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raccolta di testi scritti durante la fase messicana di Nomadica
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Adelante compañeros!
di Alessio Galbiati
[Articolo apparso sulla rivista digitale di cultura cinematografica
RAPPORTO CONFIDENZIALE – Numero 29 – Novembre 2010]
Trovare una strada, individuare un percorso.
Nomadica è un'utopia realizzata, un'idea preziosa che ha trovato la sua strada, che ha
mosso i primi passi in Italia e che ha trovato finalmente un primo compimento in
Messico - intendo con la parola 'compimento' il dispiegarsi di ogni sua potenzialità, la
piena concretizzazione di un'idea che entro i confini nazionali faticava a dirsi
realizzata in maniera pienamente soddisfacente. Nomadica è una finestra sul cinema
indipendente e di ricerca, su quel cinema che cresce spontaneo così ben raccontato
in "Les Champs Brulants" di Catherine Libert (vedi RC28), un cinema necessario
perché animato dalla necessità dei suoi realizzatori, un cinema fine a sé stesso,
tautologico, illogico e, proprio per questo importante. Dopo vari tentativi tutti più o
meno andati a sbattere contro l'Italia contemporanea, Nomadica ha deciso di
prendere il volo per un altro continente alla ricerca di quell'attenzione e quel rispetto
che aveva compreso di potersi meritare, trovandolo a Città del Messico e
concretizzandolo con un festival dal 5 al 21 novembre.
Nomadica ricorda a tutti noi almeno un paio di cose. La prima è che tutto quello che
facciamo, pur se con limitati riconoscimenti, un senso ce l'ha; la seconda è che il
mondo è grande e che è inutile dare confini linguistici al proprio operato - un buon
lavoro di traduzione, dei sottotitoli fatti bene, possono essere lo strumento che ci
permetterà a liberarsi da quel senso di insoddisfazione che i confini (linguistici e
politici) ci vorrebbero imporre.
Dove va a proiettarsi il cinema contemporaneo.
Per una rete internazionale di cinema di ricerca.
[Articolo apparso sulla rivista digitale di cultura cinematografica
RAPPORTO CONFIDENZIALE – Numero 29 – Novembre 2010]
Nomadica, Ciudad de Mexico, 24ottobre2010
Il cinema di ricerca è per noi tutto quel cinema che non si basa su linguaggi
predeterminati ed esistenti, che pone alla base del suo farsi la sperimentazione
linguistica e dei metodi di produzione, che sta al di fuori delle solite finzioni narrative e
dello stesso sistema di informazione canonico e che cerca invece di forzare, di
rompere, di trovare appunto nuove questioni e punti di vista. Tutto quel cinema che si
può dare - per forza di cose - solo al di fuori dell'industria della produzione e della
distribuzione di stampo neoliberale e che cerca, con forza, la possibilità di esser visto e
conosciuto. Ciò su cui Nomadica sta lavorando è la creazione di una rete di
distribuzione dal basso internazionale, composta da decine di realtà sparse in tutto il
mondo. Stiamo entrando in contatto con organizzazioni di diffusione di cinema
autonomo e di ricerca che agiscono in territori più o meno “propri”, sviluppando dei
metodi di diffusione che a questi si adattano di volta in volta. Attraverso uno scambio
costante, stiamo creando una rete che ha la possibilità di diffondere queste opere e di
farle vivere in una sorta di “mondo parallelo”, oltre la distribuzione di massa,
riempiendo gli enormi vuoti culturali creati dal sistema capitalistico – il tutto col fine di
sostituirsi di netto ad esso.
Crediamo sia giunto il momento di dare vita a una grande rete internazionale per la
diffusione del nostro cinema. Una rete senza un centro nevralgico preciso e senza
padroni, creata per giungere più facilmente alla gente, per convivere con essa e per
renderla consapevole delle possibilità reali, razionali, accessibili a tutti, offerte dal
cinema contemporaneo. Per diffondere un tipo di cinema e allo stesso tempo anche un
tipo di informazione differente, che mostri la faccia del mondo praticamente e non nelle
vesti di spettacolo romantico che sbarra gli occhi e la mente di chi vi accede.
Partiamo dal presupposto che le grosse sale cinematografiche – così come i grossi
mezzi di informazione - sono delle industrie destinate a soccombere, industrie presto
dismesse, e che per questo vanno totalmente ignorate. L'avanzare della nostra presa
di coscienza delle caratteristiche e delle possibilità tecnologiche, quanto del mondo che
ci circonda - che non può ridursi a una nazione, soprattutto se minuscola e con poche
possibilità, o peggio a una città - sta portando alla creazione di un fare e diffondere dal
basso seguendo dei metodi alternativi e paralleli che devono intrecciarsi con ciò che
avviene nel resto del mondo. La produzione dal basso è ormai una tecnica consolidata
in Italia, penso alle esperienza fatte (anche personalmente) e a quelle che si stanno
sviluppando proprio in queste settimane. Altre soluzioni alternative in produzione sono
comuni in tutto il mondo. E allora questa comunione può e deve trovare spazio ed
essere proposta. Varie sono oggi le realtà che si muovono tanto su internet, quanto per
le strade di tutto il mondo, proiettando e entrando in continuo contatto con la gente,
creando scambi. Sono queste le strade da percorrere che occorre condividere,
internazionalizzare, organizzare, seguendo un passo comune appunto, di scambio e di
unione.
Entrando in contatto con realtà messicane, cilene, argentine, uruguayane, stiamo
scoprendo un cinema estremamente interessante, che speriamo di condurre con noi in
Italia, così come stiamo portando circa 30 lungometraggi e decine di cortometraggi
italiani in questi paesi.
In Italia negli ultimi mesi qualcuno ha parlato di “neo-cinema” senza sapere
esattamente di cosa (e di chi) sta parlando, o di come girano le cose, al di qua di ciò
che la grossa industria gli permette di sapere almeno. Si parla e si pensa il “neo-
cinema” facendo riferimento a ciò che avveniva 4 o 5 anni fa, e questo è molto buffo
visto dall'esterno (o dall'interno). Il sistema giornalistico/culturale italiano ha infatti delle
enormi falle, di cui non si accorge nemmeno. Ma non ha alcuna importanza, il lavoro si
è fatto e si continua a fare comunque.
E come ci scrive un amico (che dà tanto per la stessa causa) dall'Italia: “adelante
compañeros !!” ..abbiamo sempre sognato di dirlo!!
[ Uno dei cartelli realizzati da “La Otra Grafica”
nella “Escuela de Cultura Popular Martires del '68”
in occasione della XVI Conferenza delle Nazioni
Unite sopra il Cambio Climatico tenutasi a Cancun ]
Intervento di Giuseppe Spina – Nomadica, alla Mesa Redonda “Arte e
Ideología” tenutasi il 27 di Novembre presso la “Escuela de Cultura
Popular Mártires del 68”(1)
Ciudad de Mexico, 26 Noviembre 2010
Faccio parte di una rete di cineasti indipendenti che fanno il loro lavoro in
povertà, o con pochissimi finanziamenti. Cineasti di diversa nazionalità, e tra
questi ci sono pittori, scrittori, musicisti. Lavoro in un paese culturalmente
disintegrato, un paese ridotto a un bipolarismo culturale (berlusconi e
antiberlusconi) che esclude totalmente qualsiasi altro tipo di discorso
alternativo. E per “qualsiasi” intendo tutto ciò che è o potrebbe essere sociale e
culturale ma che non rientra in questo binario rigido. La sinistra italiana,
l'informazione e la diffusione di sinistra, sono entrati in questo vortice,
riportando gli stessi identici argomenti, spesso volgari e inutili, trattati dai
giornali e dalle TV di destra, facendo degenerare quei mezzi che invece
avremmo dovuto avere a disposizione per intraprendere un discorso veramente
alternativo. Questi mezzi (di sinistra, alternativi, etc), a distanza di dieci anni,
non sono più seguiti, la gente li ha prima confusi e poi dimenticati, e oggi stanno
chiudendo per fallimento. Questa è la condizione e il tempo in cui abbiamo
iniziato a lavorare, circa 6 anni fa.
Questa rete - che si chiama Nomadica, come “nomade” e come quel “pensiero
nomadico” a cui fa riferimento Gilles Deleuze parlando dell'impossibilità di
incastrare e sodomizzare il pensiero di Nietzsche – questa rete sta creando un
circuito di spazi in cui proiettare e diffondere con continuità pellicole che non
hanno niente a che vedere con le pellicole mainstream (per quanto molti ricchi
registi mainstream sono detti allo stesso modo indipendenti - ma credo che
anche nel cinema il concetto di indipendenza vada totalmente rifondato o,
sarebbe meglio, abbandonato).
Vi ringrazio per questo spazio in cui ho la possibilità di assistere e partecipare
finalmente a qualcosa di dialettico, in un periodo in cui – in Europa - la dialettica
sembra sparita nella dominazione totale dell'insufficienza, della deficienza, e
della gestione di stampo mafioso di tutto ciò che è cultura e arte.
Mi auguro che questo intervento possa interessare le persone presenti perché
vuole riportare una piccola esperienza che ritengo nasca, anche se in altre parti
del mondo, per le stesse ragioni che ci portano a riunirci qui. Dico “ci portano”, e
mi includo all'interno di questo incontro, perché credo che gli argomenti trattati
qui siano oggi comuni non soltanto agli artisti mexicani, e perché credo si possa
trovare, pur nelle enormi differenze sociali che distinguono i vari paesi, delle
strade comuni da percorrere.
Il lavoro di Nomadica riguarda dunque da una parte un “mettere insieme”
centinaia di autori e film - ma organizziamo anche esposizioni, incontri, taller -
dall'altra entrare in contatto con centinaia di spazi, di realtà, di centri culturali, di
associazioni in tutto il mondo. Centri in cui proiettare e organizzare incontri e
scambi. Siamo qui in Mexico anche per questo, per allargare la rete anche a
questo paese, cercare di abbattere i confini borghesi che ci rinchiudono nei
nostri piccoli angoli di cultura e arrivare dunque alla gente, ovunque è possibile.
Per dare spazio a queste pellicole e a un rapporto con la gente che è negato da
tutti i circuiti commerciali e dalle sale da essi dipendenti.
Il lavoro che sviluppiamo, così come i film che da anni ricerchiamo e il lavoro
stilistico differente che, secondo dei criteri precisi, viene inserito all'interno delle
opere che compongono Nomadica, si pone quindi in antitesi con tutto ciò che è
il cinema e la cultura di oggi. Ma questo non ci porta a rifiutare l'appoggio di
istituzioni - se ne incontriamo di interessate al nostro lavoro. Non rifiutiamo
l'appoggio di gallerie e centri di arte, se ne incontriamo di “puliti”. Non siamo un
gruppo di “giovani”, non ci esprimiamo per la supremazia di uno stile sull'altro,
non cerchiamo di surclassare gli artisti del passato. Pensiamo anzi che queste
dinamiche facciano parte dei meccanismi di una storia e di una concezione
dell'arte borghese, che incastra i procedimenti creativi inventandosi una
continuità artistica tra periodi storici, movimenti, artisti scelti – tagliando fuori per
sempre tutto il resto. Crediamo che il passato dell'arte non passi dai libri di
storia.
40 anni fa in Italia, Alberto Grifi, uno dei primi cineasti che aprirono la strada
all'underground italiano, faceva la stessa cosa che io sto facendo stasera.
Filmava eventi politici, intrecciava la politica all'arte, con l'aspirazione di fare
arte. Alberto Grifi, dopo una vita di lavoro frenetico sull'immagine povera e in
movimento, è morto a Roma due anni fa, d'infarto, senza un tetto, senza le
giuste cure, nella povertà più assoluta. Oggi il lavoro di Alberto Grifi viene
presentato all'interno degli ambienti accademici. Porto questo esempio solo per
dire che non rifiutiamo il passato, ci facciamo carico e forza anche tramite esso,
ma non possiamo assolutamente accettare o dimenticare tutte le ipocrisie
istituzionali, non possiamo a mio avviso non riconoscere e non denunciare la
gente incompetente e sfruttatrice, di destra come di sinistra, che sta dietro tutta
la cultura, dietro l'arte, barricata nei “suoi” palazzi.
Per quanto ci riguarda non facciamo distinzioni tra il cinema e il video come tra
il cinema e le altre arti, quando sono il frutto di un sentire creativo e politico, e
quindi vitale. E l'aspetto economico entra sempre e indubbiamente, in ogni
tecnica e ogni arte, a far parte dello stile quanto del contenuto politico
dell'opera. La povertà è sempre meravigliosamente riconoscibile, anche nel fare
arte. Così come - dall'altra parte - gli aspetti economici dell'opera d'arte
diventano fondamentali nella gestione della cosiddetta Arte Contemporanea,
l'arte dell'opera pronta in tavola, “mangiata dal borghese” (2).
Abbiamo costruito questo circuito in sei anni di lavoro, e non sappiamo quanti
ne mancano ancora per raggiungere quest'utopia. Il tutto è realizzato
dall'esterno e dal basso, cioè restando fuori dalle inutili diatribe nazionali – ad
esempio sui tagli al Fondo unico per lo spettacolo (il FUS, le miserie che lo
Stato italiano investe per lo spettacolo e che la maggior parte dei cineasti
italiani, in ogni caso, non vedranno mai) - e entrando in contatto diretto con la
gente. Rendendola partecipe. La gente vede, organizza insieme a noi, e a sua
volta fa vedere.
Restare fuori dalle diatribe dei partiti vuol dire oggi non dialogare con i mal-
governi. E sempre più spesso penso che “otra campaña” - una politica di buon
governo che con applicazioni differenti oggi potrebbe avere il suo effetto sui
popoli vittima dei governi corrotti di tutto il mondo - debba assolutamente
significare come prima cosa “otra cultura”. Senza un'impostazione culturale
“altra” infatti, il livello culturale e di vita della gente continuerà a scivolare. In
altre parole, la gente continuerà a votare, a sostenere o, per forza di cose, a
condividere, questo sistema corrotto, distruttivo e inconcludente!
E allora, che fare ?
Parafrasando e sborghesizzando Jean Luc Godard, dobbiamo oggi dire che è
più necessario lavorare su delle pratiche di politiche culturali che su una cultura
politica. Cioè, credo sia più necessario escogitare delle tecniche di azione
politico-culturale che agiscano in modo diretto sulle persone rendendole
partecipi e attive.
Per far questo occorre sinergizzare gli sforzi, creare delle reti parallele a quelle
del sistema dell'arte, reti dirette e indirette, reali e virtuali, rendere attivi e
conoscitori dell'arte tutta quella miriade di piccoli centri culturali presenti in tutto
il mondo. Creare dei collegamenti tra gli artisti, buttare il proprio ego nel cesso e
considerare l'arte non come uno strumento per innalzarsi individualmente. Non
guardare l'altro dall'alto in basso. Non è un problema se qui o lì ci sta poca
gente - per riprendere l'osservazione di un compagno nell'incontro passato -
non dobbiamo contare le persone, dobbiamo intanto contare i nostri atti e i
luoghi in cui questi atti si possono sviluppare. Cercare di interpretare questo
vuoto culturale creato dalla società come un qualcosa di prezioso, qualcosa che
dobbiamo assolutamente riempire. Il tutto senza perdere mai di vista la
soggettività di ogni individuo, e il rispetto per essa.
Le realtà con cui entriamo in contatto sono magari diverse da noi, ma stiamo
sviluppando un discorso comune, stiamo così portando le nostre opere
ovunque è possibile con dei costi estremamente contenuti – perché sono i film
a muoversi. Creare o contattare riviste attraverso le quali possiamo comunicare
le nostre posizioni politiche, denunciare questo sistema. Le realtà che
collaborano con Nomadica, contribuiscono a far girare queste comunicazioni e
in questo modo il cerchio si allarga sempre di più. Siamo coscienti che Internet
è un motore di diffusione gratuito e gigantesco: migliaia sono i blog che
possono diffondere le nostre idee, migliaia i giornali online. So che essere
artista non vuol dire per forza essere un comunicatore, e sono il primo a
deprimermi quando dall'altra parte trovo dei muri, cioè nella maggior parte dei
casi. Però occorre cambiare le cose, occorre fare e fare in modo di trovare e
connettere tutti coloro che sono interessati, anche dall'altra parte del mondo.
Creare strutture e reti parallele o agire all'esterno non vuol dire sicuramente
stare fermi a guardare i “porci che continuano a ballare”(3). Non vuol dire
perdere di vista la finalità a cui tutti dobbiamo continuare ad aspirare, cioè
abbattere il sistema culturale, ossia il sistema culturale capitalista.
Riconosciamo tutti, in America come in Europa, in Giappone come in Cina, un
sistema dell'arte omologato, in cui l'artista non vale più niente, è ridotto a essere
una pedina nelle mani delle decisioni di una figura che dal punto di vista
pragmatico – ma anche teorico – è spesso ben lontana dall'arte: il curatore! Il
curatore è una bestia. Il cane da guardia del sistema presente in ogni arte, colui
che decide chi va avanti e chi si ferma, chi entra o chi resta fuori in base a
interessi economici e il più delle volte mafiosi. É un'entità che come ogni
colonna portante del capitale si è diffusa in tutto il mondo. Come contrastare
questo sistema? Semplicemente denunciandolo, ovunque sia possibile e in ogni
occasione. Su internet, sulle riviste, nelle mostre, come nei nostri lavori. Non
solo. Praticamente credo che occorra mettere insieme dei collettivi di artisti e
creare delle grosse esposizioni autofinanziate, nelle zone centrali delle città,
come tra i contadini, e non solo agendo per strada. Occorre camuffarsi, affittare
degli spazi borghesi, entrare in contatto col borghese, vendere se possibile e
“farsi mangiare”, ma con la finalità precisa e subdola del farsi forti per
continuare a marciare.
Non è impossibile, e più saremo e meglio andrà, occorre solo una profonda
coerenza e una forte coscienza politica, prima ancora che artistica e culturale.
Vi ringrazio per l'attenzione.
(1) – La “Escuela de cultura popolare Martires del 68”, è a nostro avviso uno
dei centri culturali e artistici più attivi e interessanti di Ciudad de Mexico.
All'incontro erano presenti una ventina di artisti, molti dei quali figurativi,
alcuni collettivi, Alberto e Cristina Hijar, Iseo Noyola. Il tema di fondo
della “mesa redonda” riguarda il modo in cui l'arte deve incontrare la
società, come l'artista può o deve entrare in relazione con essa.
L'incontro si è successivamente trasformato in un progetto di unione,
organizzazione e lavoro attivo. Rimandiamo la descrizione delle profonde
differenze tematiche e politiche che contraddistinguono la vita mexicana
dal mostruoso sonno italiano.
(2) - in “Il Futuro è obsoleto (1996-1997)”, Canecapovolto
(3) – da Città-Stato [Anticipazione#1 - 2008], Giuseppe Spina
Intervencion de Giuseppe Spina – Nomadica, a la Mesa Redonda “Arte e
Ideología” del 27 de Noviembre en la “Escuela de Cultura Popular
Mártires del 68”
Ciudad de Mexico, 26 Noviembre 2010
Somos parte de una red de cineastas independientes que hacen sus trabajos
con casi nada de recursos. Cineastas de diferentes nacionalidades entre los
cuales hay pintores, escritores y músicos.
Trabajo en un país culturalmente desintegrado, un país reducido en un
bipolarismo cultural (con Berlusconi y en contra de Berlusconi) que excluye
completamente cualquier tipo de debate alternativo. Y por “cualquier” me
refiero a todo lo que podría ser social u cultural pero que no hace parte de este
bipolarismo.
La izquierda italiana, las informaciones y la difusión cultural, están en ese
vértigo reproponiendo las mismas argumentaciones, de repente groseras y
inútiles propuestas por los periódicos de derecha llevando en el ojo aquello
medio que hubiéramos tenidos que utilizar para el desarrollo de una reflexión
verdaderamente alternativa.
Estos medios de izquierda en los últimos diez años ya no tienen voz, la gente
los has antes confundido y luego olvidados, y hoy están cerrando por fracaso.
Estas son las condiciones en las cuales hemos empezado a trabajar, hace más
o menos seis años.
Esa red que se llama NOMADICA, como “nómade” y como el pensamiento
nomadico a lo cual se refiere Deleuze hablando de la imposibilidad de
acomodar el pensamiento de Nietzsche. Esa red esta construyendo un circuito
de espacios donde proyectar y difundir con continuidad películas que no tienen
nada a que ver con las películas mainstream (aun que muchos de estos
directores mainstream son llamados de la misma forma independientes – pero
creo que también en el cine el concepto de independencia tenga que ser
totalmente reformado, o mejor, abandonado)
Agradezco mucho este espacio en el cual tengo la oportunidad de asistir y
participar en algo de dialéctico, por fin, in un periodo en el cual en Europa la
dialéctica parece desaparecida en la dominación tal de la insuficiencia, de la
estupidez, y del manejo mafioso de todo lo que es arte y cultura.
Me gustaría que esa intervención pudiera interesar las personas aquí presentes
porqué quiere compartir una pequeña experiencia que nace, aun que en otras
partes del mundo, por las mismas razones que nos llevan a juntarnos hoy aquí.
Digo “nos llevan”, y yo estoy incluido en ese encuentro, porque creo que los
temas desarrollados aquí sean hoy comunes no solo a los artistas mexicanos, y
porqué creo se pueda encontrar, también en las diferencias culturales en los
diferentes países, de los caminos comunes que hay que seguir.
El trabajo de NOMADICA por un lado junta cientos de directores y películas
(organizando también expos, encuentros y talleres) y por el otro, se conecta
con muchísimas realidades, centros culturales y asociaciones de diferentes
países.
Centros en los cuales proyectar y organizar encuentros y intercambios.
Estamos aquí en México también por eso, para expandir la red hasta aquí.
Tratar de abatir los límites de la burguesía que nos encierran en nuestras
pequeñas esquinas culturales y así, llegar hacia la gente en cualquier lado SI
SE PEUDE.
El trabajo que estamos desarrollando, así como las películas que buscamos y
el trabajo estilístico diferente que, bajo criterios específicos, esta insertado en
las obras que componen NOMADICA, se opone a todo lo que representa el
cine y la cultura de hoy.
Esta situación no nos lleva a rechazar el apoyo de instituciones – si están
interesadas a nuestro trabajo. No rechazamos el apoyo de galerías y centro de
arte si están “limpias”. No somos un grupo de jóvenes, nos, no expresamos
para que un estilo pueda dominar otro, no buscamos retos con artistas del
pasado. Pensamos, al revés, que estas dinámicas sean parte de los
mecanismos de una historia y de una concepción burguesa del arte. Creemos
que el pasado del arte no esté en los libros de historia.
Cuarenta años atrás en Italia, Alberto Grifi, unos de los primeros directores
cineasta que abrió el camino al underground italiano, hacia la misma cosa que
yo estoy haciendo esa noche. Filmaba eventos políticos, conectaba la política
con la arte, con la aspiración de “hacer arte”. Grifi, después de una vida de
trabajo intenso sobre la imagen pobre y en movimiento, murió en Roma hace
dos años de paro cardiaco sin un techo, sin los adecuados medicamentos, en
la pobreza absoluta. Hoy su trabajo es presentado en los círculos académicos.
Llevo ese ejemplo para decir que no rechazamos el pasado, pero no podemos
absolutamente aceptar u olvidar todas las hipocresías institucionales, no
podemos, yo creo, no reconocer y no demandar la gente inútil y explotadora
que esta atrás de toda la cultura, atrás del arte, encerrada en sus palacios.
Para nosotros no hay una diferencia entre el cine y el video, como entra el cine
y las otras artes, cuando son el resultado de un sentir creativo y político, y por
eso vital. Y el aspecto económico entra siempre y sin dudas en cada técnica y
en cada arte siendo parte del estilo y del contenido político de la obra. La
pobreza es siempre maravillosamente reconocible, también en el acto de hacer
arte. Así como del otro lado los aspectos económicos de las obras de arte se
vuelven fundamentales en el manejo de la así llamada “arte contemporánea”, la
arte de la obra lista en la mesa, comida por el burgués.
Hemos realizado ese circuito en seis años de trabajo y no sabemos cuánto aun
falta para alcanzar esa utopía. Estamos realizando todo desde el bajo y de
forma autónoma, ósea quedando afuera de las pelèas nacionales. ( por
ejemplo, cortaron los recursos para los espectáculos, eso no es importante, de
cualquier forma no íbamos a poder disfrutar de estos recursos), y entrando en
contacto directo con la gente, buscando una participación directa. La gente ve,
organiza junto con nosotros y a su vez insignia.
Quedarse afuera de las pelèas de los partidos significa hoy no dialogar con los
mal gobiernos, y siempre mas pienso que “OTRA CAMPAÑA”, debería de
hecho ser como primera cosa, la OTRA CULTURA. Sin una imposición cultural
“otra”, el nivel social, cultural y de vida de la gente continuará a deslizar. En
otras palabras la gente continuará a votar, a sostener y a compartir este
sistema corrupto y aleatorio.
Y entonces, ¿qué hacer?
Parafraseando y desborguesisando Jean Luc Godard, hoy tenemos que decir
que es más necesario trabajar sobre prácticas de políticas culturales en lugar
de una cultura política. Ósea creo sea más necesario buscar técnicas de acción
políticas culturales que puedan despertar las personas.
Para hacer eso hay que sinérgizar los esfuerzos, crear redes paralelas aquellas
del sistema del arte, redes directas y indirectas, reales y virtuales, empujar
hacia los muchos pequeños centro cultural presentes en todo el mundo.
Crear conexiones entre artistas, tirar el propio ego en la basura, y considerar el
arte no como un medio para subir individualmente. No es un problema si aquí o
allá hay poca gente, para citar la intervención de un compa en el encuentro
pasado, no tenemos que contar las personas, tenemos que darnos cuentas de
nuestros actos y de los lugares en los cuales esos actos se puedan desarrollar.
Tratar de interpretar ese vacío cultural de la sociedad como algo de valioso,
algo que tenemos que llenar. Todo eso, sin nunca olvidar la subjetividad de
cada individuo, y el respecto por el.
Las realidades con la cuales entramos en contactos son muy diferente de
nosotros, pero estamos desarrollando un discurso en común. Crear o
conectarse con revistas a través de las cuales podemos comunicar nuestras
posiciones políticas, demandar ese sistema.
Las realidades que colaboran con NOMADICA contribuyen a difundir estas
comunicaciones y el círculo se hace siempre más grande.
Estamos consientes que internet es un motor de difusión muy poderoso: mil
son los blog que pueden difundir nuestras ideas, mil los periódicos online.
Yo se que ser artista no significa a fuerza ser un comunicador y soy el primero
a deprimirse cuando en frente hay muros ósea en la mayoría de las
situaciones. Pero es necesario cambiar las cosas, hay que hacer y buscar de
conectar todos los que están interesados, también del otro lado del mundo.
Crear estructuras y redes paralelas o actuar hacia el exterior no significa, por
cierto, quedarse parados a ver “los puercos que continúan a bailar”. No
significa perder el objetivo por lo cual todos tenemos que luchar, ósea destruir
el sistema cultural, ósea el sistema cultural capitalista.
Todos reconocemos, en América como en Europa, en Japón como en Cina, un
sistema del arte homologado, en el cual el artista ya no tiene valor, esta
reducido a títeres (burattino) en las manos de decisiones de una figura que de
un punto de vista pragmático – pero también teórico- es a menudo bien lejas
del arte: el curador. El curado es una bestia. El perro del sistema presente en
cada arte, es el que decide quien vas adelante y quien se para, quien está
adentro y quien afuera bajo intereses económicos y lo mas de las veces
mafiosos. Es una entidad que como cada columna del capitalismo es difundida
en todo el mundo. Como luchar en contra?
De sencillo, demandándolos in cualquier ocasión, donde sea posible. En
internet, en revistas, en expos, como en nuestros trabajos. No solo. Creo que
sea necesario organizar colectivos de artistas y crear expos grandes auto-
organizadas, en el centro de las ciudades, como en los campos, y no solo
accionando en las calles. Es necesario disfrazarse, rentar espacios burgueses,
vender si es posible y dejarse comer, pero con el fin preciso y oculto de
fortalecerse y continuar en la lucha.
No es imposible, según yo, se necesita una grande coherencia y una fuerte
conciencia política, antes de que sea artística u cultural.
Gracias por su atención.
L'arte uccide il cinema. Suicidio _ il cinema è un'arte!
[Articolo apparso sulla rivista digitale di cultura cinematografica
RAPPORTO CONFIDENZIALE – Numero 30 – Dicembre 2010]
Ciudad de Mexico, 25ottobre2010
“La speranza è per gli stronzi” – disse qualche anno fa Antonio Rezza, e non era certo
il primo, ma certo l'unico “uomo di teatro” degli ultimi decenni - il cui teatro non va a
teatro, non va al cinema, non va in tv – e oggi possiamo anche dire .. fortunatamente
“non va”!
Occorre non fare forse o meglio non far vedere, nei certi soliti luoghi, corrotti, rotti,
straziati. Un'idea rivoluzionaria fraintesa, recepita male, è una bomba autodistruttiva
per cervelli non allenati, può provocare danni irreversibili. Menti malate o
semplicemente appiattite dal gioco di società situazionista e post-moderno sull'arte e
sulla sua immagine revisionista. Meccanismi. In questi anni basta produrre immagine
per sbilanciare la propria portata e andare al di là del sistema cinematografico, per
essere irrimediabilmente intrappolati in un altro sistema, solo in apparenza più ricettivo
ma poi basta entrarci un attimo: quello dell'Arte Contemporanea, che svuota la ricerca
dei linguaggi cinematografici, favorendo inutili combinazioni artistiche in un ambito
decisionale in cui ciò che conta viene deciso da altri. E gli altri sono i curatori, i
galleristi, gente d'affari che spesso decide senza avere idea di ciò che fa, che agisce
per finalità altre – per interessi personali, per amicizie, opportunità, per denaro, ecc. In
pratica, anche in questo caso, un sistema di natura mafiosa, in cui l'opportunismo e il
“far fuori l'altro” dominano su tutto. Come certi farabutti decidono chi deve andare
avanti, in politica o in economia, grazie al potere che possiedono, spesso dato dal
denaro e da una certa dose di scaltrezza, così coloro che “curano” l'arte e gli artisti
contemporanei decidono chi deve andare, dove e quando. L'artista infatti in questi
ambienti oggi si riduce ad essere il curatore, mentre colui che invece l'arte la produce
non è altro che il suo cagnolino contento di qualche osso in denaro o in visionabilità –
che è inferiore persino alla visibilità. Alla povertà quest'ultimo farebbe meglio a preferire
il suicidio.
Ma importa poco dei “regolamenti interni” al sistema dell'arte, la cui decadenza ciclica
tra l'altro è già scritta. É di ben altro suicidio che qui vogliamo blaterare. Ciò che ci
interessa oggi è sottolineare il danno che questi sistemi stanno apportando alla ricerca
cinematografica. Nel cinema la ricerca – sia essa sviluppata in esperimenti solitari o di
gruppo, è sempre stata individuale e soggettiva. Cosa quasi naturale, trattandosi di un
linguaggio potenzialmente multistrutturato il cui mezzo espressivo è unico ma
infinitamente malleabile.
Fatto che dovrebbe essere noto è l'azione del cinema sperimentale, povero e
sconosciuto, inteso come precursore di tutto ciò che è visto e commerciale, che ne ha
sempre massificato i caratteri, impossessandosene, destrutturandolo, e riapplicandolo
in forme più semplici e “accettate” (esperienze a volte felici, molte volte tristi).
Ma cosa succede se la ricerca si ferma? Dove va un linguaggio se non è alimentato da
nuove possibilità che per forza di cose, di mezzi, di soldi, non possono inserirsi in
questi due sistemi? Che vuol dire produrre in un sistema malato, commerciale o
pseudo-artistico che sia?
L'Arte Contemporanea sfruttando artisti i cui prodotti audiovisivi nella maggior parte dei
casi sono vuoti e senza alcuno spessore cinematografico, diviene la trappola più
semplice e terribile in cui far cadere lo “sforzo” insito nella ricerca che ognuno
dovrebbe avere il compito di sviluppare. Il linguaggio resta così uguale a se stesso nel
migliore dei casi, spesso si deprime, perdendo di senso e di sensibilità.
[Nota: Aspetto dal nostro punto di vista assolutamente irrilevante è la differenza tutta
tecnica, tecnologica e produttiva, che separa il “cinema” dal cosiddetto “audiovisivo”.
Per ciò che ci riguarda il cinema NON è un'industria, purtroppo le rigide “maestranze”
che negli ultimi anni si moltiplicano a dismisura tanto nelle aziende di produzione,
quanto nelle università, conducono sempre più a questa vertigine separazionista]
La videoarte ha concluso il suo importante percorso nella metà degli anni novanta del
novecento, lasciando uno spazio vuoto nelle gallerie d'arte. Vuoto che nella maggior
parte dei casi è stato riempito inutilmente. Oggi ciò che resta della videoarte è solo un
ibrido-post-moderno e il cinema e l'“eventuale figura” del cineasta, stanno in qualche
modo subendone gli effetti negativi. Il cinema, l'“immagine in movimento”, non “tratta”
più l'arte contemporanea sviluppandone un discorso proprio, ma cade passivamente
nella sua trappola, costringendosi a dire “io faccio Arte, e anche se uso una
videocamera la mia Arte non coincide con il cinema. Il cinema infatti è altra cosa”.
L'“altra cosa” dovrebbe coincidere con il cinema ripetitivo ed esoso delle sale che,
com'è noto, è lontano da qualsiasi forma di ricerca e d'innovazione – se non di tipo
tecnologico.
E arriviamo all'altra questione. L'Italia è un paese in cui l'unico Cinema “altro”, quello
conosciuto ma che appunto non rientra nel suddetto “mondo dell'Arte” - viene fatto da
tecnici, per i quali l'immagine non canonica non è - a priori - una buona immagine, in
cui si piega pesantemente il proprio modo di fare e di essere, per riuscire a far qualche
quattrino. In pratica un sistema ultraconservatore, in cui l'“educazione all'immagine
canonica” che molti giovani – potenziali cineasti - stanno ricevendo, è più subdola e
ferrea (e fascista) che in passato. L'omologazione al “film di sala” è diventata per molti
IL modo di aspirare al cinema. E così vengono realizzati decine di “cortometraggi”, che
con l'aiuto di altrettante maestranze prediligono imitare più che creare.. che “così si
fanno le ossa”, si è soliti dire nell'ambiente, nella speranza di riuscire un giorno a fare
un “vero film”, quello “che arriva a tutti” - per farsi intendere.
Dunque da una parte l'appiattimento/fuoriuscita-sotto-forma-di-fuga dal cinema
attraverso una banalizzazione dell'immagine interna al sistema dell'Arte
Contemporanea. Dall'altra la banalizzazione del cinema e delle sue immagini,
dall'interno, mediante una omologazione totale.
Ciò è quanto accade in Italia. Il cinema non applica i suoi sforzi come fosse arte a se e
da ciò, dalla consapevolezza di essere “arte mancante”, l'invisibile suicidio.
Ma non è tutto morto. Approfondendo la ricerca, scavando nel sottosuolo artistico
italiano, quello non ancora incanalato nei due sistemi - vuoi perché i curatori e le
aziende non lo vedono ancora come opportunità sfruttabile, vuoi per decisione esplicita
e cosciente di chi fa - possiamo oggi denunciare un cinema vivo, presente, un “cinema
dell'aldilà”, utopico. Che fortunatamente non ha dei binari da percorrere, che va avanti
per esperimenti, che percorre strade che superano tanto i confini dei linguaggi dati che
quelli nazionali. Occorre infatti continuare a lottare, senza alcuna speranza.