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http://molfetta.donboscoalsud.it/
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Nell’aria si sente ormai il
“friccicorio” della primavera, che
risveglia i nostri sensi dal torpore
dei grigi pomeriggi invernali, la
nostra voglia di riprovare il
contatto con la natura, di uscire
dalle nostre case per incontrarci
con gli altri in allegria. È in
questo contesto che si celebra
ogni anno la Pasqua. Il contesto
ce ne fa comprendere, così,
appieno il significato.
È la festa della vita, della vita vera,
della vita piena, che vince sulla
morte.
Allora questo il mio augurio.
Quello di celebrare con fede i riti
pasquali, tutti i riti, quelli liturgici e
quelli devozionali. Che comunque
siano pieni di fede e che
arricchiscano la nostra fede e quindi
accrescano la nostra carità, la nostra
capacità di amare.
Che questo abbia in modo particolare
due riflessi.
1. Il nostro impegno per la vita.
Perché la vita di ognuno sia
vissuta in pienezza, siano
rispettati i diritti e la dignità di
ogni uomo, specialmente del
più povero e del più debole e
che ognuno possa impegnarsi
per questo.
2. Ricordarci quello che ci
diceva don Tonino Bello: la
croce è una “collocazione
provvisoria”. A tutti coloro
che soffrono facciamo sentire
la nostra vicinanza, perché
ognuno possa vivere questa
realtà. Perché ognuno possa
convincersi che la sofferenza e
il dolore attuali sono solo un
passaggio, una realtà che un
giorno supereremo. La morte
è vinta, la vita ha trionfato:
“Tra poco il buio cederà il
posto alla luce, la terra
riacquisterà i suoi colori
verginali e il sole della Pasqua
irromperà tra le nuvole in
fuga”. Buona Pasqua e buona
vita a tutti.
2
Scritto da Cosmo Pisani & Ivana de Ceglie
Festa adolescenti: I Like La mattina e il pomeriggio gli
animatori ci hanno proposto dei
laboratori che avevano come scopo di
socializzare, trasmettere i valori di Don
Bosco, ma soprattutto di far riflettere in
modo divertente i partecipanti. I
laboratori hanno sortito il risultato
desiderato avvicinando noi giovani al
modo di pensare e di agire del nostro
amato Giovannino.
Noi salesiani che
abbiamo lo spirito
giovane e attivo
abbiamo fatto una
piccola marcia
impossibile da non
notare che portava
dall’ Oratorio
SDB all’Istituto Don Bosco High
School; marcia in cui si è visto,
nonostante le diverse provenienze,
come noi adolescenti pugliesi siamo
uniti nell’amore.
Alla fine della giornata nel teatro, ci
siamo confrontati sull’esperienza
appena vissuta e dopo un breve
discorso di Don Paolo che è il
coordinatore PG per la Puglia ,
abbiamo concluso con il ballo di
gruppo che ci ha accompagnato per
tutta la giornata.
Scritto da Marianna de Santis
Fede, umiltà, allegria, generosità e
forza di volontà sono le parole
chiave che hanno accompagnato la
festa adolescenti che si è svolta a
Taranto il 25/03/2012.
Questi erano i valori principali che
Don Bosco aveva e che gli animatori
hanno voluto trasmettere agli
adolescenti provenienti da tutta la
Puglia. I ragazzi sono stati
calorosamente accolti dall’Oratorio
tarantino delle FMA e i festosi balli
di gruppo, che ci hanno sicuramente
svegliato, hanno dato l’inizio a una
giornata stancante ma molto
soddisfacente svoltasi all’insegna
dell’impegno e dell’allegria.
Dopo l’incontro col giovinetto
Bartolomeo Garelli dell’8
dicembre del 1941 ( primordio
dell’Oratorio), don Bosco in
quello stesso inverno cercò di
consolidare il suo piccolo
Oratorio. Il suo scopo era quello
di riunire tutti i ragazzi,
specialmente quelli più esposti
al pericolo, come i ragazzi
appena usciti dalle carceri, ma
anche quelli di buona condotta e
già istruiti. Questi aiutavano don
Bosco nel conservare l’ordine, a
far letture ed eseguire canti
sacri: sin dall’inizio, infatti, don
Bosco aveva capito che senza
canti senza libri di lettura
divertenti, le riunioni festive
sarebbero state come un corpo
senz’anima. Alla festa
dell’Annunciazione, il 25 marzo,
il numero dei ragazzi era già
arrivato a trenta.
Un oratorio per i ragazzi Proprio don Guala, nel giorno di Sant’Anna, patrona
dei muratori, volle che fosse fatta una bella festa:
dopo la Santa Messa del mattino invitò tutti a fare
colazione nel Convitto. Intanto ogni sabato don
Bosco visitava le prigioni per incontrare i suoi
ragazzi che qui erano stati rinchiusi.
Dopo due anni di convitto don Bosco diede l’esame
di confessione. Da quel momento potè ricevere i
giovani che volevano riconciliarsi con Dio e dare
loro il Suo perdono. Dopo tre anni di preparazione
dovette scegliere un impiego sacerdotale nella vita
della chiesa torinese. Fu don Cafasso a chiamare don
Bosco e illustrargli le tre possibilità: vicecurato a
Buttigliera D’Asti, ripetitore di morale al Convitto,
direttore del piccolo Ospedaletto accanto al Rifugio.
Don Bosco non volle scegliere, preferendo che fosse
don Cafasso a scegliere per lui. Così don Cafasso
scelse per lui l’impiego di direttore dell’ospedale di
Santa Filomena, accanto all’Opera del Rifugio.
Inizialmente questo sembrava contrariare le
inclinazioni di don Bosco che non si sentiva a suo
agio, non potendo stare con i suoi ragazzi.
Ma il teologo Borel lo rassicurò dicendogli che più in
là avrebbe trovate del tempo per dedicarsi ai suoi
ragazzi.
L’Oratorio si faceva così: durante la
mattinata dei giorni festivi ogni
ragazzo aveva la possibilità di
accostarsi ai sacramenti della
Confessione e della Comunione. Tutti
si impegnavano a compiere questo
dovere cristiano una volta al mese.
La sera, ad un’ora fissata, c’era il
catechismo. Fra i giovani che
frequentavano il primissimo Oratorio
c’era Buzzetti Giuseppe, fedelissimo e
costante ad ogni incontro. Egli si
affezionò così tanto a don Bosco e
all’Oratorio che, per non mancare mai,
rinunciava al suo annuale incontro con
la famiglia, a Caronno Ghiringhello.
La maggioranza dei ragazzi
dell’Oratorio era formata da
scalpellini, muratori, stuccatori e
selciatori che provenivano da paesi
lontani. Quando i ragazzi
cominciarono ad essere numerosi, don
Guala e don Cafasso, contenti
dell’attività svolta da don Bosco,
permisero al prete di portare il piccolo
esercito di giovinetti a giocare nel
cortile del convitto.
3
Scritto da Valentina de Tullio
Questo mese L’AM - VIS ha
intervistato Valentina Licci, giovane
animatrice dell’oratorio salesiano di
Lecce nonché nostra cara amica,
laureata in ‘Istituzioni e politiche dei
diritti umani e della pace’ all’Università
degli studi di Padova.
- Vale, che mestiere può fare un
laureato in Istituzioni e politiche dei
diritti umani e della pace?
Bella domanda! In sintesi tutto e niente.
Mi spiego: lo sbocco naturale sarebbe il
tutor minorile, figura professionale che
però in Italia ancora non è tanto
consolidata. Ma in generale puoi
lavorare in ambito amministrativo,
diplomatico, nel mondo della
cooperazione, in campo sociale in senso
lato. Il mio non è un corso di laurea
"professionalizzante" in senso stretto: ti
fornisce una visione globale sul mondo
ma poi la strada te la devi tracciare un
po’ tu. L'ambito che per ora mi interessa
di più è quello dell'associazionismo.
Ah dimenticavo! Puoi anche lavorare in
ambito istituzionale a livello
internazionale
- A quale diritto non rinunceresti mai?
La dignità, che non è un vero e proprio
diritto, non c'è mai stata una definizione
univoca di dignità, ma penso che sia il
diritto supremo, quello che li include
tutti: togli la dignità, hai tolto tutti i
diritti.
- Perché è importante educarsi alla
mondialità?
Per guardare a ciò che succede nel
mondo con occhio "critico", senza
lasciarci impigrire né tantomeno
assuefare da tutto ciò che ci viene
propinato troppo spesso dai mass media
e da tutto ciò che è luogo comune o
pregiudizio
Missionari di Fede, missionari nella Fede
- Hai avuto l’opportunità e la volontà di
vivere un’esperienza estiva in
Madagascar. Quale sentimento hai
provato maggiormente in quelle
settimane?
Meraviglia. Per un mondo nuovo che mi
si apriva davanti, ma soprattutto per tutto
quello che di riflesso scoprivo dentro di
me.
- L’Africa è più odore, rumore, colore, o
sapore ?
Non c'è niente che prevale, non esiste
neanche l'Africa in sé a dir la verità,
esistono i posti, i luoghi, le sensazioni..e
tutti i 5 sensi, nessuno escluso, per viverli
appieno!
- Cosa non manca mai nello zaino di
Valentina?
Mi immagino spesso camminare lungo un
sentiero, con la testa che pensa attraverso
un cuore che ama, con i piedi che
camminano senza sandali, con le mani
libere per poter abbracciare e con uno
zaino che contenga almeno un sorriso al
giorno.
- Direi che dopo questa risposta non
serve aggiungere altro per concludere.
Solo un grande grazie per la tua
disponibilità!
Ma figurati..è stato un
piacere davvero! Avevo
bisogno di queste
domande, a volte si
rischia di impigrirsi un
po’… quindi grazie a
voi.
- Sei da tempo impegnata
nell’animazione missionaria. Che
significa per te la parola “missione”?
"Ciò a cui Dio chiama ognuno di noi".
Per ognuno di noi Dio ha un progetto
unico e irripetibile, realizzarlo è compiere
la propria missione nel mondo..
missionari siamo tutti quanti, ognuno a
suo modo!
Non lo si diventa, lo si è dalla nascita;
solo che c'è chi lo riconosce e chi no, chi
riconosce che Dio ha un progetto su di noi
e chi no. La differenza sta solo lì, non tra
chi parte e chi non parte.
E non ci si riconosce missionari una volta
per sempre! Ricordo che don Giovanni
(salesiano direttore da 30 anni della
comunità di Bemaneviky , in
Madagascar) quest'estate in Madagascar
ci ha detto che lui ancora dopo trent'anni
non si sente missionario. Insomma è una
scoperta quotidiana.
- Adesso una domandina difficile: come
spiegheresti a un bambino cos’è la
‘missionarietà’?
Ai bambini non si dovrebbe neanche
spiegare cosa vuol dire missionarietà ,
loro sono critici di loro e guardano la
realtà in modo spontaneo, non vedono la
differenza tra i colori della pelle, o
almeno, così dovrebbe essere.
Però è anche vero che i
genitori e la società spesso
insegnano presto ad avere
pregiudizi. E quindi va bene
parlarne, in modo semplice.
Direi loro che la missionarietà
è avere il cuore aperto ai bimbi
e alle persone che
incontriamo, volere bene come
ci vuole bene Gesù che è
l'unico vero missionario.
Responsabile :Vito Pasculli
E-mail: [email protected]
Grafica: Alessandro Capurso
Donato A. Facchini
REDAZIONE
Donato A. Facchini
Marianna de Santis
Porziana Caiati
Cosmo Pisani
Ivana de Ceglie
Valentina de Tullio
Tante sono le spese che l’oratorio deve sostenere e
tante sono le iniziative che vi si svolgono, non ultimi i
campi scuola estivi. Per questo è stata indetta una
sottoscrizione a premi di beneficenza.
Aderite tutti generosamente
Scritto da Donato Facchini & Porziana Caiati
Tradizioni
molfettesi Ed anche quest’anno è arrivata la
Pasqua. I Molfettesi si preparano ad
onorare questa ricorrenza secondo le
loro tradizioni; infatti durante la notte
tra il martedì e il mercoledì delle
ceneri, i fedeli si radunano davanti alla
chiesa del Purgatorio per partecipare
alla processione della Croce.
La Pasqua però a Molfetta non è solo
questo..bensì anche nelle usanze
popolari; infatti i nostri concittadini
ogni venerdì si astengono dal
mangiare la carne ed infatti si godono
un gustoso panino chiamato ù
pizzaridd. Ma cos’è ù pizzarid? È un
filoncino farcito con del tonno. I
molfettesi sono particolarmente
affezionati a questa tradizione, infatti
le confraternite alla fine delle due
processioni si ritrovano a condividere
questo gustoso spuntino.
Le confraternite sono il segno che
meglio rappresenta la Pasqua
molfettese in tutta la Puglia; esse sono
parecchie ed accompagnano le sacre
immagini durante le processioni. Le
confraternite più importanti e più
numerose sono due:
“L’Arciconfraternita della Morte” e
“L’Arciconfraternita di Santo
Stefano”, comunemente individuate
dal colore nero del camice,per la
prima, e dal colore rosso, per la
seconda.