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••• Approfondimenti ••• © 2018 Rivista Tramontana – Tutti i diritti sono riservati 1 Le criptovalute: origine, caratteristiche, criticità e futuro di William Vittore Longhi Storicamente, la moneta esiste per assolvere a una serie di funzioni fondamentali per il corretto svolgimento delle at- tività economiche, commerciali e finanziarie. La moneta è infatti allo stesso tempo un mezzo di scambio per le operazioni di compravendita, un mezzo di pagamento per i tributi da versare periodica- mente alle casse dello Stato, l’unità di conto per i prezzi dei prodotti e per i calcoli contabili e una riserva di valore per aumentare la domanda di beni futuri attraverso il risparmio. Tante funzioni, tutte delicatissime. La capacità del denaro di assolvere correttamente e in modo durevo- le a tutte queste funzioni determina il suo valore effettivo e la fiducia con cui verrà accettato e utilizzato nella società. Ma come fanno le monete ad acquisire e conservare la fiducia del pubblico? Tutte le va- lute più importanti oggi sono monete fiduciarie e per questo motivo definite fiat. Questo significa che si tratta di valute non coperte né convertibili in beni reali dal valore intrinseco, come i metalli preziosi (corso forzoso) e che la popolazione che risiede sul territorio in cui circola una determinata moneta è tenuta ad accettarla per gli scambi e i pagamenti di qualunque natura (corso legale). L’offerta di questo tipo di moneta al mercato è gestita, su delega da parte dei governi nazionali, dalle banche centrali, secondo obiettivi e con un grado di indipendenza variabili da stato a stato. L’euro, da

Le criptovalute: origine, caratteristiche, criticità e futuro

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Le criptovalute: origine, caratteristiche, criticità e futuro di William Vittore Longhi

Storicamente, la moneta esiste per assolvere a una serie di funzioni fondamentali per il corretto svolgimento delle at-tività economiche, commerciali e finanziarie. La moneta è infatti allo stesso tempo un mezzo di scambio per le operazioni di compravendita, un mezzo di pagamento per i tributi da versare periodica-mente alle casse dello Stato,

l’unità di conto per i prezzi dei prodotti e per i calcoli contabili e una riserva di valore per aumentare la domanda di beni futuri attraverso il risparmio. Tante funzioni, tutte delicatissime. La capacità del denaro di assolvere correttamente e in modo durevo-le a tutte queste funzioni determina il suo valore effettivo e la fiducia con cui verrà accettato e utilizzato nella società. Ma come fanno le monete ad acquisire e conservare la fiducia del pubblico? Tutte le va-lute più importanti oggi sono monete fiduciarie e per questo motivo definite fiat. Questo significa che si tratta di valute non coperte né convertibili in beni reali dal valore intrinseco, come i metalli preziosi (corso forzoso) e che la popolazione che risiede sul territorio in cui circola una determinata moneta è tenuta ad accettarla per gli scambi e i pagamenti di qualunque natura (corso legale). L’offerta di questo tipo di moneta al mercato è gestita, su delega da parte dei governi nazionali, dalle banche centrali, secondo obiettivi e con un grado di indipendenza variabili da stato a stato. L’euro, da

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questo punto di vista, rappresenta senz’altro un esperimento ardito di valuta gestita da un’autorità centrale – la Bce – su delega di ben 19 Stati dell’Unione europea. Ma anche l’euro, per quanto originale, è una moneta fiduciaria gestita da un’autorità centralizzata che, a sua volta, è sottoposta al controllo delle istituzioni europee, seppur nel rispetto della sua piena indipendenza. Insomma, dove c’è una moneta, lì c’è uno Stato che ne controlla di-rettamente o indirettamente l’offerta. La fiducia del pubblico per queste monete viene quindi, in un certo senso, imposta dall’alto. Siamo quindi portati a supporre che per avere una moneta che svolga adeguatamente tutte le sue funzioni tipiche sia necessaria un’autorità centrale capace di fare in modo che il pubblico dei con-sumatori, degli investitori e dei risparmiatori abbia fiducia nellʼusarla per i suoi vari scopi. Da alcuni anni tutto questo è stato rimesso in discussione dal combi-nato disposto dell’evoluzione tecnologica e dalla fervida fantasia im-prenditoriale di alcuni soggetti capaci di vedere possibilità infinite di guadagno lì dove altri vedevano solo bit. In principio era il bitcoin, appunto. Il bitcoin è una valuta digitale, o moneta virtuale, o cripto-valuta nata nel 2009 e ancora dominante nel turbolento mondo delle cryptocurrencies. Ma di cosa si tratta in concreto? Cosa caratterizza queste valute non statali?

Principali caratteristiche delle criptovalute Virtualità assoluta Di fatto, una criptovaluta è una moneta esistente solo nella sua di-mensione digitale, ed è pertanto priva di una qualunque forma fisica, come per esempio quella cartacea tipica delle valute tradizionali. Infatti, le criptovalute vengono create e possono essere conservate e scambiate esclusivamente in formato digitale. Base fiduciaria Le monete digitali sono inoltre prive di qualunque aggancio ad altri beni che abbiano un valore intrinseco (come i metalli preziosi) e cir-colano quindi solo su base fiduciaria, ovvero grazie alla fiducia che gli utenti attribuiscono loro. Nulla di nuovo, in realtà: come abbiamo vi-sto, tutte le monete più importanti oggi – cioè le monete statali tra-dizionali – circolano solo su base fiduciaria. Ma c’è una differenza di fondo tra la base fiduciaria delle monete statali e quella delle valute

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virtuali come il bitcoin: nel caso delle criptovalute la fiducia emerge in modo spontaneo, sul mercato, tramite l’interazione tra domanda e offerta, e non viene imposta dall’alto dal potere statale. Ma è una fiducia stabile, destinata a durare? Per rispondere a questa domanda, la storia offre qualche episodio istruttivo. Bisogna ricordare, infatti, che una situazione simile si è già verificata in passato, quando gli Stati si occupavano esclusivamente di coniare la moneta metallica, mentre c’erano istituti privati che stampavano la carta moneta, tipicamente garantita da riserve in metalli preziosi. Proprio questa cartamoneta privata sarebbe divenuta progressivamente moneta circolante su ba-se fiduciaria. Ne seguirono bolle finanziarie e fallimenti in serie che indussero i poteri statali ad appropriarsi integralmente della preroga-tiva di creare e offrire moneta al sistema economico. I vecchi istituti di emissione privati, tramite successivi processi di accentramento, di-vennero ben presto le odierne banche centrali. Siamo dunque di fronte a un periodo che vedrà esplodere nuova-mente il fenomeno della creazione monetaria da parte di soggetti privati svincolati dal potere statale? In questo caso, faranno la stessa fine, con una serie di fallimenti a catena? In fin dei conti, la base fidu-ciaria è un fattore estremamente delicato. La fiducia del pubblico può incrinarsi molto rapidamente per le cause più disparate. Soprattutto, difficilmente gli Stati continueranno a guardare con indifferenza o semplice sospetto un fenomeno che rischia di sottrarre loro la pie-na sovranità monetaria. Origine decentrata e privata L’offerta di moneta statale, cioè la sua quantità in circolazione, è de-cisa dalle banche centrali seguendo diversi obiettivi, per esempio quello di garantire l’economia nazionale dall’inflazione eccessiva e dall’instabilità finanziaria, cui si aggiunge sempre lo scopo di favori-re lo sviluppo socio-economico, supportando il credito bancario a fa-vore di imprese e famiglie e sostenendo un sistema dei pagamenti efficiente. Chi è invece che determina l’offerta di criptomonete? Con quali obiettivi lo fa? Su che cosa si basa la loro emissione? Le criptovalute sono generate da un programma decentrato e basato su relazioni peer to peer. Questo significa che il programma che con-sente di generare monete digitali non appartiene a un soggetto sin-golo, privato o pubblico che sia, ma è distribuito nella rete, senza che tra i partecipanti possano interporsi intermediari a imporre controlli. Le monete digitali sono quindi create da un vasto pubblico di investi-

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tori privati, definiti minatori, senza decisioni centralizzate, e non per realizzare obiettivi politici e sociali. I bitcoin, e più in generale tutte le criptovalute, sono però una moneta virtuale la cui quantità è limita-ta: questo significa che non è possibile generarne quantità infinite. In particolare, dal punto di vista tecnico, l’emissione dei bitcoin avviene attraverso un processo definito mining, che in Italia ha fatto nascere il curioso calco linguistico “minare”.

Minare criptovalute Per minare bitcoin o altre criptovalute è necessario risolvere com-plessi calcoli crittografici, grazie alla potenza del processore del computer e della sua scheda video. Se infatti per trovare oro e dia-manti bisogna affaticarsi molto in operazioni di ricerca e di scavo, così per generare i bitcoin è necessario svolgere un’attività che non sia troppo semplice, altrimenti la quantità di denaro virtuale rischiereb-be di esplodere rapidamente, riducendo e infine annullando il suo va-lore di scambio. Per iniziare a minare bitcoin, creandoli dal nulla, si apre un cosiddetto portafogli virtuale (bitcoin wallet), scaricando e istallando un programma specifico, per esempio bitcoin Core. Biso-gna creare un bitcoin address, che rappresenta una parte del porta-fogli destinata alle operazioni di divisione del prodotto generato. Dopo la creazione del portafogli virtuale e del suo bitcoin address, as-sociato a codici che ne consentono l’identificazione univoca e anoni-ma, si può procedere a scaricare un altro programma per collegarsi alla rete bitcoin o di un’altra criptovaluta e scaricare la relativa blo-ckchain (di cui parleremo oltre), che contiene blocchi crittografici che, una volta decifrati, permettono di ottenere la criptovaluta. Ma si riesce davvero a estrarre bitcoin o altre monete digitali con questo processo? Teoricamente sì; tuttavia questo sistema è partico-larmente complesso, consuma una grande quantità di energia a cau-sa dei complicati processi di calcolo attivati per la crittografia, e com-porta infine un elevato rischio di non generare alcun frutto. A ben vedere, assomiglia molto alla ricerca dell’oro fisico… Esistono però delle possibilità differenti da quella, così faticosa, di impegnarsi nella generazione diretta di valute digitali. Si potrebbe in-fatti decidere di associarsi a un pool di mining, un gruppo che condi-vide le forze di calcolo di centinaia di utenti sparsi per la rete, e che divide la criptovaluta creata tra tutti i membri del gruppo. In alterna-

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tiva è anche possibile acquistare direttamente criptovaluta generata da utenti più bravi e/o meglio attrezzati, utilizzando le numerose piattaforme disponibili sul mercato. In questo secondo caso si passa dal mining al trading.

Blockchain: disintermediazione tecnologica La tecnologia alla base delle criptovalute di maggior successo è però proprio il blockchain. Quest’ultimo è probabilmente l’aspetto più straordinario dell’intero fenomeno delle monete virtuali, le quali po-trebbero altrimenti rivelarsi una sovrastruttura destinata a finire nell’oblio. La blockchain (catena di blocchi) è in sostanza un registro pubblico condiviso da migliaia di computer connessi tra loro, chiama-ti nodi, criptato e teoricamente inaccessibile ai soggetti estranei al network che lo utilizza, ma accessibile a chiunque ne voglia fare par-te. Con il meccanismo del blockchain, tutti gli utenti conoscono tutto lo storico delle transazioni delle criptovalute generate e scambiate costantemente sul mercato, senza necessità di intermediari a quali pagare commissioni né di un’autorità centrale statale che ne garanti-sca l’autenticità e la validità. Le transazioni vengono registrate nei blocchi; ogni singolo blocco di dati viene poi collegato, grazie a un codice criptato chiamato hash, al blocco precedente e a quello successivo, creando in tal modo appun-to una catena di blocchi, con dati registrati non più modificabili, pro-prio perché queste informazioni non sono presenti unicamente su un pc, ma sono memorizzate contemporaneamente su più computer, in una logica di condivisione e di gestione peer to peer, cioè orizzontale e non gerarchica. Questo consente di ottenere la regolarità e la correttezza degli scam-bi, in modo che non sia un’autorità esterna e sovraordinata ai parte-cipanti a validare le operazioni di utilizzo delle monete digitali, bensì gli stessi partecipanti alle transazioni. Infatti, perché una transazione possa essere confermata, è necessaria l’approvazione di più della metà dei nodi del blockchain. In questo modo, la stessa blockchain garantisce che chi sta utilizzando per ultimo una certa quantità di criptovaluta per una determinata operazione di scambio, ne sia lʼeffettivo possessore, perché i dati storici delle operazioni precedenti legittimano quel possesso e quindi anche il suo uso successivo. È una storia condivisa che garantisce la correttezza delle operazioni future.

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La tecnologia blockchain, come si vede, potrebbe trovare in realtà molte applicazioni, ed è infatti divenuto proprio questo l’aspetto più interessante e gravido di conseguenze dell’intero fenomeno delle criptovalute: le monete virtuali potrebbero anche scomparire rapi-damente, rivelandosi l’ennesima bolla del capitalismo finanziarizzato, o subire una regolamentazione sempre più severa da parte degli Sta-ti. Ma la base tecnologica di funzionamento, la blockchain appunto, sembra destinata a ricevere maggiori attenzioni in futuro. Esempi di diversa applicabilità sono rintracciabili persino fuori dai confini delle attività bancarie e finanziarie, come lʼindustria alimentare (per ren-dere trasparente la catena che porta il cibo dal produttore al consu-matore) o il settore immobiliare (per ottenere un sistema di registra-zione e condivisione dei contratti preliminari e degli atti di vendita fi-nalizzato alla verifica della effettiva situazione di un immobile ogget-to di una potenziale transazione).

Evoluzione delle criptovalute Dopo il lancio del bitcoin nel 2009 ad opera di un personaggio di no-me Satoshi Nakamoto (quasi certamente uno pseudonimo), dato il suo successo esplosivo, le criptovalute si sono moltiplicate, tanto che, per l’azione naturale della concorrenza, il bitcoin sta ormai riducendo progressivamente la sua quota di mercato, mentre si stanno gra-dualmente affermando altre monete digitali. La forte competizione e l’evoluzione tecnologica rende il mondo delle cryptocurrencies un universo in perenne espansione: secondo coinmarketcap.com, all’inizio del 2018 erano in circolazione più di 1.500 monete digitali diverse, per una capitalizzazione complessiva che varia in modo im-pressionante di settimana in settimana. Basti considerare che a metà dicembre del 2017 era intorno agli 800 miliardi di dollari, mentre ai primi di febbraio 2018 era già dimezzata, per riportarsi poco sopra i 400 miliardi di dollari ai primi di marzo 2018. Di tutto questo valore, i bitcoin dovrebbero rappresentare una quota di mercato oscillante, secondo i periodi, tra il 35% e il 40%, confermandosi ancora la cripto-valuta per eccellenza. Per quanto ancora? Seguono di stretta misura per capitalizzazione complessiva altre monete virtuali: l’emergente ethereum, il ripple, il bitcoin cash, il litecoin e il neo, tutte monete che vantano (sempre ai primi di marzo 2018) una capitalizzazione complessiva superiore ai 10 miliardi di dollari.

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Ma perché sono nate? C’era forse una domanda specifica per un nuovo tipo di strumento di pagamento? Qualche funzione classica delle monete tradizionali non era più adeguatamente soddisfatta da parte delle valute legali controllate dagli Stati nazionali e dalle ban-che centrali? Forse tutte queste ragioni insieme, o forse nessuna di esse in particolare. Di sicuro, le criptovalute sono nate proprio nel peggiore periodo eco-nomico e finanziario dopo la crisi del ’29, una crisi da debiti privati (in Usa) e pubblici (nella Ue), che ha determinato una rapida carenza di liquidità per gli operatori economici, portando quasi tutte le econo-mie industrializzate verso una fase prolungata di recessione. Alla carenza di liquidità nei circuiti economici, con le banche che non concedevano più prestiti a famiglie e imprese, le banche centrali hanno risposto azzerando i rispettivi tassi di riferimento e aumen-tando in maniera abnorme l’offerta di moneta per le rispettive eco-nomie nazionali. In questa grande massa di liquidità aggiunta artificialmente dalle banche centrali, si è inserita, in modo progressivamente sempre più energico, l’offerta privata di monete virtuali, fino ai più recenti suc-cessi anche presso un pubblico di non specialisti. Difficile che la coin-cidenza temporale tra la carenza di liquidità e l’arrivo improvviso del-le valute digitali sia stata del tutto casuale. Cosa ci si può aspettare per il futuro? Ci sono economisti che parlano della possibilità che restino solo poche criptomonete in circolazione; altri analisti che non vedono dei limiti specifici all’espansione conti-nua dell’offerta di valute digitali, con la possibilità che queste ultime comincino a integrare una serie di servizi aggiuntivi sempre nuovi, oltre quelli di semplice pagamento e d’investimento speculativo. Insomma, gli scenari futuri non sono né chiari, né univoci. Quel che è certo è che quando una criptovaluta non riesce ad affer-marsi e consolidarsi, come è già avvenuto piuttosto spesso, il suo va-lore tende rapidamente ad azzerarsi, dato che si tratta di un prodotto completamente virtuale. In questi casi, anche il capitale investito dal-lo sfortunato risparmiatore non può che azzerarsi anch’esso. Per questi motivi, le possibilità di insuccesso e di truffe restano elevate su questo mercato.

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Punti critici delle criptovalute Minacce e opportunità per gli Stati Secondo molti, le monete digitali, con la loro logica che sa di anarchia e tecnologia al contempo, non riusciranno a tenersi a lungo alla larga dalle mire delle autorità statali, espansive per definizione. L’intero si-stema delle cryptocurrencies sembra anzi destinato a dover affronta-re, nel suo prossimo futuro, non solo i problemi tipici di un sistema tecnologicamente dinamico e turbolento, ma soprattutto l’avanzare inevitabile del potere degli stati, che vedono in questi strumenti sia delle possibili minacce alla loro sovranità monetaria, sia delle possibi-lità ancora inesplorate per aprire nuove vie di finanziamento sui mer-cati internazionali. Nel primo caso, la classica risposta statale è la regolamentazione del settore, con obblighi da osservare, tributi da pagare e divieti da rispettare, che cominciano già a fioccare in diverse giurisdizioni. In questo caso, lo scopo degli stati è quello di limitare la capacità del-le nuove valute digitali di sostituirsi gradualmente alle monete statali negli usi più comuni, come nei pagamenti e negli investimenti. Infatti, questa sostituzione progressiva non consentirebbe più alla banca centrale di controllare, su delega dello Stato, l’offerta di moneta per realizzare i suoi obiettivi sociali ed economici. Per quel che riguarda invece la possibilità di sfruttare il successo del fenomeno criptovalutario per trovare nuove modalità per finanziare le spese pubbliche, gli stati si stanno attrezzando allo scopo di emet-tere una moneta virtuale statale in competizione diretta con le valu-te digitali private. In questo caso, in prima fila ci sono soprattutto quei paesi che possono vantare importanti risorse energetiche e mi-nerarie. Infatti, questa caratteristica consentirebbe a uno stato di emettere e di far circolare una moneta statale non più su base fidu-ciaria, così come circolano attualmente tutte le criptovalute e le stes-se monete statali aventi corso legale e forzoso, ma su base reale, cioè tramite un aggancio diretto della valuta digitale a beni concreti, di si-curo valore di mercato, come gli idrocarburi o i metalli preziosi. Tra le più recenti criptovalute statali pronte a essere lanciate sul mer-cato va citato il petro, una moneta virtuale voluta dal contestatissimo presidente del martoriato Venezuela, Nicolás Maduro, proprio per contrastare il blocco finanziario e commerciale attuato nei confronti del suo paese. Lo scopo sarebbe quello di provare ad accedere

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a forme di finanziamento internazionale diverse da quelle che sono state interrotte per le sanzioni. L’economia venezuelana è infatti in ginocchio ormai da anni, con un’inflazione ben superiore al 500%, un reddito nazionale in picchiata e con un triste e continuo esodo di ve-nezuelani verso la vicina Colombia o altri paesi sudamericani, alla ri-cerca di un minimo di benessere. Per arrestare questo declino socio-economico, Maduro sembra quindi intenzionato a investire seria-mente su questa moneta digitale, alternativa a quella nazionale car-tacea e bancaria, ormai completamente priva di fiducia sia da parte dei venezuelani che dei mercati internazionali. Il petro sarà quindi agganciato a beni fisici che facciano da garanzia per il suo valore di mercato: le riserve di petrolio e di gas naturale, ma anche di metalli preziosi come oro e diamanti, di cui il Venezuela è ricco. È chiaro tuttavia che il petro non sarà né il primo né l’ultimo esperi-mento monetario statale in questa direzione. Già altri paesi ricchi di risorse naturali, come gli Emirati Arabi Uniti e la Russia, si stanno preparando a inserirsi in questo mercato con proprie criptovalute nazionali. Le inevitabili truffe Uno dei rischi cui più facilmente ci si può esporre quando si prova a investire in settori finanziari nuovi, che sembrano promettere re-munerazioni elevate, è quello d’incappare in una truffa organizzata secondo la logica del cosiddetto schema Ponzi. In uno schema Ponzi gli interessi promessi ai risparmiatori, di solito ragguardevoli e al di ben sopra della media offerta dagli investimenti alternativi, vengono pagati non grazie agli utili conseguiti tramite investimenti positivi, bensì attingendo direttamente ai capitali provenienti dagli investitori successivi. Questo tipo di operazione truffaldina ha la caratteristica di essere piuttosto semplice da organizzare, per cui ci si chiede se alcune criptovalute non siano altro che uno schema Ponzi realizzato totalmente su base virtuale. Altri sospetti di truffa potrebbero emergere guardando al fatto che l’offerta di monete digitali, pur non essendo controllata da alcuna au-torità centrale, viene sostanzialmente limitata dalla modalità com-plessa e molto costosa in termini di energia con cui si genera questo tipo di valuta. Ci si riesce con molta lentezza ed estrema difficoltà. Anche in questo caso, non sembra del tutto infondato il sospetto di possibili manipolazioni che puntino a contenere l’offerta di moneta

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virtuale, proprio allo scopo di mantenerne artificialmente elevato il valore di mercato e creare così, ad arte, un notevole e crescente in-teresse su quella moneta da parte degli speculatori, fino al crollo suc-cessivo dovuto a fattori imprevedibili. I furti in agguato Un altro rischio dei contesti completamente virtuali, è il furto infor-matico. Sono ormai numerosi gli hacker specializzati in rapine virtuali di criptovaluta. Pare che i furti effettuati finora abbiano già superato il miliardo di dollari. Sono però stime per un mercato ancora difficile da controllare nei suoi dati effettivi. Alla fine di gennaio del 2018 è stato reso pubblico il maggiore furto nella recente storia delle criptovalute: un attacco hacker alla piattaforma di scambio Coincheck, di origine nipponica, con una perdita stimata in quasi 430 milioni di euro. In Italia, nel febbraio 2018, sulla piattaforma di scambio Bitgrail, è avvenuto un attacco informatico che ha avuto come oggetto la mo-neta nano, che al momento della rapina elettronica valeva sul merca-to circa 11,5 dollari. Nano rappresenta da tempo una delle monete virtuali a maggiore capitalizzazione, oscillante quasi sempre tra le prime venti o trenta posizioni nel relativo ranking. Il furto ha riguar-dato quasi 17 milioni di nano, per un controvalore di circa 195 milioni di dollari. L’attacco è stato effettuato tramite prelievi non autorizzati sui portafogli virtuali dei clienti. Si pone chiaramente il problema giu-ridico del possibile rimborso da parte dei gestori della piattaforma agli investitori derubati. In questi casi, come del resto è effettivamen-te avvenuto, inizia uno scontro e uno scarico di responsabilità tra i gestori della piattaforma di scambio e il team che sviluppa e gestisce il protocollo della moneta digitale oggetto di furto. Le criticità geopolitiche È vero, le criptovalute sono immateriali per definizione, unicamente virtuali. Eppure, chi sviluppa i software di riferimento e crea e gesti-sce le piattaforme di scambio, ha carne e ossa. E le stesse piattafor-me per l’acquisto e la vendita delle valute digitali hanno sedi territo-riali ben definite. È quindi possibile individuare il luogo in cui questo fenomeno sempre più importante stia realizzando i suoi maggiori successi. La risposta, per ora e senza troppe sorprese, pare essere la Cina: in particolare, proprio i bitcoin vengono scambiati in larga maggioranza sulle piattaforme cinesi. Questo non significa però che Pechino sia un protagonista in positivo su questo mercato, anzi.

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Sembra che la notevole massa di scambi di criptovalute avvenga nella terra del Dragone proprio per contrastare l’ingombrante presenza del governo comunista sui flussi di capitale. In pratica, molti cinesi vedo-no nelle monete digitali, e in particolare nei bitcoin, l’opportunità di convertire i loro patrimoni e i loro guadagni espressi in yuan (la valu-ta nazionale cinese) in valute virtuali private, per impedire al governo di controllare costantemente la ricchezza prodotta dalle loro attività imprenditoriali, lecite o meno. Si tratta dunque di una fuga dallo Sta-to centrale verso un mondo virtuale, nonostante tutti i rischi presenti nelle interazioni puramente informatiche. Naturalmente, questo favorisce non solo i piccoli e medi risparmiatori, ma anche (se non soprattutto) le organizzazioni criminali, che possono godere dell’anonimato in rete per convertire e trasferire liberamente i loro ingenti guadagni da attività illecite, utilizzando proprio il mondo delle cryptocurrencies. Come si vede, quindi, nel caso della Cina, sembrano più le minacce che non le opportunità quelle attualmente emergenti dalla grande concentrazione di scambi di monete virtuali sul suo territorio. E a Pe-chino qualcuno già pensa che altre potenze (come Usa e Russia) stia-no favorendo questo tipo di attività informatiche proprio per indebo-lire l’economia cinese dall’interno. Ma a questi cattivi pensieri corri-spondono anche i sospetti delle potenze ostili alla Cina, secondo le quali Pechino, nonostante i recenti divieti, starebbe segretamente fa-vorendo questi investimenti in criptovalute da parte dei suoi cittadini per continuare a svalutare in modo artificiale la propria moneta e continuare così a spingere le esportazioni, senza per questo poter essere accusata ufficialmente di voler indebolire la valuta, violando gli accordi internazionali al riguardo. La Cina può infatti sempre ri-spondere che il fenomeno delle criptovalute non è sotto il suo con-trollo, e godersi uno yuan perennemente debole, che rende le sue merci particolarmente competitive sui mercati internazionali. Dove sia la verità è difficile accertarlo. Di sicuro, le cryptocurrencies si stanno aggiungendo come ulteriore fattore di contrasto tra le diverse potenze globali e regionali. Le criticità energetiche Una delle piattaforme più utilizzate in estremo oriente per lo scambio e per la generazione di criptovalute ha deciso di ubicare la propria sede direttamente in Tibet, non già per ragioni religiose, ma per av-vantaggiarsi dei bassi costi energetici disponibili in quel territorio. Questo vuol dire una cosa molto precisa: “minare” monete virtuali

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costa energia. Processori e schede video in azione nei pc di tutto il mondo, sia per la generazione delle criptovalute, sia per l’esecuzione di ogni singola transazione sulle monete digitali, richie-dono una quantità crescente di energia elettrica, tanto da aver creato seri dubbi sulla sostenibilità ambientale di questo settore. Questi dubbi derivano proprio dal fatto che a questa attività estremamente dispendiosa in termini energetici non pare corrispondere alcun tipo di vantaggio socio-economico reale e concreto, ma solo una serie di operazioni finanziarie a elevato tasso speculativo. Insomma, un enorme e crescente spreco di energia solo per fare soldi con i soldi, virtuali per giunta. La selezione darwiniana Come ulteriore criticità si può anche segnalare la naturale possibilità che le criptovalute, semplicemente, falliscano. Si stima, da parte del sito bitcoin.com che quasi la metà delle cosiddette Ico, Initial coin of-fering (la raccolta pubblica di fondi per il lancio sul mercato di una nuova criptovaluta) abbia mancato il proprio scopo, chiudendo l’operazione con un insuccesso. Il fallimento può avvenire già nella fase di finanziamento e lancio, o successivamente: magari a causa di truffe e raggiri, oppure perché la normale concorrenza la rende ina-deguata rispetto alle altre valute digitali già affermate.

Funzioni specifiche Criptovalute per le transazioni commerciali Per quale motivo si dovrebbero detenere bitcoin o altre valute digita-li? Innanzitutto, per la funzione più importante della moneta: come mezzo di scambio e di pagamento. Eppure, ad oggi, il bitcoin, così come le altre valute digitali, non è ancora riuscito a imporsi e diffon-dersi in maniera massiccia e omogenea come sistema di pagamento a livello globale. Questo dipende innanzitutto da limiti sociologici e culturali, ovvero dal fatto che solo una ristretta platea di persone è realmente interessata a detenere una valuta completamente virtuale e soprattutto non garantita in qualche modo da un’autorità centrale e statale che ne assicuri il valore di scambio. Ma insistono sul bitcoin e le altre monete virtuali anche dei limiti tecnologici, come per esempio il numero di transazioni al secondo, ancora decisamente inferiore rispetto ai sistemi di pagamento più diffusi al mondo (si pensi ai circuiti Visa e Mastercard).

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Va detto che proprio di recente alcune catene commerciali si stanno attrezzando sia per accettare in pagamento le criptovalute, sia addi-rittura per crearne di proprie. Si pensi ad Amazon: Rfr è la sigla che indica il refereum, la moneta digitale creata da poco tempo dal gi-gante delle vendite online fondata da Jeff Bezos. Lanciata inizialmen-te con dei notevoli limiti di utilizzo, da marzo 2018 è possibile scam-biarla su una piattaforma come okex.com. Refereum nasce però con scopi precisi: nel 2014 Amazon ha comprato Twitch, una piattaforma di streaming video, chat e altri servizi centrati fondamentalmente sui videogiochi. Con Twitch il videogiocatore ha la possibilità di trasmet-tere in diretta streaming i video delle sue performance videoludiche e magari anche guadagnare grazie per esempio alle inserzioni pubbli-citarie. Refereum è appunto la criptovaluta che può essere scambiata per ora solo all’interno di questo sistema, per poi poter essere spesa su Amazon per acquistare videogiochi. Come si vede, un uso attuale decisamente limitato, ma con potenzialità senza confini, consideran-do che stiamo parlando di Amazon. In realtà, si sta estendendo sempre più la sperimentazione sull’uso delle monete digitali nelle grandi catene commerciali. Tuttavia, fino a quando non emergerà una chiara regolamentazione dell’intero set-tore, sarà difficile assistere a una massiccia diffusione nell’uso di que-sti strumenti per le transazioni più comuni. La ragione è semplice: il rischio che la società commerciale che ha deciso di accettare le va-lute virtuali si ritrovi con grosse somme nei suoi conti esposte ad ec-cessi di volatilità nel loro valore e alla possibilità, tutt’altro che remo-ta, che lo stesso valore si azzeri totalmente nel giro di pochissimo tempo e in maniera del tutto imprevedibile. Investire per speculazione: acquistare e vendere criptovalute Ma le valute digitali rappresentano soprattutto, almeno per ora, un’occasione di investimento finanziario a elevato potenziale e, naturalmente, ad altissimo rischio. Infatti, molti operatori econo-mici non sono tanto interessati alle valute virtuali come mezzo di scambio e neanche come semplice riserva di valore, bensì soprattut-to come strumento di investimento speculativo, data l’elevata varia-bilità del suo prezzo sul mercato. Basti pensare a come le numerose piattaforme di trading esistenti attualmente, gestite da banche o da intermediari finanziari, abbiano negli ultimi anni aggiornato la propria offerta, aggiungendo anche il bitcoin e altre valute digitali tra i pro-dotti su cui fare trading online.

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Investire per speculazione: acquistare e vendere Cfd sulle criptovalute In realtà, per chi volesse provare il brivido della negoziazione sui mercati delle criptovalute, c’è anche l’alternativa dei cosiddetti mer-cati non regolamentati, dove è possibile fare trading sulle valute digi-tali, senza possederle veramente nei classici portafogli virtuali. In questo caso, lo strumento che si utilizza è chiamato Cfd, cioè con-tratti per differenza. Con questi contratti si può inserire una quantità di valuta digitale e comprare, se si prevede un aumento del valore della moneta virtuale (assumendo dunque una posizione rialzista), oppure vendere se si prevede una diminuzione del valore di mercato della stessa valuta (assumendo dunque una posizione ribassista). In questi casi sia però ben chiaro che il trader non possiede sotto nessun profilo le criptovalute, diversamente da quanto avviene inve-ce operando su piattaforme come coinbase.com; il trader sta infatti solo scommettendo su un possibile rialzo o un ribasso in maniera speculativa, provando a incassare l’eventuale differenza tra prezzo di acquisto e quello di vendita (o viceversa). Niente bitcoin in portafo-glio, insomma. Operazioni virtuali su strumenti virtuali…

La regolamentazione delle criptovalute Sotto l’aspetto giuridico, le criptovalute sono ancora non regolamen-tate sul territorio della Ue, mentre è iniziata da alcuni anni un’attività regolamentatrice in altri paesi del mondo. Bisogna infatti considerare che i paesi europei rappresentano a livello internazionale solo una frazione del trading complessivo sulle criptomonete e lì dove queste hanno trovato maggiori volumi di emissione e di scambio sono anche emerse prima le esigenze di legiferare per non lasciare il settore completamente esposto ai peggiori rischi. È anche vero che proprio questa caratteristica – l’appartenenza a un settore non ancora regolamentato dallo stato – rende le monete digi-tali strumenti di pagamento e d’investimento di facile utilizzo. In par-ticolare, l’assenza di regole risulta critica per quel che riguarda la scarsa trasparenza (soprattutto sull’identità dei soggetti emittenti e dei finanziatori delle criptovalute) e l’anonimato degli scambi; due elementi che favoriscono in modo naturale sia il riciclaggio di denaro sporco, sia il finanziamento di attività illecite. Inoltre, l’assenza o la debole presenza di regole tende a creare condizioni di instabilità,

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attirando artificiosamente flussi di capitale che altrimenti verrebbero investiti altrove e determinando in tal modo anche la formazione di possibili bolle finanziarie. In ogni caso, la Commissione Europea si sta muovendo da tempo, in coordinamento costante con i paesi del G20, allo scopo di consen-tire all’intero comparto delle valute virtuali di continuare ad esistere, purché all’interno di un quadro legislativo chiaro e possibilmente omogeneo anche a livello internazionale. Per ora, siamo ancora in fa-se progettuale, mentre in Italia si parla della possibilità di attivare un registro delle monete virtuali per sottoporre i soggetti che offrono servizi in questo settore agli obblighi previsti dalle misure antirici-claggio. Altrove ci si è mossi in anticipo: il primissimo paese a intro-durre regole nel comparto è stato il Canada, ma altri paesi, pur muo-vendosi successivamente, hanno recuperato subito il tempo perso, introducendo misure anche piuttosto forti. Oltre alla Cina, sempre in estremo oriente la Corea del Sud ha deciso nel gennaio 2018 di tassare gli scambi sulle criptovalute, vietando al contempo l’anonimato dei portafogli virtuali. Insomma, gli stati si stanno muo-vendo in ordine sparso, secondo le rispettive esigenze. Ma fino a quando non avremo regole certe e chiare, come si possono inquadrare giuridicamente le monete virtuali in Italia e nella Ue? In linea di massima, in assenza di norme e grazie agli interventi chiari-ficatori della Bce, sappiamo cosa le valute virtuali non sono: non es-sendo emesse da una banca centrale o da un istituto di credito, non possono essere sottoposte alla regolamentazione valutaria di natura pubblicistica e non sono quindi monete legali. Nemmeno possono considerarsi affini alla moneta elettronica in senso stretto, dal mo-mento che quest’ultima – emessa da istituti di moneta elettronica – trova una sua specifica disciplina nella Direttiva 2009/110/CE, che non parla di fenomeni assimilabili neanche per analogia alle criptova-lute, e non sono quindi neanche monete elettroniche. Per la Bce le valute virtuali, o criptovalute, sono in realtà semplici rappresenta-zioni digitali di un valore, ma non sono assimilabili alle monete legali né alle monete elettroniche. Sono altro. Cosa, esattamente, ce lo dirà solo il prossimo futuro.