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ORSO MARIO CORBINO LA FISICA ITALIANA ALLA CONQUISTA DELL’ECCELLENZA LUISA BONOLIS Circolo Unione Augusta, 4 Aprile 2012 1

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ORSO MARIO CORBINO

LA FISICA ITALIANA ALLA CONQUISTA DELL’ECCELLENZA

LUISA BONOLIS

Circolo UnioneAugusta, 4 Aprile 2012

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Introduzione

Senza Enrico Fermi la scuola di fisica di Roma non sarebbe mai nata.

Senza Orso Mario Corbino Fermi non avrebbe avuto nel 1926 una cattedra di Fisica Teorica nel Regio Istituto Fisico di via Panisperna.

Ma senza Pietro Blaserna non sarebbe nemmeno esistito l’Istituto Fisico di Roma.

In virtù di una serie di circostanze eccezionali, accanto ad altri elementi altrettanto straordinari, è dalla Sicilia che si irradia quella concatenazione di eventi che favorì la nascita a Roma e a Firenze della fisica moderna in Italia e l’instaurarsi di una tradizione di ricerca che dura ancora oggi. Per comprendere come Corbino divenne il motore di questo evento epocale nella storia della fisica italiana e mondiale, non dobbiamo trascurare una serie di testimonianze preziose lasciateci da coloro che lo conobbero all’epoca e che ebbero la fortuna di

frequentarlo e di sviluppare le loro capacità sotto la sua ala protettiva. Esse ci restituiscono un Orso Mario Corbino nel pieno della sua attività e ne disegnano concordemente una personalità umana e scientifica assolutamente fuori del comune.

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1. Pietro Blaserna, il costruttore del Regio Istituto Fisico di via Panisperna

Nel 1872 Pietro Blaserna, professore di fisica nell’Università di Palermo dal 1863, era stato chiamato “per chiara fama” a ricoprire la cattedra di Fisica sperimentale della Sapienza e a dirigere il Regio Istituto Fisico di Roma. Blaserna, che si era formato tra Vienna e Parigi, si presentava come l’uomo nuovo in grado di rinnovare l’insegnamento della fisica sperimentale secondo metodi e principi moderni. Nella sua lettera di accettazione dell’incarico al ministro della Pubblica Istruzione, Antonio Scialoja, Blaserna così scriveva il 15 settembre 1872, da Gorizia:

«È un onore di cui so apprezzare tutta l’importanza e che accetto francamente con riconoscenza. [...] Ho la coscienza di arrecare con me un programma completo intorno al quale ho meditato da molti anni. Fui educato nell’Istituto Fisico di Vienna, il solo che allora esisteva e che ora non esiste che di nome, per difetto di un direttore capace di farlo camminare. Ho sempre cercato di fare qualcosa di simile in Italia, ed avevo trovato nel compianto Matteucci uno strenuo difensore di questa idea. E da tre mesi ho percorso tutti i laboratori della Svizzera, Germania e Austria, per studiare la loro organizzazione nei più minuti dettagli. Mentre il laboratorio di chimica e in parte quello di fisiologia esistono un po’ da per tutto, ed in alcuni siti di dimensioni colossali, il laboratorio fisico è rimasto singolarmente indietro, in particolare per la difficoltà di stabilire un metodo ed un programma. Per cui, se facciamo presto, avremo il vanto di essere fra i primi, e forse i primi addirittura. Dico, se facciamo presto, perché l’idea spunta ora un po’ da per tutto, e in cinque anni Berlino, Bonn, Strassburgo, Lipsia, Vienna, Praga e Gratz avranno dei laboratori di fisica. Ho avuto io stesso i progetti di molti di questi, ed ho la speranza di fare con minore spesa e minor lusso qualche cosa di meglio e di più completo».

In questa dichiarazione programmatica Blaserna inaugura a Roma la tradizione di “pensare in grande”. Nel manifestare l’aspirazione a collocare l’Italia a livello degli altri paesi europei Blaserna coglie tempestivamente l’esigenza di mettersi al passo con i notevoli sviluppi che la fisica sta conoscendo verso la fine dell’Ottocento. Blaserna aveva visitato molti centri di ricerca in Germania e in Austria, ed era così pronto a concepire e progettare quello che lui stesso definì il «moderno stabilimento scientifico». Costruito sul Viminale tra il 1877 e il 1880, fu il primo istituto in Italia e all’avanguardia in Europa per la concezione degli spazi e delle strutture riservate all’insegnamento, ai laboratori di ricerca e ai servizi. Blaserna, che ne fu suo primo direttore, aveva così preparato l’ambiente dove potessero avere luogo allo stesso tempo l’insegnamento della fisica e la ricerca scientifica, un binomio indispensabile per assicurare la continuità del lavoro di ricerca e la trasmissione delle conoscenze. Nonostante la sua lungimiranza Blaserna non poteva immaginare quale futuro eccezionale fosse riservato al suo «moderno stabilimento scientifico».

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Il Regio Istituto Fisico di Via Panisperna

Aula e Biblioteca dell’Istituto Fisico

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Molto attento al problema della divulgazione della fisica, Blaserna istituì nel 1891 il Circolo Fisico di Roma, con l’obiettivo di “promuovere la diffusione della scienza mediante conferenze, discussioni e relazioni”. Promosse inoltre un ciclo di otto conferenze pubbliche, che ebbero a Roma un enorme successo. Le sole conferenze sul radio (1898-99), a pagamento, fruttarono all’Istituto la cifra, considerevole per i tempi, di 3394 lire, con le quali fu acquistato un tubetto di radio, il primo in Italia.

2. Il rinnovamento della fisica al volgere del secolo

Alla fine dell’Ottocento la fisica sembra arrivata a compimento, in grado di spiegare tutto con le equazioni della fisica classica. Mel corso degli ultimi anni del secolo, una serie di scoperte straordinarie stavano aprendo la via a un radicale rinnovamento della fisica, che avrebbe profondamente rivoluzionato questa scienza nel giro di pochi anni. La radioattività naturale era un fenomeno scoperto dal francese Henri Becquerel nel 1896 sulla scia della recente scoperta dei raggi X, individuati l’anno prima dal fisico tedesco Wilhelm Konrad Röntgen.L’emissione della misteriosa radiazione da parte dei sali uranio attirò l’attenzione di Maria Curie, che insieme al marito Pierre individuarono nuovi elementi radioattivi, il radio e il polonio, che si aggiungevano all’uranio e al torio, i soli conosciuti all’epoca. Nel 1895 Perrin dimostrava che i raggi catodici sono carichi negativamente e di lì a poco, nel 1897, J. J. Thomson li identificò con una particella più leggera dell’idrogeno, che venne chiamata elettrone. La prima particella subatomica pose subito interrogativi sulla struttura interna dell’atomo stesso. Era il punto di arrivo di 2500 anni di indagini e speculazioni, l’inizio della comprensione della struttura della materia. Tra la fine dell’Ottocento e i primi venti anni del Novecento il neozelandese Ernest Rutherford trovò che i raggi Becquerel erano di varia natura: chiamò alfa la componente facilmente assorbita e beta quella più penetrante. Di lì a poco i raggi beta saranno identificati con l’elettrone. L’esistenza di una radiazione ancora più penetrante, i raggi gamma, radiazione elettromagnetica di altissima frequenza, venne scoperta da Paul Villard nel 1900. Rutherford e Frederick Soddy nel 1902 pubblicarono la teoria del decadimento radioattivo. Il fenomeno della radioattività si presentava decisamente sorprendente. Non soltanto implicava la trasmutazione di una specie chimica in un’altra, realizzando l’antico sogno degli alchimisti, ma non era possibile prevedere in quale istante il singolo atomo avrebbe deciso di decadere.Le ricerche sistematiche portate avanti da Rutherford con le particelle alfa forniranno la prima chiave di accesso al mondo subatomico. Nel 1908 Rutherford dimostra che le particelle alfa sono nuclei di elio e nel 1911 propone un modello atomico in cui l’atomo (10–8 cm) è fatto di vuoto: il nucleo (10–12 cm) è come una biglia in un campo di calcio.

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Studiando le modalità con cui la radiazione elettromagnetica viene emessa a varie temperature da un corpo ideale, detto corpo nero, il fisico teorico tedesco Max Planck si trovò di fronte ad una incredibile realtà: la conversione di calore in luce poteva avvenire solo secondo determinate quantità, “pacchetti” di energia, multipli interi di una unità minima di scambio, proporzionale alla frequenza della luce prodotta attraverso una costante, h, che Planck affermò essere una costante universale e che chiamò “quanto elementare di azione”, a causa delle unità con le quali si misura (un’energia per un tempo) e che la storia ha battezzato come “costante di Planck”. Questi risultati, segnavano all’inizio del Novecento l’avvento di una nuova era nello studio della struttura atomica della materia. La dottrina atomistica, fino allora centrata sull’ipotesi della limitata divisibilità della materia, doveva fare un passo ulteriore ed estendersi anche alla concezione dei processi fisici elementari, in particolare ai processi che implicavano la generazione e la trasformazione della luce. Anche questi risultarono avere una struttura “atomica”, ossia implicano “transizioni” intere, finite, discontinue.Collocandosi nella linea inaugurata da Galilei e proseguita con Newton, Albert Einstein afferma nel 1905 che: “[...] per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni della meccanica varranno anche le stesse leggi elettrodinamiche e ottiche”. Ponendo il “principio di relatività” al rango di postulato, Einstein gli affianca un secondo postulato: la luce, nello spazio vuoto, si propaga sempre con una velocità determinata, c, che non dipende dallo stato di moto del corpo che la emette. Questi due postulati bastano per giungere a una teoria elettrodinamica dei corpi in movimento, semplice e coerente, fondata sulla teoria elettromagnetica di James C. Maxwell per i corpi stazionari. Il prezzo da pagare era che al concetto di simultaneità di due eventi non si poteva più “attribuire alcun significato assoluto, e che eventi giudicati simultanei in un certo sistema di coordinate, in un altro sistema che sia in moto rispetto ad esso non sono più da considerare tali”. In questa rapida esplosione di novità al livello atomico vengono rimesse in discussione concezioni apparentemente intuitive, come il tempo assoluto, la com- posizione delle velocità, la conservazione della massa. La meccanica newtoniana resta valida solo a livello macroscopico. In uno dei lavori di Einstein del 1905 fa la sua comparsa una formula che entrerà nell’immaginario collettivo del Novecento E = mc2: la relatività speciale di Einstein aveva come conseguenza la possibilità di conversione della massa in energia, e viceversa. Le sue implicazioni si riveleranno gigantesche. Nel 1905, in un lavoro che all’epoca lui stesso considerò “rivoluzionario”, Einstein farà l’ipotesi che “quando un raggio luminoso uscente da un punto si propaga, l’energia non si distribuisce in modo continuo in uno spazio via via più grande; essa consiste invece di un numero finito di quanti di energia, localizzati in punti dello spazio, i quali si muovono senza dividersi e possono essere assorbiti e generati solo nella loro interezza”. Einstein aveva scoperto un oggetto, la luce, che sfuggiva alla dicotomia continuo/discontinuo, rendendo d’un sol colpo compatibili fra loro le teorie della luce e della materia. Essa apparve troppo radicale anche allo stesso Planck, che per lungo tempo fece ogni sforzo per riconciliare l’ipotesi quantica con la fisica classica. I “fotoni”, come più tardi furono denominati i quanti di luce di Einstein, che risultavano efficaci per spiegare processi come l’effetto fotoelettrico, l’emissione di elettroni da parte di metalli colpiti da radiazione luminosa di una ben precisa frequenza, saranno lungamente osteggiati dai

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fisici, troppo abituati alla natura ondulatoria della radiazione elettromagnetica. Einstein si imbarca poi nella difficile ricerca di una “estensione del postulato di relatività a sistemi di coordinate in moto non uniforme l’uno relativamente all’altro”.Se la teoria speciale della relatività aveva profonde radici nella fisica classica, la relatività generale («Le leggi della fisica debbono essere di natura tale che le si possa applicare a sistemi di riferimento comunque in moto») sarà il risultato di un salto in un mondo completamente nuovo per la fisica, e avverrà dopo sette anni di strenuo lavoro in cui Einstein sarà obbligato ad utilizzare strumenti che perfino i matematici dell’epoca consideravano qualcosa di “esotico”, pure curiosità formali. La teoria generale della relatività fu una creazione individuale, solitaria, una geniale intuizione, poggiata però su solide basi matematiche in primo luogo sulla geometria non euclidea, elaborata nel secolo XIX da Riemann, ma anche sulla utilizzazione di uno strumento matematico di difficile accesso, il calcolo differenziale assoluto, che in quel periodo era stato sistematicamente sviluppato da due grandi matematici italiani, Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita. Con queste ricerche Einstein, d’un sol colpo elevato al rango di Newton, era destinato a divenire uno dei miti del XX secolo e oltre, sinonimo di genio, icona di saggezza, creatività e immaginazione.

Einstein e il matematico Federigo Enriques nel 1921 a Bologna

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3. Entra in scena Corbino

Il 25 novembre 1907 muore prematuramente Alfonso Sella, figlio di Quintino, studioso di mineralogia e ministro del governo italiano, che Blaserna aveva portato a condividere la direzione scientifica dell’istituto. Blaserna chiama Orso Mario Corbino a Roma a sostituirlo sulla cattedra di fisica complementare. Scelta promossa insieme al grande matematico Vito Volterra e al chimico Emanuele Paternò, palermitano e allievo del grande Stanislao Cannizzaro, entrambi senatori del regno e personaggi di altissimo livello nel mondo scientifico italiano e internazionale.

Come racconta Laura Fermi, un giorno Lodovico Zanchi custode , factotum e amministratore dell’Istituto, si vide comparire davanti alla portineria un ometto basso e arzillo, con una paglietta in testa. Voleva vedere il direttore Blaserna. Zanchi, gli chiese il nome. Era il professor Orso Mario Corbino. Se non fosse stato per l’aspetto molto reale, per gli occhietti vivissimi, per le movenze rapide del giovane professore, avrebbe creduto di trovarsi davanti a un’apparizione. Corbino era stato dato per morto, perito nel terremoto di Messina. Più tardi Zanchi diverrà segretario personale e confidente di Corbino. Il discorso inaugurale tenuto da Corbino il 4 novembre 1909, I fondamenti sperimentali delle nuove teorie fisiche, denota una conoscenza approfondita dei recenti sviluppi, una consapevolezza scarsamente diffusa tra i fisici della sua generazione. Non a caso Blaserna e Volterra, nell’apprezzare le sue capacità di

fisico sperimentale e la sua apertura mentale, valutavano l’importanza della sua consapevolezza di fronte alle problematiche sollevate dalla cascata di novità emergenti nella fisica dell’epoca.

La schematica cronologia che segue può fornire una idea preliminare del percorso che portò alla chiamata di Corbino a Roma.

1876 aprile 30 Corbino nasce ad Augusta, in provincia di Siracusa, da Vincenzo, proprietario di un piccolo pastificio, e da Rosaria Imprescia, figlia di un impresario edile, una donna dall’intelligenza vivissima, capace di imparare a leggere da sola a 57 anni. È il secondogenito di sette figli, tra cui emergerà Epicarmo Vincenzo, futuro Ministro del tesoro nei governi De Gasperi. All’inizio degli anni 1880 entra in Seminario a Siracusa1887 Abbandona il seminario e segue gli studi scientifici, ginnasio e liceo a Catania dove ha come professore Emanuele Stracciati, autore di alcuni importanti studi sulla teoria del corpo nero.

Orso Mario Corbino nel 1908

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Anni 1890 Studia fisica all’Università di Catania e Palermo L’istituto di fisica dell’università, era diventato uno dei migliori d’Italia grazie alla direzione di personaggi quali Pietro Blaserna, Antonio Roiti e Augusto Righi. Vi insegnava Damiano Macaluso, allievo di Blaserna, e il suo laboratorio era il migliore dell’isola e uno dei migliori d’Italia. Palermo, a quel tempo, era un centro culturale importante. In particolare, per quanto riguarda il settore scientifico, vi operava un Circolo Matematico di rilievo internazionale, con una rivista a diffusione mondiale e con un consiglio direttivo nel quale erano presenti personalità del calibro di H. Poincaré, D. Hilbert, F. Klein e F. Enriques.1896 Laurea in fisica. A soli 20 anni diventa professore di fisica nei licei, a Catanzaro e a Palermo, al liceo “Vittorio Emanuele”. Entra a far parte, come assistente, dell’istituto diretto allora da Damiano Macaluso nel cui laboratorio svolgeva ricerche.1898 Collabora con Damiano Macaluso, direttore dell’Istituto, sotto la cui guida si perfeziona come fisico. Insieme collaborano alla scoperta dell’effetto che si chiamerà Macaluso-Corbino: il potere rotatorio del vapore di sodio nel campo magnetico diventa anomalmente grande in vicinanza delle righe di risonanza (effetto Macaluso-Corbino). Corbino diede subito l’interpretazione corretta del fenomeno, mettendolo in relazione con l’effetto Zeeman, scoperto due anni prima (effetto Zeeman inverso). Grazie a questi lavori acquistò una reputazione internazionale. Negli anni successivi pubblicò diversi lavori su argomenti di magnetoottica dimostrando una acutezza e profondità di vedute tale da farsi notare anche all'estero come un ricercatore particolarmente promettente. Questi lavori gli conquistarono anche la stima e l'amicizia di Augusto Righi, allora nella fase culminante della sua attività. Si consolida il suo interesse congiunto per gli aspetti teorici dell’elettrodinamica e per quelli applicativi, soprattutto riguardo la produzione e trasmissione dell’energia elettrica. Ormai si è guadagnata una notevole reputazione grazie alle sue ricerche.1900 Libera docenza in fisica sperimentale 1902 Libera docenza in elettrotecnica1904 Vince i concorsi a cattedra per queste discipline1905 Chiamato alla cattedra di fisica sperimentale dell’Università di Messina. Nella nuova sede egli proseguì le sue ricerche sulle macchine elettriche1907 Novembre 25, muore prematuramente Alfonso Sella, figlio di Quintino, studioso di mineralogia e ministro del governo Italiano, che Blaserna aveva portato a condividere la direzione scientifica dell’istituto. Blaserna chiama Corbino a Roma a sostituirlo sulla cattedra di fisica complementare. Nella Roma giolittiana entra in contatto con politici e tecnocrati del cosiddetto “decollo industriale”. 1910 Si mette in contatto con gli ambienti industriali più avanzati, legati all’impiego dell’elettricità per la produzione di energia e le comunicazioni. Entra nel consiglio di amministrazione dell’azienda elettrica comunale di Roma. Il settore idroelettrico è in promettente sviluppo.1911 Inizia a pubblicare lavori sull’effetto prodotto da campo magnetico su corrente elettrica. Effetto Corbino, una variante dell’effetto Hall. Lavori su altre problematiche, discorsi pubblici e lavori di rassegna relativi alle nuove problematiche collegate a relatività e quanti. Lavori di elettrotecnica

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1914 Premio di fisica dell’Accademia dei Lincei e elezione a presidente della Società Italiana di fisica1919 Nominato socio dell’Accademia dei Lincei1918 Morte di Blaserna, Corbino gli succede alla cattedra di Fisica Sperimentale e nella direzione dell’Istituto di via Panisperna.1920 La sua abilità nel gestire situazioni complesse e grandi interessi in gioco legati allo sviluppo delle centrali idroelettriche fanno emergere la sua figura in un momento di grandi sommovimenti politici. Su proposta di Giolitti diventa Senatore del Regno1921 Chiamato nel nuovo governo Bonomi a sostituire Benedetto Croce, ha ripetuti scontri con Giovanni Gentile riguardo la riforma dei corsi di laurea di indirizzo scientifico1922 Caduta di Bonomi. Ottobre, marcia su Roma. Inizia il ventennio fascista. Conosce il giovane Enrico Fermi appena laureato

Uomo di scienza, uomo politico, dirigente industriale, organizzatore scientifico. Corbino colpiva chiunque venisse in contatto con lui per la sua capacità di destreggiarsi con straordinaria abilità e nella maniera più brillante nelle situazioni e nei contesti più disparati. Uomo di potere, ma capace di farsi valere nel sistema totalitario fascista facendo compromessi, ma rifiutandosi di iscriversi al partito. Tutto ciò senza venire meno alle sue aspirazioni di fondo che in particolare riguardavano il destino della fisica in Italia.

Testimonianza di Emilio Segrè:

«Corbino aveva una intelligenza scientifica eccezionale, che colpiva chiunque conversasse con lui [...] Riusciva ad orientarsi su qualsiasi questione con rapidità prodigiosa e riconosceva immediatamente i punti essenziali di ogni problema sia scientifico, sia umano. Verso il 1920 era praticamente il solo professore di fisica in Italia che fosse aggiornato e apprezzasse gli sviluppi della fisica che avvenivano in quegli anni. Eccellente oratore, con uno stile un po’ fiorito e personale in cui si riconosceva spesso l’origine siciliana della frase, era spiritosissimo e aveva la risposta fulminante. La sua altezza d’ingegno era accompagnata da una personalità calda e simpatica e da una certa propensità alle manovre accademiche. Gli piaceva organizzare promozioni, trasferimenti e cose simili e in generale i suoi piani riuscivano. Era astutissimo, ma ciò che lo distingueva radicalmente dai molti politicanti universitari era l’elevatezza dei suoi fini e la sicurezza del suo giudizio. Credo però che malgrado i suoi grandi successi Corbino albergasse un profondo rammarico. Rammarico che la sua eccezionale abilità non avesse raggiunto risultati scientifici proporzionati alle ragionevoli speranze che poteva fondare su di essa. Le circostanze della sua vita erano state, tutto sommato, troppo difficili specialmente agli inizi per dar pieno sviluppo alle sue capacità potenziali. Di questi sentimenti, che io credo influenzassero la sua condotta, troviamo un’eco eloquente in un discorso pronunziato al Senato come ministro della Pubblica Istruzione nel 1922:

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“Orbene, anch’io, onorevole Scialoja, avevo attraversato la crisi che voglio evitare per i miei colleghi di domani. Anche per me c’è stato un momento in cui avevo bisogno; poco, ma assoluto bisogno. Ho resistito fin che ho potuto, poi ho ceduto. Sono diventato senatore, son diventato ministro [...] ma la scienza la rimpiango ancora; rimpiango soprattutto, in mezzo alle amarezze della politica, i giorni tranquilli passati tra le esperienze e le macchine, e rimpiango che dopo la morte di Augusto Righi la fisica italiana purtroppo non gli abbia saputo trovare un successore.”»

Testimonianza di Laura Fermi:«Corbino aveva spiccatissime le doti comuni a molti siciliani: era d’ingegno acuto, di mente pronta ed equilibrata, di giudizio sicuro; nei rapporti umani metteva un affetto semplice e caldo. L’esuberanza fisica, lo spirito battagliero, l’inestinguibile forza di volontà lo rendevano capace di raggiungere qualunque fine prefisso. E il fine che si prefiggeva ora era l’attuazione di una scuola di fisica che in breve tempo raggiungesse fama mondiale. Si rendeva conto che la fisica italiana era ben lontana, al momento, dalle tradizioni gloriose di Galileo e di Volta.»

4. L’incontro con Enrico Fermi

Nell’autunno del 1918, quando Enrico Fermi a il concorso per l’ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, il suo tema di ammissione è a un livello talmente alto che uno dei commissari lo convoca per conoscere di persona questo prodigio e rendendosi conto delle eccezionali capacità del giovane Enrico gli annuncia che certamente sarebbe diventato un grande scienziato.

Nato a Roma il 29 settembre 1901, molto presto Fermi scopre un forte interesse verso la matematica e la fisica, passione che condivide con l’amico Enrico Persico.Durante le loro passeggiate il giovane Per s i co s copre con mer av i g l i a l’intelligenza del tutto singolare del suo compagno: «In matematica e fisica dimostrava di conoscere molti argomenti non compresi nei nostr i studi. Conosceva questi argomenti non in modo scolastico, ma in maniera tale da potersene servire con la

massima abilità e consapevolezza. Già allora per lui conoscere un teorema o una

legge scientifica significava soprattutto conoscere il modo di servirsene».

Enrico Persico, Maria Fermi, Enrico Fermi

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Fermi fu fin da ragazzo un completo autodidatta e dai suoi primi quaderni, oltre che dalla corrispondenza con l’amico Persico, è possibile comprendere come, all’inizio degli studi universitari, già si muovesse con grande sicurezza nei campi più diversi della fisica e della matematica, dando perfino consigli all’amico e suggerendogli i testi da leggere o problemi su cui cimentarsi.Durante gli anni pisani Fermi stringe amicizia con Franco Rasetti e Nello Carrara, con i quali inizia a fare esperimenti nel laboratorio di fisica al quale il direttore Puccianti aveva dato loro libero accesso.Fermi ha le idee ben chiare su quali esper imenti eseguire per fare ricerche originali e mostra subito le sue doti di leader del piccolo gruppo, come r icorda Rasetti: «Car ra ra e i o , che ne l l ’ anno p r e c e d e n t e a v e v a m o o r m a i riconosciuto la superiorità di Fermi per le sue conoscenze di matematica e fisica, lo consideravamo fin da allora il nostro capo naturale e ci rivolgevamo a lui e non ai professori per avere istruzioni e consigli».Fermi è anche un profondo conoscitore della teoria atomica di Niels Bohr, sviluppata a partire dal 1913, e ha già studiato a fondo quello che allora è considerato il testo sacro della meccanica quantistica, Atombau und Spektrallinien [Struttura dell’atomo e linee spettrali] di Arnold Sommerfeld. Quest’ultimo peraltro ne aveva inviata una copia a Corbino, come è possibile dedurre dagli elenchi delle personalità europee stilati dallo stesso Sommerfeld e presenti tra le sue carte conservate negli archivi del Deutsches Museum a Monaco. Questa circostanza non stupisce se si tiene presente che Corbino era l’unico fisico italiano invitato ai famosi Convegni Solvay, che si tennero a partire dal 1911, almeno fino al 1930, quando fu invitato Fermi. Queste recenti ricerche che riguardavano la nuova scienza della fisica atomica erano molto poco conosciute e apprezzate in Italia, tanto che a Pisa Fermi era considerato da tutti l’autorità indiscussa sulla teoria quantistica di Bohr-Sommerfeld. «All’istituto fisico sto a poco a poco diventando l’autorità più influente. Anzi uno di questi giorni dovrò tenere, davanti a diversi magnati, una conferenza sulla teoria dei quanti, di cui sono sempre un sostenitore», scriveva Fermi al suo amico Enrico Persico il 30 gennaio 1920. Durante gli studi Fermi si impadronì a fondo dei metodi del calcolo tensoriale che, sviluppato dai matematici Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita, costituisce la struttura matematica alla base della relatività generale e pubblicò lavori che attrassero l’attenzione dei matematici italiani interessati alla teoria di Einstein e profondamente consapevoli delle sue implicazioni scientifiche, in particolare Levi-Civita.

Enrico Fermi, Nello Carrara e Franco Rasetti sulle Alpi Apuane

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Nel luglio del 1922 Fermi si laureò in fisica summa cum laude e ottenne il diploma della Scuola Normale. Secondo la versione di Edoardo Amaldi, Fermi fu presentato a Corbino dall’amico Enrico Persico, che proprio quell’anno era divenuto suo assistente all’Istituto Fisico.

Testimonianza di Enrico Fermi:

«Conobbi il senatore Orso Mario Corbino quando tornai a Roma appena laureato, nel 1922. Io avevo allora venti anni e il Corbino quarantasei; era senatore, era stato già ministro della pubblica istruzione ed era inoltre universalmente noto come una delle personalità più eminenti nel campo degli studi. Fu perciò con spiegabile titubanza che mi presentai a Lui: ma la titubanza sparì subito di fronte al modo insieme cordiale e interessante con cui Egli prese a discutere con me dell’argomento dei miei studi. Avemmo in quel periodo conversazioni e discussioni quasi quotidiane, per effetto delle quali non solo mi si chiarirono molte idee che avevo confuse, ma nacque in me la profonda e sentita venerazione del discepolo verso il maestro, venerazione che andò sempre crescendo negli anni che ebbi la fortuna di passare nel suo laboratorio. Credo di poter affermare che questi sentimenti siano comuni a tutti quanti lo hanno avvicinato: la sua affabilità, il modo intelligente ed arguto con cui riusciva talvolta a dire anche verità spiacevoli senza menomamente offendere, la sua assoluta sincerità, il reali interesse che Egli provava per le questioni sia scientifiche che umane conquistavano subito simpatia e ammirazione».

Testimonianza di Laura Fermi:

«Fermi trovò in Corbino un maestro affabile che mostrava comprensione e interesse sia per le questioni di fisica moderna sia per quelle umane. Per parte sua Corbino fu colpito dalla cultura scientifica di quel giovanetto timido e modesto, e ne intuì immediatamente l’eccezionale intelligenza. Lo incoraggiò a tornare spesso da lui e i due iniziarono una serie di conversazioni e di discussioni quasi giornaliere. Fu così che la mattina del 28 ottobre [1922] Fermi si trovò nell’ufficio di Corbino. Contrariamente al solito, il senatore non pareva disposto a discutere di fisica, né a far progetti di studio e di lavoro. Era preoccupatissimo per la situazione politica e per le professioni di violenza del capo dei fascisti, Mussolini. Quell’uomo non aveva coscienza, era spregiudicato. Le colonne che in quel Mario Sironi, “Squadra d’azione”

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momento stavano entrando in Roma costituivano una seria minaccia per il Paese. “Ma il decreto del Gabinetto non può portare nulla di buono” disse Corbino. “Se il re lo firma e lo stadio d’assedio viene mantenuto, avremo probabilmente la guerra civile. Ci sarà un massacro. Verranno sacrificati tanti giovani che erano in cerca di un ideale e non hanno trovato niente di meglio del fascismo [...] ritengo possibile che il re non firmi il decreto [...]” “Allora c’è ancora speranza [...]”. “Speranza? E di che cosa? Se il re non firma, avremo la dittatura fascista e Mussolini per dittatore. Si tratta di scegliere fra la padella e la brace”[...]»

Nell’indicare a Lodovico Zanchi il giovane Fermi che si allontanava per il vialetto fra le palme e i bambù, Corbino esclamò: «Quel giovane sa più fisica di me [...]».C o r b i n o f a c e v a p a r t e d e l l a commissione che il 30 ottobre 1922 all’unanimità conferì a Fermi una borsa di perfezionamento all’estero. L’inverno successivo Fermi andò in Germania, a Göttingen, e poi a Leida, dove iniziò a consolidare i legami con i suoi colleghi europei. Successivamente tornò a Roma con un incarico del corso di matematica per fisici e naturalisti all’Università. Nel frattempo Enrico Persico continuò ad essere assistente di Corbino. Dalle lettere scritte a Fermi in quel periodo è tuttavia evidente che Persico è all’ansiosa ricerca di una guida nelle proprie ricerche. Corbino, che Persico chiama “il Principale”, è tutto preso dai suoi impegni istituzionali e

politici che all’epoca sono particolarmente pressanti e infatti lui spera che al suo ritorno da Göttingen possa «rinnovare i nostri ambienti scientifici e guidarci ad un lavoro organizzato e serio». In una lettera successiva Persico descrive la vita dell’Istituto: «[...] pare che ora il Principale vero abbia intenzione di rimettersi a lavorare sperimentalmente e - speriamo - a farci lavorare. Abbiamo ora montato l’impianto per l’aria liquida [...] inoltre ci stiamo equipaggiando al completo per la spettrografia dei raggi X [...] Io volevo fare con Pontremoli prima che egli vada a Milano un lavoretto sperimentale: siamo nella solita fase di ricerca dell’argomento “fattibile e non fatto”, ricerca dolorosa, come tu ben sai, dolorosa e per lo più infruttuosa». L’anno successivo Persico pubblicherà con Corbino due lavori sulle applicazioni del triodo, un nuovo tipo di valvola termoionica. Nel frattempo Fermi si era spostato a a Firenze, dove si trovava anche Rasetti e dove insegnò per due anni. Fino al 1926 [...]

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5. Una cattedra per Fermi

All’inizio del 1926 Fermi pubblica il lavoro sulla statistica quantica, destinata nel seguito ad attirare su di lui l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Nel frattempo, grazie all’appoggio dei matematici, profondamente consapevoli delle doti straordinarie di Fermi e molto influenti nell’ambiente accademico italiano, Corbino era riuscito a far mettere a concorso dalla Facoltà di Scienze dell’Università di Roma la prima cattedra italiana di Fisica teorica. Senza questo appoggio determinante la storia sarebbe stata probabilmente assai diversa. Come hanno sottolineato Emilio Segrè e Gerald Holton, una parte del mondo accademico era piuttosto avversa a Fermi di cui per vari motivi non erano oltretutto molto in grado di comprendere il grande valore scientifico. Il giudizio della Commissione, in cui è del tutto manifesto il pensiero di Corbino, è straordinariamente lusinghiero nei confronti di Fermi:

«La Commissione, esaminata la vasta e complessa opera scientifica del prof. Fermi, si è trovata unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali e nel constatare che egli, pure in così giovane età e con pochi anni di lavoro scientifico, già onora altamente la fisica italiana […] Mentre gli sono perfettamente familiari i concetti più delicati della meccanica e della fisica matematica classica, riesce a muoversi con piena padronanza nelle questioni più difficili della fisica teoria moderna, cosicché egli è oggi il più preparato e il più degno per rappresentare il nostro Paese in questo campo di così alta e febbrile attività scientifica mondiale. La commissione pertanto è unanime nel dichiarare che il prof. Fermi è altamente meritevole di coprire la cattedra di fisica teorica messa a concorso e ritiene di poter fondare su lui le migliori speranze per l'affermazione e lo sviluppo futuro della fisica teorica in Italia.»

Gli altri due vincitori furono Enrico Persico, che si spostò a Firenze, dando vita al primo nucleo di studi sulla nuova meccanica dei quanti in quella città, e Aldo Pontremoli, che si trovava già a Milano, e che scomparve prematuramente nel corso della spedizione Nobile al Polo Nord.Una volta insediato a Roma verso la fine del 1926, Fermi, che fino ad allora si era dedicato prevalentemente alla fisica teorica, con il pieno appoggio di Corbino si preoccupa di creare i presupposti per lo svolgimento di una attività di fisica sperimentale. L’arrivo di Franco Rasetti a Roma all’inizio del 1927 costituisce non soltanto una continuità rispetto ai rapporti strettissimi di collaborazione nati durante gli anni universitari, ma rappresenta la nascita ufficiale di quello che diverrà noto all’epoca come il gruppo dei “ragazzi di Corbino”, successivamente famosi come i “ragazzi di via Panisperna”. Come era già accaduto a Firenze il loro sodalizio è eccezionalmente ben assortito: Fermi insegna a Rasetti la fisica teorica e questi a sua volta gli fa da maestro nell’arte della sperimentazione.Nel frattempo Corbino venne chiamato come Ministro dell’economia nazionale nel governo Mussolini. Tuttavia, nonostante il suo coinvolgimento con il regime fascista, Corbino non prese mai la tessera del partito. Come osservava Laura Fermi: «Corbino apparteneva a quella prestigiosa categoria di personaggi talmente illustri a livello nazionale e internazionale che nessuna dittatura avrebbe osato mai discriminare.»

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Nel 1924 ebbe inizio la politica petrolifera italiana in cui Corbino fu direttamente coinvolto. In seguito al drammatico evento del rapimento Matteotti in giugno, ha luogo un impasto governativo e Giovanni Gentile e Corbino vengono destituiti dagli incarichi. Quest’ultimo viene coinvolto in una serie di incarichi di grande responsabilità in società di primo piano. Nel frattempo si impegna a fondo nel campo delle radiocomunicazioni che fin dagli anni ’20 lo aveva visto membro del comitato readiotelegrafico del CNR. L’inizio degli anni ’30 vedrà Corbino figurare con incarichi di responsabilità in una dozzina di società di primissimo piano.

Testimonianza di Bruno Pontecorvo:

«La caratteristica di Corbino era, in un certo senso, la duplicità: da un lato la carriera politica, gli affari e i soldi, dall’altro il laboratorio, l’interesse per la fisica italiana, in una parola tutto ciò che gli ricordava la propria gioventù. Fermi e i suoi collaboratori vedevano in Corbino solo questo secondo aspetto. Oltretutto egli era s i c u ramen t e u n u omo n o t e v o l e , eccezionalmente affascinante, pieno di humour e, secondo quanto ne diceva Fermi, un verso saggio[...] L’incontro con il senatore fu quindi di grande importanza per Fermi che lo considerava una sorta di secondo padre. È necessario sottolineare che l’amicizia di un personaggio così influente come Corbino, il suo appoggio disinteressato per la fondazione della Scuola dei fisici italiani di Roma, la costante collaborazione, la gioia sincera per i successi, tutto questo ha esercitato un’influenza enorme sulla fisica italiana[...] In seguito, nello scherzoso gergo “religioso” dell’Istituto di fisica di Roma, Corbino ottenne il soprannome di “Dio Padre”.»

6. Nasce la scuola di fisica di Roma

Durante l’inverno 1926-1927 Corbino disse a Riccardo Salvadori: «Devi assolutamente venire al seminario dell’Istituto giovedì prossimo: abbiamo un nuovo ordinario di fisica, un giovane di Pisa, che ci parlerà delle più recenti idee nel campo della fisica nucleare[...] Ti interesserà questo giovane, è straordinario: è il più grande fisico italiano dopo Galileo». Le voci circolavano a Roma, e Emilio Segrè, studente di Ingegneria, aveva già sentito parlare di questo nuovo prodigioso acquisto della facoltà di Fisica di Roma. Durante la primavera estate del 1927 Segrè conosce Rasetti attraverso l’amico Giovanni Enriques, figlio del matematico Federigo. Durante lunghe passeggiate in montagna Segrè, che aveva sempre avuto una passione per la fisica, capisce che qualcosa di

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grosso sta accadendo a Roma.

Emilio Segrè con Enrico Persico e Enrico Fermi a Ostia, nell’estate del 1927

L’incontro con Fermi durante l’estate rappresenta una svolta determinante nella vita del giovane studente di ingegneria; Segrè ha l’impressione di trovarsi di fronte a uno «straordinario maestro». Nell’autunno 1927 Segrè seguì i suoi nuovi eroi a Como, dove si tenne un convegno in onore di Alessandro Volta.

Convegno Volta, Como1927. Segrè è il primo a sinistra in calzoni alla zuava

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Al convegno parteciparono tutti i maggiori fisici Europei e segnò l’ingresso ufficiale di Fermi nella comunità scientifica internazionale e la sua consacrazione come autorevole fisico teorico. Il suo recente lavoro sulla nuova statistica quantistica costituì la base della applicazione fatta da Arnold Sommerfeld del moto degli elettroni di conduzione nei metalli. Corbino a sua volta presentò un complesso studio sulla teoria della pila elettrica, nel quale analizzava quali fossero le origini della forza elettromotrice dando una conclusiva sistemazione della questione.

La rilevanza del recente lavoro di Fermi su l la statistica quantistica e il conseguente successo a Como rappresentava una grossa soddisfazione per Corbino che aveva la sua rivincita a livello nazionale, dove le qualità di Fermi s tentavano ad essere riconosciute da una certa p a r t e d e l m o n d o accademico italiano. Come dirà Edoardo Amaldi: «[...] ci protesse sempre dalle cr i t i che de l l ’ ambiente universitario tradizionale, che in molti casi non ci era favorevole».

Ora che aveva insediato Fermi a Roma, Corbino, che teneva il corso di fisica per i primi due anni, comuni a Ingegneria e alle altre facoltà scientifiche, si pose tuttavia il problema di cercare di attirare studenti brillanti interessati alla fisica.

All’epoca Laura Capon, già fidanzata con Fermi, era studentessa di scienze: «Corbino faceva lezione nell’aula principale, dove le file arcuate dei banchi digradavano ripide verso la cattedra. Corbino, di statura bassissima, grassottello e vivacissimo, entrava nell’aula a passetti affrettati, si arrampicava su per i tre o quattro gradini che portavano alla cattedra, quasi spariva dietro a questa. Girava sulla scolaresca le pupille puntiformi e mobilissime, e cominciava a parlare. L’aula gremita si faceva d’un tratto silenziosa. L’elettricità sembrava quasi divertente».

Enrico Fermi con Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli, i giovani padri della nuova meccanica quantistica. Como, Convegno Volta, 1927

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Era il giugno del 1927. Tra gli studenti di ingegneria c’era anche Edoardo Amaldi, figlio del matematico Ugo. Amaldi aveva conosciuto Fermi subito dopo la maturità, durante una delle tradizionali vacanze in montagna ed era rimasto molto affascinato. Più tardi così ricordava l’effetto che gli fece il famoso “discorsetto” di Corbino:

«[...]“Credo che se ci sono per sone in grado di fare uno s fo rzo adeguato , questo è il momento giusto per cambiare da ingegneria a fisica…e se cambiate ci saranno un bel po’ di opportunità per fare un lavoro molto interessante”… Per due anni ero stato molto interessato, ma in un certo senso non avevo avuto il coraggio di farlo. Questa era l’occasione per decidere di cambiare. Così mi iscrissi a fisica».

Nei mesi immediatamente successivi, Segrè riuscì a convincere anche Ettore Majorana, il suo geniale

collega di studi a Ingegneria, a trasferirsi alla facoltà di fisica. Con l’arrivo dei primi allievi s tava nascendo la scuola romana di fisica, che si arricchirà nel corso degli anni di nuovi elementi che costituiranno i s em i de l l a r i n a s c i t a d e l dopoguerra.

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7. I “ragazzi di Corbino”

Come ricorda Emilio Segrè:

«La velocità della formazione di un giovane fisico alla scuola di Fermi era incredibile. Certo, questo fenomeno era provocato, in misura significativa, dall’enorme entusiasmo suscitato nei giovani non tanto con l’insegnamento o con le “prediche”, quanto con il fascino dell’esempio. Dopo aver trascorso un breve periodo nell’Istituto di via Panisperna, chiunque si trasformava in un uomo completamente assorbito dalla fisica, e quando dico completamente non sto esagerando».

I suoi studenti avevano pochi anni meno di lui; la differenza di età era piccola e favorì l’instaurarsi di un clima amichevole e familiare. Nei giorni festivi facevano gite e passeggiate in gruppo. Fermi riuniva gli allievi nel suo studio e improvvisava lezioni sugli argomenti più disparati, nati da domande o da problemi che lui stesso sta studiando al momento.

Molto spesso arrivavano Enrico Persico e Bruno Rossi da Firenze e Antonio Carrelli da Napoli per discutere con lui le ricerche del momento: la spettroscopia atomica e molecolare, la radiazione cosmica e l’elettrodinamica quantistica, la teoria che descrive l’interazione tra radiazione e materia.

Testimonianza di Emilio Segrè:

«Corbino veniva solo raramente ai seminari del pomeriggio, ma si interessava vivamente dei lavori scientifici nonché dei problemi di carriera dei membri del gruppo. Ogni tanto faceva commenti su fatti o uomini politici visti al Senato. Questi erano molto istruttivi perché aprivano una finestra su un mondo con cui non avevamo contatti».

Bruno Rossi e Gilberto Bernardini ad Arcetri

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Il 19 luglio 1928 Fermi sposa Laura Capon. Dai rapporti strettissimi, e dall’importanza del ruolo di Corbino nella vita di Fermi - profondamente amichevole e paterno al tempo stesso - discendeva in modo naturale il fatto che Fermi avesse scelto Corbino come suo testimone di nozze.

Testimonianza di Laura Fermi:

«[...] l’ufficiale di marina con l’aria soddisfatta era mio padre; l’ometto grassottello, con la pelle liscia e lucida sul cranio e sulle guance piene, con gli occhi puntiformi e arguti, era il senatore Corbino. Era stato testimone di Enrico e per primo, con le sue parole, come con una mazzata improvvisa, mi aveva risvegliata alla realtà: che ero una donna sposata. Appena finita la cerimonia nuziale, infatti, Corbino si era affrettato a venirmi incontro, e sforzandosi invano di atteggiare il volto gioviale a compunzione mi aveva baciato la mano, dicendo: “Rallegramenti, signora Fermi”.»

Tra il 1928 e il 1929 si laureano in Fisica gli “allievi” di Fermi - e di Corbino - i giovani che daranno vita a una vicenda del tutto inedita per le scienze fisiche nel nostro Paese. Nel frattempo i giovani membri compiono soggiorni all’estero nei maggiori centri della fisica mondiale dell’epoca e si impratichiscono di tecniche nuove e si arricchiscono attraverso il contatto con altri maestri. Fermi a sua volta attira a Roma molti giovani dai vari paesi europei e si costituisce così una vera e propria rete internazionale di rapporti che avrà un ruolo cruciale nel processo di ricostruzione dell’europa nel dopoguerra.

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Sta iniziando un’epoca di grande espansione per la fisica romana, che di lì a poco troverà il suo centro gemello a Firenze, dove il giovane Bruno Rossi è appena arrivato e dove nel giro di un anno darà inizio alle sue pionieristiche ricerche sullo studio della radiazione cosmica per le quali diverrà un fisico di punta anche a livello mondiale. Solo dieci anni saranno concessi a questi giovani maestri supportati dall’ala protettrice di Corbino a Roma e di Antonio Garbasso a Firenze, per radicare in Italia una tradizione di ricerca che continua ancora oggi.

8. Corbino e “I compiti nuovi della fisica sperimentale”

Nel primo periodo di attività il gr uppo romano s i occupa principalmente di spettroscopia sia atomiche sia molecolare, che a quell’epoca era ancora lo strumento principe per ricavare informazioni sulla struttura della mater ia. Ma l’avvento della meccanica quantistica, «secondo Fermi e Rasetti, e anche Corbino, segnava il completamento della fisica atomica», come ricorda Segrè. Risolte le questioni fondamentali era necessario un cambiamento r ad ica le ne i

programmi di ricerca dell’Istituto. La fisica futura doveva puntare sull’esplorazione del nucleo atomico e quindi richiedeva uno sforzo notevole da parte del gruppo.

Questo punto di vista fu espresso da Corbino in un eloquente discorso pronunciato il 21 settembre 1929 alla Società Italiana per il Progresso delle Scienze, a Firenze. In questa relazione, discussa naturalmente con Fermi, intitolata I nuovi compiti della fisica sperimentale, Corbino elencava una serie di obiettivi, il primo dei quali riguardava la scoperta di fenomeni nuovi non previsti e non spiegabili con le teorie esistenti al momento dell’indagine. Un secondo aspetto riguardava la verifica delle conseguenze che discendono dalla teoria del momento. Una terza importante categoria di ricerche riguardava la determinazione di una serie di costanti caratteristiche, la fisica cioè delle misure di precisione che includono le costanti universali, correlate alle grandi leggi fisiche, come per esempio la legge di gravitazione universale di Newton. Nel discutere gli sviluppi di questi settori di ricerca, Corbino citò l’opera di Fermi chiarendo in particolare - non senza una punta polemica - l’importanza e la necessità dell’indagine teorica, ben lontana dall’ottocentesca “fisica matematica”, che dalla fisica prendeva solo lo spunto per una analisi matematica dei fenomeni.

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Questo discorso andava di pari passo con l’esigenza di una stretta collaborazione tra teoria ed esperimento, e qui Corbino aveva in mente certamente il binomio Fermi-Rasetti: «Pretendere di fare della Fisica sperimentale senza conoscere giorno per giorno i risultati dei lavori di Fisica teorica e senza grandi mezzi di laboratorio equivale a voler vincere una battaglia moderna senza aeroplani e senza artiglieria». Corbino espose poi lo stato delle ricerche nel campo della nuova fisica e mise in evidenza la necessità per l’avvenire di spingersi ad un livello più profondo: «Si può quindi concludere che mentre si presentano come improbabili grandi progressi della fisica sperimentale nel suo dominio ordinario, molte possibilità sono aperte sulla via dell’aggressione del nucleo atomico; il vero campo della Fisica di domani». Nell’attirare l’attenzione del pubblico scientifico italiano su queste grandi novità della fisica e sulla necessità di svolgere ricerche di attualità, Corbino pensava certamente anche alle “dolenti note”, la necessità di essere competitivi con gli altri centri della fisica mondiale, agguerritissimi negli studi di avanguardia e certamente anche più avvantaggiati dal punto di vista dei finanziamenti. È significativo che a questo discorso di Corbino, così premonitore, Segrè abbia dedicato un grande spazio nella sua biografia di Fermi, riportandolo quasi nella sua interezza.In parallelo a questo discorso di Corbino Fermi tenne una conferenza intitolata La fisica moderna in cui a sua volta affermava: «Ora che lo studio dell’atomo e della molecola è bene avviato verso la sua soluzione, l’attenzione dei fisici incomincia a rivolgersi, con sempre maggiore insistenza verso un nuovo problema: quello della struttura del nucleo». I crescenti interessi del gruppo romano verso le novità che venivano dal campo della fisica nucleare coincise con il manifestarsi di una analoga tendenza in altri centri europei ed americani. Corbino e Fermi decisero di cavalcare il nuovo corso organizzando un convegno internazionale, il primo in assoluto dedicato alla fisica nucleare, che ebbe luogo dall’11 al 18 ottobre del 1931 e raccolse a Roma circa 45 fisici, il gotha della fisica mondiale, proiettando definitivamente l’Istituto di Fisica di Roma alla ribalta del mondo scientifico internazionale.

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Enrico Fermi con Arnold Sommerfeld e Niels Bohr nel 1931 a Roma

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Il convegno fu inaugurato con un discorso di Guglielmo Marconi e chiuso con una visita di Benito Mussolini. I convegnisti ne furono entusiasti tanto da commentare che mai avevano partecipato ad un incontro così ben organizzato e così interessante. L’evento fu così importante che l’Istituto Luce girò un filmato dove è possibile vedere personaggi come Maria Curie, Arnold Sommerfeld, Niels Bohr, i Nobel americani Robert Millikan e Arthur Compton, e in generale il fior fiore dei fisici europei e statunitensi, impegnati in ricerche di assoluta avanguardia. Il video ci restituisce in una brevissima quanto intensa sequenza di fotogrammi, l’immagine vivissima di Corbino immerso in una animata conversazione.

9. 1934. L’annus mirabilis dei ragazzi di Corbino

Purtroppo il convegno si svolse alla vigilia della straordinaria scoperta del neutrone, del positrone e del deuterio, che nel 1932 rivoluzionarono la fisica nucleare. Nel corso del 1933 il lavoro era stato fortemente mirato a creare delle competenze in campo nucleare. In quello stesso periodo Ettore Majorana aveva scritto uno dei suoi lavori più importanti, la teoria delle forze nucleari. Verso la fine del 1933, mentre fisica nucleare e raggi cosmici stavano dando origine a un settore di ricerca del tutto nuovo, la fisica delle particelle elementari, Fermi pubblicava un lavoro che sarebbe restato il

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suo capolavoro: la teoria del decadimento beta, cioè l’emissione di elettroni da parte di nuclei radioattivi. In questo lavoro Fermi, dopo circa quarant’anni dalla scoperta della radioattività dell’uranio, spiega che gli elettroni non fanno parte del nucleo, come si era pensato fino a quel momento, ma vengono creati al momento del decadimento insieme al neutrino, una particella ipotizzata da Wolfgang Pauli per rendere conto delle leggi di conservazione legate al fenomeno. Di questa ipotesi Fermi aveva discusso con Pauli proprio durante il convegno romano del 1931 e aveva fatta sua l’idea inglobandola poi nella sua formulazione della teoria. Siamo nel tardo autunno del 1933, alla vigilia di grandi eventi per la storia dei ragazzi di Corbino e per la futura storia della fisica. Intanto in Germania Hitler è salito al potere e ha subito promulgato le famigerate leggi razziali, che d’un sol colpo cancellavano gli ebrei dalla vita pubblica del paese, dando così origine all’esodo verso gli altri paesi europei e verso gli Stati Uniti.La versione tedesca del lavoro di Fermi stava andando in stampa, quando, nel gennaio del 1934, un articolo di Frédéric Joliot e Irène Curie annunciava la scoperta della radioattività artificiale. Bombardando con particelle α i nuclei di elementi leggeri, questi si attivavano emettendo radiazioni esattamente come l’uranio e aprendo così la possibilità di grandi applicazioni. Questa era la buona occasione per i “ragazzi di Corbino”. Fermi intuì subito che i neutroni, privi di carica, potevano essere più validamente usati per provocare la radioattività artificiale. Il 25 marzo 1934 annunciò la scoperta sulla rivista del Consiglio Nazionale delle Ricerche, “La Ricerca Scientifica”, con una breve nota dal titolo Radioattività indotta da bombardamento di neutroni.

Le ricerche a Roma proseguirono febbrilmente: irradiando sistematicamente tutti gli elementi in ordine di peso atomico crescente arrivarono all’uranio. In giugno Corbino, ansioso di rendere noti i risultati, accennò il 4 giugno all’Accademia dei Lincei alla possibilità che fossero stati prodotti e osservati per la prima volta elementi transuranici. La stampa parlò subito di «vittorie fasciste nel campo della cultura», ma Fermi era molto irritato perché riteneva fosse «prematuro formulare ipotesi troppo definite». Effettivamente la questione rimarrà oscura e sarà oggetto di interrogativi e ricerche anche in altri laboratori europei; sarà risolta definitivamente soltanto

con la scoperta della fissione alla fine del 1938. Dopo l’estate Fermi e i suoi continuarono le ricerche sull’attività indotta dai neutroni nei vari elementi; al gruppo si era unito anche Bruno Pontecorvo, appena laureato. La mattina del 22 ottobre Fermi comprese che la paraffina, una sostanza ricca di idrogeno, rallenta i neutroni che risultano molto più efficaci nell’attivare l’argento.L’effetto di rallentamento fu verificato nella famosa fontana dei pesci rossi del giardino di Via Panisperna. La sera stessa, in preda a grande eccitazione, scrivono un articolo che inviano subito a La Ricerca Scientifica.

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Enrico Fermi, Franco Rasetti, Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, e il chimico del gruppo Oscar D’Agostino. La foto, diventata l’icona simbolo dei “ragazzi di Via Panisperna” fu scattata da Bruno Pontecorvo che per questo motivo non figura nella foto di gruppo.

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Ma la notevole efficacia dei neutroni lenti ha applicazioni immediate per la produzione di sostanze radioattive artificiali così che Corbino consiglia subito di brevettare la scoperta. La vicenda del brevetto avrà un iter lungo e complesso e si risolverà definitivamente soltanto verso l’inizio degli anni ’50.

Testimonianza di Laura Fermi:

«Una mattina, un paio di giorni dopo l’incursione nel suo giardino, Corbino capitò in laboratorio; non prendeva parte attiva al lavoro, ma si teneva al corrente di tutto, discuteva, giudicava e dava consigli. Aveva seguito i nuovi esperimenti giorno per giorno, e così anche quella mattina domandò ai suoi “ragazzi” che cosa stessero facendo. Preparavano una re laz ione p iù completa degli esperimenti coi neutroni lenti, risposero. Corbino saltò su.“Ma come? Ma siete pazzi? Volete pubblicare maggiori particolari a questo punto?” Le parole guizzavano veloci, aiutate dalle mosse brevi e affrettate delle mani, degli scatti del capo; e gli occhietti neri scintillavano, irrequieti. “Non capite che la vostra scoperta potrebbe anche avere applicazioni industriali? Dovete

prendere un brevetto prima di pubblicare altri particolari.” [...]Corbino insisteva: dovevano dar retta a lui che era uomo pratico e conosceva a fondo le industrie; parlava per esperienza; essi, tanto più giovani, non potevano rendersi conto di molte cose [...] I “ragazzi” erano abituati a seguire i suoi consigli.

Il 26 ottobre Fermi, Rasetti, Segrè, Amaldi, Pontecorvo, D’Agostino e Trabacchi, la “Divina Provvidenza” che aveva fornito l’emanazione per gli esperimenti, presentarono domanda di brevetto del loro metodo di produrre sostanze radioattive artificiali mediante il bombardamento coi neutroni lenti».

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10. Preludio al “disastro della fisica italiana”

A partire dal 1936 Fermi, incalzato ormai dalla concorrenza dei laboratori stranieri che si interessano alla fisica dei neutroni, cerca di ottenere fondi per realizzare una macchina acceleratrice da sostituire alle sorgenti di protoni ottenute attraverso le sorgenti naturali, e naturalmente pensa anche ad un laboratorio ad essa destinato, qualcosa di simile all’Institut du Radium di Parigi o il Cavendish Laboratory di Cambridge. Ma il vento sta cambiando e per vari motivi il sogno di Fermi è destinato a fallire per il momento. Fin dal 1935 il gruppo aveva cominciato a disgregarsi: Rasetti si trasferisce per un anno alla Columbia University e Segrè vince la cattedra a Palermo; Pontecorvo invece andrà a Parigi presso i Joliot-Curie. Dopo l’estate restano solo Fermi e Amaldi a lavorare «con grande tenacia» e indagano minuziosamente sulle proprietà dei neutroni lenti. In una nota autobiografica, conservata presso l’archivio del Dipartimento di fisica di Roma, Rasetti ricorda quel periodo: «Nel 1935, con i preparativi della guerra d’Etiopia, Mussolini e il fascismo si stavano rapidamente trasformando da quel fastidio che avevano rappresentato, fino a quel momento, per persone come me estranee alla politica, a una tirannia che influiva sulla vita giornaliera degli sfortunati cittadini. La guerra di Spagna che seguì immediatamente la guerra d’Etiopia, e specialmente il “patto d’acciaio” con Hitler erano cattivi presagi per il futuro e mi indussero a prendere in considerazione l’idea di lasciare l’Italia a costo di perdere l’eccellente posizione che avevo». Verso la fine del 1936 si conclude la breve stagione del gruppo romano, come ricorda Amaldi: «Ciò era sicuramente dovuto in parte alla situazione politica che stava diventando sempre peggiore in Europa in generale e in Italia in particolare. Ma forse era dovuto anche al fatto che stava diventando sempre più difficile competere con gli altri gruppi che nel frattempo avevano attrezzato i loro laboratori con acceleratori di vario tipo che fornivano sorgenti di neutroni molto più potenti di quelle di cui disponevamo noi». In questo quadro appare già evidente che motivazioni di carattere scientifico ebbero una parte non secondaria nella decisione maturata da alcuni membri del gruppo di abbandonare l’Italia.

A questi cupi eventi si aggiunse il 23 gennaio 1937 la scomparsa inaspettata di Corbino. Racconta Laura Fermi:

«”Ho preso un po’ di freddo”, disse il senatore Corbino a Zanchi. “Vado un momento a riscaldarmi nel letto e poi esco di nuovo”. Ma aveva ‘una brutta faccia’, e Lodovico lo volle accompagnare in camera, non lo lasciò solo e fece venire il medico. Corbino non si rialzò più. Una polmonite fulminante ne troncò prematuramente l’esistenza [...]».

Le commemorazioni fatte dagli amici e collaboratori restituiscono, al di là delle espressioni legate alla drammatica circostanza, tutta la dimensione acquistata da Corbino, una figura dominante della sua epoca, che si apprestava a diventare leggenda ria per la storia della fisica italiana.

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Il ricordo di Enrico Fermi:

«Parallelamente alla attività scientifica il Corbino ha svolta la sua attività di maestro. Egli ha sempre amato essere circondato da giovani, ai quali era largo di consigli dettati dalla sua esperienza e dalla sua dottrina. Sapeva infondere in essi non solo il suo acuto senso critico e la sua profonda onestà scientifica, ma anche il sincero entusiasmo che Egli metteva in ogni sua ricerca. Amava discutere con le loro esperienze sia progettate che eseguite e ne coglieva sempre i punti essenziali, sfrodandole dai particolari superflui. Amava ricercare al di sotto delle complesse trattazioni analitiche quale fosse l’essenza fisica dei fatti in esame che riusciva sempre a chiarire con semplici ed espressivi modelli. Era prontissimo nell’assimilare e approfondire qualsiasi argomento, così che spesso chi gli esponeva una teoria o una ricerca si accorgeva alla fine di aver ricavato dal colloquio una sorprendente chiarificazione delle proprie idee.Espositore eccezionalmente brillante ed arguto, animava le sue lezioni e le sue conferenze rendendo piacevoli e facilmente intellegibili gli argomenti più astrusi.Al rimpianto per lo scienziato che onorò il suo Paese si accompagna pertanto in tutti noi che abbiamo avuto la ventura di vivergli vicino, il dolore per la scomparsa di un amico e di un consigliere sicuro e il ricordo del debito incancellabile di riconoscenza per quanto per merito di Lui abbiamo appreso della scienza e della vita».

Il ricordo di Giulio Cesare Trabacchi, direttore del Laboratorio Fisico di Sanità Pubblica, originariamente Istituto del Radio, istituito da Corbino nel 1923:

«[...] Tutta l’opera del Corbino rivela quella che era la sua precipua virtù: vedere ogni questione da un punto di vista che la rendeva, se pure astrusa, chiara e comprensibile, anche a chi non avesse la sua potenza intellettuale. È per questo che dalla cattedra riusciva particolarmente efficace, mentre nel laboratorio trovava il modo più facile ed elegante per la realizzazione di brillanti esperienzeOratore felicissimo, in numerose conferenze trascinò all’entusiasmo gli ascoltatori, sia che fossero dei competenti, ai quali parlava nel più elevato linguaggio scientifico, sia che fossero profani, per i quali sapeva trovare il giusto livello della esposizione. Aveva profonda cultura matematica e grande pratica del calcolo, ma ne usava senza mai perdere di vista il significato fisico delle espressioni analitiche. Non iniziava mai una ricerca sperimentale senza averla fatta precedere da un accurato studio teorico e senza aver calcolato l’ordine di grandezza dei risultati che il suo intuito fisico gli faceva prevedere. Il suo lavoro aveva perciò un alto rendimento, perché non perdeva mai tempo in tentativi infruttuosi. Amava la più grande semplicità anche nei dispositivi sperimentali, cercando di ottenere lo scopo con i mezzi più modesti[...]La scomparsa di Orso Mario Corbino ha lasciato in tutti i campi, nei quali è rimasta l’impronta dell’opera Sua, un senso di viva tristezza e di acuto rimpianto. Oggi tutti quelli che

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lo ebbero per Maestro, per Amico, per Consigliere, sentono troppo spesso mancare quel senso di tranquillità che derivava dal pensiero che si poteva ricorrere a Lui per risolvere nel modo migliore qualunque difficoltà».

Il commento di Emilio Segrè:

«Aveva solo 61 anni e il senso della perdita fu molto acuto per tutti i membri dell’Istituto di Roma. C’era la sensazione che un’era stava giungendo alla fine e effettivamente con il cambio della direzione dell’Istituto e la situazione politica che si stava deteriorando, la catastrofe era imminente.Sarebbe stato naturale nominare come suo successore Fermi, ma in seguito a manovre politiche il professor Lo Surdo emerse come nuovo direttore dell’Istituto di fisica. Questo era un segno che le fortune di Fermi stavano declinando e non prometteva nulla di buono per la continuazione del lavoro a Roma [...]Poche settimane prima della morte di Corbino, Amaldi aveva vinto un concorso per una cattedra di fisica sperimentale a Cagliari, ma fu chiamato all’Università di Roma dove ottenne un posto permanente. Era piuttosto straordinario che un giovane di 29 anni avesse come prima sede Roma, ma in qualche modo ciò fu reso possibile con un grande beneficio per il futuro della fisica in Italia».

Lo stesso Presidente del Senato, Luigi Federzoni, nel commemorarlo il 16 marzo 1937, non poteva fare a meno di ricordarne «la ribollente energia di vita ancora così giovanile», accanto alla sua indipendenza di giudizio che faceva derivare da una «tormentosa acutezza di quella sua tempra prevalentemente critica». Federzoni descriveva la scomparsa di Orso Mario Corbino come un lutto profondo, e a conclusione della sua rievocazione lamentava la perdita dolorosa di «quella sua cordiale umanità, quell’espansività talvolta quasi fanciullescamente candida, e più spesso contenuta e velata da un’ironia senza amarezze che rispecchiavano il fervore di un’anima infinitamente generosa e buona».

Il. “Il disastro della fisica in Italia”

La morte di Corbino è un evento che prelude alla definitiva chiusura del sipario sull’avventura dei “ragazzi di via Panisperna”. Fermi viene a trovarsi in una condizione di notevole isolamento, sia istituzionale sia politico. Antonino Lo Surdo, da sempre antagonista di Fermi e molto legato al regime, era diventato direttore dell’Istituto. La quasi contemporanea scomparsa di Marconi, che come presidente del CNR aveva contribuito a fornire la copertura politica e in qualche modo anche finanziaria alle attività di ricerca del gruppo, non fa che aggravare il vuoto in cui ormai si trovano i

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superstiti. Il patto stretto fra Hitler e Mussolini fu decisivo nello spingere quest’ultimo a seguirne le tracce sulla quest ione del l ’ant isemit ismo. I l promulgamento delle leggi razziali nel 1938 si abbattè come una scure sulla giovane comunità dei fisici italiani.Il conferimento del premio Nobel a Stoccolma nel dicembre del 1938 sarà poi per la famiglia Fermi, minacciata dalle leggi razziali a causa di Laura, la via di fuga per gli Stati Uniti da cui Fermi farà ritorno in Italia dopo quasi dieci anni. Bruno Rossi - caposcuola delle ricerche sui raggi cosmici in Italia, fu costretto ad abbandonare l’Istituto di Fisica di Padova, da lui recentemente

inaugurato, progettato secondo i più moderni criteri e attrezzato per la ricerca e l’insegnamento. L’istituto di Padova ser virà di esempio per altre analoghe costruzioni in Italia.O l t r e a F e r m i e R o s s i prenderanno, o saranno costretti a prendere, la decisione di emigrare, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Giuseppe Occhialini, Giulio Racah, Nella Mor tara e altri giovani promettenti come Ugo Fano, Eugen io Fub in i , Se r g io De B e n e d e t t i , L o r e n z o E m o Capodilista e Leo Pincherle.

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Bruno e Nora Rossi Lombroso lasciano l’Italia il 12 ottobre 1938. Si fermarono a Copenhaghen da Bohr, poi a Manchester per alcuni mesi, e nel giugno del 1939 approdarono negli Stati Uniti. La fisica italiana veniva praticamente decapitata con la partenza di Enrico Fermi e Bruno Rossi, i leader delle ricerche di avanguardia e i maestri della nascente promettente generazione, nonché con la perdita di tanti promettenti giovani, allevati con impegno ed entusiasmo, molti dei quali ebbero un ruolo cruciale nel contribuire alla nascita di nuove scuole di fisica nel resto del mondo.

Testimonianza di Nora Rossi:

«[...] un frettoloso saluto al ‘mio’ Giotto nella Cappella degli Scrovegni e la rabbia che provavo verso Bruno, che non voleva lasciare il ‘suo’ laboratorio, che non era più suo. Era per lui come un cordone ombelicale che non riusciva a tagliare[...]».

Testimonianza di Edoardo Amaldi:

Il treno con la famiglia Fermi aveva lasciato la stazione Termini per Stoccolma la sera del 6 dicembre 1938. Franco Rasetti, mia moglie Ginestra, io e pochi parenti rimasti sulla piattaforma per salutarli tornammo a casa. Guardavo la gente per strada, che chiaramente non poteva rendersi conto di quello che stava succedendo, ma io sapevo, o piuttosto tutti noi sapevamo, che un periodo, molto breve in verità, della storia della cultura in Italia si era definitivamente chiuso quella sera [...]Il nostro piccolo mondo era stato scosso, quasi certamente distrutto da forze e circostanze completamente estranee al nostro raggio d’azione.

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Il 2 gennaio 1939 la famiglia Fermi sbarca sul continente americano, ignara del fatto che il mondo dei fisici, e non solo, sta per essere profondamente scosso da una notizia straordinaria. La crisi delle democrazie in Europa precipita proprio mentre si sviluppano le rivoluzionarie ricerche sulle reazioni nucleari. La scoperta della fissione dell’uranio da parte di Otto Hahn e Fritz Strassmann e la spiegazione teorica del fenomeno da parte di Lise Meitner e Otto Frisch furono pubblicate all’inizio dell’anno in cui iniziò la seconda guerra mondiale. Una delle coincidenze più fatidiche nella storia dell’umanità.

Nel dicembre del 1938 Enrico Fermi riceve il Premio Nobel per la fisica «Per aver dimostrato l’esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti dall’irradiazione mediante neutroni e per la scoperta, legata alla precedente, delle reazioni nucleari provocate da neutroni lenti»

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Enrico e Laura Fermi al loro sbarco a New York insieme ai loro figli Nella e Giulio

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Il 16 febbraio Fermi firma il suo primo articolo americano, The fission of uranium. A quell’epoca è il maggiore esperto di neutroni al mondo; tre anni di intenso lavoro culmineranno nel fatidico esperimento del 2 dicembre 1942, che segnerà l’ingresso del mondo nell’era atomica: la prima reazione a catena autosostenuta nella storia dell’umanità.

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I2. L’eredità di Corbino

Con la fine della breve stagione del gruppo di via Panisperna e delle altre neonate realtà, in Italia restava quasi soltanto un germoglio di quel che sarebbe potuto essere il nuovo corso avviato dai giovani padri della fisica moderna in Italia.La fisica italiana era stata fino ad allora caratterizzata da contributi discontinui in un sostanziale deserto, anche a livello di insegnamento, e proprio in questo deserto si produsse il miracolo di Fermi. Ma Fermi, con tutta la sua genialità, faceva ugualmente parte di quello che Mario Ageno, l’ultimo studente di Fermi in Italia, ha definito il tradizionale «stato normale della fisica in Italia [...] quello del coma profondo, interrotto appena, ogni tanto, da un piccolo contributo occasionale di qualche onesto professore universitario [...]». Lo stesso Alessandro Volta, osservava infatti Ageno, rappresentò, dopo Galilei, «un vivissimo lampo isolato», che non fece allievi. Ageno afferma con decisione che «Di fatto, nel gruppo di Roma, l’unico che avesse alle spalle, tramite il padre, la tradizione di una grande scuola scientifica, era Edoardo Amaldi. Credo che questo fatto vada tenuto ben presente da chiunque voglia capire come mai un giovane di soli trentun anni sia potuto diventare d’un tratto il “motore” della fisica italiana». Ageno, certamente tra i pochi

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che abbiano avuto una stretta frequentazione con Amaldi nel periodo a cavallo tra l’epoca Fermi e il dopoguerra, esprime la chiara opinione «che nulla sarebbe andato avanti, nulla si sarebbe concluso senza il suo continuo e prevalente impegno personale diretto, ben poco aiuto venendogli dai giovani collaboratori, sia per loro difetto di cultura e di esperienza, sia perché continuamente distratti e allontanati da vicende di guerra e difficoltà del momento». Il passaggio dall’era di Corbino e Fermi all’era di Amaldi presenta elementi di continuità ma anche di discontinuità. Certamente, accanto alle sue non comuni doti di carattere, nel DNA culturale di Amaldi c’è l’appartenenza a una famiglia di grandi tradizioni umane e accademiche. Suo padre Ugo faceva parte dell’élite della scuola matematica italiana e Amaldi era cresciuto in un ambiente caratterizzato da alti ideali e senso di responsabilità civile e culturale, che lo aveva messo in grado di valutare la fondamentale importanza della scuola scientifica. «Spirito di scuola - osserva ancora Ageno - significa profondo senso del dovere verso il passato, nei confronti del quale siamo debitori, e impegno profondamente sentito verso il futuro, nei confronti dei più giovani che hanno inizialmente bisogno di guida per imparare a scegliere felicemente una loro strada, per procedere poi autonomamente, con motivata fiducia in loro stessi». Nel corso della sua precedente esperienza col gruppo di Roma, Amaldi aveva inoltre appreso la necessità di una pianificazione intelligente della propria ricerca, come premessa non solo del successo, ma anche del necessario inserimento nel più vasto quadro della ricerca mondiale. L’aver fatto parte ancora giovanissimo del gruppo scelto che ebbe il privilegio di una speciale attenzione da parte di Fermi e l’aver lavorato a stretto contatto con lui fino alla partenza dall’Italia, rappresentava un ingrediente cruciale della formazione di Amaldi. Il suo background familiare, accanto all’altissimo esempio che gli derivava dall’aver frequentato da vicino Orso Mario Corbino, un fisico di enorme intelligenza scientifica e di straordinarie capacità nell’ambito della politica della ricerca, conferì ad Amaldi la sua unicità, il substrato su cui ebbe modo di crescere anche la profonda sensibilità per le situazioni politiche e sociali dell’Italia, che egli seppe poi tradurre nella sua lotta per difendere la posizione e il ruolo della scienza nel suo paese e come organizzatore della ricerca a livello internazionale e internazionale. Egli aveva appreso anche «la necessità di una pianificazione intelligente della propria ricerca, come premessa non solo del successo, ma anche del necessario inserimento nel più vasto quadro della ricerca mondiale» che gli conferiva lo spirito speciale con cui, una volta fuori del suo laboratorio, trovava naturale svolgere «quella incessante azione di riorganizzazione e di stimolo, che ne ha fatto in breve il vero “motore” della fisica italiana. Il suo stile era quanto di più antiretorico si potesse immaginare. Non faceva proclami, non enunciava principi, indirizzi, scopi generali. Evitava ogni chiasso ed ogni esibizione personale. Non ha mai assunto atteggiamenti da capo, da maestro, da “pastore di popoli”». Come erede di Corbino e di Fermi, Amaldi guardò sempre all’Europa come punto di riferimento e come contesto in cui cercare alleati per la sua battaglia per la ricostruzione prima e la costruzione poi di una realtà nuova in cui l’Europa potesse recuperare una posizione competitiva verso gli Stati Uniti dove, con il grande esodo dovuto alle leggi razziali, si era spostato il baricentro della fisica mondiale.Durante la guerra i superstiti avevano raccolto le forze concentrando l’attività di ricerca sui raggi cosmici, un campo di ricerca che allora richiedeva fondi e strumentazione assai contenuti. Sotto i bombardamenti venne condotto da Marcello Conversi, Ettore Pancini

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e Oreste Piccioni un esperimento cruciale, che secondo il premio Nobel Luis Alvares diede origine alla moderna fisica delle particelle elementari.Con la liberazione di Roma il 4 giugno del 1944, Amaldi che aveva sempre operato in stretta unione con Gilberto Bernardini, antico collaboratore di Bruno Rossi a Firenze, iniziò a pensare in termini di un futuro: «Roma era entrata in una nuova fase ancora incerta, forse perfino oscura. Ma qualsiasi essa fosse, era chiaro in quale direzione ognuno doveva necessariamente muoversi. I danni materiali che il paese aveva subito dovevano essere riparati, si dovevano superare i livelli raggiunti nel passato e contribuire alla costruzione di una società che avrebbe conservato e sviluppato soltanto alcuni dei caratteri del passato, rifiutando ed eliminando gli aspetti superficiali e profondamente deteriori lasciati dal fascismo. La prima regola consisteva chiaramente nel cercare di lavorare seriamente, senza alcuna ridicola arroganza nazionalistica, senza prosopopea o retorica ma anche senza false modestie né complessi di inferiorità. Questa generale disposizione mentale era particolarmente forte nell’Istituto, dove tutto lo staff era consapevole che la lunga notte era finita e che il nuovo giorno richiedeva un grande sforzo».Lo studio dei raggi cosmici era ormai parte di una consolidata tradizione di ricerca, quella iniziata da Bruno Rossi all’inizio degli anni ’30, che fino alla fine degli anni ’50 continuò a mantenere viva la comunità scientifica italiana e a consentire la formazione di nuove leve. Nel gennaio del 1948 venne inaugurato il Laboratorio della Testa Grigia, a 3500 metri di quota, sopra Cervinia, realizzato con il concorso economico di un gruppo di industriali del Nord Italia che Amaldi era riuscito a coinvolgere nel processo di ricostruzione. Questo aspetto non può non ricordare il talento di Corbino che tanto validamente aveva saputo stabilire rapporti con le grandi industrie.Nel corso dei primi anni ’50 Amaldi e Gilberto Bernardini guidarono la r i o r g a n i z z a z i o n e dell’attività di ricerca e promossero la nascita di istituzioni come l’Istituto Naz iona le d i F i s ica Nucleare e il Comitato N a z i o n a l e p e r l e Ricerche Nucleari. Ma soprattutto, nella sua g r a n d i o s a v i s i o n e , A m a l d i s a r à t r a i promotori all’inizio degli anni ’50 della nascita del CERN di Ginevra, un grande laboratorio che gli scienziati d’europa condivideranno con i paesi di tutto il mondo. Nella sua ambizione di tenere l’Europa al passo con gli Stati Uniti, fu tra i pochi che all’inizio sostennero l’importanza di creare una Agenzia Spaziale Europea.

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Nel frattempo anche in Italia veniva finalmente realizzato il sogno di Fermi: un laboratorio nazionale e una macchina acceleratrice. A partire dall’inizio degli anni ’50 un gruppo guidato da Giorgio Salvini, all’epoca appena trentenne, si occupò della progettazione e costruzione di un elettrosincrotrone, la prima grande macchina acceleratrice italiana che venne ospitata nei Laboratori Nazionali di Frascati costruiti per l’occasione.Quando andò in funzione tra la fine del 1958 e l’inizio del 1959 l’Elettrosincrotrone italiano era insieme ad altri due acceleratori dello stesso tipo e dimensioni negli Stati Uniti, la macchina più potente del mondo nel suo genere.

Come disse il brillante fisico di origine austriaca Bruno Touschek, chiamato da Amaldi a Roma all’inizio degli anni ’50, l’impresa « r a g g i u n g e v a p r o p o r z i o n i gigantesche se ci si ricordava che era stata compiuta da uno staff di scienziati e ingegneri la maggior parte dei quali non avevano alcuna esperienza della caratteristica mistura di know how tecnologico, industr iale e organizzazione

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amministrativa e dell’arte di improvvisare con fiducia in se stessi, che è alla base di queste grandi macchine».

Visitatori illustri venivano accolti a Frascati, come i reali di Monaco. Era un’epoca di grande fiducia nei confronti della scienza. L’Italia viveva un momento di espansione e sviluppo ed era diffuso ad ogni l i ve l lo l ’or gog l io per queste conquiste della fisica moderna.Questo miracolo italiano aveva creato le competenze necessarie e il substrato culturale su cui Bruno Touschek fu in grado di seminare e f a r g e r m o g l i a r e u n a i d e a straordinaria e coraggiosa: costruire il primo prototipo di una macchina acceleratrice dove due fasci di particelle e antiparticelle potessero girare contemporaneamente e scontrandosi dare origine a nuove particelle. La via italiana alle alte energie aperta da AdA rappresentava il trionfo di una linea di ricerca che partendo dalla fisica nucleare e dai raggi cosmici si è gradualmente trasformata nella fisica delle particelle elementari, che tradizionalmente è sempre stata dominante in Italia.

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Lo studio di questa nuova fisica per mezzo di fasci collidenti aprì un’era completamente nuova nelle ricerche sulla struttura della materia a livello microscopico, ricerche che tuttora rappresentano la chiave per indagare sulla nascita e l’evoluzione dell’Universo.AdA, dal diametro di pochi metri, è divenuta la madre di tutti i collider costruiti poi nel mondo, fino al Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra, costituito da un tunnel lungo 27 km. Nei gruppi di ricerca che utilizzano questo acceleratore lavorano scienziati di tutto il mondo, ma il 30% è italiano e recentemente c’è stato un momento in cui i quattro principali esperimenti erano guidati da fisici italiani, a riprova del fatto che l’eccellenza della nostra tradizione scientifica continua a rinnovarsi e ad essere vitale a novanta anni di distanza dal fatidico incontro tra il giovane Enrico Fermi e il senatore Orso Mario Corbino.L’Anello di Accumulazione per elettroni e positroni AdA

progettato da Bruno Touschek e costruito a Frascati all’inizio degli anni ’60.

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