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facoltà di architettura “luigi vanvitellicorso di analisi e tecniche di pianificazione urbanistica docente enrico formato Fondamenti, modelli, tendenze. Lezione n.6 Le radici dell’urbanistica moderna in Italia

Le Radici Dell'Urbanistica Moderna in Italia

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facoltà di architettura “luigi vanvitelli” corso di analisi e tecniche di pianificazione urbanistica docente enrico formato

Fondamenti, modelli, tendenze. Lezione n.6 – Le radici dell’urbanistica moderna in Italia

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> Le origini del disastro

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Non ci interessa parlare di Giovannoni, teorico del

diaradamento e dell’architetto integrale né trattare di Piacentini:

le vicende dell’urbanistica accademica, diretta derivazione di

quella applicata a Parigi dal barone Haussmann sono da

considerarsi non solo fuori dal tempo ma addirittura responsabili

di molti degli attuali problemi: i piani “di espansione” e

“risanamento” realizzati dopo l’Unità d’Italia (Firenze, Roma,

Napoli, ecc.) risentono di quest’impostazione retriva.

Un piano “accademico”: si noti il sistema stradale che fa da struttura all’espansione

a macchia d’olio intorno al centro antico. Su questa struttura si innesta il boom

edilizio del dopoguerra.

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> Le origini del disastro

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La città moderna densa, le cui basi sono fornite dall’accademia del periodo fascista e

la cui realizzazione avviene negli anni del boom post bellico per mezzo dei piani della “prima generazione”

di cui parla Campos Venuti, si rivela oggi il

problema più serio della città italiana, ciò

che ne asfissia le peculiarità storico-

paesaggistiche e ne rende inefficace ed

improduttiva la forma.

Verona, PRG di Marconi del 1952-53: si tratta di un piano fortemente sovradimensionato nella previsione residenziale con i quartieri dell’espansione che utilizzano il centro storico come fulcro

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> Gli esiti: la città “banale”, densa ed inadeguata

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Il quartiere del Vasto a Napoli

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> La città “banale”, densa ed inadeguata: il quartiere “Arenella” a Napoli

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Il quartiere dell’Arenella a

Napoli

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> Esperienze paradigmatiche del modernismo italiano

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C’interessa rimarcare di contro il carattere progressivo ed “eccezionale” di due esperienze italiane degli anni ‘20 e ‘30 del Novecento: 1)La bonifica “integrale” dell’Agro Pontino; 2)Il piano regolatore della Valle d’Aosta promosso da Adriano Olivetti e redatto dai BBPR con altri esponenti del movimento moderno italiano.

Si tratta di due esperienze che non solo costituiscono all’epoca il punto più avanzato ed “originale” della ricerca italiana rispetto a quella internazionale ma che a tutt’oggi presentano elementi di attualità ed interesse.

Agro pontino:

PRG della Valle d’Aosta:

per la modernità

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Agro pontino:

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> La bonifica dell’agro pontino

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Come in altre parti del mondo dopo la crisi del ‘29, il regime fascista lancia una crociata contro la concentrazione urbana, per la ruralizzazione del Paese: dal 1930 si mette in pratica, con la Bonifica integrale dell’Agro pontino, un’operazione, insieme infrastrutturale ed insediativa, che, per dimensione e qualità, può essere considerata di riferimento per l’intera parabola antiurbana del Novecento. Nell’esperienza italiana di “ritorno alla terra” – esperienza che per alcuni versi anticipa gli esiti del New Deal americano - manca completamente la previsione d’insediamenti industriali: la bonifica è esclusivamente legata all’agricoltura, mediante l’appezzamento e la concessione a coloni dei terreni sottratti alla palude, dotati di funzionali casali e inseriti in un sistema insediativo di servizio alla produzione in cui alcune attività di supporto sono organizzate su scala collettiva (i terreni, assegnati ai coloni, sarebbero diventati, dopo un certo numero di anni, proprietà privata dei coltivatori).

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> La bonifica dell’agro pontino

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L’idrovolante di Marinetti allineato sugli assi della bonifica e su Littoria (oggi Latina)

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> La bonifica dell’agro pontino

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Il sistema insediativo dei territori bonificati è schematizzabile in tre strati:

- i ‘casali’ che punteggiano gli appezzamenti; - i ‘borghi’, di servizio alla produzione agricola e con piccoli servizi collettivi; - le cinque ‘città-giardino’ che, a partire da Littoria (realizzata su progetto di Frezzoti del 1932), sono insediate nell’Agro e sui suoi bordi.

L’agro nel 1938

(disegno di A. Pennacchi,

tratto da Limes n.2/2010)

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> La bonifica dell’agro pontino

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(disegni tratti da: A.

Pennacchi, Canale

Mussolini, 2010)

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> La bonifica dell’agro pontino

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Le ‘città-giardino’ dell’Agro non vanno considerate come delle ‘città di fondazione’, ma come parti urbane di un insediamento diffuso più ampio, prettamente rurale: insediamenti di fondazione e campagna bonificata sono un tutt’uno indissolubile. Il piano di posa di questo sistema insediativo-rurale, ciò che rende ‘continuo’ ed ‘integrato’ il rapporto tra coltivazione, città-giardino e borghi di servizio, è il suolo bonificato, fatto di canali, trincee, scavi, dune e barriere frangivento: una complessa macchina idraulica che recupera all’agricoltura uno dei luoghi più arretrati e sottoutilizzati del paese.

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> La bonifica dell’agro pontino

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> La bonifica dell’agro pontino

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Il risultato finale è spettacolare, soprattutto perché è qui, nell’antica, impenetrabile ed oscura palude dei Caetani, che il concept territoriale di Howard sembra realizzarsi, con le cinque città-giardino in equilibrio con un territorio rurale di riferimento di cui diventano parte integrante: a differenza di Letchworth e Welwyn (gli esperimenti inglesi di città-giardino realizzate nel primo ventennio del ‘900), ben presto assorbite nell’orbita gravitazionale della Grande Londra, l’Agro Pontino si struttura compiutamente come un sistema autonomo, definitivamente anti-urbano ma al contempo diffusamente abitato: una visione di come sarebbe potuta incardinarsi la diffusione insediativa, non solo in Italia, sulla base di un progetto di suolo a scala geografica.

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> La bonifica dell’agro pontino

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Le cinque ‘città-giardino’ (Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia) realizzate tra il

1932 e il 1939, sono pensate e concepite in rapporto tra loro e con la campagna

bonificata in una organizzazione territoriale che si riflette anche nei caratteri

architettonici e nell’impianto degli insediamenti, non affidati (ad eccezione di

Sabaudia, progettata da un gruppo in cui spicca la figura di Luigi Piccinato) ad

architetti di fama, ma realizzati nello spirito di un pragmatismo ruralista che semplifica e

“riduce” al massimo il “rumore visivo” e la congestione urbana della città.

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> Sabaudia

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Un ritorno al medioevo, proprio come nelle garden city inglesi, solo che qui è il ‘comune’ quattrocentesco ad ispirare l’architettura urbana: gli elementi urbani della storia, ridotti a forme pure come nelle Piazze d’Italia di De Chirico, sono però composti con un dinamismo planimetrico paragonabile alle coeve composizioni di Mondrian e Van Easteren. A Littoria, ma ancor meglio ad Aprilia o Sabaudia, la sequenza di spazi pubblici centrali è fluida, le prospettive evitano gli allineamenti semplici, la stessa retorica del cardo-decumano è scomposta e traslata: la simmetria lascia così il passo alla sequenza e al percorso.

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> Sabaudia

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Tanto l’architettura della città fascista è retorica e regressiva, tanto quella

delle campagne bonificate,

probabilmente proprio per una sorta di

(fortunata) confusione tra ideologia antiurbana

ed antiborghese del fascismo delle origini e

bonifica, o anche per un’identificazione tra

“architettura funzionale” e pragmatismo agrario, è

progressiva ed avanguardistica.

Sicuramente più

avanzata, dal punto di vista della riuscita dei

modelli e della qualità degli interventi, di molte

coeve esperienze anglo/americane.

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> Sabaudia: piazza della rivoluzione

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L’ “equilibrio dinamico”

secondo Mondrian

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> L’equilibrio dinamico

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Van Eesteren, concorso per

l’Unter der Linden a

Berlino, 1925

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PRG della Valle d’Aosta:

per la modernità

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> Il PRG della Valle d’Aosta

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Un piano d’autore. Chi sono i BBPR Nel 1932, appena laureati Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers fondano lo studio BBPR a Milano. Già con le prime realizzazioni architettoniche, con l'adesione nel 1935 al CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne) e con l'attività teorica di alcuni componenti, lo studio si inserisce nel vivo del dibattito sull'architettura moderna. Il lavoro del gruppo BBPR si è caratterizzato, fino alla prima guerra mondiale, per vari piani urbanistici, tra cui il Piano Regolatore di Pavia (1932), il Piano Turistico dell'Isola d'Elba (1939), il Piano Regolatore della Valle d'Aosta (1936 - 1937), e per il rigore razionalista di realizzazioni come la Colonia Elioterapica di Legnano (1939). Nel 1947 Rogers è diventato membro del Concil dei CIAM, alla cui riorganizzazione ha collaborato intensamente. Nei CIAM Rogers ha contribuito a creare le base per la “revisione del moderno” simbolicamente rappresentata dalla Torre Velasca (Milano, 1958). In ambito editoriale, Rogers è chiamato a dirigere prima “Domus” e poi “Casabella” (che, con la sua direzione assume il suffisso “continuità”).

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> Il PRG della Valle d’Aosta

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Il piano Il Piano regolatore della Valle d'Aosta è, ancora oggi, una delle più interessanti e affascinanti proposte elaborate dalla cultura architettonica e urbanistica italiana degli anni Trenta. Elaborato fra il 1936 e il 1937 da un gruppo coordinato da Adriano Olivetti, che ne è il promotore, il Piano porta la firma degli architetti Antonio Banfi, Ludovico B. di Belgioioso, Piero Bottoni, Luigi Figini, Enrico Peressutti, Gino Pollini ed Ernesto Rogers, con la collaborazione di Renato Zveteremich, direttore dell'ufficio pubblicità della Olivetti a Milano, e dell'ingegnere Italo Lauro.

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> Il PRG della Valle d’Aosta

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Il rapporto con i CIAM: “continuità” Le vicende del Piano sono state in gran parte già ricostruite (in particolare da Ezio Bonfanti) e più volte si è messo in evidenza come sia fondato su un'imponente quantità di indagini e analisi, preliminari alla stesura dei singoli piani di intervento, e come sia figlio delle idee urbanistiche che si affermano ai Congressi internazionali di architettura moderna (Ciam), in particolare quello di Atene del 1933, dedicato alla città funzionale. E noto che i Ciam sono stati il luogo d'incontro dei più importanti protagonisti dell'architettura moderna del Novecento, da Le Corbusier a Mies van der Rohe, da Gropius a Giedion. Al Congresso del 1933 prendono parte per l'Italia, a fianco di Le Corbusier, Giedion, Van Eestern, Sert, Aalto e di 85 rappresentanti di altri 15 paesi, anche Bottoni e Pollini, delegati italiani ai Ciam e futuri coautori del Piano della Valle d'Aosta, Piero Maria Bardi, che del Piano sarà un ardente sostenitore, e Giuseppe Terragni.

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> Il PRG della Valle d’Aosta

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Il rapporto con i CIAM Alla evidente corrispondenza del Piano con alcune delle idee discusse nel corso del IV Ciam di Atene, possiamo aggiungere che i suoi principi programmatici ispiratori si ritrovano anche nelle fasi della preparazione (1936) e nello svolgimento (1937) del V Ciam di Parigi. Una parte del Piano, in particolare quella relativa a Ivrea (di Figini, Pollini e Olivetti) è infatti discussa in anteprima, nel settembre del 1936, all'incontro dei delegati dei gruppi nazionali in vista della preparazione del Ciam di Parigi dell'anno successivo, dove l'intero Piano viene illustrato da uno degli estensori, Piero Bottoni, come "Urbanesimo in montagna". Peraltro, è in quel Congresso che si affronta, per la prima volta in termini programmatici, il tema del piano regionale e si delineano gli studi che devono accompagnare un tale intervento: -analisi del sito e degli elementi naturali (con specifiche sul clima, sul territorio e le risorse del suolo, sottosuolo e naturali),

-analisi della popolazione e della sua distribuzione (con dati su popolazione rurale e urbana, suo incremento e decremento, età, lavoro e professione, densità, migrazioni),

- analisi delle realizzazioni (nei settori dell'agricoltura, dell'industria, del tempo libero e del sistema delle comunicazioni).

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Le “analisi” Il Piano della Valle d'Aosta presenta, nelle oltre 400 tavole che lo illustrano, due aspetti ben distinti. Uno è rappresentato dalla quantità di studi preliminari, che coinvolgono medici per le analisi e i dati sulle condizioni sociali della popolazione, economisti per le analisi, i diagrammi e le prospettive di sviluppo, ma anche aviatori per eseguire fotografie delle varie zone montane e rocciatori per individuare gli itinerari turistici. Tali studi preliminari sono organizzati in una serie di carte tematiche, al fine di inquadrare una regione montana nei suoi diversi aspetti - dall'orografia al clima, dalle condizioni sociali della popolazione alle risorse naturali ed economiche, dalle infrastrutture agli itinerari turistici - con l'agricoltura, i lavori pubblici, l'industria quali settori economici da sviluppare e il turismo come settore chiave per riscattare le aree montane depresse, volano della trasformazione dell'intera Valle.

Otto Neurath, grafica ed

ideologia nei CIAM

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Il “sublime”

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Analisi geografiche

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Analisi geografiche quantitative

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Analisi demografiche

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Analisi delle attività produttive

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Analisi dei flussi turistici

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Analisi della condizione abitativa

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“Il racconto urbanistico: San Giorgio contro il drago” (B.Secchi, 1984)

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Politica delle infrastrutture

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Il rapporto con i CIAM: dove inizia la “ritirata italiana dall’architettura moderna” ovvero la riscoperta delle preesistenze ambientali Tuttavia, è proprio all'interno dei Ciam che il Piano non riceve un'approvazione o quanto meno un riconoscimento. Infatti, mentre è, all'epoca, pubblicato in Italia su due delle principali riviste di architettura ("Architettura" e "Rassegna di Architettura", ma non su "Casabella") e all'estero su "L'Architecture d'Aujourd'hui", nel numero speciale dedicato a Construction en montagne, il Piano non è citato nel volume di José Luis Sert “Can our cities survive?”, pubblicato nel 1942 negli Stati Uniti e dedicato proprio ai temi urbanistici emersi in quel Ciam del 1937 dov'era stato presentato e discusso.

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La questione è, dunque: perché mai il Piano non compare nel libro di Sert e non riceve quindi il riconoscimento più ambito per i suoi estensori, che del Ciam fanno parte e nei Ciam si riconoscono? Non sembrerebbe per carenza di analisi preliminari, che sappiamo essere, almeno apparentemente, coerenti con le indicazioni scaturite dai Congressi, né per mancanza di planimetrie o diagrammi, che anzi sono un po' enfaticamente raffigurati in centinaia di tavole. Una possibile risposta al perché del mancato riconoscimento potrebbe riguardare la parte progettuale, dove si riscontra una divergenza dalle proposte di piano indicate nel volume di Sert e affidate allo zoning.

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Il progetto fu accusato dai CIAM di “estetismo” o “formalismo”, come diremmo oggi. Le Corbusier criticò in particolare il persistere di vecchie idee “italiane”, come la “strada direttrice dell’edilizia” (in relazione al piano di Ivrea). E poi, soprattutto, il legame con l’antico e con la storia. Ma come poteva essere diversamente in Italia? E’ qui che nasce la particolarità italiana del movimento moderno: quella di Rogers non fu una “revisione” ma, appunto, una “continuità”. Da cui le “preesistenze ambientali”, lo studio tipo-morfologico, la progettazione del restauro urbano. La costruzione di un’idea di paesaggio moderno non alienante, domestico, identitario, contestuale.

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> L’altra Italia. Ivrea, quartiere realizzato nei pressi dell’Olivetti su diegno di Figini e Pollini

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> L’altra Italia. Fabbrica Olivetti a Pozzuoli di Luigi Cosenza

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