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#26 POLITECNICO LANTERNA PERIODICO UNIVERSITARIO DELL’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA “LA TERNA SINISTRORSA” LA 133 IL DISCORSO DI BRIVIO EXPO, MILANO COME CAMBIERÀ? INTERNET E RELAZIONI SOCIALI EMIGRAZIONE DA ANNI ‘60 LA BIENNALE DI VENEZIA VIAGGIO IN GIORDANIA LA CRISI FINANZIARIA NOVEMBRE 2008

Lanterna 26

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Il 26° numero del giornalino de La Terna Sinistrorsa, il sistema di riferimento del Politecnico di Milano!

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Novembre 2008 1

#26

POLITECNICO LANTERNA

PERIODICO UNIVERSITARIO DELL’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA “LA TERNA SINISTRORSA”

La 133IL dIsCOrsO dI brIvIOExPO, mILaNO COmE CambIErà?INTErNET E rELazIONI sOCIaLI EmIgrazIONE da aNNI ‘60 La bIENNaLE dI vENEzIavIaggIO IN gIOrdaNIaLa CrIsI fINaNzIarIa

NOvEmbrE 2008

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO

Magnifico Rettore, Autorità pre-senti, professori, personale del Politecnico, studentesse e stu-denti, signore e signori: un sa-

luto ed un ringraziamento per l’opportunità che mi è data, in tempi difficili per l’Universi-tà, di esprimermi a nome degli studenti. E’ la dimostrazione che la centralità dello studen-te qui non è considerata una vuota formalità, ma un’aspirazione sincera cui tendere anche con fatica, poiché essa è presupposto per la crescita di ogni Ateneo.

In questo inizio di Anno Accademico guar-diamo senza illusioni al contesto in cui il Politecnico si trova ad operare: se fino a ieri dovevamo fare i conti con un sottofinanzia-mento strutturale, con una città non sempre in grado di sopperire alle necessità di un polo universitario, e con un pregiudizio fortemen-te radicato nell’opinione pubblica, che vede il sistema universitario come un costoso car-rozzone dallo scarso rendimento, oggi anche le politiche perseguite dai legislatori ci dicono che l’Università non è da considerarsi strate-

gicamente rilevante ai fini dello sviluppo del Paese; l’idea che i Politecnici debbano costi-tuire la spina dorsale per rilanciare l’Italia nel mondo e che la ricerca e lo sviluppo coltivati in questo Ateneo siano motori della crescita, è negata.Da studenti non possiamo che condannare i provvedimenti che hanno interessato l’Uni-versità e che penalizzano così pesantemente il Politecnico.

Sono note le necessità legate agli obiettivi di bilancio e spesa pubblica dello Stato, tuttavia appaiono del tutto incomprensibili i criteri che, non tenendo in nessuna considerazione il merito, hanno portato al taglio indiscrimi-nato delle risorse per gli atenei. Tali criteri penalizzano università caratterizzate da inef-ficienze nell’amministrazione e da una scarsa qualità della didattica e della ricerca al pari del Politecnico di Milano, ateneo riconosciuto internazionalmente per la qualità dei servizi e per i meriti nell’ambito della ricerca tecnica e scientifica, caratterizzato da un bilancio solido e dall’efficienza della sua amministrazione.

il discorso del presidente del consiglio degli studenti

di mauro brivio

magNIfICO rETTOrE...

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I tagli effettuati anche a danno del Politec-nico appaiono tanto più incomprensibili in una nazione dall’elevato deficit nella forma-zione tecnica e scientifica, quale è l’Italia.

In diverse occasioni, negli anni passati, attra-verso scelte responsabili ed impopolari, noi studenti ci siamo fatti carico della riduzione delle risorse che lo Stato ha investito nel Po-litecnico incrementando significativamente la contribuzione, al fine di mantenere inva-riata la qualità del servizio erogato; alla luce dei nuovi tagli previsti, più che mai ingenti, rivolgo a voi la stessa domanda che in ciascu-na occasione ci siamo posti: è giusto che gli studenti facciano propri gli oneri del mante-nimento di un Ateneo, a fronte di uno Stato che ne promuove il degrado?

La nostra generazione sarà chiamata a rime-diare a molti danni prodotti dalle generazio-ni che l’hanno preceduta: questo è vero per ogni generazione, ma per la nostra lo è par-ticolarmente. In passato il nostro Paese si è spesso dimostrato refrattario alla pianifica-zione; ancora oggi essa è trascurata in troppi settori, ed i governi rincorrono emergenze di ogni genere, per far fronte alle quali si ricorre impropriamente alle poche risorse rimaste integre, compromettendole.

La nostra speranza è che al Politecnico di Milano non sia riservata la stessa sorte: per questo Ateneo pretendiamo la dovuta lungi-miranza, ed in mancanza di un progetto di riforma organica e compiuta per l’Università Italiana, chiediamo almeno di non essere po-sti nella condizione di doverci difendere dai provvedimenti adottati dallo Stato nei nostri

confronti. Chiediamo regole certe, per poter pianificare il nostro futuro. Gli studenti si adopereranno affinché questo Ateneo, mal-grado tutto, prosegua nel solco tracciato e continui a formare un numero adeguato di buoni tecnici, valorizzando i migliori talenti, e a fare ricerca, attraendo giovani da tutto il Paese come dall’estero.

Questa università continuerà in ciò che fino ad oggi è riuscita a fare meglio di ogni altra università italiana; certamente sarà neces-sario rivedere le linee di sviluppo, i tempi ed i modi per conseguire gli obiettivi fissati, ed i risultati saranno evidentemente diversi, ma la sua missione non deve cambiare.

Riconosciamo il grande sforzo collettivo so-stenuto per portare il Politecnico a compete-re con le migliori università tecniche d’Euro-pa; come studenti siamo disposti a rinnovare il nostro impegno nel comune intento, se necessario rinunciando a qualcosa. Quello a cui non siamo disposti a rinunciare è ciò che a nostro avviso costituisce la vera ricchezza dell’Ateneo e che è fonte del suo prestigio e del suo successo: le persone; siano esse do-centi, ricercatori, dottori di ricerca o tecnici dell’amministrazione.

Non mancheremo di sollecitare continua-mente l’Ateneo, le istituzioni locali e nazio-nali sul tema della qualità nella didattica; e della crescita dei servizi, chiamati anche a supplire alle carenze di una città che si può dire universitaria nei numeri ma non nei ca-ratteri: in tal senso auspichiamo che dall’Ex-po possa venire una certa attenzione alle necessità dei poli universitari. Insisteremo in particolar modo sul Diritto allo Studio, poi-ché in un Ateneo che fondi il proprio operare sul merito non può non esservi uguaglianza nelle opportunità.

E’ sul merito che si costruisce la nostra idea di Università, perché esso rappresenta il mi-

“è sul merito che si costruisce la nostra idea

di Università...”

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glior modo per conciliare giustizia sociale e sviluppo.

Chiediamo che il valore del merito sia rico-nosciuto e promosso innanzitutto tra gli studenti, attraverso la serietà della didattica, ma anche tra docenti e ricercatori, rendendo trasparenti i processi di selezione e l’operato nella didattica e nella ricerca. In tal senso ri-teniamo utile esplicitare i diritti ed i doveri degli studenti così come quelli degli inse-gnanti.

Strumento indispensabile per il corretto fun-zionamento di un sistema meritocratico è la valutazione: questa deve essere applicata nell’Ateneo per elevare la qualità della di-dattica e per ribadire la responsabilizzazione del ruolo sociale della docenza universitaria, ma anche per migliorare un sistema di ripar-tizione delle risorse che valorizzi efficienza e qualità dell’insegnamento e della ricerca. Tale strumento non è da intendersi come vincolo o peggio, come condizionamento per un libe-ro insegnamento, ma come un’occasione per portare la didattica, già oggi di buon livello, ad una crescita complessiva tramite l’inne-sco di un meccanismo virtuoso: per questo è necessario che ciascuno si metta in discus-sione esponendosi al dibattito pubblico.

Coerentemente chiediamo che anche lo Sta-to non si attardi oltre ad avvalersi di un ade-guato strumento di valutazione degli atenei, affinché il merito sia assunto come princi-pale parametro per il finanziamento delle università, poiché il sistema vigente è ormai insostenibile. Per anni il Politecnico di Mila-no, in competizione con le migliori università

tecniche europee, ha trainato gli altri atenei italiani; un’ulteriore sottrazione di risorse fermerebbe questa sua rincorsa, a danno di tutta la nazione.

Infine in questa sede voglio rivolgermi agli studenti: la bassa percentuale di voto nelle ultime elezioni studentesche è soltanto l’ul-timo sintomo di un progressivo disinteresse verso la politica universitaria e per tutto ciò che apparentemente non riguarda il percor-so formativo proprio di ciascuno. Spesso le richieste di aiuto che giungono dagli studen-ti ci parlano di individui che hanno perso la consapevolezza di far parte di una comunità strutturata, non priva di regole e di un’eti-ca. Per molti di noi gli anni dell’università si appiattiscono sui calcoli relativi ai crediti, ai tempi ed ai voti necessari per conseguire la laurea.

Ma l’Università non può essere solo questo. Essa è innanzitutto una comunità umana e scientifica, di insegnamento e ricerca. Il suo compito è quello di promuovere un innalza-mento del livello di conoscenza della nostra civiltà, ed il nostro non è quello di primeg-giare sugli altri: è diritto e dovere di ognuno di noi quello di apprendere e di esprimersi al meglio delle proprie possibilità, esercitando il libero pensiero ed il senso di responsabilità sociale che deriva dall’essere persone, citta-dini e studenti.

“...per molti di noi gli anni dell’università si

appiattiscono sui calcoli relativi ai crediti...”

“In molte università, soprattutto all’estero,

gli studenti hanno un ruolo primario

nel funzionamento dell’ateneo”

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In molte università, soprattutto all’estero, gli studenti hanno un ruolo primario nel funzio-namento dell’ateneo: in Italia vi è una cultu-ra un po’ diversa, tuttavia è mia convinzione che oggi la differenza tra un’ottima scuola, qual è il Politecnico di Milano, ed una scuo-la di eccellenza dipenda anche dall’impegno profuso dagli stessi studenti tanto negli stu-di quanto nella vita collettiva.

Sarebbe per me più facile fare appello alla partecipazione necessaria in un momento meno difficile per l’Ateneo e per il Paese, ma è proprio quando le cose vanno male che c’è più bisogno di Politica, intesa nel senso più alto del termine, e di impegno civile. C’è an-cora molto da fare, ed un impegno ancor più partecipato non può che giovare agli studen-ti ed alla nostra Università.

Giunto alla conclusione, i ringraziamenti: a tutti quei docenti che si dedicano al proprio lavoro con passione e dedizione, spesso ben oltre il dovuto; al personale tecnico ammi-nistrativo, ugualmente impegnato in un la-voro indispensabile per la vita e la crescita dell’Università. Un particolare ringraziamen-to infine a chi ha creduto nell’importanza del continuo confronto con gli studenti, met-tendo noi rappresentanti nella condizione di svolgere al meglio il nostro ruolo, e a chi continua a credere in questa istituzione e la sostiene nei fatti, senza risparmiare lavoro e fatica.

Grazie e a tutti buon lavoro. <

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ATTUALITA’

O studente medio, tu che volevi for-marti presso un famoso politecni-co, tu che volevi visitare l’Europa, acquisire la conoscenza, leggere

studiare e ricercare preparati a lunghi anni di tormento.

L’Italia si sa, da qualche anno scalpita a far quadrare i conti, anzi, i conti non tornano mai, da anni si susseguono varie riforme, ogni governo, di destra o sinistra che fosse, ha imposto tagli ma mai come questa volta l’università è stata penalizzata.

Sulla legge 133/2008 si sono già espressi con estrema durezza i docenti universitari ita-liani, la Crui e tutte le categorie coinvolte, e,

come al solito , saranno i più giovani, tra cui noi studenti , a pagare il prezzo più alto in termini di formazione e servizi.

I tagli al FFO, il fondo di finanziamento ordi-nario, di 500 milioni di euro per quest’anno e per un complessivo di 1,5 miliardi di euro nei prossimi cinque, metteranno a repentaglio il funzionamento degli atenei e dei relativi servizi agli Studenti. Il necessario ricorso a finanziamenti privati legato alla necessità di sopravvivere e non alla volontà di raggiunge-re risultati comprometterà l’indipendenza delle università nella didattica e nella ricerca, col forte rischio che si creino gravi scompensi tra facoltà ricche e meno ricche e quindi Stu-denti di serie A e di serie B.

La legge 133/2008, i tagli, il blocco del Turn Over, le università-fondazione...

di michele Pizzorno

La maNOvra d’EsTaTE CHE brUCIa L’UNIvErsITà!

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Il blocco del Turn Over nelle assunzioni com-porterà un avanzamento dell’età media dei docenti e una loro diminuzione di numero con relativo calo della qualità della didatti-ca. Facciamo un esempio: nel biennio 2010-2011 per ogni 5 professori che andranno in pensione ne potrà essere assunto solo 1.Cosa comporta? Che i giovani ricercatori, che già lavorano da anni con stipendi sotto la me-dia europea, che integrano la didattica e che supportano gli studenti spariranno perché viene loro tolta la speranza di essere assun-ti nel futuro prossimo. In più chi è assunto dovrà farsi carico del lavoro aggiuntivo con relativo crollo della qualità della didattica. Ciò vale ovviamente anche per le segreterie e gli uffici che offriranno un servizio sempre peggiore.

La possibilità di trasformare le università sta-tali in fondazioni di diritto privato elimina la necessità di rispettare il limite consentito per legge della contribuzione studentesca (at-tualmente il 20% del FFO), ci sarà il costante rischio di produrre professionalizzazioni set-

toriali legate agli investimenti dei privati e il patrimonio dell’università diventerà privato, compresi i contratti pubblici dei dipendenti.

Il Poli da diversi anni sta intraprendendo una politica di razionalizzazione della spe-sa, da anni pertanto risparmiamo per poter aumentare gli investimenti per il futuro, fare ricerca seriamente, aumentare i servizi agli studenti e garantire il diritto allo studio. Fino al 2010 ce la caveremo con poco, qual-che aula resterà al caldo d’estate e alcuni edifici continueranno a perdere pezzi qua e là, come il trifoglio che doveva essere ristrut-turato anche all’interno, ma più avanti ri-schiamo di perdere anche i servizi essenziali (borse di studio, borse erasmus, mense, sedi staccate,assistenti...) . Il Politecnico ha di-mostrato che essere un’università pubblica ben amministrata è meglio che essere una privata. Questo non significa che bisogne-rebbe porre il Politecnico in una posizione differente dagli altri, ma deve comunque es-sere il primo spunto per la riflessione su una riforma del sistema universitario che risulta ogni giorno più necessaria e che sicuramen-te non può partire con un taglio importante del Fondo di Finanziamento Ordinario. L’uni-versità che questa legge disegna è molto lon-tana da quella che abbiamo in mente e in cui tutti i giorni lavoriamo affinché resti libera, democratica e pubblica. Non cadere nell’in-differenza, tieniti informato e partecipa alle nostre iniziative a sostegno dell’università.

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MILANO

Come si sa i grandi eventi interna-zionali non interessano le città e i territori che li ospitano solo per il loro fine specifico, ma se ben gestiti

sono in grado di portare anche a trasforma-zioni complessive. Per questo eventi espositi-vi, fieristici, sportivi, artistici, culturali, sono motivo di competizione fra città e regioni del mondo.

Dopo la parentesi di un’ipotizzata candi-datura alle Olimpiadi, l’amministrazione di Milano ha deciso di investire sull’expò, l’esposizione universale che viene ospitata ogni cinque anni da una città scelta dal BIE (Bureau International des Expositions), che è costituita da sei mesi di esposizioni su un tema a scelta dalla città stessa.

È così che con quel “the winner is…. Milano!” del 31 marzo 2007, l’opportunità di una nuo-va stagione per Milano si è aperta, e un’altra

si è chiusa. Si è chiusa la fase del marketing, delle negoziazioni e delle speranza. Si è chiu-sa la fase in cui bastava far vedere quanto la nostra città è bella e preparata, si è chiusa la fase in cui si poteva sognare un grande even-to che avrebbe proiettato Milano sul palco-scenico Mondiale. Per dirla con le discutibili parole del suo assessore all’urbanistica Carlo Masseroli <<Milano sta vivendo un momen-to magico>>. Ma una nuova fase per la città non è ancora aperta, ma solo l’opportunità che essa si ve-rifichi, perché niente è scontato e tutto è da costruire. Tanti sono gli interrogativi, tanti i dubbi e poche le certezze. Prima di tutto vi è il fattore tempo. Da oggi al 2015 l’amministrazione ha sei anni di tem-po per concludere tutti i principali progetti urbanistici e i cantieri delle infrastrutture in programma, e se è vero che proprio la sca-denza tassativa è determinante ad accelera-re i tempi, è anche vero che si tratta di opere

...niente è scontatoe tutto è da costruire...

di denis [email protected]

ExPO,COmE CambIEra’mILaNO?

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e progetti di grande rilevanza e impatto - an-che finanziario – per cui non è scontata la ri-uscita dell’operazione.

Anche le risorse finanziarie sono necessarie e per realizzare grandi progetti servono gran-di investimenti sia pubblici che privati. Così per costruire le principali infrastrutture dei trasporti previste e attese da tempo, sono

necessari miliardi di euro per la maggior parte pubblici, che proprio in queste setti-mane sono stati rimessi in discussione (in particolare quelli promessi dallo stato), con il rischio di non realizzare le opere, a meno di non trovare finanziamenti locali, come la vendita delle società Municipalizzate ancora in mano al comune. In particolare sono a ri-schio le due nuove linee della metropolitana in programma, la linea 4 (che andrà da Lina-te a Via Lorenteggio) e la linea 5 tra Sesto S. Giovanni e S. Siro, passando per il progetto sull’area ex Fiera. Dovrebbero invece partire i cantieri per la tangenziale est esterna, per la “Pedemontana” e la nuova autostrada Milano-Brescia.

“...Si è chiusa la fase in cui bastava far vedere

quanto la nostra città è bella e preparata...”

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I progetti urbanistici, già definiti, ma non ancora partiti sono tanto importanti quanto discutibili.Il progetto fisico per l’esposizione si inserirà in un’area oggi a destinazione agricola, an-che se abbandonata, localizzata nel comu-ne di Rho e adiacente la nuova Fiera, ma di dimensioni ancora maggiori (1.100.000 mq - corrispondenti a tre volte e mezzo il parco Sempione). In quest’area verranno realizzati i capannoni temporanei per l’esposizione e per i servizi necessari. Importante sottoline-are la temporaneità delle strutture, che per il 50 % verranno demolite al termine dei sei mesi dell’evento. Il luogo scelto, al di là del-le possibili critiche riguardo la precedente destinazione d’uso, andrà a rafforzare e trasformare un’asse – quella del Sempione – già in fase di cambiamento e sviluppo per i numerosi progetti urbani in fase di realiz-zazione sia in Milano (ex fiera, Certosa) che fuori (Nuova Fiera, Ex Alfa Romeo), fino a Malpensa. L’accordo tra comune e proprietà dell’area, che per il 30 % è privata, a dire il vero lascia un po’ perplessi, in quanto al ter-mine dell’operazione i terreni torneranno a disposizione del proprietario privato con un valore di molto maggiore, senza evidenti vantaggi per la collettività.

Gli altri progetti urbani, già previsti in pre-cedenza, sono quello della vecchia Fiera, di-battuto per le particolari architetture, ma soprattutto per l’elevata densità edilizia e i suoi impatti sulla mobilità dei quartieri vi-cini; L’area vicino a Porta Garibaldi, che ve-drà la città della moda e la nuova sede della Regione Lombardia, anch’esso con numerosi

problemi legati all’alta densità, alla scarsità di verde e alla poca attenzione agli impatti su edifici e quartieri storici adiacenti (l’Isola in particolare). Sono previste inoltre, con spe-cifico riferimento all’evento espositivo, riqua-lificazioni di elementi paesaggistici ad ovest di Milano, come i parchi e il sistema delle ac-que, con i Navigli e le altre vie d’acqua.

Infine veniamo al tema, che è di senz’altro interesse. Dal titolo “Feeding the planet – Energy for life” questa esposizione tratterà il tema dell’alimentazione. Al di là di qual-che iniziale interrogativo su chi realmente esporrà (<<ci saranno anche le multinazio-nali dell’OGM?>>) che ha portato anche a delle opposizioni, è ormai evidente che sa-ranno presenti tutti gli operatori nel settore alimentare, dal biologico all’ogm - estremi inclusi - mentre non è evidente il rapporto che si instaurerà tra l’evento e il territorio, e quindi se la città saprà attivare progetti duraturi di vario tipo legati all’alimentazio-ne anche sfruttando le proprie risorse, ad esempio – per rimanere su temi territoriali e urbani - ripensando almeno una parte del Parco Agricolo Sud Milano, oggi risorsa sot-toutilizzata dal prevalente valore paesaggi-stico-culturale.

Sono questi gli interrogativi su questa expò e sul futuro della città. Quel che è certo è che non mancano le opportunità: un expò che porti sviluppo non solo economico alla città è possibile, ma determinanti saranno le spin-te propositive dal mondo economico e dalla società civile, ma soprattutto la capacità di gestirle che dovrà avere l’amministrazione pubblica. <

“... al termine dell’operazione i terreni

torneranno a disposizione del proprietario ...”

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C’è sEmPrEmENO arCHITETTUraaLLa bIENNaLEfOTO dI LOrENzO sPINazzI E aNdrEa aPOsTOLO

ImmagINI

VENEZIA

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14 LANTERNA

MONDO

Entrata in quella casa ho sentito subito il calore di una sana accoglienza, libera da inutili pregiudizi e da infondate paure. Stavo per conoscere la famiglia che mi

avrebbe ospitato per 3 settimane, persone che non avevo mai visto prima, di cui sapevo poco e con cui avrei avuto comunque tanto da con-dividere.Mi trovavo in un Campo Profughi Palestinese, gestito dall’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire ai rifugiati Pale-stinesi quei servizi di base indispensabili alla loro sopravvivenza.Prima della mia esperienza di questa estate, non sapevo quasi nulla della situazione umana e politica creatasi dal conflitto Israelo-Palestine-se. Forse questa condizione ha giocato a nostro favore. Anche io non avevo pregiudizi o idee po-litiche che potessero offuscare la mia visuale di osservatore di una realtà così tanto differente.

Non mi soffermo qui sulle vicende politiche che hanno portato milioni di persone a dover lascia-re la loro terra natale, contro la loro volontà. Vorrei piuttosto testimoniare quelle che sono le condizioni di vita attuali delle persone che

mi hanno ospitato e che mi hanno chiesti una sola cosa alla mia partenza : “Racconta la nostra storia”.

14esima figlia e penultima, Hanadi era il mio punto di riferimento. Appena laureata, qual-che anno in più di me, ottimo inglese; si prende cura della madre malata e del fratello minore con sindrome di down. Dalle loro parti si direb-be proprio una brava musulmana.

Hanadi è figlia di due Palestinesi provenienti da Gaza, e come tutti i suoi fratelli, anche se non ha mai messo piede in Palestina, non viene ricono-sciuta come cittadina Giordana.Parlandone, a volte, mi chiedeva come mai lei non potesse viaggiare, costruirsi un futuro come altre persone in Giordania. Mi chiedeva: “Non ho mai fatto del male a nes-suno in vita mia, perché mi viene tolta a priori la possibilità di poter fare?” Io la guardavo, sen-za il velo che frettolosamente metteva appena sentiva entrare qualcuno, capelli lunghissimi, sorridente, tranquilla e non sapevo risponder-le. Non sono mai stata in Africa o in quei posti

viaggio in Giordaniadi Elena [email protected]

sTOrIEvErE

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dove le persone muoiono di fame, sono stata in un posto dove il cibo, l’acqua, non sono il pro-blema. All’interno del campo ci sono scuole, pic-coli centri per l’assistenza sanitaria, gruppi vo-lontari di donne, orfanotrofi. Dal 1948 ad oggi i campi con le tende che dovevano essere una so-luzione MOMENTANEA, si sono strasformati in delle vere e proprie città, dove è la dignità delle persone la sola cosa a non essere cambiata.

Il campo dove vivevo era abitato da 60000 per-sone, costrette a vivere in zone definite, estra-niate in parte da tutto il resto del mondo, pove-re ma non abbastanza per non farsi domande, tranquille dopo tutto perché l’articolo 22 della risoluzione 194 del 1948 sancisce il loro diritto al ritorno in Palestina. La domanda rimane quindi una sola…quando?

La madre di Hanadi sogna solo di poter morire sulla sua terra, magari a casa sua…ha quasi 60 anni ed il ricordo dell’nakba (catastrofe) è anco-ra vivo nei suoi occhi.Hanadi invece fa parte di quelle persone che hanno un legame forte con le proprie radici, ma che sono pronte, se ce ne fosse la possibilità, a

dare un futuro più sicuro alle generazioni futu-re e la loro stessi.

Uno dei fratelli di Hanadi, mi raccontava la sua preoccupazione per l’imminente nascita del primogenito. Sposato con una donna Giorda-na, dato che, come nel Cristianesimo, nelle fa-miglie Musulmane il bambino riceve il nome del padre, cercava disperato una soluzione che potesse permettere al figlio di non nascere “Pa-lestinese di Gaza.” Si è laureato con i massimi voti in Economia e Finanza. Grazie alla sua eccellente carriera Uni-versitaria ha vinto anche un Master. Adesso si trova nel mondo del lavoro da parecchi anno e non riesce a darsi pace.Mi racconta che passa con il massimo dei voti tutti i colloqui selettivi a cui partecipa. Vorreb-be anche lui, come i suoi colleghi, passare a degli incarichi di maggiore responsabilità, ma quando all’ultimo incontro deve tirare fuori il proprio passaporto e vedono il timbro “Tem-porary for 2 years – GAZA” , non viene dato più seguito alla sua richiesta di lavoro.

E così potrei raccontarvi altre storie che raccon-tano di un popolo discriminato, che però, per quanto saldamente legato alla propria cultura, si è dimostrato aperto e rispettoso della “cul-tura occidentale” che inevitabilmente mi sono trovata a rappresentare. Mi avevano detto che non avrei potuto passeg-giare per le strade del campo, non è solito che una donna non velata si aggiri tra le strade di un Campo Profughi Palestinese, ed il rischio che occidentale venisse direttamente collegato con Americano e quindi causa della loro sofferenza, era troppo probabile.Non ho voluto ascoltarli e oltre alle serate pas-sate a passeggiare, la mattina presto mi sedevo per strada ad osservare ed un giorno dei ragaz-zini sono venuti a farmi delle foto!Un giorno sono anche andata al mercato e ho potuto distendere i nervi quando, comprando un po’ di riso, il mercante mi disse “You are wel-come here”!! <

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ITALIA

Secondo i dati del rapporto annuale SVIMEZ sull’economia del mezzogior-no, i dati sull’emigrazione nord-sud profumano di anni ‘60.

L’emigrato tipo ha tra 25-29 anni , quasi la metà ha un titolo di studio medio-alto (di-ploma superiore il 36,3% e laurea il 13,1%)”. Hanno lasciato la Campania in 38000, la Si-cilia in 28000, la Puglia in 21,500, la Calabria in 17,800. Tanti, circa 151000, anche “i pen-dolari di lungo raggio che nel 2006 si sono spostati dalle aree d’origine. Nel 50% dei casi i pendolari svolgono al Centro-Nord profes-sioni di livello elevato e nel 38% mansioni di livello intermedio, a conferma del fatto che il sistema produttivo meridionale si confer-ma incapace ad assorbire l’offerta di lavoro

più qualificata”. Dati che preoccupano anche perché “la prevalente emigrazione di giovani meridionali scolarizzati, inoltre, depaupe-ra ulteriormente le possibilità di sviluppo dell’area”. Sono invece “stabili i trasferimenti Nord-Sud, fermi intorno alle 60mila unità e poco sensibili all’evoluzione dell’economia”. Nel complesso, quindi, si sono spostate dal Sud verso il Nord circa 270 mila persone, un dato certamente rilevante se si pensa che nel triennio 1961-63 di massima intensità migra-toria si trasferirono dal Sud circa 295 mila persone all’anno.

I nuovi emigranti, spesso figli di quelli degli anni sessanta, partono verso nord alla ricer-ca di posizioni lavorative più qualificate. Se

Emigrazione: ritorno agli anni ‘60...di giovanna borrello

[email protected]

PENsavamO CHE La vITa sarEbbE sTaTa UNa graN COsa

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però 40 anni fa chi partiva, riusciva a man-tenere intere famiglie nella terra d’origine, i loro figli, oggi, si scontrano con una realtà ben diversa.

Il mercato del lavoro ora è molto più labile e vischioso. Il giovane nuovo emigrante si scontra con contratti di lavoro a tempo de-terminato (nel migliore dei casi), senza di-ritti garantiti. Gli stipendi medi, anche nelle aziende più grosse, ai livelli più bassi, non su-perano i 1.100 euro al mese. Allo stesso tempo bisogna fare i conti con affitti sempre più alti (700 euro un monolocale); cui vanno ad ag-giungersi bollette, vitto e spostamenti. Non serve una calcolatrice per capire che pochi di loro riescono a far fronte a tutte le spese. Il nuovo emigrante, non solo non riuscirebbe a mantenere una famiglia a distanza, ma lotta giorno per giorno per la sua stessa sopravvi-venza. In molti casi deve quindi chiedere aiu-to ai genitori.

L’economia del nord est, al contrario di 40 anni fa, non è più fiorente e molte aziende sono in crisi. Intanto l’economia del sud, non solo non riesce ad assorbire le risorse umane più qualificate, ma non riesce nemmeno a ri-sollevarsi con la creazione di nuove attività. Nonostante i fondi della comunità europea per lo sviluppo delle aree disagiate, In un contesto di peggioramento relativo che ha riguardato anche le aree più ricche del Paese, tra il 1995 e il 2005 tutte le regioni del Mez-zogiorno sono arretrate rispetto alle altre regioni europee in ritardo di sviluppo. (dati Banca d’Italia).

Persino i giovani settentrionali, scoraggiati di fronte ad un mercato del lavoro deprimente, considerano, sempre più numerosi, l’idea di espatriare per soddisfare le proprie ambizio-ni lavorative.

Sono,da nord a sud, i figli del boom degli anni 80. Cresciuti con l’illusione che avreb-

bero potuto realizzare i sogni dei loro padri. Si scontrano invece con una realtà forse dura da accettare.

Il vero cambiamento sta nel fatto che i loro padri partivano per fame, mente oggi i figli viaggiano per compensare una frustrazione data da un mercato del lavoro che li rifiuta.L’università sforna tonnellate di persone qualificate che non vengono assorbite da un mercato sano. Le aziende possono permettersi di offrire contratti svantaggiosi e stage ad un numero sempre più grande di persone disposte a tut-to. Spesso incoscienti e incapaci di far valere i propri diritti.

Viene da chiedersi se realizzare le proprie aspirazioni, correre verso il coronamento dei propri sogni, dopo tanti anni sudati sui libri, non sia invece una corsa schizzofrenica verso il dirupo.Vale la pena lavorare 12 ore al giorno per cosa? Per il posto di prestigio in azienda? Per la posizione sociale? Può darsi, ma facendo-ci i conti in tasca, siamo davvero molto più ricchi?E se tutti, piano piano, dovessero abbandona-re la propria terra, non si lascerebbe un pae-se d’origine in balia di quelli che non hanno avuto il coraggio, non hanno l’istruzione, o semplicemente non hanno idea di cosa ci sia lì fuori nel mondo?

La rabbia per non poter realizzare le proprie aspirazioni, nel proprio Paese inizia a cresce-re. È come la rabbia del bambino nei confron-ti della mamma che lo ha abbandonato. Mi piace pensare, però, che forse il ciclo si può invertire. Che magari invece di inseguire il posto di prestigio (sottopagato) nella ditta prestigiosa, ciascuno di noi si rimbocchi le maniche per trovare soddisfazione nel pro-prio operato e non nel posto dove lavora.Forse dovremmo sederci tutti allo specchio e raccontarci come stanno davvero le cose. <

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ATTUALITà

Perché una crisi immobiliare in Ame-rica provoca tutta questa turbolenza sui mercati? Perché ci sono cosi tanti fallimenti di banche di ogni genere e

grado, intermediari finanziari, istituti di as-sicurazione? Cos’è l’economia di carta di cui i giornali parlano?

Ci troviamo di fronte non allo sgonfiamento di una bolla, ma ad una crisi strutturale che parte da molto lontano. Parte dall’enorme debito americano sia pubblico che privato, dal non aver ridistribuito i proventi della cre-scita economica e dal deficit tra PIL e reddito che esiste nei paese occidentali (nel 2006 il PIL americano era pari a 13 mila miliardi di dollari mentre il reddito era di 9 mila).

Quindi in che modo gli americani hanno con-servato il loro stile di vita e la loro innata pro-pensione al consumo? Indebitandosi sempre più tramite l’utilizzo di carte di credito revol-ving (anche più di una!), la rateizzazione, il microcredito e il rifinanziamento dei mutui (se un immobile del valore di 200 mila euro si rivaluta di 50 mila euro è possibile incas-sare questi ultimi e modificare il valore com-

plessivo del mutuo a 250 mila euro).Sta di fatto che il popolo americano si trova-va con un debito (privato e pubblico) che nel 2006 superava di 3 volte il PIL e del 540% il reddito disponibile vivendo quindi di gran lunga al di sopra delle proprie possibilità.

In questo ambiente “da fame di credito”, so-prattutto in questi ultimi 5 anni, ci si è trovati un quadro regolatorio sempre più permissi-vo, un costo del denaro molto basso (costava poco indebitarsi) ed un sistema bancario ai cui vertici si trovava una generazioni di ban-chieri avidi. Perché avidi? Perché il banchiere tradizionale prende il denaro sulla fiducia e lo presta a rischio, quindi un buon banchiere è colui che sa valutare il rischio.

Questa generazione di manager, grazie ad una nuova tecnica operativa OTD (originate-to-distribute Model), fin tanto che la fiducia nei mercati era alta ha dato credito anche a persone con scarse garanzie scaricando il ri-schio a terzi. Una banca costruiva dei prodot-ti finanziari costituiti da debiti di vario gene-re (quote di mutui, prestiti di carte di credito, etc.), molto appetibili per gli investitori alla

La CrIsIfINaNzIarIa

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ricerca di alti rendimenti, impacchettandoli e rivendendoli.

Oltre a questo meccanismo vi è stato l’ec-cessivo uso degli strumenti derivati, titoli il cui valore di mercato è derivato da altri ti-toli sottostanti quotati su altri mercati, che possono essere usati o come copertura del rischio (in un portafoglio di titoli è possibi-le comprare un derivato che si apprezza nel caso in cui il portafoglio vada in perdita, fun-gendo da assicurazione) o per fini speculativi grazie all’elevata volatilità. Un’interessante caratteristica degli strumenti derivati che ci permette di capire l’irrazionalità di questo momento, è quella di utilizzare l’effetto leva, cioè di poter movimentare e negoziare gran-di somme di denaro avendo la disponibilità solo di una piccola parte di esse. Si stima che ci siano in circolazione oltre 300 trilioni di dollari in prodotti derivati.(grazie alla leva è possibile comprare o vendere 1 milione di dollari avendone a disposizione solo il 5%, 50 mila dollari. Se i titoli acquistati si rivalute-ranno del 2%, l’investimento avrà effettiva-mente fruttato il 40%).

Questo mix ha provocato un’enorme quan-tità di liquidità basata però su fragili fonda-menta, non a caso si è sviluppato un merca-to di strumenti derivati (CDS Credit Default Swaps) che venivano utilizzati proprio per tu-telarsi dal rischio di un mancato pagamento. Questo castello di carte sembrava reggere e dava l’impressione che il rischio fosse ripar-tito tra diversi soggetti, ma quando il costo del denaro è aumentato e di conseguenza i mutui a tasso variabile sono saliti, un’enor-me quantità di persone non era più in grado di pagare il debito e gli strumenti finanziari legati ai mutui (per esempio i CDO: Collate-ralized Debt Obligations) sono entrati in crisi e con questi tutti gli altri prodotti della fi-nanza strutturata. Le banche si sono trovate con un enorme quantità di questi titoli che non avevano più valore.

Così il 9 agosto 2007 l’avidità si è trasformata in paura e il mercato interbancario, che fun-ge per il sistema capitalistico come il sistema circolatorio per il corpo umano, si è congela-to, le banche hanno perso la fiducia reciproca e il castello di carte che avevano costruito è crollato. <

di Jacopo [email protected]

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MILANO

Nel 1555, papa Paolo IV descriveva come “oltremodo assurdo” che gli ebrei potessero “ingiuriare” i cristiani vivendo indistintamente

nei pressi delle chiese, prendendo in affitto delle abitazioni nelle zone centrali delle cit-tà, ed acquistando immobili di proprietà. Si risolse dunque ad emanare un vasto decre-to pontificio (Cum nimis absurdum), che tra l’altro obbligava le persone di fede ebraica ad indossare un distintivo giallo, ad edificare un solo luogo di culto in quartieri separati dalla popolazione cristiana - i famigerati ghetti - ed a redigere i documenti relativi all’ammi-nistrazione sinagogale in lingua italiana o latina.

Tali provvedimenti rappresentarono la più compiuta espressione legislativa di un lungo processo di disumanizzazione di un gruppo religioso, che fino a partire dalla predicazio-ne di alcuni Padri della Chiesa aveva indicato negli ebrei “gente rapace, bugiarda, ladra ed omicida (Giovanni Crisostomo; Omelie IV,1); serpenti la cui preghiera è un raglio d’asino (Girolamo); razza di vipere, oscuratori della mente, lapidatori, nemici di tutto ciò che è

bello (Gregorio di Nissa)”, i cui luoghi di cul-to sarebbero stati “caverne di ladri e tane di bestie rapaci e sanguinarie (cit; Omelie I,2)”. Gli effetti concreti di queste affermazioni, che interesseranno ancora drammatica-mente tutta l’età moderna, durante il basso Medioevo assunsero addirittura i tratti della psicosi collettiva: “Con il passare del tempo, l’ossessiva predicazione degli ordini mendi-canti contro gli ebrei “assassini” fissò a tal punto nella mentalità comune lo stereotipo dell’ebreo diabolico che neppure l’autorità del papa fu più in grado di tenere sotto con-trollo le sanguinose conseguenze dell’odio popolare” (Ghiretti, Storia dell’antigiudai-smo e dell’antisemitismo; ed. Mondadori, pp.99).

Benché la Chiesa Cattolica abbia perlopiù lar-gamente superato, ormai da diverso tempo, queste dure espressioni di intolleranza - pri-ma col Concilio Vaticano II, poi col pontificato di papa Wojtyla - la sostanza di queste stesse espressioni è ben lontana dall’esaurirsi. Essa ha soltanto mutato interprete e obiettivo po-lemico, nella retorica discriminatoria come nel pregiudizio popolare. Nel 2008, in una vera e propria traduzione del sentimento antisemita, alla figura dell’ebreo “assassino ed infanticida” si è infatti sosti-tuita quella del musulmano “terrorista e ta-gliagole”; il “giudeo bugiardo e demoniaco” ha fatto posto al “dissimulatore islamico ne-mico della democrazia”. Oggi non è dunque

di [email protected]

IL NUOvOaNTIsEmITIsmO

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un “complotto ebraico mondiale” (cfr. Proto-colli dei Savi dei Sion) a dover turbare le notti delle persone perbene, bensì una silenziosa, strisciante “invasione islamica” (Bat Ye’or, Eurabia; 2005); alla medievale minaccia ebraica di avvelenamento dei pozzi, oggi si è succeduto il pericolo della contaminazione di interi acquedotti da parte dei musulmani (Allam, Corriere 5.7.08). Affermati esponenti politici ed influenti opinion makers non han-no alcuna difficoltà a definire i musulmani come “un tumore da estirpare” (Gentilini); luridi cornuti, che evocherebbero la necessi-tà di una pulizia etnica (Borghezio)”.

La polemica islamofoba si fa, se possibile, ancor più virulenta nei confronti dei luoghi di culto islamici: moschee e centri di cultura islamica sono indistintamente, esplicitamen-te esecrati come “centri d’affari, dove si ripa-rano tutti i terroristi, e dove si architettano programmi per distruggere la nostra civiltà, la nostra tradizione, la nostra religione (Gen-tilini); migliaia di focolai di cellule terroristi-che (Taormina, secondo cui “tutti i musul-mani dovrebbero essere cacciati dall’Italia”); luoghi di indottrinamento ad un’ideologia di

odio, violenza e morte, che tramite un lavag-gio del cervello trasforma le persone in robot della morte (Allam, Il Gazzettino 22.6.08)”.

Le prime espressioni legislative di questo processo di discriminazione di un determi-nato gruppo religioso, ancora una volta, non hanno infine tardato a manifestarsi. In ambito nazionale, Roberto Cota - capo-gruppo leghista alla Camera - ha presenta-to una proposta di legge (n.1246/2008) “per arginare la proliferazione in casa nostra delle moschee, luoghi politici e simbolici di una civiltà che ha avuto un percorso di 1400 anni in antitesi alla cultura occidentale, spesso luoghi militari, teatro di eventi rac-capriccianti (Repubblica 11.9.08)”. In quanto “luoghi di culto di una religione che non ha (ancora) sottoscritto Intese con lo Stato”, solo le moschee subiranno specifiche restrizioni legislative; queste andranno dal “divieto di attività non strettamente collegate all’eser-cizio del culto, ivi comprese l’istruzione e la formazione a qualunque titolo esercitate (art.4/4e)”, al “divieto di lingue diverse da quella italiana in tutte le attività pubbliche che non siano strettamente legate all’eser-4

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cizio del culto (4/4f)”. Soltanto le moschee non potranno situarsi entro “il raggio di un chilometro (3/1b)” da edifici legati ad altre confessioni religiose; sarà genericamente vietato “l’utilizzo in luoghi aperti al pubbli-co di strumenti per la diffusione di suoni o di immagini da parte di confessioni o asso-ciazioni religiose che non abbiano stipulato un’Intesa con lo Stato (3/1c)”. L’approvazione per l’edificazione o la ridestinazione d’uso d’una moschea sarà demandata all’arbitrio delle singole Regioni, e sottoposta ad avallo referendario (2/1); guide di culto e catechisti dovranno iscriversi in appositi registri presso il Ministero dell’Interno (4/2).

A Milano - “vera capitale della ‘Ndrangheta”, secondo il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, dove tuttavia ci si è finora rifiutati di creare una commissione di controllo per gli appalti del prossimo Expo 2015 - l’estate scor-sa il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha ritenuto opportuno intervenire in prima per-sona per sgomberare un tratto di marciapie-di in viale Jenner: l’atavica carenza di spazio del prospiciente Istituto Culturale Islamico costringeva alcuni fedeli ad occuparne una porzione per circa due ore alla settimana, durante la preghiera del Venerdì. Nel corso degli anni, l’Istituto ha ripetutamente inol-trato diverse comunicazioni e richieste di as-sistenza alle autorità comunali, ed ha versa-to caparre per diverse migliaia di euro, nella ricerca di una sistemazione più adeguata; i suoi sforzi, tuttavia, hanno incontrato soltan-to una consapevole, ideologica irresponsabi-lità istituzionale, la mercantile sordità delle forze politiche, ed una legge regionale ad hoc, destinata di fatto ad intralciare proprio i tentativi di trasferimento dei centri islamici (L.R.12/2005 art.74/4.bis, il cui autore, Davide Boni, aveva invocato la “chiusura di tutte le moschee” e “la schedatura obbligatoria per tutti coloro che frequentano le moschee”). Secondo il vicesindaco di Milano, De Corato, la prossima sede dell’Istituto Culturale dovrà

sorgere “fuori della città, in una zona non ur-banizzata, non residenziale e non commer-ciale”.

Oggi, diversi attori politici e culturali invoca-no garanzie di sicurezza e legalità, ma al con-tempo profondono il più grande impegno nell’intralciare - culturalmente e giuridica-mente - il concreto percorso di partecipazio-ne e responsabilizzazione dei centri islamici. Rappresentanti delle istituzioni gareggiano per negare con altisonante fermezza quei fi-nanziamenti pubblici che i musulmani non hanno mai domandato, per opere che le co-munità islamiche hanno ripetutamente as-sicurato di poter (difficoltosamente) pagare di tasca propria. Numerosi esponenti politici esigono per l’apertura di un luogo di culto quelle consultazioni referendarie, che s’im-pegnano invece ad osteggiare accuratamen-te, in occasione dell’ampliamento di una base militare (Vicenza) o della costruzione di un nuovo inceneritore (Milano).

Domani, i programmi di integrazione lingui-stica, di welfare di base e di avviamento al lavoro - tuttora parte integrante delle prime attività dei centri islamici - potrebbero esse-re proibite, e costrette a cessare. Le comunità islamiche dovranno forse adeguarsi - quasi cinque secoli più tardi, e nell’ambito della legislazione di uno Stato laico - alle mede-sime restrizioni che una bolla pontificia im-pose precedentemente alle stesse comunità ebraiche: dalla segregazione dei luoghi di culto rispetto al resto del corpo cittadino, all’imposizione per legge di una lingua da adottare nell’ambito delle proprie attività. Dopodomani, infine, potrebbe dunque veni-re il momento del distintivo giallo? <

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Come tutti forse non sanno in Italia il comico di professione Beppe Gril-lo, ha fatto molto parlare di sé, ma non per quello che fa nella sua vita

privata, ma perché riesce, chissà poi come, a raggiungere informazioni interessanti e poco diffuse su personaggi “importanti”.Fa un gran parlare di se anche per il modo in cui decide di condividere queste infor-mazioni con il popolo. Questo però mi sem-bra un punto secondario ed oggettivamen-te personale e discutibile. C’è chi preferisce toni pacati ed educati e chi non ci bada poi tanto. Segno di libertà.

Quindi, messe da parte le questioni legate allo stile, cosa viene detto sulla sostanza delle sue affermazioni? Perché le sue af-fermazioni scuotono parte dell’opinione pubblica? Certo per essere un comico è sicuramente un comico ben informato. ... cOnTInUa

L’argomento di questo numero del “Lanterna” è “Il cambiamento” intorno a noi sono in atto una svariata serie di trasformazio-

ni che riguardano l’ambiente, la politica, l’economia, la società. Tutto cambia, muta, si evolve e noi quasi non ci rendiamo conto di questi cambiamenti. Alcune di queste trasformazioni sono positive mentre altre sono negative o hanno entrambi i lati della medaglia ,sta a noi decidere se sono favore-voli o meno,se possiamo utilizzarle a nostro vantaggio o rifiutarle e persino combatter-le. Con l’arrivo di mezzi tecnologici evoluti nel campo della comunicazione si è potuto cambiare il modo in cui ci si relaziona con il mondo. In questo secolo e negli ultimi di quello passato, è iniziata una nuova tra-sformazione sociale di uguale importanza se non superiore alla trasformazione socia-le ed economica che si è creata con l’arrivo dei mezzi di trasporto ... cOnTInUa

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SOCIETà

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Lanterna è solo una delle tante iniziative e produzioni de “La Terna Sini-strorsa”: il gruppo dei rappresentanti degli studenti del Politecnico di Mila-no che riunisce tutti gli studenti di sinistra che vogliono vivere l’università in modo attivo e propositivo.

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dOvE sIamO LEONardO: aule rappresentanti (vicino v.2)bOvIsa-Lamasa: aula rappresentanti accanto alla CLUPbOvIsa-dUraNdO: aule rappresen-tanti vicino all’ovale

rIUNIONI Tutti i mercoledì alle 18 nell’aula Terna in Interfacoltà a Leonardo

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rEdazIONEmichele Pizzorno, Elena argolini,denis gervasoni, Lorenzo spinazzi,Lorenzo salciccia, giovanna borrello,Jacopo saldini

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