoria sia possibile convalidare in maniera fluida gli esami fatti all’estero con esami equipollenti (stesso “tema” con pari numero di crediti), la discrezione dei singoli atenei risulta spesso in atteggiamenti cauti: convalidare significa risostenere l’ esame in Italia. Chiaramente la struttura dei corsi è differente, i programmi didattici non sono del tutto equiparabili e tantomeno lo sono le esposizioni dei docenti, quindi chi va a studiare all’estero non trova un’offerta parallela a quella dell’università di provenienza. Tale diversita, non è il problema della mobilità studentesca, bensi ne è la ricchezza. La perdita di tempo e gli esami da rifare non sono conseguenza di una prolungata vacanza ma di un’inadeguatezza delle strutture universitarie a riconoscere lo sforzo (in termini di corsi e cfu) certificato da altre istituzioni. Questo è uno dei punti critici della mobilità internazionale e al Politecnico di Milano ci sono due principali strategie per ovviarlo: -La prima consiste in un archivio di corsi già convalidati con le sedi partner, e tali convalide costituiscono

La PECORa GRIGIa

ERASMUSBENE ComuNE

di Roberto Paulson

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un precedente accessibile dallo studente, aiutando a programmare i propri studi all’estero.-La seconda , piu sperimentale, è l‘accreditamento, ovvero guardare i propri corsi dall’esterno, misurarli e confrontarli con altri atenei, per conoscersi e farsi conoscere meglio. L’anno scorso la scuola di ingegneria industriale ha aperto la strada conseguendo l’accreditamento EUR-ACE e si auspica che in futuro seguano anche le altre scuole.Un’altra opinione invece equipara

l’Erasmus ad una “vacanza travestita da studio”. Scambiare lo studente in mobilità con un turistà significa chiudere gli occhi davanti a 25 anni di scambi che hanno concretizzato un’Europa che per altre generazioni è ancora astratta, rimasta sulla carta. Le recenti difficoltà economiche hanno svelato i nervi scoperti di un’unione attraversata da sottili diffidenze, crepe che ne minano la solidità culturale prima ancora che economica: il programma Erasmus è la prima memoria comune di questa comunità giovane in un continente vecchio e dal passato assai discorde. Di fronte a queste considerazioni sulla solidità futura dell’ Europa i fatti sono ancora foschi: la proposta di integrazione per coprire completamente (già coperti al 70%) gli erasmus 2012/2013 rimane in sospeso dopo l’indisposizione di Regno Unito, Germania, Svezia, Olanda e Finlandia. Del da farsi per l’anno successivo a Bruxelles (il 13 novembre) non se n’è nemmeno parlato. Invece per il periodo di programmazione strategica 2014-2020 è stato presentato un rinato programma “Erasmus4All”, ma l’ombra dei tempi incerti e le diffidenze che attraversano un Europa rigorista e un Europa coesionista rischiano di compromettere tale progetto.

Marco Astolfi - Diari dalla Bovisa - 2007

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“There’s no such thing as bad weather, just the wrong equipment”. È una frase di Baden Powell ma potrebbe benissimo rispecchiare la fi losofi a di vita del popolo norvegese. In Norvegia, infatti, nessuno guarda come ti vesti: Enzo Miccio potrebbe avere un colpo apoplettico ancora prima di sbarcare. No, i norvegesi sono così: in questa terra ghiacciata, fredda, dura, l’importante è sentirsi a proprio agio. E per farlo, le minigonne e i tacchi a spillo non sono di sicuro l’abbigliamento migliore! In questa terra “ostile”, quasi disabitata, e con un clima che farebbe scappare gli orsi polari, l’uomo deve adattarsi alla natura, e non viceversa. Non a caso, tra i negozi più popolari, ci sono quelli di equipaggiamento sportivo. Un professore di antropologia dell’Università di Trondheim ha introdotto così la sua dissertazione su usi, costumi e tradizioni dei norvegesi: “La Norvegia è una terra ‘libera’ dal punto di vista spirituale. Ci sono molte differenti confessioni religiose e, nonostante quella luterana sia la più diffusa, i norvegesi hanno un modo

tutto loro di vivere la spiritualità: credono infatti molto nella natura, e la loro preghiera si svolge in un modo personale, privato, e molto legato all’ambiente circostante, senza bisogno di particolari intermediari”.L’amore per la natura e l’ambiente circostante è quello che più mi ha colpito nei 5 mesi in cui ho vissuto a Trondheim. Unito a questo, una forte spinta a vivere il più possibile all’aria aperta, o comunque fuori dalle città. Non che le città siano le grigie metropoli a cui siamo abituati ,infatti Trondheim, una delle città più grandi, conta circa 160 000 abitanti (di cui circa 30 000 sono studenti) in parte concentrati nel cuore della città, vicino al porto e al mare, ma sopratutto sparsi sulle colline circostanti. Ma già queste realtà, che per noi sono “paesi”, a un norvegese stanno strette: uno dei modi preferiti per passare il weekend, infatti, è “scappare” nelle Hytte, le baite di montagna, e godersi due giorni lontani dalla vita “frenetica” e dal lavoro. Oggigiorno queste casette sono dotate di luce elettrica (spesso con pannelli solari e/o minieolico) e acqua corrente, ma tradizionalmente sono semplici capanne di legno con stufe e qualche scaffale spartano, materassoni per dormire col sacco a pelo e tavoli e panche artigianali. L’Università offre agli studenti la possibilità di sperimentare, nel fi nesettimana, questo stile di vita: non con le casette moderne, ma con quelle tradizionali. Sul momento, viene da storcere il naso. Ma dopo la prima “cabin trip”

ERASMUSA TRoNDHEIm

di Anna Realini

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vorrete solo farne un’altra! Andare a prendere l’acqua al torrente, cucinare sulla stufa a legna, passare la serata a parlare e fare giochi di società e la giornata a camminare immersi in un paesaggio praticamente incontaminato… Chi può resistere??Anche l’università, in Norvegia, si vive in modo diverso. I lavori da svolgere a casa sono quasi tutti di gruppo, per fare sì che si vincano le proprie debolezze aiutandosi tra compagni. Il rapporto coi docenti è poco formale, li si può chiamare per nome e non è raro vedere studenti e professori chiacchierare nel corridoio e non solo di argomenti svolti in classe. Ci sono molte opportunità di lavorare con le imprese, sia locali, sia multinazionali, e di partecipare a conferenze e convegni.Per corredare la vita universitaria, ci sono sia miriadi di associazioni (sportive, di volontariato, musicali) che “confraternite” legate alle specifiche facoltà, che permettono di riempire la giornata degli studenti. Con la tessera del CUS locale, si può accedere a qualunque palestra legata all’università, nonché si possono frequentare gratis i più svariati corsi: dall’arrampicata alla danza latinoamericana, dal judo alla pallavolo. Ogni confraternita ha una sede nei villaggi per studenti, e organizza feste durante tutto il semestre. E poi ci sono le associazioni apposta per gli studenti stranieri, che organizzano feste, gare di cucina, di ballo, eventi, viaggi: ESN ti porta a visitare le Lofoten, isole a nord del Circolo Polare Artico, con paesaggi da

Regno degli Elfi, oppure Geiranger, verso sud, Patrimonio dell’Umanità Unesco, oppure Røros, paesino di minatori dove ancora si allevano le renne lapponi! Il tutto, in compagnia di altri ragazzi da ogni parte del mondo, accompagnati da guide locali e facendo esperienze “da veri vichinghi”!I norvegesi sono però forse troppo legati alla natura da avere quasi “timore” degli altri esseri umani: è rarissimo stringere amicizia con un norvegese, ed è già molto difficile che un norvegese ti rivolga per primo la parola. Se tu li cerchi, provi a comunicare con loro, si rivelano persone squisite. Ma sarà davvero improbabile che siano loro a venire a cercare te: non lo fanno per alterigia o per superbia, lo fanno per timidezza. Il mio coinquilino norvegese, la prima sera, a cena (non ricordo se la sua cena, alle 17:30 o la mia cena, alle 19:30), mi ha detto “Ma voi italiani parlate tutti così tanto?”. E anche questo è il bello dell’Erasmus alla NTNU: l’università ti assegna, a caso, a uno dei collegi o degli appartamenti, con coinquilini scelti apparentemente senza alcun criterio. Si è costretti a vivere a contatto con culture talmente diverse che si finisce per crescere e imparare molto. Questo e molto altro è ciò che mi ha insegnato un semestre a 2500 km da casa. In una terra diversa, ma meravigliosa, che puoi solo amare o odiare. Per me è stato amore a prima vista, e non vedo l’ora di potermi permettere un viaggio alla scoperta di tutto ciò che non sono riuscita ad esplorare!

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“Ma dove vai in Erasmus?”“a Segovia”...“Bello! Non sapevo avessero attivato un progetto di scambio con l’Ucraina”...Poche persone sanno dell’esistenza, nel più profondo della Castilla y León, nei suoi vasti territori aridi e silenziosi, di questo piccolo gioiello di architettura medievale e rinascimentale.Una perla incastonata sopra un monte di roccia calcarea dalle sfumature ocra

e rosate, erosa ai margini dalla forza lenta dei fiumi Eresma y Clamores, che hanno costituito un piccolo paradiso verde di fiori e piante, che ora nella bella stagione diviene meta preferita di gruppi di studenti in vena di bottellón.In questo paesaggio essenziale, animato dalle forze telluriche che per milioni di anni hanno spaccato, sprofondato, alzato porzioni di crosta terrestre disegnando suggestive colline a scaloni, il pellegrino allora e lo studente erasmus ora non possono che rimanere catturati dal profilo che svela la città da lontano.Profilo delineato dalla Cattedrale, dalle forme nobili dell’Alcazar, dall’Acueducto romano che con la sua scansione gigante di ombre intesse

ERASMUSA SEGoVIA

di Veronica Frattini

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la sottile decorazione cangiante di plaza Azoguejo, imprescindibile punto di riferimento dove ci si ritrova alle undici di sera e dove c’é sempre qualcuno ad aspettare e qualcuno che arriva in ritardo (i famosi orari spagnoli).Non se la scorda chi ha visitato la città in occasione di qualche festa, come ad esempio in occasione del Titirimundi, un festival internazionale di musicisti e artisti di strada che ogni anno sceglie come scenario le sue piccole e grandi piazze, i suoi Paseos e le sue vie.Vie calcate, centinaia di anni fa, dai passi di monaci, artigiani, mercanti castigliani, ebrei e musulmani. Viuzze che si snodano dall’Acueducto a Plaza Mayor per poi perdersi nell’intrico di vie del Barrio Judío, tra le sue umili case in struttura portante di legno e tamponature in mattoni a vista.Qui, se lo trovi, c’é un bar: El Fogón Sefardí dove puoi gustare tapas de concha raffi nate ed economiche e se hai fortuna sentire qualche gitano tocar la chitarra al ritmo di battiti di mani, le mani al ritmo di un canto rauco e le corde vocali al ritmo del sentimento, che sgorga rojo da qualche corazón ferito.Se percorri di notte le vie strette tra i palazzi, in cui un tempo si muovevano damas y caballeros, fedelissimi a los Reyes de España e agguerriti difensori sulla frontiera muragliata della Conquista árabe/musulmana, ora non puoi non sentirti partecipe dell’atmosfera di festa degli studenti, che attraversano cantando il centro per raggiungere la calle de los bares o una delle tante discoteche lungo el

paseo o nella calle de la Luna.Per lo studente che tra un fi esta e l’altra vuole anche arricchirsi di una esperienza formativa l’Università Ie offre la possibilità di frequentare corsi tenuti in lingua inglese a contatto con studenti internazionali.Il carattere più intimo e ristretto dell’Università e delle sue strutture di servizio, le classi dal numero più esiguo di studenti, un metodo progettuale che si discosta per molti aspetti da quello cui si è abituati, tutto ciò può offrire un’interessante esperienza nel percorso formativo dello studens politecnicus.Sicuramente bisogna tener in conto di qualche diffi coltà lungo il cammino..per esempio il rigido e lungo inverno..o qualche piccolo problema burocratico (facendo le corna).. però il consiglio è cogliere il meglio che l’occasione può offrire!Carpe diem.. e Trota gnam!Mucha suerte a todos!

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Il 17 dicembre 2010, a Sidi Bouzid, il giovane Mohamed Bouazizi si diede fuoco: un gesto disperato in segno di protesta contro le ingiustizie che lo Stato tunisino infliggeva ai più deboli. Morì il 4 gennaio 2011, presso il centro grandi ustioni: da quel momento Leila Bouazizi intraprese un percorso di informazione e testimonianza per far sì che l’anima del fratello non se ne fosse andata invano. Egli, infatti, è diventato simbolo delle sommosse

popolari in Tunisia e in altre parti del mondo arabo.

Il 18 gennaio 2011, al Cairo, Asmaa Mahfouz, una blogger di 26 anni, postò un video su Youtube invitando i giovani suoi coetanei a seguirla nelle proteste in Piazza Tahrir, per manifestare contro il regime dell’allora presidente Hosny Mubarak.Il giorno dopo, a Sanaa, Tawakkol Karman, una giornalista di 32 anni, dimostrando solidarietà al popolo tunisino, chiamò a raccolta gli yemeniti per ribellarsi contro la corruzione del proprio stato.Il 15 febbraio, a Benghazi, madri, sorelle, figlie e vedove di uomini uccisi a Tripoli nella prigione Abu Salim scesero in strada per esprimere la propria resistenza al regime libico.Il 15 marzo, a Damasco, Marwa Al-Ghamian, attivista siriana di 27 anni, venne arrestata e detenuta per 12 giorni dai servizi segreti, per la semplice colpa di essere scesa in strada reclamando la libertà.

THE ARAB SPRING. LA PRIMAVERA ARABA.Così è stata chiamata la rinascita del popolo arabo: Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Bahrain, e ancora oggi Siria. Una presa di coscienza che ha portato uomini ma soprattutto DONNE a scendere in piazza per reclamare quei diritti, fondamentali ed inalienabili, che troppa gente dà ormai per scontati.

Ho detto DONNE?Sì, proprio così: DONNE. Queste

I fIORI ROSADEllA PRImAVERA ARABA di Miriam Cristofoletti

Mohamed Bouazizi

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rivoluzioni non avrebbero avuto modo di nascere, crescere e svilupparsi, se non fosse stato per le DONNE ARABE.

Sono le donne che in prima linea intonano canti di libertà, seguite poi dai cori maschili.Sono le donne che con un infinito coraggio non si preoccupano delle conseguenze, e vanno incontro a poliziotti ed ufficiali armati, munite solo di cartelloni, striscioni e fortissime corde vocali.Sono le donne che oltre a tutto il resto, aiutano e sostengono i compagni manifestanti con cibo, acqua, medicine e coperte.Sono le donne che rilasciano interviste e occupano gli obiettivi delle telecamere in diretta dalle strade e dalle capitali in fermento, per sensibilizzare il mondo alla loro situazione di fervore.Sono le donne che scrivono su internet, postano foto video e diffondono l’informazione.

In ogni paese, queste donne partecipano da dimostranti, organizzatrici, leader dei movimenti di opposizione, e come tali vengono rapite, arrestate, trattenute, stuprate, torturate ed uccise dai sostenitori dei vari regimi. L’occidente ha sempre affibbiato alle donne arabe l’etichetta di sottomesse, recluse, donne senza una vita sociale né politica, senza ambizioni, aspirazioni, sogni, progetti. Ma sono state proprio loro a rivelarsi invece il pilastro fondamentale di questa Primavera Araba. Immagini

come quella di una giovane tunisina che grida e alza un cartello con su scritto “Ben Ali, dégage-toi!”, sono finalmente impresse nelle menti di tutto il mondo.

Una nazione non può pensare di raggiungere il suo pieno sviluppo con un braccio legato dietro la schiena. La rete di conoscenze delle donne, il coraggio di scendere per strada, le voci alte e penetranti, le mani al cielo, l’intensa attività a partecipare ed emergere nella società. Questi sono i fattori che hanno influenzato la riuscita delle sommosse: per la prima volta uomini e donne hanno marciato e marciano tuttora assieme. Fianco a fianco, fratelli e sorelle, uniti, verso un’unica meta: LA LIBERTA’.

Logo commemorativo della Primavera Araba,iniziata il 18/12/2010

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Art. 11 della Costituzione Italiana - 1948 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; …”Bella, vero? Eccola qui, la nostra costituzione, a tratti fa commuovere, non trovate? Fantastico: nei primi 12 articoli (unici, a mio avviso, intoccabili) il testo identifica lo Stato Italiano, il proprio popolo, i diritti fondamentali, insieme ai doveri, e poi stabilisce subito che quella “Cosa” (appena definita) ripudia la guerra! L’art. 11 è proprio armonioso, non poteva essere preposto, poiché per ripudiare la guerra, bisogna aver definito “chi” la ripudia. Ma cosa possiamo dire oggi di questo articolo della costituzione? Possiamo piacevolmente sorprenderci del fatto che in Italia

si producano armi che arrivano nei luoghi più caldi della terra alimentando conflitti cruenti e sanguinosi e che le si vendano a paesi in guerra (cosa vietata anche dalla legge…). Possiamo dire che non esistono più le guerre, ma solo missioni di “pace”. Ad oggi (ndr 3/12/2012), infatti, i 7.811 militari italiani all’estero hanno dei fucili giocattolo con loro. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel lontano 1978, con un documento ufficiale (Risoluzione R-10/2) richiamava l’attenzione delle nazioni sull’estrema pericolosità della corsa agli armamenti e incoraggiava a compiere sforzi per porvi fine e a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’urgenza del disarmo.

TECNICAmENTECONTRO LA GUERRAdi Erica Lenzi

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Ban Ki Moon in persona lo scorso 30 agosto ha denunciato che tra il 2002 e il 2011 le spese militari sono aumentate di oltre il 50%, superando i picchi di spesa della guerra fredda. E tutto questo non si ferma, infatti in Italia, secondo quanto dettagliato dal Rapporto 2013 della campagna Sbilanciamoci!: “In tre anni, il ministero della Difesa aumenterà del 5,3% le proprie risorse, pari a più di un miliardo di euro. L’aumento è superiore ai tagli previsti dalla Spending Review per il ministero: 236,1 milioni nel 2013, 176,4 milioni nel 2014 e 269,5 milioni di euro nel 2015”.Se nelle relazioni internazionali il peso di un paese è determinato dalla quantità di armamenti di cui dispone, probabilmente c’è

qualcosa che non va nel concetto di progresso, sviluppo ed evoluzione del genere umano. Se ripudiamo la guerra, ma produciamo armi, addestriamo militari e li mandiamo pure in “missione” trovo che l’Italia abbia bisogno di chiarirsi le idee.Il popolo italiano e gli studenti cosa possono fare in tutto questo, oltre a fare manifestazioni per la pace? Io credo che qualcosa si possa fare. Molti giovani non studenti potrebbero evitare di vedere il servizio militare come un modo per sostenersi almeno per un anno e non gravare sulla propria famiglia, esiste il servizio civile! Gli “adulti” potrebbero comprendere che se si disincentiva il welfare, ma si incentivano le guerre è difficile che si possano creare posti di lavoro per scopi sociali e civili. Molti imprenditori potrebbero evitare il giro d’affari delle armi e capire che l’unico business importante per la comunità è quello delle attrezzature per scopi civili. Molti studiosi, infine, potrebbero porsi delle domande deontologiche più profonde quando viene chiesto loro di utilizzare il proprio sapere a fini bellici. Qualcuno mi potrebbe ricordare che se non ci fossero state le guerre numerose

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scoperte non si sarebbero fatte, come ad esempio la rete. Ma siamo certi che il genere umano non vi sarebbe arrivato senza una guerra, o le menti più acute vengono volentieri finanziate dall’indutria bellica? L’ingegneria aerospaziale, energetica, meccanica, fisica, informatica ed elettronica sono chiamate in causa, con i rispettivi dipartimenti. Ognuna di queste discipline fornisce laureati e ricercatori ogni anno, ma la domanda è: esistono impieghi o ricerche poco lecite tra le mura di questo ateneo? Una missione civico-politica che mi sono promessa di perseguire è quella della realizzazione pratica di un modello di disarmo per l’Italia. La Costa Rica, che ha avuto per diversi anni una serie di regimi militari al governo ha speso molte energie per re-indirizzare la spesa pubblica su questioni ben diverse dagli armamenti: politiche sociali, per l’ambiente

e per l’università. Tutto questo è possibile, è la volontà politica di un paese (governo+popolo) che determina come investire il denaro pubblico.Intanto che aspettiamo la volontà politica dei governi, l’unica cosa che possiamo fare è creare coscienza politica e civica. Perciò se sei interessato ad aprire un tavolo di lavoro insieme a me e ad altri interessati sulla tematica del disarmo scrivi una mail, puoi trovare il mio indirizzo in retrocopertina. Chiedi al tuo dipartimento scientifico di riferimento se vi sono investimenti o ricerche in corso che abbiano come obiettivo quello di ottimizzare dinamiche belliche. Proviamo a porre e porci delle domande! Non essere convinto, giovane “quasi ingegnere”, che in fondo il tuo compito sia quello di realizzare ciò che altri ti chiedono, e che il tuo compito cominci e finisca laddove queste persone ti pagano. Chiediti cosa stai realizzando, chiediti se hai studiato per migliorare il mondo o solo per mettere i soldi in banca, chiediti se le vite di altre persone sono così poco importanti da non essere contemplate nella tua parcella psicologica.

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SPAZIo GIoCHIEnigma

Inviaci la risposta a: [email protected]

I tre fortunati vincitori riceveranno un premio dalla redazione!

In un remoto e magico reame una gigantesca tartaruga decima le pecore tra i pascoli.Le popolazioni sono terrorizzate, innumerevoli vergini vengono sacrificate alla bestia per placarne l’appetito, ma è tutto vano.Il re, per porre fine alla mattanza del bestiame, invia 4 prodi cavalieri ad uccidere la creatura.I 4 impavidi, giunti nell’antro del mostro, prendono un sacco di mazzate e sono costretti a ritirarsi oltre un esile ponte sospeso sul nulla.Le ferite sono dolorose, i 4 guerrieri possono attraversare il ponte con tempi diversi: il primo lo attraversa in 1 minuto, il secondo in 2, il terzo e il quarto in 5 e in 10.La notte è buia, i cavalieri hanno con loro un’unica lanterna, senza la cui luce sprofonderebbero nel baratro. Il ponte è però fragile, e vi possono procedere solo 2 per volta, al passo del più lento.La bestia parte all’inseguimento degli eroi, ma in quanto tartaruga concede loro ben 17 minuti prima di raggiungere il ponte e farlo crollare sotto il suo imponente peso.Come faranno quindi i 4 coraggiosi cavalieri ad arrivare sani, salvi e mazziati dall’altra parte del ponte?

LA VOSTRA MORTE SARÀ LENTA E DOLOROSA.

PIÙ CHE ALTRO LENTA.di Bruno Pizziol

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CoNTATTI

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