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Rachlin, Harrell, Zuo: tre grandi artisti inaugurano la Stagione ottobre/dicembre 2014       S     p     e       d       i     z       i     o     n     e       i     n       A  .       P  .          D  .       L  .       3      5       3       /       2       0       0       3       (     c     o     n     v  .       i     n       L  .       2      7       /       0       2       /       2       0       0       4     n             4       6       )     a     r      t  .       1  ,     c     o     m     m     a       1  ,       D       C       B       (       B     o       l     o     g     n     a       )          B       i     m     e     s      t     r     a       l     e     n  .       4       /       2       0       1       4        a     n     n     o       X       X       I       I       I       /       B       O                2  ,       0       0 Baudelaire: la prima volta dei  Fiori  in musica Il debutto di Nelson Goerner , un pianista da scoprire

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Rachlin, Harrell, Zuo: tre grandi

artisti inaugurano la Stagione

ottobre/dicembre 201

Baudelaire:la prima volta

dei  Fiori  in musica

Il debutto diNelson Goerner,

un pianista da scoprire

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SOMMARIO n. 4 ottobre - dicembre 2014

EditorialeOggi è già domani   di Fabrizio Festa   11

58

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Per leggereGuide all'ascolto: Rosen, Rattalino, Bietti

di Chiara Sirk

Il calendarioI concerti ottobre / dicembre 2014

Da ascoltareI nuovi mondi di Zukerman, Mullova

e Brodsky Quartet  di Piero Mioli

 ArgomentiVarignana Music Festival 2014  di Vania Pedrotto

Musica e poesiaBaudelaire: I fiori del male   di Elisabetta Collina

Note d’ascolto: la parola all’abbonatoNozze di platino con Maria Trippa

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26

30

IntervisteJulian Rachlin   di Fulvia de Colle

Enrico Dindo   di Bianca Ricciardi

Nelson Goerner   di Cristina Fossati

Quartetto Brodsky - Giampiero Sobrino

di Cinzia Fossi

Pinchas Zukerman   di Anastasia Miro

32

Il profilo

Johannes Brahms   di Giordano Montecchi

34

I luoghi della musicaUn sistema armonico   di Maria Pace Marzocchi

In copertina: Julian Rachlin ( foto di Julia Wesely )8   IM   MUSICA INSIEME

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

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EDITORIALE

Fabrizio Festa

Si alza il sipario sulla nostra ventottesima sta-gione. Un risultato importante, un nume-ro che ci dice di una storia lunga e di una radice ormai profonda. Un numero che,però, non affrontiamo nella rassicurante cer-tezza della routine. Siamo al ventottesimogiro di boa, anche quest’anno salutato da un

sempre vivacissimo consenso di pubblico.Eppure, è proprio questo consenso a spin-gerci ad innovare e innervare la nostra at-tività con sempre nuove proposte. Baste-rebbe qui rammentare che, appena con-clusasi la stagione precedente, eravamo già pronti a lanciare la nostra nuova iniziativa:il Varignana Music Festival. Così l’estate bo-lognese ha vissuto un’esperienza del tuttonuova, una vera e propria scommessa: rea-lizzare sulle nostre suggestive colline, in una cornice di grande bellezza e fascino, un fe-

stival vero e proprio, cadenzato quotidia-namente per una settimana, così come ac-cade nel resto d’Europa. Per quel che ri-guarda l’area metropolitana bolognese,un’assoluta novità, che da molti è stata con-siderata appunto una scommessa rischiosa.Tanto più che Musica Insieme ha proseguitocoerentemente sulla sua strada: quella del-la musica da camera. È su quel repertorioche abbiamo costruito un nuovo consenso,dimostrando che è possibile far vivere an-che al pubblico bolognese (o che visita o fre-

quenta la nostra città e il nostro territorio)quelle emozioni artistiche e musicali, che vi-vrebbe in Austria, in Svizzera, in Germania,

in Francia, solo per citare luoghi i più vicinia noi. Il Varignana Music Festival non è sta-ta una parentesi, ma un ponte gettato fra ledue stagioni (quella che si era chiusa, quel-la che ora si apre), ed al tempo stesso ci èservito a ribadire una nostra convinzione:l’operatore culturale deve costantemente sug-

gerire al pubblico, al cittadino, e persino al-l’amministrazione, soluzioni nuove per so-stenere ed allargare l’attività a favore dellearti. Così nel mentre andiamo a presenta-re la nuova stagione, eccoci lanciare un’ini-ziativa davvero speciale, una vera e propria prima assoluta nel contesto italiano, senon perfino europeo: la lettura integrale, incinque serate fra ottobre e novembre, deiFiori del male  di Baudelaire, affidata alla competenza e alla voce di Nicola Muschi-tiello, che di quel capolavoro ha curato una 

traduzione celebrata come la più importantedegli ultimi cinquant’anni. La lettura avrà peraltro un’adeguata cornice musicale. Ale-xander Romanovsky eseguirà infatti pagi-ne scelte accuratamente tra quelle legate pro-prio all’opera ed alla sensibilità artistica delpoeta francese. Infine, ribadendo il legamecon il nostro pubblico, a partire da questonumero abbiamo deciso di dare voce sullecolonne di “MI” agli abbonati, dedicandoloro una specifica rubrica. Nuova la stagione,nuova la sfida, nuovi i progetti che inten-

diamo proporre al pubblico ed alla città tut-ta, consapevoli che il futuro si costruiscesempre a partire dall’oggi.

OGGI È GIÀ DOMANI

11IM   MUSICA INSIEME

Charles Baudelairein una fotografia di

Etienne Carjat (1863 ca.)

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a diversi anni Musica Insiemededica alcune pagine alle rifles-sioni dei suoi sostenitori, quegli

sponsor che con lungimiranza e impegnohanno affiancato all’attività produttiva 

l’attenzione per la cultura del territorio incui operano, e con ciò, come naturaleconseguenza, per la qualità della vita dichi quel territorio lo vive ogni giornosulla propria pelle. Ma i nostri sostenitorisono anche e a pari merito tutti coloroche ogni anno, sottoscrivendo il loro ab-bonamento a Musica Insieme, ci forni-scono non solo le risorse materiali, ma anche quell’energia e quella fiducia indi-spensabili per andare avanti, quasi more uxorio, nella buona e nella cattiva sorte.

 A loro vogliamo dedicare una nuova ru-brica su queste pagine, lasciando che ilracconto della loro esperienza comeascoltatori s’intrecci con la nostra storia,fra ricordi, qualche rimpianto, e unamore condiviso: quello naturalmenteper la musica. A dare il   la  non poteva quindi che essere una nostra ‘sostenitriceistituzionale’ qual è Maria Trippa, chenei suoi quasi settant’anni di matrimoniocon l’arte dei suoni, Musica Insieme l’ha tenuta a battesimo per non lasciarla più.Per cominciare: chi è Maria Trippa,

e come nasce in lei la passione perla musica?«Ho scoperto la musica quando, ancora bambina, mio zio barbiere, che era ap-passionato di opera, mi portò a vedere ilRigoletto, un’opera fatale perché lo rividipoi il 3 giugno 1945, lo ricordo comefosse ieri, quando misi piede per la prima volta dentro al Teatro Comunale. Fuun’emozione immensa vedere questo tea-tro, che allora mi sembrò bellissimo – elo è tuttora, anche se al tempo diciamoche era tenuto forse meglio di oggi…

Da quel giorno devo ancora smettere diandare a teatro. Ho visto e vissuto tantecose belle, che mi hanno aiutato anche a crescere: ricordo ad esempio le confe-renze divulgative, oltre che i concerti».

Persino la sua data di nascita sem-brava predestinarla alla musica…«Sì, sono nata il 27 gennaio del 1926, ilgiorno in cui è nato Mozart e quello incui è morto Verdi; una data che è poi di-venuta anche tristemente il Giorno della Memoria della Shoah. Una data incredi-bile. Ne parlavamo sempre con CarloMaria Badini, che mi diceva: “Maria, ma pensa che io sono nato il giorno della Re-pubblica!” ed io ribattevo: “Beh io sononata il giorno che è nato Mozart”, anchese 170 anni dopo…».

Dalla passione per la musica aquella per Musica Insieme, che leisegue da sempre.«Infatti. Ho conosciuto Musica Insiemefin dalle origini, quando in occasione deiprimi concerti, che organizzavate nella Sala Bossi, ho incontrato persino il vec-chio bidello della scuola dove andavo da bambina (le Scuole “Manfredi”). Poisono venuti gli anni gloriosi al Comu-nale, e dal 2003 come sappiamo al neo-restaurato Manzoni. Per noi bolognesi

certo lo spostamento non è stato indo-lore, il Comunale resta pur sempre il tea-tro della città, senza nulla togliere alnuovo Auditorium. Al Comunale ab-biamo il ricordo di grandissimi direttorianche per la Sinfonica: come Celibida-che, che se soltanto sentiva volare una mosca guardava minaccioso verso i pal-chi. O la prima volta di David Ojstrach,che era anche il primo russo che vede-vamo a Bologna…».E parlando degli artisti ospiti di Mu-sica Insieme?

MARIA TRIPPA

«Senza dubbio abbiamo conosciuto deipersonaggi che senza Musica Insiemeprobabilmente non avremmo potuto maiascoltare. Pensiamo poi alla caduta delMuro di Berlino, grazie a cui hanno po-

tuto esibirsi da noi tanti grandissimi ar-tisti che dagli anni Novanta ad oggi ab-biamo avuto il piacere e l’onore diascoltare, e che altrimenti il mondo forsenon avrebbe mai potuto conoscere: da Sviatoslav Richter a Gidon Kremer, da Mischa Maisky a Viktoria Mullova, percitare solo un ‘quartetto’ di stelle».Di questo gruppo fa parte poi Ev-geny Kissin, anch’egli legato a Mu-sica Insieme, ed al suo pubblico, daun’amicizia ormai ventennale.«La prima volta che venne Kissin, nel1994, mi ritrovai seduta proprio accantoalla sua mamma ed alla maestra, una si-gnora imponente che per tutta la durata del concerto non ha staccato gli occhi da questo ragazzo. Io ascoltavo, e cercavo dicarpirne qualche espressione che ne rive-lasse le reazioni. Quello che mi colpì fula serietà di questa signora, che metteva quasi soggezione, e ogni tanto annuiva,per cui capivo che secondo lei l’esecu-zione del suo pupillo andava bene. Houn ricordo nitidissimo e bello di quel

concerto, e ho ancora davanti agli occhiil viso di quella signora, capelli bianchi,corti, molto severa».Oltre a Kissin, quali artisti ricordacon particolare emozione?«Ci sarebbero tanti altri nomi da ricor-dare, Alfred Brendel ad esempio, che ha suonato regolarmente a Bologna sinoalla fine della sua attività concertistica…o ancora la generazione successiva deiKavakos, dei Repin. E Maurizio Pollini,un altro grande interprete, che debuttòperaltro a Bologna con Claudio Abbado

NOTE D’ASCOLTO: LA PAROLA ALL’ABBONATO

14   IM   MUSICA INSIEME

Da questo numero, Musica Insieme dà voce a chi da sempre la sostiene con competenzae passione: quegli abbonati che da ormai 28 anni partecipano alle nostre Stagioni,

ai quali abbiamo chiesto di raccontare la loro esperienza di ascoltatori

Nozze di platino

D

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nel 1964. Abbado che aveva a sua volta debuttato in città nel 1962, e che dopola vittoria di Pollini al Concorso “Cho-pin” di Varsavia lo portò con sé a Bolo-gna, appena ventiduenne. Insomma sono quasi troppi. Pensiamo ad Accardo,

un altro che ha fatto i capelli bianchi a Musica Insieme. A me piace leggere lenotizie, informarmi della musica cheascolto come degli artisti che le inter-pretano: so bene quindi che Accardo èdel 1941, Pollini è del gennaio 1942, poiarriva Ughi che è del 1944… E ricordograndissimi artisti o compagini che nonci sono più, come il quartetto compostoda Isaac Stern, Jaime Laredo, Yo-Yo Ma ed Emanuel Ax, il cui concerto cele-brava i cinquant’anni dalla fine della 

guerra, l’Alban Berg Quartett con Va-lentin Erben al violoncello, e con grandetrasporto ricordo il Beaux Arts Trio. Unmerito che va a Musica Insieme è poil’approfondimento della conoscenza delquartetto d’archi, che per me è statoun’esperienza che mancava nelle abitu-dini concertistiche dei bolognesi».Seguendo gli artisti dal loro debuttoalla maturità artistica, ha potutopercepire un cambiamento sensi-bile, nel modo di suonare, nella ma-turità espressiva, nell’atteggia-

mento di qualcuno in particolare?«Ricordo ad esempio la prima volta cheabbiamo ascoltato Gianluca Cascioli, nel1995: era un ragazzino che poi abbiamovisto maturare nel corso degli anni, ac-quisendo anche quegli atteggiamenti disicurezza e autorevolezza che per ovvimotivi non poteva avere in precedenza.Poi ci sono gli eccentrici: pensiamo a Zi-merman che si porta dietro il pianoforte,guidando il furgone per trasportarlo inogni teatro in cui suona. Saranno pure

particolari di colore, ma in realtà ci fannosentire questi artisti più vicini. Ricordoancora quando è venuta Martha Arge-rich, presente alla prima edizione deiConcerti di Musica Insieme , nel 1987. Ecome non ricordare le sette edizioni diBalletti d’Autunno, dal 1990 al 1997,dopo le quali il balletto è scomparso da Bologna, ed ancora non se ne vede trac-cia? E non da ultimo Invito alla Musica ,la possibilità che da dodici anni Musica Insieme offre agli abitanti del territoriobolognese di partecipare ai concerti con

derle. La cadenza regolare del lunedì,un’abitudine che non saprei scinderedalla mia vita: in fondo il nostro modo difrequentare i teatri e la musica è fatto an-che di questo».

I giornali come sappiamo parlanosempre meno della musica classica.La contemporanea è ancora troppospesso un tabù. In tanti anni, i pro-blemi della musica sono cambiati, oin realtà poco si è mosso?«La perdita di Roberto Verti ha signifi-cato sicuramente molto per la critica eper l’informazione musicale nella nostra città. Dobbiamo poi tener presente che ilpubblico sotto sotto è sempre un po’ re-stio all’ascolto della contemporanea, ed

anche la radio non la trasmette molto. Iopersonalmente sono molto curiosa: ri-cordo ancora Karlheinz Stockhausen, chevenne col figlio Markus negli anni No-vanta, l’ascolto della sua musica è statouna piacevole sorpresa, e FriedrichGulda, di certo un personaggio eccen-trico ed a suo modo unico. E poi ricordo,così a caldo, Vladimir Ashkenazy e il fi-glio Dimitrij al clarinetto, anche lui l’ab-biamo visto fare i capelli bianchi. Di-ventano quasi degli amici che hannopassato gli anni insieme a te…».

un servizio di trasporto che permetteloro di non preoccuparsi delle difficoltà logistiche. Di questo vorrei che vi ve-nisse riconosciuto il merito».Grazie per i commenti così gene-

rosi. Ma parlando di lei: cosa signi-fica e cosa ha significato nella sua

 vita l’andare a concerto? Vi sono‘compagni d’ascolto’ particolari?«Oggi ho una cerchia di compagni diabbonamento ormai consolidata, ma si-curamente in questi anni ho acquisitodelle amicizie che senza Musica Insiemenon avrei magari mai avuto. A volte poicapita di salutare, anche con affabilità,persone di cui non conosci magari nem-meno il nome, ma che ti sono divenute

comunque familiari, e ti fa piacere ve-

15IM   MUSICA INSIEME

Sopra: il recital di MaurizioPollini proiettato in Piazza

Verdi nel 2002. A destra: ildebutto a Bologna diEvgeny Kissin (1994). Sotto:Isaac Stern. Insieme a luinel ‘95 Laredo, Ma e Ax(foto di Roberto Serra)

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na volta il grande violini-sta Fritz Kreisler venneinvitato ad esibirsi nel pa-

lazzo di una ricca signora americana peruna cena di gala. Alla richiesta della si-gnora, egli precisò subito che il suo prezzoera assai alto, aggirandosi sui 5.000 dol-lari di allora. La signora naturalmentenon si scompose e accettò. Ma volle sot-tolineare che il Signor Kreisler avrebbedovuto soltanto suonare, e dopo aver fi-

nito prendere il suo violino e andarsene,perché a cena vi sarebbero state personemolto altolocate e chic. Al che Kreisler a sua volta non si scompose e ribatté: “Inquesto caso il prezzo scende a 3.000 dol-lari”…». Malgrado la  boutade  ci sia stata raccontata da Mischa Maisky, è stato pro-prio lui fra i protagonisti più partecipi delVarignana Music Festival, tenutosi loscorso luglio, che ci ha visto accanto a Pa-lazzo di Varignana Resort & SPA nel te-nere a battesimo una nuova serie di con-certi nei quali lo spirito della classica si

sposava ai momenti d’incontro fra il pub-blico e gli artisti stessi. Capitava così di ve-derlo, il Maestro, spingere il passegginodel suo ultimogenito a bordo piscina, e la sera a cena, dopo aver incantato il pub-blico con le Suites  bachiane, raccontare a raffica – come solo lui sa fare – quelle sto-rielle sui musicisti dei quali è da semprefacondo cultore, al suo fianco stavolta ilfiglio Maxie, nove anni e la medesima energia e passione musicale di papà.

La prima edizione del Varignana MusicFestival insomma, possiamo ora raccon-tarlo senza tema di smentita, ha saputoabbattere una serie di barriere, e tutte a fa-vore della classica: innanzitutto creare fi-nalmente anche nel territorio bologneseun festival che ospitasse grandi nomi delconcertismo mondiale, nello spirito delleprincipali kermesse estive di tutta Eu-ropa, con sei grandi concerti nei quali glistessi interpreti hanno condiviso il palcoper affrontare le opere dei maestri rico-nosciuti della storia, da Bach a Mozart, da 

Brahms a Rachmaninov, alternando il re-cital solistico al duo, fino al quartetto edal quintetto con pianoforte e con clari-netto. Ma quel festival abbatteva anche iltradizionale sipario che, letteralmente, se-para in genere il mondo dell’interprete da quello del pubblico, per sostituirlo conuno spazio aperto, quello del Belvedere,sala dove già il palco sembrava aprirsi alla platea più che separarsene, e dopo il con-certo si faceva anche sede di serate convi-

viali, dove l’ascoltatore poteva magari tro-var posto proprio al tavolo con gli artisti,o poco più in là, insieme agli altri com-pagni di questo viaggio nel piacere della musica e del cibo. Il festival peraltro po-teva contare su una sede di eccezionalesuggestione: Palazzo di Varignana Resort& SPA, nuovissimo complesso 4 stellelusso inaugurato nell’ottobre 2013, im-merso nella storia e nella natura dell’Ap-pennino tosco-emiliano e costruito at-torno alla settecentesca Villa Bentivoglio,dove l’ascolto dei capolavori del reperto-

 ARGOMENTI

16   IM   MUSICA INSIEME

«U

La prima edizione del nuovo festival realizzato da Musica Insieme per Palazzo di Varignanaha gettato un ponte ideale fra artisti e pubblico, offrendo alla città una stagione estiva chesi propone di inserirsi nell’alveo dei maggiori festival europei   di Vania Pedrotto

 VarignanaMusic Festival 2014

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rio si accompagnava a un panorama chedai suoi 20 ettari di parco abbracciava tutta la vallata circostante, spingendosifino a San Luca come sino alle Prealpi Ve-nete e al mare.

 Accanto a Mischa Maisky, che il pub-

blico di tutto il mondo conosce comeuno fra i più acclamati violoncellisti delpanorama internazionale, protagonisti delFestival erano Lily Maisky, apprezzatis-sima pianista esibitasi al fianco di Capu-çon, Argerich, Jansen; Alexander Roma-novsky, già Premio “Busoni” 2001 edoggi pianista dalla carriera intensissima;Hrachya Avanesyan, violinista vincitoredei concorsi internazionali “Menuhin” e“Carl Nielsen”; completavano il cartel-lone il leggendario Janácek String Quar-

tet, fondato nel 1947 a Brno e intitolatoal massimo compositore cèco, e AntonDressler, clarinettista invitato nei princi-pali festival, al fianco di Julian Rachlincome di Bruno Canino.

 Ad aprire le danze, il 14 luglio, era il duocostituito da Mischa e Lily Maisky, per la quale suonare insieme al padre «è naturalecome respirare», un duo costituito infondo da sempre, se fin da bambina Lily ha potuto suonare con il grande violon-cellista, divenendo a sua volta pianista digrande maturità espressiva. Per loro, un

programma che costituiva l’alfa e l’omega della letteratura per violoncello e piano-forte: dai primissimi esempi di sonata diun geniale pioniere della musica quale fu

 Johann Sebastian Bach, alla Sonata cheŠostakovic firma tre secoli dopo, nel1934, unendo la cantabilità al contrap-punto dell’amato Bach, e così chiudendoil cerchio. Nel mezzo i  Cinque pezzi intono popolare  di Schumann, che esalta-vano appunto la vocalità del violoncello.Il giorno seguente, nello spirito di condi-

visione e scambio che contraddistingueogni Festival degno di questo nome, Lily affiancava un altro partner, quest’ultimoportato dal Varignana Music Festival alla sua prima apparizione bolognese (e se-conda in assoluto in Italia): il violinista ar-meno Hrachya Avanesyan (classe 1986),considerato fra i più interessanti della sua generazione. Per il duo un recital funam-bolico tutto sul filo della letteratura vio-linistica fra Otto- e Novecento; da ricor-dare la potenza evocativa quasicinematografica della Sonata di Richard

Quintetto per pianoforte e archi maicomposto da Johannes Brahms, che inesso riversò tutta la propria maestria e in-sieme la passione per quella che fu comesempre la sua musa ispiratrice, Clara Schumann. Sabato 19 luglio, ecco infinei ranghi riuniti dello Janácek e del clari-nettista Anton Dressler, per una matinéeche congedava il pubblico della I edi-zione del Varignana Music Festival condue capolavori: il Quartetto “Lettere in-

time” di Janácek, il maggiore compositorecèco, e il Quintetto per clarinetto e archidi Wolfgang Amadeus Mozart, forse la più amata fra le opere per clarinetto ditutti i tempi, dove il talento «straordina-rio, di una raffinata ed impareggiabilesensibilità» (Corriere della Sera ) di Dre-ssler, utilizzando il clarinetto di bassettoper il quale Mozart l’aveva originaria-mente concepito, creava una straordina-ria alchimia con i colleghi, e con il pub-blico. Ci si lasciava così al sole di lugliocon la voglia di rivedersi per la II edizione.

Strauss, uno dei suoi rarissimi lavori ca-meristici, nei quali già risuonano i coloridell’orchestra, e la rocambolesca chiusura con la celebre Carmen Fantasie  di Franz

 Waxman. Insomma, un biglietto da visita di stampo paganiniano per il virtuoso ar-meno, cui spettava la dura prova di tro-varsi incastonato fra i due recital capita-nati da Mischa Maisky.Quel Maisky che mercoledì 16 luglio sipresentava solo sul palco con un ‘cavallodi battaglia’ come le Suites  bachiane, of-frendo al pubblico l’olimpica serenità della Terza, e le tenebre della Quinta.Banco di prova per tre secoli di inter-preti (lo stesso Maisky ne ha rilasciatonella sua carriera ben tre incisioni di rife-

rimento), il capolavoro bachiano, si sa,non ha mai smesso di incantare il pub-blico: un miracolo che si è ripetuto quella sera, per concludersi con due bis, ovvia-mente bachiani, aperti doverosamentedal celebre Preludio della Prima  Suite .

 Altro mattatore della scena, arrivava gio-vedì 17 luglio Alexander Romanovsky conun programma che declinava il pianismoromantico, da Chopin a Rachmaninov.Tutto esaurito e trascinante il concerto,con momenti di grazia durante le pagine

che toccavano l’anima popolare della Rus-sia, come la  Dumka , “scena rustica” diCajkovskij di struggente e tenera bellezza.Nei due giorni finali del Festival, conti-nuavano gli ‘incontri creativi’, unendovenerdì le energie dello Janácek String Quartet e quelle dello stesso Romanov-sky, per una serata che non a caso, ve-dendo protagonista un vero e proprioambasciatore culturale della musica cèca,si apriva con lo Smetana del celebreQuartetto “Dalla mia vita”, e si conclu-deva insieme a Romanovsky con l’unico

17IM   MUSICA INSIEME

A sinistra: lo Spazio Belvedere gremito dalpubblico del Varignana Music Festival. Sopra:Alexander Romanovsky e lo Janáček String Quartet,impegnati nel Quintetto di Brahms. Sotto: Mischae Lily Maisky, protagonisti del concerto inauguraleil 14 luglio 2014 (foto di Elettra Bastoni)

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18   IM   MUSICA INSIEME

toltezza, errore, peccato egretto interesse / ci stan-cano fisicamente e occu-

pano la nostra mente, / come mendicantiche sfamano le loro pulci / noi nutriamoi nostri dolci rimorsi». I versi d’apertura del capolavoro di Baudelaire, la celebre epotentissima invocazione “Al lettore”, ri-

specchiano con incredibile attualità l’im-magine del poeta maledetto, e insiemequella ben più universale dell’indoleumana, quel cupio dissolvi  che mai comein questi ultimi mesi sembra improntarela nostra storia quotidiana come le vi-cende del mondo. La modernità assoluta dei Fiori del male , che parlano non solo displeen  e di Morte, ma anche di libertà,amore, ricerca del Divino e della Bel-lezza, hanno dato a Musica Insieme lospunto per varare un’iniziativa che si pre-

senta come un avvenimento culturale diassoluto valore e originalità. Per la prima volta a Bologna – e nell’intero panorama italiano, se non perfino europeo – Musica 

Insieme proporrà, con il fondamentalecontributo di Unipol Gruppo, cinque‘concerti di poesia e musica’ incentratisulla lettura integrale dei  Fiori del male ,associandovi le musiche di quegli autori(Wagner, Liszt, Chopin, Beethoven) cheBaudelaire stesso ammirava o conosceva,insieme ad un compositore posteriore

come Skrjabin, che è collegato a Baude-laire da un’ideale ‘corrispondenza’. Alla novità della rassegna, offerta gratuita-mente alla cittadinanza, si aggiunge pe-raltro la novità della sede: l’Auditorium diVia Stalingrado 37, recentemente com-pletato da Gruppo Unipol e destinato a configurarsi sempre più autorevolmentecome spazio per la cultura a Bologna.Il ciclo è incentrato dunque su una du-plice e armoniosa dimensione: la poesia ela musica. La dimensione della poesia è

esaltata appunto dalla scelta di proporreper la prima volta al pubblico la lettura integrale della prima edizione (1857) deiFiori del male  di Baudelaire nella recente

traduzione di Nicola Muschitiello (già alla sua terza edizione per BUR-Rizzoli indue anni), che è stata celebrata come«nuova, coraggiosa traduzione della prima edizione censurata» del libro, e riguardoalla quale Enzo Bianchi – Priore della Comunità di Bose – ha affermato cheessa «dà ai Fiori  di Baudelaire una lucen-tezza straordinaria, come se li rigenerassenella lingua italiana». Vengono perciò of-ferti agli ascoltatori due elementi di ori-ginalità insieme: non solo una lettura in-tegrale del capolavoro di Baudelaire, ma una lettura integrale della prima edizione‘condannata’ di questo libro, compren-dente anche le sei poesie ‘scandalose’ chenell’agosto 1857 un tribunale pariginocondannò ad essere definitivamenteespunte dall’opera, e che non furonoquindi più ricollocate nel corpus  origina-rio. Ed è lo stesso Muschitiello, citando

In cinque appuntamenti fra ottobre e novembre, Musica Insieme e Gruppo Unipolrealizzano una prima assoluta nel panorama italiano, e non solo: la lettura integrale deiFiori del male, affiancata alle note dei compositori più affini al Poeta   di Elisabetta Collina

Baudelaire: I fiori del male

«S

   F  o   t  o   L  u  c  a   B  o    l  o  g  n  e  s  e

MUSICA E POESIA 

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19IM   MUSICA INSIEME

uno dei massimi critici di Baudelaire, a ri-cordare l’impressionante attualità di que-sti versi: «Come in quei prodigi d’ottica che ingannano i sensi, egli si avvicina a noi mano a mano che il tempo sembra 

distaccarlo, e la sua figura farsi più eva-nescente. Il mondo cambia, è molto mu-tato certo dagli anni in cui Baudelairevisse e scrisse, ma ci accorgiamo che la nostra epoca feroce è divenuta semprepiù “baudelairiana”». Ed era il 1975, l’au-tore di queste illuminanti parole è Gio-vanni Macchia: pare quasi che il prodigiod’ottica di cui egli parla abbia quindiprotratto la sua efficacia sino a noi.Per quanto riguarda la dimensione della musica, che si alternerà alla ‘musica’ della poesia, essa è stata organizzata secondoun criterio anch’esso originale. Per sce-gliere gli autori, è stato adottato un cri-terio “storico-filologico”, per cui si è te-nuto conto delle predilezioni econoscenze musicali di Baudelaire stesso(che ha composto peraltro una poesia intitolata proprio “La Musica”). È notoche la sua ammirazione più grande an-dava alla musica di Wagner, a cui dedicòun saggio, e che nutriva una viva ammi-razione per Liszt. Ma egli rivela anche, inuna lettera, di conoscere la musica di

Beethoven (del quale afferma esser statocolui che «ha iniziato a far vibrare imondi di malinconia e disperazione in-sanabile come cumuli di nubi nel cielointeriore dell’uomo»). Inoltre, in un sag-gio dedicato a Delacroix, egli fa una sor-prendente allusione alla musica di Cho-pin in quanto ‘musicista-poeta’ («musica lieve e appassionata che somiglia a unbrillante uccello che volteggia sugli orrorid’un abisso»), evocando una testimo-nianza di Liszt. È per questa ragione che,nella compaginazione poetica e musicaledelle cinque soirées  si propongono branimusicali di questi compositori: Liszt,

 Wagner (trascritto da Liszt stesso), Cho-pin, Beethoven. Questi grandi sono af-fiancati da un altro grande, un composi-tore originale d’epoca successiva, il russo

 Aleksandr Skrjabin, la cui concezione ‘si-nestetica’ della musica e il cui sentimentoapocalittico e crepuscolare ben si adat-tano ad accompagnare, proprio nella se-rata d’apertura, l’impressionante e po-tentissima sezione iniziale de I Fiori del 

duzione le ‘recondite armonie’, ed è per-tanto nella condizione di restituirne la forza e bellezza agli ascoltatori, anchegrazie alla sua lunga esperienza di dicitoredi poesia. L’esecuzione musicale vede pro-

tagonista Alexander Romanovsky, inter-prete ben noto e molto amato dal pub-blico di Musica Insieme, e che dalla natia Ucraina ha trovato peraltro in Italia una nuova patria, sin da quando tredicenneha intrapreso lo studio del pianoforte al-l’Accademia Pianistica Internazionale“Incontri col Maestro” di Imola con Leo-nid Margarius. Nel 2001, appena dicias-settenne, si è poi affermato sulla scena in-ternazionale vincendo il Primo Premio alprestigioso Concorso “Ferruccio Busoni”di Bolzano, ed è oggi artista universal-mente apprezzato per la tecnica solidis-sima e la grande maturità espressiva.Eccodunque che la nuova rassegna ideata e cu-rata da Musica Insieme intende offrirealla città un’ulteriore occasione di con-frontarsi con la cultura, allargando ilsuono delle note a quello della poesia, perdimostrare una volta di più come Bolo-gna sia una capitale della cultura: una cultura viva, attiva e partecipata, comenella migliore tradizione del capoluogoemiliano, oggi più che mai – a dispetto di

tanti moderni  de profundis  – al centrodavvero del panorama italiano, e nonsolo di quello.

male , contenente il celebre proemio “Allettore”. Poeta con «una vera voce» (ItaloCalvino, 1978) e «personaggio singola-rissimo, ultimo dei (veraci) bohémiensnel panorama della letteratura italiana»(Mirella Appiotti, 2001), Nicola Mu-

schitiello non poteva che essere il lettoreideale delle poesie di Baudelaire, delquale ha esplorato nella sua opera di tra-

CINQUE CONCERTI DI POESIA E MUSICA

BAUDELAIRE: I FIORI DEL MALE

giovedì 9 ottobre 2014Baudelaire/Skrjabin

venerdì 24 ottobre 2014Baudelaire/Chopin

venerdì 7 novembre 2014Baudelaire/Beethoven

venerdì 21 novembre 2014Baudelaire/Chopin

venerdì 28 novembre 2014Baudelaire/Wagner, Liszt

Nicola Muschitiellovoce recitante

Alexander Romanovskypianoforte

Unipol AuditoriumVia Stalingrado 37, Bologna, ore 21

NicolaMuschitielloèautorediseivolumipoetici,tradottiindiverselingue.Stu-dioso di letteratura francese, ha tradotto e curato le opere di Charles Baudelai-re, Marcel Schwob, Léon Bloy e altri ancora (per BUR-Rizzoli, Einaudi e Adel-phi). Nel 2000 ha rappresentato la città di Bologna “Capitale della cultura” alFestival d’Avignon in una rassegna di poesia organizzata dal Centre Européen

dePoésie.HainsegnatoTraduzioneLetterariae LetteraturaFranceseall’Universitàdi Siena e Bologna, e tenuto corsi, conferenze e pubbliche letture. Si è occupa-to di teatro e di musica come interprete e dicitore.

Primo Premio al prestigioso Concorso Internazionale “Busoni” 2001, nel 2009 Alexander Romanovsky  consegue l’Artist Diploma presso il Royal Collegeof Music di Londra. Invitato ai principali festival, da La Roque d’Anthéron al Fe-stival Chopin in Polonia ed il Festival di Stresa, si esibisce come solista al fiancodicompaginiqualil’OrchestradelMariinskij,la NewYorkPhilharmonicOrchestra,la Chicago Symphony e la Filarmonica del Teatro alla Scala; è apparso al fian-co dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano, edha inaugurato la “Master Pianists Series” al Concertgebouwdi Amsterdam.

I protagonisti

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ulian Rachlin non è soltanto unodei più ammirati solisti del no-stro tempo: il suo nome significa 

anche generosità nel dedicare arte e pas-sione agli altri, che si tratti di adoperarsi

per aiutare i bambini bisognosi di tutto ilmondo o per promuovere gli studentipiù meritevoli. Una generosità dell’uomoche non può che ripercuotersi sull’inten-sità delle sue interpretazioni, se come ciinsegnano i migliori esempi della storia (da Rostropovic a Šostakovic, ma ancheHarrell, citati dallo stesso Rachlin) gli ar-tisti più grandi sono spesso anche i piùumili, sempre in prima linea nel mettersial servizio degli altri. E non a caso anchenel parlare di musica Rachlin pone alprimo posto il legame umano, il capirsi,

ascoltarsi e aiutarsi, quel qualcosa in-somma che va oltre la tecnica per diven-tare alchimia, magia percepibile di faremusica insieme.Come presenterebbe i partner chesaranno con lei in questo concertoper Musica Insieme?«Anche se l’ho incontrato per la prima volta solo alcuni anni fa al Festival diVerbier, posso dire di conoscere LynnHarrell da sempre, perché quando sononato era già nel novero dei grandi vio-

loncellisti del XX secolo, una vera leg-genda insieme a colleghi come Rostro-povic, Maisky, Yo-Yo Ma. I grandissimiinterpreti della nostra storia non sonomolti, e Harrell è uno di quelli. Da sem-pre ammiro dunque la sua arte, e a Ver-bier ho avuto l’occasione di esibirmi in-sieme a lui in programmi cameristici. Poicirca un anno e mezzo fa abbiamo ese-guito il Triplo Concerto di Beethovenper celebrare i 17 anni dalla fine della guerra fra Corea del Nord e del Sud: era un concerto della pace, un evento molto

speciale, al confine tra le due nazioni. Èstato in quell’occasione che abbiamo in-cominciato a progettare di effettuare que-sto tour cameristico insieme, dal mo-mento che fra noi c’è una magnifica 

intesa. Zhang Zuo invece l’ho incontrata solo l’inverno scorso a Miami, non ave-vamo mai lavorato insieme, ma trovo chesia una pianista meravigliosa, con moltotalento, e soprattutto una persona ma-gnifica. Ritengo che per suonare insiemeciò che conta sia innanzitutto la persona,mentre il fatto di essere o meno ungrande artista occupa soltanto il secondoposto. Credo che la musica da camera sia una forma di comunicazione troppointima per praticarla con qualcuno con ilquale non ci sia un’intesa anche e soprat-tutto a livello umano: il rapporto inter-personale, quella ‘chimica’ che si crea fra gli individui, è essenziale. In secondoluogo, ovviamente, quando hai di fronteun artista eccezionale fare musica insiemediventa meraviglioso. Così è nato il pro-getto che porteremo in Italia. Zhang Zuoperaltro è una giovane pianista di gran-dissimo valore, dalla carriera in veloceascesa, già al fianco delle principali or-chestre e direttori, ma è anche molto ap-passionata di musica da camera, ed è per

questo che formare un trio con lei e conHarrell è un’avventura tanto più emo-zionante».Il vostro quindi è anche un incontrogenerazionale...«Sì, sono tre generazioni che si incon-trano facendo musica insieme.Trovo chesia molto importante dare ai giovani mu-sicisti la possibilità di emergere, di esibirsicon colleghi più esperti: io ad esempio hoavuto la possibilità di suonare con Mar-tha Argerich e con Mischa Maisky (era il1993, avevo diciott’anni). Lavorare con

JULIAN RACHLIN

grandi artisti quando si è giovani è fon-damentale: del resto dovrebbe essere que-sta la naturale direzione evolutiva della storia della musica, gli artisti più maturisuonano con i talenti più giovani, che a 

loro volta quando diventeranno più an-ziani daranno una chance ai loro succes-sori, e così via...».Il nostro pubblico l’ha già potutaascoltare due volte a Bologna, nel2003 e nel 2008, e sempre con una‘spalla’ pianistica ormai ben notaper essere al fianco dei maggioriartisti: Itamar Golan.«Certo Itamar è per me il partner piani-stico più importante, un amico con cuisuono in tutto il mondo dall’ormai lon-tano 1996. È una delle persone più im-portanti della mia vita, oltre che ovvia-mente una delle più brillanti personalità del mondo della classica. Non a caso sonoil padrino di suo figlio!».

 A proposito di modelli da seguire: leiha studiato sia con Boris Kuschnirche con Pinchas Zukerman. Di cosaè loro particolarmente grato?«Ho avuto la fortuna di avere alcuni im-portantissimi maestri che mi hanno aiu-tato, consigliato e guidato nel mio svi-luppo musicale sin da bambino: Kuschnir

è stato il mio mentore, un insegnantefondamentale. Io d’altra parte sono statoil suo primo studente: lui non sapeva diessere un insegnante, io sono stato il suoesperimento, il primo allievo che ebbequando si trasferì a Vienna. Avevo ottoanni, e per sedici ho studiato con lui. Inun certo senso lui mi ha creato come vio-linista tanto quanto io ho creato lui comeinsegnante... Tuttavia i due anni in cui hostudiato con Zukerman sono stati a lorovolta di estrema importanza per me, per-ché Zukerman è stato e sarà sempre uno

L’INTERVISTA 

20   IM   MUSICA INSIEME

Fra ricordi e progetti, il violinista di origine lituana racconta lo studio con Kuschnir econ Zukerman, i preziosi consigli dei maestri, e la gioia di fare musica con gli amici veri

di Fulvia de Colle

Il capitale umano

 J

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dei miei idoli, e lavorare con un violini-sta leggendario come lui ha secondo melo stesso valore che ha avuto per Mischa Maisky studiare con Piatigorskij. Ku-schnir in definitiva è uno dei massimi in-segnanti viventi, mentre Zukerman nonè un insegnante in senso stretto, ma èuno dei massimi violinisti viventi. Poi hoavuto alcuni padri musicali molto im-portanti, che hanno guidato da sempre la mia carriera, ma anche il mio sviluppoumano: si tratta di Mariss Jansons, ZubinMehta e Lorin Maazel. Purtroppo Maa-zel è da poco scomparso, ma tutti lorosono egualmente presenti anche ogginella mia vita. Aggiungerei al quarto po-sto Rostropovic, il quale rappresenta sem-plicemente la ragione per la quale sono

diventato un musicista: a due anni hoascoltato la sua registrazione del Con-certo per violoncello di Dvorák eseguitoinsieme ai Berliner Philharmoniker di-retti da Karajan. Era anche il primo branoclassico che ascoltavo in assoluto nella mia vita. Me ne innamorai follemente edecisi che sarei diventato un violoncelli-sta. Molti anni dopo ho avuto l’incredi-bile opportunità di lavorare con Rostro-povic suonando insieme a lui molti

cominciare a cercare. Prokof’ev lo disse a Rostropovic, lui a me... ed io a voi!».Nel programma che presenterete aBologna, il giovane Brahms sembraguardare a Schubert come a un mo-dello per il suo primo Trio op. 8…«I Trii di Schubert e Brahms sono fonda-mentalmente due classici, due evergreen,opere che sono sopravvissute a secoli distoria rimanendo sempre moderne edemozionanti. Schubert è un genio, che ha avuto la sfortuna di rimanere in ombra ri-spetto a Mozart, Bach, Beethoven. Ma l’intimità e la magia della sua musica, chebrillano specialmente nel Trio op. 99,sono assolute. Ritengo che l’accostamentodi Schubert al Trio op. 8 di Brahms sia particolarmente azzeccato per questo no-

stro recital bolognese. Amo tutti e tre i triicon pianoforte di Brahms, così come amoanche il Trio in mi bemolle maggiore diSchubert, l’altro da lui composto. Tutta-via abbiamo concordato sulla scelta diquesto programma perché tutti noi losentivamo particolarmente congeniale:sono musiche che il pubblico speriamoapprezzerà molto, da parte nostra non cistancheremo mai di suonare due operecosì divine...».

quartetti per archi, come quelli di Šosta-kovic e Arenskij, poi ho suonato sotto la sua direzione il Concerto di Ca  jkovskijnella mia città natale, Vilnius. È stata una grande emozione, essere a casa tua edesibirti davanti ai tuoi genitori con Ro-stropovic...».Parlando di questi suoi ‘padri puta-tivi’, c’è qualche ricordo al quale èlegato in modo speciale?«Ricordo proprio che Rostropovic midisse un giorno qualcosa che Prokof’ev gliaveva detto a sua volta quando egli era giovane… è una cosa molto semplice,ma affascinante: Prokof’ev gli disse chebisogna ‘ripulire’ il proprio gusto musi-cale tanto spesso quanto ci si lavano identi. Insomma, in musica bisogna co-

stantemente lavorare sul proprio passato:se oggi ritieni di conoscere il modo giustoper suonare questo o quell’altro brano,non significa che domani sarà lo stesso,per non parlare di dopodomani, o fra unanno. Dobbiamo rivedere, ‘spazzolare’ ilnostro gusto proprio come ci laviamo identi, anche due o tre volte al giorno...trovo che sia un’osservazione straordinaria perché significa che in musica dobbiamosempre cercare, continuare a cercare, ri-

21IM   MUSICA INSIEME

 

 

Prokof’ev una volta disse aRostropovic che bisogna ‘ripulire’

il proprio gusto musicale tantospesso quanto ci si lavano i denti

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he il rapporto tra maestri e allievisia sorprendentemente proficuo,e lo sia da ambo le parti, Enrico

Dindo ne ha la fermissima convinzione:alla direzione, il prossimo novembre, di

quell’eccellenza nazionale rappresentata dall’Orchestra Giovanile Italiana, nata inseno alla scuola di Musica di Fiesole e te-nuta a battesimo da Riccardo Muti,Dindo si trova a confrontarsi con giovaniche si dedicano allo studio dello stru-mento mossi da forte passione ed entu-siasmo, sentimenti che vengono inevita-bilmente trasmessi anche al docente, al dilà quindi della divisione accademica deiruoli. Del resto, la voglia di mettersi a di-sposizione dei ragazzi che traspare dallesue parole non deve sorprendere, se sipensa a quanto l’avvio della sua stessa carriera sia legato indissolubilmente alrapporto con un grande Maestro.Rapporto nato in maniera, se vogliamo,piuttosto curiosa, come racconta luistesso: «All’inizio della mia carriera miaccorsi che il mio strumento non era adatto per ruoli solistici, così me ne im-prestò uno Mario Brunello; mi piacque egli chiesi di poterlo comprare; andai a Parigi da un esperto per farlo valutare, edentrando nel suo studio vidi davanti a 

me il cartellone del Concorso “Rostro-povic”; fu un’idea fulminea, mi iscrissi,feci lo sbruffone portando proprio il con-certo che Šostakovic dedicò al grandeMaestro; vinsi, Rostropovic mi abbracciòurlando “viva l’Italia!” e da lì iniziò la mia carriera da solista». E appunto nel

1997, con la vittoria del Concorso “Ro-stropovic” – primo italiano nella storia diquella competizione – Enrico Dindoinaugura una strepitosa carriera che loporterà ad esibirsi con le più prestigiose

orchestre, dalla BBC Philharmonic, al-l’Orchestre National de France, dalla Fi-larmonica di San Pietroburgo alla TokyoSymphony Orchestra e la Chicago Sym-phony Orchestra, al fianco di direttoricome Riccardo Chailly, Aldo Ceccato,Paavo Järvj, Valery Gergiev, RiccardoMuti e, appunto, lo stesso Mstislav Ro-stropovic, il quale lo definì «violoncellista di straordinarie qualità, artista compiutoe musicista formato… possiede un suonoeccezionale che fluisce come una splen-

dida voce italiana». Nel 2001 Dindofonda la compagine da camera I Solisti diPavia, di cui è tuttora il direttore artistico,riuscendo a coinvolgere nel progetto ilsuo grande mentore Rostropovic, il quale,ancora una volta, sostiene il suo pupilloaccettando il ruolo di Presidente onorariodell’Orchestra. Oggi, ad Enrico Dindospetta il compito di dirigere per la ven-tottesima Stagione di Musica Insiemeun’Orchestra che in quasi 30 anni di at-tività formativa ha contribuito in ma-niera determinante alla vita musicale del

Paese, guidata prima di lui tra gli altri da Giuseppe Sinopoli, Claudio Abbado, Lu-ciano Berio, Daniele Gatti, Zubin Mehta.Il suo ritorno a Bologna, dove il no-stro pubblico ha avuto modo diascoltarla sia in duo con Andrea Din-do, sia alla guida dei Solisti di Pavia,

ENRICO DINDO

è molto atteso. Che ricordo ha di queiconcerti?«Ogni volta che suono a Bologna sentoun particolare senso di amicizia che milega a questo luogo. Nulla in particolare

mi lega alla vostra splendida città, ma evidentemente qualche strana energia simuove in questa direzione e fa sì che ilpiacere di fare musica qui sia sempre noncomune».In questo concerto dirigerà un’or-chestra giovanile. Che valore haper lei il confronto tra generazioni?Quanto le sembra diverso oggi, selo è, l’approccio delle nuove gene-razioni al mondo della musica?«Lavorare con i giovani mi piace sempre

moltissimo. Ammetto di essermi arric-chito notevolmente assorbendo energiedai ragazzi; quando parlo di musica conloro, è sempre molto eccitante ed ap-passionante. Questa volta lo sarà ancora di più, vista l’importanza dell’istituzione,sento molto questa responsabilità. Oggii ragazzi sono molto più consapevoli diquanto fossimo i miei coetanei ed iodella difficoltà del loro inserimento nelmondo del lavoro, ma nonostante tuttola passione spesso ha la meglio e noi ‘an-ziani’ abbiamo il compito di continuare

ad alimentare questa passione. Dob-biamo continuare a credere che «la bel-lezza salverà il mondo», come diceva Dostoevskij».Qual è a suo avviso un compositoredel passato o del presente da(ri)scoprire?

22   IM   MUSICA INSIEME

Il violoncellista torinese, pupillo di Rostropo vic, per la prima volta a Musica Insiemeanche in veste di direttore dell’Orchestra Giovanile Italiana   di Bianca Ricciardi

Musica che salva il mondo

C

“ “Ammetto di essermi arricchito assorbendo energie dai ragazzi; quando

parlo di musica con loro è sempre molto eccitante ed appassionante

L’INTERVISTA 

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«Per me sono sempre tutti da riscoprire:ogni singola volta, da capo, dovremmo re-settare e mettere in dubbio tutte le nostreapparenti certezze, che però nel momentodell’esecuzione ci devono apparire comele uniche soluzioni possibili. Non arren-dersi mai al miraggio di una soluzione‘definitiva’, non esiste. Se però devo faredei nomi, ultimamente mi ha nuova-mente stregato Carl Philipp EmanuelBach, e aggiungerei Händel».Che posto occupa nel suo repertorio

il Concerto op. 107 di Šostakovic,così autobiografico con il suo fa-moso motto, e dedicato a ungrande virtuoso?«Il primo Concerto op.107 di Šostakovicè uno di quei brani che porterei nella fa-mosa isola deserta. Miracolo di equili-brio ritmico, strutturale e strumentale.In più, aver avuto il privilegio di poterneparlare con un grande violoncellista comeRostropovic, al quale è dedicato, rendequesto brano ancora più affascinante. Lo

anche quando suono più volte lo stessobrano. Ci sono molte pagine che mifanno ritornare a sensazioni e sentimentivissuti, o persone o vicende. La musica ha sempre un che di evocativo».Considerando la grande storia del

 violoncello, quali sono stati i suoipunti di riferimento? Esiste per leiuna particolare fonte d’ispirazione(non necessariamente musicale)?«Il mio violoncellista di riferimento è statosenza dubbio Rostropovic, e lo rimane,

anche se invecchiando tendo a sviluppareun sempre più radicato e personale sensoestetico. L’ispirazione rimane per me unmistero. Arrivano idee buone nei mo-menti più assurdi ed inattesi, come invecepuò capitare che quando mi concentroper cercare ‘qualcosa’ non succeda nulla...L’importante è che le antenne siano sem-pre connesse».Ci parla dei suoi progetti futuri?«Devo cercare di salvare il mondo! (Do-stoevskij)».

suono spesso e sempre con grande gioia».Il concerto per Musica Insieme si con-cluderà con la Quarta Sinfonia diBrahms. Parafrasando Schoenberg,riterrebbe ancora oggi Brahms unmusicista “progressivo”?«Brahms è un autore che muove dentro dime energie e sentimenti particolari, asso-lutamente unici. Mi coccola con grandidelicatezze e sensibilità quasi femminili,ma è anche capace di scuotermi con ven-tate di passione al limite del fuori con-

trollo, e credo che questo dualismo deglieccessi possa ritenersi molto moderno.Progressivo è tutto quello che facciamoper modificare il presente e progettare unfuturo migliore. Brahms in questo è senza dubbio un “progressivo”».Fra le pagine che ha suonato, ce n’èuna alla quale è particolarmente le-gato? E se sì, per quale ragione?«Difficilissimo estrapolare una sola pa-gina, ogni esecuzione conserva in sé unaffetto proprio ed unico, non ripetibile,

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na persona semplice, consape-vole che il successo arriva dopouna lunga gavetta, senza scor-

ciatoie, seguendo gli insegnamenti di ge-nerosi Maestri, che lo hanno accompa-gnato tappa dopo tappa fino a diventare,

oggi, uno dei migliori solisti della sua ge-nerazione: questa l’immagine del pianista argentino che emerge leggendo le sue pa-role. Nato a San Pedro, una piccola cit-tadina nella provincia di Buenos Aires,priva di una qualunque scuola di mu-sica, non appena a sei anni dimostra alla famiglia una predilezione per quest’arte,il piccolo Nelson viene accompagnato da una maestra di pianoforte di un paese li-mitrofo, che consiglia immediatamente aigenitori di portarlo al Conservatorio diBuenos Aires. Qui l’incontro con JorgeGarrubba, già allievo di Vincenzo Scara-muzza, che diventa il suo insegnante pri-vato fino ai 13 anni. A soli 17 anni Go-erner vince il Primo Premio al Concorso“Franz Liszt” di Buenos Aires, e si aggiu-dica una borsa di studio per proseguire la sua formazione con Maria Tipo al Con-servatorio di Ginevra. Seguono anni diintensa e meticolosa formazione, un im-pegno che Goerner ci racconta conl’umiltà e insieme la determinazione dichi sa che ogni risultato è frutto di un

lungo e appassionato lavoro, ancorchéspesso nell’ombra, lontano dai riflettori.Passo dopo passo, senza correre, Goernervince ancora nel 1990 il Primo Premio alConcorso di Ginevra, e tre anni dopoinaugura le sue registrazioni discografichecon Rachmaninov. Anche in questo caso,come ha avuto modo di raccontare in

occasione del suo ultimo cd, dedicato nel2013 a Debussy, «tutte le opere prescelteper l’incisione sono il frutto di una lunga maturazione e sono precedute da una lunga e rodata interpretazione in pub-blico. Così, improvvisamente ad un certo

momento, ci si sente pronti per il disco. Allora non bisogna lasciare che quel mo-mento passi!». Accade dunque che nelsuo ultimo album, tutto consacrato a De-bussy, anche la scelta dei brani non sia mai scontata: a partire dal Secondo Librodi Studi , suggestioni mai abbastanza ri-velate che da spunti tecnici apparente-mente ‘didattici’ come “le note ribattute”,“gli abbellimenti” o “i gradi cromatici” ri-cavano momenti di autentico incanto so-noro. Goerner gli Studi  li ha eseguiti nona caso sin dagli anni Novanta, sotto la guida appunto di Maria Tipo, per ab-bandonarli poi fino al 2000. D’altronde,egli chiosa, «il mio metodo è un po’ que-sto: lavorare intensamente, e poi lasciardecantare…». Goerner insomma non silascia governare dalla fretta né da una spasmodica ricerca del successo, ed è forseanche per questa ragione che il suo de-butto bolognese – motivo per attenderlocon particolare curiosità – avvienequando la sua carriera internazionale è già ampia e consolidata; e con la benedizione

di un artista che condivide con Goernerproprio questa totale estraneità alle lucidella ribalta, questo rifuggire da facili al-lori per costruire la propria arte con pro-fondità e riflessione: Radu Lupu.Quali sono stati i più importantiMaestri che ha incontrato nel suopercorso?

NELSON GOERNER

«Ho avuto la fortuna di studiare, in Ar-gentina, con grandi Maestri come JorgeGarrubba, Juan Carlos Arabian e Car-men Scalcione, che provenivano tuttidalla scuola di Vincenzo Scaramuzza, dicui Carmen Scalcione è stata fra i più il-

lustri rappresentanti; una pianista chenon ha fatto la carriera che meritava, ma che aveva un grandissimo potenziale. Piùtardi, al Conservatorio di Ginevra, hostudiato con Maria Tipo: gli anni passatiinsieme a questa grande artista sono statidi una importanza capitale, per il suo ri-gore, lo spessore del suo insegnamento nelconfronto con i testi; ma anche per la li-bertà e il rispetto della personalità del-l’allievo. E i suoi concerti erano una ric-chissima fonte d’ispirazione, così come la sua grande generosità: un giorno, decisedi darmi la possibilità di esibirmi in reci-tal al suo posto alla Sala Verdi del Con-servatorio di Milano: ed era lì, in platea ad ascoltarmi!».Radu Lupu in particolare, che èstato ospite di Musica Insieme loscorso aprile, la considera un inter-prete straordinario. E lei come defi-nirebbe questo artista così originalee lontano da ogni schema?«Radu Lupu è uno dei maggiori interpretidel nostro tempo, per la profonda, au-

tentica originalità delle sue interpreta-zioni. Il suo anticonformismo è ungrande esempio da seguire nella nostra epoca dove predomina il culto dell’im-magine esteriore. Nel mio percorso egli èun incontro, un’amicizia essenziale».Per la prima volta suona a Bolognaper Musica Insieme, che cosa si

24   IM   MUSICA INSIEME

Ha le idee chiare su cosa definisca un Artista, il pianista argentino ammirato da Radu Lupu,che il 24 novembre comparirà per la prima volta sulle scene bolognesi  di Cristina Fossati

Melodie camaleontiche

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“ “È proprio nel momento dell’esecuzione che tanti particolari,

spesso importantissimi, delle opere si rivelano a noi

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aspetta dal nostro pubblico?«Sono cosciente della ricca tradizione mu-sicale di Bologna e quindi mi aspetto unpubblico molto colto, che ama davvero la musica. Ma soprattutto, vorrei essere nelle

migliori disposizioni per comunicare, tra-smettere al pubblico la mia visione inter-pretativa dei grandi capolavori di Mo-zart, Schumann, Chopin. Sarei davverofelice di riuscirci, almeno in parte… ».Come ha scelto il programma chesuonerà il 24 novembre?«Un programma di recital deve certa-mente avere una logica narrativa, dei le-gami stretti tra i pezzi e gli autori (pensoa Mozart e Chopin...), ed anche dei con-trasti; ma, sopratutto, deve obbedire ad

una necessità interiore molto forte di ‘vi-vere’ queste opere, più che qualsiasi altra.Ogni giorno, attraverso lo studio, cer-chiamo di arrivare più in là, di capiremeglio quello che ci ha voluto dire l’au-tore: ed arriva infine il momento in cuil’ansia di condividere tutto questo con ilpubblico diventa un bisogno vitale. Ed èproprio nel momento dell’esecuzione, incui tanti particolari, spesso importantis-simi, delle opere si rivelano a noi».Lei è ritenuto un esecutore speciali-sta di Chopin, tanto da aver ricevu-

to un “Diapason d’Or” per l’incisio-ne delle sue opere. Come ‘racconte-rebbe’ dal suo punto di vista un’ope-ra così particolare come i 24 Prelu-di op. 28?«Chopin è uno degli autori che ho piùstudiato e più eseguito nella mia vita,ma non mi considero affatto uno specia-lista. Sin da giovane sono stato moltocolpito da una convinta affermazione di

 Arrau: egli diceva che un vero interpretedoveva essere come un camaleonte, ca-

pace di sentirsi a suo agio nei linguaggi enegli stili più diversi. Ho davvero biso-gno, personalmente, di quella ricchezza enorme e insondabile del repertorio peril nostro strumento. I Preludi di Chopinsono talmente geniali che avrei paura dibanalizzare questo capolavoro con delleparole… direi soprattutto che la com-plessità di ognuno di loro, i loro segreti,sofferenze, rimpianti lontani, aspirazionidell’anima, ne fanno un microcosmo cheriflette tutta la genialità del compositore,forse di più di qualsiasi altra opera».

sedurre dalle strade di facile successo, evi-tando questa trappola che impedisce losviluppo, di non avere fretta, di prendersiil tempo necessario per maturare le pro-prie interpretazioni; solo questo gli per-

metterà, un giorno, di avere il bagaglio,l’esperienza di vita necessari per difen-dere la sua verità: quello che lo definirà come Artista».

 Argentino di nascita, si è ora tra-sferito in Svizzera, due paesi moltodiversi per stile di vita e abitudinidella popolazione; crede che questedifferenze influenzino anche il modo

di suonare e ascoltare musica?«Non credo che le differenze fra i duepaesi abbiano lasciato tracce nel miomodo di sentire ed eseguire la musica. Fra i paesi latinoamericani, l’Argentina è tra quelli in cui il modo di vivere assomiglia di più all’Europa; le differenze esistenti siintegrano a vicenda, sono complementarie necessarie, anche nel modo di faremusica. Credo che essere troppo at-taccato al carattere, ad un ‘modo diessere’ congeniale del proprio paese

possa essere limitativo, anche ne-gativo, tanto quanto lo sia dimen-ticare le proprie radici. L’uomo èper definizione di una enormecomplessità: perché mai limitarci?».Quale consiglio darebbe a ungiovane pianista che stia in-traprendendo la carriera con-certistica?«Gli consiglierei di non lasciarsi

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alla sua formazione nel 1972, il Quartetto Brodsky siè esibito in più di 2.000 concerti sui palchi più pre-stigiosi del mondo, pubblicando oltre 50 incisioni.

Una curiosità innata e un insaziabile desiderio di esplorarehanno spinto il gruppo in molteplici direzioni artistiche e con-tinuano ad assicurargli non solo un posto sulla ribalta della scena 

internazionale, ma anche una ricca e varia esistenza musicale.L’energia e l’abilità artistica dei Quattro li hanno portati a rice-vere numerosi premi e riconoscimenti a livello internazionale,mentre i programmi educativi che tuttora stanno portandoavanti forniscono un veicolo per trasmettere la loro esperienza e rimanere in contatto con le nuove generazioni. A dialogare conquesto ensemble storico, un artista al suo debutto nella stagionedi Musica Insieme: Giampiero Sobrino, a vent’anni già Primo

clarinetto solista nell’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino eoggi solista richiestissimo, oltre che Vice Direttore Artistico della Fondazione Arena di Verona. Scopriamo dunque qualcosa di piùsui compagni d’avventura nel concerto in programma per ilprossimo 1 dicembre, attraverso le parole di Sobrino e della ‘vocestorica’ del Quartetto, il violista Paul Cassidy.

Gentile Maestro Sobrino, quali sono i suoi primi ricordimusicali? Cosa l’ha portata a scegliere uno strumentocosì particolare come il clarinetto?Giampiero Sobrino: «Lo devo a mio nonno che era un appas-sionato di musica. Abitavamo in un piccolo paese di campagna del Piemonte, e la musica si imparava nelle bande. Così egli ungiorno mi accompagnò, e si dedicò finché visse a seguire i mieiprogressi. Lui non conosceva la musica, ma aveva un grande ta-lento naturale e una spiccata sensibilità, passava i pomeriggi fi-schiettandomi motivetti popolari, che voleva che io ripetessi colclarinetto. Inizialmente il maestro della banda cercò di indi-rizzare la mia scelta verso altri strumenti, come la tromba o iltrombone, di cui la formazione bandistica scarseggiava, ma perme il clarinetto era un imperativo, rappresentava il solista del-l’orchestra, quello che cantava la melodia accompagnato daglialtri strumenti: ero piccolo ma già sapevo che sul palcoscenicovolevo essere un protagonista».Fra i riconoscimenti (anche verbali…) che ha ottenutonella sua carriera, qual è per lei il più importante?Quali sono stati i ‘maestri’ fondamentali per la sua for-mazione?Giampiero Sobrino: «Da giovanissimo, terminati gli studi, leprime soddisfazioni si hanno partecipando e imponendosi allecompetizioni internazionali, che rappresentano il miglior modoper farsi conoscere dalla critica e dal pubblico: fra questi ricordo

il Premio al Concorso di Parigi ricevuto dalle mani di Paul Ba-dura-Skoda, Presidente della commissione. I concorsi sonoimportanti, ma altrettanto lo sono le esperienze di vita, il con-tatto con i grandi musicisti e i grandi maestri, con i quali hail’occasione di confrontarti, e specie quando sei giovane diven-tano stimolo e spinta a crescere e migliorarsi. Con affetto estima ricordo due bravissimi clarinettisti, recentemente scom-parsi: Thomas Friedli e Walter Boeykens, che sono stati per meun’ispirazione importante sia per l’aspetto musicale, che perquello più propriamente tecnico dello strumento. Ho avutoinoltre la fortuna di far parte da giovanissimo dell’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, e in quest’ambito ho potuto la-

vorare a fianco dei più grandi direttori e compositori del pa-

QUARTETTO BRODSKY - GIAMPIERO SOBRINO

26   IM   MUSICA INSIEME

Il quartetto inglese, da oltre quarant’anni alla ribalta della scena concertisticainternazionale, si esibisce per la prima volta con l’affermato clarinettista

italiano dando voce al capolavoro weberiano   di Cinzia Fossi

Inediti incontri

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L’INTERVISTA DOPPIA 

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norama internazionale. Sergiu Celibidache è stato uno diquelli. Con il maestro c’è stata sintonia e simpatia fin dal primoistante; io avevo poco più di vent’anni, e per me era come con-frontarmi con un dio dell’Olimpo. Finite le prove, ricordo lelunghe chiacchierate: Celibidache si concedeva raccontandomianeddoti sulla sua vita e sulle filosofie che stavano dietro alla let-tura di una partitura. Lui aveva un motto: “la fine sta nell’ini-zio, l’inizio sta nella fine”. Poche parole che racchiudono unmondo intero e che ancora oggi fanno parte di me».In più di un quarantennio di carriera, il Brodsky StringQuartet vanta un vasto numero di concerti e incisioni.Come è cambiato il Quartetto in questi anni così intensi?Paul Cassidy : «In effetti abbiamo avuto la fortuna di vivere una lunga carriera, e non è ancora finita, spero! Sento che ora ilQuartetto è più felice di quanto non sia mai stato. In un modoo nell’altro, siamo sicuramente più affiatati e credo che siamoin grado di suonare meglio di quanto non abbiamo mai fattoprima, con molto più sentimento e trasporto e con una sem-

pre maggiore libertà. E sicuramente questo rende anche la vita molto più piacevole».Quello del quartetto d’archi è un vero e proprio  modus 

vivendi , non solo un lavoro: come siete riusciti ad ar-monizzare le vostre diverse individualità per raggiun-gere la vostra personalità come gruppo?Paul Cassidy : «Per stare insieme a lungo come ensemble sononecessarie diverse componenti: innanzitutto una forte deter-minazione, che ti aiuta ovviamente ad affrontare il lavoro, an-che quando è un lavoro piacevole. Inoltre è importante rispet-tare i tuoi colleghi e apprezzare la loro compagnia e il loromodo di fare musica. Oltre a ciò devi avere un sogno da rea-lizzare, e il Quartetto Brodsky è il nostro sogno».I due repertori, quello per quartetto e quello per clari-netto, sono ricchi di composizioni amatissime dal pub-blico: a quali opere siete particolarmente legati e qualè, a vostro avviso, una composizione del passato o delpresente da riscoprire?

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Paul Cassidy : «Ogni artista vero deve vivere nel presente eguardare al futuro. Noi speriamo di andare avanti ancora permolto tempo a trovare nuove opere, e a riscoprirne. Quello perquartetto è uno dei repertori più ricchi, e non potrei soppor-tare di limitarmi a suonare la musica di un particolare periodo

piuttosto che di un altro. Noi adoriamo tutta la buona musica».Giampiero Sobrino: «Il clarinetto ha avuto la fortuna di averetanti compositori che hanno scritto per questo strumento.Nelle varie epoche inoltre, molte volte l’ispirazione degli autorinasceva da rapporti di amicizia e di stima professionale per cla-rinettisti a loro coevi. Così si può dire di Mozart e Stadler,Brahms e Mühlfeld, Weber e Bärmann. Ed è proprio di Bär-mann la prima opera che ricordo di aver ascoltato su disco da ragazzino; ne restai letteralmente affascinato, per la prima volta udivo un suono di clarinetto puro, caldo e cristallino. Ma quelbrano, attribuito erroneamente a Wagner, era invece l’ Adagiodel Quintetto per clarinetto e archi di Bärmann. Oltre ai ca-

polavori di questi capisaldi della storia della musica, nei mieiconcerti eseguo anche abitualmente il Concerto di Copland, la Rapsodia di Debussy, oltre ad autori italiani come Rossini, Do-nizetti e Verdi (nelle parafrasi operistiche che ne ha trattoLuigi Bassi per il clarinetto solista)».In compenso, il repertorio per quintetto con clarinettonon è molto vasto: oltre ai più noti e celebrati quintettidi Brahms e Mozart, troviamo per esempio il Quintettodi Weber, così ricco di belcanto e struggente: come de-finireste quest’opera?Paul Cassidy : «Quello di Weber più che un quintetto sembra quasi un concerto per clarinetto solista, specie rispetto a quellodi Mozart o Brahms; è comunque molto impegnativo per il quar-

tetto d’archi, ed è un pezzo estremamente emozionante da suo-nare, oltre che divertente e ricco di bella melodia. Una delizia».Giampiero Sobrino: «Amo molto questo quintetto perchè trovoche esalti appieno tutte le caratteristiche virtuosistiche edespressive del mio strumento. Due punti fondamentali nelQuintetto sono la  Romanza , dove il clarinetto potrebbe rap-presentare la voce nel belcanto operistico più raffinato, e poi ilrondò dell’ Allegro finale, dove il virtuosismo strumentale èspinto all’eccesso».Due parole per descrivere lo storico Quartetto Brodsky,con cui si esibirà per Musica Insieme…Giampiero Sobrino: «È la prima volta che suoniamo insieme, e

considerato il livello artistico che esprimono da sempre, per meè un piacere pensare di affrontare con loro la preparazione el’esecuzione di quest’opera».Sempre parlando del programma che eseguirete perMusica Insieme, Weber è inframmezzato da due capo-lavori russi: lo   Scherzo   di Borodin, pieno di verve eumorismo, e l’ultimo Quartetto opera 30 di Cajkovskij,

nel quale emerge il sentimento opposto nell’ Andante 

funebre e doloroso ma con moto . Maestro Cassidy,può spiegare ai nostri lettori la ragione di questa sceltae il vostro rapporto con la musica russa?Paul Cassidy : «Come gruppo, sentiamo una grande affinità 

con la musica russa, e il nostro stesso nome ne è un indizio! Abbiamo sempre suonato questa musica, da quella di Stra-vinskij e Šostakovic a quella di Borodin e Cajkovskij. E que-sto meraviglioso Scherzo di Borodin lo abbiamo scoperto re-centemente. È un pezzo davvero ‘contagioso’, come unquadro sulla neve, che rende difficile smettere di canticchiareil suo motivetto. Il grande Quartetto n. 3 di C ajkovskij è unvero capolavoro. La sua concezione è fondamentalmente sin-fonica, ma forse i due movimenti centrali sono i più notevoli;un incredibile Scherzo è seguito da uno straordinario movi-mento lento, una marcia funebre scritta in memoria di un suogrande amico, il violinista Ferdinand Laub, che era scomparso

poco prima. I musicisti usano la sordina per accentuare ilsenso della perdita, e nella sezione centrale sembra quasi disentire i sacerdoti russi ortodossi cui fa eco la congrega dei fe-deli. Un’opera d’arte davvero eccezionale».Musica da camera vuol dire anche collaborazioni conaltri colleghi e musicisti, che soprattutto nel caso delBrodsky sono state innumerevoli, coinvolgendo artisticome Björk o Costello e molti altri… Ci racconterebbequalche episodio particolarmente emozionante? E c’èancora qualche artista con cui vorreste esibirvi?Paul Cassidy : «Quando siamo stati in tour con Björk, ab-biamo spesso suonato negli stadi; ricordo in particolare un’oc-casione a Sheffield dove suonammo Stravinskij davanti a 

20.000 persone. Ci aspettavamo che ci tirassero i pomodori,e invece il pubblico si è alzato in piedi applaudendo e ballando;sono sicuro che questa scena sarebbe piaciuta molto anche a Stravinskij».Maestro Sobrino, dal punto di vista del suo ruolo nellaDirezione Artistica della Fondazione Arena di Verona,come vede oggi la situazione della musica classica inItalia?Giampiero Sobrino: «Premesso che l’Italia è il paese che esprimeil maggior numero di ricchezze artistiche – è proprio per que-sto che attiriamo da sempre l’attenzione e l’interesse di tutto ilmondo – ci ritroviamo oggi in un momento di grande diffi-

coltà, sia strutturale che culturale. Intanto, bisognerebbe pren-dere coscienza di chi siamo e di cosa rappresentiamo, in mododa tramandare ai nostri giovani la consapevolezza di un’iden-tità e appartenenza: è su questo che bisogna lavorare. Oggisiamo un paese malato, ma se non abbiamo il coraggio, in ma-niera trasversale, di riconoscerlo, non troveremo neppure una cura adeguata».

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Celibidache aveva un motto: “la fine sta nell’inizio, l’inizio sta nellafine”. Poche parole che racchiudono un mondo intero  ( Sobrino )

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iolinista, violista e direttored’orchestra, Pinchas Zuker-man ha fatto della musica, e

del trasmettere la musica, la propria vocazione, la propria ragione di vita.‘Scoperto’ in Israele da Isaac Stern e

Pablo Casals appena quattordicenne,ha ricevuto da allora prestigiosissimi ri-conoscimenti internazionali, calcando

tutti i palcoscenici più importanti, edesibendosi al fianco di musicisti e or-chestre di primissimo piano, per dive-nire uno dei musicisti più famosi ed ap-prezzati al mondo. Dal 2002 guida edirige gli Zukerman Chamber Players,ensemble fondato insieme a quattro fra i suoi più brillanti ex allievi, quali la vio-loncellista Amanda Forsyth, la pianista 

 Angela Cheng e i violinisti Jessica Lin-nebach e Jethro Marks. Con loro Zu-kerman ha percepito da subito un’in-tesa speciale, costruendo negli anni un

importante legame umano e professio-nale. In questa intervista egli ci parla 

quindi dei suoi partner, della bellezza del far musica in-sieme e soprattutto della sua ‘missione’ nell’inse-gnare ai giovani, e nel-

l’aiutare gli allievi a co-struirsi una solida formazione

su cui avviare una brillante car-riera. Seguendo poi il filo dei ri-

cordi, Zukerman ci racconta dei mo-

menti più emozionanti della sua vita dimusicista e di direttore, del suo grandeamore per la musica di Brahms e delposto speciale che Bologna e il suo pub-blico occupano nel suo cuore.Nei suoi ricordi qual è il più belconcerto (suonato o ascoltato)?«Probabilmente potrei ricordare cia-scuno dei concerti in cui ho suonato nelcorso di tanti anni come il più bello. La 

grande emozione che provo suonandoogni singolo brano, su così tanti palco-scenici nel mondo, e davanti a così

tante persone diverse tra il pubblico, èil segno di una bellezza unica, irripeti-bile, di un nuovo sentimento cheesplode ogni volta».Qual è il più significativo tra tutti iriconoscimenti (anche verbali) cheha ottenuto nella sua carriera?«Il riconoscimento più importante perme è senza dubbio l’apprezzamento delpubblico, il fatto di vedere che neltempo le persone continuano adamarmi e a seguirmi. Quando suonosento che la loro energia mi raggiunge

attraverso la pelle, poi mi penetra nelcervello, e da lì va dritta al cuore: que-sta è la ragione per cui sono ancora sulle scene. Credo che questo sia e ri-marrà sempre il riconoscimento piùambito nella mia vita. Poi naturalmenteci sono momenti memorabili della mia carriera che continuo a ricordare conemozione: il conferimento della Me-daglia delle Arti [riconoscimento conse- gnatogli nel 1983 dal Presidente Rea- gan, ndr ] e dell’“Isaac Stern Award for

 Artistic Excellence”. Vuole parlarci dei suoi partnernel concerto per Musica Insieme eraccontarci come è iniziata la vo-stra collaborazione?«Amanda Forsyth è a mio avviso una delle violoncelliste più interessanti a li-vello internazionale, si esibisce nellesale più prestigiose del mondo ed è an-che il violoncello principale del Natio-

PINCHAS ZUKERMAN

Con la passione e l’entusiasmo di un ragazzino, il violinista israeliano che vanta oltre cinquant’anni di una strepitosa carriera internazionale, ci racconta

il suo amore per la musica  di Anastasia Miro

Onde sonore

 V 

   F  o   t  o   C    h  e  r  y

    l   M  a  z  a    k

L’INTERVISTA 

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31IM   MUSICA INSIEME

nal Arts Centre di Ottawa. L’affiata-mento musicale e mentale con lei èstato assolutamente immediato fin da quando abbiamo suonato per la prima 

volta insieme, così continuare ad esi-birmi con lei ne è stata la naturale con-seguenza. Angela Cheng ha ricevuto la Medaglia d’Oro al Concorso pianisticoInternazionale “Arthur Rubinstein” eanche la sua è un’eccellente carriera,tanto che chiederle di unirsi a noi negliZukerman Chamber Players nel 2009per me è stato del tutto spontaneo. Sia con Amanda che con Angela l’intesa musicale è nata con una tale naturalezza che andare in questa direzione insieme

è stato in un certo senso necessario,quasi obbligatorio. Sarebbe stato unvero peccato non farlo!»Lei dedica molto tempo e impegnoanche all’insegnamento. Come

 vive questo ruolo, da musicista difama internazionale, nell’aiutare lenuove generazioni, ad esempio di-rigendo ensemble come gli Zu-kerman Chamber Players?«Insegnare alle nuove generazioni dimusicisti per me è una priorità. Credoche dare un futuro e una dimensioneconcreta alle loro aspettative sia impor-tantissimo. Come puoi aiutare un figlioa crescere senza guidarlo, senza pren-derti cura di lui? Ovviamente non puoi.La stessa cosa avviene con gli allievi. Titrovi davanti a loro e percepisci quantosiano assetati e affamati di comprenderela musica. Senti la responsabilità deltuo ruolo e sai che se non muoverai letue mani sulle corde, se non spiegherailoro come usare al meglio lo strumento,non gli fornirai mai il primo mattone

per costruire qualcosa di solido. Inoltre,devo dirlo, la tecnologia al giornod’oggi aiuta molto i musicisti e gli in-segnanti a migliorare e sviluppare il pro-

cesso di apprendimento a tanti livelli.Dirigere gli Zukerman Chamber Pla-yers è una parte importante di me, della mia stessa natura. Sono sempre deside-

roso di sperimentare nuove e stimo-lanti sensazioni ed emozioni musicalicondividendole con altri artisti che ri-tengo davvero molto dotati. Adoroognuno dei componenti dell’ensemblee li considero una parte molto preziosa della mia carriera, con cui desidero pro-seguire un percorso importante».Lei è un grandissimo solista, sem-pre al fianco delle orchestre piùimportanti, ma è anche un musici-sta molto attivo nel repertorio ca-

meristico. Come sintetizzerebbe ladifferenza tra questi due mondi?«In fin dei conti non credo che ci sia una reale differenza tra queste due di-mensioni del fare musica. Suonare conorchestre ad altissimo livello interna-zionale dà una magnifica emozione intermini di ampiezza di repertorio e dipubblico. Suonare al fianco di questeorchestre, o dirigerle, è una sensazioneimmensa: è come se ti facesse sentireparte di esse e, allo stesso tempo, è comese avessi la forza di milioni di onde chesi muovono tutte insieme “con impeto”.La musica da camera non è però menoeccitante. Se dirigi un piccolo ensemblecon lo stesso entusiasmo con cui diri-geresti una grande orchestra puoi capiresostanzialmente una cosa: la musica può di certo cambiare a seconda della partitura, del compositore, dell’epoca,ma, qualunque ne sia la forma, qua-lunque la dimensione, rimane uno deipiù potenti mezzi di comunicazione sia a livello intellettuale che emotivo».

Il pubblico di Musica Insieme hapotuto ascoltarla più volte a Bolo-gna con un partner di lunga datacome Marc Neikrug. Cosa ricorda

di questi concerti e del pubblico bo-lognese e italiano in generale?«Posso dire di ricordare tutti i miei con-certi, con ciascuno dei miei partner,

come momenti meravigliosi. Comun-que sì, ho ben presenti in mente queidue concerti per Musica Insieme e so-prattutto quanto fossi felice. Mi ricordomolto bene del pubblico bolognese cheè così caloroso, proprio come lo è tutta la magica Italia che io amo tanto. È unpubblico attento, entusiasta ed appas-sionato, e la sua reazione sempre cosìpositiva ai miei concerti mi ha portatoa pensare a Bologna come a una dellecittà italiane e una delle sedi concerti-

stiche dove tornerò sempre volentieri».Nel vostro programma Brahms ri- veste un ruolo fondamentale. Lasua produzione cameristica e pia-nistica sembra d’altronde vivereoggi una nuova riscoperta. Qualisono secondo lei le motivazioni diquesta Brahms-Renaissance?«Brahms è uno dei compositori più im-portanti del mondo e quindi tutta la sua musica dovrebbe essere eseguita ovun-que e sempre, sia per quanto riguarda ilrepertorio sinfonico che quello cameri-

stico. A parte questa, non penso che cisiano altre spiegazioni per questo suo‘revival’. D’altra parte, gli organizzatorie il pubblico cambiano nel tempo e gliartisti cambiano con loro. In altre pa-role, credo che si tratti di una sorta diprocesso naturale per tutti noi: ad uncerto punto sentiamo di doverci misu-rare con un compositore così impor-tante in modo completo, ‘a tuttotondo’; fa parte della crescita delle per-sone (musicisti inclusi…). Nulla ac-

cade immediatamente nella vita, e cosìnella musica, tutto fa parte di un con-tinuo processo di apprendimento, do-vremmo ricordarlo sempre».

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Quando suono sento che l’energia del pubblico mi raggiungeattraverso la pelle, poi mi penetra nel cervello, e da lì va drittaal cuore: questa è la ragione per cui sono ancora sulle scene

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apete no, quella famosa uscita di Arnold Schoenberg quando disse:«Fra cinquant’anni il postino fi-

schietterà le mie melodie?». Ma forse nontutti conoscono la risposta di Steve Reich,il quale ha osservato che di anni ne sono

passati cento, ma nessun postino sulla faccia della terra fischietta Schoenberg.

 Johannes Brahms non ha mai detto nientedel genere, anche se ne avrebbe avutobuone ragioni. Per gran parte della sua vita, pur difeso a spada tratta dai suoiammiratori, ha subito una sistematica de-nigrazione ad opera di molta critica e dimolto pubblico, come autore accademico,trombone, noioso. Insomma ricco discienza, ma povero di quello slancio me-lodico sulla cui ala il romanticismo aveva 

trasvolato e soggiogato un secolo intero.Eppure se Brahms avesse detto: «Fra cin-quant’anni il postino fischietterà la mia musica» ci avrebbe azzeccato, magari ag-giungendo (visto e considerato quel che èsuccesso poi): «Postino, sì, ma appassio-nato di musica classica!». Insomma conBrahms, come per tanti altri, il tempo ha 

funzionato. Con Schoenberg, e tanti altri,no. La ragione c’è, ma non è questo il no-stro tema. Parliamo di Brahms invece, e diquella magnifica (in tanti sensi) vicenda che lo ha visto dapprima avvolto in ungroviglio di tesi e malintesi, fazioni e pre-

giudizi, per poi a poco a poco uscirne,come una figura nuova, fragrante comenon si sarebbe creduto, e infine assurto alrango degli intramontabili. È vero. Postinio no, capita che noi oggi fischiettiamoBrahms. E facciamo fatica a capire comemai all’epoca venisse tanto denigrata la sua povertà melodica e sentimentale, quandonoi invece ci abbandoniamo all’iniziodella sua Quarta Sinfonia o del Quin-tetto con pianoforte in fa minore.

 Apro Youtube per quelle verifiche volanti

che la rete suggerisce. Al nome “Brahms”cerco i video più visti e, con un’esattezza sociologicamente tanto prevedibilequanto malinconica, ecco in prima fila Hungarian Dance  n. 5 e  Lullaby, cioè ilWiegenlied  dell’op. 49 (la celeberrima “ninnananna di Brahms” insomma), tra-scritto però per violino e pianoforte. Oggi,in rete o al concerto, chi ‘consuma’ musica per il proprio benessere spirituale, chia-miamolo così, è sempre alla ricerca della melodia, del tema capace di muoverequalcosa dentro. È quel bisogno che fa 

inorridire compositori come Pierre Bou-lez, che sperano ancora nei postini del fu-turo. Proprio lui, Boulez, nelle intervistesi è spesso detto convinto che la sua mu-sica verrà un giorno apprezzata comequella di Mozart. È fin troppo facile ac-cusare i mass media per questa presunta superficialità o ‘regressione’ dell’ascolto.Cento, duecento, trecento anni fa succe-deva all’incirca lo stesso. Nell’Ottocento,dopo una cura a base di Beethoven, Schu-bert, Mendelssohn, Chopin, Bellini, Liszt,

 Wagner, Verdi, “musica” era sinonimo di

melodie meravigliose, scolpite nella me-moria e fuse inscindibilmente a tutti i ca-ratteri, sogni, amori, drammi, passioniimmaginabili. Evidentemente, un com-positore che in piena romantic craze otto-centesca si permette di comporre due Se-

renate per piccola orchestra, un’Ouverture accademica e via via sonate, trii, quartetti,quintetti, ecc… pensa e opera in mododiverso, persino provocatorio. Tanto da spingere Hugo Wolf a scrivere, sferzantecome suo costume: «L’arte di comporresenza ispirazione ha trovato in Brahms ilsuo più degno rappresentante. Propriocome il Padreterno, anche il signorBrahms conosce l’abilità di trasformare ilnulla in qualcosa».È una frustata che, anche in una perso-

nalità e in una superiore intelligenza mu-sicale come Wolf, tradisce una sorta dihorror vacui per il venir meno della figura compiuta, cioè del tema romanticamentecaratterizzato come veicolo della fantasia e del sentimento. Ma senza volerlo, a di-stanza, la battuta corrosiva si muta in elo-gio sommo, che si congiunge al rovescia-mento del tradizionale giudizio storico suBrahms compiuto proprio da Schoenberg nella sua celebre conferenza del 1933:Brahms der Fortschrittliche (Brahms il pro- gressivo). Progressivo: perché ha insegnato

a tutti l’arte di costruire la musica a par-tire non dal nulla, ma dall’estremamentepiccolo, dalla cellula, e con quella com-porre un intero organismo, quel “qual-cosa” come lo chiama sprezzantemente

 Wolf. Mai come in questo caso la parola “creazione” risulta appropriata. Ma altempo stesso ecco che l’attenzione si fissa su quel “trasformare” che ci si svela comequintessenza di un’arte in cui, man manoche si placano i boatos  e cadono i paraoc-chi, Brahms assolutamente svetta e, di

nuovo, ci fa innamorare.

IL PROFILO

32   IM   MUSICA INSIEME

S

JOHANNES BRAHMS

Tanto frainteso dalla critica coeva, quanto apprezzato e osannato dopo la sua morte,il compositore amburghese è sempre capace di stupire, emozionare e ‘parlare’

all’uomo contemporaneo   di Giordano Montecchi

Romantico “progressivo”

 Johannes Brahms(1833-1897)

in una fotodel 1890 ca.

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resentato nelle giornate di Arte-libro 2013, è attivo il portale on-line   UN SISTEMA ARMO-

NICO. Suoni, immagini e racconti dai musei e dalle collezioni musicali dell’Emi-lia-Romagna , promosso dall’Istituto BeniCulturali e dedicato al patrimonio musi-cale conservato nella nostra regione. Unitinerario multimediale che riunisce più di40 istituzioni articolate in sette percorsi: ipersonaggi e i luoghi, i musei della mu-sica, le collezioni di strumenti musicali, lebotteghe di liuteria, e accanto alla musica colta la musica popolare, la sezione deglistrumenti meccanici, per finire con le isti-tuzioni dedicate alla riproduzione delsuono, tra cui eccelle il bolognese Museo“G. Pelagalli, Mille voci… mille suoni”,mentre nella sezione degli strumenti mec-canici la collezione “Marini” appartenentealla Fondazione Cassa di Risparmio inBologna è ancora in attesa di essere alle-

stita. Di grande rilevanza anche numerica le istituzioni di Parma con il suo territo-rio, e naturalmente quelle di Bologna. A Parma il Conservatorio “Arrigo Boito”, la Casa natale di Arturo Toscanini, la Casa della Musica nel quattrocentesco PalazzoCusani: didattica, ricerca e concerti, e alsuo interno il Museo dell’Opera e l’Ar-chivio Storico del Teatro Regio, mentre la Casa del Suono dedicata alla riprodu-zione del suono è ospitata nell’ex Chiesa di Sant’Elisabetta. Inoltre i luoghi ver-diani – dalla Casa natale di Verdi a Ron-cole a Busseto, con il Museo-Casa Ba-

rezzi, il Teatro e Villa Pallavicino, alla Villa di Sant’Agata con il grande parco,dove il Maestro visse per quasi cinquan-t’anni, alternando alla musica la cura dellesue terre. A Bologna la Regia Accademia Filarmonica, il Conservatorio “GiovanBattista Martini” con il ricco patrimonio

dell’accademico frate musicologo, il Mu-seo Internazionale e Biblioteca della Mu-sica di Palazzo Sanguinetti, il Museo diSan Colombano-Genus Bononiae con la collezione di strumenti musicali donata da Luigi Ferdinando Tagliavini, e le bot-teghe di liuteria: quella di Otello Bignamial Museo della Musica, quella di IvanoCoratti all’Accademia Filarmonica, epresso il Museo Civico di Medicina la bottega del liutaio Ansaldo Poggi, mentreun autonomo e pressoché unico Museodella Liuteria è ubicato nel Castello della Musica a Noceto, che ospita anche il Mu-seo del Disco. Un Museo della Musica anche a Pieve di Cento, ospitato nei ri-dotti del Teatro Comunale intitolato alsoprano Alice Zeppilli. Accanto ai veri epropri musei della musica vanno anno-verate le sezioni musicali presenti inmolte istituzioni museali: a Modena, nel

Palazzo dei Musei, il Museo Civico con-serva la collezione di strumenti ad arco, a fiato, a pizzico e a tastiera del conte mu-sicologo Luigi Francesco Valdrighi, nella contigua Galleria Estense sono esposti al-cuni straordinari strumenti seicenteschiappartenuti ai duchi d’Este (tra cui una 

chitarra e un cembalo in marmo di Car-rara). E se nella sezione dedicata ai per-sonaggi celebri il primo posto spetta a Verdi, va almeno ricordato il Museo “Pie-tro Mascagni” ospitato nella canonica della Chiesa Arcipretale di Bagnaia diRomagna, che custodisce tra l’altro l’epi-stolario del Maestro, con circa 4.600 let-tere autografe. All’interno di ogni per-corso, a ciascuna delle istituzioni èdedicato un testo cui si accompagna unricco apparato di immagini, insieme ailink alla banca dati dei musei regionali. Alportale, continuamente in fieri , collabora il personale dei conservatori e delle isti-tuzioni, ma non solo; anche associazionie singoli cittadini, con segnalazioni chepossono integrare il  corpus   informativo.Frattanto si stanno mettendo a punto vi-deo-narrazioni per inquadrare i protago-nisti e i momenti più significativi della storia musicale nella nostra regione, e re-gistrazioni audio di brani musicali, incollaborazione con varie istituzioni ma in primo luogo con il Conservatorio bo-

lognese.

I LUOGHI DELLA MUSICA 

34   IM   MUSICA INSIEME

P

 Attivo dal 2013 il progetto online che l’Istituto Beni Culturali dedica al patrimonio musicale

conservato nei musei e nelle collezioni presenti in Emilia-Romagna  di Maria Pace Marzocchi

Un sistema armonico

A sinistra: Il pubblico del Teatro Regio di Parma nel 1909 , Casa della Musica, Museo dell'Opera,Parma (Foto Ettore Pesci, Parma/R.C.R. Di RossiLucio & C. Sas). Sopra: La collezione Valdrighi , Museo

Civico d’Arte, Modena (Foto Andrea Scardova – IBC)

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Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278

[email protected] - www.musicainsiemebologna.it

Lunedì 1 dicembre 2014

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ORCHESTRA  GIOVANILE ITALIANA

ENRICO  DINDO............................................violoncello e direttore

Lunedì 10 novembre 2014

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di Šostakovic, BrahmsIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

THE BRODSKY  STRING  QUARTET

GIAMPIERO  SOBRINO.........................clarinetto

Musiche di Borodin, Weber, C ˇ ajkovskij

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 15 dicembre 2014

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ZUKERMAN  CHAMBER  PLAYERS

PINCHAS  ZUKERMAN..........................violino e viola

Musiche di Brahms, Mozart

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Lunedì 20 ottobre 2014

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

JULIAN  RACHLIN......................................violino

LYNN HARRELL...........................................violoncello

ZHANG  ZUO......................................................pianoforte

Musiche di Schubert, Brahms

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

NELSON GOERNER.................................pianoforte

Musiche di Mozart, Schumann, ChopinIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”

e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

I CONCERTI ottobre/dicembre 2014

Lunedì 24 novembre 2014

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

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Si riaccendono le luci sul palcoscenicodi Musica Insieme per la XXVIII

edizione, con un trio di fuoriclasseimpegnato in pagine tra le più

affascinanti del repertorio cameristicodi Maria Chiara Mazzi

Generazioni

in trio

LUNEDÌ 20 OTTOBRE 2014

 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

JULIAN  R  ACHLIN   violino

L YNN H ARRELL   violoncello

ZHANG ZUO   pianoforte

Franz SchubertTrio in si bemolle maggiore op. 99Johannes BrahmsTrio in si maggiore-minore op. 8

Introduce Maria Chiara Mazzi, docenteal Conservatorio di Pesaro e autricedi libri di educazione e storia musicale

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Universalmente riconosciuto come uno dei più carismatici artisti dei nostri giorni, Julian Rachlin, formatosi con Boris Kuschnir al Conservatorio di Viennaed in se-guito conPinchas Zukerman,è apparso al fianco delleprincipali compagini, qua-li Wiener Philharmoniker, Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, Israel Philharmo-nic, London Philharmonic, Orchestra del Mariinskij, e sotto la direzione di Chailly,Mehta, Maazel, Muti. Nel2000ha ricevuto il Premio Internazionale dell’Accade-miaMusicaleChigiana. Solistada decenni ai vertici delconcertismo mondiale, ca-merista,direttoreedidatta,Lynn Harrell haricevutodueGrammyAwardsintrio

con Perlman e Ashkenazy, oltre a comparire in più di 30 incisioni a fianco delleprincipali orchestre. Ospite dei maggiori festival, si è esibito in trio con Anne-Sophie Mutter e André Previn, con i quali nel 2004 ha eseguito il Triplo Con-certodiBeethoveninsiemeallaNewYorkPhilharmonicdirettadaKurtMasur.

Zhang Zuo,selezionataperil“BBCYoungArtistsGeneration”dei“Proms”di Londra, si è aggiudicata il Primo Premio ai Concorsi pianistici internazio-nali “Gina Bachauer”di Salt Lake City e “Krainev” di Kharkov.

I protagonisti

una storia curiosa, e anche un po’divertente, quella del trio conpianoforte. Quando la nostra sto-

ria ha inizio, attorno alla metà del Sette-cento, il trio ancora non c’è: ci sono, sì,

due archi e una tastiera sul palcoscenico,ma il protagonista vero è solo uno, il vio-lino, accompagnato da un ‘basso conti-nuo’, cioè l’unione di un violoncello(che esegue la linea del basso) e un clavi-cembalo (che realizza gli accordi di so-stegno). Certo, Bach aveva provato a ren-dere autonoma la tastiera dandole una par-te tutta sua, ma la cosa non aveva avutotroppo seguito… Insomma: anche sesuonano in tre, questo non è ancora untrio… Poi, nel secondo Settecento, eccoun nuovo attore alla ribalta: il fortepiano(seguito a ruota dal pianoforte) che conuna poco gentile gomitata allontana ilcembalo discreto: sfacciato com’è non cista a ‘fare da spalla’ al violinista. Anzi, ètalmente prepotente che talora sembra ad-dirittura cancellare lo strumento ad arco!Nel frattempo il violoncello se ne sta qua-si in disparte a vedere come finisce tra idue: buono e quieto realizzatore di bas-

so, non vuole prendere le parti né dell’unoné dell’altro. Ma non ci vuole molto per-ché poi decida con chi stare e, se non al-tro per solidarietà di sezione, si schieri conl’altro strumento ad arco. La sua parte nel-

lo spartito viene spostata sopra quella del-la tastiera e sotto quella del violino, e nonpiù lasciata sotto tutte le altre. Ma anchequesto non è ancora un trio… Ci voglionoi viennesi, ci vuole Haydn che con i suoitrii costruisce quasi un ponte tra passatoe futuro, e ancora: ci vogliono prima Mo-zart e poi Beethoven a mettere d’accordotutti con un colpo di mano. È con loro in-fatti che la musica da camera esce dallestanze e dalle mani dei dilettanti per en-trare nelle sale da concerto, è con loro chefinalmente tre strumenti sul palcosceni-co diventano un trio, cioè un organismocon un solo cervello e un solo cuore, dovebisogna essere tutti d’accordo e tutti sul-lo stesso piano. Signori, questo finalmenteè un trio! Una formazione nella quale, pa-rafrasando una celebre definizione delquartetto, “tre persone bene educate con-versano tra di loro” senza che nessunoprenda il sopravvento. Meno ‘agile’ del trioper archi, ma anche meno trascendente-mente complicato e astratto del quartet-to per archi, il trio con pianoforte gode

di una storia e di una felicità tutte vien-nesi, perché sono proprio i compositoriviennesi (e tra questi, doverosamente, oc-corre inserire Schubert e Brahms) a evi-denziare la poliedricità di questo organi-co, utilizzato ora per esprimere una poe-

sia familiare, ora per raccontare straordi-narie esperienze espressive.Franz Schubert affronta il genere quandoi trii di Beethoven erano già celebri da tem-po, e quando i lavori di Czerny, Mosche-

les o Hummel stavano conquistando ilpubblico della Vienna della Restaurazio-ne col loro stile disinvolto, piacevole,brillante e virtuosistico. Lo Schubert, so-prattutto quello degli ultimi anni, recupera invece alla musica da camera il sapore del-l’intima confessione e, senza quasi ri-scuotere alcuna attenzione da parte deiviennesi, trasforma il genere nello specchiodel disagio dei tempi con una sensibilità che guarda quasi oltre il romanticismo stes-so. Eppure, tra i capolavori cameristici del-l’ultimo Schubert,deiTrii gemelli del 1827(l’op. 99 e l’op. 100) solo il secondo ven-ne eseguito in pubblico ancoravivente l’au-tore (il 26 dicembre del 1827 al Musik-verein di Vienna), mentre il primo ebbeun’esecuzione privata, il 28 gennaio 1828,da parte peraltro di tre illustri interpreti:il pianista Carl Maria Bocklet, il violini-sta Ignaz Schuppanzigh e il violoncellista 

 Joseph Linke. Non diversamente da tan-ti capolavori schubertiani, come gli ultimiquartetti e le ultime sonate per pianofor-te, anche il Trio op. 99 fu pubblicato sol-

tanto postumo (da Diabelli nel 1836); mi-gliore sorte toccò al suo ‘fratello’ op. 100,che sull’onda di un inatteso successo dipubblico trovò pubblicazione da parte diun editore di Lipsia. L’autore vi accom-pagnò queste parole, che oggi suonano ri-

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È

   F  o   t  o   J  u    l   i  a   W  e  s  e    l  y

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Lunedì 20 ottobre 2014

velatrici della sua condizione di concretobisogno, e di come egli si dibattesse lette-ralmente per trovare finalmente uno sboc-co editoriale ai propri lavori: «IllustrissimoSignore, qui allegato Le invio il Trio ri-chiesto, sebbene mi sembrasse inteso che

il prezzo di 60 fiorini si riferisse a un qua-derno di Lieder o di pezzi per pianofortee non a un Trio, per il quale è necessarioun lavoro sei volte superiore. Perché le coseincomincino finalmente a muoversi, La prego di procedere quanto prima alla pubblicazione e di inviarmene sei copie.Faccia eseguire ilTrio per la prima volta da gente all’altezza [...] Nell’attesa di una ra-pida pubblicazione, resto con i sensi del-la mia più alta considerazione. Suo devo-tissimo Franz Schubert».Se dunque Schu-

bert ebbe, tra le poche soddisfazioni deisuoi ultimi mesi di vita, quella di poterprendere in mano la prima copia stampata del Trio op. 100, per l’opera 99 il mondodovrà attendere il 1836, ed ancora una vol-ta l’acutezza del giudizio di Schumann, cheprontamente nel 1836 recensirà la pub-blicazione postuma: «Uno sguardo al Trioin si bemolle maggiore op. 99 di Schubert,e tutte le angosce della nostra condizioneumana scompaiono, e tutto il mondo è dinuovo pieno di freschezza e di luce. Eppure,circa dieci anni fa, un altro Trio di Schu-

bert era già apparso come cometa nel cie-lo musicale. Era la sua centesima opera;poco dopo, nel novembre 1828, egli mo-riva. Questo Trio, pubblicato di recente,mi sembra però il più vecchio dei due, eanche se stilisticamente non c'è niente chepossa rivelare la sua appartenenza a un pe-riodo precedente, potrebbe benissimo es-sere stato scritto prima del familiare Trioin mi bemolle op. 100. I due lavori sonoessenzialmente diversi. [...] mentre il Trioin mi bemolle è attivo, virile, drammati-

co, quello in si bemolle è passivo, femmi-nile, lirico». Alla lezione viennese si lega, in un unicoarco sonoro, anche il giovane Brahms. Ha vent’anni Johannes Brahms nel 1853,quando pone mano alla partitura delTrio contrassegnato come op. 8 che, se siesclude la collaborazione alla Sonata 

F.A.E., è la prima vera opera da camera del-l’autore amburghese. Celebre concertista,autore già di monumentali, straordinariesonate per pianoforte che per spessore edensità strutturale erano composizioni qua-si ‘sinfoniche’, il giovane artista era restioad affrontare un genere come quello ca-meristico, che nella prima metà del seco-lo aveva già conosciuto i capolavori di Bee-thoven e di Schubert. Sono anni impor-tanti questi nella vita del giovane com-

positore, che proprio in quel periodo co-nosce Joachim e viene rivelato e consacratoda Schumann nel celebre articolo “Vienuove” per la  Neue Zeitschrift für Musik .Nel 1854 il Trio era pronto per la prima esecuzione, che sarebbe avvenuta nella Dodsworth’s Hall di New York il 27 no-vembre del 1855, e già nella sua veste pri-

migenia raggiungeva un grandissimo ri-sultato. La precedente esperienza come pia-nista e la conoscenza dei classici consen-tiva infatti a Brahms di compiere un ul-teriore salto in avanti nella storia che stia-mo raccontando, forse portandola al suocompimento. Lontano dalla brillantezza dello stile di conversazione dei classici vien-nesi, estraneo alle angosce espresse dal ca-merismo di Schubert, Brahms ‘importa’ nelTrio la densità sinfonica sperimentata nelle sonate, infondendovi quell’anelito ro-mantico che sarebbe stato poi una delle si-

gle più originali di tutto il suo camerismo.È questa originalità a far assumere al Trioop. 8 una posizione di fulcro nella pro-duzione del Maestro, il quale non a casolo riprese in mano negli ultimi anni del-la sua vita dietro consiglio dell’editore Sim-rock. Nell’estate 1889 Brahms ne iniziò la revisione e scrisse a Clara Schumann:«Nonpuoi immaginare con quale fanciullaggi-ne ho trascorso i bei giorni estivi. Ho ri-scritto il mio Trio in si maggiore e possochiamarlo op. 108 invece che op. 8. Non

sarà più rozzo come prima – ma sarà mi-gliore?». Eliminando nel nome della so-brietà alcune parti considerate troppo ri-dondanti, questa revisione crea in sostanza un’opera nuova che continua a conviverecon il lavoro originale e non ne cancella la carica romantica ed espressiva e l’eco del-la vivace esuberanza giovanile.

DA ASCOLTARE

I Trii di Schubert hanno goduto e godono di una straordinaria fortuna disco-grafica. Vuoi perché trattasi di opere notissime. Vuoi perché trattasi di capolavori,che giganteggiano nel repertorio per violino, violoncello e pianoforte. La Dec-

ca ha ristampato nel 2001 su cd le fondamentali registrazioni realizzate dal TrioBeaux Arts, raccogliendole in un album Tutti i Trii di Schubert, che vede presentianche le registrazioni dei trii per violino, viola e violoncello; incisioni, quelle delTrio capitanato dal violinista Arthur Grumiaux, anche riproposte dalla Philipsnel 2006; possiamo poi ammirare il Beaux Arts in dvd per i tipi della Legal, inuna registrazione realizzata per la BBC. Altra ristampa, quella della DeutscheGrammophon, protagonista questa volta il Trio di Trieste, altro interprete ec-cellente di quelle straordinarie pagine. Nella vertiginosa lista – che giunge finoalle registrazioni ‘filologiche’ realizzate da Bylsma e dal Wanderer – non po-teva mancare Lynn Harrell, che ha inciso i capolavori schubertiani per la Dec-ca (1997) con due eccezionali compagni di strada: Ashkenazy e Zukerman.

Harrell e Rachlin sono mossi da uno spirito umanitario nei confronti dell’infanzia:

il primo ha fondato la HEARTbeats Foundation, il secondo è ambasciatore dell’Unicef 

Lo sapevate che...

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AllievodiAntonioJanigro,dopolavittorianel1997alConcorso“Rostropovič”Enrico Dindo dà inizio ad una carriera internazionale, diretto fra gli altri daChailly, Noseda, Gergiev e Muti,al fiancodi compaginiqualiBBCPhilharmo-nic Orchestra, Orchestre National de France, Filarmonica della Scala, Chi-

cagoSymphonyOrchestra.Fragliautoricheglihannodedicatoleloroope-re figurano Carlo Boccadoro e Carlo Galante. Ospite regolare dell’Acca-

demia di Santa Cecilia e invitato nei principali cartelloni, Dindo è fonda-tore e direttoredeiSolisti di Pavia,oltre a svolgereun’intensa attività di-dattica.SuonaunvioloncelloPietroGiacomoRogeri (exPiatti)del 1717.

Enrico Dindo

42   IM   MUSICA INSIEME

n una delle sue ultime apparizionibolognesi, per cornice una sala delMuseo Internazionale della Musica,

Mstislav Rostropovic – grande affabula-tore, oltre che sommo violoncellista –

ebbe a raccontare a un pubblico che in-cantato lo stava ad ascoltare le sue gior-nate trascorse in compagnia di SergejProkof’ev e Dmitrij Šostakovic. Al di là delle notazioni umane e caratteriali deidue compositori (non solo diversi nellostile, ma anche nella personalità), quelloche colpiva erano però i tratti in comune.Sostanzialmente, Rostropovic sottolineòcome entrambi avessero guardato algrande repertorio ottocentesco consguardo attento, senza pregiudizi e so-prattutto cercando di accoglierne con ri-spetto l’eredità. Rispetto che non vuoldire appiattirsi nell’imitazione. Al con-trario, rispetto vuol dire applicare consagacia un metodo critico, che permetta all’artista di scegliere, una volta appresil’arte e il mestiere (il che include, anchee soprattutto, la conoscenza di quanto ha fatto chi lo ha preceduto), una sua 

strada. Aggiungerequalche metro a 

quella strada nonè compito sem-

plice. Spesso, come dimostra la storia dell’arte, è decisamente più facile tagliarcorto; andar per campi e sentieri che vor-remmo credere mai battuti; inseguir far-falle, o stupire il pubblico con effetti spe-ciali, che in realtà sono giochi diprestigio. Trucchi. E come ogni buonprestigiatore sa, perché il trucco nonvenga scoperto bisogna irretire chi assistecon le chiacchiere, con gesti fuorvianti,distrarre insomma, onde non gli venga inmente di scoprire che il re è nudo. Pro-kof ’ev e Šostakovic nelle parole di quelloche era stato uno dei loro migliori inter-preti, quasi un compagno di viaggio ne-gli ultimi anni delle loro vite, appartene-

vano dunque alla categoria di chi nonmillanta. Di quegli artisti di cui si ha ri-spetto poiché la loro autorevolezza nonpoggia sull’abilità, che pure riconosciamoal prestigiatore. Poggia piuttosto sul durolavoro, sullo studio estenuante, sull’ine-sausta passione e su una sostanziale one-stà artistica, che emerge brillante dalleloro opere. Onestà che vuol dire scrupolosommato a modestia. Quando ti guardiindietro vedi quei giganti sulle cui spallesalirai. Nel caso di Šostakovic, Rostro-povic fu perentorio: Mahler era uno deisuoi riferimenti costanti. Il che, del resto,appare evidente già ad un primo ascolto,ad esempio, del secondo movimento di

I

L’Orchestra Giovanile Italiana, tenuta a battesimotrent’anni or sono da Riccardo Muti, torna nel nostrocartellone con due capolavori sinfonici, sotto la direzionedi uno straordinario violoncellista  di Fabrizio Festa

Musica, maestro!

Lunedì 10 novembre 2014

LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

Dmitrij Šostakovic Concerto n.1 in mi bemolle maggioreop.107 per violoncello e orchestraJohannes BrahmsSinfonia n. 4 in mi minore op. 98

ORCHESTRA  GIOVANILE  ITALIANA 

ENRICO  DINDO  violoncello e direttore

Introduce Enrico Dindo

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questo suo Primo Concerto per violon-cello e orchestra (ne seguirà poi un se-condo). Concerto che fu dedicato dalcompositore proprio a Rostropovic. Eche Rostropovic portò al debutto il 4 ot-tobre del 1959 in quel di Leningrado. La locale, eccellente Orchestra Filarmonica fu diretta da un altro protagonista diquella straordinaria stagione della musica sovietica: Evgenij Mravinskij. Non pos-siamo non notare che Prokof’ev qual-che anno prima, nel 1952, aveva affi-dato allo stesso Rostropovic, che ne era pure in questo caso il dedicatario, quelloche venne in un primo momento intito-lato Secondo Concerto per violoncello

col numero d’opera 125. Oggi lo cono-sciamo come Sinfonia Concertante inmi minore. Sul podio – in un costante edintrigante intrecciarsi di destini – Svia-toslav Richter, in quella che fu probabil-mente la sua unica apparizione come di-rettore d’orchestra. Il filo che uniscequesti due brani è proprio la maestria diRostropovic. Nella storia della musica,del resto, spesso il talento, il virtuosi-smo, la sensibilità di un interprete hannocostituito uno spunto essenziale per ilcompositore. Dunque, Mahler, Rostro-

povic, e poi l’ideale classico che sempreanima la scuola compositiva sovietica,un ideale rivisto nell’ottica di Cajkovskij,

eredità che giunge a Šostakovic attra-verso il magistero di Glazunov. Il classicopre-beethoveniano, quello che magariporta tra i suoi pentagrammi ancora qualche elemento della scuola contrap-puntistica. Non è un caso forse che ilmotivo autobiografico ed introspettivo,che caratterizza tutta l’ultima produzionedel compositore sovietico, venga presen-tato musicalmente con un artificio trattodai grandi contrappuntisti. Il tema delprimo movimento è costruito su alcuneconsonanti del suo stesso nome: D-S-C-

H (ossia  re, mi bemolle, do, si  secondo la notazione musicale a noi più familiare).Note che il solista subito fa ascoltare al

pubblico, proprio in apertura del bril-lante primo movimento. Brillante sì, ma con quella sfumatura ironica, a volte per-sino sarcastica, se non grottesca, che ca-ratterizza l’ Allegro in Šostakovic. Come inMahler, accenni alla musica popolare,sonorità che mescolano elementi diversi,a volte apparentemente inconciliabili, eche poi, nei due movimenti lenti centrali,assumono il colore della nostalgia. Una venatura melanconica cara a Šostakovic,e che il compositore riesce a trasferire inchi ascolta grazie alla sua peculiare, effi-

43IM   MUSICA INSIEME

Orchestra   Giovanile ItalianaCreata all’interno della Scuola di Musica di Fiesole da Piero Farulli, l’Orche-stra Giovanile Italiana in oltre 30 anni ha formato migliaia di musicisti oc-

cupati stabilmentein orchestre nazionali e straniere.Tenutaa battesimoda Ric-cardo Muti, è stata diretta, tra gli altri, da Claudio Abbado, Salvatore Accar-do, Luciano Berio, Carlo Maria Giulini, Krzysztof Penderecki, Giuseppe Sino-poli, John Axelrod. Insignita nel 2004 del prestigioso “Premio Abbiati” del-l’Associazione Nazionale Critici Musicali, ha all’attivo numerose incisioni conle principali etichette. Invitata nei più importanti festival internazionali, compo-sitori come Sylvano Bussotti e Giorgio Battistelli le hanno dedicato le loro ope-re. Dal 2008 la direzione artistica dell’OGI è affidata ad Andrea Lucchesini.

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cacissima capacità di costruire suggestivemelodie. “Alla russa” il brillante, vor-remmo dire persino polemico finale informa di rondò. Il tutto ovviamente im-preziosito da una scrittura violoncelli-stica esplicitamente iperbolica, sia sotto il

profilo tecnico, sia dal punto di vista della vastissima gamma espressiva richie-sta al solista. Nel confronto con l’ultima sinfonia di Brahms, peraltro, emergecome Šostakovic avesse lo sguardo ri-volto altrove. In fondo, potremmo direche il romanticismo musicale si divide inalmeno due fasi. Una prima, che prendevita e forma ancora nel pieno di quelclassicismo viennese, che peraltro del ro-manticismo vero e proprio – quello fir-mato Schiller, per intenderci – è coevo.Così come illuminismo e romanticismointrecciano i loro motivi filosofici, le lororagioni estetiche, le loro argomentazioniletterarie e politiche, allo stesso mododovremmo pensare a Haydn e Mozartcome compositori che vivono quella sta-gione sentendone da par loro la com-plessità e persino la contraddittorietà. A Mozart e Haydn guarda Schubert. A Schubert guarda Mahler. A Mahlerguarda Šostakovic . Brahms, invece – losappiamo – riconosce in Beethoven ilsuo punto di riferimento. Beethoven che

fa da traghettatore da quella stagione pri-maverile del romanticismo all’invernoche seguirà: un lungo inverno, le cui pro-paggini a tutt’oggi, cambiati i secoli epersino il millennio, fanno sentire la loroforte, potente influenza. Schiller roman-ticamente non scioglie i nodi, piuttostoli taglia. La sua idea di sublime è estre-mistica, e le emozioni sono tutte da vi-vere in un contesto che non ammettesintesi. Per Beethoven, soprattutto perl’ultimo Beethoven, quell’estremismoideologico ed estetico trova invece una compensazione artistica nell’evolversi diuna concezione della forma alla quale siispireranno palesemente alcuni tra i suoipiù grandi epigoni, primo fra tutti Schu-mann, poi proprio Brahms. Questo fi-lone dell’evoluzione del concetto diforma segue uno sviluppo specifico, che

fa della forma il mediatore tra la dimen-sione emotiva (persino passionale) checaratterizza la natura dell’opera d’arte e la capacità dell’artista di modellarla, stem-perandone gli eccessi in una sorta di re-miniscenza michelangiolesca (il Buonar-roti non a caso nell’Ottocento vive una rinnovata attenzione, che ne fa una figura dai caratteri talvolta epici). Il demonedell’uomo si stempera nella maestria del-l’artista. D’altronde, quando Brahmscompone la sua Quarta Sinfonia gli annison quelli conclusivi del XIX secolo:

1884 e 1885. E sarà lo stesso composi-tore a dirigerne con successo la prima esecuzione il 25 ottobre del 1885 alla te-sta dell’Orchestra della Cappella Ducaledi Meiningen. Un successo, che da allora continuerà felicemente fino ai nostrigiorni. Che la forma sia l’oggetto cui ilcompositore amburghese presta la mas-sima attenzione lo dimostra una volta dipiù la sua ultima sinfonia. Fin dall’espo-sizione del celebre tema del primo movi-mento e dai successivi sviluppi apparechiaro che siamo di fronte ad una co-struzione solidissima, nella quale il ‘ra-zionalismo’ vitruviano, così com’era statoreinterpretato nel classicismo viennese,trova una sua ulteriore, significativa evo-luzione. Siamo di fronte a un capolavoroarchitettonico, immaginando, con Goe-the, che l’architettura sia davvero mu-

sica pietrificata. Senso musicale dell’ar-chitettura che impagina del resto tutta la sinfonia fino all’altrettanto celebre Ciac-cona  finale. Che la forma esprima la pas-sione e persino da questa si lasci model-lare ce lo aveva già spiegato i lmanierismo. Che la forma possa convi-vere con la passione lo dimostra Brahmsdando vita ad un romanticismo epico,che trova eguali solo nella grande lette-ratura francese a lui coeva. Basti pensarea Victor Hugo, i cui romanzi sembranodavvero ispirarsi a questo tipo di costru-

zione sinfonica. Certo fatichiamo ad im-maginare Brahms cinquantenne (questa l’età a cui scrisse la Quarta) seduto su una panchina in un parco a leggere I Misera-bili   (pubblicati vent’anni prima). OL’Uomo che ride . Eppure, per quei miste-riosi e segreti lacci che ordiscono la trama della cultura, quei romanzi posseggono la medesima ‘grande forma’. Una ‘grandeforma’ che, altro singolare caso della sto-ria della cultura, matura invece nella Ger-mania che sarà di Nietzsche (nel 1885esce  Così parlò Zarathustra , l’anno suc-cessivo Al di là del bene e del male ), chesarà di Wagner (non facciamoci ingan-nare dalle dimensioni, quelle di Wagnersono forme estese, ma non certo grandied architettonicamente salde), in unosciogliersi in mille fili diversi, tra aforismie Leitmotiv, della vasta trama romantica.

44   IM   MUSICA INSIEME

Il grande violoncellista russo Mstislav Rostropovič ha detto di Enrico Dindo:

«possiede un suono eccezionale che fluisce come una splendida voce italiana»

Lo sapevate che...

Lunedì 10 novembre 2014

DA ASCOLTARE

Del primo dei due concerti per violoncello composti da Dmitrij Šostakovič esiste,discograficamente parlando, una editio princeps. Si tratta di quella realizzatadalla Columbia (dal 2011 disponibile su cd per il tipi della Sony) sotto la su-pervisione dello stesso Šostakovič, con Eugene Ormandy che dirige la PhiladelphiaOrchestra e Mstislav Rostropovič, solista di fiducia del compositore. Eugene Or-mandy lo ritroviamo in un’altra importante edizione del primo dei concerti per violoncello di Šostakovič, questa volta siglata CBS. Anche l’orchestra è semprequella di Philadelphia, ma cambia il solista: questa volta tocca a Yo-Yo Ma. Al-tra edizione di riferimento quella registrata da Mischa Maisky per l’etichetta gial-la della Deutsche Grammophon, edizione che comprende tutti e due i concertiper violoncello composti dal musicista sovietico. Sul podio il brillante MichaelTilson Thomas alla testa della London Symphony Orchestra. Tra i grandi prota-gonisti della scena violoncellistica internazionale, anche Lynn Harrell ha dato ilsuo contributo discografico al capolavoro di Šostakovič. L’editore è la Decca.L’orchestra olandese del Concertgebouw è diretta da Bernard Haitink.

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Lunedì 24 novembre 2014

46   IM   MUSICA INSIEME

Un programma che allinea i maggiori capolavori pianistici di Mozart, Chopin e Schumannper il debutto nella stagione di Musica Insieme di un grande artista, considerato oggidalla critica fra i più interessanti della sua generazione  di Valentina De Ieso

Ispirazione e suggestione

veva appena dieci anni Mozartquando si cimentò con la composizione di quattro so-

nate per il fortepiano. Purtroppo non ciè dato conoscere nulla di queste sueprime prove d’autore, che certo avreb-

bero rappresentato un interessante puntodi osservazione della sua evoluzione sti-listica. Le prime testimonianze, invece,del suo rapporto con questa forma, seisonate scritte a Monaco nel 1775, sonoopera di un autore già maturo. In effettiMozart non aveva che diciannove anni,ma aveva già compilato un terzo diquello che sarebbe stato il suo catalogo,aveva scritto oltre la metà dei suoi quar-tetti per archi e delle sue composizionisacre, accanto a diversi titoli importantidella sua produzione per il teatro. Le seisonate di Monaco presentano una scrit-tura brillante, virtuosistica, al punto cheMozart nelle lettere ai familiari le definì“sonate difficili”. La quarta, la KV 282in mi bemolle maggiore, presenta una peculiarità che la rende un unicum perl’epoca: inizia con un  Adagio, al posto

del consueto movimento veloce. Il primotema, destinato a darle popolarità, è una melodia delicatissima: poche luminosenote danno vita a un canto dolcissimo,che nemmeno il secondo tema, piùmosso, riesce a spezzare. Seguono due

 Minuetti  che, modellati sulla struttura della danza barocca, fanno l’occhiolino algusto della nobiltà cortigiana. Chiude la sonata un Allegro di grande impegno tec-nico, dalle reminescenze haydniane. De-stinata, come le altre cinque, alle esibi-zioni nelle case dei privati, doveva stupirei suoi ascoltatori con un uso sapientedelle variazioni di volume, cavalcandol’onda dell’entusiasmo per le potenzialità dei nuovi strumenti a tastiera. Lo scopodi Mozart era probabilmente quello dipubblicare le sonate insieme, ma mentrela sesta apparve già nel 1784, le primecinque furono pubblicate solo postume,nel 1799 a Lipsia, per i tipi della presti-giosissima Breitkopf und Härtel. La stessa casa editrice, nel 1839, avrebbepubblicato la prima edizione tedesca deiVentiquattro Preludi op. 28 di Chopin.

Il compositore, da Maiorca, seguì le sortidi quest’opera, che avrebbe voluto vederpubblicata contemporaneamente in In-ghilterra, Francia e Germania.In pochi mesi le edizioni si sussegui-rono, a testimonianza dell’immediato

successo. Chopin aveva già quasi termi-nato i Preludi prima di partire perPalma, ma approfittò dell’isolamento perrevisionarli. All’amico Julian Fontana scriveva, nel dicembre 1838, di averliquasi ultimati, ma le condizioni di sa-lute, tutt’altro che migliorate dal clima umido, gli impedivano di lavorare. La tubercolosi stava diventando una dia-gnosi certa, e nelle sue parole emerge la preoccupazione per il trapelare a Parigidelle informazioni sulla malattia, quasiegli temesse ripercussioni sulla propria carriera. Chopin elabora la struttura delpreludio privandolo della sua funzioneintroduttiva: lo rende una composizioneindipendente e compiuta in se stessa.Nulla o quasi è concesso all’ornamento,e la mancanza di una rigida struttura formale, unita alle ardite soluzioni ar-moniche e all’inconsueta brevità, destòuna certa perplessità. Bach, con il Cla-vicembalo ben temperato, fu il modello diquesta raccolta di 24 Preludi in tutte letonalità maggiori e minori, che pur non

essendo destinati ad un’esecuzione con-tinuativa – è prassi moderna offrirnel’integrale – presentano una sorta di coe-renza, pur nella varietà stilistica: dalle ve-late allusioni alla forma del corale, al re-spiro, tutto romantico, del notturno, alsapore popolare delle danze polacche.George Sand romanzò la genesi dei Pre-ludi, con disappunto di Chopin, scon-certato dall’attribuire un qualche ‘pro-gramma’ alla sua musica. Aurore Dupin,questo il suo vero nome, infatti, si tro-vava insieme a lui a Maiorca, dove si

 A 

Nato in Argentina, si forma nel suo paese d’origine e in seguito a Ginevra con

Maria Tipo, ricevendo prestigiosi premi internazionali. Si esibisce nei maggioricartelloni,daiBBCPromsdi Londra,ai FestivaldiSalisburgo,Schleswig-Holstein,Verbier, e nelle principali sale, dal Musikverein di Vienna al ConcertgebouwdiAmsterdam, dalla Wigmore Hall di Londraal TeatroColóndi Buenos Aires.Col-labora con direttori quali Andrew Davis, Mark Elder, Neeme Järvi, e con le or-chestrepiùrinomate,comeLondonPhilharmonic,BerlinerSymphoniker,Orchestredella Suisse Romande, NHK Symphony Orchestra di Tokyo. Goerner è ancheattivo nell’ambito della musica da camera, esibendosi al fianco di artisti del ca-libro di JanineJansen,Julian Rachlin,Vadim Repin, Martha Argerich, Steven Is-serlis, oltre che insieme alla moglie, la pianista Rusudan Alavidze. Ha ricevutonumerosi premi per la sua brillante attività discografica, fra cui due “DiapasonD’Or”, rispettivamente per un cd di musiche di Chopin, realizzato su strumentid’epoca, e per un’incisione dedicata a Debussy.

Nelson   Goerner

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47IM   MUSICA INSIEME

   F  o   t  o   J  e  a  n  -   B  a   p   t   i  s   t  e   M   i    l    l  o   t

erano trasferiti a pochi mesi dall’iniziodella loro chiacchieratissima relazione.

Più che ispirarlo con i suoi paesaggiameni e le macabre leggende, il sog-giorno ostacolò il lavoro del composi-tore: nelle accorate lettere a Fontana rie-cheggia l’ansia dovuta ai ritardi nella consegna della posta e del pianofortestesso, unita alle difficoltà dei contatticon la popolazione locale, sconcertata dalla loro convivenza e dalle stravagantiabitudini della Sand. Il primo Preludio,in do maggiore, dalla struttura ritmica incessante, si interrompe sul secondo,una melodia disperata, dalle sinistre so-

luzioni armoniche. Seguono lo spensie-rato Vivace  e il  Largo, struggente e deli-

cato, che fu eseguito insieme al sesto, chene è lo specchio, al funerale di Chopin.Menzione particolare meritano il set-timo, l’ Andantino   in la maggiore, cheocchieggia al folklore polacco, e l’ottavo,che la fantasia della Sand attribuì alleforti impressioni suscitate da un tem-porale. Dopo il solenne  Largo, compa-iono i brillanti   Allegro Molto,  Vivace  ePresto per arrivare al Lento, un notturnosognante e dolcissimo. A seguire è il pre-ludio più noto dell’intera raccolta: il nu-mero 15 in re bemolle maggiore, a cui è

LUNEDÌ 24 NOVEMBRE 2014

 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30NELSON GOERNER    pianoforte

Wolfgang Amadeus MozartSonata in mi bemolle maggiore KV 282Robert SchumannKreisleriana  op.16Fryderyk ChopinVentiquattro Preludi op. 28

Introduce Giuseppe Fausto Modugno,concertista e docente di pianoforte principalepresso l’Istituto“OrazioVecchi” di Modena

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stato attribuito il titolo “La goccia d’ac-qua”, anche in questo caso in seguitoalle suggestioni del temporale. Il saporeintimo e raccolto dell’inizio viene di-sturbato dalle note ribattute: quasi un’os-sessione che si placa solo con la ripeti-

zione della sezione d’apertura. Seguonodue pagine notevoli, il virtuosistico Pre-sto con fuoco e un  Allegretto languido emisterioso. Ad esso si contrappone il Vi-vace , uno studio tinteggiato di echi po-polari. Il   Largo   in do minore è il piùbreve dei preludi, una sorta di corale, incui l’eco di Bach si fa sentire prepoten-temente. Definito da von Bülow una ‘marcia funebre’, Madame Sand lo citòper la sua brevità: «un Preludio di Cho-pin contiene più musica di tutto il trom-

bettamento di Meyerbeer». Chiude la raccolta l’ Allegro appassionato, fra i primiad essere composti, insieme al numero 1,quasi Chopin avesse idealmente imma-ginato i confini dell’opera per poi ela-borarne l’evoluzione interna. Al di là delle suggestioni di George Sand, la de-scrizione più efficace, come spesso ac-cade, è quella di Schumann. «Schizzi,principi di studi, rovine, penne d’aquila – li definisce – ma su ogni pezzo sta scritto con delicata miniatura perlacea: loscrisse F. Chopin; lo si riconosce dalle

pause e dal respiro impetuoso. Egli è e ri-mane il genio poetico più ardito e piùfiero del tempo».Era una definizione che Schumannavrebbe giustamente potuto attribuireanche a se stesso, e piena testimonianza ne è l’opera che consegnò al mondo unanno prima di Chopin:   Kreisleriana op. 16, che al compositore polacco fudedicata. A dire il vero l’autore aveva promesso la dedica a Clara, che di lì a unpaio d’anni sarebbe diventata sua mo-

glie. Così le scriveva delle otto fantasie dicui l’opera è costituita: «il pensiero di tele domina completamente, e io vogliodedicartele, a te e a nessun altro». Infondo questo ciclo di brani ora febbrili,ora sognanti parla anche di lei, comemolta della produzione di Schumann.

Egli temeva che l’opera fosse comprensi-bile solo ai tedeschi, a causa del soggettoche fa quasi da programma alle fantasie:l’inquieto Kapellmeister Kreisler, natodalla penna di E.T.A. Hoffmann, in cuiSchumann, sempre ossessionato dal la-bile confine tra genio e follia, non poteva che riconoscersi. Charles Rosen ha avan-zato l’ipotesi che, più che la raccolta Kreisleriana , sia stato Considerazioni filo-

sofiche del gatto Murr  il vero modello diSchumann: è in questo romanzo cheHoffmann tratteggia l’autobiografia delKapellmeister, integrata dalle considera-zioni eruditissime del suo gatto. Molteipotesi sono state fatte a proposito delpersonaggio reale a cui Hoffmanns’ispirò, ma questo forse non interessava Schumann, che in Kreisler vedeva sestesso, quel ‘doppio’ che egli cercò osses-sivamente fino alla morte. La prima fan-tasia, quasi selvaggia, si dissolve in una se-

zione lirica, effimera, vanificata dalla ripresa della prima sezione. La seconda,Sehr innig und nicht zu rasch  ( Assai in-timo e non troppo veloce ), in un gioco dirime incatenate riprende la tonalità della sezione centrale della prima. La maesto-sità del tema si annebbia in ardite mo-

dulazioni, tanto più complesse nei dueintermezzi. Quanto Chopin guardava con sospetto alle interpretazioni extra-musicali delle sue opere, tanto più Schu-mann ne era alla febbrile ricerca, ten-tando di rappresentare le continuecontraddizioni della sua personalità. La sofferenza e la confusione che emergonoda questa seconda fantasia ne sono asso-lutamente emblematiche. Piena di con-

trasti è anche Sehr aufgeregt  ( Assai conci-tato), la cui delicata melodia emergecome dall’ombra per tornare quasi subitoa ridissolvervisi. Il gioco di rime fra le to-nalità continua anche nella quarta fanta-sia, mesta e pensosa, con frasi di ampiorespiro, sempre più cupe e gravi. La quinta, invece, presenta una scrittura vi-vace e mutevole, quasi folle nella sua in-stabilità. Meravigliosa è la sesta fantasia,seducente e onirica, che precede il  Sehr rasch ( Molto veloce ), primo brano ad in-

terrompere lo schema tonale. Degno fi-nale del ciclo è Schnell und spielend  (Ve-loce e giocoso), esasperato e sconcertanteper la sua frammentazione, tra note stac-cate, febbrili arpeggi e discese verso i re-gistri più gravi: è la follia di Kreisler, è la follia di Schumann.

48   IM   MUSICA INSIEME

Goerner è stato un bimbo prodigio: ha imparato da solo a leggere e scrivere a

tre anni e si è esibito per la prima volta al Teatro Colón di Buenos Aires a undici

Lo sapevate che...

Lunedì 24 novembre 2014

DA ASCOLTARE

Nelson Goerner l’instancabile: suoi sono una ventina di titoli in meno di ven-t’anni di ‘vita discografica’, più della metà dedicati a Fryderyk Chopin, al qua-le la sua biografia artistica è particolarmente legata, e che non a caso rive-

ste un ruolo fondamentale anche nel suo recital per Musica Insieme. Da se-gnalare – nel mare magnum della discografia chopiniana – una sua incisio-ne del 2010, eseguita su strumenti storici per il Fryderyk Chopin Institute diVarsavia, e appartenente ad una collana dall’ambizioso titolo “The Real Cho-pin”, al suo fianco l’Orchestra of 18th Century diretta da Frans Brüggen. QuiGoerner esegue su un pianoforte Érard del 1849 un’antologia che comprendefra i molti juvenilia la prima prova orchestrale del Polacco, le Variazioni suLà ci darem la mano op. 2, quelle che strapparono a Schumann la celebreesclamazione: «Giù il cappello, signori, ecco un genio!». Non di solo Cho-pin si nutre tuttavia il Nostro, che accanto ad incisioni di nomi (o numi) comeBeethoven, Schumann, Liszt, Rachmaninov si dedica anche ai contemporanei Jon Lord (EMI, 2007) ed Edward Gregson (Chandos 2008), mentre la sua ul-tima fatica è volta a svelare le infinite nuances, gli spazi sospesi e i colori diun Debussy che va dalle Estampes e le Images all’estremo distillato di tecni-ca e suono delle Études (Zig-Zag Territoires, 2013).

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leksandr Borodin si definiva un ‘musicista della domenica’.Per quanta ilarità potesse su-

scitare nella sua cerchia di amici, l’etichetta da lui prescelta per dichiarare il suo nonessere un compositore a tempo pieno ri-vela l’intima natura di un genio che, per

tutta la vita, non riuscì mai a risolversi tra 

la carriera di chimico e quella di musici-sta. Membro del gruppo della Nuova Scuola Russa, più noto come Gruppo deiCinque (accanto a Rimskij-Korsakov,Musorgskij, Balakirev e Cui), Borodincondusse la sua vita in una sorta di statodi grazia, attendendo che «tutto si faces-

se da sé, e quando non si faceva, non va-

leva la pena di inquietarsi: si sarebbe fat-to». Restio ad ogni imposizione, di natura profondamente generosa, ammirato da grandi compositori come Liszt, Borodinsi dedicò alla musica con distaccata sere-nità, con un approccio oggettivo che gliconsentì, a differenza dei suoi compagni,

di poter ‘gioiosamente’ impiegare le for-

 A 

 Attesissimo ritorno del quartetto inglese con un omaggio al camerismo russo, cui siaffianca un ospite d’eccezione per il Quintetto di Weber  di Mariateresa Storino

Lunedì 1 dicembre 2014

50   IM   MUSICA INSIEME

Passaggio a Est

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me classiche della musica da camera, sen-za temere quelle accuse di accademismoche il suo gruppo stava muovendo con-tro due dei maggiori esponenti dell’av-versaria Società Musicale Russa: AntonRubinstein e Pëtr Il’ic Cajkovskij. Nei pri-mi anni Ottanta, dalla frequentazione delsalotto del ricco mercante di legname Mi-trofan Beljaev, scaturì in Borodin l’idea dicomporre lo Scherzo per quartetto d’archiin re maggiore. Beljaev, appassionatosuonatore di viola ed ammiratore della musica da camera, tutti i venerdì riuniva professionisti e amatori per dedicarsi al-

l’esecuzione di quartetti. Borodin era unhabitué  di questi ‘venerdì beljaeviani’ e vi

partecipò attivamente sia con la compo-sizione del terzo movimento del Quartettosul nome Beljaev , ideato collettivamentecon Rimskij-Korsakov, Ljadov e Glazunov,

sia con lo Scherzo in re maggiore, la cuidestinazione spiega il titolo “Les Ven-dredis”. Sebbene alla prima esecuzione nel1883 lo Scherzo ottenesse commenti pre-gevoli, Borodin sentiva che il brano po-teva e doveva espandersi ulteriormente.L’ostinato iniziale su tre corde vuote, cherievoca lo strimpellare dei violinisti po-polari, si adattava certo alle capacità tec-niche dei ‘dilettanti’ del circolo di Belja-ev, così come la struttura in più sezioni at-tentamente delimitate da cambiamentiagogici, ma, allo stesso tempo, il sottile in-treccio delle voci e i costanti rinvii tema-tici presagivano una scrittura che poteva assurgere alla dimensione orchestrale.Seguendo il suo intuito, Borodin inserì loScherzo, completandolo con un   Trio,nella sua Sinfonia n. 3. La morte im-provvisa del compositore purtroppo lasciòincompleta la Sinfonia e senza risposta l’in-terrogativo sulla legittimità del parere con-trastante che Cajkovskij aveva espresso ver-so l’adattamento sinfonico dello Scherzo:lo Scherzo non poteva essere trasformato

da brano a sé ad un movimento di sinfonia poiché la struttura definitiva della sinfo-

nia sarebbe risultata frammentaria.I rapporti tra Borodin e Cajkovskij furonosempre improntati alla massima cordia-lità; a differenza degli altri componenti delGruppo dei Cinque, Borodin non si ac-

cendeva in critiche aspre contro i fauto-ri del cosmopolitismo filo-occidentaledella Società Musicale Russa, che rico-noscevano sì la specificità della cultura del-la propria patria, ma si erano assunti ilcompito di ‘eguagliare lo straniero’ se-guendone le orme e fondando a tal sco-po i Conservatori di Pietroburgo (1862)e Mosca (1864). Sebbene i due autori siincontrassero e si scambiassero opinioni(non di natura musicale, ad eccezione dicommenti su Balakirev), nondimeno«“dilettante” pensava di Borodin C aj-kovskij, e “caso clinico” pensava di C aj-kovskij Borodin» (Berberova).Comune era l’attenzione per le forme del-la musica da camera. Cajkovskij compo-se tre quartetti per archi nel giro di unquinquennio (1871-1876). Il Terzo Quar-tetto op. 30 è datato 1876. All’entusiasmosuscitato dalla prima esecuzione in forma privata (il 14 marzo dello stesso anno)Cajkovskij rispose con profonda contri-zione: «Comincio a ripetermi e non pos-so creare nulla di nuovo. Ho realmente in-

tonato il canto del cigno e non posso an-

51IM   MUSICA INSIEME

LUNEDÌ 1 DICEMBRE 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

THE BRODSKY STRING QUARTETD ANIEL R OWLAND   violino

I AN BELTON   violino

P AUL C ASSIDY   viola

J ACQUELINE THOMAS   violoncello

GIAMPIERO  SOBRINO   clarinetto

 Aleksandr BorodinScherzo in re maggiore perLes Vendredis per quartetto dÊarchiCarl Maria von WeberGrosses Quintett in si bemollemaggiore op. 34 per clarinetto e archi

Pëtr Il’ic C ˇ ajkovskijQuartetto per archi in mi bemolleminore-maggiore op. 30

Introduce Fabrizio Festa, compositore,docente di Conservatorio e saggista

Impostosi in importanti competizioni internazionali, ad appena vent’anni ricopri-va il ruolo di Primo clarinetto solista nell’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino,ruolo che ha poi mantenuto per un decennio a partire dal 1994 anche nell’Orche-stradella FondazioneArena di Verona. Ha collaboratocondirettoridel calibrodiSolti, Celibidache,Bernstein,Levine,Rostropovič, Maazel,Temirkanov,Muti, Prê-tre, Mehta, Chailly, Sinopoli, Berio, Boulez.Grazie al suo vastissimo repertorio, siesibisce come solista in prestigiose sedi internazionali e conle piùrinomateorche-stre. Parallelamente all’attività concertistica, tiene masterclass in tutta Europa e inAmerica ed è Vice Direttore Artisticopresso la Fondazione Arenadi Verona.

Giampiero  Sobrino

Sulle scene internazionali da oltre 40 anni, il Brodsky String Quartet vanta unvastorepertorio,daigrandiclassici,lecuioperenecostellanoilriccopanoramadi-scografico,ailavoridicompositoricontemporanei,qualiJohnTavener,PeterScul-thorpe, Django Bates e SallyBeamish,espressamente dedicati al Quartetto. Ospi-tedellesedipiù prestigiose almondo,prendepartea progettiinsiemead artisti dal-le più svariate provenienze, quali Elvis Costello, Anne Sofie von Otter e Björk. Digrande pregio gli strumenti dei membri del quartetto, dal violino Giovanni PaoloMaggini del 1615 di Ian Belton, al violoncello Thomas Perry del 1785 di Jacqueli-ne Thomas, alla viola Francesco Giussanida Milanodel1843di Paul Cassidy.

The Brodsky String Quartet

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dare oltre? È terribilmente triste. Perciònon scriverò nulla per un po’ e cercheròdi recuperare le forze». Il proposito fu dibreve durata; il successo che arrise alla pri-ma esecuzione pubblica il 30 marzo1876 invitò Cajkovskij a ricredersi e a ri-prendere immediatamente la propria at-tività. Il Quartetto si articola nei classiciquattro movimenti. Un Andante sostenuto,dal carattere elegiaco, introduce e concludea mo’ di cornice l’ Allegro moderato in for-ma-sonata. Questo si dispiega in un ric-co gioco di varianti timbrico-armoniche,in un pregiato intarsio tematico, senza maiperdere l’aura di una toccante malinconia.La dedica spiega la natura di questo ca-rattere umbratile: «a Ferdinand Laub»,amico e collega di C ajkovskij del Con-servatorio di Mosca nonché primo violi-no delle   première   dei suoi primi duequartetti, scomparso l’anno prima. Que-sto canto triste è però anche espressionedell’intimo essere del compositore: «Non

preoccuparti della mia malinconia – scri-veva Cajkovskij al fratello Modest proprioall’inizio del 1876 – non è la prima vol-ta che mi pervade, andrà via come le al-tre volte». L’ Allegretto vivo e scherzando insi bemolle maggiore del secondo movi-mento porta un attimo di ristoro; tutta-

via è solo un breve interludio in forma  ABA che deve cedere velocemente il pas-so alla gravità del successivo Andante fu-nebre e doloroso. Tre elementi si alternanonell’onorare la memoria di Laub: un rit-mo di marcia, un corale con suggestivi ef-fetti d’eco ed una melodia ‘piangente’.L’ Allegro non troppo e risoluto del Finale  èturbato, poco prima della conclusione, da un improvviso ritenuto molto che arresta una ritmica costante e pervasiva conce-dendo spazio, ancora una volta, ad un bre-ve frammento di scrittura corale; su que-sta si staglia la voce del violoncello, le cuinote simboleggiano il nome del dedica-tario del brano.Nel Grosses Quintett in si bemolle maggioreop. 34 Carl Maria von Weber aggiunge alquartetto d’archi il clarinetto, memore del-l’esempio mozartiano. Classica è l’artico-lazione in quattro movimenti –  Allegro,Fantasia  ( Adagio), Minuetto, Rondò ( Alle-

 gro) – così come il dialogo tra le parti: cla-

rinetto e archi si fronteggiano in una contrapposizione solo/tutti di carattereconcertante; il clarinetto ha uno spazio diassoluto rilievo, con una scrittura ricca dibrillanti virtuosismi; di rado il quartettoemerge in funzione ‘solistica’, il suo com-pito è porgere le frasi al clarinetto, evoca-

re e sostenere quanto il solista afferma. La genesi del Grosses Quintett  copre un lun-go arco temporale: dal 1811 al 1815. Il 27agosto 1815Weber annunciavaconsollievoalla moglie: «Mia amata cara Lina! Ieri sera eravamo qui per onorare il colonnello Calle per provare il mio nuovo Quintetto perBärmann. È stata veramente una splendi-da serata musicale. Bärmann, in partico-lare, ha suonato come un angelo e tiavrebbe commosso così come ha fatto conme». Il virtuoso Heinrich Bärmann, de-dicatario del brano, e suo figlio Carl, a sua volta clarinettista, diedero vita a una tra-dizione editoriale ed interpretativa delGrosses Quintett  che per più di un secolone inficiò l’esecuzione, o quantomeno nelimitò le possibilità di lettura. L’opera, in-

fatti, nelle sue prime due edizioni, rivistedallo stesso Weber, si presentava con una scrittura abbastanza scarna dal punto di vi-sta delle indicazioni di fraseggio, dinami-ca, agogica, lasciando molto spazio al-l’esecutore, in linea con la prassi settecen-tesca. Data la vicinanza col compositore,Bärmann e figlio si sentirono investiti delcompito di ricostruire fedelmente (secon-do i canoni ottocenteschi) il pensiero ori-ginario di Weber che la partitura a stam-pa rievocava solo in parte. Così fu, con esi-ti non proprio felici. La fedeltà ad un ori-ginale del resto perseguitava lo stesso We-ber, ma in una direzione diversa da quel-la interpretativa. Nel 1816 il composito-re Carl Friedrich Ebers pubblicò un ar-rangiamento del Grosses Quintett  per pia-noforte per la casa Hofmeister. L’edizionesuscitò l’ira di Weber; pubblicamente e pe-rentoriamente, con un articolo sulla  Al-lgemeine Musikalische Zeitung , il compo-sitore chiese all’editore Hofmeister di riti-rare il brano poiché zeppo di errori che an-davano a detrimento del senso dell’origi-

nale. La risposta dell’arrangiatore nonsi feceattendere: ogni cambiamento era giustifi-cato dalla diversa natura dello strumentoimpiegato; perché tanta meraviglia – si chie-devaEbers – quando Mozart, Haydn e Bee-thoven avevano sempre accolto felice-mente le trascrizioni delle proprie opere?

Il Quartetto Brodsky prende il nome dal violinista russo Adolf Brodsky, che fu il primo

interprete, nel 1881, del celebre Concerto per violino e orchestra op. 35 di Č

ajkovskij

Lo sapevate che...

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Lunedì 1 dicembre 2014

DA ASCOLTARE

Difficile condensare in poche righe una discografia che si estende per oltre 40anni (anche se il Brodsky, che di ‘nuovo’ ha oggi soltanto l’eccellente primoviolino Daniel Rowland, quei 40 anni proprio non li dimostra), allineando unacinquantina di titoli e esplorando quasi ogni anfratto della storia e del presentedella musica. Ci si limiterà quindi all’ultima etichetta che è riuscita nel 2012 adaccaparrarsi i Quattro in esclusiva: Chandos Records. I titoli (già sei) esordi-scono con Petits Fours, che celebra il 40°anniversario del Quartetto con unaraccolta di bis, un regalo appassionato a se stessi e al pubblico. Di segno op-posto è l’album tutto-Debussy, comprendente il suo fondamentale Quartetto eil giovanile Trio (che ospita Jean-Efflam Bavouzet al pianoforte, Chandos 2012).Seguono, nel gusto ‘esplorativo’ del Brodsky, un cd dedicato nel 2013 al suo-no del Sud (dal punto di vista britannico, of course) che spazia dall’Italia al-l’Argentina, e nel 2014 la prima puntata di un progetto dedicato all’integralequartettistica brahmsiana (con l’aggiunta di Michael Collins per il Quintetto conclarinetto). Non è finita: nel solo 2014 all’America dei New World Quartets siaggiunge, con la voce di Susana Cordón, l’oratorio  A Mortuis Resurgere del-lo spagnolo Jorge Grundman, autore molto amato dal Brodsky.

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y

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 Agli antipodi

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rahms e Mozart, ovvero la crea-zione come parto e partenoge-nesi. Arrovellamento e traspira-

zione. Cruccio e fulminazione. Persino lesilhouettes ce li mostrano agli antipodi,come se le curve del corpo rivelassero l’ap-proccio al pentagramma nudo: un uomopanciuto, infagottato nel suo paltò, cheavanza col baricentro spostato sulle maniintrecciate dietro la schiena, contro un agi-le istrione con pose da satiro e il nastro deicapelli svolazzante. Fu la loro vita a det-

tare ritmi diversi, a imporre la riflessioneal primo, l’urgenza al secondo. Brahmsaspettò di compiere 43 anni prima di fareseguire la sua Prima Sinfonia, lasciata de-cantare in quasi due decenni di appunti,schizzi, ripensamenti, persino sensi di col-pa. Mozart, come sappiamo, alla stessa età era già stato sepolto da otto anni. Non fa eccezione la genesi del Quintetto in fa mi-nore per pianoforte e archi, fedele mani-festo di esitazione e travaglio, passato perquattro anni di rifacimenti e almeno tredifferenti versioni, ovvero un Quintettoper archi, una Sonata per due pianofortie quella definitiva che ascolteremo alTeatro Manzoni. Di contro, il Trio in mibemolle maggiore KV 563 per violino,viola e violoncello è una delle innumere-voli esplosioni di spontaneità di Mozart,scritto d’impeto in una nicchia di appa-rente serenità e opportunamente dedica-to al creditore Puchberg.È lecito chiedersi se tanta diversità nella preparazione degli impasti si ripercuota sulnostro ascolto, in un mondo che ha as-

sorbito, storicizzato e inciso quasi tutto.Ebbene sì, ancora oggi Brahms si cela nel-le sue affascinanti incomprensioni, lestesse che nel 1933, nel centenario della nascita, facevano scrivere al ventitreenneMassimo Mila che «la penetrazione della sua musica è avvenuta per rimozione diequivoci», a partire dal primo, il piùgrande, che dipinse Brahms come «un Bee-thoven dalle idee sfocate», incapace di at-tingere alla lapidaria concisione del mo-dello. Se poi il paragone si sposta alle bio-grafie, dalle quali facilmente ci lasciamo

sedurre per poi farne talvolta, e non sem-pre a ragione, il metro del nostro ascolto,ecco che la vita di Mozart ci appare simi-le a quelle maledette delle star odierne, natevecchie e morte giovani, spremute dal pal-co e rovinate dai rispettivi demoni. Sini-stramente attualissima, comprensibile edunque accattivante. Cosa ci offre, inve-ce, Brahms? L’immagine di uno scapolorassegnato, trafitto da una nostalgia tenuee costante, senza drammi né sconvolgi-menti, lontana dichiaratamente dalle pas-

sioni, trattenuta, introflessa e sognante. Ilcontrario, insomma, della fretta divoratricedi oggi che pretende la risoluzione di enig-mi con un palmo d’appoggio e uno scor-rere di polpastrello.Eppure, in un’epoca di scatti e inco-scienti pulsioni, la musica di Brahms ci in-segna l’arte della pazienza, la possibilità diafferrare ma anche di perdere, è unosguardo agrodolce sul tramonto di un lagoalpino, su uno sfondo perennemente au-tunnale. E il suo fascino sta proprio nel fat-to che questo effetto è ottenuto a pre-scindere dagli organici impiegati, sia cheil discorso musicale venga steso sul pia-noforte o sulla grande orchestra. Cosa sidovrebbe pensare della densità di materia e di eloquio del Quintetto op. 34? Che cin-que strumenti sarebbero un numero esi-

guo per sorreggere tutto. Eppure l’esito celo smentisce. Lo conferma subito il tema iniziale del Quintetto, monolitico e as-sertivo, ma avvitato su se stesso per con-durre ai torrenziali sviluppi interiori e aitipici “dolce espressivo” brahmsiani, venati,soprattutto qui, di un patetismo tutto

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Lunedì 15 dicembre 2014

Brahms e Mozart, due autori fondamentali seppure profondamente diversi, quantoa biografia e stile, per l’ensemble creato e diretto da Pinchas Zukerman, artista dasempre impegnato per la promozione dei migliori talenti  di Luca Baccolini

B

Violinista,violistaedirettored’orchestraisraelianodioriginepolacca,PinchasZukerman è uno dei più importanti musicisti contemporanei. Nel 1983 riceve

daReaganla “NationalMedalofArts”e nel2002conseguel’“IsaacSternAwardforArtisticExcellence”enel1983ricevedaReaganla“NationalMedalofArts”;ilsuorepertorioècostituitodacirca100opereenelcorsodellasuacarrieraharegistrato oltre 50 dischi, per i quali è stato nominato per 21 Grammy Award,vincendone due. Ha da sempre dimostrato una costante spintaa motivare le fu-turegenerazioniattraverso la propria straordinariamaturitàartistica:nel 2002consuoiquattrotalentuosiprotegésfondagli Zukerman Chamber Players.L’ensemble ha da subito collezionato un’impressionante lista di tournées inter-nazionali, apparendoal fianco deipiù importanti artistie nei cartellonipiùpre-stigiosi; è formato da Amanda Forsyth, una delle più apprezzate violoncelli-ste americane grazie alla ricchezza timbrica e alla tecnica impeccabile, dallapianista Angela Cheng,chetieneregolarmenteconcerticomesolistaintuttoilmondo,eda Jessica Linnebach e Jethro Marks, primi violini della NationalArtsCentre Orchestra di Ottawa.

I protagonisti

LUNEDÌ 15 DICEMBRE 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

Johannes BrahmsScherzo in do minore-maggiore per laSonata  F.A.E. per violino e pianoforteWolfgang Amadeus MozartTrio in mi bemolle maggiore KV 563per violino, viola e violoncelloJohannes BrahmsQuintetto in fa minore op. 34per pianoforte e archi

ZUKERMAN CHAMBER  PLAYERS

PINCHAS  ZUKERMAN   violino e viola

JESSICA  LINNEBACH   violino

JETHRO  M ARKS   violino

 A MANDA  FORSYTH   viola

 A NGELA  CHENG   pianoforte

Introduce Marco Beghelli. Docentenell’Università di Bologna, coordinal’Archivio del Canto nel Dipartimento delleArti, ed è autore di libri di argomento musicale

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schubertiano (non fu un caso se il diret-tore d’orchestra Hermann Levi disse:«Non si ascoltava qualcosa di simile dal1828», ovvero dalla morte di Schubert).L’idea di un Brahms intimo e involuto ha però ostacolato la sua valutazione sul pia-no storico. Inquadrato come un nostal-gico conservatore opposto all’estetica di

 Wagner e Liszt, Brahms ha dovuto scon-tare la caricatura del reazionario, in par-te compensata da una fama che gli ha ar-riso nella seconda parte della vita (a Bruckner questo privilegio toccò solo ne-gli ultimissimi anni). C’è voluto l’inter-vento di Schoenberg per accostare al

nome di Brahms l’attributo “progressivo”,in risposta alle spietate critiche di Hugo Wolf, uno che rimpiangeva il canto libe-ro del romanticismo e che vedeva nel no-stro Amburghese «il più degno rappre-sentante dell’arte di comporre senza idee». Ma cosa sarebbero queste idee?Meno di ottant’anni passano fra il Trio diMozart e il Quintetto di Brahms e tuttoun universo nuota dentro questo minu-scolo acquario temporale, le intere vite diSchubert, Mendelssohn, Schumann, Cho-pin, Paganini, il Beethoven della più fe-conda sordità. Dagli spunti sorgivi ine-sauribili di Mozart, dalla sua spontanea innocenza, dal suo canto libero, si entra in un mondo carico di sovrastrutture sto-riche, obbligato a fare i conti col passa-to, al punto di temerne il confronto(«sento incombere un gigante alle mie

spalle», diceva proprio Brahms al pensierodi scrivere sinfonie, e il titano è chiara-mente Beethoven). Si comincia così a scri-vere, come disse Schoenberg, «musica peradulti», quella cioè che riannoda i fili colpassato ma lascia aperti interrogativi e sca-va voragini introspettive nell’Io. Non ungeyser di inventiva esuberante come ilTrio di Mozart, ma un fiume sinuoso dal-le acque compatte. A noi tocca il corag-gio di navigarlo, a maggior ragione in untempo in cui le polemiche storiche tra guardiani del faro ed esploratori di marisconosciuti si sono quietate.In questo cartellone è però racchiuso an-

che un tratto comune. Sia il Quintetto perBrahms, sia il Trio d’archi per Mozart,sono stati l’unica incursione del genere neiloro rispettivi cataloghi. Il fatto che sia-no pure dei capolavori non fa che accre-scerne l’eccezionalità. Certo, le analogiequi s’arrestano. Anche perché, a volerneindagare la gestazione sotto il profilo de-gli interlocutori femminili, Brahms eMozart si collocano ancora una volta agliestremi. «Carissima, amatissima mo-gliettina! – scriveva il Salisburghese nelgiugno 1789, un mese esatto prima del-la Bastiglia – il Trio che ho scritto per ilsignor Puchberg è stato eseguito in modoassolutamente decoroso», e c’è da cre-dergli: al violoncello c’era Antonin Kraft,dedicatario dei concerti di Haydn e delTriplo di Beethoven, e alla viola l’autorestesso… «Dopo la serata siamo tornati a 

casa. E allora giunge l’istante più felice perme, trovando ciò che da tanto tempo at-tendevo con ansia: una tua lettera, cari-nissima, amatissima. O Stru! Stri! Ti ba-cio e ti stringo 1095060437082 volte, ec-coti un buon esercizio per la pronunzia».

Difficile immaginare questi vezzi nei car-teggi Brahms-Clara Wieck. E infatti tra ilTedesco e la vedova Schumann il rapportosembra quasi quello traesaminando ed esa-minatrice: «La sinfonia in do minorenon è ancora finita; invece ho terminatoun quintetto per archi e pianoforte in fa minore. Mi sarebbe piaciuto mandarteloper sapere che ne pensi, ma a conti fattipreferisco portarlo con me», scrive un ti-mido Brahms nel 1862, prima di riceve-re la miglior risposta possibile: «Non socome dirti con calma la gioia che mi ha dato il tuo quintetto! L’ho suonato più vol-te e ne ho pieno il cuore! Diventa semprepiù bello e splendido! Che intima forza eche ricchezza nel primo tempo e che Ada-

 gio! Mi piace molto anche lo Scherzo,esoloil Trio mi pare un po’ corto».Non era ancora vedova Clara, quando suomarito e Brahms furono insieme a sten-dere una sonata per violino e pianoforte,in collaborazione con Albert Dietrich,compositore che oggi riappare per un di-screto concerto per violino. Per la Sona-

ta   F.A.E., il contributo brahmsiano èuno Scherzo in do minore di un venten-ne che ha già tutti i nervi sentimentali sco-perti e che da lì comincerà la sua esisten-za di mancate dichiarazioni. L’acronimodell’opera è già il manifesto d’uno stile divita: “frei aber einsam”, ossia libero ma solo.Un motto che Beethoven avrebbe proba-bilmente capovolto in “solo ma libero”. Ma qui, appunto, è cominciato un altro mon-do. Con Brahms i sogni cessano di di-ventare realtà grazie a un’eroica volontà dievasione. E il conflitto romantico tra realtà e sogno viene risolto a favore del secondo,accettato come tale, per farne una langui-da fantasticheria. Con la nostra sensibili-tà contemporanea, a pensarci bene, que-sta dovrebbe sembrarci molto più familiare,rispetto alle istanze titaniche di Beethoveno alla garrula vivacità mozartiana.

Pinchas Zukerman è stato fra i primi a impiegare le tecnologie per l’insegnamento

a distanza, servendosi di videoconferenze per tenere lezioni ai suoi allievi

Lo sapevate che...

56   IM   MUSICA INSIEME

Lunedì 15 dicembre 2014

DA ASCOLTARE

La discografia di Pinchas Zukerman è enciclopedica. Siamo ben oltre le cen-to registrazioni, nelle quali possiamo trovare quasi per intero il repertorio per violino e per viola. Dalle Stagioni vivaldiane (più volte incise, peraltro) ai con-

certi di Alban Berg e Igor Stravinskij e persino alla  Suite di Claude Bollingper violino e trio jazz. Nel mezzo c’è tutto il repertorio che conta: Mozart,Beethoven, Brahms, e così via. Il repertorio nel quale, cioè, Zukerman eccelle.Non mancano le curiosità, tra cui alcune incursioni bachiane ed un paio didoverosi tributi a Luigi Boccherini. A pubblicare le sue incisioni, tutte le mag-giori case discografiche: RCA, Sony, EMI, DGG, CBS. Con i suoi Chamber Players in un certo senso completa questo già ricchissimo mosaico, aggiun-gendovi pagine cameristiche, come i quintetti di Mozart, Brahms e Dvořáko la “Trota” schubertiana (le etichette sono Sony, Altara e CBS).

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Charles Rosen è stato un pianista, unostudioso,uno scrittore. È scomparso nel1992, dopo una lunga vita ricca di ri-sultati artistici. Prima di tutto si con-siderava un pianista. In un’intervista,nel 1981, dichiarò: «Tutti hanno unhobby. Alcuni pianisti collezionano vasiorientali. Io scrivo libri». Era un mot-to di spirito, dato che i suoi sono pie-tre miliari della riflessione sulla musi-ca, volumi che rappresentano un idea-le spartiacque. Uno di questi è Lo sti-le classico. Uscito negli Stati Uniti nel1971, in Italia fu tradotto e pubblica-to otto anni dopo da Feltrinelli. Se-guirono altre due edizioni, fino al-l’uscita dal catalogo. Adesso il ponde-roso saggio è disponibile grazie al-l’editore Adelphi, che lo propone ai let-tori in una nuova traduzione. A Ric-cardo Bianchini, traduttore storico, si

affianca Gaia Varon. Il volume può spa-ventare per la mole, ma l’obiettivo chel’intraprendente autore si propose,mettendovi mano, non era meno im-pressionante: «Non ho cercato in que-sto libro di offrire una rassegna della musica del periodo classico, ma di de-scriverne il linguaggio. In musica,come in pittura e in architettura, i prin-cipi dell’arte “classica” non furono co-dificati (o, se si vuole, “classicizzati”) chedopo la scomparsa degli impulsi chel’avevano generata: ho tentato di re-

stituire il senso della libertà e della vi-

talità dello stile». Come paradigma Ro-sen prende tre compositori, Haydn,Mozart e Beethoven, dando contodello sviluppo di generi diversi all’in-terno dei rispettivi cataloghi. Così diMozart il lettore troverà il concerto, ilquintetto d’archi e l’opera comica.Per Haydn la sinfonia e il quartetto, itrii con pianoforte, oratori e messe. PerBeethoven le sonate per pianoforte. Iltutto con una dovizia di esempi mu-sicali che richiede una discreta confi-denza con questo linguaggio e tutte lesue regole. Venticinque anni dopol’autore confessa: «Questo libro mi sem-bra l’opera di qualcuno che conosco ap-pena e delle cui azioni non porto alcuna responsabilità». La nuova edizione è sta-ta l’occasione per alcuni aggiustamen-ti, come l’aggiunta di un capitolo suBeethoven e sul rapporto che lo lega ai

compositori che l’hanno preceduto. Ilvolume resta, insieme agli altri tradottie a quelli che ancora restano da pub-blicare in Italia, la testimonianza di una mente lucida e arguta, di una compe-tenza rara della musica e della capaci-tà di parlarne. Rosen cercava di carpi-re il mistero di un periodo che ha se-gnato la storia non solo della musica,ma della cultura occidentale. Non l’ha svelato, ma c’è andato molto vicino.

Charles RosenLo stile classico

(Adelphi, 2013)

PieroRattalinoGuida alla musicapianistica(Zecchini editore, 2012)

Oltre 2000 composizioni,oltre 300 anni di musica, ol-

tre 100 monografie, è scrit-to sulla copertina del volu-

me Guida alla musica pianistica  di Piero Rat-talino (Zecchini editore, 2012). La promessa annuncia la ragguardevole quantità di materialeanalizzato, la qualità è garantita dalla firma diRattalino. Autore prolifico, dedito alla divul-gazione della musica, in particolare pianistica,nell’accezione più alta del termine, l’autore ha il pregio di ‘raccontare’ senza mai annoiare, congarbo e competenza. Sono analizzate le operedestinate al pianoforte di 109 compositori, daipiù noti (a Beethoven il maggior numero di pa-gine) ai più negletti. Lodovico Giustini da Pi-stoia (di cui difficilmente sentiremo mai nar-rare le gesta) ha una facciata scarsa, due sonoriservate a Tekla Badarzewska-Baranowska. Illettore curioso potrà scoprire da sé per quali sia-no i suoi meriti ‘pianistici’. Il risultato finale èquello di un Pantheon tastieristico in partenoto, in parte da scoprire. Il dizionario vero eproprio è preceduto da una sintetica e illumi-nante introduzione su Il pianoforte e le sue epo-che storiche. Seguono 640 pagine, compresi vari,utili, anzi, indispensabili indici.

Giovanni Bietti

Ascoltare Beethoven(Laterza, 2013)

 Ascoltare Beethoven: questo iltitolo di un volume pubbli-cato per Laterza da GiovanniBietti, conduttore della se-guitissima trasmissione ra-

diofonica  Lezioni di musica . Un testo che è undialogo, lungo trecento pagine, in cui l’auto-re scruta la musica del compositore, mesco-lando dati biografici, eventi storici, analisi mu-sicale. Per lui la musica tiene conto del con-testo, ma senza esserne determinata a forza.

Qualche termine tecnico potrebbe scoraggia-re chi non sia troppo esperto di teoria e ana-lisi musicale, ma vale la pena superare questoscoglio perché si tratta di un volume pieno disollecitazioni, di idee, di novità. Certo, af-frontare l’intera opera beethoveniana, dalle sin-fonie alle sonate, dai quartetti all’opera, ha ri-chiesto un notevole lavoro di sintesi, ma è una sintesi ricca, in cui un innovatore radicale, ep-pure ben piantato nella tradizione, trova una bella chiave di lettura, ricca di sfumature, ri-spettosa, priva di preconcetti e dogmi. Dal-l’ascolto della musica per Bietti non si può pre-scindere, così il volume ha allegato un cd con

49 tracce musicali, cui il libro rimanda.

PER LEGGERE

GUIDE

 ALL’ASCOLTO

Con la riapertura dei   Concerti 

di Musica Insieme, ecco treutili sussidi per riaccostarsialla materia: un ‘classico’come il Rosen, in una nuovaapprezzata traduzione, ele guide di Rattalino e Biettia uno strumento e unautore fondamentale

di Chiara Sirk 

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Un’integrale, anche solo per questo significativa e tanto più in quanto relativa a un catalogo ster-minato e quindi mai conosciuto a sufficienza. Nongiovane, ché risale a una ventina d’anni fa, ma piùche plausibile (alla lettera, degna di applausi) perun concertista di violino che allora stava fra i 45e i 47 anni. Più in breve, ecco Zukerman (1948)

a rapporto da Schubert (1797-1828): il violini-smo di un maestro dello Stück  per pianoforte, delLied per voce, della sinfonia piccola o grande chesi voglia. Divaricato fra gli anni 1816-17 e gli anni1826-28, tal violinismo è prima di tutto compuntoa elaborare sonate o sonatine, poi tutto emanci-pato a schizzare altro, di diverso, nuovo, roman-tico. Per un violinista della versatilità di Zuker-man non fa troppa differenza: se c’è da correre sulcrinale della gran bravura, va bene; se c’è da fer-marsi sulla semplice melodia all’antica (mozartiana?napoletana?), fa lo stesso. Ecco dunque le primetre sonate, assai più corte della media schubertiana:il suono di Zukerman sembra canto, nei legatis-simi movimenti lenti, e la sua dinamica è larga,da lunga arcata, non frammentata sulla singola nota o battuta, tanto che spesso dà l’idea diun’enorme forcella doppia sospesa sul penta-gramma. Più tardo il Duo, che chiama in causa il pianista quasi pareggiandolo al vero solista: deipassi forti è responsabile anche Neikrug, ma deimeravigliosi trilletti dell’ Andantino risponde sol-tanto Zukerman. Che poi passa alla viola (non lofaceva anche il suo idolo, Heifetz?) e attacca l’ Ar-

 peggione  così trascritto: a suggerire la sua visionebasti il finale dell’ Allegro moderato, sempre più sfu-mato, quasi silenziato. Dopo il Rondeau che squil-la di brillantezza, ma mai a discapito della legge-rezza, la  Fantasia  in do maggiore è un prodigio diforma e idea sonatistica, come dire? contraddet-ta: come Zukerman pizzichi il terzo movimentoe come sorrida sul secondo è nulla rispetto a comesembra, veramente, pregare con il primo. Un An-dante mol to che così diventa  Andante religioso.

Pinchas Zukerman, Marc NeikrugSchubert. The complete works for violin and piano

(Sony Music Entertainment,

 Biddhulf Recording, 2010)

NUOVI MONDIColori etnici nell’ultimo sorprendente cd di ViktoriaMullova e atmosfere americane per il Brodsky

String Quartet, mentre Zukerman con Neikrugripassa tutto lo Schubert per violino e pianoforte

È doppio il sacrificio che fa qui Viktoria: ri-nunciare al classico, certo, ma rinunciare ancheal solismo assoluto. Perché quello che suona, 13pezzi per quasi 50 minuti, è musica etnica e so-

prattutto musica polistrumentale, a suo modo polifonica, giammai ‘con-certistica’. L’ha fatto molto volentieri pervenendo così al suo terzo cd ex-tra-colto (sospetto, questo tre: tre anche le serate d’incisione, three , scri-ve lei, come thrilling ). Recandosi in Brasile per registrare poteva chiedereun violino qualsiasi, ma poi ha preferito il suo Stradivari (con ogni cau-tela per l’impressionante umidità); e ha placato quel po’ di nervosismoche provava con la bontà del lavoro comune e grazie alla gioia provata a improvvisare (come bisogna fare in questi repertori, e invero non solo).Lavoro comune? conMatthew Barley al cello, Carioca Freitas alla chitarra,Paul Clarvis e Luis Guello, spazianti l’uno su 12 e l’altro su 10 strumentilocali. Musiche di Nucci, Vogeler, Costa, Montae nove altri, tutte in odor

di ballabile e sempre nuovamente arrangiate. Un esempio:  Brasileirinhodi Waldir Azevedo conta due minuti di umorismo violinistico.

 Viktoria Mullova Stradivarius in Rio(Viktoriamullova – Onyxclassics, 2014)

DA ASCOLTARE

«Tutti i paesi hanno la loro musica, perché nondeve averne l’America?», scrisse Dvorák sul Chi-cago Tribune  nel 1893. Detto fatto: svelto come

sempre, compose all’uopo una sinfonia, un quartetto, un quintetto (condue viole). Dal nuovo mondo la prima, Americano il secondo: bello e ve-nato tanto di ‘indiano’ quanto di cèco, eccolo, questo, in apertura di un

indovinato cd dal titolo lampante: vi stanno sette pezzi lunghi 77 minuti,tutti brevi dopo quello di Antonín che dardeggia scale pentafoniche e rit-mi sincopati come non mai. Ma poi c’è Copland, che prima di rumoreggiarecon Hoe-Down fa il romanticone con un Lento molto. C’è Barber, che an-cora negli anni Trenta (del resto era del 1910) disegnava un  Adagio dalvero sapore recitativo. C’è Gershwin, che sui vent’anni già inteneriva conuna ninna-nanna, Lullaby , degnissima di figurare come pagina da film.C’è, alla fine, Dave Brubeck, pianista jazz vissuto dal 1920 al 2012 chepoco prima di mancare, ai signori del Brodsky ( pardon, alla signora e aitre signori) aveva dedicato la versione quartettistica di un suo pezzo tre-dicenne (cioè del 1999): si tratta di Regret , quartettino dove gli strumentidialogano con una civiltà di registri quasi preromantica.

The Brodsky String Quartet New World Quartets(Chandos, 2014)

di Piero Mioli

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