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Atti della XV Conferenza Internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute su Salute e Società 16-17-18 novembre 2000 Nuova Aula del Sinodo Città del Vaticano DOLENTIUM HOMINUM N. 46 – anno XVI – N. 1, 2001 RIVISTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

Salute e Società · Prof. Diego Gracia Guillén IV: Luci nel dialogo interreligioso IV.1 L’ebraismo e la sanità S.E. Sig. Yosef Lamdan IV.2 Una luce nel dialogo interreligioso

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Atti della XVConferenza

Internazionale

promossa dal Pontificio Consiglio

per la Pastorale della Salutesu

Salutee Società

16-17-18 novembre 2000

Nuova Aula del SinodoCittà del Vaticano

DOLENTIUM HOMINUMN. 46 – anno XVI – N. 1, 2001

RIVISTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

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DIREZIONE

S.E. MONS. JAVIER LOZANO BARRAGÁN, Direttore

S.E. MONS. JOSÉ L. REDRADO, O.H., Redattore Capo

P. FELICE RUFFINI, M.I., Segretario

COMITATO DI REDAZIONE

BENEDETTINI P. CIRO

BOLIS DR.A LILIANA

CUADRON SR. AURELIA

D’ERCOLE DON GIOVANNI

EL-HACHEM DR.A MAYA

GRIECO P. GIANFRANCO

HONINGS P. BONIFACIO

IRIGOYEN MONS. JESÚS

JOBLIN P. JOSEPH

MAGNO DON VITO

NEROZZI-FRAJESE DR.A DINA

PLACIDI ING. FRANCO

SANDRIN P. LUCIANO

TADDEI MONS. ITALO

CORRISPONDENTI

BAUTISTA P. MATEO, Argentina

CASSIDY MONS. J. JAMES, U.S.A.

DELGADO DON RUDE, Spagna

FERRERO P. RAMON, Mozambico

GOUDOTE P. BENOIT, Costa d’Avorio

LEONE PROF. SALVINO, Italia

PALENCIA P. JORGE, Messico

PEREIRA DON GEORGE, India

VERLINDE SIG.A AN, Belgio

WALLEY PROF. ROBERT, Canada

TRADUTTORI

CHALON DR.A COLETTE

FARINA SIG.A ANTONELLA

FFORDE PROF. MATTHEW

GRASSER P. BERNARD, M.I.QWISTGAARD SIG. GUILLERMO

Direzione, Redazione, Amministrazione: PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

CITTÀ DEL VATICANO; Tel. 06.698.83138, 06.698.84720, 06.698.84799,Fax: 06.698.83139 - www.healthpastoral.org - E-MAIL: [email protected]

Pubblicazione quadrimestrale. Abbonamento: 60.000 Lire (o importo equivalente in valuta locale), compresa spedizione

Realizzazione a cura della Editrice VELAR S.p.A., Gorle (BG)

In copertina: Vetrata di P. Costantino Ruggeri

Spedizione in abbonamento postale - art. 2, comma 20/c, legge 662/96 - Roma

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Indirizzo d’omaggio al Santo PadreS.E. Mons. Javier Lozano Barragán

Discorso del Santo Padre

SALUTE E SOCIETÀ

IntroduzioneS.E. Mons. Javier Lozano Barragán

Medicina e societàS. Em.za Card. Fiorenzo Angelini

La medicina oggi alla lucedella Parola di DioS.Em.za Card. Darío Castrillón Hoyos

I SEZIONE

UNA REALTÀ CONTRASTANTE

I: Limiti della tecnologiaProf. Alfons Hofstetter

II: Disumanizzazione dell’assistenza sanitaria all’interno e all’esterno delle strutture ospedaliere, le sue cause di fondo e le aspettative per il futuroProf. Joannes P.M. Lelkens

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III: I nuovi operatori sanitariDott. Orvill B.R. Adams

IV: Nuove malattie infettive emergentiLa globalizzazione della crisi della salute pubblica nel nuovo millennioDott.ssa Mary Healey-Sedutto

II SEZIONE

ILLUMINAZIONE DELLA REALTÀ

I: Teologia e medicinaP. Angelo Brusco

II: Problemi attuali di teologia moraleS.E. Mons. Willem J. Eijk

III: Medicina e cambiamento culturaleProf. Diego Gracia Guillén

IV: Luci nel dialogo interreligioso

IV.1 L’ebraismo e la sanitàS.E. Sig. Yosef Lamdan

IV.2 Una luce nel dialogo interreligioso islamico-cristiano: la virtù della compassioneP. Maurice Borrmans

Sommario

giovedì16

novembre

venerdì17

novembre

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IV.3 InduismoProf.ssa Elena De Rossi Filibeck

IV.4 Luce nel dialogo interreligioso:il BuddismoS.E. Ronarong Nopakun

III SEZIONE

AZIONI DA REALIZZARE: COSA FARE?

I: La cura pastorale nella medicina oggiP. Mario Bizzotto

II: Gli ospedali del XX Secolo:carità antica e tecnologia modernaP. Michael D. Place

III: Le nuove frontiereP. Prof. Anthony Fisher

IV: La formazione dei futuri professionisti nel campo della saluteDott. Tomás Barrientos Fortes

V: La formazione dei cappellaniD. Rudesindo Delgado Pérez

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sabato18

novembre

Le illustrazioni di questo numero sono tratte dal libro:Le copie dei mosaici antichi di Ravenna

Promo, Promozione Mosaico – Comune di Ravenna, Italia

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6 SALUTE E SOCIETÀ

Beatissimo Padre:

nel contesto del grande Giubileo ci siamo riunitiper celebrare la XV Conferenza Internazionale su“Salute e Società”. In quest’anno giubilare speri-mentiamo la novità di Cristo nelle nostre vite, af-finché l’attualità del Suo messaggio sia il motore ela ragione d’essere della nostra esistenza. Questapresenza viva di Cristo ci ha spinto a trattare inquesta Conferenza dei temi scottanti e di attualitàper la medicina e per la salute nella nostra società.

Santo Padre, nella Costituzione Pastor BonusLei ha affidato a questo Pontificio Consiglio per laPastorale della Salute tutti coloro che svolgono ilservizio verso gli infermi, affinché l’apostolatodella misericordia a cui attendono risponda sempremeglio alle nuove esigenze (Cost. Apostolica Pa-stor Bonus, n. 152).

In questi giorni sono state oggetto di attento stu-dio alcune di queste nuove esigenze: abbiamo con-

siderato le frontiere della tecnologia medica, i nuo-vi luoghi di cura, gli ospedali, le aree locali, i nuo-vi operatori sanitari, i nuovi ammalati, le nuovemalattie emergenti, i nuovi significati della Pasto-rale della Salute, le nuove questioni morali, il dia-logo interreligioso in queste aree, il training per glioperatori della salute, per i cappellani e per i vo-lontari.

Beatissimo Padre, è proprio in queste complessequestioni che abbiamo maggiormente bisogno delSuo pensiero, perché ci illumini e ci guidi sull’e-sempio di Cristo, il medico divino del corpo e del-l’anima.

Chiediamo umilmente a Vostra Santità la Suaautorevole parola ed imploriamo l’apostolica Be-nedizione.

S.E. Mons. JAVIER LOZANO BARRAGÁNPresidente del Pontificio Consiglio

per la Pastorale della SaluteSanta Sede

INDIRIZZO D’OMAGGIO AL SANTO PADRE

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7DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,Illustri Signori, gentili Signore!

1. Sono lieto di quest’incontro, che mi consentedi portarvi il mio saluto in occasione del quindice-simo Congresso Internazionale organizzato dalPontificio Consiglio per la Pastorale della Salute.Un particolare pensiero rivolgo al Presidente delPontificio Consiglio, Mons. Javier Lozano Bar-ragán, che ringrazio per i sentimenti espressi a no-me di tutti i presenti. Esprimo il mio vivo compia-cimento agli organizzatori come pure agli illustristudiosi, scienziati, ricercatori ed esperti, che han-no voluto onorare con la loro presenza e con il lo-ro contributo professionale questa Conferenza.

Le giornate del Congresso, che quest’anno af-fronta un tema importante e complesso come “Sa-nità e Società”, vi aiutano ad approfondire le nuo-ve tecnologie biomediche e i non facili quesiti po-sti al mondo della Sanità dai profondi cambiamen-ti sociali in atto. Il vostro incontro ha favorito unproficuo dialogo ed uno scambio culturale e reli-giosi fra qualificati operatori nell’ambito della sa-lute.

2. Il tema del Congresso pone in evidenza unarealtà di grande portata e in continua trasformazio-ne, sulla quale è doveroso sviluppare un’attentaanalisi. Vi siete posti, in particolare, il problemadei rapporti fra Società e Istituzioni, da un lato, e isoggetti che gestiscono i mezzi della cura sanitaria,dall’altro. Profondi sono i mutamenti che stannointeressando le strutture tradizionali di una societàsempre più globalizzata e in difficoltà nel rappor-tarsi al singolo individuo, e una medicina impe-gnata nello sviluppo di mezzi diagnostici e tera-peutici sempre più complicati ed efficaci, ma nondi rado disponibili soltanto per gruppi ristretti dipersone. Inoltre è oggi ben noto il ruolo della cau-salità ambientale nella genesi di alcune malattie, a

motivo della pressione della società e del forte im-patto tecnologico sugli individui. Occorre, dunque,recuperare alcuni criteri di discernimento etico eantropologico, che consentano di valutare se lescelte della medicina e della sanità siano veramen-te a misura dell’uomo che devono servire.

3. Ma prima ancora, la medicina deve dare ri-sposta alla questione che riguarda la sostanza stes-sa della sua missione. Ci si domanda se l’atto me-dico-sanitario trovi la sua ragione d’essere nel pre-venire la malattia e quando vi sia nel superarla, op-pure se debba acconsentire ad ogni richiesta d’in-tervento sul corpo purché tecnicamente possibile.L’interrogativo diventa più ampio se si consideralo stesso concetto di salute. È oggi comunementericonosciuta l’insufficienza di una nozione di salu-te ristretta al solo benessere fisiologico e all’assen-za di sofferenze. Come scrivevo nel Messaggio perla Giornata Mondiale del Malato di questo annogiubilare, “la salute, lungi dall’identificarsi con lasemplice assenza di malattie, si pone come unatensione vera una più piena armonia ed un sanoequilibrio a livello fisico, spirituale e sociale. Inquesta prospettiva, la persona stessa è chiamata amobilitare tutte le energie disponibili per realizza-re la propria vocazione e il bene altrui” (n. 13). Sitratta di un concetto complesso di salute, più con-sono alla sensibilità odierna, che tiene conto del-l’equilibrio e dell’armonia della persona nella suaglobalità: su di esso fate bene a portare la vostra at-tenzione.

L’interrogativo che sopra ponevo è importante,perché da esso discende il profilo degli operatori sa-nitari da formare come pure lo stile dei Centri di Sa-lute che si intende realizzare e lo stesso modello dimedicina verso il quale ci si vuole orientare: unamedicina al servizio del benessere integrale dellapersona o invece una medicina all’insegna dell’effi-cientismo tecnico e organizzativo. Voi siete consa-pevoli che una scienza medica fuorviata mettereb-

DISCORSO DEL SANTO PADRE

L’impegno degli operatori sanitari ha le caratteristiche di una vocazione: andare incontro alla persona sofferente e nonsemplicemente trattare un corpo malato

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8 SALUTE E SOCIETÀ

be, di fatto, a repentaglio non solo la vita del singo-lo, ma anche la stessa convivenza sociale. Una me-dicina che mirasse principalmente ad arricchirsi diconoscenze in vista del proprio efficientismo tecno-logico, tradirebbe il suo ethos originario, aprendo laporta a dannosi sviluppi. Soltanto servendo l’inte-grale benessere dell’uomo la medicina contribuisceal suo progresso e alla sua felicità, e non diventastrumento di manipolazione e di morte.

4. Voi, illustri Cultori delle scienze biomediche,nelle vostre attività sapete bene rispettare le leggimetodologiche ed ermeneutiche proprie della ri-cerca scientifica.

Siete convinti che esse non sono un fardello arbi-trario, ma un aiuto indispensabile che garantiscel’affidabilità e la comunicabilità dei risultati otte-nuti. Sappiate sempre riconoscere con uguale curale norme etiche, al centro delle quali sta l’essereumano con la sua dignità di persona: il rispetto delsuo diritto a nascere, a vivere e a morire in mododegno costituisce l’imperativo di fondo a cui la pra-tica medica deve sempre ispirarsi. Fate quanto è invostro potere per sensibilizzare la comunità socia-le, i sistemi sanitari nazionali e i loro responsabili,affinché le considerevoli risorse indirizzate versoricerche e applicazioni tecniche abbiano semprecome finalità il servizio integrale della vita.

Sì, il centro dell’attenzione e delle premure siadel sistema sanitario che della società deve esseresempre la persona considerata nella concretezzadel suo inserimento in una famiglia, in un lavoro,in un contesto sociale, in un’area geografica. An-

dare incontro al malato vuol dire quindi andare in-contro alla persona sofferente e non semplicemen-te trattare un corpo malato. Ecco perché agli ope-ratori sanitari è chiesto un impegno che ha le carat-teristiche di una vocazione. L’esperienza vi inse-gna che la domanda dei malati va oltre la semplicerichiesta della guarigione dalle patologie organi-che in atto. Dal medico essi si attendono il soste-gno per affrontare l’inquietante mistero della sof-ferenza e della morte. Dare agli ammalati e ai lorofamiliari ragioni di speranza davanti ai pressantiinterrogativi che li assillano, ecco la vostra missio-ne. La Chiesa vi è vicina e con voi condivide que-sto appassionante servizio alla vita.

5. Molto opportunamente, in una società globa-lizzata come l’attuale, con arricchite potenzialitàtecniche, ma anche con nuove difficoltà, avete de-dicato nei lavori congressuali speciale attenzionealle nuove malattie del secolo XXI. Né avete omes-so di guardare alle condizioni in cui versa la sanitàin talune regioni del mondo, dove mancano politi-che di sostegno alle stesse cure primarie. Ho avutomodo, in merito, di sollecitare più volte la respon-sabilità dei Governi e delle Organizzazioni Interna-zionali. Purtroppo, nonostante lodevoli sforzi, ne-gli ultimi decenni le disuguaglianze fra i popoli sisono aggravate pesantemente. Faccio di nuovo unappello a coloro che detengono le sorti delle Na-zioni, affinché favoriscano il più possibile condi-zioni atte a risolvere situazioni così drammatiche diingiustizia e di emarginazione.

6. Nonostante le ombre che tuttora gravano sunon pochi Paesi, i cristiani guardano con speranzaal vasto e variegato mondo della sanità. Essi sannodi essere chiamati ad evangelizzarlo con il vigoredella loro testimonianza quotidiana, nella certezzache lo Spirito rinnova di continuo la faccia dellaterra, e con i suoi doni spinge sempre nuovamentele persone di buona volontà ad aprirsi al richiamodell’amore. Occorrerà forse percorrere nuove stra-de per favorire adeguate risposte alle attese di tan-te persone provate. Confido che a quanti cercanocon cuore sincero il bene integrale della personanon manchino dall’Alto i lumi necessari per intra-prendere opportune iniziative al riguardo.

Carissimi Fratelli e Sorelle! La Vergine, Sededella Sapienza e Salute degli Infermi, invocata nel-la Tradizione quale nuova Eva, guidi il vostro cam-mino. Siete impegnati in una causa fra le più nobi-li: la difesa della vita e la promozione della salute.Il Signore vi sostenga nella ricerca e vi concedasempre nuovo slancio nel servizio nobilissimo chesvolgete a vantaggio dei vostri simili.

Con questo auspicio, che diventa preghiera, atutti impartisco la mia Benedizione.

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Salute e Società

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10 SALUTE E SOCIETÀ

Il Pontificio Consiglio per laPastorale della Salute ha già orga-nizzato 14 Conferenze Internazio-nali su temi di grande attualità.Ora, con l’aiuto di Dio, ci accin-giamo ad iniziare questa quindice-sima Conferenza Internazionalesu Salute e Società, e cioè la Pa-storale della Salute nel contestoattuale della società in cui stiamovivendo.

Come evento inquadrato nellasolennità dell’Anno Giubilare, inquesta Conferenza tratteremo del-l’inculturazione del Vangelo nellasituazione attuale delle cure sani-tarie. Secondo il processo basilaredell’inculturazione ci troviamo difronte a due poli: il Vangelo e laSalute; da questi due, poi, scaturi-sce l’esigenza del Vangelo di en-trare nel cuore stesso della Salutee di radicarvisi, così che il mondodella Salute venga trasformato dalVangelo. Ciò presuppone unanuova evangelizzazione della Sa-lute, cioè la trasformazione dellecure sanitarie in cure sanitarie cri-stiane. Questa inculturazione del-la Salute costituisce l’autenticaPastorale della Salute. Dobbiamoentrare nei valori fondamentalidel mondo della Salute per tra-sformarli e renderli ogni volta piùconformi al Vangelo.

Il nostro Dicastero, che giusta-mente è quello della Pastorale del-la Salute, è interessato in modo di-retto e immediato al tema, che lospecifica e a cui dà fondatezza.Come inculturiamo il Vangelo nelmondo della Salute?

In questa Conferenza sarannoindubbiamente fornite risposteadeguate, che rispondono alla glo-balizzazione attuale della Salute,ai problemi della Biogenetica, aquelli della nuova posizione degliospedali cattolici, ai loro problemieconomici, ai problemi dei comi-

tati di Bioetica degli ospedali, allanuova gestione di molti ospedaliche appartengono o apparteneva-no ad Ordini o a Congregazionireligiose, alla collaborazione conospedali dipendenti dal sistemasanitario pubblico o da quello pri-vato non cattolico, ecc.

Auspichiamo che questa nostraConferenza Internazionale ci illu-mini profondamente sul significa-to del mondo della salute alla lucedella Parola di Dio e che ci orientinei complicati problemi moraliche le situazioni attuali ci pongo-no; ci auguriamo altresì che, alleluci che ci dà la Chiesa cattolica,assoceremo il chiarimento chescaturirà dal dialogo con le altrereligioni, e che giungeremo a con-clusioni pratiche nelle linee da se-guire nei diversi campi dell’atti-vità sanitaria.

Con queste prospettive la nostraConferenza si apre con un inter-vento magistrale di Sua Eminenzail Cardinale Darío CastrillónHoyos, Prefetto della Congrega-zione per il Clero, che disserteràsulla medicina attuale alla lucedella Parola di Dio, per poi entrarenella realtà del mondo della salutetoccando le nuove frontiere dellatecnologia medica, i nuovi luoghidi attenzione sanitaria, i nuovioperatori della salute, i nuovi ma-lati e le malattie emergenti. Suc-cessivamente, faremo riferimentoalla storia della medicina, special-mente nelle epoche di cambia-menti culturali, per poi affrontaredirettamente i temi di Teologia eMedicina, le questioni contempo-ranee di Teologia Morale e la luceche possiamo incontrare nel dialo-go interreligioso con l’Ebraismo,con l’Islam, con l’Induismo e conil Buddismo.

La nostra Conferenza giungeràalle sue conclusioni pratiche sot-

tolineando la cura pastorale nellamedicina attuale, la situazione de-gli ospedali ai giorni nostri, la ca-rità e la tecnologia moderna, lenuove frontiere, la preparazionedegli operatori sanitari, dei volon-tari e dei cappellani.

La qualità degli interventi e deimoderatori nell’ambito mondialedella Salute è ampiamente ricono-sciuta. Vorrei ringraziare ciascunoratore per la gentilezza con cuiha risposto al nostro invito e perillustrarci la propria scienza ecompetenza nei diversi campi toc-cati dalla nostra Conferenza.

Vorrei anche rivolgere un salutomolto speciale ad ogni partecipan-te. Voi parteciperete ai diversi dia-loghi che avranno luogo e ci illu-strerete i vostri diversi punti di vi-sta. Come potete osservare nelprogramma, dopo una serie di ar-gomenti che saranno trattati daglispecialisti, si darà il via a un dibat-tito per consentire a tutti di parte-cipare. Ci auguriamo che i dialo-ghi saranno nutriti e interessanti,per chiarire maggiormente i puntitrattati.

Siete tutti i benvenuti. Ci atten-diamo una fruttuosa collaborazione.

È per me un onore dare ora laparola a Sua Eminenza il Cardina-le Fiorenzo Angelini, Presidenteemerito di questo Pontificio Con-siglio, che avrà la bontà di rivol-gere il suo saluto ai presenti.

S.E. Mons. JAVIER LOZANO BARRAGÁN

Arcivescovo-Vescovo emerito di Zacatecas

Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

Santa Sede

JAVIER LOZANO

Introduzione

giovedì 16

novembre

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11DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

Per chi opera nel campo dellasanità e della salute, parlare diMedicina e Società significa in-nanzitutto parlare di medicina eciviltà, di medicina e morale.

Il grado di maturità di una so-cietà dipende dalla civiltà che neispira le leggi e le strutture e negarantisce una prassi coerente conesse.

Lo stesso giuramento di Ippo-crate presuppone una visione mo-rale della vita umana: una visionedi servizio ad essa, alla sua sacra-lità e inviolabilità ed alla sua qua-lità.

Non si tratta di una visione del-la vita esclusiva dei cristiani o co-munque nel segno e nel nome diuna fede religiosa. Come ha riba-dito con forza il Santo Padre Gio-vanni Paolo II, “la difesa e la pro-mozione della vita non sono mo-nopolio di nessuno, ma compito eresponsabilità di tutti”1.

Se è vero, infatti, che la questio-ne della vita “riceve dalla fede lu-

ce e forza straordinarie”, essa “innessun modo interpella i soli cre-denti”, poiché “si tratta di un valo-re che ogni essere umano può co-gliere anche alla luce della ragio-ne e che perciò riguarda necessa-riamente tutti”2.

Se difesa e promozione della vi-ta sono il campo di civiltà nel qua-le la società chiama la medicinaad operare, ne consegue una sal-datura strettissima tra civiltà e vi-sione etica e morale della personaumana e, quindi, tra medicina esocietà.

È infatti un atteggiamento mo-rale quello che si è chiamati ad as-sumere: – di fronte alla difesa del-la vita nascente e contro l’aborto;– di fronte alla maternità e pater-nità responsabile contro un egoi-stico controllo demografico; – difronte alla medicina dei trapianti econtro una biologia genetica cheminacci alla radice l’individualitàdella persona; – di fronte alla sal-vaguardia del diritto a morire in

pace contro l’eutanasia; – di fron-te all’umanizzazione della medi-cina contro ogni forma burocrati-ca e spersonalizzante; – di fronteal diritto di tutti, nessuno escluso,alla salute, senza discriminazionealcuna.

Le scelte della società in questocampo sono scelte di civiltà o dianti-civiltà.

Come il progresso della scienzae della tecnica è frutto di continuostudio e richiede una sempre piùforte preparazione, così è del cam-mino in avanti di una società chevoglia essere all’altezza degli stru-menti che la scienza mette a sua di-sposizione.

Dobbiamo oggettivamente ri-conoscere che, anche negli opera-tori sanitari più preparati e attenti,la preoccupazione del doverosoaggiornamento in materia di co-noscenza delle sempre più avan-zate possibilità tecniche della me-dicina spinge a lasciare in ombrauna corrispondente preparazioneetica e morale.

Più che in passato, la ragioneumana oggi dove farsi consapevo-le di non poter rimanere prigionie-ra di conquiste che, appena rag-giunte, svelano paurosi limiti, chesoltanto una visione più vasta – spirituale e trascendente – puòdebitamente controllare3.

Proprio l’analisi razionale dellosquilibrio, del malessere, della ma-lattia che affligge l’uomo moder-no, artefice e insieme vittima delprogresso tecnologico, configurauna diversa nozione della stessasalute: una nozione più integrale ecomprensiva.

Ciò postula una diagnosi antro-pologica che arrivi al pazientespirituale, che scopra cioè la radi-ce del male oltre i meccanismi elo spettro della fisicità e della psi-che.

FIORENZO ANGELINI

Medicina e società

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12 SALUTE E SOCIETÀ

La medicina, nella sue articola-zioni di prevenzione, diagnosi, te-rapia e riabilitazione, opera con ri-gore e con metodi non arbitrari.

La società dove essere consape-vole di questa verità.

Deve dunque esserci una medi-cina dello spirito, quasi un’asceti-ca spirituale che aiuti a preveniree a liberare lo spirito dall’ombradell’angoscia moderna.

In altre parole, per risolvere ildilemma: artefice o vittima delprogresso tecnico, l’uomo devecompiere una scelta non scientifi-ca, ma etica e spirituale, vale a di-re una scelta di civiltà. Una sceltarazionale, non emotiva.

Tutto ciò non comporta certa-mente un’ambiguità del termine edel concetto di “salute”, bensì unasua necessaria integrazione, poi-ché non si risana l’uomo se la te-rapia non attinge la psiche e nonsana quel nucleo unitario che nes-sun termine può esprimere ade-guatamente so non il termine spi-rito.

La salute dello spirito non è sol-tanto condizione di salute psico-fisica, ma autentica liberazione dirisorse e perciò strumento di veracoordinazione del progresso dellascienza stessa, il tutto al serviziodi una degna qualità della vita.

Ogni discorso sulla socializza-zione della medicina e sul rappor-to tra il suo esercizio e la strutturesociali deve muovere da questi

presupposti, prescindendo daiquali la medicina, in tutte le suearticolazioni, non è in grado di da-re il meglio di sé, non solo, ma sitrova esposta a strumentalizzazio-ni estremamente pericolose.

Si parla molto oggi di politicasanitaria mirata a garantire il dirit-to umano universale alla salute ealla qualità della vita.

I binari, però, sui quali può edove muoversi ogni autentica edefficace politica sanitaria sonoquelli di una promozione e difesadalla vita accolta come dono diDio.

Una società che guardi all’eser-cizio della medicina in questa otti-ca è chiamata a valorizzare al mas-simo il volontariato, non già comesupplenza all’inadeguatezza dellastrutture e degli organici, ma comestimolo ad arricchire gli uni e le al-tre.

La risposta cristiana a questaistanza la troviamo nel Vangelonon già formulata in termini filo-sofici o teologici, ma attraversoun’immagine ancora più esausti-va: l’immagine del Buon Samari-tano.

Il Buon Samaritano, sebbenecollocato in un periodo storicoche ignorava gli attuali progressidalla scienza medica, è figuracompiuta di una matura civiltà,perché si china “con amore” sul-l’infermo che reclama il ricuperodella vita.

Manifestandosi come amore, ilBuon Samaritano, cioè Cristo stes-so, salda il divino con l’umano nel-la sintesi dell’amore. “L’uomo nonpuò vivere senza amore. Egli rima-ne per se stesso un essere incom-prensibile, la sua vita è priva disenso, se non gli viene rivelato l’a-more, se non si incontra con l’a-more, so non lo sperimenta o lo faproprio, se non vi partecipa viva-mente”4.

“Le istituzioni sono molto im-portanti e indispensabili; tuttavianessuna istituzione può da solasostituire il cuore umano quandosi tratti di farsi incontro alla soffe-renza dell’altro”5.

La società di oggi, particolar-mente nei Paesi avanzati, soffre diinsufficiente interazione tra pro-fessionalità e sensibilità, tra pro-fessione e vocazione.

Soltanto dal loro incontro matu-ra quella civiltà del servizio che siconferma come il più sicuro para-metro di una medicina all’altezzadei progressi assicurati dalla scien-za e dalla tecnica.

S. Em.za Card. FIORENZO ANGELINI

Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Pastorale della salute

Santa Sede

Note1 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica

Evangelium vitae (25 marzo 1995), n. 91.2 Ibidem, n.101.3 “I problemi suscitati o resi più acuti dalla

civiltà tecnologica e, insieme, gli interrogatividegli uomini o delle donne del nostro tempoconvergono nel farci presenti i pericoli del pre-dominio di una razionalità unidimensionale.

L’impostazione scientifica, la molteplicitàdelle branche e dei tempi in cui si dispieganole sue ricerche, i limiti del sapere e della suacomunicazione, sono tutti fattori che gettanonuova luce sulle possibilità e le esigenze di unuso universale e coerente della ragione. La ra-gione umana si impone oggi, con maggioreevidenza di un tempo, come una capacità plu-ridimensionale di conoscenza e non svela lasua coerenza profonda se non a prezzo di unariflessione tanto più necessaria quanto più dif-ficile. Nella prospettiva direttamente etica... laragione appare dotata di una intenzionalitàmultipla e correlativa, come capacità di deci-frazione del mondo e dell’uomo come sogget-to individuale, come comunicazione intersog-gettiva, come vocazione allo sviluppo, cioè alsuperamento, alla trascendenza”. C.J. PINTODE OLIVEIRA, La crisi della scelta morale nel-la società tecnica, Torino 1978, pp. 65-66.

4 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Re-demptor hominis, 10.

5 Salvifici doloris, 29.

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1. Introduzione

In questo anno giubilare, tutta laChiesa celebra i duemila anni del-l’Incarnazione del Verbo di Dio. Èun momento storicamente moltosignificativo, nel quale la nostramente e il nostro cuore cercano dipenetrare nel mistero dell’Incarna-zione del Verbo, una verità di fedeche però ci sembra difficile da ac-cettare con la nostra povera intelli-genza umana. Goethe, il poliedricoletterato tedesco, riconosceva che“la felicità suprema dell’essere ra-zionale consiste nel ricercare tuttol’investigabile e di venerare silen-ziosamente ciò che è ininvestiga-bile”. Nel mistero dell’Incarnazio-ne di Cristo si uniscono i due ele-menti, l’investigabile e l’ininvesti-gabile, la scienza e il mistero.

2. La medicina alla luce del mistero dell’Incarnazione

Dobbiamo fare violenza allanostra mente per scoprire nel mi-stero dello sviluppo di un embrio-ne umano il Verbo di Dio che si fauomo. Oggi, 2000 anni dopo lanascita di Cristo, ci troviamo nellacondizione di poter descrivere tut-te le tappe del processo di svilup-po dell’embrione, ma continuia-mo a ricorrere alla fede per com-prendere che il Dio che dà la vita,il Creatore, il Signore di tutte lecose, la Seconda Persona dellaSantissima Trinità, il Verbo che hala stessa natura del Padre1, è pre-sente in tutte e in ciascuna dellefasi dello sviluppo embrionale.Questo e solo questo è il significa-to profondo della frase evangeli-ca: “Il Verbo si fece carne e vennead abitare in mezzo a noi”2.

Duemila anni fa un ovulo fu fe-condato prodigiosamente grazieall’azione sovrannaturale di Dio.Quale felice espressione: “Lo Spi-rito Santo scenderà su di te, su testenderà la sua ombra la potenzadell’Altissimo. Colui che nasceràsarà dunque santo e chiamato Fi-glio di Dio”3! Così, da questa unio-ne meravigliosa, scaturì uno zigotecon una dotazione cromosomicapropria. Ma in questo zigote c’erail Verbo di Dio. In lui era riposta lasalvezza degli uomini.

Circa sette giorni dopo si produs-se l’annidamento del blastocito nel-la mucosa dell’endometrio e Dio siridusse ad essere un embrione uma-no. Ma questo embrione era il Fi-glio di Dio e in Lui era riposta lasalvezza degli uomini.

Questo uovo alecitico si svi-luppò lentamente, e man mano chesi sviluppava la segmentazionedell’uovo, iniziarono le sue diffe-renziazioni e la crescita dei primiabbozzi di tessuti, organi ed appa-rati embrionali. E questo nuovoalecitico era il Figlio di Dio, la Se-conda Persona della Trinità, ed inLui era riposta la salvezza degliuomini, di tutti gli uomini, di ogniessere umano4.

Nel primo mese di gravidanza,quando il feto misura già da 0,8 a1,5 centimetri, il cuore di Dio ini-ziò a battere con la forza del cuoredi Maria e cominciò ad utilizzare ilcordone ombelicale per alimentar-si dalla Madre, la Vergine Imma-colata. Il Verbo di Dio dipendevain tutto da un essere umano, mapossedeva una totale autonomiagenetica. Dovevano però trascor-rere nove mesi durante i quali ilVerbo di Dio si trovava nel liquidoamniotico, nella placenta che loproteggeva dal freddo e dal caldo e

gli dava alimento ed ossigeno, pri-ma che nascesse a Betlemme e ve-desse il primo volto umano, sicu-ramente quello di sua Madre, congli occhi appena aperti.

Così fu come Gesù Cristo di-ventò il primogenito di ogni crea-tura5, il nuovo Adamo della nuovacreazione.

Il Figlio di Dio ha redento lacreazione con l’opera più meravi-gliosa, l’essere umano. La reden-zione dell’uomo iniziò con unostato embrionale. Per questo, ilmedico cattolico deve avere questavisione per comprendere la propriamissione: il Figlio di Dio è statouno zigote, un embrione e un feto,prima di giocare per le strade diNazaret, prima di predicare sullerive del mare di Galilea, o prima dimorire crocifisso nelle vicinanzedi Gerusalemme. Il Figlio di Dioha assunto completamente e senzalimitazioni la vocazione di essereuomo.

3. Medicina e creazione

Nel XX secolo la scienza hacompiuto grandi progressi. È riu-scita ad individuare praticamentetutto il codice genetico umano, hainfranto il mistero dell’origine del-la vita ed è penetrata profondamen-te nel processo del concepimento.Ciò nonostante ha ancora una ma-teria in sospeso: lo studio dell’uo-mo in quanto uomo, in tutta la suaprofondità. Non l’uomo come bio-logia, né l’uomo come psicologia,ma l’essenza umana. L’uomo nellasua profondità: i suoi ideali, i suoitimori più inconfessabili, le suemotivazioni, le sue domande e ri-sposte, le sue convinzioni, l’affetti-vità, la capacità di superamento, le

DARÍO CASTRILLÓN HOYOS

La medicina oggi alla luce della Parola di Dio

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sue delusioni, l’amore e il dolore.Si può dire che la scienza rimanealle porte dello spirito umano comedi fronte a un campo estraneo incui è impossibile penetrare. C’èperò come una persuasione nelloscienziato che si avvicina con one-stà allo studio dell’uomo: non tuttotermina nella genetica, né nella psi-cologia o nella psichiatria. C’è unospirito che va oltre la biologia, lafisica, la chimica e la matematica,che richiama l’attenzione, lo stessospirito che rende possibile ogni ri-cerca.

L’uomo è un’unità psicosomati-ca, soma e psiche. Nello stato em-brionale racchiude un mistero euna dignità speciale, quella dell’es-sere spirituale. E la medicina nonpuò dimenticarsene. Oggi, quandovediamo esseri umani vivi usati co-me materiale di laboratorio o scar-tati sotto forma di embrioni conge-lati, quando vediamo malati termi-nali isolati in reparti attrezzati congli ultimi ritrovati della tecnica masenza l’affetto e la vicinanza dei lo-ro cari, viene in mente una doman-da: la scienza non si sta dimenti-cando della parte più profonda del-l’uomo e non sta semplicementedisprezzando ciò che sfugge dalsuo campo di studio?

Il mistero dell’uomo è il misterodi un essere che è cittadino di duemondi. Animale? Sì. Biologico?Sì. Ma è dotato di uno spirito inaf-ferrabile, insondabile. Figlio diDio, fratello di Gesù Cristo. Un es-sere che è sociale per sua natura eche necessita della presenza uma-na dei suoi per non sentirsi estra-neo nel suo stesso ambiente. Crea-tura imperfetta che patisce il dolo-re, ma creatura redenta da Cristo. Ireparti di Terapia Intensiva dovetanti pazienti lottano tra la vita e lamorte sono stati occupati dalla tec-nica, che è la benvenuta, ma hannolasciato fuori la presenza confor-tante della famiglia o il zelante so-stegno spirituale del sacerdote. Latecnica sembra aver vinto sulleconsiderazioni spirituali dell’esse-re umano, quando realmente è ne-cessaria la complementarità: tecni-ca? sì, ma senza dimenticare que-sta dimensione intima dello spiritoumano che continua a sfuggire dal-le mani della scienza medica.“Sappiate che l’essere umano su-pera infinitamente l’essere uma-no”6. Come dev’essere tragico per

un pediatra vedere che dalle suemani esperte fugge via la vita di unbambino!

Spesso abbiamo l’impressioneche in un malato non si veda unapersona umana, ma solo un indivi-duo biologico; è una cosa spiega-bile data la tecnicità delle cure me-diche, ma che non risponde allanatura umana del malato, personache soffre, perché “il malato devesentire che la malattia è compresacome un evento della vita, e laguarigione come un atto che aiutala vita, non come la mera ripara-zione del difetto di una macchina.Ma, a sua volta, ciò risulta impos-sibile senza un determinato atteg-giamento etico, cioè senza ilprofondo rispetto per la vita e sen-za la corrispondente simpatia ver-so di essa. Accentuare tutto ciò nonè sentimentalismo, ma, al contra-rio, appartiene all’essenza dell’at-teggiamento sanitario”7.

L’uomo deve esercitare il domi-nio della creazione che Dio gli haaffidato8, ma il dominio della crea-zione inizia con il dominio di sestesso. Il medico è sicuramentequalcuno che vive con maggiorechiarezza questa lotta per domina-re la creazione nella sfera della vi-ta e porla al servizio dell’uomo.Con la ricerca o con le cure, eglilotta per cogliere nella sua profon-dità i comportamenti della natura eper orientarli verso il bene dell’es-sere umano, verso la conservazio-ne della vita. Ma non deve dimen-ticare che deve farlo partendo dase stesso, dalle molecole del pro-prio essere, dai propri dolori e dal-le proprie ansie, dai propri timori edai propri desideri di amare e di es-sere amato, dalla propria vita e, so-prattutto, dal proprio spirito. Il me-dico vede in se stesso l’uomo checura, sperimenta in sé ciò che isuoi malati sperimentano, e da quideve nascere una compassione euna vicinanza umana molto spe-ciale con colui che soffre, con lapersona che ricorre a lui.

4. La medicina alla lucedel mistero del dolore

Questa riflessione ci introducein un altro mistero cui la medicinasi trova di fronte in questa fine disecolo: il mistero del dolore. L’uo-mo del XX secolo è avverso al do-

lore. Lo vuole sradicare ad ognicosto dalla sua vita, ma ha iniziatoa rendersi conto che è impossibile.L’edonismo ci ha portati a ricerca-re la salute perfetta, l’eterna gio-ventù, la pienezza delle forze pro-lungata il maggior tempo possibi-le. E in mezzo a questo progetto lacomparsa della malattia, del dolo-re, della desolazione, si converte inqualcosa di amaro, inaccettabile.Dove sta questa pretesa di perfe-zione quando l’essere umano sitrova di fronte malattie incurabilicome l’AIDS? Dove sta la tecnicaquando non abbiamo nelle nostremani la pillola del rimedio imme-diato? Dove si colloca la scienza difronte all’inevitabile realtà dellamorte? Perché il genio umano nonha potuto allontanare dalla sua vitail peso della croce?

La vita umana è piena di crociche non possiamo abbattere, millecroci che ci toccano da lontano oda vicino. Ci sono molti doloriumani che non hanno un rimediomedico. Di fronte a questo proble-ma quale atteggiamento si può as-sumere? Quello del masochistache si compiace nel dolore? No,quello dell’essere umano redentoda Cristo che vede nel dolore uncammino di amore, quello di Cri-sto di fronte alla croce. “Il dolore ela malattia fanno parte del misterodell’uomo sulla terra. Certo, è giu-sto lottare contro la malattia, per-ché la salute è un dono di Dio. Maè importante anche saper leggere ildisegno di Dio quando la sofferen-za bussa alla nostra porta”9.

Gesù non era un masochista, maamò il dolore che respingeva10. Quista la base dell’accettazione deldolore. Qui c’è il suo insegnamen-to: “Se qualcuno vuol venire dietroa me rinneghi se stesso, prenda lasua croce e mi segua”11. Per andaredietro a Cristo dobbiamo rinnegarenoi stessi e prendere questa croce.“I cristiani devono imitare i pati-menti di Cristo, e non cercare diraggiungere i piaceri. Si confortaun pusillanime quando gli si dice:‘Resisti alle tentazioni di questosecolo, che da tutte ti libererà il Si-gnore, se il tuo cuore non si allon-tanerà da lui. Perché proprio perrafforzare il tuo cuore venne lui asoffrire, venne lui a morire, a rice-vere sputi e ad essere coronato dispine, ad ascoltare obbrobri, ad es-sere, da ultimo, crocifisso. Tutto

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ciò lo fece per te, mentre tu nonsei stato capace di fare nulla, nonper lui, ma per te stesso’”12. “Daduemila anni, dal giorno della Pas-sione, la Croce brilla come sommamanifestazione dell’amore che Id-dio ha per noi. Chi sa accoglierlanella sua vita sperimenta come ildolore, illuminato dalla fede, di-venti fonte di speranza e di salvez-za”13. Il segno dei discepoli di Cri-

sto è questa accettazione generosadella sofferenza, qualcosa di assur-do per l’uomo di oggi e di sempre,una sciocchezza14, forse perché,come dice San Paolo, “L’uomo na-turale non comprende le cose delloSpirito di Dio; esse sono follia perlui, e non è capace di intenderle,perché se ne può giudicare solo permezzo dello Spirito”15. Ma tornia-mo alla realtà dello spirito dell’uo-mo, qualcosa che va oltre il pro-gresso della scienza.

San Basilio affermava che“Spesso, loro malgrado, le malat-tie sono castighi per i peccatori, in-viate per la nostra conversione. IlSignore, sta scritto, castiga coluiche ama”16. E più avanti: “È perquesto che tra di voi ci sono moltiammalati e infermi, e un buon nu-mero è morto. Se però ci esami-nassimo attentamente da noi stessi,non saremmo giudicati; quandopoi siamo giudicati dal Signore,veniamo ammoniti per non essercondannati insieme con questomondo”17. Per questo, se ci trovia-mo in condizioni simili, avendo ri-

conosciuto le nostre colpe ed ab-bandonato l’uso della medicina,dobbiamo sopportare in silenzioqueste pene, secondo colui che di-ce: “Sopporterò lo sdegno del Si-gnore perché ho peccato contro dilui”18; e dobbiamo anche correg-gerci, sino a mangiare i degni frut-ti della penitenza, ricordando nuo-vamente il Signore che dice: “Eccoche sei guarito; non peccare più,perché non ti abbia ad accaderequalcosa di peggio”19, 20. La malat-tia è, in tal caso, anche cammino diconversione.

Sua Santità Giovanni Paolo II èun maestro del significato del do-lore, e ci ha insegnato a trovare ilsenso di questo mistero che tor-menta l’uomo. Egli è un Papa mol-to vicino alla sofferenza umana. Siidentifica facilmente con il doloredei malati, condivide la disgraziaaltrui, si interessa a tutti quegli uo-mini che sembrano aggrediti fisi-camente o spiritualmente. Ricor-do, ad esempio, il momento in cui,durante una visita apostolica inBrasile, un bambino delle favelasruppe il cordone di sicurezza e siavvicinò al Santo Padre per chie-dergli l’elemosina. Il Papa si tolseil suo anello e glielo diede. Oltrequesto gesto scopriamo il cuore diun uomo compassionevole vicinoal dolore altrui.

Vedendo Giovanni Paolo II, sipuò ricordare questa frase di SanPaolo: “Completo nella mia carnequello che manca ai patimenti diCristo, a favore del suo corpo che èla Chiesa”21. Proprio con questopensiero inizia il Papa la sua lette-ra apostolica Salvifici Doloris. Inessa racchiude le sue profonde ri-flessioni sul significato della soffe-renza umana unita alla croce diGesù Cristo.

La sofferenza, secondo il pro-fondo pensiero di Papa GiovanniPaolo II, è “veramente soprannatu-rale ed insieme umana. È sopran-naturale, perché si radica nel mi-stero divino della redenzione delmondo, ed è, altresì, profondamen-te umana, perché in essa l’uomo ri-trova se stesso, la propria umanità,la propria dignità, la propria mis-sione”22. Il dolore è il momentoprofondo in cui l’essere umano sitrova con se stesso. Coloro chehanno lavorato nel campo dellaPastorale della Salute conosconola verità tanto drammatica che si

trova dietro questa affermazione.Il dolore è un momento in cui l’uo-mo si presenta faccia a faccia conse stesso, senza reticenze, senza at-tenuazioni, senza falsità.

Il Papa ha anche detto che il do-lore è una prova23, una prova cheevidenzia l’amore, che rende pre-sente l’amore di Dio nel mondo.La sofferenza umana è molte volteun’espressione di amore. Il doloreper l’essere amato che non sta piùvicino a noi è un nuovo modo diesprimergli il nostro amore. Lostesso amore che prima si eviden-ziava in carezze o abbracci, ora sifa dolore per l’assenza.

Amore e dolore formano un bi-nomio che è strettamente unito allanostra fede cristiana. Amore e do-lore sono realtà che vivono stretta-mente unite alle immagini cristia-ne che riempiono le nostre chiese,i nostri tempi, e la parte piùprofonda del cuore dei cristiani.Amore fattosi dolore e dolore sem-pre vivo nell’amore, seguendo l’e-sempio di Cristo. Il dolore senzaamore genererà soltanto afflizionee disperazione, ribellione e scora-mento. L’amore senza dolore è fra-gile, superficiale, incompleto, vo-lubile. La cultura in cui siamo im-mersi, promette la felicità in questavita e si presenta come a portata dimano, qualcosa di facile da co-struire senza ulteriore sforzo, manoi esseri umani sappiamo peresperienza che la felicità nell’amo-re richiede la donazione personalesacrificata. Il dolore può essere uncammino verso l’amore e saràamore autentico e completo solo segiunge attraverso il dolore dell’ab-negazione personale di se stesso infavore dell’altro.

Il dolore è anche un cammino disperanza grazie alla Risurrezionedi Gesù Cristo. È ciò che riflette ilvolto della Pietà di Michelangelo:c’è un dolore per il Figlio morto e,allo stesso tempo, una serena spe-ranza che non tutto finisce qui. C’èun dopo. Il dolore non è la fine del-l’esistenza umana, ma un passag-gio, una Pasqua verso la salvezza.Il dolore è salvifico.

Il dolore vissuto con senso dieternità è un segno di speranza peril mondo di oggi. Come il ‘BuonLadrone’ del Vangelo si commuo-ve e si converte vedendo la soffe-renza di Gesù Cristo24, così la ri-sposta cristiana di fronte alla soffe-

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renza umana è sicuramente unodei segni più grandi di credibilitàdel Vangelo. Accettare il dolore eservire colui che soffre sono igrandi messaggi del cristianesimoattuale ad un mondo non solidaleche molte volte disprezza la perso-na che soffre. Il dolore vissuto nelsacrificio per l’altro è il segno deldiscepolo di Cristo: “Celebrarel’Eucarestia mangiando la sua car-ne e bevendo il suo sangue signifi-ca accettare la logica della croce edel servizio. Significa cioè esseredisposti a sacrificarsi per gli altri,come fece Lui”25. Papa GiovanniPaolo II vede la sua sofferenza co-me un servizio alla Chiesa. Soffri-re è servire, dice nella Lettera Apo-stolica Salvifici Doloris26. È com-pletare il sacrificio di Gesù Cristoin favore della Chiesa. Il Papa ve-de la sua sofferenza come un mododi vivere la propria identità di“Servo dei servi di Dio”. Un uomoche ha come vocazione il viverenon per se stesso, ma per gli altri.

5. La medicina alla luce del mistero dell’amore

Quest’ultimo pensiero ci intro-duce nella chiave di volta dellaprofessione medica, di oggi e disempre: l’amore per l’uomo. Lamedicina non è una scienza teoricache annuncia semplicemente leggie teorie seguendo il metodo empri-co-teorico. È qualcosa di più, è unascienza posta al servizio dell’uomoin ciò che ha di più valido, la vita,perché è la base degli altri doni. Lamedicina è una scienza che si fa se-vizio e il servizio è la parola piùesatta per definire l’atteggiamentodi Cristo verso l’uomo durante lasua vita tra di noi: servire e dare lapropria vita in riscatto per molti27.Il medico, l’infermiere, l’operatoresanitario mettono la propria vita alservizio degli altri nel sacrificio dise stessi. Quante cure per il malato,quante ore di dedizione, quante pri-vazioni, quanti sacrifici fatti peramore nell’attenzione rivolta alprossimo che soffre!

La medicina è amore che ponerimedio al dolore. È misericordia,avvicinamento amoroso al malato,che è visto come prossimo chesoffre. È tecnica che studia perporre rimedio al dolore. È scienzache si accosta all’essere umano,

peccatore, ma figlio amatissimo diDio. La medicina è una disciplinache scopre nell’uomo la sua altadignità e si rivolge a Dio come ri-ferimento ultimo di questa dignitàche oltrepassa i limiti della sua co-noscenza: “Cosa, o chi fu il moti-vo per cui facesti l’uomo con taledignità? Certamente nulla che nonfosse l’amore inestinguibile con ilquale contemplasti la tua creaturain te stesso e ti lasciasti avvinceredall’amore per lei. Lo creasti peramore, per amore gli desti un esse-re capace di gustare il tuo Beneeterno”28. Il malato non è solo unoggetto di studio della medicina,ma è il prossimo che deve essereservito con la dedizione generosadella propria vita e con l’ammira-zione di chi sa che si trova di fron-te un essere che racchiude unapropria dignità e un mistero: la di-gnità di figlio di Dio e il misterodella dimora trinitaria.

In questo senso la scienza medi-ca è un dono di Dio che permetteall’uomo di redimere uno degli ef-fetti più visibili che il peccato halasciato nella sua natura: la malat-tia. San Basilio lo spiegava con unlinguaggio che per noi apparemolto eloquente nella sua sempli-cità.

“Quando il nostro corpo è mala-to, abbattuto per le infermità o perdisturbi di diversa natura, per cau-se esterne o interne, per gli alimen-ti ingeriti, di cui ne soffre l’eccessoo la carenza, Dio, il moderatoredella nostra esistenza, ci ha con-cesso il dono della scienza medica,grazie alla quale si ridimensiona ilsuperfluo e si accresce ciò che sitrova in proporzioni molto ridotte.Di fatto, se ci trovassimo in Para-diso, non avremmo in nessun mo-do necessità né di conoscere né dipraticare l’agricoltura, allo stessomodo se fossimo immuni dallemalattie, come prima della caduta,non avremmo bisogno dell’aiutodi nessuna medicina per curarci.Ciò nonostante, dopo essere statiespulsi da quel luogo ed aver udi-to: ‘Con il sudore del tuo voltomangerai il pane’29, avendo fattomolti sforzi per coltivare la terra,abbiamo inventato l’arte dell’agri-coltura per mitigare gli effetti dan-nosi della maledizione divina,mentre Dio stesso favoriva in noil’intelligenza e la conoscenza diquell’arte. Poi, allo stesso modo,

dato che ci è stato ordinato di tor-nare alla stessa terra con la qualeeravamo stati formati e siamo statilegati alla nostra dolorosa carne,destinata alla morte a causa delpeccato e soggetta per esso allemalattie, ci è stato offerto anchel’aiuto della medicina, affinché incerte occasioni e in una certa misu-ra i malati potessero curarsi.

“Così non è casuale che nellaterra abbiano germinato le piantedestinate a curare ogni malattia; dipiù, esse sono state originate dallavolontà del Creatore, affinché at-tenuassero i nostri mali. Proprioper questo motivo quella efficaciacurativa naturale nascosta nelle ra-dici, nei fiori, nelle foglie, nei frut-ti, nel succo così come tutto ciòche i metalli o il mare hanno di te-rapeutico, non si differenzia innulla dagli elementi analoghi, sco-perti negli alimento o nelle bevan-de... I cristiani devono preoccu-parsi di servirsi della medicinaquando sia necessario, in modo ta-le che non attribuiscano ad essatutte le cause della sua buona ocattiva salute, e usare i mezzi cheessa ci offre per dare gloria a Dio...

“Ad ogni modo, e certamentenon per il fatto che alcuni utilizza-no stupidamente la medicina, dob-biamo rinunciare alla sua utilità. Inrealtà, non perché certi intempe-ranti, praticando l’arte della cucinao della pasticceria o della moda,abusano nella concezione delle co-se voluttuose, oltrepassando i limi-ti della necessità, per questo tuttele arti devono essere rifiutate danoi...

“Ci viene dato il beneficio dellabuona salute, sia per mezzo del vi-no mescolato con aceto30, come nelcaso di colui che si trovò con i la-droni, sia per mezzo dei fichi, co-me in Ezechia”31, 32.

Il medico e l’operatore sanitariocollaborano nella lotta contro glieffetti del peccato, causa ultimadella malattia. I medici sanno cosasignifica questa redenzione del no-stro corpo33 di cui parla San Paolo.La sua lotta contro il male biologi-co è un segno dell’amore di Dioche continua a riconquistare lacreazione per mezzo dell’uomo.L’operatore sanitario usa i doni diDio per servire i suoi fratelli. Sel’uomo, ogni uomo, può collabora-re con Dio nella sua azione salvifi-ca, la medicina lotta contro il di-

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sordine che il peccato ha lasciatonel mondo. Medici e operatori sa-nitari, siate segni di questo amoredi Dio per l’uomo. Siate uomini edonne che mettono la propria vitaal servizio dell’uomo combattendoil male e vincendolo con il bene.Siate strumenti della misericordiadi Dio, siate presenza dell’amoreredentore di Cristo che accoglie ecura. Non lasciate che la sua voca-zione si perda in un pragmatismofreddo e distante e che non va oltrele tecniche e le leggi naturali. Ilmedico, l’operatore sanitario, puòessere un segno dell’amore di Diotra gli uomini, suoi fratelli, coluiche mette il proprio cuore in mez-zo alle miserie umane. Questa è lamisericordia, la debolezza di Dio ela nostra forza.

6. Conclusioni

In duemila anni l’essere umanoha appreso molte cose. Ha stabilitoun rapporto più profondo con larealtà che gli ruota attorno. Si puòdire che ora conosca con maggioresattezza il mondo creato, dal ma-crocosmo al microcosmo. Ha sco-perto le leggi che reggono la vita ele cause della malattia, leggi giàdelle antiche congetture senza ba-se scientifica. Negli ultimi secoliha fatto passi da gigante nella pe-netrazione dei grandi processi del-la vita umana. Proprio per questo,ora che conosciamo maggiormen-te l’uomo, ora che la medicina havarcato di più il segreto della tra-smissione della vita, ora che pro-grediamo nella tecnica e nellascienza medica, progrediamo an-che nel maggior rispetto di questo

meraviglioso dono di Dio. A nullavarrebbe tutto il nostro sforzoscientifico se non si traducesse inun servizio più completo versoogni essere umano nel rispetto del-la sua integrità e nella compassio-nevole considerazione della ric-chezza spirituale che ci si manife-sta nelle sue opere; a nulla varreb-be se ciò sfuggisse dai nostri stru-menti di studio. Rispettiamo l’uo-mo, amiamo l’uomo, proteggiamoil suo mistero, la sua spiritualità.

Termino facendo riferimento aMaria Santissima, la Madre chediede il suo sì generoso per l’In-carnazione del Verbo34 e che ac-compagnò nel Calvario Cristo feri-to35, coperto di piaghe, maltrattato,con la sete dei moribondi36. Larealtà del Calvario è quella che sivive in molti reparti di pronto soc-corso. Maria accompagna il feritosanguinante e livido in una scenache può portare consolazione ai re-parti di pronto soccorso. È lui, dal-la sua croce di malato terminale,che guarda sua Madre, dalla qualericeve consolazione. Per questonoi cristiani, quando ci sentiamooppressi dal dolore, abbiamo ap-preso da Cristo a cercare rifugionelle braccia di Maria, come ilbambino che si trova di fronte unpericolo e corre tra le braccia dellapropria madre per sfogarsi nelpianto. Che Maria, consolatricedegli afflitti, ausilio degli infermi,ci accompagni in questo Congres-so e ci aiuti a ricercare tutto ciò cheè investigabile e a venerare silen-ziosamente e umilmente ciò che èininvestigabile.

S. Em.za Card. DARÍO CASTRILLÓN HOYOS

Prefetto della Congregazione per il CleroSanta Sede

Note1 Cfr. Credo Niceno-constantinopolitano.2 Cfr. Gv 1, 14.3 Lc 1, 35.4 Cfr. Congregazione per la Dottrina della

Fede, Dichiarazione Dominus Iesus 12-15, 6agosto 2000.

5 Cfr. Col 1, 15-16.6 “Apprenez que l’homme passe infiniment

l’homme”, BLAISE PASCAL, Pensées.

7 ROMANO GUARDINI, Ética, lecciones en laUniversidad de Munich, c 11, 2, BAC, Madrid1999, p. 715.

8 Cfr. Gn 1, 28-30; 9, 7.9 GIOVANNI PAOLO II, Omelia in occasione

del Giubileo dei Malati e degli Operatori Sa-nitari, Roma 11 febbraio 2000.

10 Cfr. Mt 26, 39.11 Cfr. Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23.12 SANT’AGOSTINO, Sermone sui pastori,

Sermone 46, 10-11.13 GIOVANNI PAOLO II, Omelia in occasione

del Giubileo dei Malati e degli Operatori Sa-nitari, Roma 11 febbraio 2000.

14 “La parola della croce infatti è stoltezzaper quelli che vanno in perdizione, ma perquelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio.Sta scritto infatti: ‘Distruggerò la sapienza deisapienti e annullerò l’intelligenza degli intelli-genti. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto?’ Do-ve mai il sottile ragionatore di questo mondo?Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienzadi questo mondo? Poiché, infatti, nel disegnosapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sa-pienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto aDio di salvare i credenti con la stoltezza dellapredicazione. E mentre i Giudei chiedono imiracoli e i Greci cercano la sapienza, noi pre-dichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giu-dei, stoltezza per i pagani; ma per coloro chesono chiamati, sia Giudei che Greci, predi-chiamo Cristo potenza di Dio e sapienza diDio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sa-piente degli uomini, e ciò che è debolezza diDio è più forte degli uomini” (1 Cor 1, 18-25).

15 1 Cor 2, 14.16 Prv 3, 12.17 1 Cor 11, 30-32.18 Mic 7, 9.19 Gv 5, 14.20 BASILIO IL GRANDE, Regole lunghe, 55,

1-5.21 Col 1, 24.22 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica

Salvifici Doloris 31, 11 febbraio 1984.23 Cfr. Salvifici Doloris 23.24 “Uno dei malfattori appesi alla croce lo

insultava: ‘Non sei tu il Cristo? Salva te stessoe anche noi!’. Ma l’altro lo rimproverava:‘Neanche tu hai timore di Dio benché condan-nato alla stessa pena? Noi giustamente, perchériceviamo il giusto per le nostre azioni, egli in-vece non ha fato nulla di male’. E aggiunse:‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuoregno’. Gli rispose: ‘In verità ti dico, oggi sa-rai con me nel paradiso’” (Lc 23, 39-43).

25 GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante lachiusura della XV Giornata Mondiale dellaGioventù, Tor Vergata, Roma, 20 agosto2000, 5.

26 Cfr. Salvifici Doloris 27.27 Cfr. Mt 20, 28; Mc 10, 45.28 Cfr. SANTA CATERINA DA SIENA, Il dialo-

go della Divina Provvidenza, 13, ed. G. Ca-vallini (Roma 1995), p. 43.

29 Gn 3, 19.30 Cfr. Lc 10, 30-34.31 Cfr. 2 Re 20, 7.32 Cfr. BASILIO IL GRANDE, Regole lunghe,

55, 1-5.33 “La creazione infatti è stata sottomessa

alla caducità – non per suo volere, ma per vo-lere di colui che l’ha sottomessa – e nutre lasperanza di essere pure lei liberata dalla schia-vitù della corruzione, per entrare nella libertàdella gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene,infatti, che tutta la creazione geme e soffre fi-no ad oggi nelle doglie del parto; essa non è lasola, ma anche noi, che possediamo le primi-zie dello Spirito, gemiamo interiormenteaspettando l’adozione a figli, la redenzionedel nostro corpo” (Rm 8, 20-23).

34 Cfr. Lc 1, 38.35 Cfr. Gv 19, 25.36 Cfr. Gv 19, 28.

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18 SALUTE E SOCIETÀ

Il mio intervento “Limiti dellatecnologia” trova adeguata illustra-zione tramite un esempio preso dal-la medicina relativo allo sviluppodi un vaccino contro il carcinomaalle cellule renali e alla prostata.

Tecnologia senza limiti

La nuova conoscenza scientifi-ca e la realizzabilità delle soluzio-ni tecniche rendono suggestivo ilconcetto di una tecnologia privadi limiti, capace di consentire al-l’essere umano di penetrare nelleprofondità infinite dello spazio edi analizzare i microcosmi fin nel-le loro strutture più piccole. Tuttoquesto ha indotto enormi cambia-menti nella nostra visione scienti-fica del mondo; ciò naturalmenteè estensibile anche alle dottrineumanistiche, fino alla religione ealla spiritualità: esiste la realtà disette che pretendono di possedereun contatto diretto con il sacrosulla base della nuova conoscenzascientifica.

Con le sue scoperte, lo scorsosecolo ha compiuto enormi passinel progresso tecnologico. Oggi,dobbiamo chiederci se questo pro-gresso potrà conoscere dei limiti.La ricerca spaziale, la biologiamolecolare e le possibilità del tut-to illimitate dei mezzi di comuni-cazione inducono oggi molte per-sone a credere che non ci possa es-sere più progresso senza tecnolo-gia. Le dottrine umanistiche sonoquindi subordinate alle scienze na-turali? Sono solo i progressi tecni-ci che producono lo sviluppo so-ciale, e il progresso culturale e del-

la civiltà? Se fosse così, vorrebbedire in definitiva che quando latecnologia avrà raggiunto i proprilimiti, tutte le attività e i progressidell’uomo arriveranno a un puntooltre il quale non si può procedere.Ciò non può essere.

I limiti della tecnologia

I limiti della tecnologia sonocontingenti alle leggi della natura edella civiltà, dell’etica e della mo-ralità. Se consideriamo la tecnolo-gia nelle singole discipline scienti-fiche, è evidente che ci sono moltecostrizioni alla realizzazione delleidee scientifiche. Tuttavia, non si-gnifica che questi limiti sarannocancellati domani o il giorno suc-cessivo e che non possa riapparirela pretesa illimitatezza. L’espe-rienza dei trascorsi decenni lo haconfermato più volte.

Ambivalenza dell’ingegneria genetica

In questa relazione vorrei riferir-mi agli sviluppi dell’ingegneria ge-netica: forme geneticamente mani-polate di piante agricole hanno svi-luppato all’improvviso proprietàdi resistenza ai pesticidi, allo stressambientale e climatico, così da le-gittimare la giustificata speranzadella soluzione del problema del-l’alimentazione nel mondo. Ulte-riori esempi sono lo sviluppo di al-cune razze animali, la clonazionedi specie animali e gli esperimentiper creare scorte di organi di ri-cambio clonando cellule staminali

dagli embrioni umani. Se quest’ul-timo confine dovesse essere supe-rato, la barriera alla clonazione diesseri umani non sarebbe più cosìinsuperabile, aprendo la strada allaviolazione di convenzioni moralistabilite.

L’ingegneria genetica non deveessere equiparata ai confini moralitrascendenti, come dimostrano tral’altro i nostri tentativi nel campodella ricerca sul carcinoma. Questaè assolutamente necessaria oggipoiché la terapia contro il cancrosembra aver raggiunto limiti defi-niti nella sua forma attuale (opera-zioni chirurgiche, chemioterapiae radioterapia) o almeno non avercompiuto molti progressi negli ul-timi decenni.

La terapia genetica

Il concetto di terapia genetica fuoriginariamente sviluppato per cu-rare le malattie basate sui difettigenetici con l’intento di corregge-re le sequenze genetiche difettosetramite la sostituzione con copie digeni sani. Questa definizione dellaterapia genetica fu così rapida-mente estesa che con il termine te-rapia genetica si intende ora sia laterapia dei geni sia la terapia coni geni. Quest’ultima si basa sull’in-troduzione specifica di nuovi geninelle cellule colpite al fine di otte-nere effetti terapeutici.

La terapia genetica e il cancro

Nella terapia contro il cancrovengono attualmente impiegati nu-

ALFONS HOFSTETTER

I: Limiti della tecnologia

I SezioneUna realtà contrastante

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merosi geni con diversi meccani-smi di azione. Il ruolo di maggioreimportanza va attribuito ai geniche modulano il funzionamentodel sistema immunitario con tenta-tivi volti a stimolare le cellule im-muni (cellule di difesa immunolo-gica) capaci di riconoscere e di-struggere le cellule tumorali.Inoltre vengono usate cellule sui-cide. Le cellule tumorali che espri-mono questi geni muoiono per l’a-zione di determinati farmaci. Que-sto tipo di sensibilizzazione farma-cologica è già impiegato normal-mente nel trattamento di melano-mi, di vari tumori al cervello e delcancro al colon.

Altre terapie trovano ragionesull’espressione di geni soppres-sori del tumore, come nel caso delP53, la cui sovraespressione portaa apoptosi (morte naturale dellecellule). I tentativi più recenti nellaterapia genetica stanno esplorandol’uso di DNA antisenso, che do-vrebbe presupporre, ad esempio,l’espressione di protooncogenicome c-myc o fattori di angiogene-si (angiostatina, endostatina).

Le attuali elevate aspettative ri-poste nell’immunoterapia sono ilrisultato del costante aumento del-la conoscenza del fisiologico fun-zionamento dell’immunostimola-zione e dell’importanza centraledelle sinapsi immunologiche:esempio emblematico è lo strettocontatto tra le cellule che presenta-no antigeni e le cellule difensive(cellula T); il loro contatto portaall’attivazione della difesa soltantoquando si presenta un secondo se-gnale attraverso l’interazione tramolecole di superficie (B7) sullecellule che esprimono antigeni e ilricettore presente sulla cellula im-munitaria. Questa costimolazioneè necessaria per l’attivazione dellecellule immunitarie.

Le ricerche molecolari indicanoche molte cellule tumorali espri-mono antigeni che possono esserericonosciuti da ricettori specificidelle cellule immunitarie. A questoscopo le cellule tumorali esprimo-no di solito sufficienti molecole diadesione al fine di stabilire le sina-psi immunologiche prima citate.Tuttavia, poiché la maggior partedelle cellule tumorali è priva dellemolecole di costimolazione, lecellule difensive non sono attivate.La maggior parte delle cellule tu-

morali, non secernendo nessunasostanza che promuova la cresci-ta cellulare (cytokine), impediscel’attivazione di un’adeguata rispo-sta immunitaria.

Questa precisa informazione haportato al tentativo di modificarele cellule tumorali in cellule conantigeni buoni attraverso le modi-ficazioni genetiche inserendo nellecellule tumorali i geni per le mole-cole di costimolazione (ad es. B7)e vari geni per indurre l’espressio-ne di cytokine. Queste cellule tu-morali, una volta geneticamentemodificate, sono quindi sommini-strate al paziente come vaccinicontro le cellule tumorali con l’o-biettivo di attivare le cellule difen-sive attraverso il segnale antigen-specific e di distruggere, in combi-

nazione con la costimolazione e lesecrezioni di cytokine, il tumore.

Nelle nostre ricerche in-vivo ein-vitro, abbiamo studiato due di-verse linee di cellule tumorali, ge-neticamente modificate, del carci-noma alle cellule renali che espri-mono interleukina 2 e interleukina7 in combinazione con la molecoledi costimolazione B7. Le due lineedi cellule tumorali sono state di-sponibili in un lungo periodo ditempo per uno studio multicentri-co di fase I al fine di produrre unvaccino contro il carcimoma meta-statico renale.

Nei vaccini con cellule tumoraligeneticamente modificate, la cel-lula tumorale è usata come vettoreper gli antigeni tumorali ovviandoal bisogno di identificare gli anti-geni che portano all’immunosti-molazione. Le cellule tumoralipossono produrre fattori immu-nosoppressivi (inibitori delle cy-tokine), così che non c’è nessunaimmunostimolazione in presenzadi antigeni; ciò può avvenire anchedopo la modificazione geneticadelle cellule tumorali tramite mo-

lecole di costimolazione e attivato-ri di cytokine. Questo non è l’uni-co problema nella nostra ricerca.Un altro inconveniente nell’usodelle cellule tumorali come vacci-ni è l’alto costo delle attrezzature edel tempo necessari per produrreun numero adeguato di cellule pervaccinare molti pazienti. L’espe-rienza finora raggiunta con i vacci-ni cellulari mostra che il fattorecosto e la tecnologia elaboratanon permettono un’applicazionesu vasta scala.

I limiti accelerano lo sviluppo dinuovi concetti di terapia genetica.Un concetto promettente si basasull’introduzione dei geni immu-nostimolatori direttamente nel tu-more. Nuove sfide tecnologiche emetodologiche nascono da questotipo di terapia genetica in-vivo. Adesempio, i vettori finora testati,molto adatti per il trasferimentogenetico in-vitro (vettori retrovira-li), non sono inadatti per il trasferi-mento genetico in-vivo. Nuovi si-stemi di vettori derivati dal virusdell’herpes simplex e virus similinon mostrano questi limiti e sonoattualmente in via di sviluppo.

Nel migliorare l’efficienza deltrasferimento genetico in-vivodevono essere considerati criteriquali la sicurezza del sistema divettore usato, la regolazione del-l’espressione genetica e la dosedei geni. A questo riguardo, sistanno creando sistemi di vettoricon promotori inducibili e tessuti-specifici. Un’espressione prosta-ta-specifica può essere raggiunta,ad esempio, usando il promotoredell’antigene prostata-specifico(PSA). Altri promotori sono indu-cibili con il caldo, mediante estro-geni o tetracicline e possono spe-cificamente accendere e spegnere igeni terapeutici.

I geni che codificano per le cy-tokine, le molecole di costimola-zione o gli antigeni tumorali sonodisponibili per il trasferimento ge-netico in-vivo. Si può concepireanche l’uso di RNA (acido ribonu-cleico) isolato dal materiale tumo-rale. Questi geni possono esseredirettamente somministrati in-vivoo caricati ex-vivo su cellule chepresentano antigeni. I dati finoradisponibili stanno ad indicare chetramite un’iniezione in-vivo pos-sono essere indotti tanto una ri-sposta anticorpale quanto cellu-

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20 SALUTE E SOCIETÀ

lare nei confronti del tumore.Lo sviluppo degli ultimi anni ha

permesso di estrarre ex-vivo cellu-le con antigeni tumorali, lisati tu-morali o complessi proteina/pepti-de consentendo una coltura in-vitrodi cellule con antigeni. Il vantaggioconsiste nel fatto che le cellule mo-dificate che presentano antigenipossono essere analizzate per le lo-ro proprietà immunostimolanti pri-ma di essere iniettate nei pazienti.Gli svantaggi sono che gli antigenitumorali o peptidi devono esserenoti. Mentre molti antigeni sono giàconosciuti nel melanoma – questoconcetto viene attualmente provatocon risultati promettenti negli studiclinici – la conoscenza degli antige-ni della maggior parte degli altri ti-pi di tumore è ancora piuttosto scar-sa, così che la sfida del futuro èquella di identificare gli antigeni re-lativi ad altri tumori.

L’esperienza dei primi studi cli-nici dei vaccini prodotti da celluletumorali alterate dall’ingegneriagenetica e dalla somministrazionein-vitro di peptidi tumorali mostrache è possibile stimolare un’immu-noreattività tumorale clinicamenterilevante. Tuttavia, allo stesso tem-po è risultato evidente che le va-rianti tumorali nascono sotto lapressione selettiva della reazioneimmunitaria antitumorale indotta,resistente alle risposte immunitarieprovocate. Il meccanismo di que-sta fuga immunitaria è multifatto-riale ed include la repressione deirelativi antigeni tumorali, la perdi-ta di molecole che presentano anti-geni MHV e l’espressione di fatto-ri immunoinibitori.

Questi risultati sottolineano chela riuscita di un’induzione di rea-zione immunitaria antitumoraleè solo un parametro nella com-plessa interazione tra il tumore e ilsistema immunitario. Nell’analisifinale i risultati a lungo terminecon la terapia genetica possono es-sere raggiunti solamente quandosaranno comprensibili le moltepli-ci interazioni tra tumore e sistemaimmunitario e solamente quandosarà possibile modulare questa in-terazione in modo specifico. Nonho alcun dubbio che questo avràsuccesso. L’unica questione apertaè il tempo che ci vorrà per farebreccia nel clima ostile alla ricer-ca di fronte a cui l’ingegneria ge-netica si trova.

Con l’ingegneria genetica ab-biamo raggiunto le frontiere diciò che è tecnicamente fattibilenella lotta contro il cancro. Ora ènecessario trovare il giusto ap-proccio tenendo conto della mol-teplicità di esperienze e dellanuova conoscenza che ci porteràpiù vicini alla soluzione del pro-blema del cancro.

Limiti tecnici alla terapia genetica

L’esempio della nostra ricercacontro il cancro ha dimostrato i li-miti tecnici e i nostri tentativi persuperarli. Tali limiti possono esse-re superati. Tuttavia ci sono altri li-miti più importanti, cioè costrizio-ni morali ed etiche che devono es-sere osservate e che devono riguar-dare il valore e la dignità della vitaumana.

Pericoli del progresso tecnologico

Se consideriamo il progressotecnologico in termini generali,dobbiamo osservare che il benes-sere e l’integrità del singolo essereumano oggi non è al primo postonella lista di priorità della ricerca.Per chi questa ricerca di benefici,per il benessere di chi e per qualetipo di essere umano?

Limiti del progresso

Per quanto grande sia l’interessescientifico, ogni progresso tecno-logico deve essere soggetto a co-strizioni morali in quanto l’inte-grità e la dignità della persona ri-chiedono limiti. A parte ciò, sonoconvinto che quello che viene vi-

sto come “progresso tecnologico”non può alla fine creare nulla dinuovo. Tutto ciò che produce diapparentemente nuovo sulla basedi esperimenti coscienziosi confallimenti ed errori è già stato de-terminato. Malgrado tutti i succes-si della ricerca l’umanità non riu-scirà a fare una nuova creazione,cioè a creare qualcosa dal nulla,neanche in futuro. A dispetto diogni progresso tecnologico, gli uo-mini saranno sempre e soltantoscopritori e possibili inventori, maicreatori.

Ricerca come missione umana

Sappiamo dalla prima paginadella Bibbia che Dio ha chiestoagli esseri umani di prendersi curadella Sua creazione nell’osservan-za delle Sue leggi. La creazione ègerarchica. In cima per il non cre-dente c’è l’essere umano e la suavocazione profonda, ma per il cre-dente c’è l’essere umano e la suachiamata divina. Per questo moti-vo la tecnologia non potrà maiprodurre qualcosa che distruggeràl’integrità dell’essere umano, ilsuo sviluppo naturale e la dignitàpersonale. Questa è una massimacontro cui deve misurarsi ogniprogresso tecnologico.

Il compito della tecnologia èquello di servire l’umanità, l’indi-viduo e in particolare quanti si sen-tono emarginati per la malattia. Sela ricerca perde di vista questoobiettivo e soccombe alle “illusio-ni creative”, ciò trasformerebbe ra-pidamente i benefici della ricercafacendoli diventare dannosi. Cre-do che i limiti del progresso tecno-logico nella medicina siano statiben definiti dalle parole del SantoPadre nella Giornata del Malatodell’11 febbraio 2000: “La ricercae la tecnologia devono evitare dicreare nuove forme di alienazioneper i deboli, gli anziani e i malatiincurabili”. Completamente d’ac-cordo con il Papa, vorrei alzare unconfine per la tecnologia, in parti-colare per la mia specialità, cioè laricerca medica.

Prof. ALFONS HOFSTETTERDirettore scientifico

del Centro di Urologia di MonacoCapo della Divisione di Urologia

dell’Università di Monaco (Germania)

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Premessa

Gli argomenti di questa confe-renza internazionale sull’assisten-za sanitaria e la società sono: le sfi-de tecnologiche e la disumanizza-zione della scienza medica. Que-st’ultimo tema ci segnala che, at-tualmente, la cura dei pazienti è, inmisura più o meno grande, disuma-na, e che si è giunti a un grado didisumanizzazione al quale biso-gnerebbe porre rimedio.

Tuttavia, prima di poter parlaredi disumanizzazione delle cure me-diche, è necessario definire cosa es-sa sia, in modo da poter esaminarea fondo le sue manifestazioni e stu-diarne le cause passate e presenti.

Lo farò parlandovi della disuma-nizzazione nella pratica medica enell’assistenza sanitaria in genera-le. Dove e quando questa colpa faspecifico riferimento all’assistenzaall’interno e all’esterno delle strut-ture ospedaliere apparirà evidentea tutti. In secondo luogo, in questaconferenza mi limiterò al mondoindustrializzato occidentale, poi-ché è qui che il problema ha avutoorigine, anche se prima o poi ancheil Terzo Mondo si troverà a doverloaffrontare.

1. Cos’è la disumanizzazione?

Che cosa intendiamo per disu-manizzazione? Essa è, in breve, ladegradazione della persona umana.Ogni essere umano è una personaoriginata dall’ovulo fertilizzato (zi-gote) e tale rimane fino alla morte– a prescindere dalla sua condizio-ne fisica o mentale – esclusiva-mente per il fatto di essere statacreata ad immagine di Dio.

Questa dignità dà alla persona il

diritto di essere rispettata. Infatti, ladisumanizzazione altro non è chela mancanza di rispetto per l’altronella sua diversità1, ed in particola-re, per quanto riguarda il nostro ar-gomento, è il non rispettare il pa-ziente come persona nella sua ma-lattia.

Questa degradazione del pazien-te si manifesta in molte forme epuò andare dal non dedicargli suf-ficiente attenzione al considerarlocome un animale o un oggetto chepuò essere usato come strumentoper raggiungere uno scopo, o chepuò, se necessario, essere distruttoo aiutato a togliersi la vita.

2. Le cause della disumanizzazione

Ad un esame più attento, in ef-fetti, tutti i casi di disumanizzazio-ne sembrano aver origine dallostraordinario progresso scientificoe dagli sviluppi tecnologici del se-colo scorso, dall’influenza dell’e-conomia, dalla crescente burocra-zia e dal processo di secolarizza-zione in corso nella società e, diconseguenza, nella scienza medi-ca, che è probabilmente il fattorepiù importante.

È innegabile che l’attuale assi-stenza medica si sta rapidamentetecnicizzando. In primo luogo ne-gli ospedali, con le loro attrezzatu-re altamente tecnologiche per iltrapianto di praticamente qualsiasiorgano, la terapia intensiva, la dia-gnostica prenatale, l’inseminazio-ne artificiale e presto, forse, lacreazione o, a causa delle nuovescoperte della genetica, la clona-zione dell’uomo, per menzionarnesolo alcune.

Quando parliamo delle tecnolo-

gie dell’assistenza sanitaria, il suo-no stesso della parola ha un sot-tofondo negativo. Di per sé questonon è giusto perché, se per tecnolo-gia intendiamo l’uso di strumentitesi a rendere le cose poste al difuori di noi idonee ai fini umani, latecnologia in se stessa potrebbe be-nissimo servire l’uomo e la naturae rappresentare persino un arricchi-mento della nostra cultura, comeafferma Papa Giovanni Paolo IInella sua enciclica Laborem Exer-cens2.

Tuttavia, dai tempi di FrancisBacon (1561-1626), il primo soste-nitore della ricerca scientifica orga-nizzata con il fine ultimo di assog-gettare la natura, sotto l’influenzadel progresso della scienza e dellatecnologia moderna l’originalecultura occidentale cristiana si ègradualmente trasformata in unacultura secolarizzata. Una culturache preferirebbe affrontare tutti iproblemi – inclusi quelli medici –in modo tecnico e che alla fine nonrifugge neppure dall’uso dell’euta-

JOANNES P.M. LELKENS

II: Disumanizzazione dell’assistenza sanitaria all’interno e all’esterno delle strutture ospedaliere,le sue cause di fondo e le aspettative per il futuro

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nasia come soluzione tecnica perporre fine alla sofferenza umana.In altre parole, è divenuta una cul-tura che può a buon diritto esserechiamata tecnicista3. Con il terminetecnicismo si intende la presunzio-ne umana di gestire la realtà, comesignori e padroni, con l’aiuto dimetodi di controllo tecnologici escientifici per risolvere così i vec-chi ed i nuovi problemi e garantireuna crescente prosperità materiale,ossia il progresso4.

Anche in questo caso la connes-sione che è possibile fare tra seco-larizzazione (che, in effetti, è dissa-crazione) e tecnicismo è evidente:l’uomo occidentale accetta sempremeno il fatto di vivere in una realtàcreata da Dio. Al contrario, egli ri-tiene che questa realtà acquisti si-gnificato solo con l’applicazionedella tecnologia umana e dopo averprodotto dei miglioramenti.

Strettamente correlata alla tecni-cizzazione in generale – ed a quel-la della scienza medica in partico-lare – è l’economizzazione.

È risaputo che, sotto l’influenzadalla prima Rivoluzione Industria-le alla fine del XVIII secolo, e laconseguente tendenza a razionaliz-zare, tecnicizzare ed economizza-re, il capitalismo commerciale delXVI e XVII secolo si è trasformatonell’economia di mercato del capi-talismo liberale5. Questo capitali-smo liberale, che nelle ultime deca-di è diventato capitalismo finanzia-rio, è prosperato specialmente neipaesi dove l’influenza del Prote-stantesimo si faceva sentire piùforte, come l’Inghilterra, l’Olandae, più tardi, anche l’America, parti-colarmente attraverso il commer-cio del cotone e degli schiavi.

In effetti, questa economia dimercato è stata resa possibile solodal desiderio di controllare le cosecon mezzi tecnici. Affascinati dairisultati ottenuti nel commercio enell’industria con i processi razio-nalizzati, i governi hanno iniziatoad applicarli anche all’assistenzasanitaria, dove i costi cresconoconsiderevolmente ogni anno co-me conseguenza dell’acquisto diattrezzature sempre più costose,dell’aumento della retribuzione deidipendenti e della crescente richie-sta di assistenza (causata, tra l’al-tro, dal cosiddetto raddoppio del-l’aspettativa di vita della popola-zione).

Le conseguenze di questa ten-denza ad economizzare e raziona-lizzare l’assistenza medica sonostate e sono tuttora disastrose, siaper i pazienti sia per il personalemedico ed infermieristico, special-mente negli ospedali. Gli ospedalisono considerati come impresecommerciali che devono sottostareal criterio del profitto. Solo qual-che esempio: l’assistenza fornita èdiventata un prodotto ed il pazienteun cliente, la qualità del prodottoda fornire deve essere calibrata eprodotta al minor costo ed il più ef-ficientemente possibile, secondoun protocollo prestabilito, in modotale da rientrare nel budget appro-vato. Le conseguenze di tutto que-sto sono, tra l’altro, una crescente

burocrazia, causata dalla nomina dicosiddetti direttori sanitari e dal-l’assistenza cronometrata che po-ne limiti di tempo alle cure e all’as-sistenza fornita dagli infermieri.

È comprensibile che l’assistenzavenga dosata, ma è triste che si siaandati oltre e si voglia ora anchedeterminare la qualità di vita deipazienti. Ma anche questo è una di-retta conseguenza della crescentedissacrazione. Perché una vitaumana cristiana ha una sola qualifi-ca, cioè il suo essere sacra. Il diri-gente postmoderno, d’altronde, perdare inizio o meno a una cura vuo-le esprimere in misure e numeri ilvalore che la vita di un certo pa-ziente ancora possiede. Ecco per-ché, dal punto di vista economico,viene fatto uno studio di costi, e be-nefici e di efficienza dei costi cal-colando in QUALY6, 7 il punteggioche un paziente deve raggiungereprima di poter ottenere una deter-minata cura o un esame. QUALY èla sigla di Quality Adjusted Life-

Year (durata della vita in anni ade-guata alla sua qualità), un test nelquale si valutano due elementi: ladurata presunta della vita (in anni)e la qualità di questa vita che inclu-de anche una valutazione del recu-pero della produttività del paziente.

La storia ci insegna che parlaredel valore (residuo) di una vitaumana non è cosa nuova. Già nel1920 apparve in Germania unapubblicazione di Binding e Hoche,rispettivamente avvocato e psi-chiatra, intitolata Die Freigabe derVernichtung lebenssunwerten Le-bens8. In italiano: La liberazionedella distruzione di una vita privadi valore. Era questa la prima voltache si scriveva apertamente dellaqualità della vita.

Il fatto che economizzare e ra-zionalizzare l’assistenza sanitariaavrebbe inevitabilmente condottoad un’etica disumanizzante ed uti-litaristica non ha bisogno di spie-gazioni.

Se cerchiamo cause più profon-de di questa disumanizzazione, aseguito della quale al giorno d’og-gi, specialmente nei paesi occiden-tali industrializzati, le azioni medi-che non tengono nel giusto conto ladignità dell’uomo, siamo costrettia concludere con Weber che il se-me del capitalismo del XX secolo,del tecnicismo e dell’economizza-zione odierni (e di tutta la nostra at-tuale filosofia politica) è stato se-minato nella Riforma e special-mente nel Calvinismo9. Di conse-guenza la risultante disumanizza-zione nella scienza medica trova, amio parere, le proprie origini nelladottrina religiosa diffusa dal Prote-stantesimo. Questa posizione ri-chiede un’ulteriore spiegazione.

La Riforma ebbe luogo nel XVI

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secolo come reazione al decadi-mento e alla corruzione all’internodella Chiesa Cattolica Romana.Calvino (1509-1564) predicava –contrariamente a quanto predicatoin tutti i secoli precedenti – che leSacre Scritture erano la sola fonteper la fede e che l’uomo si può sal-vare solo attraverso la fede. Inoltrel’uomo può accettare questa fedesolo se è predestinato da Dio a far-lo attraverso la Sua grazia. L’espe-rienza della fede divenne allorauna questione non tangibile, astrat-ta e mentale, unicamente razionale(o, al contrario, irrazionale). Nonsolo la fede, ma anche i valori mo-rali divennero così una questionesoggettiva ed aperta a molte inter-pretazioni.

La perdita di una sacralità chepoteva essere conosciuta attraversoi sensi, così come la comprensionedi ciò che è sacro e santo, ebbe ori-gine dalla negazione della realepresenza di Dio nell’Eucaristia,dall’abolizione di tutti i sacramenti(eccetto il Battesimo) e dalla quasitotale eliminazione dello splendoredella liturgia e paraliturgia. Persinogli uffici della Chiesa, come l’uffi-cio del ministro del culto, furonodissacrati con la loro apertura ainormali cittadini. Con la dissacra-zione, che priva il mondo del fasci-no della santità, la secolarizzazionesi insinua inevitabilmente nellateologia calvinista. Inevitabilmen-te, poiché i Calvinisti contavanointeramente sulle proprie risorseper dimostrare il proprio stato dipredestinati, poiché era solo attra-verso il successo nel lavoro (cioè laprosperità materiale) che sapevanoche Dio benediceva il loro lavoroed essi potevano essere così certidella propria salvezza.

Contrariamente alla Chiesa Cat-tolica Romana, Calvino negava lapratica e la necessità delle buoneazioni perché solo la fede aveva ri-stabilito il legame tra Dio e l’uo-mo. Ma non si persero solo le buo-ne azioni come mezzo di salvezza,tanto che il lavoro nella sua totalitàfu dissacrato, desacralizzato (ed in-fine sovra-razionalizzato) poiché,così ragionavano, se le buone azio-ni non possono santificare l’uomo,alla luce della predestinazione lecattive azioni non possono dannar-lo. Non fu perciò sorprendente che,in parte come conseguenza dellaloro etica autonoma, tutto (salvo il

commercio degli schiavi) fossegiustificato perché, se si potevanotrarre tanti profitti, la benedizionedi Dio era destinata a posarsi su diloro. Chi erano allora questi Calvi-nisti, chiamati anche Ugonotti inFrancia? La classe sociale da cuiprovenivano i primi seguaci delCalvinismo era la piccola borghe-sia: pubblici dipendenti, scienziati,mercanti, artigiani e banchieri10.Quando in Francia iniziò la perse-cuzione di questi Protestanti, moltilasciarono il paese.

Non furono persone qualsiasi apartire poiché, ovunque si stabili-rono, tecnologia e commercio pro-sperarono. Questo progresso fu co-sì notevole che molti erano inclinia considerare non Adam Smith edil suo libro Indagine sulla natura esulle cause delle ricchezze dellenazioni, pubblicato nel 1775, qualefondatore della scuola classica delliberalismo economico, ma bensì iCalvinisti.

La maggior parte di loro andò inSvizzera, Germania, Danimarca,Svezia, Inghilterra e specialmentenell’Olanda di allora dove furonoaccolti calorosamente e dove ebbe-ro molti seguaci. Da qui e dall’In-ghilterra un gran numero emigrò inAmerica ed uno dei luoghi dove sistabilirono fu la foce del fiumeHudson, l’attuale New York. Piùtardi, dopo esser divenuti ricchi co-loni, si amalgamarono alla popola-zione locale.

Insieme con altri gruppi prote-stanti, come Presbiteriani, Battistie Metodisti, entrarono anche in po-litica e non senza successo: contri-buirono tra l’altro alla Dichiarazio-ne di Indipendenza Americana diThomas Jefferson nel Giorno del-l’Indipendenza (4 luglio 1776), enove Presidenti provennero dalleloro file. Fu questo particolaregruppo di coloni ed i loro discen-denti che – deliberatamente o no –stimolarono lo svilupparsi dell’at-tuale ideologia finanziaria e capita-listica e l’economia globale che sidiffuse dagli Stati Uniti in tutto ilmondo. In altre parole: il capitali-smo odierno, con tutti i suoi ecces-si, nasce dall’individualismo prote-stante.

Non è quindi azzardato dire chela causa di fondo dell’attuale disu-manizzazione in generale e del-l’assistenza medica in particolareè dovuta all’ascesa del calvinismo

e non, come spesso si ritiene, al-l’Illuminismo che ebbe solo fun-zione di catalizzatore. Questa tesi,a mio avviso, è sostenuta anchedal fatto che l’Olanda, il paese do-ve il calvinismo ebbe un gran nu-mero di seguaci, è stata la primanazione a consentire e legalizzarel’eutanasia.

3. Umanizzazione dell’assistenza sanitaria

Se vogliamo rendere l’assisten-za sanitaria nuovamente umana,dovremo tenere a mente che stia-mo vivendo in una cultura postmo-derna, una cultura di transizionedalla moderna era industriale ver-so una società informatica.Fukuyama descrive questa transi-zione come uno stacco netto dalpassato, un grande sconvolgimen-to caratterizzato dal collasso deivalori sociali della società dellametà del secolo scorso. Egli fa no-tare che questi valori morali e re-gole sociali, che lui ed altri socio-logi chiamano ‘capitale sociale’,non sono semplicemente restrizio-ni della libertà di scelta individua-le, bensì il principale presuppostoper qualsiasi impresa cooperati-va12. Fukuyama è anche convintoche le persone – poiché esse sono,a suo avviso, autonome – sarannoin grado di formulare per proprioconto nuove norme che migliore-ranno nuovamente la situazione at-tuale. Tuttavia, questa è un’opinio-ne che non posso condividere.

Non solo perché è infondata-mente ottimistica rispetto alla rea-lizzabilità della realtà morale, maspecialmente perché la moralitàsenza Dio è un concetto oziosoche, nella migliore delle ipotesi,porta al moralismo. Solo una verafede cristiana può liberare l’uomodal peccato e renderlo veramentelibero. Ciò che è necessario, quin-di, è la ri-evangelizzazione, in mo-do che a Dio, e così anche al sacro,possa essere restituito un posto diprimo piano.

Il più grande impedimento alla(ri-)evangelizzazione non è tantola resistenza che la Cristianità in-contra, né la presenza di altre reli-gioni ‘concorrenti’, ma è piuttostol’indifferenza che viene dal relati-vismo antidottrinale e postmoder-no che tende sempre più all’emo-

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zionalità. Di conseguenza la Cri-stianità non saprà convincere l’uo-mo di oggi con un approccio teori-co. Forse il mondo sarà nuova-mente colpito dalla fede dei Cri-stiani, specialmente di quelli cheoperano nell’assistenza medica, senel loro lavoro e nella loro fede sa-ranno testimonianza di qualcosache li ha resi profondamente felicie liberi.

Prof. JOANNES P.M. LELKENS, M.D., Ph.D.

Professore emerito di anestesiologia all’Università di Maastricht (Olanda)

Note1 G. CHANTRAINE S.J., Zieken begeleiden in

een pluralistische wereld, in Communio, Ou-dernaarde (1997), n. 4, p. 267.

2 PAPA GIOVANNI PAOLO II, Enciclica La-borem Exercens, Città del Vaticano (1980),par. 5.

3 E. SCHUURMAN, Gebven in wetenschapen techniek (Credere nella scienza e nella tec-nica), Amsterdam: Buijtenen Schipperheijn,1998, p. 59.

4 E. SCHUURMAN, Identiteit of uniciteit(Identità o unicità), in Pro Vita Humana(1998), n. 4, pp. 10-11.

5 Nei giorni del capitalismo commerciale ildenaro rappresentava ancora un mezzo e nonun fine a se stesso come nel capitalismo fi-nanziario.

6 E. SGRECCIA, Rispetto per la vita e ricer-ca della qualità della vita in medicina: aspet-

ti etici, in Dolentium Hominum, n. 28,pp.154-160.

7 W. EIJK, Modelli etici per la gestione del-la salute, in Dolentium Hominum, n. 37,p.59.

8 K. BINDING e A. HOCHE, Die Freigabeder Vernichtung lebensunwerten Lebens (Laliberazione della distruzione di una vita privadi valore), Leipzig: Felix Meiner, 1920.

9 MAX WEBER, The protestant ethic andthe spirit of capitalism, Londra: Allen eUnwin, 1930.

10 I e K. BRANDENBURG, De Hugenoten(Gli ugonotti), Amsterdam: De BataafseLeeuw, 1992, p. 9.

11 F. FUKUYAMA, De grote scheuring (Ilgrande sconvolgimento), Amsterdam/Antwerp:Contact, 1999, p. 17.

12 F. FUKUYAMA, De grote scheuring (Ilgrande sconvolgimento), Amsterdam/Antwerp:Contact, 1999, p. 26.

ORVILL B.R. ADAMS

III: I nuovi operatori sanitari

Le risorse umane – i differentitipi di personale clinico e non-cli-nico che rendono possibile ogni in-tervento sanitario, sia esso pubbli-co che privato – costituiscono glielementi più importanti dei sistemisanitari. La realizzazione di questisistemi dipende sostanzialmentedalle conoscenze, dalle capacità edalle persone che hanno la respon-sabilità di fornire i servizi1.

Contesto di lavoro

Prima di parlare ulteriormente dirisorse umane può essere utile de-scrivere sommariamente gli am-bienti nei quali lavorano gli opera-tori sanitari.

Stato della salute

Lo stato di salute della popola-zione cambia notevolmente da uncapo all’altro del mondo. Paesi co-me il Canada, gli Stati Uniti d’A-merica, la maggior parte dei paesidell’Europa Occidentale e Centra-

le, l’Australia, la Nuova Zelandaed il Giappone hanno bassi livellidi mortalità sia tra i bambini chetra gli adulti, maschi e femmine.Ad esempio, in Canada nel 1999 laprobabilità di morte al di sotto dei5 anni di età era del 6 per mille peri maschi e del 5 per mille per lefemmine. Le percentuali dellaGermania erano le stesse del Cana-da, e analogamente le percentualidella Nuova Zelanda erano del 9per mille per i maschi e del 7 permille per le femmine.

In forte contrapposizione, i pae-si dell’Africa sub-sahariana aveva-no alti livelli di mortalità sia infan-tile che adulta. La maggior parte diquesti paesi hanno avuto anche deilivelli estremamente alti di morta-lità femminile, attribuibili in granparte all’AIDS2. La probabilità dimorire al di sotto dei 5 anni di etàper maschi e femmine in Mali nel1999 era rispettivamente del 240 edel 229 per mille; in Malawi lepercentuali erano del 222 per milleper i maschi e del 215 per le fem-mine1.

Un rapporto presentato alla 105a

riunione del Consiglio Esecutivodell’Organizzazione Mondiale del-la Sanità afferma: “I tassi di morta-lità sono diminuiti in tutto il mon-do, sia per bambini che per gliadulti, eppure la disomogeneità deitassi stessi sembra stia aumentan-do, con inversioni di tendenza inalcune delle parti più povere delmondo”2.

L’OMS sostiene che il tasso dimortalità da solo sia un dato insuf-ficiente per dare la misura dellostato di salute. L’OMS utilizza ilcriterio dell’aspettativa di salute,misurato paragonando l’aspettati-va stessa alla malattia, prendendoquindi in considerazione non solola morte prematura, ma anche l’ar-co di tempo di uno stato di cattivasalute. Le cause principali del cat-tivo stato di salute possono essereraggruppate in tre categorie: 1) in-cidenti; 2) malattie di tipo noncontagioso; 3) malattie di tipo con-tagioso, materne, perinatali e nutri-zionali. Mentre le cause principalidella cattiva salute nella regioneafricana dell’OMS appartengonoal terzo gruppo, le Americhe, l’Eu-

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ropa ed il Pacifico Occidentale so-no dominati da malattie non conta-giose.

L’OMS ha sviluppato degli sce-nari sanitari per aiutare i politiciche si occupano della sanità aprendere decisioni su investimentiin termini di risorse umane, infra-strutture materiali, ricerca e svi-luppo. Uno di tale scenari suggeri-sce: “Si suppone che le cause cheinfluenzano il peso globale dellamalattia si sposteranno da un mo-dello dominato da malattie conta-giose che uccidono i bambini piùpoveri verso un modello dominatoda malattie non contagiose e da in-cidenti. Le principali cause previ-ste includeranno l’ischemia car-diaca, la depressione e gli inciden-ti stradali, seguiti dall’ictus, dallemalattie polmonari ostruttive equindi dalle infezioni delle bassevie respiratorie, la tubercolosi, pre-sumibilmente le guerre, la dissen-teria e l’HIV/AIDS”2.

Riforma del sistema sanitario

La maggior parte dei paesi in viadi sviluppo e dei paesi in fase ditransizione hanno vissuto e stannovivendo processi di riforma nel set-tore sanitario. Le forze esterne do-vute sostanzialmente alle condizio-ni macroeconomiche hanno incen-tivato queste riforme. Le riformedel servizio civile e la ristruttura-zione delle istituzioni economichein accordo alle richieste del FondoMonetario Internazionale e dellaBanca Mondiale si prefiggono diraggiungere l’efficienza in diversisettori. Le riforme puntano pro-priamente a migliorare l’equità,l’efficacia, l’efficienza e la soddi-sfazione degli utenti3, 1.

Bennett et al. nel loro libro del1997 Private health providers indeveloping countries4 indicano inun ruolo più modesto per i governila “reform agenda” promossa dal-la Banca Mondiale in Financinghealth care: an agenda for reform(Banca Mondiale 1987). Si è cosìavuto un incremento nell’attivitàdel settore privato, come la con-cessione in appalto dei servizi sa-nitari (nel Regno Unito), la au-mentata concorrenza fra fornitori,mercati gestiti, ospedali autonomie la crescita degli ospedali privati.Anche il decentramento è stato in-

dividuato come uno stimolo per lacrescita del settore privato.

Queste riforme hanno spessoavuto delle conseguenze non voluteper il settore della salute, soprattut-to per i poveri. Una “Tavola Roton-da sulle riforme dei servizi pubblicie i loro effetti sul personale del set-tore sanitario”, tenutasi presso laFondazione tedesca per lo SviluppoInternazionale e sponsorizzata dal-la Organizzazione Internazionaledel Lavoro insieme alla Organizza-zione Mondiale della Sanità, haevidenziato i seguenti effetti suglioperatori sanitari5:

– abbattimento dei salari (adesempio in Camerun, Uganda);

– disoccupazione del personalesanitario o demotivazione a causadelle incerte condizioni di lavoro;

– agitazioni degli operatori, ma-nifestate con rallentamenti e scio-peri;

– passaggio degli operatori dalsettore pubblico al settore privato,dando luogo ad una riduzionecomplessiva del livello di qualitàe di competenza nel settore pub-blico.

I cambiamenti nell’ambito sani-tario hanno avuto e continuerannoad avere degli effetti significativisul modo in cui vengono addestra-ti gli operatori sanitari, sul lavoroche essi svolgono e su come sonoorganizzati e stipendiati per com-piere questo lavoro.

La globalizzazione

La fuga di personale sanitario èstata per molti anni un problemanotevole per i paesi industrializzatie per i paesi in via di sviluppo. Ognianno un gran numero di medici e diinfermieri specializzati lasciano ipaesi in via di sviluppo. Adams eKinnon6 riferiscono che, sebbene ilpersonale sanitario specializzatotenda ad andare nei paesi industria-li del nord, c’è anche un flusso con-siderevole sud-sud. Per superare lacarenza di medici, il Ghana sta as-sumendo medici da Cuba con con-tratti a tempo determinato tra i duepaesi. La Giamaica sta assumendopersonale infermieristico da paesiafricani, incluso il Ghana. JamesBuchan e Fiona O’May, in un stu-dio dedicato soprattutto alla mobi-lità infermieristica, concludonoche: “La globalizzazione dei mer-

cati e lo sviluppo di coalizioni per illibero scambio (ad esempio l’Ac-cordo Nord Americano di LiberoScambio [NAFTA], l’Unione Eu-ropea [UE], il MERCOSUR), conuna conseguente libera mobilità dilavoro, rappresentano fattori digrande e crescente importanza, sesi esamina la mobilità internaziona-le del personale infermieristico”7.

L’Accordo Generale sul Com-mercio e i Servizi (GATS) defini-sce quattro tipi di commercio: este-ro, movimento di consumatori, pre-senza commerciale straniera e mo-vimento di fornitori di servizi. Fa-cendo riferimento all’ultimo tipo, ilpassaggio di personale sanitario daipaesi poveri verso quelli più ricchiè già un problema serio. Adams eKinnon fanno notare inoltre che sele barriere a questo tipo di movi-mento si sono ridotte per merito delGATS, senza una adeguata struttu-ra di regolazione e senza un miglio-ramento delle condizioni di lavoronel sistema sanitario nazionale nerisulteranno penalizzate l’equità, laqualità e l’efficienza.

La globalizzazione avrà i suoieffetti sugli operatori sanitari anchein altri modi, come il potenziale af-flusso di ditte straniere nel settoresanitario e le richieste che esse po-trebbero presentare sul mercato dellavoro nazionale e pubblico. Unaumento del commercio estero neiservizi sanitari come la telediagno-si e la telemedicina tramite l’infor-matica si ripercuoterà sull’istruzio-ne, sull’addestramento e sulla di-sponibilità a sostenere gli operatorisanitari nelle aree non-urbane.

L’ambiente in cui gli operatorisanitari vengono istruiti e addestra-ti e in cui vivono, lavorano e sonoessi stessi fruitori di servizi sanitariha un impatto profondo sul loromorale, sulle loro decisioni e sullaloro produttività. La creazione di

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operatori sanitari di tipo diverso,anche se spesso guidata da interes-si professionali, dovrebbe in parteessere in funzione delle condizionisanitarie del paese, dei cambia-menti macroeconomici, delle rifor-me del settore sanitario e di piùampi cambiamenti globali. Vienepoco analizzata l’importanza rela-tiva di questi differenti fattori am-bientali.

Problemi attuali circa le risorse umane nel campo della sanità

Cattive condizioni di lavoro,stipendi inadeguati, mancanza diincentivi adatti, gestione non ap-propriata e carenza di strumenti dilavoro come le medicine essen-ziali e i beni di consumo sono fra iproblemi più pressanti che affron-tano gli operatori sanitari nei pae-si in via di sviluppo8, 9, 1, 10. Questosi traduce in squilibri nelle risorseumane nel campo della sanità, ingran parte dei paesi in via di svi-luppo. Adams e Hirschfeld8 divi-dono questi squilibri in quattro ca-tegorie:

– squilibri nei numeri globali:le differenze tra il numero di ope-ratori sanitari di varie categorie e inumeri di cui un paese o la comu-nità ha bisogno e può permettersi;

– squilibri nelle capacità o nel-l’insieme di capacità: una dispa-rità tra il tipo o il livello di adde-stramento e le capacità richiestedal sistema sanitario;

– squilibri nella distribuzione:una disparità in ambito geografi-co, professionale, pubblico/priva-to, istituzionale o nelle specializ-zazioni;

– squilibrio tra le risorse uma-ne per le politiche sanitarie e lapolitica della sanità nazionale:una disparità nelle priorità del si-stema sanitario e l’addestramentoo l’impiego di operatori sanitariadatti.

Questi squilibri sembrano essereproblemi cronici nella maggiorparte dei paesi in via di sviluppo,se non in tutti. Mentre la penuria diprofessionisti sanitari è stata rile-vata nella maggior parte dei paesidel mondo, sia industrializzati chein via di sviluppo, tale penuriasembra essere più grave in Africa ein Asia. Da un esame di 40 paesi

condotto dall’OMS e da 18 studianalitici dei paesi, preparati dagruppi di lavoro per ogni paese ap-partenente a tutte le regioni del-l’OMS, emerge che ogni categoriadi squilibri può prendere forme di-verse nelle varie regioni e paesi.Per esempio, in Africa la causa delproblema sembra essere la bassacapacità di addestramento e la pa-ga molto bassa, che danno luogo aproblemi relativi alla conservazio-ne del posto di lavoro e alla produ-zione. Nella regione del sud-estasiatico dell’OMS, il problema èdovuto più alla bassa distribuzioneche alla produzione. Gli operatorisanitari sono spesso restii a lavora-re in aree rurali.

Sui problemi che devono affron-tare i politici e la classe dirigenteper assicurare investimenti adattisugli operatori sanitari incidonomolti fattori complessi. Alcuni diquesti fattori sono stati discussi quisopra. Gilles Dussault, prima nellaFacoltà di Medicina dell’Univer-sità di Montreal ed ora con la Ban-ca Mondiale, indica i seguenti fat-tori che incidono sullo sviluppodegli operatori sanitari3:

– fattori legali: includono leleggi esistenti, nonché i regola-menti e i modi in cui essi sono ap-plicate.

– fattori economici: la disponi-bilità di risorse sia nel settore pub-blico che in quello privato, e lepriorità economiche del governo.

– fattori organizzativi: la distri-buzione tra le autorità centrali, re-gionali e locali delle responsabilitàe del potere decisionale. Sono an-che importanti il numero e la natu-ra dei ministeri coinvolti nellescelte politiche.

– fattori tecnologici: includonol’uso di nuove tecnologie della co-municazione come Internet e diapplicazioni come la telemedicina.Questi strumenti possono influirein modo notevole sull’istruzione,l’addestramento e la pratica.

– fattori socioculturali: la posi-zione sociale dell’occupazione èuna variabile importante che im-plica un certo grado di potere e diinfluenza politica. È anche impor-tante la percezione dell’occupazio-ne per uomini e donne.

– fattori politici: lo stato deiproblemi sanitari all’ordine delgiorno, il grado di consenso politi-co riguardo al bisogno di cambia-

mento, e la vicinanza di qualchegruppo di operatori sanitari al pro-cesso politico.

Questi fattori, insieme alle moltiparti coinvolte come lo stato, i da-tori di lavoro, i produttori, i mode-ratori, i fornitori di servizi, gli or-gani rappresentativi, i consumatorie i finanziatori esterni11, rendono losviluppo degli operatori sanitarimolto difficile, complesso e politi-camente sensibile.

Chi sono gli operatori sanitari?

C’è una vasta gamma di opera-tori sanitari, suddivisi per catego-ria in base al livello di istruzione edi formazione, ai compiti che essisvolgono, al grado di autonomiadecisionale e ai sistemi nei qualilavorano. Gli operatori sanitari so-no presenti nel settore pubblico,nel settore privato a fini di lucro enel settore privato senza fini di lu-cro. Essi, nell’ambito del sistemasanitario, lavorano sia nel settoredella fornitura personale che inquello della fornitura della popola-zione in genere. L’ultimo gruppoviene spesso definito “fornitori disalute pubblica”.

Gli operatori sanitari sono pre-senti anche nel settore del volon-tariato. Tradizionalmente chi sioccupa di fornire le cure sanitariea casa sono le donne, che si pren-dono cura dei bambini e degli an-ziani. Questo tipo di cura può es-sere considerato una cura volon-taria. Un rapporto preparato dal-l’OMS per l’Assemblea Mondia-le della Sanità, nel maggio del1997, ha analizzato lo stato diprofessionisti sanitari non medicie non infermieri (le due categoriecitate più di frequente). Il rappor-to afferma che “il numero deglioperatori sanitari non medici, in-fermieri od ostetriche può variareda un paese all’altro, da una doz-zina fino a molte centinaia. NegliStati Uniti d’America, per esem-pio, ci sono circa 250 tipi diversidi personale sanitario affine. Letabelle 1 e 2 mostrano la vastagamma di categorie di personalesanitario e la variazione esistenteda paese a paese, come evidenzia-to dai dati delle regioni OMS delMediterraneo Orientale e del sud-est asiatico”12.

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Tabella 1: Distribuzione di vario personale sanitario nella regione del sud-est asiatico

Categoria Bhutan Indonesia Myanmar Sri Lanka ThailandiaTecnici di laboratorio medico (TLM) X X X XTecnici di laboratorio X X X XRadiologi X X X XFisioterapisti X X X XTerapeuti professionali XFarmacisti X X X X XOdontotecnici/Assistenti X X X XAssistenti entomologici XTerapeuti di Ist. Odontoiatrico (infermieri) X XIspettori di sanità pubblica (supervisori) X XAssistenti femminili a domicilio XMicroscopisti XTecnici EEG XTecnici ECG XPreparatori di composti galenici X XOstetriche ausiliarie XAssistenti sanitari X X XOperatori sanitari della comunità XOperatori sanitari di base X XNutrizionisti/Assistenti nutrizionisti X XPersonale dell’archivio medico X X

Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità - Ufficio Regionale per il Sud-Est asiatico

Tabella 2: Elenco degli operatori sanitari nel Mediterraneo Orientale

Professionisti Paramedici/tecnici AusiliariMedici Assistenti farmacisti Aiutanti sanitari/assistentiDentisti Assistenti medici Assistenti sanitariFarmacisti Fisioterapisti Impiegati degli archivi mediciInfermieri diplomati Esperti di igiene pubblica Operatori sanitari della comunitàFisioterapisti Radiologi Assistenti alle nascite tradizionaliUfficiali sanitari ambientali Tecnici di laboratorio Assistenti domiciliariTecnologi di laboratorio Ottici Addetti alle vaccinazioniUfficiali degli archivi medici Tecnici e assistenti di archivi medici ErboristiFunzionari statistici Tecnici CSSD Terapisti tradizionaliNutrizionisti OdontotecniciIngegneri di attrezzature mediche Tecnici statisticiOperatori medico-sociali AudiometriciPsicologi Tecnici ECGMicrobiologi Tecnici EEGBiochimici Assistenti di sala operatoria

DietologiTecnici protesiciTecnici di attrezzature medicheTecnici di protesi dentarieEsperti dell’alimentazioneAnestesiologia/Tecnici ICU

Questo elenco è esplicativo ma non necessariamente esauriente. Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità - Ufficio Regionale per il Mediterraneo Orientale

Il rapporto mostra come le diffe-renze nella nomenclatura e nellaclassificazione da un paese all’al-tro rendono molto difficile i para-goni tra i vari paesi degli operatorisanitari. Le definizioni possono es-

sere fuorvianti: una certa categoriadi personale sanitario può avereuna formazione diversa e differen-ti responsabilità nei vari paesi.Inoltre le categorie di personale sa-nitario sono state adattate alle ne-

cessità e alle priorità in evoluzionee alle nuove opportunità di lavoro,cambiandone le designazioni omodificando il punto focale del lo-ro lavoro.

Vi sono esempi in luoghi molto

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diversi come l’America Latina, ilPakistan e la Federazione Russa.In molti paesi latinoamericani, glioperatori sanitari della salute pri-maria sono stati addestrati specifi-camente per aiutare a migliorarel’igiene ambientale, una iniziativache è stata incentivata da un scop-pio di colera nella regione. In Paki-stan e in Bhutan un gran numero dioperatrici sanitarie è stato adde-strato per migliorare l’accesso al-l’assistenza di famiglie in aree re-mote. In Russia, i “feldshers” – ilcui ruolo come assistenti medici eoperatori della salute pubblica, so-prattutto nelle aree rurali, è statoben noto per decenni – hanno as-sunto ora nuove funzioni comequella di provvedere all’assistenzasanitaria di emergenza nelle grandicittà o quella di prestare servizionell’ambito della medicina del la-voro nelle fabbriche.

Il rapporto esamina poi il com-plesso delle responsabilità deglioperatori sanitari: i servizi di pro-mozione, prevenzione, cura e ria-bilitazione. In qualche caso, i ser-vizi di promozione e prevenzionecostituiscono la parte fondamenta-le del lavoro di alcune categoriedel personale sanitario (per es.ispettori della salute pubblica,educatori della salute, ufficiali sa-nitari ambientali). La cura dellariabilitazione basata sulla comu-nità diventa sempre più importan-te poiché la popolazione anziana èin aumento, fatto che provoca unonere crescente di malattie croni-che e degenerative, di disturbimentali e di infortuni.

Mentre assistiamo ad una cresci-ta degli operatori sanitari della co-munità di base, aumenta anche laspecializzazione nei paesi più indu-strializzati. Questo deriva in partedall’aumento della tecnologia me-dica e della conoscenza scientifica.

Poiché i sistemi sanitari cercanodi adeguarsi ai cambiamenti de-mografici, epidemiologici e tecno-logici, viene maggiormente evi-denziato il ruolo di altri professio-nisti come i lavoratori sociali, glieducatori scolastici, i nutrizionisti,gli ambientalisti e gli altri operato-ri più collegati alla prevenzionepiuttosto che alla cura.

In molti paesi in via di sviluppovi è un numero consolidato dioperatori sanitari tradizionali. Inalcuni paesi africani (per es. Gha-

na e Uganda) si cerca di incorpo-rare sempre di più questi operato-ri nel sistema sanitario, sviluppan-do meccanismi per controllare i li-velli degli operatori. Nei paesi in-dustrializzati è in aumento l’usodi medicine tradizionali e di cate-gorie come agopuntori, erboristi emassoterapisti.

I nuovi operatori sanitari

I paesi industrializzati, come pu-re i paesi in via di sviluppo, hannocominciato ad usare o a pensare diusare i cosiddetti “nuovi” operato-ri sanitari, come assistenti sanitari“generici” multispecializzati, in-fermieri professionisti, infermierianestesisti e assistenti di medici.Buchan e Dal Poz13 sostengono in-fatti che il nuovo operatore è spes-so un’occupazione esistente o unacategoria con capacità supplemen-tari o con una funzione ampliata.Molti di questi ruoli modificati so-no in una delle quattro categoriequi di seguito riportate:

– “multispecializzazione”, o ruo-li estesi per un “tradizionale” ope-ratore di appoggio: “catering”, tra-sporto di pazienti, pulizie e doverireligiosi;

– multispecializzazione – “ad-destramento incrociato” – o ruoliestesi per assistenti di cura ed ausi-liari (per es. operatori sanitari dicomunità del programma sanitariofamiliare in Brasile);

– ruoli estesi per gli attuali pro-fessionisti sanitari (per es. infer-mieri professionisti);

– nuovi ruoli tecnici (per es. inchirurgia o anestesia, come in Mo-zambico).

Conclusione

Lo sviluppo e l’uso degli opera-tori sanitari sono condizionati dalcontesto nel quale questi lavoranoe dagli ambienti che definisconocome e dove, con quanta autono-mia e con chi esercitano. I cam-biamenti demografici, epidemio-logici e tecnologici, nonché le ca-renze ed i costi, hanno dato luogoalla creazione di nuove categoriedi operatori sanitari. Comunque,l’introduzione di questi nuovioperatori non deriva spesso dauno studio accurato e dalla dimo-

strazione dell’efficacia di unanuova categoria.

C’è bisogno di tracciare la situa-zione attuale riguardo all’introdu-zione di nuovi operatori. Dovrebbeessere valutato il loro impatto sullacura dei pazienti e sul rapporto co-sti-benefici. Inoltre, le diverse basilogiche ed i metodi per impiegarenuovi operatori devono essere ana-lizzati per determinare ciò che fun-ziona e ciò che non funziona, e inquali condizioni.

L’OMS sta avviando un pro-gramma biennale per sviluppare labase delle conoscenze circa la rea-

lizzazione e gli effetti dell’utilizzodi “nuovi” operatori nel sistemasanitario. Questo sforzo si proponedi creare strumenti decisionali perassistere i politici, la classe diri-gente del sistema sanitario e glioperatori sanitari, al fine di deter-minare il probabile impatto che siavrà impiegando tipi specifici dinuovi operatori, identificando eaiutando a valutare le scelte sul-l’efficacia dei metodi di tale im-piego.

Dott. ORVILL B.R. ADAMS Direttore

Dipartimento della Organizzazione della Distribuzione dei Servizi Sanitari Organizzazione Mondiale della Sanità

Ginevra, Svizzera

Fonti 1 The world health report 2000 - Health sy-

stems: improving performance. Geneva,World Health Organization, 2000.

2 Trends and challenges in world health.World Health Organization Executive Board,24-29 January 2000. Geneva, World HealthOrganization, 2000 (documento non pubbli-cato EB105/4).

3 DUSSAULT G., Human resources develop-

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29DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

ment: the challenge of health sector reform.Washington, DC, World Bank, 1999 (docu-mento non pubblicato, preparato per HumanDevelopment of the Latin American and theCaribbean Region).

4 BENNETT S., MCPAKE B., MILLS A., Pri-vate health providers in developing countries.London and Atlantic Highlands, New Jersey,USA, Zed Books Ltd., 1997.

5 Public service reforms and their impacton health sector personnel. Round table, Ber-lin, 13-15 October 1999. Berlin, GermanFoundation for International Development,2000.

6 ADAMS O., KINNON C., A public healthperspective. In: ZARRILLI S., KINNON C., eds.International trade in health services. A deve-lopment perspective. Geneva, United Nationsand World Health Organization, 1998:35-54.

7 BUCHAN J., O’MAY F., Globalization andhealthcare labour markets. A case study fromthe United Kingdom. Edinburgh, Queen Mar-garet University College, 1999 (non pubbli-cato).

8 ADAMS O.B., HIRSCHFELD M., Human re-sources for health. Challenges for the 21stcentury. World Health Statistics Quarterly,1998, 51:28-32.

9 EGGER D., LIPSON D., ADAMS O., Humanresources for health. Issues in health servicesdelivery. Discussion paper no. 2. Geneva,World Health Organization, 2000 (documentonon pubblicato WHO/EIP/OSD/00.2; dispo-nibile su richiesta presso: Department of Or-ganization of Health Services Delivery, WorldHealth Organization, 1211 Geneva 27, Swit-zerland).

10 BERCKMANS P., Initial evaluation of hu-

man resources for health in 40 African coun-tries. Geneva, World Health Organization (inpreparazione).

11 MARTINEAU T., MARTINEZ J., Human re-sources in the health sector. Guidelines forappraisal and strategic development. Brus-sels, European Commission, 1997.

12 Reorientation of the education and prac-tice of health care providers other than doc-tors, nurses and midwives. Geneva, WorldHealth Organization, 1997 (documento di ba-se preparato per la 48ª Assemblea Mondialedella Sanità, risoluzione WHA48.8, Reorien-tation of medical education and medical prac-tice).

13 BUCHAN J. M’D., DAL POZ M.R., Roledefinition, skill mix, multi-skilling and “new”workers. Geneva, World Health Organization,2000 (non pubblicato).

MARY HEALEY-SEDUTTO

Mentre ci avviciniamo rapida-mente alla chiusura del nostro Giu-bileo dell’Anno 2000, è opportunoguardare alla salute della nostrasocietà con un occhio verso il futu-ro e cercare di comprendere come,in quanto Chiesa, dobbiamo testi-moniare le nostre convinzioni at-traverso azioni dirette ad aumenta-re il benessere e la salute della fa-miglia umana globalizzata. Nell’o-melia dell’11 febbraio 2000 il San-to Padre ha ricordato che “come ilBuon Samaritano, ogni credentedeve offrire amore a chi vive nellasofferenza. Non è consentito ‘pas-sare oltre’ di fronte a chi è provatodalla malattia. Occorre piuttostofermarsi, chinarsi sulla sua infer-mità e condividerla generosamen-te”1. Noi che abbiamo ricevuto lagrazia di poter servire il ministerosanante di Gesù, abbiamo bisognodi lanciare una sfida a noi stessi ecercare la maniera creativa chepermetta anche a noi di “fermarci,curare e condividere”.

Nel 1993, l’industria cinemato-grafica californiana produsse unfilm intitolato Demolition Man,

che per ovvie ragioni, non riscosseun grande successo nelle sale ame-ricane. Tuttavia in vari modi fuestremamente profetico su comesarebbe stato il mondo nell’anno2032. Demolition man ci porta inun viaggio avveniristico nel tem-po, in un luogo della Californiameridionale dove le forze sfrenatedella globalizzazione hanno deci-samente preso il controllo. È untempo in cui la gioia, l’allegria o lafelicità hanno poco di genuino. Se-condo i produttori del film, nel-l’anno 2032 ci sarebbero statestraordinarie limitazioni alle li-bertà personali, tra cui sarebbe sta-to illegale procreare senza un per-messo. Poiché la società piena-mente globalizzata era diventatatanto fragile, un controllo governa-tivo estremo era visto come l’unicasoluzione possibile alla minacciadi un collasso globale completo. Ilfilm mostra poi come si sarebbeevoluta la nostra società, unifor-mandosi, standardizzandosi eprendendosi cura di se stessa; lospettatore poteva rendersi conto dicome le forze della globalizzazio-

ne avevano profonde conseguenzepolitiche, economiche e socialisulla salute pubblica.

Pur essendo una satira, il mes-saggio di Demolition Man resta va-lido. L’impatto della globalizza-zione sulla società – in particolaresulla salute pubblica della società –pone alla comunità internazionalesignificative questioni di giustizia,etica ed economia. Mentre cresceil numero di coloro che vivono eviaggiano liberamente per il mon-do, e molte delle nostre megalopo-li sono sovraffollate e hanno con-dizioni igieniche scadenti; mentrealteriamo sempre più i nostri am-bienti naturali e il loro clima e ma-nipoliamo geneticamente il nostrobestiame e la nostra catena alimen-tare; mentre le persone transitanorapidamente in aree esposte a ma-lattie a loro prima sconosciute eaumentano gli insetti che trasmet-tono le malattie nelle aree a mag-giore densità di popolazione, noiacceleriamo il fenomeno generaledella globalizzazione e ne speri-mentiamo sia i vantaggi che glisvantaggi.

IV: Nuove malattie infettive emergenti.La globalizzazione della crisi della salute pubblica nel nuovo millennio

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30 SALUTE E SOCIETÀ

La Buona Novella e la Cattiva Novella della Globalizzazione

I Professori Alan Feranil2 e Da-vid Fidler3, cittadini americani, cirammentano che, mentre la globa-lizzazione ha portato ad una mag-giore condivisione di conoscenzee tecnologie mediche e alla rimo-zione di molte barriere internazio-nali, essa ha anche aperto il vasodi Pandora con i suoi effetti dan-nosi sulla salute pubblica. Oggi iviaggi internazionali avvengonovelocemente e le malattie tradizio-nalmente confinate in regioni spe-cifiche vengono trasportate dalviaggiatore in terre lontane. La na-tura globale della lavorazione, deltrattamento e della distribuzionealimentare ha esposto tutto il mon-do a microrganismi prima locali elimitati a ristrette zone del globo.La sovrappopolazione e la densitàabitativa provocano condizioniigieniche scadenti e la diffusionedi malattie contagiose. Entrambigli scienziati sostengono che laglobalizzazione ha portato comerisultato l’eliminazione della di-stinzione tradizionale tra salutepubblica nazionale e salute inter-nazionale; il più convincente deinumerosi esempi riportati a soste-gno della loro tesi è forse il richia-mo alla crisi globale delle malattieinfettive emergenti e riemergenti.È precisamente di questo argo-mento che parleremo oggi.

Il Dott. Anthony Fauci, Diretto-re del National Institute of Allergyand Infectious Diseases degli Sta-ti Uniti e famoso specialista inmalattie epidemiche e infettive,ha lanciato un invito alla pruden-za, poiché egli ritiene – e lo ha ri-petutamente dichiarato – che lavera crisi del nuovo millennio èrappresentata dalla mutazione deimicrobi che resistono a un nume-ro sempre maggiore di medicina-li. Allarmato dalle epidemie afri-cane e asiatiche di AIDS, l’agen-zia del Dott. Fauci ha destinatopiù di metà del suo bilancio perl’HIV allo sviluppo di un vaccinoper l’AIDS. Mentre egli è perso-nalmente ottimista che entro laprossima decade sarà disponibileun vaccino moderatamente effi-cace, non si pronuncia sul costo osul grado di disponibilità globale.

Casi di febbre gialla apparsi sia

negli Stati Uniti che in Svizzeranel 1996 sono stati riscontrati inturisti che viaggiavano in regionidove è presente la febbre gialla en-demica senza essersi sottoposti al-le necessarie vaccinazioni. Al ri-torno nei loro Paesi d’origine,hanno portato con sé una malattiache la maggior parte degli specia-listi in malattie infettive conside-rava da tempo debellata nel pro-prio Paese. Questo esempio stapurtroppo diventando un luogocomune.

Nell’estate del 1999 e in quelladel 2000 New York e le aree circo-stanti hanno assistito alla compar-sa della cosiddetta Febbre del NiloOccidentale, un’encefalite provo-cata da una zanzara, che ha causa-to la morte di oltre 10.000 tra uc-celli e altri animali ma anche disette persone anziane. Gli epide-miologi hanno riscontrato il virusnei viaggiatori che avevano visita-to l’Africa. Questo stesso virus èora quasi di proporzioni epidemi-che in Israele, con otto morti e ol-tre 120 casi di diagnosi di malattiaconfermati. A New York la diffu-sione aerea e sul terreno di insetti-cidi ogni due o tre giorni durante imesi estivi ha presupposto un one-re finanziario sui bilanci locali perla salute pubblica in quelle regio-ni, per non parlare degli inconve-nienti arrecati alla vita normale.Come residenti di quell’area fum-mo avvertiti di chiudere l’aria con-dizionata, sbarrare le finestre, re-stare a casa e non permettere nean-che agli animali di avvicinarsi allearee toccate dalla disinfestazione.La notizia sconfortante fu che ilvettore di identificazione dellamalattia nel 2000 era molto mag-giore che nel 1999, e i funzionaridella sanità stavano studiando co-sa fare per l’estate del 2001. Ementre agli inizi furono trovati in-fetti soltanto gli anziani e le perso-ne deboli, più recentemente i casidiagnosticati comprendevano di-verse persone di età media o indi-vidui in buona salute.

La febbre gialla e la Febbre delNilo Occidentale sono soltantodue esempi di come il viaggio glo-balizzato abbia dato luogo alla tra-smissione di malattie dai Paesi delTerzo Mondo a quelli del mondoindustrializzato4. Ovviamente oc-corre prodigarsi molto per unamaggiore educazione dei viaggia-

tori internazionali, così come percontrolli e politiche nel campodella salute pubblica che regolinoil viaggio internazionale.

Cosa sono le malattie infettive emergenti e i fattori che contribuiscono alla loro proliferazione?

Le malattie infettive emergentio EID (emerging infectious disea-ses) sono malattie che provengonoda infezioni di recente identifica-zione, sia virali che batteriche, conil potenziale di causare problemialla salute pubblica sia a livello lo-cale che nazionale o internaziona-le. Il virus da immunodeficienzaacquisita (HIV) che causa l’AIDSfu isolato per la prima volta nel1983 in una EID, e nel giugno del1998 (solo 15 anni dopo) si stimòche ne fossere infette 30.600.000persone in tutto il mondo, mentrel’aspettativa di vita dei bambininati nell’Africa sub-Sahariana èoggi inferiore ai 40 anni5.

Una nuova variante del morbodi Creutzfeldt-Jakob è stata identi-ficata per la prima volta in GranBretagna nel 1996 e si ritiene chesia lo stesso agente responsabiledell’encefalite spongiforme bovi-na o dell’epidemia da “morbo del-la mucca pazza” degli anni Ottan-ta, che infettò migliaia di capi dibestiame in Gran Bretagna e inEuropa. Il significato di questaparticolare variante virale è che lemalattie, che inizialmente si cre-devano dannose e limitate aglianimali, sono diventate pericoloseanche per gli esseri umani. È an-che significativo il fatto che quan-to è iniziato in Inghilterra si sia poirapidamente diffuso in tutta Euro-pa. Uno dei tanti effetti della glo-balizzazione è stato l’abbattimen-to delle barriere commerciali.Dobbiamo ricordare che il 70% ditutti i frutti e i vegetali consumatinegli Stati Uniti e che oltre il 45%di tutto il pesce consumato inter-nazionalmente sono importati daiPaesi in via di sviluppo. Non esi-ste più un margine di sicurezza re-lativo al trattamento del cibo e allenorme di lavorazione specifiche diuna singola nazione. I confini na-zionali stanno rapidamente diven-tando privi di significato.

Non solo assistiamo alla com-

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parsa di nuove malattie virali ebatteriche, ma sperimentiamo an-che una crescita veloce del nume-ro di batteri che sono oggi perico-losamente e progressivamente re-sistenti ad un’allarmante varietà diantibiotici. Escherichia coli, Neis-seria gonorrhera, pneumococcus estaphyloccus aureus spesso non ri-spondono più ai medicinali di piùbasso costo che rientrano nella pri-ma linea tradizionale di difesa.L’effetto di queste mutazioni vira-li e batteriche è un regime di trat-tamento più costoso, spesso fuoridella portata della maggioranzadelle persone che vivono nei Paesidel Terzo Mondo. Gli oneri chegravano sui Paesi del Terzo Mon-do per ottenere l’accesso ad ap-

propriate e adeguate forniture dimedicinali e di vaccini terapeuticistanno oggi diventando esponen-zialmente condizionati dagli effet-ti di tali mutazioni. Ma gli effettidelle mutazioni microbiche si av-vertono anche nei Paesi industria-lizzati. Negli Stati Uniti oltre14.000 persone muoiono ogni an-no di infezioni microbiche noso-comiali resistenti – infezioni con-tratte in ospedali come effetto se-condario dei motivi dell’ospeda-lizzazione.

La mutazione delle tendenze vi-rali e batteriche è strettamente col-legata a un altro problema ancora:quello del troppo e del troppo po-co. Nei Paesi industrializzati assi-stiamo ad un modello piuttosto no-civo di eccesso di utilizzazione e

di utilizzazione impropria di anti-biotici. Negli Stati Uniti e nell’Eu-ropa Occidentale vediamo modellimolto allarmanti di prescrizionimediche di antibiotici in casi in cuispesso non c’è una situazione evi-dente che sostenga l’appropriatez-za della terapia. I pazienti si recanodai loro medici lamentando un di-sturbo e aspettandosi di andarsenecon una prescrizione. Il presidentedell’American Medical Associa-tion, il Dott. Randolf Smoak Jr.,ammette tristemente che quando imedici sono “spinti a visitare i pa-zienti sempre più rapidamente, di-venta una grande tentazione pre-scrivere semplicemente un anti-biotico piuttosto che spendere cin-que minuti a spiegare a una madreperché sarebbe meglio nel temponon prescriverlo”6. Anche nei casiin cui ai malati viene spiegato chela loro malattia è di tipo virale, co-me un raffreddore o un’influenza,per cui gli antibiotici non sono diaiuto, i pazienti insistono affinchévengano loro prescritti. Un micro-biologo della compagnia farma-ceutica Eli Lily ha recentementecompletato una ricerca che mostracome oltre il 40% degli antibioticiprescritti per infezioni respiratoriee auditive non sia appropriato e co-me oltre il 90% delle famiglie distaphylococcus aureus sia oggi re-sistente alla penicillina e agli anti-biotici correlati7.

Nei Paesi del Terzo Mondo assi-stiamo ad un uso improprio e in-sufficiente. È fin troppo comunevedere come tutte le persone chevivono nei Paesi del Terzo Mondoacquistino le loro medicine in“farmacie” locali, ove il totale deifarmaci che acquistano è insuffi-ciente alla durata del trattamentonecessario, e la stessa qualità dellemedicine lascia molto a desidera-re. Assumere medicine soltantoper due o tre giorni, fintanto cioèche i sintomi esternamente visibilidiminuiscono, è spesso la praticaper quanti sono poveri dal punto divista medico e finanziario; talipratiche non fanno altro che per-mettere alle malattie di cui soffro-no di trasformarsi in fonti di infe-zione persino più forti e ricorrenti,che possono non rispondere piùalla cura iniziale, migliore e menocara, scelta all’inizio. Molti pro-prietari di queste ”farmacie” gesti-te a fine di lucro e privatamente

sostengono che, pur sapendo che ènecessario un regime di trattamen-to più lungo, vendono ugualmentequesti medicinali perché il pazien-te può permettersi di comprarnesoltanto per periodi di uno o duegiorni.

Benché sia stato promessoqualche aiuto relativo alla man-canza di disponibilità di medici-nali nei Paesi del Terzo Mondo,come l’impegno della Merck &Company di fornire 100 milionidi dollari di vaccini ai bambinipoveri dell’Africa sub-Saharianae del Sud Est Asiatico8, le sfidesono ancora ben lontane da unasoluzione. Insieme con la Merck& Company, la Smith Kline Bee-cham, l’American Home Pro-ducts e Aventis hanno promessodi incrementare il loro impegnonella ricerca e nello sviluppo dinuovi vaccini. La Global Alliancefor Vaccines and Immunizations,un’organizzazione senza scopo dilucro che sostiene questo impe-gno, riconosce che occorre unosforzo combinato tra governo, in-dustria e filantropia per assicurareche nuovi vaccini vengano rapi-damente prodotti e immessi sulmercato a prezzi sostenibili percoloro che ne hanno maggior-mente bisogno.

Un terzo e forse più difficileaspetto delle EID è quello di esse-re associate a mutamenti ambien-tali e climatici. La Febbre dellaRift Valley è una malattia che col-pisce soprattutto le pecore e si ri-scontra principalmente in Africa.Le persone a contatto con gli ani-mali infetti diventano esse stesseinfette e soffrono a loro volta di re-tinite, encefalite, emorragia, cecitàe infine muoiono. Nel 1997 e nel1998 il Kenya e la Somalia hannoavuto insolitamente piogge moltoforti; questo cambiamento clima-tico e ambientale ha colpito il be-stiame di quei Paesi, portando avaste esplosioni di questa malattia.La febbre di Dengue, che ha costi-tuito un importante problema nelSud Est Asiatico dalla metà deglianni Cinquanta, è ricomparsa vio-lentemente in America Centrale eMeridionale negli anni 1990, e dal1997 si sono verificate epidemiein 24 Paesi. Nel 1998, durante unbreve viaggio in Costa Rica, hoavuto l’opportunità di incontrarefunzionari governativi del Mini-

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stero della Sanità; una delle loroprincipali preoccupazioni al tem-po della mia visita riguardava lapossibilità di fornire medicinali al-la popolazione in un villaggio lon-tano e montagnoso dove si era ve-rificata un’esplosione di Dengue.Poiché la temperatura del pianetasta salendo, malattie una volta cir-coscritte a certe regioni tropicalipiù calde stanno ora diffondendosianche sulle montagne, in terre unavolta troppo fredde per sostenereun’invasione di zanzare, che sonospesso il veicolo di trasmissionedella malattia in questione. Paesigià stressati dai costi per mantene-re attivo il controllo sulle zanzarenelle aree tradizionalmente ad altorischio non possono gestire i costidi una copertura geografica piùgrande dei loro programmi.

Se i suddetti problemi non fos-sero già troppi, dobbiamo ancheaffrontare l’uso crescente di ali-mentare il bestiame con bassi li-velli di antibiotici per provocarneuna crescita maggiore e più velo-ce. Tale pratica ha il risultato direndere batteri, virus e parassiti re-sistenti ai medicinali in quegli ani-mali, mutando, sopravvivendo einfine infettando gli esseri umani.Riconoscendo gli effetti della di-struzione globalizzata di moltebarriere commerciali internazio-nali, l’Unione Europea ha identifi-cato l’allarmante potenziale diepidemie continentali e ha già vie-tato l’uso di vari antibiotici e inte-gratori alimentari. Negli Stati Uni-ti la Food and Drug Administra-tion è stata più lenta a reagire suvasta scala a seguito di una fortepressione da parte delle lobbiesfarmaceutiche e degli allevatori.Considerazioni economiche e po-litiche di protezione dei prezzi ap-paiono essere al di fuori dellepreoccupazioni nazionali e inter-nazionali per la salute pubblica.

Il Rapporto 1996 dell’Organiz-zazione Mondiale della Sanità(OMS) sottolineava la natura glo-balizzata delle malattie infettiveemergenti9. Pur evidenziando i si-gnificativi progressi compiuti dal-la comunità mondiale dopo la IIGuerra Mondiale nel combatterele malattie infettive e nel portaresul mercato nuovi antibiotici,l’OMS non è altrettanto ottimisti-ca per il futuro. La sua conclusio-ne che le malattie infettive saranno

sotto controllo se si manterrannogli sforzi attuali, presuppone chela comunità internazionale abbiala capacità di impegnarsi a farlo.Purtroppo la prova a sostegno diquesta supposizione sembra man-care, e l’enorme quantità di pub-blicazioni disponibili dal 1996,compresi i documenti della stessaOMS, sembra convalidare questaosservazione.

Giustizia ed Etica applicate alle EID

Esiste poi un insieme di nuovepubblicazioni che esaminano gliaspetti morali e filosofici della glo-balizzazione e i suoi effetti partico-lari sulla salute pubblica interna-zionale. Forse uno degli approccipiù appassionanti a questo argo-mento è stato offerto dal filosofoProfessor Dale Jamieson10, nel suotrattato “Responsabilità globali:giustizia ed etica nell’era della sa-lute pubblica globalizzata”. Unodei tanti esempi di dilemma eticocitati nello studio affronta il para-dosso che ci siano oggi 270 milio-ni di persone al mondo che soffro-no di malaria. A causa dell’aumen-to della temperatura e del conse-guente aumento della diffusionedel parassita malarico altri 620 mi-lioni di persone potrebbero venir-ne infettate entro un periodo ditempo relativamente breve. Qualisono gli obblighi morali di coloroche hanno il potere e l’autorità dimitigare o prevenire questo surri-scaldamento globale? Quali sonogli obblighi morali di coloro chescelgono di usare le loro risorseeconomiche, politiche e/o legaliper altri scopi, come ad esempio ilraggiungimento di un maggioreprofitto? Quali sono gli obblighimorali di coloro che non sono toc-cati direttamente dal generale au-mento di temperatura, ma hanno

indirettamente il potere e/o le ri-sorse per intervenire per ridurla?Vorrei aggiungere a questa lista:qual è l’imperativo della Chiesa edella sua leadership nella cura del-la salute per unirsi in una difesa at-tiva contro la proliferazione di ma-lattie ed epidemie?

In una discussione come quellache stiamo avendo qui oggi, deveessere esaminata anche l’etica or-ganizzativa e corporativa. La Phar-maceutical Pfizer invia con unacerta trepidazione milioni di dosidel suo antibiotico Zithromax inAfrica e in Asia, nel tentativo ditrattare varie forme di epidemie inquei Paesi. Lo Zithromax è unodegli antibiotici più popolari e dimaggior successo dei nostri tempi,e la sua vendita genera alla Pfizerentrate per un miliardo di dollaril’anno. Il loro timore è che questimedicinali donati all’Africa e al-l’Asia possano trovare la via del ri-torno nei Paesi industrializzati at-traverso i canali del mercato nero eminacciare significativamente leloro vendite in quei Paesi ove unafornitura di cinque giorni di com-presse può costare ben oltre i 50dollari. Si può ben comprendere laloro posizione. D’altra parte, pos-sono per questo astenersi dal dareil loro aiuto nella crisi globale del-le EID? Il Treaty on Trade-RelatedAspects of Intellectual PropertyRights fu formulato con l’intentodi porre un freno alla pratica diprodurre medicinali copiati, aggi-rando la protezione dei brevetti. Amaggio del 2000 l’Ufficio del Pre-sidente degli Stati Uniti ha emessouna dichiarazione in cui si affer-mava che non ci sarebbe più stataopposizione alle nazioni africaneche violavano le leggi americanerelative alle licenze al fine di otte-nere medicinali per l’AIDS. Il Se-gretario del Department of Healthand Human Services degli StatiUniti, Donna Shalala, ha parlato diquesta posizione come di un deli-cato “atto di equilibrio” tra i dirittidi autore e i diritti umani delle per-sone nei Paesi del Terzo Mondo11.È interessante notare che due gior-ni dopo il proclama del Presidente,cinque delle più grandi compagniefarmaceutiche hanno annunciato laloro volontà di ridurre dell’80% iprezzi dei loro medicinali control’AIDS venduti in Africa, compre-si i loro preparati anti-retrovirali.

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Ciò su cui queste compagnie insi-stono è un impegno da parte deiPaesi africani a non continuare aviolare i diritti nella produzione ditali medicinali.

Qualsiasi discussione sull’eticae sulla giustizia non deve concen-trarsi soltanto sulla prospettiva na-zionale e internazionale, ma anchetenere conto delle responsabilità edei comportamenti individuali.Non si può trascurare il fatto che icambiamenti dei comportamentiindividuali negli ultimi decennihanno contribuito al problema del-le EID. Durante gli ultimi 20 o 30anni abbiamo visto il proliferare dicomportamenti sessuali, che sonostati spesso definiti come “rivolu-zione sessuale”, in cui rapportisessuali con più partners e conpartners dello stesso sesso hannoprodotto un’esplosione della tra-smissione delle malattie sessuali.Una scarsa igiene personale e co-munitaria, l’uso di droghe, il so-vraffollamento nelle residenze fa-miliari, e anche una mancanza diresponsabilità per la propria salutee il proprio benessere in materia didiete appropriate, regimi terapeu-tici e un equilibrato stile di vita,hanno contribuito alla comparsa ealla ricomparsa delle malattie in-fettive.

C’è un altro modo di guardare ilrapporto tra malattie infettive egiustizia sociale, e cioè il dibattitodella libertà individuale contro ilbene comune della società. Sescelgo di non sottopormi al vacci-no anti-influenzale e sono chiara-mente una persona ad alto rischiodi contrarre l’influenza, sono libe-ro di farlo se danneggerò la salutedegli altri? La mia decisione dinon prendere precauzioni puònuocere alla salute di altri che,avendone l’opportunità, vorrebbe-ro essere protetti dall’infezione.C’è un imperativo morale di pren-dere precauzioni per la salute pub-blica non solo per se stessi, ma an-che per il bene della propria fami-glia, così come della comunità?Alcuni sosterrebbero di sì12.

Conclusione

La salute è un bene fondamenta-le a cui ciascun essere umano hadiritto e un dovere personale daproteggere e alimentare. I diritti e i

doveri associati alla salute sonoindividuali, sociali e comuni, e de-vono essere considerati sia nelcontesto individuale che sociale.Le decisioni che gli individui, lecomunità, le corporazioni e le na-zioni prendono hanno effetti di-retti e indiretti sul bene comunegenerale della società globale. Lalettera pastorale dei Vescovi degliStati Uniti sull’economia dichiaraquanto segue.

“Quasi mezzo miliardo di per-sone soffre cronicamente la fame,nonostante gli abbondanti raccoltia livello mondiale. Quindici bam-bini su 100 nati in Paesi del TerzoMondo muoiono prima dei cinqueanni, e i milioni che sopravvivonosono fisicamente o mentalmenteritardati. La loro miseria non è ilrisultato inevitabile del corso dellastoria o della natura intrinseca del-le loro culture, ma il prodotto didecisioni e di istituzioni umane”13.

In sintesi tutti i suddetti elemen-ti, la comparsa di nuovi ceppi bat-terici e virali, la mutazione dellespecie esistenti in specie resistentiai medicinali, i cambiamenti cli-matici e ambientali, il sovraffolla-mento globale, le carenti condi-zioni igieniche, l’uso improprio diantibiotici nel bestiame e l’uso er-rato di antibiotici sia nei Paesi delTerzo Mondo che in quelli indu-strializzati, l’accresciuta trasmis-sione di microbi patogeni a causadella globalizzazione e dell’au-mento del commercio, del viaggioe della produzione internazionale,i cambiamenti nei comportamentipersonali e sociali e le decisionipolitiche di nazioni e corporazio-ni, tutto ciò contribuisce alla no-stra incapacità globale di control-lare l’evoluzione e la diffusione dimalattie, un fenomeno cui dobbia-mo oggi riferirci con il nome di“malattie infettive emergenti”.

Gli scritti abbondano di dati chesuggeriscono come le EID rappre-sentino una crisi internazionaledella salute pubblica. Chiaramentela comunità internazionale devearrivare a riconoscere che la glo-balizzazione della salute pubblicaha presentato sfide di enorme mi-sura e complessità. L’Organizza-zione Mondiale della Sanità e laChiesa sono forze leaders nellacomunità internazionale. Noi co-me Chiesa, uno dei più importantiacquirenti e fornitori di assistenza

sanitaria nel mondo, dobbiamocontinuare a sollevare e ad affron-tare questo problema; ad offrire,con giustizia e compassione, lanostra voce e la nostra determina-zione alla causa rivolta ad inverti-re l’ondata delle malattie infettiveemergenti.

MARY HEALEY-SEDUTTO,PH.D.,

Presidente e CEOCatholic Health Care

Aricidiocesi di New York

Note1 Omelia del Santo Padre, in occasione del

Giubileo del Malato e degli Operatori Sanita-ri, 11 Febbraio 2000. Vaticano.

2 FERANIL, ALAN B., PH.D., The Other Sideof Globalization; A Threat to Public Health?,Philippine Council for Health Research andDevelopment, 1998, www.pchrd.dost.gov.ph/press_release/globalization.html.

3 FIDLER, DAVID P., The Globalization ofPublic Health; Emerging Infectious Diseasesand International Relations, Proceedingsfrom the Symposium on The Public’s Healthin the Global Era; Challenges, Responses andResponsibilities, Harvard Law School, 1997.

4 TANGLEY, LAURA, Germs and Sickness ina shrinking World; Are Beasts and HumansToo Close for Comfort?, U.S. News & WorldReport May 22, 2000.

5 World Health Report 2000 – World HealthOrganization Assesses the World’s Health Sy-stems, www.who.int/whr/2000/en/press_relea-se.htm.

6 KAUFMAN, MARC, Microbes Winning theWar; Resistance to Antibiotics Raises Disea-se Peril, in The Washington Post, 13 giugno2000.

7 Countryside and Small Stock Journal,Another Warning on Antibiotic Overuse, set-tembre-ottobre 1998.

8 World Street Journal, Merck & CompanyWill Pledge $100 Million of Vaccines toWorld’s Poorest Children, Tuesday, 2 marzo2000.

9 LEDUC, JAMES W., World Health Organi-zation Strategy for Emerging Infectious Di-seases, 275 JAMA, 318, January 24, 1996.

10 JAMIESON, DALE, Global Responsibili-ties: Ethics, Public Health and Global Envi-ronmental Change, 5, in Indiana Journal ofGlobal Legal Studies, Vol. 99, No. 118, 1997.

11 MCNEIL, DONALD G., Do the Poor Havea Right to Cheap Medicine?, in The NewYork Times, 25 giugno 2000.

12 GRABENSTEIN, JOHN D., PH.D., The So-cial Benefits of Vaccination, in Ethics andMedics, Vol. 25, No. 8, agosto 2000.

13 Economic Justice for All: Pastoral Let-ter on Catholic Social Teaching and the U.S.Economy, National Conference of CatholicBishops, U.S. Catholic Conference, Wa-shington DC, 1986, #25.

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34 SALUTE E SOCIETÀ

Secondo un noto teologo, il cre-dente deve accostarsi alla realtà te-nendo aperti davanti a sé da unaparte il giornale e la Bibbia dall’al-tra. Egli intendeva sottolineareche, per una comprensione ade-guata delle problematiche che con-frontano l’uomo, è necessario co-noscere non solo la Parola di Dio,ma anche le situazioni cui tale Pa-rola si rivolge. Se tale doppia lettu-ra non viene compiuta, si corre ilrischio di cadere in una teologiaastratta che si rivolge ad una cultu-ra che non esiste o non esiste più,oppure di limitarsi a fare dellasemplice sociologia.

L’applicazione del suggerimen-to di quel teologo mi sembra assaiappropriata nell’affrontare il temadel rapporto tra teologia e medici-na. Si tratta, infatti, di un argomen-to in cui sono implicate sia la dot-trina teologica sia l’evolversi del-l’arte medica lungo la storia.

Nel proporre alcuni elementi diriflessione teologica sulla medici-na, fisserò dunque lo sguardo sullaBibbia, senza ignorare quanto èscritto nel giornale1.

1. La riflessione teologica

Riflettere teologicamente sullamedicina significa rendersi contoche sulla scienza e sull’arte medicaè già stata detta una parola da Dio,ma significa anche reinterpretarela Parola di Dio alla luce della stes-sa medicina, poiché il Dio dellacreazione e della redenzione è pe-rennemente attivo nel cuore dell’e-sperienza dell’uomo. La Parola diDio sulle professioni sanitarie si è

rivelata in modo peculiare attra-verso la Sacra Scrittura. Lungo isecoli essa è stata interpretata au-torevolmente dal Magistero dellaChiesa; i teologi ne hanno fatto og-getto di riflessione; ha trovato con-ferma nel sensus fidelium e nellatestimonianza di tanti operatori nelmondo della salute. Anche fuoridell’ambito della rivelazione e del-la confessione cristiane vi sono nu-merose tracce della visione di Diosull’attività dell’uomo finalizzataa curare la persona ammalata.

Dalla riflessione teologica sullamedicina derivano anche linee dicomportamento per coloro che lapraticano.

2. La parola di Dio sulla medicina

Di quanto è detto della medicinanella Bibbia e nelle altri fonti (ilmagistero, la teologia...), emergo-no numerose indicazioni. Nellapresente relazione ne verrannoprese in considerazione solo alcu-ne. In un primo tempo saranno evi-denziati la grandezza e i limiti del-l’uomo e della medicina. Seguiràuna presentazione della vulnerabi-lità umana quale strumento di cre-scita e di guarigione; verrà poimessa in luce la dimensione affet-tiva della cura del malato e, infine,l’attenzione sarà posta sulla pro-mozione della salute.

2.1. Grandezza e limite dell’uomo e della medicina

Lungo la storia, la medicina hasempre goduto di un grande presti-

gio. Per il suo legame alla vita e al-la salute è stata spesso rivestita diun’aura di sacralità. Anche le ope-re letterarie o audiovisive che, at-traverso la satira, hanno messo inluce aspetti negativi della medici-na ne hanno sottolineato il ruolopreminente nella vita degli indivi-dui e nella società.

Nella Bibbia2 si trova una limpi-da eco di questa positiva conside-razione dell’arte medica, presenta-ta come cooperazione all’operacreatrice e redentrice del Signore.Chi è impegnato nella cura dei ma-lati, infatti, si sforza di rispondereai gemiti della creazione di cuiparla San Paolo (Rm 8, 10), iscri-vendo così la sua azione in una di-mensione escatologica, alla ricercadi quei cieli nuovi e terra nuova(cfr. 1 Pt) che sono aspirazione diogni individuo e dell’umanità.

In maniera frequente e ampia idocumenti della Chiesa sottolinea-no ed esplicitano questa visionedella medicina, reagendo con gioiae ammirazione ai grandi progressicompiuti dalla scienza e dalla tec-nologia medica. Nell’introduzioneal rito dell’Unzione degli infermisi legge: “La chiesa incoraggia ebenedice ogni ricerca e ogni inizia-tiva intrapresa per vincere le infer-mità, perché vede in questo unacollaborazione degli uomini all’a-zione divina di lotta e di vittoriasul male” (n. 134).

Nello stesso tempo, però, essinon esitano a denunciare aspettidevianti della pratica sanitaria. Inprimo luogo l’emergere di una ten-denza prometeica, che porta larghisettori della scienza e dell’arte me-dica a ignorare i limiti inerenti alla

ANGELO BRUSCO

I: Teologia e medicina

II SezioneIlluminazione della realtà

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condizione umana3. Lo sviluppo dimezzi sempre più potenti, infatti,contribuisce a coltivare e a renderesempre più esplicito il desiderioche dorme nell’inconscio dell’uo-mo, il desiderio cioè di essere in-vulnerabile ed eterno. La clonazio-ne, ad esempio, può essere vistacome una delle espressioni di taledesiderio mitico di immortalità. Seè possibile essere clonati quando sidiventa vecchi, non è questo unmezzo per sfuggire alla morte, perrinascere eternamente?4 In secon-do luogo, uno spostamento dei te-mi della salute, della sofferenza edella morte dal terreno del senso edel valore a quello della tecnica5.

Con molta precisione Buytendickafferma che “le enormi possibilitàdella medicina hanno tolto il pro-blema del dolore (...) dalla sferametafisica, morale e religiosa, tra-sferendolo nella sfera pratica”6.Sul piano esistenziale, questo di-stacco della medicina dalla suamissione di collaboratrice dellacreazione e della redenzione portaa rafforzare la tendenza a volerrealizzare il destino umano pre-scindendo dal progetto di Dio sul-l’umanità7. Non solo, ma apre lastrada ad una “algofobia genera-lizzata, cioè ad un orrore della sof-ferenza, ad una preoccupazioneossessiva, quasi patologica, per lasalute e un atteggiamento narcisi-sta derivante dalla cura eccessivaverso il proprio corpo”8.

Il rifiuto della condizione finitadell’uomo non è senza ripercussio-ni sul piano psicologico e spiritua-le. Infatti, il dramma costituito dal-lo scontro tra il progresso tecnicosenza fine e l’ineluttabilità dellamorte influisce negativamente sul-la ricerca del senso della vita, sul-l’elaborazione di una scala di valo-ri rispettosa della persona umana e

della natura, non mancando di cau-sare drammi esistenziali e nevrosinoogeniche che sono all’origine ditanti disagi9.

L’aiuto offerto dalla Parola diDio e dall’antropologia teologicaper uscire da questo dramma con-siste innanzitutto nell’affermare lagrandezza e bellezza dell’essereumano. Creatura effimera e desti-nata all’immortalità, limitata nellospazio e nel tempo e insieme asse-tata d’infinito, bestia e angelo, co-me afferma Pascal, l’uomo noncessa di suscitare l’esclamazionedi stupore del salmista: “Se guardoil tuo cielo, opera delle tue dita, laluna e le stelle che tu hai fissate,che cos’è l’uomo perché te ne ri-cordi e il figlio dell’uomo perchéte ne curi? Eppure l’hai fatto pocomeno degli angeli, di gloria e dionore lo hai coronato: gli hai datopotere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi;tutti i greggi e gli armenti, tutte lebestie della campagna; gli uccellidel cielo e i pesci del mare, chepercorrono le vie del mare (Sal 8,4-9)”.

La medicina è chiamata ad im-pegnarsi per difendere l’integritàdell’essere umano, come ben siesprime Giovanni Paolo II, rivol-gendosi ai medici: “Vi incoraggioa continuare arditamente la ricer-ca, a curare con la massima com-petenza, a combattere la malattiain tutte le sue forme, e anche lecause naturali ed umane che ad es-sa portano. Tutto ciò fa parte delpiano di Dio che ha dato all’uomol’intelligenza e l’abilità per progre-dire nella scoperta dell’organismoumano, e a metterne i frutti a servi-zio dell’uomo”10. Al riconoscimen-to e alla difesa della grandezza del-l’uomo la medicina però deve ag-giungere lo sforzo di ricuperare,accettare e rispettare la sua “debo-lezza creaturale che non mortificala dignità ontologica ma carica dimisterioso significato l’impedi-mento corporeo spingendo oltre ilnostro sguardo”11. Infatti, come af-ferma Pio XII, “il medico cattoli-co sa che il suo paziente e lui stes-so sono sottomessi alla legge dellacoscienza e alla volontà di Dio; maegli sa anche che tutte le risorsedella natura sono state messe a suadisposizione per proteggere e di-fendere gli uomini dalla malattia edall’infermità. Egli non divinizza

né la natura né la medicina, non leconsidera come degli assoluti, maegli vede in esse un riflesso dellagrandezza e della bontà di Dio esubordinate interamente al suo ser-vizio”12.

2.2 Vulnerabilità, crescita umana e spirituale, guarigione

Oltre che essere indicatrice dellimite della condizione umana, allaluce della riflessione teologica lavulnerabilità umana assunta e inte-grata può trasformarsi in uno stru-mento di guarigione e di crescitaumana e spirituale per sé e per glialtri13. Infatti, come afferma CarlJung, “solo il medico ferito puòguarire”14, cioè il medico capacedi accogliere e integrare le proprieferite.

Questa convinzione, radicata nel-la cultura di ogni tempo, trova unaesemplificazione mirabile nellaBibbia. Dopo aver illustrato unagiornata trascorsa dal Signore alservizio dei malati, Matteo (Mt 8,16-17) cita parte delle parole delprofeta Isaia (Is, 52,13-53-12), ap-plicandole al Cristo: “Egli si è cari-cato delle nostre sofferenze, si è ad-dossato i nostri dolori e noi lo giu-dicavamo castigato, percosso daDio e umiliato. Egli è stato trafittoper i nostri delitti, schiacciato per lenostre iniquità. Il castigo che ci dàsalvezza si è abbattuto su di lui; perle sue piaghe siamo stati guariti”(Is 53, 4-5). La sofferenza di Cristopossiede una forza di guarigione edi salvezza perché è segno di quelmovimento misterioso che ha porta-to il Figlio di Dio a condividere lacondizione umana in tutti i suoiaspetti, anche nella sua dimensionenotturna, fatta di patimenti fisici espirituali. San Paolo descrive mera-vigliosamente questo processo nel-la lettera ai Filippesi: “Pur essendodi natura divina, non considerò untesoro geloso la sua uguaglianzacon Dio, ma spogliò se stesso fa-cendosi obbediente fino alla mortee alla morte in croce” (Fil 2,6-11).È questo movimento interiore, so-stanziato di amore, che fa del Cristoil medico per eccellenza delle ani-me e dei corpi. Egli “ha sofferto lenostri notti più scure: la morte cor-porale e la notte della fede. Davve-ro che nulla di quanto accade al-l’uomo sarà ormai estraneo al suocreatore. Gesù ha assunto il pieno

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nonsenso della sofferenza e dellamorte”15.

Pur lottando incessantementecontro la sofferenza e la morte, ilmedico è quindi chiamato a ricon-ciliarsi con la dimensione notturnadella vita che, malgrado il progres-so scientifico e tecnico, farà sem-pre parte dell’esperienza umana.

Quali sono le ferite del medico?La condivisione del destino umanoè la prima porta attraverso cui ir-rompono fattori che lacerano lapersona umana in tutte le sue di-mensioni. L’operatore sanitario,come ogni individuo, deve farfronte alla sofferenza legata allasolitudine, alla malattia, alla cre-scita, alle separazioni, alle perditefisiche e affettive, ai vuoti esisten-ziali, alle immaturità, al peccato...Accanto a queste ferite, ve ne sonoaltre legate alla sua professione: ilquotidiano contatto con il dolore,la morte, le situazioni di crisi, il di-battito spirituale degli individui. Viè una specie di transfert per cui leferite del malato, le tensioni delcliente, la disperazione dei fami-gliari si ripercuotono in qualchemodo sugli operatori sanitari.

Scendendo ad aspetti più parti-colari, Sgreccia16 mette in risaltoalcuni fattori che disturbano l’i-dentità etico-professionale del me-dico, causando disagi e sofferenze.Per molti operatori sanitari, vi è inprimo luogo “l’abbandono, ope-rato dalla legge, della difesa delvalore della vita”. Nata per servirela vita, la professione medica “vie-ne richiesta e sollecitata” per sop-primerla. Va, poi, ricordata l’orga-nizzazione sociale della sanità che“pone il medico di fronte a situa-zioni spersonalizzanti e di tipoaziendale e burocratico, che sonoaliene alla tradizione della sua pro-fessione”. Un terzo “fattore cheviene a mettere in pericolo o a ri-durre il dialogo, la comunicazione,il rapporto diretto tra il medico e ilpaziente è il progresso tecnologicoe il conseguente impiego semprepiù ampio della macchina e degliesami di laboratorio per fare le dia-gnosi”.

Come dimenticare, poi, la feritacostituita dal senso d’impotenza,vissuto di fronte a situazioni chesuperano le proprie capacità di in-tervento? Non è facile riconoscerei propri limiti, l’incapacità di sal-vare una vita, di aiutare un malato

a superare le spinte depressive, diaccompagnare una persona a pren-dere una decisione in momentidrammatici dell’esistenza. Il sensod’impotenza costituisce una feritaal narcisismo umano, alla pretesadi essere onnipotenti nel risolverei problemi legati al destino del-l’uomo17.

Quando non prende coscienza,nega o rifiuta le proprie ferite, ilmedico può sviluppare varie rea-zioni. Tra di esse, un autore sottoli-nea quella della fuga e cioè il nonvolersi ingaggiare nel dialogo conil malato o il morente, riservando-gli un trattamento tecnico e imper-sonale, oppure l’assalto spropor-zionato e puntiglioso attraverso ilfarmaco, la chirurgia, vivendo ap-punto una sorta di titanica lottacontro realtà rifiutate e sentite co-me minaccia, non tanto per il ma-

lato quanto per l’io profondo e in-conscio del medico stesso18.

Quando vi è pretesa di invulne-rabilità o negazione delle dure edolorose realtà della vita e dei pro-pri limiti, vi è poco spazio per lacompassione e scarsezza di rico-noscimento della libertà dei pa-zienti e della loro capacità di parte-cipare al processo di guarigione.Come afferma Nouwen, “chi nellapropria vita si è sempre protettodalle esperienze di dolore, non po-trà offrire che una vuota consola-zione agli altri”19.

Fare pace e una sintesi dentrodi sé con la dimensione notturnadella vita – sofferenza, malattia,morte, immaturità, peccato – co-stituisce un difficile processo. Maun processo liberante che portal’individuo a superare l’illusioned’essere invulnerabile e immorta-le. La sua sofferenza gli rivela gliesili confini che separano la vitadalla morte, la salute dalla malat-

tia, il bene dal male e lo aiuta ascoprire il valore dell’esistenza,messo in risalto dalla sua stessafragilità. Illuminante, a questo ri-guardo, è l’episodio della lotta traGiacobbe e l’angelo, narrato nelcapitolo 23 della Genesi. Di ritor-no in Palestina, dopo una lunga as-senza, Giacobbe attraversa il tor-rente Yaboc, un affluente del fiu-me Giordano. Fatta avanzare lacarovana, egli rimane solo alla ri-va del torrente. Verso la fine dellanotte, egli intraprende la lotta conun misterioso personaggio. Que-st’ultimo, non potendo vincerlo,colpisce Giacobbe al nervo sciati-co, lasciandolo zoppo. Il misterio-so personaggio, quando la nottesta per finire, chiede a Giacobbe dilasciarlo andare, ma egli non ac-consente se prima non riceve lasua benedizione.

Il simbolismo più evocativo diquesto episodio è quello della lot-ta del popolo di Israele con il mi-stero di Dio, specialmente con ilsuo procedere nei confronti dellasofferenza umana. Perchè il dolo-re? Come conciliarlo con l’onni-potenza e la bontà del Signore?Questa lotta avviene nella pienanotte del mistero e dura quanto du-ra la notte. Il dolore è messo in re-lazione con l’oscurità della notte,non considerata come valore ne-gativo, bensì come mistero, delquale solo Dio conosce la risposta.La notte è il momento in cui Diocondensa in sommo grado la suaazione misteriosa. Però ogni notteha la sua alba...20

L’alba dell’Antico Testamentoannuncia il giorno della redenzio-ne compiuta da Cristo. Pur nonperdendo il loro carattere misterio-so, le sofferenze dell’uomo acqui-stano un senso quando sono “stret-tamente connesse con la sofferen-

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za dello stesso Dio”. In altre paro-le, ciò che l’uomo soffre, grave omeno che sia, è un’esperienza che,lungi dal rimanere isolata, si rela-ziona con la sofferenza stessa diDio. Con molta esattezza, Nouwenafferma che Gesù sana i nostri do-lori togliendoli dal nostro ambitoegocentrico, individualista e priva-to e connettendoli con il dolore ditutta l’umanità, da Lui assunto. Inquesto senso “curare non significa,quindi, innanzitutto eliminare i do-lori, bensì rivelare che i nostri do-lori sono compresi in una sofferen-za maggiore, che la nostra espe-rienza costituisce parte dell’espe-rienza di Colui che disse: ‘Non bi-sognava che il Cristo sopportassequeste sofferenze per entrare nellasua gloria?’” (Lc 24, 26)21.

Lo sforzo della medicina di com-battere la malattia, con il rischio didiventare vittima di pretese irreali-stiche, costituisce uno stimolo peruna rilettura della Parola di Dio aproposito del dolore umano. Unadelle indicazioni provenienti da ta-le rilettura porta a sottolineare lanecessità di superare il dolorismo,cioè un atteggiamento consistente“nell’interpretare il dolore comeelemento valoriale in sé, a voltepersino esaltandolo o, in casi estre-mi, persino ricercandolo”22. Affer-ma opportunamente Enzo Bianchi:“Gesù si oppone al male e cerca diliberarne l’uomo che ne è vittima.Mai Gesù predica rassegnazione,mai mostra di ricercare la sofferen-za di per sé, mai consiglia atteggia-menti doloristici, invece si impegnain una lotta contro il male e le ma-lattie, venendo incontro alle nume-rose preghiere di guarigione che itanti miseri che lo accostano gli ri-volgono”23.

2.3 La dimensione affettiva nell’esercizio della professione sanitaria

L’accettazione e l’integrazionedelle proprie ferite, legate alla con-dizione umana limitata, non solorende capaci di ascoltare il mes-saggio che viene dalla sofferenza,ma anche permette agli operatorisanitari di avvicinarsi a chi soffrecon più grande umanità.

Uno dei temi dibattuti nel nostrotempo è quello dell’umanizzazio-ne del servizio agli ammalati, in-tendendo con questo neologismo

l’esigenza di adeguare il più possi-bile l’essere della cura agli infer-mi al suo dover essere. In questodibattito, occupa un posto di rilie-vo il rapporto tra operatori sanitarie ammalati.

Chi soffre vive l’esperienza diuna lacerazione nel corpo e nellospirito. Il suo soffrire, che si espri-me nel dolore, nella malattia e nel-la morte, è un segno, un “messag-gio in codice”, un grido che parlaalla persona umana. Il malato habisogno che il suo appello, cheparla della finitudine umana e del-la condizione mortale dell’indivi-duo, sia ascoltato; che le emozioniche l’accompagnano – l’inquietu-dine, la paura, la speranza – sianoaccolte da qualcuno. Il grido delmalato non è inteso adeguatamen-te in una società che tende a tratta-re la sofferenza in maniera pura-mente tecnica, cioè cercando disopprimerla prima d’aver cercatodi capirne il senso. Tagliata fuoridalla coscienza nella quale è vissu-ta, la sofferenza è ridotta a un purosintomo, e con ciò stesso alienata,disumanizzata. In questo caso, nonè la persona che è oggetto di cure,ma la sofferenza.

Pur lottando medicalmente con-tro il dolore, è importante acco-glierlo come un segno dato alla co-scienza; allora il monopolio del-l’intervento tecnico è spezzato e ildolore può in qualche modo parla-re e trasmettere il suo senso, perchéè un grido di significato. Senzadubbio si sono moltiplicate le “cu-re della salute” di ogni ordine, e silotta spesso in maniera accanitacontro il male. Ma basta tutto que-sto per rispondere all’attesa delmalato? Non si sente egli stesso,anche in mezzo a tutte le cure, rin-viato duramente alla sua solitudi-ne, incompreso nelle sue richiesteperché cosificato, consumatoresenza voce? L’ascolto della canzo-ne che il paziente canta è reso diffi-cile da molti fattori. La formazioneprofessionale, l’organizzazione dellavoro, gli interessi professionali ocorporativi portano più facilmentei curanti a realizzare compiti tecni-ci. Essi devono reagire fortementeper evitare di fuggire il malato.Tanto più che sono tentati di pro-teggersi contro l’immagine di sestessi, riflessa sul viso del loro si-mile colpito dalla sofferenza24.

Questo disagio relazionale, che

riflette una tendenza generale enon necessariamente il comporta-mento dei singoli operatori sanita-ri, è facilitato dalla tendenza a ri-durre il servizio a una pura funzio-ne. In questa ottica, l’altro non è vi-sto come persona, ma solo comequalcuno che dà o che riceve deiservizi. L’attaccamento, l’interessee l’amore tendono a essere sostitui-ti dalle regole del contratto di lavo-ro; manca la passione e la compas-sione25, cioè quella “emozione inti-ma – l’identificazione profondacon coloro che soffrono o che sonosprovveduti – che è l’inizio di ognivera responsabilità morale e dun-que della responsabilità nel campodella salute”26. Infatti, come affer-ma la psicanalista Françoise Dolto,è “l’emozione di compassione chefa la comunicazione inter-psichicatra gli uomini; c’è l’assistenza alcorpo che richiede competenza eche è pagata, e c’è l’emozione cherende umani. Quando questa vienea mancare è perché il servizio di-venta istituzione, o perché l’incon-tro non è unico, ma diventa un la-voro alimentare o un mestiere ap-passionante. L’assistito, allora, nonè più che un oggetto. Non c’è piùrelazione umana”27.

Di fronte a questo fenomeno,che si esprime in svariate maniere,la riflessione teologica invita a vol-gere lo sguardo al Cristo, divinosamaritano delle anime e dei corpi.In questo titolo è riassunta tutta l’o-pera svolta da Gesù in favore deimalati: “Mosso da compassione siavvicinò...”. Circa un quinto delVangelo tratta delle guarigioni ope-rate dal Cristo e riporta riflessionifatte in occasione di queste stesseguarigioni. “Dei 3.779 versetti deivangeli, 727 si riferiscono specifi-camente alla guarigione di malattiefisiche, mentali e alle risurrezionidei morti; troviamo inoltre altri 31riferimenti generali ai miracoli cheincludono guarigioni”28.

Da tutti questi testi appare chia-ramente che la partecipazione diGesù al destino umano non è neu-tra, ma carica di una forte intensitàaffettiva. Nel vangelo, il verbo gre-co splanechnizomai è utilizzato do-dici volte per indicare l’attitudinedi Cristo. Il significato è il seguen-te: “risentire qualche cosa nelleproprie viscere”. Nei suoi contatticon le persone che soffrono e si tro-vano nel bisogno, Gesù reagisce

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emotivamente: risente vivamentela loro sofferenza fino ad essernescosso in tutta la persona e pianger-ne, come gli è capitato davanti allavedova Naim e alla tomba di Laz-zaro. L’emozione di Gesù, che siesprime in simpatia e compassio-ne, è già sorgente di guarigione.Nella Salvifici Doloris, GiovanniPaolo II ribadisce questo concetto,affermando che la disponibilità delsamaritano nei confronti del feritoera accompagnata da una espres-sione emotiva. “Se Cristo, conosci-tore dell’interno dell’uomo, sotto-linea questa commozione, significache essa è importante per tutto ilnostro atteggiamento di fronte allasofferenza altrui. Bisogna, quindi,coltivare in sé questa sensibilità delcuore, che testimonia la compas-sione verso un sofferente. A voltequesta compassione rimane l’unicao principale espressione del nostroamore e della solidarietà con l’uo-mo sofferente” (n.28)29.

Nel suo modo di operare in fa-vore dei malati, Gesù ha mostratocon chiarezza che l’unione conDio “si ottiene e si mantiene permezzo della misericordia verso glialtri e, in particolare, verso i mala-ti”30. Rompendo la tradizione deltempo, Gesù si avvicina ai lebbro-si, considerati impuri e contagiosi,impone le mani su molti malati ecomanda agli apostoli di fare lostesso (Mt 9, 25; 10, 7-8).

L’esempio di Gesù ha influitodecisamente sull’ethos della medi-cina agli albori dell’era cristiana,inserendovi la filantropia, la carità,la compassione. Infatti, nella me-dicina precristiana, “anche quandoil modello etico virtuoso derivatodall’ideale della filantropia avràraggiunto la sua più ampia matura-zione ed espressione, si nota unaconsiderevole distanza e freddezzanel rapporto tra medico e pazien-te”31. Nei confronti degli ammalatiinguaribili e dei moribondi vigeval’esclusione dall’assistenza sani-taria.

I cardini sui quali, fin dagli inizidel cristianesimo, poggia la rifles-sione teologica sulla compassionecome elemento dell’esercizio dellamedicina sono l’incarnazione diCristo e la considerazione dell’uo-mo come imago Dei, immagine diDio. Sulla base di queste verità, lacomunità cristiana dirige la sua at-tività terapeutica verso ogni cate-

goria di sofferenti, credenti e non,e giunge a trasformare il servizioagli ammalati in una mediazionedella tenerezza e compassione di-vine e in una autentica esperienzadel Signore: “Ero infermo e miavete visitato”.

La spinta a inserire la compas-sione nella pratica della medicina èentrato nella filosofia sanitaria del-l’occidente, trasformando l’attosanitario non solo in un curare maanche in un prendersi cura, impli-cante il coinvolgimento personaledell’operatore sanitario con la per-sona che soffre, coinvolgimentoespresso attraverso la compassio-ne, la premura, l’incoraggiamentoe il sostegno.

Con l’avvento della medicinascientifica, la cura del malato ten-de ad essere sempre più affidata al-la tecnica, mentre si affievoliscel’attenzione al malato nella sua to-talità. Secondo uno storico dellamedicina, “un risultato non inten-zionale ma inevitabile della seco-larizzazione delle istituzioni sani-tarie è stato quello di essere sepa-rate dalla sorgente da cui nasce lacompassione. Non è per caso chela compassione, a parte manifesta-zioni individuali, è assente dallamoderna medicina”. Eppure, egliafferma, “essa è una qualità piena-mente compatibile con la medicinascientifica e con il progresso dellatecnologia. Però non nasce da esse.La compassione è il desiderio ditrattare l’ammalato non solo inmaniera medica competente e pro-fessionale, ma anche con amore etenerezza essendo egli un essereumano degno di grande valore, cheporta l’immagine di Dio. Essa èuna virtù intenzionale e attiva.Non è una qualità che possa essererichiesta a volontà. Può essere de-siderata, incoraggiata, coltivata.Ma senza una base trascendente espirituale, essa è destinata ad inari-dire e morire in un suolo rocciosoche manca di nutrimento”32.

Alla luce delle considerazioniche precedono si può meglio com-prendere e avvalorare, anche da unpunto di vista dell’antropologiacristiana, una delle sfide che con-frontano molti operatori del mon-do della salute: il passaggio dalcurare – consistente nella rimozio-ne della malatttia – al prendersicura33. Nel concetto del prendersicura sono compresi sia la compe-

tenza professionale e la prepara-zione scientifica sia il coinvolgi-mento personale che porta a cen-trarci nella persona del malato, lecui esperienze anche se non posso-no essere da noi penetrate piena-mente, possono però toccarciprofondamente, in quanto anchenoi condividiamo la stessa uma-nità. Parafrasando Kant, potrem-mo dire che, se una competenzaprofessionale senza la qualità mo-rale della vita è vuota, a sua voltauna cura incompetente è cieca.Aver cura del paziente sarà alloraun atto sintetico, in cui l’intelli-genza non meno del cuore, ha lasua parte e il suo posto34.

In un libro significativo, scrittoagli inizi degli anni ’80, In a diffe-rent voice, l’americana Carol Gilli-gan35 esprime in modo molto signi-ficativo l’esigenza di tale sintesi.La voce diversa di cui parla l’au-trice è costituita, nel mondo dellasalute, dall’accostarsi alle personecon un atteggiamento di partecipa-zione piuttosto che di distacco, disintonia e di compassione piutto-sto che di razionalità astratta. Unavoce che ribadisce la primarietàdella persona, la sua singolarità, inquanto chiede di essere presa inconsiderazione per se stessa. Unavoce parlata, lungo i secoli, preva-lentemente dalle donne, ma chenon è solo delle donne, anche se lanostra tradizione l’ha relegata adesse36.

Nel passaggio dal curare al pren-dersi cura si supera il comporta-mento professionale basato solosui diritti del malato e sui doveri dichi li assiste. Si giunge, cioè, a fareesperienza di ciò che vuol dire met-tersi all’ascolto dell’appello cheviene dalla condizione particolarevissuta dalla persona in situazionedi malattia. Rispondendo a tale ap-pello si fa, quindi, qualcosa di piùche semplicemente il ‘proprio do-vere’. Nella concretezza di un pre-ciso rapporto umano si mettono inpratica non solo le regole che strut-turano la professione sanitaria, mapiù profondamente si dà forma allapropria identità morale di perso-ne37. L’esperienza del professioni-sta sanitario rende così possibilel’epifania dell’alterità, di cui parlaLevinas, che fa consistere l’essen-za dell’esperienza morale comeesperienza dell’incontro con l’al-tro, con il volto dell’altro38. Quel

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volto, per il credente, ha i tratti delCristo.

Per raggiungere questo obietti-vo occorre entrare in sintonia conil malato e i suoi famigliari conquell’atteggiamento che si chiamaascolto empatico. La nuova medi-cina – simile in questo alla buonamedicina di ieri e di sempre – co-mincia dall’ascolto... che consentedi stabilire chi è la persona che de-ve essere curata, qual è il suo mon-do morale, come articola la ricercadella felicità, quali sono le sue pre-ferenze, quale è la buona vita e labuona morte per questo singoloindividuo.

Durante la sua esperienza di in-fermità, il malato è affidato allemani dei professionisti della salute

perchè se ne prendano cura, cioèperchè lo aiutino a mantenersi in-tero, a riacquistare l’umanità per-duta, a “riallacciare la sua infer-mità alla trama dei sentimenti cheessa genera nel vissuto della per-sona”, a uscire dalla sua solitudi-ne, a trovare un senso... partendodalla consapevolezza che ciò cheferisce il corpo di un individuo fe-risce altrettanto profondamente lasua anima.

L’attività degli operatori sanitarisi iscrive, così, nell’attività umanain generale divenendone una delleespressioni più significative. Ani-mata dalla fede, riproduce in ma-niera efficace il comportamentodel buon samaritano39.

La situazione di disagio creatonell’ambito del mondo sanitariodalla difficile armonizzazione tra ilcurare e il prendersi cura è un in-vito ad approfondire dal punto divista teologico l’importanza del

coinvolgimento affettivo e, in par-ticolare, a valorizzare maggior-mente la dimensione femminilenella società in generale e partico-larmente nel mondo della salute. Aquesto riguardo la Mulieris digni-tatem di Giovanni Paolo II offre al-cune importanti piste di riflessio-ne. “La forza morale della donna,scrive il Papa, la sua forza spiritua-le deriva dalla coscienza che Diole affida in modo particolare l’uo-mo, l’essere umano. NaturalmenteDio affida l’uomo a tutti e a ognu-no. Tuttavia, questo affidamento siriferisce soprattutto alla donnaproprio in ragione della sua fem-minilità...”. E più avanti egli ag-giunge: “Nella nostra epoca i suc-cessi della scienza e della tecnicapermettono di raggiungere in ma-niera ancora sconosciuta un benes-sere materiale che, favorendo alcu-ni, conduce altri all’emarginazio-ne. Questo progresso materialepuò comportare anche una gradua-le scomparsa della sensibilità del-l’uomo, verso ciò che è essenzial-mente umano. In questo senso, so-prattutto il nostro tempo aspetta lamanifestazione del genio delladonna che assicuri la sensibilitàverso l’uomo in ogni circostanza:per il semplice fatto che è uomo!”(n.30).

Se ciò che afferma il Papa è va-lido per ogni contesto, lo è in for-ma speciale per il mondo della sa-lute dove l’uomo, esperimentandola fragilità del proprio essere, puòfacilmente cadere vittima dell’in-differenza e della violenza. Unapartecipazione più attiva e corre-sponsabile della donna nella mis-sione della Chiesa nel mondo sani-tario porterebbe a cambiamenti si-gnificativi nel modo di porsi in re-lazione con le persone e i problemidel mondo della salute. Non sareb-be salutare vedere la presenza el’azione della Chiesa, il suo lin-guaggio, la sua teologia, la suapercezione della realtà e di Dio,maggiormente arricchiti di quellecaratteristiche che sono tipichedella personalità femminile: la ri-cettività, la disponibilità, l’acco-glienza, la capacità di ascolto, l’a-bilità nel cogliere le situazioni,l’attitudine a farsi carico dei pro-blemi degli altri, l’inclinazione aoffrire il proprio aiuto? Auspican-do l’istituzione di “un ministerodella cura pastorale degli infermi”,

la Melitello vi vede coinvolte so-prattutto le donne “per la loro con-tiguità al mistero della vita che na-sce o della vita che si spegne”. In-fatti, “la contiguità della donna aimomenti forti della vita è più av-vertita di quanto non lo sia quelladegli uomini maschi”40.

2.4 Quale salute?

Il progresso scientifico-tecnico el’evoluzione socioculturale hannoaperto nuove strade alla medicina.“Se, infatti, fino a ieri vi era solouna medicina dei bisogni (che siattuava nella triade di prevenzio-ne-cura-riabilitazione) oggi esisteanche una medicina dei desiderila cui incidenza sociale non è me-no forte. Inoltre, se la medicina diieri poteva al massimo ripristinarenella sua precedente integrità l’or-ganismo, oggi è in grado di perfe-zionarlo, di alterarlo, di manipo-larlo perfino nel suo assetto gene-tico. E poi ancora, se fino a ieril’obiettivo prioritario della medi-cina era quello di far vivere, oggisi pone anche quello di far viverebene, quindi non solo la quantitàma anche la qualità della vita”41.Siamo davanti ad un nuovo con-cetto di salute secondo il qualenon è più sufficiente non amma-larsi e guarire, bensì occorre ten-dere verso “una pienezza in cuisiano soddisfatti non solo i bisogniprimari, ma anche quelli che per laloro subordinazione potremmodefinire secondari sconfinandoimpercettibilmente nel dominiodel desiderio”42.

Il panorama dei nuovi orienta-menti della medicina è molto va-sto; basti pensare alla medicinadella riproduzione, alla medicinaestetica, alla medicina dello sport,all’ingegneria genetica di tipo mi-gliorativo, alle terapie centrate sulcorpo...

L’ampliarsi delle applicazionidella medicina e i risultati cui essodà luogo producono indubbi risul-tati positivi. Infatti, come giusta-mente scrive Leone Salvino, “be-nessere e qualità della vita nonpossono non rimandare versoquella pienezza esistenziale e quel-la assolutezza qualitativa che ca-ratterizzano l’esistenza nella suadimensione escatologica”43. Essi,tuttavia, aprono anche a conse-guenze negative, come l’affievo-

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lirsi del rispetto della vita e il con-cetto riduttivo di salute. Infatti,mentre si fanno sforzi ingenti e ac-caniti per prolungare la vita e perprodurla artificialmente, non sipermette di nascere a chi è già con-cepito e si tende ad emarginare chinon è più ritenuto utile: handicap-pati, morenti, anziani... Inoltre, seda una parte giustamente si valo-rizza la salute, moltiplicando leiniziative per promuoverla, dall’al-tra si giunge a fare di essa un valo-re assoluto di consumo, riducendo-

la alla sola dimensione biologica oa pura vitalità, associandola preva-lentemente alla bellezza e alla gio-vinezza44.

Di fronte a questi risvolti negati-vi emergono numerosi interrogati-vi: come armonizzare, nella curadella persona e nella sua crescita,logica tecnica e logica etica, con-quiste scientifico-tecniche e ordinedei valori e dei fini? 45 È possibileuna medicina attenta alla personanella sua totalità di essere bio-psi-co-socio-spirituale? Che dire ditutti quei movimenti che utilizza-no la spiritualità e la religione co-me fattori terapeutici, capaci cioèdi favorire la guarigione e il rag-giungimento del pieno benesseredella persona?

Nel prendere in considerazionequeste domande, sempre più fre-quenti nella nostra società, la ri-flessione teologica parte dal Cristo.Anche Gesù, nello svolgimentodella sua missione, ha di mira lapienezza di vita dell’uomo: “Sonovenuto perché abbiano la vita el’abbiano in abbondanza” (Gv 10,

10). È vero, la salvezza da lui ap-portata ha lo scopo di elevare l’uo-mo alla partecipazione alla vita di-vina in un cammino d’alleanza, at-traverso una relazione che spinge auscire da se stessi e a prendere lapropria responsabilità nel mondo.Ciò, tuttavia, non significa che essasia una salvezza disincarnata, nonsollecita dell’esperienza gioiosadel vivere e del vivere in pienezza.“L’esperienza di fede, infatti, coin-volge la globalità della personaumana, nella sua unità di corpo e dispirito. Tutta la rivelazione biblicatestimonia che ogni esperienza diDio è esperienza di vita, di libera-zione da ogni forma di schiavitùdel male e di promozione ed eleva-mento della vita fino alla parteci-pazione in pienezza della vita divi-na”46. Afferma Maggioni: “La sal-vezza di Gesù scende sempre nelprofondo e tocca l’uomo nel suocentro. Per riorientare l’uomo nelsuo rapporto con Dio, Gesù è pas-sato attraverso il corpo, ha guarito.Ma non si è limitato ad aiutare icorpi: ha liberato l’uomo dal pec-cato e non solo dalla malattia, dallasolitudine e dal non senso e nonsoltanto dal bisogno”47. Nella pro-spettiva evangelica, quindi, la pro-mozione della salute psicofisica edel benessere possono diventaresegni del Regno instaurato da Cri-sto, apertura all’accoglienza dellasalvezza, indicatori di una condi-zione che troverà la sua piena rea-lizzazione nell’era escatologica.

Fa quindi parte del progetto di-vino il mettere in atto tutto ciò cheè legittimo per assicurare dellecondizioni sempre migliori di vitaper tutti gli esseri umani. Questoimpegno, che incombe alla re-sponsabilità dell’uomo, deve inprimo luogo mirare alla crescitadella persona umana a livello ditutte le sue dimensioni, aprendosianche a quell’appello alla trascen-denza che è insito in ogni essereumano. In questa prospettiva lasalute suppone “la migliore armo-nia possibile tra le forze e le ener-gie dell’uomo, la spiritualizzazio-ne più avanzata possibile dell’a-spetto corporale e l’espressionecorporale più bella possibile dellospirituale. La vera salute si mani-festa come autorealizzazione del-la persona pervenuta a quella li-bertà, che mobilita tutte le energieper compiere la sua vocazione

umana integrale”48. Anche l’ap-proccio globale e olistico nella cu-ra del malato e nei programmi dicrescita della persona umana – di-venuto oggi tema di costante con-siderazione nel mondo della salu-te e nella società in generale – tro-va una spinta ad essere più com-pleto nell’insegnamento di Cristo.Non si tratta solo di prendere co-scienza delle diverse dimensionidella persona, ma di saperle rela-zionare tra di loro, sotto la guidadi una scala di valori sempre piùricca. Tale scala di valori, che tro-va nell’insegnamento evangelicola sua più alta espressione, aiuta acompiere scelte e anche a fare ri-nunce necessarie per rispettare lavita, difendere la dignità della per-sona propria e altrui, per mantene-re viva la tensione verso il tra-scendente.

In secondo luogo, l’impegno perl’accompagnamento della personaverso il benessere deve essere gui-dato dalla consapevolezza che loscopo della vita umana si situa benoltre l’immediatezza del benessereperfetto, anche se l’essere umano èdestinato a conoscere la felicità find’ora. Si tratta soprattutto di entra-re nell’amicizia di Dio, di riceversidalla sua tenerezza nella fiducia,anche quando si è confrontati conil limite inerente alla condizioneumana, ben visibile nei momentiin cui il corpo cade in rovina. Purnei limiti della malattia o dell’han-dicap la persona umana può realiz-zarsi e acquisire quella bellezzache resta tale anche quando noncorrisponde ai parametri culturali.È in questo senso che Agostinoparla della bellezza del Cristo, ri-splendente non solo nei momentifelici ed esaltanti della sua vita maanche in quelli della croce49. Se,infatti, la salvezza operata da Cri-sto è fonte di salute, essa lo è nelladinamica del mistero pasquale, dimorte e di risurrezione. Ciò impli-ca una necessaria moderazione deidesideri, un superamento dell’e-goismo per attuare una miglioredistribuzione delle risorse, un con-senso all realtà, condizione indi-spensabile per una crescita autenti-ca. “Questo atteggiamento di con-senso alla realtà non è un’esclusi-vità cristiana, essendo già presentenella maggior parte dei sistemidella saggezza del mondo. La dif-ferenza consiste nel fatto che per il

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cristiano questo cammino raggiun-ge un punto culminante nell’ade-sione profonda a un atteggiamentofiliale” nei confronti del Signore.“Allora, la grazia divina – l’amoregratuito di Dio – può collaborarepienamente con una libertà umanaprofondamente rispettata, in unarelazione di alterità... È allora chela salvezza è accolta in pienezza,anche se non vi è guarigione per-cettibile dal punto di vista medi-co”50. Fuori da quest’ottica si ri-schia di trasformare la fede in unservizio medico, o in un ingredien-te solo capace di dotare la personadi una maggiore serenità, o di unbuon rapporto con se stessi. Inquesto caso si correrebbe il rischiodi strumentalizzare la fede ai finidel benessere psicofisico della per-sona umana, cullando quest’ultimanel suo desiderio di invulnerabilitàe immortalità51.

Per indicare la salvezza da luioperata il Cristo ha compiuto delleguarigioni miracolose, segni dellatrasformazione avvenuta nel pro-fondo dell’essere umano. Ancheoggi sono necessari dei segni, pro-babilmente non nella linea dei mi-racoli compiuti da Gesù ma nellospirito che li animava, che era l’a-more. “La fede e l’amore possonoveramente guarire, nella misura incui essi restaurano l’unità dellapersona, senza che ciò implichi ne-cessariamente una guarigione fisi-ca o psichica. È la comunità il sa-cramento per eccellenza della gua-rigione52.

La situazione in cui si trova lamedicina contemporanea e il suoimpegno per migliorare la condi-zione umana, favorendo una cre-scente pienezza di vita è un invi-to53. “Una salvezza non può realiz-zarsi che con un corpo, in un cor-po, e non contro il corpo anche seciò implica una liberazione pro-gressiva, o un’integrazione dellesue oscure pesantezze, della suaviolenza e del suo narcisismo, del-la sete di possedere”54. Inoltre, for-se è “da riprendere il discorso delrapporto che la teologia vede traresponsabilità e speranza nel cre-dente, inteso anche come impegnoper prevedere la causa del male,promuovere uno stile di vita chefavorisca il benessere psicofisico espirituale da un lato, e l’atteggia-mento di fiducia e di affidamentoin Dio dall’altro”55.

Conclusione: la lezione dei testimoni

Tra medicina e teologia può es-sere instaurato un rapporto fecon-do. La storia testimonia di avvici-namenti e di rotture. Dalla lettera-tura al riguardo, in fase di avanza-mento pur non essendo ancora si-stematizzata, si possono attendereconfortanti risultati. Risultati posi-tivi sono giunti e continuano agiungere anche dalla testimonian-za di tanti operatori sanitari – me-dici, infermieri... – che hanno vis-suto la loro professione come unamissione volta sia a curare le feritedei malati come pure a promuove-re la salute umana alla luce deiprincipi evangelici. Il loro praticoinsegnamento ha contribuito econtribuisce ad approfondire l’in-telligenza della fede della profes-sione sanitaria. Alcuni di essi sonostati proposti come modelli allavenerazione del Popolo di Dio, al-tri hanno seguito il divino samari-tano delle anime e dei corpi senzaaverne una esplicita consapevolez-za. Nella Salvifici Doloris (nn.28-30), Giovanni Paolo II ne ha rico-nosciuto il valore e la forza di testi-monianza. Unendo competenza ecompassione, capaci di vedere nel-l’uomo malato il volto di Cristo,essi hanno fatto della professionesanitaria una traduzione della ca-rità di Cristo e una realizzzazioneautentica della vocazione cristiana,dimostrando che l’uomo creato adimmagine di Dio, di un Dio che èamore, non può realizzarsi autenti-camente che nell’amore.

P. DR. ANGELO BRUSCOSuperiore Generale dei Ministri

degli Infermi (Camilliani) Italia

Note1 Ciò che verrà detto a proposito della me-

dicina vale anche per il mondo della sanità edella salute in generale.

2 Cfr. PH. GAUER, Le Christ médecin: soi-gner, la découverte d’une mission à la lumiè-re di Christ-médecin, C.L.D, Chambrai-lès-Tours, 1994.

3 Cfr. Evangelium Vitae, n.15: “Ma nell’o-rizzonte culturale complessivo non manca diincidere anche una sorta di atteggiamento pro-meteico dell’uomo che, in tal modo, si illude dipotersi impadronire della vita e della morte”.

4 Cfr. A. KAHN, Et l’homme dans tout ça?,NiL, Paris, 2000, p. 233.

5 Cfr. J.M. VELASCO, Mundo de la salud yevangelizaciòn, in AA.VV., Congreso Iglesiay salud, Madrid, 1994, pp. 218-19.

6 F.J.J. BUYTENDICK, El dolor, in “Revistade Occidente”, Madrid, 1958, pp. 23-24.

7 Esempio tipico di questo orientamento èancora la clonazione umana, argomento para-digmatico di questo passaggio da un millennioall’altro, che mette in questione il profondo si-gnificato antropologico della maniera attra-verso cui un uomo e una donna cooperano al-la nascita di una nuova creatura.

8 J.M. VELASCO, o.c., p. 218. 9 “Nel mondo della medicina, più che in al-

tri settori, scoppia la contraddizione tra il so-gno del progresso assoluto e la realtà. Il realedella morte penetra nell’immaginario dell’u-manesimo tecnologico, rivelando il suo carat-tere illusorio. Si tratta del tragico moderno,nel quale il progresso della scienza e della tec-nologia urta contro l’impotenza della personaumana di fronte alla finitudine” (A. Brusco,Umanità per gli ospedali, Salcom, Varese,1983, p. 23)

10 GIOVANNI PAOLO II, En étant les défen-seurs de la vie vous etes les coopérateurs deDieu, in “Dolentium Hominum”, 3(1986), p.20.

11 L. SALVINO, o.c., p. 1097.12 PIO XII, Radiomessaggio al VII Congres-

so internazionale dei medici cattolici, in PIOXII, Discorsi ai medici, a cura di F. ANGELI-NI, Ed. Orizzonti medici, Roma, 1966, p. 504.Cfr. L. BUCCI, Cristo medico, Implicazionietiche di un motivo di antropologia teologicanel contesto del dibattito bioetico recente, Ca-milliane, Torino, 1998.

13 Cfr. A. BRUSCO, Vulnerabilità personalee servizio a chi soffre, in Camillianum, 8(1993), pp. 223-241.

14 C. JUNG, Fundamental questions of psy-chotherapy, Collected Works, Vol. XVI, l951,p. 116.

15 G. CINÀ, Il linguaggio della sofferenza,in Anime e corpi, 165-1993, p. 78.

16 SGRECCIA, E., Pastorale sanitaria, istan-ze etiche e culturali, Salcom, Varese, 1987, p.207.

17 Cfr. C. NOTARO, “Il guaritore ferito”, inCamilliani nº 67 (1993), pp. 311-312.

18 E. SGRECCIA, o.c., pp. 203-204.19 H. NOUWEN, Il guaritore ferito, Querinia-

na, Brescia, 1982, p. 98.20 Cfr. J.L. CARAVIAS, Fe y dolor, respue-

stas biblica ante el dolor humano, Selare,Santafé di Bogotà, 1993, p. 18.

21 H. NOUWEN, La memoria viva de Jesu-cristo, Guadalupe, Buenos Aires, 1987, p. 23.

22 L. SALVINO, Salute: approccio etico e pa-storale, in Dizionario di teologia pastoralesanitaria, Camilliane, Torino, 1997, p. 1096.

23 E. BIANCHI, Preghiera, in Dizionario diteologia pastorale sanitaria, Camilliane, To-rino, 1997, p. 931. Cfr. Salvifici Doloris: “IlVangelo è la negazione della passività di fron-te alla sofferenza. Cristo stesso in questo cam-po è soprattutto attivo” (n. 30).

24 J. PROULX, Santé, sens et salut, in Critère,n. 14, giugno 1976, p. 113. Cfr. P. CATTORINI:“L’interpretazione dell’atto medico come pre-stazione tecnica, interpretazione corrispon-dente alla riduzione dell’atto terapeutico a ne-gozio commerciale, a esteriore fornitura-frui-zione di servizi, quasi un intervento di ripara-zione meccanica, ha oscurato la dimensioneoriginaria e la sorgente radicale dell’impresadi cura: la domanda di aiuto rivolta da un sof-ferente ad un altro uomo” (Malattia e allean-za, Firenze, 1994, p. 19).

25 MC CORMICK, Responsabilité morale del’homme dans le domaine de la santé, inL’Hôpital catholique, 4(1977), p. 18.

26 Ibid., p. 18.

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27 F. DOLTO, L’Evangile au risque de lapsychanalyse, Delorge Ed., Paris, 1977, pp.162-163.

28 C. VENDRAME, Le guarigioni dei malaticome parte integrante dell’evangelizzazione,in Camillianum, 2(1991), p. 30.

29 Nel capitolo IV dell’Enciclica Evange-lium Vitae viene magistralmente illustrato ilruolo della compassione nel servizio alla vitae ai sofferenti.

30 A. VANHOYE, Vita consacrata sanitaria,fondamenti biblici, DTPS, p. 1390.

31 S. Spinsanti, L’allenza terapeutica, Cittànuova, Roma, 1988, pp. 67-68. Cfr. G.B. Fern-gren, Medicine and compassion in early chri-stianity, in Theology Digest, 46:4(1999), pp.315-326.

32 G.B. FERNGREN, o.c., p. 324.33 Cfr. E.D. PELLEGRINO e C.D. THOMASMA,

Medicina per vocazione, Dehoniane, Roma,1995; W. TH. REICH, Curare e prendersi cu-ra. Nuovi orizzonti dell’etica infermieristica,in L’Arco di Giano, 10(1996), pp. 11-24; S.SPINSANTI, Curare e prendersi cura, CIDAS,Roma, 1998.

34 Nel documento della Consulta nazionale

per la pastorale della salute: La pastorale del-la salute nella Chiesa italiana, si afferma chei professionisti della salute sono chiamati “adacquisire la più ampia capacità professionale,nella convinzione che ‘l’onestà e la competen-za professionale (...) difficilmente possono es-sere sostituite da un altro tipo di zelo apostoli-co’” (n.53).

35 C. GILLIGAN, In a different voice. Psy-chological theory of women’s development,Harvard Un. Press, Cambridge, Mass., 1982.

36 Cfr. W.E. LECKY, History of EuropeanMorals, 2:361-3.

37 Ibid., p. 12.38Cfr. E. LEVINAS, Totalità e infinito, Jaca

Book, Milano, 1980, p. 73.39 Cfr. Salvifici Doloris, n.29.40 C. MELITELLO, Donna e ministero, in Ca-

milliani - Informazioni e Studi, 65(1993), p.110. Cfr. in questo articolo le pertinenti rifles-sioni su Maria di Nazareth modello di ministe-rialità profetica sacerdotale e regale (pp. 110-111).

41 S. LEONE, Salute: approccio etico-pasto-rale, in Dizionario di teologia pastorale sani-taria, Camillianum, Torino, 1997, p. 1095.

42 Ibid., p. 1093.43 Ibid., p. 1093.44 L’Enciclica Evangelium Vitae di Gio-

vanni Paolo II illustra in modo esaustivo gliattentati alla vita presenti nella cultura del no-stro tempo e visibili in modo particolare nelmondo della salute.

45 Cfr. D. VASSE, La parole et la souffrance,in Medicine de l’homme, 82(1976), p. 30.

46 G. CINÀ (a cura di), Medicina e spiritua-lità, Camilliane, Torino, 1998, p. 9.

47 B. MAGGIONI, Sofferenza, approccio bi-blico, (NT), in Dizionario di teologia pastora-le sanitaria, p. 1174.

48 B. HAERING, Perspectives chrétiennespour une médecine humaine, Fayard, 1975,p. 157.

49 Cfr. Exposition on the book of Psalms,44,3: PL 36, 495-496.

50 B. UGUEUX, o.c. 192-193.51 Cfr. G. CINÀ, o.c., pp. 10-11; cfr. B.

Ugueux, o.c., p. 204.52 Cfr. B. UGUEUX, o.c., p. 203.53 G. CINÀ, o. c., p. 9.54 B. UGUEUX, o.c., p. 27-28.55 G. CINÀ, o.c., p. 11.

WILLEM J. EIJK

II: Problemi attuali di teologia morale

La teologia morale cattolicaprende come punto di partenza unavisione dell’uomo basata sulla Ri-velazione o su una filosofia cristia-na, soprattutto quella tomista. Dio,creando l’uomo a sua immagine esomiglianza, ha avuto un certo pia-no con colui che corrisponde colsuo essere. Questo approccio sot-tintende che l’uomo, riflettendosul proprio essere, solo razional-mente o nella luce della Rivelazio-ne, sia in grado di sapere qualecomportamento è appropriato omeno al suo essere. Con altre paro-le, l’uomo è capace di scoprire checosa è necessario per rafforzare lasua similitudine a Dio. Questo sirealizza attraverso le virtù, soprat-tutto quelle infuse come grazia daDio. Gregorio di Nissa afferma“che il fine della vita secondo levirtù è diventare simile a Dio”1.Tommaso d’Aquino vede le virtùcome caratteristiche morali cherafforzano nell’uomo la sua simili-tudine a Dio2.

Autonomia e pluralismo

Questo approccio fondamentaleè stato posto in discussione soprat-tutto nel secolo scorso a causa diuna serie di fattori coincidenti, chehanno reso quasi impossibile per lasocietà moderna dare una rispostaalla domanda “chi è l’uomo” edunque anche alla domanda “comedeve essere e agire”. Il fondatoredell’etica in questione, il tedescoEberhard Grisebach (1880-1945),professore di etica teologica allaFacoltà di Teologia protestante diZurigo, ha scritto nel suo libro Ge-genwart del 1928:

“Non può sfuggire al pensatorecritico che un’etica scientifica, no-nostante il suo fondamento assolu-to non dice a nessun uomo nel mo-mento che cosa deve fare qui eadesso, che non può garantire diportare chiunque all’esistenza eti-ca nella situazione attuale”3.

Grisebach è convinto che non sipossano derivare norme universali

dall’essenza dell’uomo. Tentativiin questa direzione sarebbero fon-date su immagini fatte dall’uomodi se stesso e ricordi del passato oproverrebbero da un mondo appa-rente. Tutto questo distrarrebbe so-lamente l’uomo dalla situazioneconcreta in cui agire. Ogni situa-zione è per lui tanto unica che nonsi applicherebbe ad essa nessunaregola universale. Si riconosce inquesto pensiero il nominalismoche ha sempre influenzato profon-damente il protestantesimo. Nelsecolo scorso si affiancava ancoral’influsso della filosofia esisten-zialista che accentua ancora di piùl’unico e il concreto.

Si deve comprendere come ilnominalismo, che riduce la cono-scenza umana a quella empirica,sia una filosofia molto attraentenell’epoca in cui le scienze e latecnica godono ancora di un’auto-rità grandissima, benché inferiorerispetto a prima. La legge di DavidHume (1711-1776), molto citata,

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che afferma l’esistenza di un saltoinsuperabile fra l’essere (“is”) e ildovere (“ought”),4 cioè che la co-noscenza dei fatti non può mai direalla persona come dover agire (ininglese indicato come la “fact/va-lue dichotomy”), è una conseguen-za logica del suo empirismo. Que-sto non deve condurci, però, achiudere gli occhi a causa della de-bolezza fondamentale dell’empiri-smo. Questo è di fatto fondato suun dogma cieco e contrario in sé:che soltanto la conoscenza empiri-ca sia conoscenza vera, questo nonpuò essere dimostrato in modoempirico, mentre secondo il dog-ma fondamentale dell’empirismoquesta è l’unica strada per arrivarea una reale conoscenza scientifica.

Un altro fattore molto importan-te è che secondo le scienze natura-li e tecniche ogni metodo, ogni ri-sultato di una ricerca e ogni leggenaturale fisica formulata in un cer-to periodo può essere sempre sot-tomesso a una prova o ad un espe-rimento ulteriore. Questo dà l’im-pressione che quasi ogni cono-scenza umana sia sempre cambia-bile, non solo nel campo dellascienza e della tecnica, ma anchein quello della filosofia e della teo-logia, e – da non trascurare – anchein quello dell’etica. La teoria del-l’evoluzione, presentando l’uomocome prodotto non intenzionale diun processo biologico impersonalecasuale, ha sostituito la visionecreazionista e, perciò, la concezio-ne del piano della creazione comefondamento della morale.

La mentalità positivista ha comeconseguenza, inoltre, che si inter-preta la Sacra Scrittura spesso sol-tanto secondo i criteri delle scienzepositive e se ne rifiuta il messaggioproprio. Il fondamentalismo, pre-sente soprattutto fra i protestantiortodossi ma a volte anche in certigruppi cattolici, tenta di mantenerela fede e la morale cristiana tradi-zionale prendendo la Bibbia allalettera. Questa, però, in fin deiconti è una manifestazione dellamedesima attitudine empirista enominalista.

Mentre la morale classica, puravendo perso la sua fondazione, ri-maneva generalmente accettatanella società fino all’ultimo quartodel secolo scorso, è andata perdutadurante l’epoca del movimentohippy e della rivoluzione sessuale.

Una causa molto influente era laprosperità che sorgeva negli StatiUniti negli anni Cinquanta e nel-l’Europa Occidentale nella secon-da metà degli anni Sessanta. Laprosperità e la tecnica, rendendopiù leggera e confortevole la vitaquotidiana, hanno causato unasvolta nelle norme e nei valori. Ciòche è severo ed esigente, è facil-mente considerato come qualcosada evitare moralmente. La dottrinamorale cattolica, perciò, è spessovista come inumana: per esempio,come si può esigere da una ragaz-za rimasta incinta senza volerloche porti la gravidanza a termine?Le conseguenze per la sua vita so-no troppo serie e gravi per poterloesigere. Anche molte delle personeche dicono di rifiutare l’abortoprovocato in genere, compiono insimili casi un’eccezione.

La norma assoluta, cioè la nor-ma che, proibendo un male intrin-seco concreto, non ammette nessu-na eccezione, è perciò sospetta

nella nostra società. Una dottrinache sostiene ancora l’esistenza dinorme assolute, viene rifiutata co-me legalismo e trovata troppo ri-gorosa.5 Fletcher, un aderente pro-testante dell’etica della situazione,ha descritto l’attitudine della so-cietà di fronte al proclamatore del-la norma assoluta come segue:

“Anche se il legalista deplorache la legge esige delle decisionidure e disastrose, grida ancora‘Fiat justitia, ruat caelum’ (succe-da giustizia, cascasse il cielo). Luiè l’uomo che Mark Twain chiama-va ‘un uomo buono nel senso peg-giore della parola’”6.

La maggior parte degli etici e

dei teologi moralisti è oggi inclinea considerare norme come “noncommetterai aborto provocato oeutanasia diretta” al massimo co-me norme generali, cioè comenorme valide in genere, ma nonsenza eccezioni (‘valent ut in plu-ribus’), in contrapposizione dallenorme assolute.

La discussione sulla fondazionedelle norme morali nella teologiamorale si sviluppava globalmente.L’etica della situazione, soprattuttocomune fra protestanti liberali, do-minava negli anni Cinquanta e Ses-santa. Fra i moralisti cattolici chetrovavano la morale tradizionaletroppo stringente, il proporzionali-smo era generalmente accettato apartire dalla metà degli anni Ses-santa.7 A prescindere da tutte le suenumerose variazioni, questa cor-rente segue il principio che nell’at-to concreto si devono ponderare glieffetti positivi con gli effetti negati-vi per poter stabilire se un atto èbuono o meno. Per esempio si do-vrebbe confrontare il male dellamorte del bambino non ancora na-to contro le conseguenze negativeper la vita e la carriera della ragaz-za rimasta incinta senza volerlo. Ilmale intrinseco, cioè il male chenon si deve mai fare, per quanto siabuono lo scopo in se stesso, con-cernerebbe solo l’attitudine dell’a-gente o una virtù in genere: peresempio non si deve mai agire in-giustamente o imprudentemente. Ilproporzionalismo è stato rifiutatodal magistero nell’enciclica Verita-tis Splendor (nn. 71-83).

Mentre l’utilitarismo classico e ilproporzionalismo, che ne è in uncerto senso la traduzione nella teo-logia morale cattolica, considerava-no il giudizio etico, cioè compiereun appropriato bilancio delle conse-guenze positive e negative, non so-lo la competenza della coscienzamorale individuale, ma – in granparte – la competenza della societào delle autorità pubbliche, la valuta-zione di esse è diventata sempre piùuna cosa dell’individuo. La crisidell’autorità in genere, che sta dimi-nuendo attualmente, rende difficilesia accettare l’autorità pubblica chequella ecclesiastica soprattutto inmateria etica. L’individualismo e lamancanza di solidarietà così note-voli nella società occidentale hannocome conseguenza che l’uomo di-venta sempre più chiuso in se stes-

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so. Ogni uomo ha un proprio stan-dard per giudicare il significato delsuo agire e delle conseguenze deisuoi atti, per cui è autonomo in granparte. L’etica che tenta di fondarequesto sviluppo è nota come eticaautonoma. Questa è l’etica domi-nante nella società secolarizzata,ma che ha un influsso profondo an-che tra i fedeli. Ogni pastore di ani-me viene confrontato con questa at-titudine fra i suoi parrocchiani: “iostesso posso determinare che cosacredo”. Nella vita pubblica il medi-co, l’infermiere, l’insegnante, l’as-sistente sociale e tanti altri devononascondere le proprie convinzionidietro la maschera della professio-nalità. Nell’assistenza sanitaria puòfacilmente capitare che il mediconon vada d’accordo con la decisio-ne del cliente, ma ogni discussioneetica si ferma all’autonomia del pa-ziente: “lui stesso ha voluto così”.Siccome il bilancio dei vari valorirelativi è spesso redatto in base alleemozioni del momento, il risultatonon è comunicabile con altre perso-ne. È molto significativo in questorispetto che non si parli di un “giu-dizio etico”, comunicabile in un di-scorso razionale, ma di una “deci-sione etica”: si tratta di un volonta-rismo estremo.

Mentre la società occidentaleconosceva ancora durante gli annidelle contestazioni, cioè gli anniSessanta, il conflitto spesso moltoduro fra le varie correnti e genera-zioni, abbiamo adesso accettatol’autonomia e il pluralismo visticome condizioni indispensabili peruna coesistenza pacifica nonostan-te le diversità di opinioni e le scel-te etiche. Si tratta di un’etica deon-tologica, nel senso che prende co-me punto di partenza una serie diprincipi, di solito quattro, secondoun modello semplice. Vista l’im-possibilità di arrivare a un consen-so etico come piano portante per ilsistema giuridico, bisogna limitar-si a quei principi, empiricamenteverificabili, accettati da tutti, comeun “massimo comune denomina-tore”.8 Questi comprendono:

1. il principio di autonomia o – in modo un po’ attenuato – ilprincipio di permesso;

2. il principio di fare il bene(principle of beneficence);

3. il principio di non fare il male(principle of non-maleficence);

4. il principio di giustizia.

Nessuno può negare il principiodi autonomia, perché l’uomo è ov-viamente un essere libero. Molti lovedono come il principio fonda-mentale che esige sempre e ovun-que rispetto e ha la priorità su quel-lo di fare il bene. Se una personavuole porre fine alla vita mediantel’eutanasia o cambiare il sesso,nessuno ha il diritto di impedir-glielo. Significa che un medico,tentando di salvare la vita di unapersona che vuole suicidarsi deli-beratamente, fa un bene, ma controla volontà del paziente. Questo si-gnifica che commette il peccato dipaternalismo. Se qualcuno, invece,non accetta in principio l’eutana-sia, non è possibile imporgli que-sto principio. Così un cattolico tra-dizionale e un liberale possono vi-vere insieme pacificamente nellasocietà.

Mediante un consenso demo-cratico la società deve stabilire al-cuni beni per distribuirli fra imembri secondo il principio digiustizia, con lo scopo di renderetutti in grado di vivere la loro au-tonomia il più possibile. Anche lasocietà non ha il diritto di imporrea qualcuno un bene contro la suavolontà. Il principio di non fare ilmale funziona come una barrieranegativa per l’autonomia: è inac-cettabile che si causi un danno al-l’altro, poiché questo può essereinteso come una limitazione dellasua autonomia.

È chiaro come sia impossibileconciliare l’etica autonoma con lamorale cattolica che prende comepunto di partenza un’antropologiache conosce alcune coordinate fis-se, indipendenti da un’eventualepreferenza soggettiva. È, inoltre,un’antropologia non si deve sol-tanto fondare su informazioni em-piristicamente verificabili.

Visto che l’autonoma e il plura-lismo principale escludono di persé una discussione fondamentalenel foro pubblico, è anzitutto ne-cessario mostrarne le difficoltà,perfino l’impossibilità intrinseca.

Un’etica illusoria

Proprio riguardo a quei principiche dovrebbero condurre la societàa un consenso, l’etica autonomamostra un difetto fondamentale.Soprattutto i principi di fare il be-

ne, di non fare il male e di giustizianon hanno alcun senso se non siconosce prima che cosa sia un be-ne o un male, a che cosa corrispon-dano i diritti, e se non si definiscache cosa è ingiustizia. Che cosaimplicano i principi enumerati,quando questi concetti non hannoun contenuto oggettivo?

Nel 1998 la Corte di Lussembur-go ha emesso una sentenza in uncaso di uomini che avevano ferito igenitali esterni di alcuni di loromediante riti di sadomasochismo.Sia gli autori che le vittime si di-fendevano a vicenda dicendo chetutto era successo con il consensodelle vittime. La Corte, a quantopare convinta che il cittadino nonabbia diritto di disporre del propriocorpo senza limiti, ha però respintola loro argomentazione. Rimanetuttavia una certa contraddittorietànel sistema giuridico, perché un al-tro intervento in cui il corpo è feri-to in modo notevole per un deside-rio a livello sessuale, cioè la modi-ficazione del sesso, è generalmenteaccettata, perché vista come una te-rapia. E alcuni Paesi tollerano l’usodelle droghe leggere, che non losono di fatto, o delle droghe pesan-ti, fornite perfino gratuitamente incasi disperati per prevenire il furtoo altra criminalità nel quadro dellacosiddetta riduzione del danno,“harm reduction” in inglese, perproteggere il principio di non fareil male. Ma qual è il criterio per lavalutazione dei vari effetti? Mancala logica nel confrontare due i casi:se accettiamo la modificazione delsesso, perché non si accetta il feri-mento sadico per mettere alcuni ingrado di soddisfare i desideri ses-suali devianti che potrebbero altri-menti diventare incontrollabili?Perché non vedremmo anche que-sto come una sorta di terapia o pre-venzione? Rimane dunque l’im-pressione che l’etica autonoma nonsia priva di un’arbitrarietà conside-revole pure nel campo sociale.Questo fa temere che un giorno an-che l’attitudine riguardo al dannosadico in base a un mutuo consen-so possa diventare positiva.

Giovanni Paolo II, nella sua en-ciclica Evangelium Vitae (n. 70), sichiede se una tale arbitrarietà, ne-gando perfino beni fondamentalicome la vita umana, non facciacambiare la società democraticanel suo opposto:

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“Quando una maggioranza par-lamentare o sociale decreta la le-gittimità della soppressione, pur acerte condizioni, della vita umananon ancora nata, non assume forseuna decisione ‘tirannica’ nei con-fronti dell’essere umano più debo-le e indifeso?”

Accanto al problema che la man-canza di un’antropologia da cui de-rivano criteri oggettivi per distin-guere il bene dal male, rende difondo impossibile ogni valutazionemorale, l’autonomia di per sé appa-re una finzione. Lo scopriamo ana-lizzando alcuni casi spesso visti co-me esempi di decisioni autonome.Che cosa dobbiamo pensare del-l’autonomia del transessuale chevuole modificare il suo sesso feno-tipico? È una scelta completamenteautonoma o no? Sicuramente nonha scelto lo stato di transessuale:questo, secondo gli esperti, è il ri-sultato di uno sviluppo psicologicocosì come l’espressione di una con-dizione biologica/genetica. Qua-lunque sia la causa, la decisione disubire un cambiamento del sessoesterno sembra, comunque, – alme-no parzialmente – essere determi-nato da fattori che si sottraggonoalla libera volontà. Non dobbiamo

constatare lo stesso di tutti gli inter-venti cosmetici?

Per dire la verità: perché si desi-dera avere piercing e tatuaggi?Perché è un piacere andare fuoricasa in una maglietta senza mani-che nonostante un tempo fresco emostrare le braccia e le spalle mu-scolose? Perché il face-lift e la li-posuzione? In somma, perché que-sta insoddisfazione con il corpocome è, mentre non c’è un difettoo una malattia? Senza condividerela filosofia di Sartre, si deve sotto-scrivere la sua descrizione della

mentalità odierna, da cui anche luistesso era oppresso: noi ci sentia-mo spesso osservati come oggettisotto lo sguardo dell’altro da cuisiamo ridotti a un oggetto e un pos-sesso.9 Sorge la vergogna, quandodiventiamo una cosa stimata se-condo il suo valore sotto lo sguar-do di un altro. Questo sguardo con-cerne il corpo. Se lo sguardo del-l’altro minaccia di distruggermi,devo rimediare. Chi allena il cor-po, chi subisce interventi plastici,chi mette piercing o tatuaggi, lo favolontariamente in quanto non for-zato. Il corpo, però, funziona nellanostra cultura come oggetto per at-tirare l’attenzione altrui. In ciò chesi fa con il corpo, ci si fa guidaredal gusto altrui. La moda non è unascelta personale, ma è determinatae imposta da un gruppo o colletti-vamente.

Anche in ambiti più intellettualil’uomo è visto come un prodottovendibile. In un articolo recente inuna rivista olandese si è esaminatoquanto un esterno bello e attraenteinfluisca sulle possibilità di farecarriera e sulla possibilità di averereddito elevato. Detti fattori risul-tano proporzionati a vicenda. Unchirurgo plastico a Scheveningen

tratta per questo regolarmente diri-genti conosciuti di alto livello delmondo degli affari. Fra di loro sitrovava una quarantenne con unafaccia per niente brutta. Nell’indu-stria-IT dove lavorava “tra tutti ra-gazzini giovani,” voleva sembrarepiù “fresca:” “Essa non sfuggivaalla realtà che le palpebre si abbas-sano un po’, quando si avvicinal’età di quarant’anni. Questo dàun’impressione faticata e la solu-zione è ‘tagliare’.” Questo inter-vento implica la rimozione di unapiccola striscia di cute, “uno degli

interventi più popolari nel caso didonne di mezza età, e inoltre nontanto costoso. Si fa per 3000 fiorini(circa Lit 2.500.000)”10.

Molte cose fatte con il corpoprovengono da sentimenti di infe-riorità, assai frequenti in una so-cietà esigente come la nostra. Unascelta determinata da questi senti-menti, che funzionano in fin deiconti come una forma di pressionesociale, non è completamente libe-ra o autonoma. Il problema dell’e-tica autonoma è che si tratta diun’etica senza soggetto: l’uomoautonomo che essa suppone èun’astrazione, o forse un’illusione.

Anche se esistesse l’individuoautonomo, avrebbe un compitonon fattibile: sarebbe “condanna-to” a fare un confronto fra i vari be-ni rilevanti nella sua situazione.Senza coordinate fisse questo è im-possibile. Come si potrebbe com-parare il peso dei vari beni coinvol-ti in un atto umano, visto che nonsono commensurabili fra di lorosenza un denominatore comune?Come considerare il valore di unavanzamento di carriera o di unviaggio in Thailandia rinunciandoad avere un figlio o l’importanzadella procreazione per l’equilibriodemografico?11 Non si tratta di benidello stesso ordine. Demmer cercatale denominatore comune nella“apertura all’eternità” (“Ewigkeit-serschlossenheit”): “non vengonocomparati o perfino messi in contoa vicenda il temporale con l’eterno,ma gradi distinti di intensità, con-sapevolezza e libertà di apertura al-l’eternità”12. Questa proposta è tut-tavia una soluzione che mostra unacerta perplessità. L’etica autonomaimpone agli individui un compitopsicologicamente troppo difficile arealizzarsi. L’individuo di per sénon è in grado di avere una visioned’insieme. La libertà di scelta hainoltre altri svantaggi. La vita nonha più un corso ovvio, ma è una se-rie di scelte personali di cui l’indi-viduo stesso ha tutta la responsabi-lità. La conseguenza è che, non piùappoggiato dalla società, vienepersonalmente apprezzato per ilsuo successo, ma anche personal-mente ritenuto responsabile delproprio fallimento.

Il dramma dell’illusione dell’uo-mo autonomo diventa ancora piùchiaro quando consideriamo checosa gli capita nei suoi rapporti so-

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ciali. Nella discussione pubblica èquasi impossibile parlare delle pro-prie convinzioni religiose o etiche,in quanto limitate all’atmosferaprivata. La conseguenza è che nel-la vita sociale e politica si è costret-ti a discutere solamente i valori im-portanti per tutti. Risulta nella pra-tica che sono valori economici. Diconseguenza l’uomo stesso è prati-camente ridotto a un valore econo-mico. Il filosofo inglese MacIntyredescrive come i modelli leader so-ciali di un tempo, cioè i professori,i medici, i giuristi e i ministri delculto, sono stati sostituiti oggi daimanager burocratici13. Il manager èla persona che deve gestire un’a-zienda, un ospedale, una scuola oun’istanza pubblica utilizzando ilminimo di mezzi, finanze e impe-gnati. Da questo punto di vistaspesso l’uomo è stimato solo se-condo il suo valore economico enon primariamente secondo il pro-prio essere che ha voluto far valereaccentuando la sua autonomia.Questa conseguenza contraria mo-stra che l’etica autonoma promettein fin dei conti solo un’illusione.

Un appoggio oggettivo

La domanda fondamentale è seesistono beni oggettivi che funzio-nano come coordinate fisse peruna valutazione etica dell’agireumano. La libertà umana è sicura-mente un tale bene, ma viene esal-tato quasi come l’unico bene uma-no fondamentale a scapito di altribeni. L’uomo moderno, vivendocon l’illusione che senza salute lavita è priva di ogni valore, si dà pervinto quando la tecnica manca, esceglie sempre più spesso di con-cludere la vita nella forma di suici-dio assistito o di eutanasia (volon-taria). La libertà di valutare il valo-re della vita è preferita alla vitastessa. Benché la libertà sia il benepiù alto dell’uomo, non dobbiamoconstatare che la vita è un bene piùfondamentale? Il cardinale De Lu-go (1583-1660), secondo S. Alfon-so di Ligorio – il teologo moralistapiù grande dopo S.Tommaso d’A-quino – chiama il suicidio un pec-cato contro l’amore dell’uomoverso se stesso, perché la vita è“substantia et fundamentum alio-rum [bonorum]:” “come possoamarmi, se non voglio per me al-

meno l’essere, che è il fondamentodi ogni bene, e senza il quale nonposso poi volere per me nessun be-ne?”14 Senza la vita non si può in-fatti realizzare la libertà.

Mentre nella società occidentaleodierna c’è una tendenza forte dipreferire la libertà alla vita, ci sonoanche altre esperienze. Possiamoveramente meravigliarci che dellepersone in circostanze terribili eapparentemente insopportabili, sisforzano ancora all’estremo perpoter sopravvivere. I prigionieridei campi di concentramento nelperiodo del nazismo o del comuni-smo mostravano una forte volontàdi vivere, nonostante la loro situa-zione spesso disperata. Solzenicynha descritto molti di questi esempisignificativi nel suo famoso libroArcipelago Gulag15. Durante la de-tenzione in un campo di concentra-mento lo psichiatra vienneseViktor Frankl ha avuto la possibi-lità di approfondire la sua nosote-rapia, il modello della terza scuoladi psicoterapia di Vienna, osser-vando che i prigionieri riuscivanoa sopravvivere mantenendo la spe-ranza e vedendo il senso della vi-ta16. Dopo averli persi non eranopiù in grado di vivere e di solitomorivano, senza essere uccisi osuicidarsi. Questo mostra che l’uo-mo, anche in circostanze molto piùgravi di quelle dei nostri pazientiterminali, hanno un’inclinazione avivere e dunque vedono la vita co-me un bene.

Lo stesso vale anche per la pro-creazione: c’era un grande amore,affetto e desiderio di figli, anche inepoche in cui la nutrizione e l’edu-cazione erano realizzabili solo conmolti sforzi e molte difficoltà.Benché nelle guerre la quota di na-talità cada, si osserva spesso unsuo aumento nel periodo successi-vo. Nonostante la quota di natalitàmolto bassa nella nostra società,una parte considerevole del 20%delle coppie che non può concepi-re figli in modo naturale è dispostaa subire molti esami medici e in-terventi per realizzare la procrea-zione. Questo significa che anchenella nostra società la procreazioneè ancora percepita come un bene.

Ci sono ancora altri beni chel’uomo desidera in genere. Lostesso Solzenicyn descrive come igiudici istruttori nel sistema comu-nista usavano metodi comprovati

per costringere prigionieri spessocompletamente innocenti a firmarela confessione della propria colpa:facevano molte promesse false(“se firmi, noi garantiamo che sa-rai trattato in modo mite”), li in-gannavano fingendo che anche lafamiglia era stata arrestata e che laloro sorte dipendeva dalla confes-sione immediata della colpa, o litorturavano cosicché non potevanopiù pensare. Privando i prigionieridella conoscenza razionale ogget-tiva impedivano loro di agire inmodo umano, cioè come esseri li-beri e responsabili. Da questo deri-va il principio del consenso infor-

mato che richiede che un pazientenon debba subire una terapia o par-tecipare a un esperimento senzaessere sufficientemente informatosui vantaggi e sugli svantaggi esenza essere messo sotto pressio-ne. Altrimenti non potrebbe dareuna decisione veramente libera. Inquesto contesto appare anche laconoscenza come un bene fonda-mentale per realizzare la libertà.

I neonati dell’esperimento diFrederico II nel Duecento, che nonerano accarezzati e a cui non si di-ceva niente per vedere se la linguaoriginale dell’uomo era l’ebraico,morivano. Una ragione per chiede-re eutanasia è spesso il sentimentodi essere abbandonati e isolati. No-nostante la prosperità, molti nellanostra società soffrono di solitudi-ne, la malattia del mondo occiden-tale. Conoscenza pratica o saggez-za di per sé non bastano per poter

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vivere, come afferma Frankl:“In un campo di concentramen-

to trovai una volta il corpo di unadonna che si era suicidata. Tra lesue cose vi era un pezzo di carta sucui aveva annotato queste parole:‘Più forte del destino è il coraggioche lo sopporta.’ Ebbene, nono-stante questo motto, si era tolta lavita. La saggezza viene meno sen-za un tocco umano”17.

Tutto questo mostra che l’affettoe i rapporti con altre persone uma-ne come beni da una parte emozio-nali, ma in fondo spirituali sono in-dispensabili per l’uomo per potervivere in modo umano. Queste ri-flessioni mostrano che l’uomo as-solutamente autonomo, nel sensoche può determinare che cosa è unbene per lui o meno, è un’astrazio-ne totale della realtà. Mentre moltiritengono che la dottrina classicadella legge naturale sia troppoastratta per fondare l’etica, risultadi fatto che corrisponde anche alleesperienze concrete dell’uomo delventesimo secolo. Una condizione“sine qua non” è, però, che si evitidi presentarla nel modo volontari-stico ed essenzialista come hannofatto i moralisti della seconda sco-lastica. Questa spiegazione dellalegge naturale si è arenata neglianni Sessanta del secolo scorso acausa dell’accusa di fisicismo ebiologismo. Non si può infatti de-durre norme morali semplicemen-te da fatti biologici senza riferirsiall’essere della persona nella suatotalità.

L’interpretazione tomista origi-nale non vedeva come fondamentodella morale una norma, ma la fi-nalità inscritta nell’essere dellapersona umana come tale. Tomma-so d’Aquino formula il primo pre-cetto della legge naturale così: “Ilbene è da farsi e da cercarsi, il ma-le è da evitarsi”18. Come Aristotele,Tommaso identifica il bene con ilfine. Il precetto così formulatosembra astratto, ma riceve un con-tenuto concreto attraverso le incli-nazioni. L’uomo ha alcune inclina-zioni basilari verso le cose che laragione percepisce spontaneamen-te come beni:

1. l’inclinazione a conservare ilproprio essere, che l’uomo ha incomune con le altre sostanze, dacui deriva che la vita è un bene;

2. l’inclinazione a conservare laspecie mediante la procreazione e

l’educazione di figli, che ha in co-mune con gli animali;

3. l’inclinazione specifica del-l’uomo, cioè il suo aspirare a cono-scenza razionale e a vivere in unasocietà.

Molti hanno difficoltà con que-sta spiegazione della conoscenzadei principi morali in base alle in-clinazioni umane. Non si riducecosì l’uomo al livello di un anima-le con un comportamento determi-nato? Non dimentichiamo che ilconcetto di natura e di legge natu-rale fa pensare all’uomo modernoche si tratti qui della natura biolo-gica/fisica e delle leggi naturali fi-siche, che implicano funzioni o ef-fetti determinati. L’uomo modernoha esattamente la convinzione diaver superato la natura fisica e bio-logica che ha spesso tanti limiti. Siarrabbia o si irrita, perciò, quandola realtà sembra essere il contrario.Il concetto di legge naturale è per-ciò meno popolare. In ogni caso,l’avversione per questo concetto sifonda su un malinteso: si concepi-scono le inclinazioni come tenden-ze cieche, che ovviamente non losono. Sono infatti l’inizio dell’agi-re morale perché pongono l’uomodi fronte a una scelta. Senza l’esi-stenza di certe cose che l’uomopercepisce automaticamente comebeni che esigono la sua rispostapositiva o negativa, non ci sarebbelibertà. Senza un punto di riferi-mento oggettivo l’uomo può soloseguire le sue passioni, le sue emo-zioni e i suoi istinti biologici, cheovviamente determinano il suoagire in quanto ciechi. Con altreparole: se manca un criterio ogget-tivo, l’uomo è condannato ad agirein modo cieco. La negazione diogni criterio oggettivo significa lamorte dell’uomo autonomo.

Si può, però, parlare della leggenaturale, evitando questo termine.Alcuni hanno tentato di formulareil criterio fondamentale oggettivoin un modo che piace di più all’uo-mo moderno. Finnis, considerandola nota quaestio 94, 2 della SummaTheologica, ma anche tutti gliscritti di Tommaso d’Aquino comepunto di partenza, individua settebeni fondamentali: la vita (la pro-creazione inclusa), la conoscenza,il gioco, le esperienze estetiche, lavita sociale o l’amicizia, la razio-nalità pratica e la religione. Si pos-sono ancora enumerare altri beni,

ma questi sono riducibili a uno diquelli sopra nominati19. Gli ultimisono fondamentali in quanto irri-ducibili l’uno all’altro. Tutti e settesono ugualmente fondamentali: fradi loro non esiste una gerarchia el’uno non può essere sacrificato al-l’altro. La ricerca antropologica,anche quella fra le popolazioni nonoccidentali, ha indicato che si pos-sono trovare questi valori in cultu-re molto diverse, nonostante tuttele differenze concrete. Come ab-biamo detto sopra, una compara-zione dei beni è possibile solamen-te se c’è un denominatore comune:la persona umana. La questione èsempre come un bene sia radicatonella persona umana. I beni intrin-secamente radicati in essa non so-no paragonabili l’uno all’altro,quando si tratta di una violazione.Solo al livello della realizzazione sipuò fare un confronto. Così è pos-sibile fare un confronto realistica-mente fondato su coordinate fisse.

Il lettore potrebbe stupirsi leg-gendo che i beni fondamentali sonodi per sé conosciuti, cioè non pro-vabili. Stiamo parlando qui, però,dell’impostazione filosofica dell’e-tica che come la metafisica si fondasu principi evidenti come punto dipartenza. Fondandoci sulla Rivela-zione non avremo nessuna diffi-coltà ad indicare questi beni fonda-mentali. La Sacra Scrittura chiamala vita dell’uomo un dono partico-lare da parte di Dio. Riferendosi fral’altro alla Genesi (Gn 9, 6) l’enci-clica Evangelium Vitae afferma:

“La vita che Dio offre all’uomoè un dono con cui Dio partecipaqualcosa di sé alla sua creatura”(n. 34).

Lui è stato creato a immagine diDio:

“La vita che Dio dona all’uomoè diversa e originale di fronte aquella di ogni altra creatura, inquanto egli, pur imparentato con lapolvere della terra (cfr. Gn 2, 7; 3,19; Gb 35, 15; Sal 103, 14; 104,29), è nel mondo manifestazione diDio, segno della sua presenza, or-ma della sua gloria (cfr. Gn 1, 26-17; Sal 8, 6). All’uomo è donatoun’altissima dignità, che ha le sueradici nell’intimo legame che lounisce al suo Creatore: nell’uomorisplende un riflesso della stessarealtà di Dio” (ibid.).

Per quanto violato, modesto, in-significante, l’uomo vivente rima-

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ne una “manifestazione di Dio” inquesto mondo e ha un’“altissimadignità.”

Non solo l’origine particolare,ma anche il fine ultimo dell’uomomostra che la vita è un bene essen-ziale. In base alla promessa dellavita eterna, fattaci da Gesù, sappia-mo che il destino finale consistenella beatitudine, in un’amiciziacon Dio nella quale lo conosciamoe amiamo faccia a faccia (ibid., n.38). Tutto questo afferma i benidella vita e della conoscenza. Ilfatto che l’uomo esista in ultimaanalisi per un rapporto con Dio af-ferma che anche l’intersoggettivitàè un bene fondamentale.

Nonostante le risposte chiaredella Rivelazione e della dottrinadella Chiesa alle questioni, non cipossiamo, però, disimpegnare dalprocedere pure al livello filosofi-co, perché l’argomentazione reli-giosa fa sorgere facilmente malin-tesi e resistenze, ma soprattuttoperché la Sacra Scrittura stessa cirimanda all’ordine della creazioneper fondare l’etica (Rm 2, 14-15).

L’agire morale s’inserisce inquesta prospettiva: l’uomo non de-ve violare questi beni corporei,psichici, sociali e spirituali, marealizzarli in modo dovuto. Altri-menti non sarà in grado di contri-buire veramente alla felicità ogget-tiva dell’uomo.

Dai beni alla norma, alla virtù e alla spiritualità

I beni elencati sopra appartengo-no al primo livello della legge na-turale, che conosciamo nella formadi un “habitus” dato all’uomo me-diante la creazione. Il precetto chesi deve fare il bene ed evitare ilmale è conosciuto mediante l’in-tuizione, mentre l’esperienza delleinclinazioni a varie cose le fa co-noscere spontaneamente come be-ni. I beni fondamentali sono perciòevidenti per se stessi (“per se no-ta”)20. Questa conoscenza, però,non basta. Dobbiamo anche saperein quale modo realizzare questi fi-ni, perché possono essere intesi inmodo non ordinato. Si può realiz-zare il bene della conoscenza, stru-mentalizzando esseri umani inesperimenti medici, cioè violandoil bene della loro vita e della lorointegrità fisica. Il primo livello del-

la legge naturale non sarebbe com-pleto, se non contenesse pure alcu-ne indicazioni per questo scopo.Tommaso d’Aquino elenca a que-sto livello i principi seguenti: la re-gola aurea “Ciò che volete gli uo-mini facciano a voi, anche voi fate-lo a loro” (Lc 6, 31; cfr. Tb 4, 15;Mt 7, 12)21, il principio di non fareil male o il danno22 e quello di pra-ticare l’amore di Dio e del prossi-mo23. Si riconoscono qui alcuniprincipi proposti dall’etica autono-ma, ma Tommaso non omette diindicare prima il contenuto del be-ne e del male. Alcuni moralistihanno ampliato questo elenco diprincipi concernenti il modo direalizzare i beni, per esempio Gri-sez che ne elenca otto, chiamati“modes of responsibility” (modi diresponsabilità)24, che le virtù “in-carnano”25.

I valori fondamentali non sonoancora norme, ma fini. Come for-mulare norme concrete? Una dellerichieste della razionalità pratica,che proviene dai principi menzio-nati per il modo di realizzare i set-te beni elencati, è che essi venganorispettati in ogni atto, e non venga-no mai violati. Su questo, peresempio, si fonda la norma secon-do la quale non si può uccidere unuomo innocente con l’aborto ol’eutanasia diretta per realizzare unaltro bene. Si arriva così alla for-mulazione delle conclusioni chederivano direttamente dal primo li-vello della legge naturale e che ap-partengono al secondo livello dellalegge naturale. Si tratta qui dellenorme del decalogo, tranne il ter-zo, concernente il sabato, che proi-biscono la violazione di beni fon-damentali e sono, perciò, assolute,il che vuol dire che non ammetto-no eccezioni. Sono chiamate il li-mite inferiore dell’amore nell’en-ciclica Evangelium vitae (n. 75):

“I precetti morali negativi, cioèquelli che dichiarano moralmenteinaccettabile la scelta di una deter-minata azione, hanno un valore as-soluto per la libertà umana: essivalgono sempre e comunque, sen-za eccezioni. Indicano che la scel-ta di determinati comportamenti èradicalmente incompatibile conl’amore verso Dio e con la dignitàdella persona, creata a sua imma-gine: tale scelta, perciò, non puòessere riscattata dalla bontà di nes-suna intenzione e di nessuna con-

seguenza, è in contrasto fonda-mentale con l’orientare la propriavita a Dio.”

Questo secondo livello dellalegge naturale è conosciuto dallamaggior parte della gente di unosviluppo e un’educazione norma-le: fino a un certo punto, in nessu-na cultura si considerano la vitaumana, la procreazione, il matri-monio, l’onestà e l’ordine socialecome completamente neutrali.Questo non toglie il fatto che indi-vidui e talvolta anche interi popolipossano essere ciechi per certi va-lori, un fatto questo che la tradizio-ne cristiana considera come unadelle conseguenze del peccato ori-ginale. Mentre nel secolo scorso lasocietà occidentale ha trovato unariposta più o meno soddisfacentealla questione sociale dell’Otto-cento, oggi non è sufficientementeconsapevole del valore della vitaumana o del matrimonio come unpatto stabile. Per questo Dio haespressamente rilevato nel decalo-go la legge naturale, benché inprincipio conoscibile da tutti gliuomini.26 Questo continua nelcompito della Chiesa di proclama-re anche la legge naturale comebase dell’agire morale (cfr. Digni-tatis Humanae, n. 14).

Un’obiezione ovvia sarebbe chesebbene la maggior parte degli uo-mini veda la vita come un bene, cisono alcuni che non la pensano co-sì in situazioni estreme, quali unamalattia terminale con una soffe-renza insopportabile o una gravi-danza non desiderata. Non inten-diamo condannare coloro che sirassegnano e mercanteggiano lavita. Comprendere la situazionenon significa tuttavia approvarel’atto. A prescindere dalla spiega-zione teologica, che dice che acausa del peccato originale le emo-zioni possono rendere la personacieca per un bene oggettivo o im-pedirle di rispondere a quel bene inmodo dovuto, dobbiamo chieder-ci: se una persona non è più in gra-do di riconoscere un bene – e lo fasempre nel caso in cui ha perso lasperanza e il coraggio –, dobbiamoaccettare la sua situazione e nonfare nulla? L’eutanasia in una talesituazione è affermare la dispera-zione, invece di affermare la per-dita del valore della vita. Qui in-contriamo di nuovo un’illusione.La scelta per la morte come un be-

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ne non è per niente una scelta au-tonoma, perché la disperazione ela perdita del coraggio tolgono lalibertà.

Applicando le norme del secon-do livello della legge naturale aicasi più concreti, passiamo al terzolivello della legge naturale. Si de-vono compiere delle scelte rispettoalla realizzazione dei beni, peresempio nel caso in cui ci si chiedeper quanto si dovrebbe prolungarela vita di un paziente mediante tec-niche mediche. Le norme del terzolivello non sono assolute, ma ge-nerali: valgono nella maggior par-te dei casi, ma ammettono eccezio-ni (valgono “semper, sed non prosemper” o “ut in pluribus”). Nel-l’applicazione di queste norme sideve valutare quale atto è propor-zionato alla realizzazione del beneal riguardo e quale bene deve esse-re preferibilmente realizzato.

Violare un bene implica sempreabbandonare un bene perché non siha la speranza di realizzarlo o con-tinuarlo. Implica, perciò, una nega-zione di se stesso come persona au-tonoma. Esigere che venga legaliz-zata l’eutanasia non vuol dire affer-mare l’autonomia vera, cioè intrin-seca dell’uomo, ma soltanto chie-dere l’autonomia estrinseca, la li-bertà negativa, la libertà di farsi uc-cidere senza che la legge interven-ga. Negare i beni fondamentali, edunque negare la vera libertà uma-na, non può mai portare l’uomo auna vera felicità. La soluzione nonpuò essere la negazione del benecome tale, ma la ricerca della stra-da alla vera libertà per non violare,anzi per realizzare questo bene an-che se è difficile. Ma come trovarele vere autonomia e libertà che por-tano alla vera felicità?

Dopo la morte di un uomo conun’afasia vissuto in un ospizio permolti anni, tutti gli altri pazientidel suo reparto erano tristi: questouomo mancava loro, benché nonfosse in grado di scambiare unaparola con loro. La ragione è chelui, pur soffrendo di un’afasia,aveva sempre una faccia raggiantecon cui li incoraggiava. In questocaso ogni utilitarismo o funziona-lismo della dignità umana e deirapporti intersoggettivi non sa co-sa rispondere. Perché un uomo intali condizioni può essere felice?La sua felicità, che porta un fruttoterapeutico intersoggettivo e risul-

ta molto comunicabile, sicuramen-te non sta in una salute compresacome un benessere completo. Larisposta è che la presenza di qual-siasi imperfezione fisica, in fin deiconti, non è importante per la feli-cità, bensì per la posizione dellapersona rispetto ad essa. La soffe-renza, benché sia una reazione na-turale dell’uomo al male che subi-sce, non è una reazione determina-ta: l’uomo, in quanto essere spiri-tuale, dotato di libertà, non pura-mente consegnato a determinismi

fisico-emozionali, ha la possibilitàdi guidare le sue reazioni. La con-dizione è però che sia in grado didominarle mediante lo spirito. Ciòsarà possibile nella misura in cuil’uomo saprà proporzionare le suedecisioni alla realtà concreta me-diante la prudenza, proporzionarela sua paura e angoscia alla realtàmediante la fortezza e resistere al-la seduzione di strumentalizzare lanatura biologica umana per scopispesso illusori mediante la giusti-zia. Ovvero, la persona in questio-ne deve avere le virtù per essere li-bera, ossia per essere veramenteautonoma. L’intuizione che l’uo-mo deve essere autonomo per po-ter essere felice è giusta, ma un’al-tra questione è sapere in che cosaconsista l’autonomia umana.

Le virtù sono per ogni uomo lacondizione necessaria per l’auto-nomia, la capacità di prendere de-cisioni proporzionate al proprioessere per ottenere la felicità. Nel-lo stesso tempo sono comunicabili,come mostra l’uomo colpito diafasia, e offrono perciò una basepiù solida per un’etica comune inuna società pluralista che non lacosiddetta “Georgetown Mantra:”

i principi di autonomia, di fare ilbene, di non fare il male e di giu-stizia, che non sono sufficienti perdefinire il contenuto sia dell’auto-nomia che del bene e del male echiudono l’uomo in ideali illusori,di fatto determinati o socialmenteimposti, come abbiamo detto (que-sti principi sono chiamati “Geor-getown Mantra”, perché usati qua-si come una formula magica –mantra – per risolvere ogni dilem-ma etico e sviluppati alla George-town University).

L’autonomia dell’uomo in que-sto senso è anche necessaria peraprirsi alla felicità assoluta. Sicco-me la sofferenza, in ultima analisi,è l’amore violato fra l’uomo e ilCreatore, la strada per vincerlaconsiste nel dare una risposta af-fermativa all’Amore salvifico of-fertoci da Dio per mezzo di Gesù.Aprirsi all’amore è sempre un attolibero, cioè autonomo. Il nucleodel messaggio cristiano è che l’uo-mo, avendo ricevuto le virtù teolo-gali e i doni dello Spirito Santo edessendo redento e ristabilito comeimmagine di Dio attraverso l’u-guaglianza con il Figlio di Dio (Gv13, 15-34; Ef 5, 2; 1 Gv 2, 6), tro-va la sua piena felicità nell’inter-soggetività con Dio, mediante laquale diventa partecipe dell’amo-re assoluto.

Si noti che stiamo passando orail ponte fra moralità e spiritualità.Intorno alla Pasqua del 1990 fui ri-coverato in un ospedale a Roma.L’internista che mi curava mi rac-contò di aver sentito qualche tem-po prima una conferenza di un mo-ralista sull’aborto provocato. Du-rante la discussione che seguì, sialzò e disse: “Mi dispiace moltoper lei, ma ciò di cui noi medici ab-biamo bisogno non è un discorsodi norme morali, ma di una spiri-tualità propria del medico”. Nonvoleva dire che la morale non loconvincesse. Né la spiritualità, néle virtù sono di per sé fonte di nor-me morali. Entrambe provengonodal primo livello della legge natu-rale, nel senso che sono per cosìdire “l’incarnazione” dei principiche indicano la strada attraverso laquale realizzare i beni fondamen-tali. Questo non toglie però che ilmio internista avesse ragione: nonsi può dare un quadro completodell’etica medica senza parlaredella spiritualità che si realizza

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nelle virtù, sia in quelle acquisiteche in quelle infuse come grazia,cioè le virtù teologali (la fede, lasperanza e la carità) e i doni delloSpirito Santo. Mentre le virtù ac-quisite rafforzano già la similitudi-ne dell’uomo a Dio, aumentandola sua libertà e la sua aderenza aibeni fondamentali, le virtù infuselo identificano al Figlio di Dio, fat-tosi uomo, l’Immagine Perfetta.

Prospettive e raccomandazioni

Non dobbiamo pensare che ilpostmodernismo rimanga per sem-pre. Mi attendo che nelle decadiche verranno la gente diventi sem-pre più consapevole del vuoto inseguito alla mancanza di un’antro-pologia metafisicamente fondata eche dia senso e, perciò, anche unadirezione principale fissa alla no-stra vita. Dobbiamo solo pensarealla storia del popolo di Israele de-scritto nell’Antico Testamento chemostra un movimento ondulatoriofra aderenza a Dio e l’infedeltà chefinisce in uno stato di incertezza,di crisi e senza guida. Un’inchiestaha mostrato che la percentuale chenon appartiene a una chiesa stasempre crescendo. Mentre nel1958 era solo del 24%, è diventatadel 63% nel 1999. Nello stesso pe-riodo la percentuale dei cattolici ècalata dal 42 al 18%27. Non dob-biamo meravigliarci di questa di-minuzione, visto che un’intera ge-nerazione non trasmette la fede aifigli. Tuttavia, benché in gran par-te all’esterno del quadro cristiano,sta crescendo soprattutto fra colo-ro che sono nati dopo il 1960 la fe-de in una vita dopo la morte, nelcielo, nell’inferno e nei miracolireligiosi28. Si può constatare, seb-bene in maniera ridotta, anche unamentalità più tradizionale concer-nente l’idea che il lavoro della ma-dre fuori casa è un peso per la fa-miglia, il rifiuto dell’adulterio edella frode fiscale, mentre le opi-nioni riguardanti i rapporti primadel matrimonio e l’omosessualitàsono rimaste praticamente uguali.Prima di tutto fra i giovani membridelle varie chiese c’è un’aderenzamaggiore alle convinzioni moralitradizionali che non fra gli anzianiin genere (membri di una chiesa ono). Il 18% nel 1991 e il 22% nel1998 tra i giovani membri rifiuta-

no rapporti sessuali fra coloro cheintendono sposarsi a vicenda, con-tro il 7% delle persone nate primadel 1930. Gli stessi risultati riguar-davano le opinioni sull’omoses-sualità e sull’aborto selettivo.29

Benché la differenza non sia moltogrande, le cifre mostrano nondi-meno che non si deve escludere to-talmente un ritorno a una moralepiù compatibile con quella cristia-na. Anche in un Paese tanto secola-rizzato quanto l’Olanda si può no-tare un certo desiderio di ritrovarecoordinate fisse per fondare lescelte importanti della vita.

La cultura empirista, pur impli-cando difficoltà gravi per la fonda-zione metafisica della morale, haanche i propri aspetti forti. Benchéuna teoria o una dottrina astrattanon riesca oggi a toccare la gente,la biografia e gli esempi di personeconcrete lo fanno sicuramente. Lagente d’oggi diffida delle parole – come abbiamo detto sopra fino aun certo livello anche a buon dirit-to, visto che è stata ingannata mol-te volte dalle grandi ideologie delNovecento – ma ama il linguaggiodei fatti visibili: si fida più dei te-stimoni che dei maestri.30 Al con-trario dei teologi moralisti, unaMadre Teresa di Calcutta, rifiutan-do l’aborto provocato enfatica-mente e nello stesso tempo offren-do un aiuto efficace a tutte le don-ne e ragazze rimaste incinte senzavolerlo, ha un impatto considere-vole anche sull’opinione pubblicacontemporanea.

S.E. Mons. WILLEM J. EIJKVescovo di Groningen

Paesi Bassi

Note1 GREGORIO DI NISSA, Orationes de beatitu-

dinis, 1 (PG 44, 1200).2 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica

I-II, prologus; 55, 2 ad 3; 68-70. AMBROGIO,Expositionis in Lucam Liber V, 49 (PL 15,1734); cf. CCC, n. 705.

3 E. GRISEBACH, Gegenwart. Eine kritischeEthik, Halle: Max Niemeyer Verlag, 1928, p.187.

4 D. HUME, A Treatise of Human Nature,III, 1, 1, London: J.M. Dent & Sons, 1940,vol. 2, pp. 177-178.

5 B. SCHÜLLER, Die Begründung sittlicherUrteile. Typen ethischer Argumentation in der

katholischen Moraltheologie, Düsseldorf:Patmos-Verlag, 1973, p. 141.

6 J. FLETCHER, Situation Ethics, The NewMorality, Philadelphia: The WestminsterPress, 1966, p. 20.

7 Il proporzionalismo è stato applicato perla prima volta dal dominicano olandese Wil-lem van der Marck in una sua opera (W.H.M.VAN DER MARCK, Liefde en vruchtbaarheid.Actuele vragen over geboorteregeling, Roer-mond/Maaseik: J.J. Romen en Zonen, 1964);il proporzionalismo come tale è stato sistema-tizzato dal gesuita tedesco Peter Knauer nelsuo articolo classico sul principio dell’atto conduplice effetto (P. KNAUER, “La déterminationdu bien et du mal moral par le principe dudouble effet”, Nouvelle Revue Théologique 87(1965), pp. 356-376); altri seguaci conosciutidel proporzionalismo sono Josef Fuchs, LouisJanssens, Richard A. McCormick, CharlesCurran, Bruno Schüller, Franz Böckle e KlausDemmer.

8 Il filosofo e medico americano En-gelhardt ha introdotto conseguentemente l’e-tica autonoma nella bioetica, v. H. TRISTRAMENGELHARDT, The Foundations of Bioethics,New York/Oxford: Oxford University Press,1996 (II ed.); in questa edizione ha sostituitoil principio dell’autonomia nella prima edi-zione del 1986 da quello del permesso (“prin-ciple of permission”).

9 J.P. SARTRE, L’être et le néant. Essaid’ontologie phénoménologique, Paris: Galli-mard, 1943, p. 413

10 Th. VAESSEN, “Hoe mooier, hoe rijker,”HP/De Tijd 11 (2000), n. 30, pp. 27-33.

11 B. VAN DER HAAK, “Bevolkingspolitiek,”Trouw, 21 ottobre 2000, p. 19.

12 K. DEMMER, Gottes Anspruch denken.Die Gottesfrage in der Moraltheologie, Frei-burg-Schweiz/Wien, 1993, p. 94.

13 A. MACINTYRE, After virtue. A study inmoral theory, London: Duckworth, 1997 (2a

ed.), pp. 23-35.14 J. DE LUGO, Disputationes scholasticae et

morales, editio nova, ed. J.B. Fournials, Paris:Ludovicus Vivès, 1869, X, I, n. 5, tomus VI,p. 38.

15 A. SOLZENICYN, Arcipelago Gulag, Mon-dadori, 1975, 3 vol.

16 V.E. FRANKL, Man’s search for meaning.An introduction to logotherapy, New York:Simon & Schuster, 1975.

17 V.E. FRANKL, Senso e valori per l’esi-stenza. La risposta della logoterapia, Roma:Città Nuova Editrice, 1994, p. 23.

18 TOMMASO D’AQUINO, Summa TheologicaI-II, 94, 2.

19 J. FINNIS, Natural law and natural rights,Oxford: Clarendon Press, 1988 [ClarendonLaw Series], pp. 86-92.

20 TOMMASO D’AQUINO, Summa TheologicaI-II, 100, 3.

21 Ibid., 94, 4 ad 1.22 Ibid., 95, 2.23 Ibid., 100, 11.24 G. GRISEZ, The way of the Lord Jesus.

Volume I: Christian moral principles, Chica-go: Franciscan Herald Press, 1983, pp. 205-228.

25 Ibid., p. 192: “...the virtues embody themodes.”

26 TOMMASO D’AQUINO, Summa TheologicaI-II, 98, 6.

27 J.W. BECKER, J.S.J. DE WIT, Secularisatiein de jaren negentig. Kerklidmaatschap, ve-randeringen in opvattingen en een prognose,Den Haag: Sociaal en Cultureel Planbureau,2000, p. 24.

28 Ibid., p. 46.29 Ibid., pp. 48-51.30 MADRE TEKLA FAMIGLIETTI nella presen-

tazione del libro di M.G. MASCIARELLI, BeataMaria Elisabetta Hesselblad, Torino: Elledi-ci, 2000 (2a ed.), p. 8.

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Introduzione

La prima giornata di questaConferenza Internazionale su Sa-lute e Società: Sfide Tecnologichee Umanizzazione della Medicina,è stata dedicata, nella prima parte,a una revisione della situazioneattuale della medicina, analizzan-do le cosiddette “malattie emer-genti” di questi ultimi decenni, ilnuovo tipo di paziente, i nuoviprofessionisti sanitari, i nuovi luo-ghi dell’assistenza sanitaria, lanuova tecnologia e i suoi limiti.Dopo aver analizzato tutto questoimpressionante panorama, gli or-ganizzatori hanno voluto dedicareuna sessione all’analisi critica eall’illustrazione di tutta questanuova e complessa realtà, a parti-re da una duplice prospettiva: sto-rica e teologica.

Il mio intervento ha lo scopo disituare la complessa realtà sanita-ria in cui ci troviamo analizzando-la sotto una prospettiva storica,con uno sguardo al passato e uno al futuro. È quanto cercherò difare, dividendo il mio intervento intre parti. Nella prima mi propongodi descrivere il ruolo della malattianella storia, o della salute e dellamalattia in quanto realtà storiche.Nella seconda parte, cercherò diidentificare le fasi storiche attra-verso le quali è passata la relazionedell’essere umano con la malattia.Infine, nella terza ed ultima parte,mi occuperò della nostra situazio-ne attuale e delle prospettive per ilfuturo. Il mio desiderio è che que-sto panorama ci permetta di com-prendere meglio quel complessofenomeno che è la malattia umana,illustrandola sotto altre prospetti-ve, come quella etica, filosofica,teologica, politica, ecc.

1. Salute e malattia come realtà storiche

La storia è il risultato dell’inte-razione dell’essere umano con lanatura. È l’essere umano che fa lastoria a partire da ciò che incontrae cioè, anzitutto, dalla natura. Lanatura contiene le cosiddette “ri-sorse naturali”. L’uomo, per vive-re, ha bisogno di trasformare que-ste risorse in possibilità di vita.Quindi le possibilità sono semprecreazioni umane. L’essere umanocrea le possibilità a partire dalle ri-sorse, e in questo modo elabora lacultura e fa la storia. Le “risorse”sono naturali, mentre le “possibi-lità” sono culturali e storiche.

La storia, pertanto, è il processodi trasformazione delle “risorse”naturali in “possibilità” di vita. Laterra possiede risorse che possonotrasformarsi in possibilità soltantoattraverso l’azione dell’uomo. Co-sì, per esempio, il carbone è unminerale che permette di ottenereil fuoco, e con il fuoco di muoverele locomotive, o di riscaldare lecase; questo però succede soltantose l’uomo lo trasforma da risorsanaturale in possibilità storica, me-diante l’accorto uso del fuoco,l’invenzione della macchina a va-pore, ecc. Il petrolio è rimasto ingrandi sacche sotterranee per mol-ti secoli. Come risorsa esso erapresente da molto prima dell’ori-gine dell’umanità, ma è diventatopossibilità di vita con l’invenzionedel motore a scoppio. Prima erauna risorsa naturale, non una pos-sibilità storica.

La trasformazione di risorse inpossibilità è un atto di autentica“creazione”. Le possibilità non esi-stono in generale, bisogna “crear-le”, “inventarle”. L’essere umano è

un autentico creatore di possibilità.Tuttavia non crea a partire dal nul-la, come fa Dio. Egli può crearepossibilità solo a partire dalle risor-se naturali; non è Dio ma, come hascritto Leibniz nella sua Monado-logia, è “un piccolo Dio” o, comedice la tradizione giudeo-cristiana,“immagine e somiglianza di Dio”.

La storia consiste nella creazio-ne e nella trasmissione di possibi-lità. Le possibilità che creiamo,positive o negative, una volta crea-te hanno vita propria, diventanoindipendenti dal loro creatore e sioggettivano. È quello che Hegelchiamò lo “spirito oggettivo”. Mi-chelangelo scolpì la meravigliosaPietà che possiamo ammirare nellaBasilica di San Pietro in Vaticano.Una volta scolpita, la statua si ètrasformata in un fatto culturalecon vita propria, indipendente daquella del suo autore, tanto chequesti è scomparso e l’immaginecontinua ad essere parte fonda-mentale della nostra vita culturale,artistica e religiosa.

Proprio perché si oggettivano, lecreazioni culturali costituisconouna specie di “deposito” trasmes-soci dalle generazioni che hannopreceduto la nostra nascita, un de-posito che ci mette in grado di farela nostra vita, creando nuove pos-sibilità, che entreranno a far partedel deposito e che saranno a lorovolta trasmesse alla generazionifuture.

“Consegna”, “trasmissione”, ingergo si dice parádosis, termineche in latino è stato tradotto contraditio. Parádosis viene dalla ra-dice greca dídomi, che significa da-re, regalare, offrire, consegnare. Ilvergo greco dídomi corrisponde allatino do, dare, consegnare. Da doderiva anche il verbo latino trado,

DIEGO GRACIA GUILLÉN

III: Medicina e cambiamento culturale

venerdì17

novembre

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che significa portare, trasmettere.Da qui viene il sostantivo traditio,che pertanto è una traduzione per-fetta del termine greco parádosis.Forse è opportuno ricordare chedalla stessa radice latina, dal verbodo, derivano molte altre parole im-parentate con quelle precedenti; adesempio credo, credere. Si credesempre in un deposito affidato, inuna tradizione. Da qui si compren-de come la fede sia anche un feno-meno storico. Si crede in un depo-sito che ci è stato consegnato.

La storia è questo, la consegnadi possibilità, così da poter starenella realtà. In questo modo la de-finì il filosofo spagnolo Xavier Zu-biri alcuni decenni fa. Noi ci diffe-renziamo da tutti gli esseri umanidelle generazioni precedenti per-ché siamo presenti nella realtà inmodo diverso da come lo furonoloro, proprio perché ci è stato affi-dato un deposito che, almeno inparte, è differente e ci offre possi-bilità diverse da quelle di qualun-que altra generazione anteriore.Noi possiamo fare cose che essinon poterono fare; ad esempio, an-dare sulla luna o effettuare trapian-ti di organi, modificare il genomadelle speci animali e perfino del-l’essere umano.

È importante tenere presente chele possibilità che l’essere umanocrea nel suo rapporto con la naturapossono essere positive o negative.Non tutte le possibilità sono positi-ve, cioè non tutte condizionano inmodo positivo la vita degli esseriumani; non tutte gli permettono divivere meglio e di raggiungere piùfacilmente i suoi ideali di perfezio-ne, felicità, ecc. Certamente l’uo-mo cerca sempre di generare pos-sibilità positive, però è un fatto, ri-petuto nel corso della storia, cheegli non sa produrle senza che, col-lateralmente, ne sorgano anche dinegative, cioè possibilità che con-dizionano male la vita degli esseriumani, che li fanno essere menoumani, meno perfetti, meno felici.L’uomo non conosce il modo dicreare possibilità soltanto positivesenza generare, allo stesso tempo,possibilità negative. Non vi è riu-scito finora, e probabilmente nonvi riuscirà mai. Con la storia suc-cede quello che succede con i far-maci, che curano certe malattie mane producono altre. Non esiste far-maco che non abbia effetti negati-

vi o indesiderabili. Non si conoscefarmaco che non abbia entrambigli effetti. Lo stesso succede nellastoria. Ciò che trasmettiamo ai no-stri discendenti sono possibilitàpositive, ma anche possibilità ne-gative. La malattia può e deve es-sere definita come una possibilitànegativa di vita. Ciò significa unacosa molto importante, cioè che lamalattia, la maggior parte dellevolte, non è un fenomeno pura-mente naturale, una risorsa umana.Sono veramente molto poche lemalattie che siano puramente natu-rali. In genere esse sono il risultatodell’intervento dell’essere umanosulla natura e, pertanto, sono stori-che. Le malattie non sono semplicirisorse, bensì possibilità negativedi vita. Non vederle sotto questoaspetto è un grave errore; anche senon tanto frequente, è ugualmentepernicioso.

Quanto si dice per le malattievale anche per la lotta contro diesse, per la medicina e per l’assi-stenza sanitaria. Anche queste so-no reazioni umane, possibilità ne-gative generate dall’uomo nel suointento di combattere la malattia.Né la salute, né la malattia o l’as-sistenza sanitaria possono essereconsiderate al margine della sto-ria. Il loro obiettivo è combatterequeste possibilità negative di vitache chiamiamo malattie. Però, co-me abbiamo già detto, dato chel’essere umano non sa produrrepossibilità positive senza generar-ne, nel contempo, altre negative,si comprende come la medicinageneri anche malattie. È risaputoche entrare in ospedale è un ri-schio, e non diciamo entrare inuna sala chirurgica o in una unitàdi cure intensive. Non è un casoche ci siano malattie chiamate ia-trogene, né che queste raggiunga-no cifre sorprendenti, superiorisempre al 10%. Come i farmaci,anche la medicina ha sempre ef-fetti secondari.

2. Salute e malattia nella storia

La storia dell’umanità può esse-re analizzata sotto molteplici puntidi vista. Ma se siamo coerenti conquanto detto finora, la cosa logicaè vederla come il processo dellepossibilità per gli degli esseri uma-ni, o come il processo di trasfor-

mazione delle risorse naturali inpossibilità di vita. In questo modopossiamo affermare che esiste uncambiamento culturale e storicoimportante, fondamentale, quandol’essere umano trova un nuovomodo, o un modo rivoluzionario,di trasformare risorse in possibi-lità. Pertanto, possiamo definirecome epoche o periodi di cambia-mento quelli in cui l’uomo scopreun nuovo modo di trasformare lerisorse in possibilità.

Questi periodi di cambiamentosono stati finora due o tre, al mas-simo quattro. Generalmente sononoti con il nome di periodi rivolu-zionari. Si parla, così, di una “rivo-luzione neolitica” e di una “rivolu-zione industriale”. Esse non furo-no principalmente politiche comela Rivoluzione Francese del 1789,né scientifiche, come le rivoluzio-ni di cui ha parlato alcuni decennifa Thomas S. Kuhn. Queste rivolu-zioni sono più profonde e radicali,perché riguardano la scoperta dinuovi modi di trasformare risorsein possibilità, il che comporta ognialtro tipo di rivoluzione: politica,sociale, culturale, scientifica, ecc.

La “rivoluzione neolitica” èquella che ha dato luogo alla storiapropriamente detta, fino al puntoche tutti i popoli e tutte le cultureprecedenti sono stati raggruppatisotto il denominatore comune di“preistorici”. Ciò si deve al fattoche la rivoluzione neolitica inse-gnò all’essere umano il modo fon-damentale di trasformare risorse inpossibilità, cioè l’agricoltura e lapastorizia. È, se si vuole, la nascitadel settore economico denominato“primario”. Una rivoluzione dellastessa portata non si sarebbe ripe-tuta fino al secolo XVIII, quandoinizia la cosiddetta “rivoluzioneindustriale” che consiste nella sco-perta di un nuovo modo di trasfor-mare risorse in possibilità, dandoluogo alla crescita esponenzialedel settore economico chiamato“secondario”. Siccome la capacitàdi trasformare le risorse in possibi-lità viene detta “ricchezza”, pos-siamo dire che la rivoluzione neo-litica aumentò enormemente la ric-chezza dell’umanità e che la rivo-luzione industriale la incrementòancora di più.

Per molti storici, queste sono ledue rivoluzioni fondamentali av-venute nella storia dell’umanità.

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Tuttavia bisogna andare più avantie aggiungerne una terza, avvenutaquasi un secolo fa, quando si iniziòa passare dalla società industriale aun’altra società chiamata post-in-dustriale, del benessere o dei con-sumi. Questo cambiamento sem-bra meno vistoso o meno sorpren-dente, ma le sue conseguenze nonsono state minori. Di fatto ha datoluogo a un incremento esponenzia-le di un altro settore dell’attivitàeconomia, il settore terziario o deiservizi.

Alcuni buoni servizi sono fon-damentali perché gli esseri umanipossano godere di possibilità di vi-ta adeguate, e pertanto sono ric-chezza. Ciò è qualcosa di meno in-tuitivo di quanto successo nelledue rivoluzioni precedenti. Tutticapiscono che il miglioramentodei settori primario e secondariopresuppone necessariamente unaumento delle possibilità di vita e,pertanto, un incremento di ricchez-za, mentre lo vedono meno chiara-

mente nel caso del settore terzia-rio. Ciò è dovuto al fatto di noncomprendere la storia come unprocesso di “possibilitazione”.Ricchezza, ripeto, è uguale a re-pertorio di possibilità. La ricchez-za non è uguale a denaro e menoancora a risorse naturali. La ric-chezza non sono le risorse bensì lepossibilità di vita. Non c’è dubbioche un buon settore terziario è fon-damentale nel processo di assicu-rare e incrementare le possibilità divita degli esseri umani. Alla basedi questo nuovo tipo di società staun’altra rivoluzione industriale, lacosiddetta seconda rivoluzione in-dustriale, prodottasi all’inizio delsecolo XX, e basata sullo sviluppodel motore a scoppio e sullo svi-luppo spettacolare delle comunica-zioni.

Se sono questi i tre grandi perio-di di cambiamento, o le tre grandirivoluzioni storiche, possiamoconcludere che tutta la storia del-l’umanità può essere raggruppataattorno a loro e, pertanto, essere di-visa in quattro periodi o epochestoriche. La prima, che va dalleorigini della specie umana fino al-la rivoluzione neolitica, è nota ge-neralmente con il nome di “epocapreistorica”. La seconda è propriadella “società agricola” e la terza èchiamata “società industriale”. Laquarta, ed ultima, è la società post-industriale, detta anche “societàdei consumi” o del benessere.

Ognuna di queste quattro epo-che storiche ha avuto una duratamolto diversa. L’unica caratteristi-ca che le accomuna è la loro dura-ta più breve rispetto a quella deiperiodi precedenti. Pertanto il pe-riodo di vigore di ciascuna fase èstato progressivamente minore. Lasocietà preistorica durò circa tremilioni di anni. Si estese dalle ori-gini della specie umana, tre o quat-tro milioni di anni fa, fino allacomparsa delle prime società agri-cole e pastorizie, il che non avven-ne certamente prima dell’anno10.000 a.C. e che possiamo datarecon sicurezza attorno ai millenniVI e V a.C. La società agricola vada questa data fino alla metà delsecolo XVIII. Durò pertanto alcu-ne migliaia di anni. La società in-dustriale durò molto meno, circaun secolo e mezzo. Infine la so-cietà post-industriale o società deiconsumi è durata meno di un seco-

lo, almeno fino ad ora. L’accelera-zione della storia ha fatto sì checiascuna tappa durasse un tempomolto inferiore della precedente.

Dopo aver così ripartito la storiadell’umanità, possiamo ora descri-vere le caratteristiche fondamenta-li di ciascun periodo.

1) Durante la prima fase, propriadelle popolazioni preistoriche, gliesseri umani non sanno pratica-mente trasformare le risorse in pos-sibilità; in altri termini, non sannocreare ricchezza. Più che crearla, ladistruggono. Si tratta di popoli pre-datori, simili agli animali, che pos-sono alimentarsi soltanto di ciò chela natura produce spontaneamente.Di qui il loro carattere nomade, inquanto dipendono dalle risorse na-turali e, quando queste terminano,devono emigrare. Non creano ric-chezza, ma depredano la natura diciò che essa produce spontanea-mente. Sono, pertanto, popoli cac-ciatori e raccoglitori.

Poiché non sanno trasformare ri-sorse in possibilità, questi popolivivono in un’economia detta di“pura sussistenza”. Ciò significache dedicano tutto il loro lavoro al-la mera sussistenza. Non sono ca-paci di produrre ricchezza super-flua. Di qui l’assenza di grandi isti-tuzioni culturali, politiche, religio-se, scientifiche, e così via. D’altraparte, non sembra che il semplicevivere fosse un compito facile. Ineffetti conducevano una vita moltopericolosa, esposti all’inclemenzadel tempo e alla lotta contro le bel-ve feroci. La loro alimentazionedoveva essere molto povera. I re-perti fossili ci testimoniano che sof-frirono un tipo di patologia cono-sciuta in genere con il nome di “ca-renziale”: ingerivano spesso dieteipocaloriche e cadevano in uno sta-to di denutrizione. Purtroppo que-sto fenomeno è ancora presente neiPaesi del Terzo Mondo. Così unacultura come quella preistorica hauna patologia specifica, quella ca-renziale. Ce ne furono però altre.Ad esempio, l’abbondanza di feriteo fratture, o di patologia chirurgica,come conseguenza dell’eserciziodella caccia e della lotta contro glianimali. Tuttavia ciò li protesse daogni altro tipo di malattie, comequelle dell’abbondanza o della ci-viltà, oggi tanto frequenti.

Anche la loro medicina fu mol-to elementare. La più primitiva fu

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chiamata “medicina empirica”,quella cioè che anche gli animalipossiedono. L’esperienza, comedice Aristotele, è il risultato dellasensazione accompagnata dallamemoria. È qualcosa che l’essereumano condivide con gli animali.Dice il proverbio che “il gattoscaldato, rifugge l’acqua fredda”.La sensazione dell’acqua moltocalda produce dolore, e il ricordodi questo dolore fa sì che il gattoabbia paura dell’acqua. Questa èun’esperienza. La prima medicinafu di questo tipo. Come gli anima-li, i primi esseri umani impararonoa selezionare certe erbe con azionepurgante o lassativa. Sembra chefossero i primi farmaci. Non a ca-so la parola greca pharmakon si-gnifica originariamente purgante olassativo. Dovettero anche cono-scere certe tecniche chirurgichemolto elementari, come la suturadi ferite e la riduzione di fratture olussazioni.

Le popolazioni iponutrite sonofacile preda delle malattie e dellamorte. Le loro difese sono scarse ela loro resistenza biologica mini-ma. Ciò spiega probabilmente per-ché la crescita demografica di que-ste popolazioni fu quasi nulla, e inmolti casi negativa. E permette dicomprendere anche perché tutti lo-ro, se si eccettua l’uomo di Cro-Magnon, si estinsero. Ciò pone unaltro interessante interrogativo:perché questi non si estinse, cioèperché fu capace di giungere finoal momento in cui si produsse la ri-voluzione neolitica e, soprattutto,perché fu capace di generarla? Larisposta esatta a questa domandanon la conosciamo, ma sembrachiaro che ciò era in relazione conla sua maggiore intelligenza e per-tanto con il suo migliore controllodell’ambiente. Difatti in tutta que-sta immensa epoca che va dallacomparsa dei primi esseri umanifino alla rivoluzione neolitica suc-cedettero avvenimenti di un’im-mensa trascendenza. Il più impor-tante ebbe luogo tra gli anni300.000 e 200.000, a seconda deiluoghi, nell’epoca del Paleoliticomedio, in cui l’uomo di Neandertalscoprì l’uso del fuoco e cominciò asotterrare i morti. Sono questi i dueavvenimenti di enorme importan-za storica. Il primo permise di mi-gliorare notevolmente l’alimenta-zione, rendendo commestibile,

mediante il fuoco e l’acqua, molticibi che allo stato naturale non losono. In questo modo diventaronoonnivori. La sepoltura dei mortidimostra il credo nell’oltretombae, pertanto, la comparsa dei riti re-ligiosi propriamente detti. Ciò eb-be un’enorme importanza anchenell’ordine della medicina, giac-ché a partire da quel momento lamedicina empirica cominciò acoesistere con un’altra medicina dicarattere religioso o di fede. Que-ste due dimensioni non sarebberopiù scomparse nella storia dell’u-manità.

2) La comparsa del neoliticoviene di solito descritta come la ri-voluzione dell’agricoltura. Forse,però, è più corretto vederla come ilrisultato di un’evoluzione lenta econtinua di talune società primiti-ve. Sembra che alcune di loro siandarono a poco a poco stabilendoin luoghi più fertili, che offrivanomaggiori possibilità di vita. Questesocietà impararono a coltivare laterra e ad addomesticare gli anima-li e, pertanto, posero le basi di unnuovo modo di trasformare le ri-sorse in possibilità e, di conse-guenza, di generare ricchezza. Es-se iniziarono un nuovo tipo di so-cietà, la cosiddetta “società agrico-la”. Furono più sedentarie di quel-le precedenti e diedero luogo a in-sediamenti più popolati, da cuinacquero le città. La rivoluzioneneolitica generò un importanteprocesso di concentrazione urba-na. Queste nuove città sorsero inzone determinate, in genere palu-dose e vicine alla foce di grandifiumi, come l’Indi, il Nilo, l’Eufra-te e il Tigri. Difatti sembra che l’a-gricoltura sia nata in un luogo del-la cosiddetta “mezzaluna fertile”che, costeggiando dal nord il de-serto dell’Arabia, si estende dal-l’Egitto al Golfo Persico.

L’economica di queste popola-zioni fu più ricca della precedente,permettendo loro di uscire dallasussistenza e di generare ricchezzasuperflua, che cominciò a trasfor-marsi in attività nuove, dando ori-gine a istituzioni politiche, religio-se, culturali, scientifiche, ecc. Ciòspiega perché di queste societàconserviamo grandi monumentireligiosi, architettonici, letterari escientifici. Sumer, Assiria, Babilo-nia, Israele, Grecia, Roma: furonotutte grandi società agricole e tutte

produssero, alla loro maniera,grandi culture. La cultura occiden-tale nasce proprio in questo am-biente, come risultato dell’incon-tro di tre grandi fenomeni culturalidi quel periodo, la religione diIsraele, la filosofia greca e il dirittoromano.

L’agricoltura e la pastorizia fu-rono strumenti potentissimi di tra-sformazione di risorse in possibi-

lità e, pertanto, di aumento dellaricchezza. Queste società comin-ciarono ad alimentarsi meglio, po-terono ingerire un maggior nume-ro di idrati di carbonio – come con-seguenza della coltivazione esten-siva di cereali – e una maggiorequantità di proteine di origine ani-male. L’incremento della ricchez-za permise di sfamare un maggiornumero di persone, producendo unaumento della popolazione che, apartire da allora, cominciò a cre-scere aritmeticamente. Ciò nonimpedì che periodicamente ci fos-sero “crisi di sussistenza”, dovuteai periodi di cattivo raccolto.

Diventarono più frequenti alcu-ne patologie come quelle dovutealla caccia di grandi animali, men-tre ne apparirono o aumentaronoaltre. L’ingestione elevata di idratidi carbonio incrementò talune ma-lattie metaboliche, come il diabete.Dalle testimonianze letterarie ap-prendiamo che aumentarono an-che i problemi di salute dovuti al-l’ingestione di bevande alcoliche,risultato della fermentazione deicereali. A loro volta, queste bevan-de permisero di controllare le ma-lattie infettive di trasmissione idri-

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ca, tanto frequenti nelle zone palu-dose in cui in genere si stabilironoqueste popolazioni. Gli effetti pa-togeni dell’ingestione di acquaportarono le diverse culture a cer-care bevande alternative, ad esem-po le bevande fermentate come ilvino, nella zona settentrionale delMediterraneo, o la birra, in Europacentrale. Un’altra via fu l’uso diacqua fermentata con infusioni dicaffè o tè, come nelle cultureorientali.

Un’altra novità fu la comparsadi strati sociali molto più marcatirispetto al periodo precedente. Co-minciarono a differenziarsi contutta chiarezza quello dei lavorato-ri intellettuali e quello dei manuali.Un’altra caratteristica di molte diqueste società fu l’esistenza di untipo specifico di povero, rappre-sentato paradigmaticamente dalloschiavo, prima, e dal servo, poi.

Le istituzioni culturali della so-cietà agricola generarono un de-terminato tipo di medicina e di as-sistenza sanitaria, sopravvissutafino al secolo XVIII. Una dellesue caratteristiche è lo stretto rap-porto con le istituzioni religiose.Così, ad esempio, nella maggiorparte di queste culture ci fu unamedicina chiaramente sacerdota-le, benché coesistesse quasi sem-pre con un’altra secolare o laica.La prima aveva più a che vederecon le malattie interne, e la secon-da con le malattie esterne o chirur-giche. A poco a poco, con il passa-re del tempo, la prima andò per-dendo influenza a favore della se-conda. Comunque non bisogna di-menticare che gli ospedali sonostati istituzioni religiose fino all’i-nizio del mondo moderno.

3) La rivoluzione industriale èl’origine di un nuovo modo, il mo-do propriamente industriale, di tra-sformare risorse in possibilità epertanto di generare ricchezza. Na-sce così una nuova società, la so-cietà industriale, basata sullo svi-luppo del settore economico se-condario.

La rivoluzione industriale iniziòa metà del secolo XVIII, con la so-stituzione della trazione umana oanimale con la trazione meccanicanell’industria e nella miniera, quin-di con la possibilità di costruiremacchine più grandi e pesanti e laloro installazione nelle fabbriche.Essenziale fu in questo processo la

scoperta da parte di James Wattdella macchina a vapore tra il 1769e il 1784, che stimolò il consumodi carbone e di acciaio, base di tut-ta la prima rivoluzione industriale.La messa a punto di una grande in-dustria del carbone e dell’acciaiopermise di migliorare le comunica-zioni (con cui le materie primegiungevano al luogo di trasforma-zione a costi più ridotti) e di svilup-pare molte altre industrie, comequella tessile.

La rivoluzione industriale fu se-guita da molte altre. Ci fu una rivo-luzione economica, rappresentatadalla nascita dell’economia libera-le, opera dello scozzese AdamSmith. Secondo la tesi da lui pro-pugnata la ricchezza di una nazio-ne dipende fondamentalmente dallavoro, che permette di trasforma-re le risorse in possibilità. L’eco-nomia liberale si basa sulla moraledel lavoro e del risparmio. Questosi ottiene lavorando duramente,spendendo poco in beni di consu-mo e investendo la ricchezza su-perflua in beni di produzione. Inquesto modo, si accumula il capi-tale che è necessario per la nascitadella grande industria. Questa pro-duce beni che devono competeresul mercato con i prodotti di altri.Secondo la legge fondamentaledell’economia liberale, il mercatoregola nel miglior modo possibilel’offerta e la domanda, raggiun-gendo sempre il punto ottimale.Ciò significa che il mercato ottienesempre che trionfino i prodotti dimaggiore qualità a minor prezzo.Intervenire sul mercato, impeden-done l’autoregolamentazione, èconsiderato non solo economica-mente scorretto, ma anche moral-mente cattivo.

La comparsa delle nuove indu-strie nei suburbi delle città del-l’Europa centrale pose nuovi pro-blemi. Di fatto la rivoluzione in-dustriale diede origine a tutta unanuova patologia propria delle atti-vità industriali. Essa fu la causa,ad esempio, dell’aumento dellatubercolosi a partire dalla metàdel secolo XVIII. Inoltre generòuna gran quantità di malattie, acausa delle condizioni insalubridei sobborghi delle città. Fecero laloro comparsa un nuovo tipo dipovero, il cosiddetto proletario, eun nuovo tipo di malattie, propriedella miseria urbana, della con-

centrazione urbana e del lavoro acottimo.

Nacque anche una nuova medi-cina. Non a caso questa rivoluzio-ne coincise con la comparsa dellacosiddetta “scienza moderna”. In-crementandosi la ricchezza, fu in-vestito più denaro nelle universitàe nei centri di ricerca. La medicinamoderna sorse alla fine del secoloXIX e si sviluppò lungo tutto il se-colo seguente. A sua volta si spe-cializzò l’esercizio medico. Comedimostrò decenni fa George Ro-sen, le specializzazioni poteronosorgere quando si produsse un in-cremento importante delle cono-scenze e si mise a punto una tecno-logia che necessitava di un trainingspecifico, e inoltre quando tuttociò coincise con un aumento e unaconcentrazione della popolazione,che permisero la piena occupazio-ne professionale dei nuovi specia-listi. Questo è quanto avvenne nel-le città industriali del XIX secolo.Infine cambiò anche l’assistenzasanitaria con due novità principali.Da una parte la medicalizzazionedell’assistenza ospedaliera, di mo-do che gli ospedali passarono dal-l’essere istituzioni caritatevoli adessere centri di assistenza medica.Dall’altra la nascita della sanitàpubblica e della politica sanitariae, pertanto, l’implicazione semprepiù grande dello Stato nel mondodella salute.

L’aumento della ricchezza, ilmiglioramento delle condizioni sa-nitarie e i progressi della medicinapermisero un aumento decisamen-te considerevole della popolazionee un incremento della speranza divita dei cittadini. Difatti, a metàdel secolo XVIII cominciò il feno-meno noto con il nome di “esplo-sione demografica”, cioè l’incre-mento geometrico delle cifre lordedi popolazione, qualcosa di scono-sciuto fino allora nella storia del-l’umanità.

4) Dopo la prima Guerra Mon-diale iniziò una nuova tappa, quel-la della società post-industriale osocietà dei consumi dovuta allamessa a punto di un nuovo mododi trasformare le risorse in possibi-lità, proprio del settore terziario odei servizi. Tale spettacolare incre-mento delle possibilità di vita at-traverso lo sviluppo del settore ter-ziario, fu possibile grazie allo svi-luppo della “seconda rivoluzione

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industriale”, basata sul motore ascoppio e sullo sfruttamento delpetrolio. Essa rivoluzionò le co-municazioni e permise spostamen-ti a velocità e prezzi fino ad alloraritenuti irraggiungibili. Tale incre-mento del settore dei servizi non fudovuto solo all’iniziativa privatabensì, e soprattutto, a quella pub-blica. Lo Stato cominciò a cresceree ad assumere competenze che lateoria liberale gli aveva proibito.Dallo Stato liberale si passò alloStato intervenzionista e assicurato-re delle contingenze negative dellavita dei cittadini, il cosiddetto Wel-fare State, Stato benefattore o dibenessere.

Questa nuova fase ebbe una pro-pria teoria economica distinta dal-la liberale classica. John MeynardKeynes introdusse agli inizi deglianni trenta il concetto di “domandatotale” (aggregate demand) e lotradusse nell’elemento centraledell’attività economica. La do-manda totale include le spese deiconsumatori, gli investimenti pri-vati e la pubblica spesa. La ric-chezza, secondo Keynes, è tantomaggiore quanto più elevata è ladomanda totale, ragion per cui ènecessario incrementarla, aumen-tando il potere d’acquisto dei con-sumatori, abbassando i tipi di inte-resse per stimolare gli investimen-ti privati, e incrementando la pub-blica spesa. Di conseguenza il con-sumo è il motore dell’economia eil produttore di ricchezza. Bisognaquindi far ruotare ogni processoeconomico attorno al consumo, enon attorno all’incremento dellaproduzione come faceva la teoriaclassica. Il consumo provoca auto-maticamente l’incremento dellaproduzione, almeno nelle societàche hanno già passato la prima fa-se della rivoluzione industriale, incui senza dubbio fu necessario pre-dicare l’austerità nei consumi perincrementare l’investimento di ca-pitali in beni di produzione. Key-nes pensa che nelle società svilup-pate questa teoria non solo sia inu-tile, ma anche pregiudizievole. Sti-molando il risparmio e la frugalitàdei consumi si frena lo sviluppoeconomico, e con questo si stimolala comparsa delle crisi. Per evitar-lo non c’è altro modo che cambia-re la mentalità e anche la moraledella popolazione, facendole vede-re il consumo come positivo e il ri-

sparmio come un vizio morale, l’a-varizia e la taccagneria. La societàdei consumi esige non solo unanuova economia, dice Keynes, maanche una nuova morale.

Per stimolare il consumo dellapopolazione è importante che loStato protegga i cittadini dalle con-

tingenze negative della vita, dalladisoccupazione, dalla malattia,dalla morte, ecc. Questa è l’originedei sistemi di previdenza o di sicu-rezza sociale, che si estesero pertutta l’Europa nella prima metà delsecolo XX. L’assistenza sanitariasociale è una conseguenza di que-sto nuovo modello di società. Nonè un caso che non sia mai esistitaprima, e che quando questo model-lo di società cominciò a dare se-gnali di crisi, nel 1973, cominciòanche la critica del sistema previ-denziale sociale e, in concreto, diassistenza sanitaria.

È importante notare, infine, chela società dei consumi ha generatoun nuovo concetto di salute, la sa-lute come bene di consumo. Nellasocietà industriale la salute fu sem-pre concepita come bene di produ-zione, così che si riteneva sano chipoteva lavorare e malato chi nonpoteva. Ora, al contrario, vieneconsiderata un bene di consumo. Ilwelfare state definisce la salute intermini nuovi e diversi da quelli diogni epoca precedente. Tale defi-nizione l’identifica con “benesse-re” (wellbeing). Non è un caso chel’Organizzazione Mondiale dellaSanità definisca la salute come

“uno stato di perfetto benessere fi-sico, mentale e sociale, e non solol’assenza di malattia”. La societàdel benessere intende la salute co-me perfetto benessere fisico, men-tale e sociale. In altri termini, ilconsumo di salute si può stimolaree incrementare in modo indefinito.

3. La situazione attuale: il problema di uno sfruttamentoe un uso eccessivo delle risorse

Il modello keynesiano cominciòa essere messo in discussione agliinizi degli anni Settanta. La crisieconomica del 1973 fu consideratada molti come la fine di una tappa.Come si sa, questa crisi, chiamataanche crisi del petrolio, fu la primacrisi delle risorse. La nostra gene-razione è la prima che ha dovutoaffrontare il fenomeno curioso esorprendente dell’uso eccessivodelle risorse naturali. Le possibi-lità sono cresciute tanto che per laprima volta hanno cominciato aminacciare le risorse, molte dellequali sono difficilmente rinnovabi-li, o hanno un ciclo di rinnovamen-to molto lento.

Finora si supponeva che le ri-sorse fossero poco meno che ine-sauribili, e che in qualunque casosuperassero di molto le possibilitàdel loro utilizzo. Il problema clas-sico della specie umana era statosempre lo stesso, la mancanza diprocedimenti efficaci di trasfor-mazione delle risorse in possibilitàdi vita. Il problema, pertanto, nonerano le risorse, bensì i procedi-menti di trasformazione. Solo apartire dagli anni Settanta si inco-minciò a vedere il problema inmodo chiaro. Il famoso rapportodel Club di Roma I limiti dellacrescita, pubblicato nel novembredel 1971, richiamò l’attenzionesullo sfruttamento eccessivo dellerisorse del pianeta e sull’ipotecache ciò poteva comportare a me-dio termine per la qualità di vitadelle generazioni future degli abi-tanti del pianeta. Il problema nonstava, come era sempre stato pri-ma, nel trovare un nuovo metodoper trasformare meglio e di più lerisorse naturali in possibilità di vi-ta, bensì, al contrario, nel vederecome misurare il processo di crea-zione di possibilità mantenendo ericiclando le risorse.

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La teoria keynesiana era basatasul principio secondo cui ricchez-za è uguale a consumo, di modoche quanto maggiore fosse il con-sumo, tanto maggiore doveva es-sere considerata la ricchezza. Orasi comincia a pensare diversamen-te. Il consumo sfrenato porta al de-grado dell’ambiente e, pertanto, alpeggioramento della qualità di vi-ta. Qualità di vita e consumo nonsono termini direttamente relazio-nati. Un aumento del consumo puòessere seguito da una diminuzionedella qualità di vita, individuale ecollettiva. Di fatto questo è ciò chesembra stia accadendo. Lo stessogruppo di ricercatori che elaborò ilrapporto su I limiti della crescitaha pubblicato venti anni dopo, nel1991, un altro rapporto dal titoloAl di là dei limiti. Secondo la lorotesi, l’umanità ha superato i limitidella crescita, e in questo momen-to è immersa in uno sviluppo chenon potrà essere sostenuto illimita-tamente, e nemmeno per moltotempo.

Ora il concetto fondamentale èquello dello “sviluppo sostenibi-le”. Si parte dal principio che tantolo sviluppo del primo mondoquanto il sottosviluppo del TerzoMondo sono “insostenibili”, e cheè necessario un cambiamento glo-bale verso il cosiddetto svilupposostenibile. Si tratta di una teoriaeconomica, alternativa tanto almodello keynesiano quanto a quel-lo dell’economia liberale classica.È anche un modello politico. Perquesto l’ONU lo ha assunto comepropria filosofia politica. È peròmolto di più. È una teoria etica edesige, senza dubbio, un grande im-pegno etico. La dottrina dello svi-luppo sostenibile reclama che neiprocessi decisionali si tenga contonon solo degli individui di una so-cietà o di un Paese, bensì di tuttal’umanità, presente e futura. Infineè anche una teoria medica. Difattil’Hastings Center ha lavorato inquesti ultimi anni ad un progettochiamato Sustainable Health.

Lo sviluppo sostenibile deve es-

sere necessariamente “globale”.Da qui l’importanza che in questanuova fase acquisisce il concettodi globalizzazione. La globalizza-zione comincia ad essere possibilegrazie ad un nuovo fatto rivoluzio-nario, chiamato la “terza rivoluzio-ne industriale”, cioè quella elettro-nica e digitale, che può renderepossibile un nuovo mondo, più in-tegrato e ragionevole, e anche piùgiusto. Anche qui è chiaro che citroviamo di fronte ad una nuovasfida etica, da cui probabilmentedipende il nostro futuro comeumanità.

Questa è la nostra situazione. Vi-viamo in un’epoca critica, in cuiabbiamo bisogno di nuovi concetti,tanto nell’ordine economico quan-to in quello politico, morale e me-dico. Sta qui la grande sfida e an-che il nostro primo obbligo morale.

Prof. DIEGO GRACIA GUILLENProfessore di Storia della MedicinaUniversità Complutense di Madrid

Spagna

IV: Luci nel dialogo interreligioso

Il poeta inglese Alexander Popeha scritto: “... i pazzi si precipita-no laddove gli angeli hanno pauradi camminare”. Ho apprezzatomolto l’invito che mi è stato rivol-to a partecipare a questa Confe-renza Internazionale. Ma, a dire ilvero, non sono del tutto sicuro diaver fatto bene ad accettarlo.

Dopo tutto questa è una confe-renza ad un livello altamente pro-fessionale di specialisti di diversotipo nel campo della Sanità. D’al-tro canto io sono un diplomaticodi carriera, preparato, come pitto-rescamente dice la Regina Elisa-betta I, “a dire bugie” e a mettere a

rischio la mia stessa salute recan-domi a ricevimenti, cocktails e ce-ne interminabili. Ma non c’è nullanella mia educazione che mi abbiapreparato a parlare in modo auto-revole di Ebraismo, Sanità e So-cietà. Comprenderete perciò lamia apprensione.

Con il vostro permesso vorreidividere le mie osservazioni in treparti:

1) alcune osservazioni generalisu Ebraismo e Sanità;

2) alcuni principi giudaici nel-l’etica sanitaria contemporaneaapplicata;

3) alcuni esempi riguardanti le

cure agli anziani.In tutti questi campi sono molto

riconoscente agli studenti ebreidei quali ho consultato i lavori*.Spero di riuscire a rappresentarliin modo preciso, ma se sbaglierò,gli errori e le responsabilità sonointeramente miei.

1. Osservazioni generali

Non è una grande rivelazioneosservare che nei tempi biblici, lareligione e la medicina andavanodi pari passo, e così avveniva an-che in molte altre culture antiche.

YOSEF LAMDAN

IV.1 L’ebraismo e la sanità

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58 SALUTE E SOCIETÀ

Ma per gli Israeliti c’era una baseteologica razionale, riassunta nel-la famosa frase di Ezechiele (ri-volta a Dio): “Lo spirito è tuo e ilcorpo è tuo”. In altre parole, Diocrea e controlla tutto nell’essereumano, sia spirituale che fisico.

Nel periodo Templare i sacerdo-ti, oltre ai loro compiti di rito, era-no custodi della salute pubblica edei ministeri della salute (anche sequesti termini sarebbero stati to-talmente sconosciuti per loro). Daitempi del Talmudico sino al Me-dioevo, i medici molto spesso era-no scolari rabbinici. Ciò perchédoveva rimanere uno stretto lega-me tra l’insegnamento rabbinico,che rifletteva la devozione a Dio, ela scienza medica, che rifletteva ladevozione al benessere dell’uomocreato ad immagine di Dio.

Questo coinvolgimento ebraiconella medicina richiedeva sin dal-l’inizio una struttura concettuale – nel nostro caso religiosa. Il bennoto dibattito sull’opportunitàdell’intervento umano nella ma-lattia e nella sofferenza fisica, for-se contro la volontà di Dio, emer-se in modo esplicito. Nell’AnticoTestamento ci sono numerosi rife-rimenti a Dio come guaritore: “Iosono il Signore, colui che ti guari-sce” (Es 15, 26). I sacerdoti e, piùtardi, i medici di professione era-no gli strumenti attraverso i qualiDio avrebbe curato: “Egli (l’uo-mo) dovrà procurargli le cure” (Es21, 19).

Questa non era semplicementeuna “licenza per curare”, ma uncomandamento divino, che obbli-gava i medici a trattare il malatosenza alcuna discriminazione.Come strumenti o messaggeri diDio, ai dottori ebrei erano richiestigli standards morali più elevati,specialmente nelle loro linee-gui-da operative. E nell’etica medicagiudaica, due principi, altamenterilevanti per la vostra Conferenza,regnavano supremi: il primo eral’obbligo a preservare la vita uma-na, che è un dono di Dio e che èsacrosanta; il secondo l’obbligoad offrire un trattamento medico ecure sanitarie a tutti. Nel pensierogiudaico entrambi questi impera-tivi religiosi sono ancorati comenei Dieci Comandamenti.

L’imperativo “Tu non uccide-rai” è rappresentato positivamentecome un ordine a preservare la vi-

ta umana a tutti i costi. Per illu-strare la sua importanza senzaprecedenti, le regole del Talmudattestano che salvare la vita uma-na ha la precedenza sul SabatoSanto (Yoma, 85 A). E come nonpossiamo “onorare il padre e lamadre”, specialmente nella loroetà avanzata, se non offrendo loro,tra le altre cose, cure mediche?Inoltre il Talmud sostiene che percurare gli anziani e i malati in ge-nere, la santità del Sabato può es-sere messa da parte, anche se nonsi tratta di una situazione in cui lavita è in pericolo.

Se guardiamo ai 613 comanda-menti del Pentateuco, troviamoun’enfasi straordinaria sulla me-dicina sociale e sull’igiene pubbli-ca e su quelli che possono essereconsiderati come aspetti della sa-nità in genere.

Indubbiamente, ben 213 delle613 prescrizioni bibliche sono dinatura medica oppure hanno a chefare con la medicina, e fissano leesigenze per una dieta stretta, leregole per l’igiene personale epubblica, quelle per la prevenzio-ne delle epidemie, l’isolamento, laquarantena, ecc. Questi modellidell’Antico Testamento sono sor-prendenti ancor oggi.

È stato però dal XII secolo cheun certo concetto di “Sanità e So-cietà” venne elaborato da Maimo-nides, il grande discepolo rabbini-co, filosofo e medico alla Cortedel Sultano d’Egitto. Egli divisela medicina in tre categorie prin-cipali:

1. prevenzione;2. cura del malato;3. trattamento del convalescen-

te, compreso l’anziano.Nel XIV secolo, in Spagna, gli

ebrei spesso offrivano cure infor-mali e un sostegno nella loro stes-sa società attraverso associazionidi volontariato per “Bikur Holim”(visitare i malati), azione che veni-va vista anche come un dovere re-ligioso. In molte comunità euro-pee, nel XVIII secolo vennero isti-tuiti ospedali ebrei e servizi sanita-ri indipendenti, spesso per la man-canza di accesso a persone nonebree. In altre parole i sistemi sani-tari ebraici scaturirono in parte sul-la base delle circostanze storiche esociali. Tuttavia erano amministra-ti nell’ambito della religione reli-giosa ebraica (la “Halachah”), e si

basavano su una profonda com-prensione e talvolta sull’interpre-tazione di grande portata dell’An-tico Testamento (la Torah).

2. Alcuni principi di etica sanitaria applicata

Permettetemi ora di fare un sal-to ai tempi moderni e di dedicarmibrevemente ad alcuni argomentisanitari contemporanei (da unaprospettiva giudaica ortodossa).

a)Ricorrere alle cure

Nella società attuale, si tende apensare alle cure sanitarie in ter-mini di donazione. Invece, nelgiudaismo, i malati sono moral-mente obbligati a chiedere attiva-mente l’attenzione medica e le cu-re sanitarie. Dal nostro punto divista religioso, l’uomo ha ricevutoil suo corpo in custodia dal Crea-tore per usarlo e per fare la Suavolontà. All’uomo non è concessodi nuocere o abusare del suo cor-po. Viceversa gli è richiesto dipreservare il suo corpo e tenerlosano meglio che può, e trovare unaiuto e delle cure professionaliadatte.

Nessuno, poi, ha il diritto di ri-fiutare le cure. Anteporre l’osser-vanza religiosa sul trattamentomedico non viene visto come unatto di pietà, ma il contrario. Per-ciò, non può essere tollerato.

b)Decisioni sanitarie e autonomia

Il modello ebraico per la ‘deci-sion-making’ in medicina si basasu una triade. Primo, il medico(che è obbligato a curare il pazien-te e ad offrirgli le migliori curemediche disponibili); secondo, ilrabbino (cui sono demandate lequestioni etiche e i problemi con-nessi con la legge religiosa); ter-zo, il paziente stesso. Quest’ulti-mo ha la possibilità di scegliere ilsuo medico e il suo rabbino, aiquali poi rimetterà gran parte del-la sua autonomia, mentre rimarràlibero di decidere su argomentinon medici e non etico-legali.

L’impegno è che, attraversoquesta triade dinamica, con unapersona nel proprio campo, si rag-giungano decisioni ottimali per

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argomenti medici ed etici com-plessi, giudicati per i loro stessivalori secondo le circostanze spe-cifiche. Da un punto di vista filo-sofico il modello richiede che ilpaziente operi una libera sceltaper derogare molto del suo poteredecisionale ad altri, in linea con lasua accettazione volontaria dellaTorah e della Halachah. Infatti gliebrei osservanti operano una scel-ta consapevole limitando la sferadella propria autonomia alle que-stioni mediche piuttosto che ad al-tre aree che possono essere consi-derate ‘neutre’ da un punto di vi-sta morale e religioso.

Ad esempio:1) se ci sono diverse opzioni

mediche ugualmente efficaci eun’opzione viene preferita per ra-gioni non mediche (ad esempioconsiderazioni di tipo economicoo cosmetico), il paziente può rifiu-tare questa opzione;

2) un paziente può rifiutare untrattamento che comporta grandesofferenza o che ha complicazionirilevanti, qualora esistano altreopzioni.

c)Quando i principi si scontrano

In generale l’ebraismo è contra-rio a ‘rendere assoluto’ ogni prin-cipio religioso o precetto etico(ferma restando la supremazia del-la preservazione della vita uma-na). Laddove possibile, viene dife-sa una linea di mezzo o “goldenmean”. Da qui il fatto che i princi-pi concorrono per la priorità, e lad-dove si trovano valori medici inconflitto, ogni caso, ogni pazientedeve essere considerato indivi-dualmente e le decisioni devonoessere prese in circostanze clini-che ed etico-legali specifiche, nel-l’ambito della Halachah.

d)Fare del bene

Recare beneficio a un uomo (oa una donna) è un imperativo mo-rale e religioso nell’ebraismo, ba-sato su diversi comandamenti bi-blici.

Nel rapporto paziente-medicola nozione di fare del bene è forte-mente enfatizzata nel comanda-mento positivo rivolto ai medicidi curare ed assistere ogni pazien-te, senza discriminazione. Il rap-porto paziente-medico è infatti vi-

sto come un patto quasi religioso,basato sul fare del bene, piuttostoche un contratto civile, basato suun accordo reciproco.

e)Non fare del male

Nell’ebraismo danneggiare enuocere al corpo e all’anima sonodefiniti ampiamente, ed evitare difare del male è un compito positi-vo nell’ambito dell’ampia catego-ria dei comandamenti religiosiche regolano i rapporti tra uomo euomo.

Nelle situazioni mediche e di ti-po sanitario, il chiaro obbligo po-sto ai medici è quello di non usaremai la propria conoscenza perdanneggiare o nuocere a qualcu-no. Ai medici viene chiesto di es-sere esperti e di mantenere glistandard più elevati della cono-scenza e dell’abilità per evitare, oal limite per minimizzare, ognidanno potenziale ai pazienti, cherisulterebbe da un necessario in-tervento medico.

Nella prospettiva ebraica il nonfare del male comprende anche ilcausare danno o il nuocere al pro-prio corpo. Come è stato già det-to, ad ogni individuo è ordinato dibadare alla propria vita e alla pro-pria salute, e ciò è contrario aqualsiasi forma di autolesionismoe suicidio.

3. L’ebraismo e gli anziani

Il trattamento degli ebrei anzia-ni e le cure che vengono prestateloro sono naturalmente legati al-l’ambito religioso e morale che hoappena descritto.

Nell’Antico Testamento gli an-ziani sono descritti con una certaattenzione e in dettaglio. Nel Tal-mud le “età dell’uomo” sono defi-nite in modo curioso (60 è la vec-chiaia e 70 è un’altra vecchiaia) eci sono elaborate controversie suifattori che portano ad un’età avan-zata, oltre al passaggio degli anni.Ci sono descrizioni fisiologiche esociologiche della vecchiaia; ingenerale l’anzianità è vista chiara-mente come una mutata condizio-ne fisica, non semplicemente lega-ta all’età cronologica.

Tuttavia c’è una costante: uncorretto atteggiamento verso l’etàavanzata che comprende rispetto

e onore. “Alzati davanti a chi ha icapelli bianchi, onora la personadel vecchio” (Lev 19, 32). Questacostante, cioè il rispetto fonda-mentale che deve essere esteso atutti gli anziani a prescindere dal-la loro religione, dallo status e dalvalore morale, richiede che anchei loro bisogni sanitari siano intera-mente soddisfatti e con compas-sione.

Come la carità, la cura degli an-ziani inizia a casa. Sulla base del-l’Antico Testamento, ai figli vieneraccomandato di badare a tutti gliaspetti del benessere dei loro ge-nitori “fino a quando il Signoreavrà pietà di loro”. Se il figlio nonpuò prendersi cura dei suoi geni-tori a casa, deve trovare un’alter-nativa adeguata, dato che l’ebrai-smo offre chiare basi per forniretipi di vita assistita agli anziani. Aun figlio è vietato andare contro idesideri o le richieste dei suoi ge-nitori, e così, in diverse circostan-ze, egli è obbligato ad affidarne lacura a medici e a operatori sanita-ri. Non è possibile che i figli cer-chino di curare da soli i disturbiche affliggono gli anziani, sullabase dell’onore dovuto al padre ealla madre.

Ora lasciate che vi sottolinei al-cune posizioni ebraiche su variesituazioni che spesso si incontra-no nel trattamento degli anziani(ma non soltanto di loro).

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a)Fornire informazioni

Spesso gli approcci moderni aquesta questione suggerisconoche il malato sia ampiamenteinformato della propria condizio-ne, a prescindere dalla sua gravità.La posizione dell’ebraismo consi-ste nel fatto che né il medico, né ifamiliari possono prendere alcunadecisione medica finale fino aquando il paziente stesso sia ingrado di esserne coinvolto. Perciòè necessario informare. Tuttavia,nel caso di malati terminali, l’Ha-lachah impone alcuni limiti neldare le informazioni, principal-mente per prevenire l’angosciamentale e lo stress psicologicoche possono aggravare le condi-zioni già gravi di un paziente e,forse, abbreviarne la vita. Inoltreogni informazione offerta in unasituazione del genere deve esseredata in modo da non causare al pa-ziente la perdita della speranza ocompromettere la sua volontà divivere. Secondo certe autorità, èassolutamente vietato informareun malato terminale su quanto glirimane da vivere – anche se do-vesse essergli detta una bugia. Bi-sogna continuare a nutrire e a ser-vire il malato terminale, e devonoessergli somministrati dei placeboqualora ogni altro medicinale do-vesse risultare inutile.

b)Alleviare il dolore

Diversamente da altre religionil’ebraismo non vede il dolore nel-la malattia come una punizione dasopportare. Per noi il dolore è unasorta di sfida morale e medicacontro cui combattere. Il Signoredeve essere servito nella gioia enon nell’agonia; il dolore e la sof-ferenza permanenti sono vistipeggio della morte. Perciò, se unmedicinale dovesse aiutare ad al-leviare il dolore, specialmente ne-gli anziani, esso deve essere uti-lizzato, anche se può avere effettipericolosi per la vita.

c)Preservazione della vita, anche a costo della qualità della vita

Per l’ebraismo questo è virtual-mente un ‘non argomento’. La vi-ta, essendo un dono di Dio, deveessere preservata e prolungata

quasi a tutti i costi. Il valore diogni vita non può essere misuratoin termini di qualità, basato su fat-tori comparativi o relativi, spessoriflettendo norme sociali transito-rie. Dato che la vita è santa, l’uo-mo non ha alcuna autorità per ab-breviarla al fine di salvare la qua-lità della vita.

Perciò in Israele non esiste arbi-trariamente un’età in cui non sipossano più ricevere cure intensi-ve. Le case per gli anziani devonoavere attrezzature per restituire al-la vita i pazienti, compresi coloroche si trovano in uno stato avanza-to di demenza. Nel tentativo dipreservare la vita, procedure ag-gressive come la nutrizione attra-verso l’intubazione naso-gastricavengono somministrate a coloroche ne hanno bisogno. Nel caso dialcuni malati terminali l’uso dimedicinali potenti può essere ri-dotto, mentre rimane l’obbligo dinutrire e curare questi pazienti fi-no a quando possibile.

d)Eutanasia

Alla luce di quanto ho detto, èchiaro che nell’ebraismo ogni for-ma di eutanasia attiva è stretta-mente proibita. Ciò è visto, infatti,come un assassinio pianificato,con tutto ciò che esso comporta daun punto di vista religioso ed eti-co-legale.

Tuttavia l’ebraismo compie unadistinzione tra medicinali, tratta-menti ed attrezzature destinate aprolungare la vita, mentre è con-trario a quelli che spingono a ri-tardare la morte. Va oltre le miecompetenze definire la linea tal-volta molto sottile tra le due situa-zioni, ma capisco che quando lamorte è imminente, l’Halachah èpreparata ad approvare, e forsepersino a richiedere, il ritiro diogni fattore, sia esso estraneo alpaziente o meno, che possa artifi-cialmente ritardare la sua morte(ho tratto questa affermazione daJewish Medical Ethics, pp. 123-124, del Rabbino Dr. EmmanuelJakobovits, già Rabbino Capo delRegno Unito).

Questo argomento, così comealtri che ho toccato, sono profon-damente complessi e non senten-domi competente a questo riguar-do, non andrò oltre. Spero soltan-to che, essendo stato tanto corag-

gioso da avventurarmi così lonta-no, sia stato in grado di trasmette-re alcuni atteggiamenti e approcciebraici alla Sanità e alla Società.Per il resto, dovrete rivolgervi aglispecialisti.

S.E. Sig. YOSEF LAMDAN,Ambasciatore di Israele

Presso la Santa Sede

Note

* Sono particolarmente riconoscente alProfessor Abraham Steinberg, autore del-l’Encyclopedia of Jewish Medicine (in ebrai-co) che mi ha consentito di usare liberamen-te il suo materiale. Sono grato anche al Dr.Aharon Cohen, Capo della Divisione Geria-trica del Ministero della Sanità di Israele, chemi ha inviato un’ampia selezione di materia-le sugli anziani, compresa una lettura (su na-stro) del Rabbino Capo di Israele Meir Lau;ed anche al Rabbino Yaakov Weiner, Capodel Jerusalem College for Research, che hapassato molto del suo prezioso tempo conme.

Dei testi stampati che ho consultato, vor-rei menzionare in modo particolare:

– JAKOBOVITS, IMMANUEL, Jewish MedicalEthics (New York, 1975).

– SHULMAN, NISSON E, Jewish Answers toMedical Ethict Questions (New Jersey andJerusalem, 1998).

– WEINER, YAAKOV, Ye Shall Surely Heal(Jerusalem, 1995).

– Encyclopedia Judaica (Jerusalem, 1972,12 vol.), alcuni articoli.

Un ricercatore attento potrà trovare in In-ternet molto materiale (di diversa qualità)sull’argomento.

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Nel 1998 abbiamo potuto de-scrivere l’importanza delle cureapportate al servizio della salute edei malati nelle società musulma-ne: la civiltà islamica classica, co-me pure quelle che l’hanno prece-duta e seguita, ha dato il propriocontributo alle scienze della medi-cina; essa, a suo modo, si è altresìpresa cura dei malati. Gli Statimoderni di cui l’Islam è la religio-ne ufficiale, o ufficiosa, fedeli aquesta tradizione multisecolare,hanno dunque sviluppato, su imi-tazione dei sistemi sanitari deiPaesi occidentali, un insieme diistituzioni al fine di garantire a tut-ti i loro cittadini l’accesso ad unamedicina preventiva e nel contem-po curativa.

Un anno dopo, sempre nellastessa prospettiva, abbiamo ricor-dato il posto privilegiato che glianziani occupano nella mentalitàpopolare e nell’opinione pubblicadelle società musulmane. I tempisono certamente cambiati e questepersone rischiano spesso, oggi, diessere emarginate, come succedesovente nelle società occidentali. Èpur vero che gli “anziani”, nel con-testo musulmano, hanno ancoradiritto al rispetto di tutti se non al-le cure della comunità. L’eutanasianon rappresenta ancora un proble-ma per le società islamiche: la vitaresta un valore essenziale, dal con-cepimento fino alla morte, anchese la Sharî’a (la Legge religiosaislamica) autorizza la condanna amorte in tre situazioni specifiche(taglione, adulterio e apostasia).

Ma tra la salute e la società, tra ibisogni del singolo e le cure dellacomunità, c’è la sofferenza e il do-lore, esperienze umane ineluttabiliche i malati subiscono o assumonoe che medici, infermieri e infer-miere accompagnano o alleviano.Al crocevia della salute e della so-cietà, dunque, c’è la sofferenzaumana in cui cristiani e musulmani

hanno senza dubbio molto da con-dividere: anche se i primi non pos-sono far conoscere ai secondi il va-lore redentivo di ogni sofferenzavissuta in unione con quella di Cri-sto Crocifisso, almeno possonoaiutarli a dare alla loro sofferenzaun valore profondamente religiosoin cui la fede riesce ad esprimersi,lasciando un posto segreto all’ope-ra dello Spirito Santo. È in questaprospettiva dell’accompagnamen-to e dello scambio reciproco chevorremmo invitarvi a meditare suivalori di compassione che tutti icredenti sinceri possono vivere in-sieme, con le parole o in silenzio.

A questo scopo ci è sembrata lacosa migliore ricordare insieme avoi il messaggio postumo di Sou-mia Lamri, una giovane algerinamalata di cancro, morta recente-mente all’età di diciassette anni emezzo, a Aïn Sefra (Algeria) dopoanni di grande sofferenza durante iquali fu accompagnata da un sa-cerdote nostro amico. I testi scrittida Soumia di proprio pugno e la-sciati alla sua famiglia possonoispirare la nostra meditazione; al-cune riflessioni del sacerdote chele faceva visita quasi ogni giornosono per un noi un invito a fare inmodo che ogni ospedale diventi iltempio santo di una compassionemisericordiosa in cui cristiani emusulmani si dicono molte cosesotto lo sguardo di Dio. Molte lucipossono brillare nel cielo a voltenuvoloso dei rapporti islamico-cri-stiani!

Il messaggio postumo di Soumia Lamri

Soumia Lamri era una giovaneliceale di Aïn Sefra, nata il 23 lu-glio 1981 e morta il 25 marzo1999, dopo aver lottato per diversianni contro un cancro alle ossa.Malgrado tre operazioni chirurgi-

che, la malattia si era diffusa; daldicembre 1998, l’abbiamo accom-pagnata prima in casa sua, e poi alreparto di ostetricia dell’ospedale,fino alla fine... nella tenerezza.

Ecco due documenti lasciati daSoumia e sua madre ci ha affidatootto giorni dopo la sepoltura. Sitratta di un quaderno di scuola allecui pagine ella aveva affidato trepoemi, scritti dopo essere stata di-messa dall’ospedale di Méchéria,dopo aver saputo di essere con-dannata... e di una lettera che leaveva scritto il chirurgo di Méché-ria che l’aveva operata. I docu-menti sono stati da noi tradotti dal-l’arabo.

I testi sono degni di nota perl’autenticità conferita loro dalla vi-cinanza della morte e dalla fedeprofonda che li sottende. Sono te-stimonianze preziose dell’atteg-giamento di un vero credente difronte alla sofferenza e alla morte.

Ecco, anzitutto, la lettera delmedico a Soumia:

In nome di Dio, il Tutto Miseri-cordia, il Misericordioso,

A Soumia,mia povera figlia, disperi della

misericordia di Dio? Tutto ciò cheviene da Dio è misericordia, anchese si tratta della malattia e dellasofferenza. Noi non vediamo nésappiamo il fondo delle cose e ciòche il Creatore vuole. Loda Dioper il fatto che ad ogni male Egliha portato un rimedio. Ciò che tuhai appreso nella tua prova, gli al-tri impiegano numerosi anni dellaloro esistenza a capirlo. “È possi-bile che voi non amiate una cosa,mentre questa è un bene per voi”.Cerca dunque nella tua prova lasua utilità. Poiché nella tua soffe-renza, c’è la misericordia e tu tro-verai la saggezza di Dio, la pazien-za e la guarigione, se Dio vorrà.

Saluti.Il tuo medico!

MAURICE BORRMANS

IV.2 Una luce nel dialogo interreligioso islamico-cristiano:la virtù della compassione

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62 SALUTE E SOCIETÀ

La mancanza di data non per-mette di sapere se la lettera del me-dico abbia preceduto o seguito laredazione dei poemi. Poco impor-ta! Ciò che è sicuro, è che questalettera è una risposta a un messag-gio della malata (la quale, d’altron-de, me lo confermò). Se il medicoha creduto di poter essere così di-retto, è perché tra di loro esisteva-no amicizia e fiducia, ed egli cono-sceva le qualità dell’anima dellasua corrispondente... La sua missi-va sembra aver fatto grossa im-pressione sull’adolescente, cometestimoniano le tracce di lacrimesul foglio.

Questa lettera riunisce concisio-ne e grande elevazione d’anima. Inessa Dio è onnipresente (nominatosette volte); ci si riferisce costante-mente alla sua misericordia (cin-que volte), alla sua onniscenza e al-la sua provvidenza: “ad ogni male,egli apporta un rimedio” (H. adît ri-portato da al-Bukhârî al kitâb al-tibb). Noi invece, poveri umani,non vediamo né sappiamo il fondodelle cose, e detestiamo la malattiae la sofferenza mentre “è per voi unbene” (Corano 2, 216). È un appel-lo, senza concessione, a una visio-ne della fede denudata sulla soffe-renza che ha la propria utilità e ci faentrare nella saggezza di Dio.

Messaggio brusco che non pote-va non provocare lacrime..., lacri-me feconde, come testimonia ilpiccolo quaderno di scuola. Lamaggior parte delle adolescenti al-gerine ha un quaderno o un album,in cui conserva documenti, foto-grafie, lettere, testi ecc., a loro cari.Soumia non faceva eccezione e,inaugurando questo quaderno, pre-cisava, dopo il bismillâh, che lo fa-ceva per trascrivervi i suoi poemi,esprimere i suoi pensieri e conser-vare i suoi ricordi.

Ecco il primo poema di Soumia:

In nome di Dio, il Tutto Miseri-cordia, il Misericordioso,

in nome della prima Causa ditutto, dell’Ispiratore della poesia,di colui che parla agli amici, io,Soumia Lamri, scrivo per la primavolta con penna blu su foglio bian-co, per dare libero corso ai mieisentimenti e riportare i miei pen-sieri. La mia prima idea, è:

“Ciò che mi viene in mente” op-pure “Il tempo” (sulla bozza)

Passa il tempo, trascorrono i

giorni, ma il tempo è ingannatore.Tu non sai ciò che esso nascon-

de, né ciò che si propone, ma l’a-marezza del tempo cade su di te al-l’improvviso.

Ci sono dei gelosi, dei generosi,dei portatori di regali, ci sono de-gli ingiusti.

Tuttavia il tempo non cambia néil mio destino né i miei giorni, enon allevia il dolore.

Ritornello Ah! O tempo!(sulla bozza)

Il dolore del tempo era per mecostante, una devastazione doloro-sa.

Mi ha fatto perdere ogni discor-so per la mia pena, ha portato alculmine il mio dolore e la mia sof-ferenza.

Il tempo ha cambiato la mia so-miglianza e ha disperso il mio sa-pere.

Mi ha fatto perdere la bellezza ela giovinezza. Ah! Tempo, tu mi haitradita.

Ciò che era dolce per me, tul’hai reso amaro, la mia adole-scenza è stata consegnata alla me-dicina.

O tempo, lo stupefacente, lostraordinario, tu che rabbui fami-glia e amici.

Tu, in cui è leso il malato inno-cente e lodato l’oppressore orgo-glioso.

O tempo, durante il quale il fra-tello diventa un nemico per il pro-prio fratello, e il figlio ingiusto persuo padre.

O tempo, durante il quale si ven-de la coscienza, e si compra con ilsuo prezzo il latte del poppante.

E come vuoi, o tempo, ingiusto omortale?

Ritornello Ah. O tempo!(sulla bozza)

Tempo che ti prendi gioco dellenazioni.

Tu che disperdi una famiglia eporti alla fine dei bambini, seme didolore e di sofferenza,

Se è vero che si raccoglie ciòche si è seminato. Piaccia a Dio, otempo, che tu torni indietro

E che tu mi faccia dimenticareciò che mi è capitato.

Questo primo testo è una lungariflessione piuttosto disperata sullfuggire del tempo: “Passa il tem-po, trascorrono i giorni...:”, rifles-sione che ricorda alcuni accentidella Saggezza o di Giobbe, nella

Bibbia. Il tempo vi viene nominatosedici volte. Esso è l’ingannatore,il traditore la cui amarezza piombasu di te all’improvviso; è seme didolore, di sofferenza, di amarezzae di pena (dieci volte). Non cambiail destino, né allevia il dolore... Miha fatto perdere bellezza e gio-ventù... Passo la mia adolescenzanelle mani dei medici... Bisognafuggire da parenti e amici (ella siera lamentata della defezione dellamaggior parte dei suoi compagnidi classe)...

Pochi riferimenti alla fede e aDio, se non un passaggio che ricor-da il “destino”, l’invocazione del-l’inizio: “In nome della primaCausa di tutto, dell’Ispiratore...”(reminiscenze coraniche), e l’au-gurio finale: “Piaccia a Dio, o tem-po, che tu torni indietro e che tu mifaccia dimenticare...”. È probabileche questo poema sia stato scrittoprima dello choc provocato dallalettera del chirurgo.

Secondo poema di Soumia:

“Quanto sono difficili gli istantiche vivo!”

Ah! Mille sospiri che vengonodal mio dolore, il mio dolore chenon ha pietà né del mio cuore, nédel mio corpo.

Un dolore che è stato decretatoper me, nel libro del mio destino.

Un dolore che non è come i desi-deri ardenti del mio cuore, né co-me il tormento della mia anima.

Un dolore che ha gettato nellastupefazione la mia ragione e fattoa brandelli le mie arterie.

O questa dolorosa sofferenza,quanto mi ha fatto soffrire e vieta-to al mio corpo il sonno.

Sofferenza nel mio cuore e nellamia intelligenza, sofferenza nel piùprofondo delle mie profondità.

Sofferenza che nessun medicoguarisce, e che il tempo non leni-sce.

Il mio dolore non viene da unamore disperato, né da una pas-sione, ma dal Signore dei mondi.

Una malattia è stata per me de-cretata, in essa per me nessunasperanza.

Una malattia si è seduta sullamia anima, il mio piede si sottraeal mio movimento.

Una malattia che mi ha fattoperdere il soffio della giovinezza, eha ucciso dentro di me tutti mieisogni.

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I miei sogni di ragazza, sogni diquiete e di tranquillità.

Una malattia che mi spaventa ilgiorno e che ossessiona le mie not-ti dei tormenti del domani.

Ci sarà forse una qualche guari-gione, Signore, una guarigione cheviene da Te, per me e per tutti i mieifratelli?

Sei Tu, Signore, il nostro Pasto-re, il nostro Benefattore, colui checi fa vivere e morire, Signore.

Signore, rispondi alla mia pre-ghiera, e alla preghiera di tutti imiei fratelli.

O Signore dei mondi. O Creato-re dell’intera creazione.

Questo secondo poema è domi-nato dalla malattia (citata quattrovolte): una malattia decretata nelsuo destino (tre volte), una malat-tia senza speranza, che né il temponé il medico guariscono. Una ma-lattia “seduta” sulla sua anima eche la spaventa giorno e notte. Es-sa le ha fatto perdere la giovinezzae tutti i suoi sogni di ragazza. Que-sto testo insiste sulle conseguenzedella malattia che sono il dolore, lasofferenza e la pena (sette voltewaja’, cinque volte alam). Dolorefisico nel suo corpo, sofferenzamorale nel cuore, nella ragione,nell’intelligenza... nel più profon-do delle sue profondità!

Contrariamente al primo, questosecondo poema fa abbastanzaspesso riferimento a Dio (otto vol-te) e diverse volte con denomina-zioni coraniche: “Signore dei mon-di”, “Creatore dell’intera creazio-ne”. In un altro passaggio, è chia-mato “nostro Pastore e nostro be-nefattore”. Questo testo evoca due

volte la preghiera del cuore (du’â’)e considera dunque la fede e il ri-mettersi a Dio come l’unicaviad’uscita. Esso dunque non è dispe-rato e la guarigione vi figura comeultima speranza (quattro volte):“Ci sarà forse una qualche guari-gione, Signore, una guarigione cheviene da Te?... Sei Tu che fai vive-re e morire [ancora un’allusionecoranica]. Rispondi alla mia pre-ghiera!”.

Questo poema è stato scritto do-po aver ricevuto la lettera del chi-rurgo? In ogni caso esso riflette ladiffusione della malattia, il cresce-re della sofferenza e una certa evo-luzione psicologica in rapporto alproprio male.

Terzo poema di Soumia:

“Il chiarore della mia speranza”Interroga l’insieme dei tempi,

essi ti parleranno dei miei dolori.Interroga tutti gli umani sulla

mia sofferenza e sulla mia pena.Sono malata e sopporto i miei

dolori, ma in tutti i casi sono forte.Dio mi ha dato fede a sufficienza.Non ho paura della mia sorte,

ma delle fatiche del cammino.Il mio canto, è la mia preghiera,

O Signore, la mia guarigione.Dico e ridico, dal più alto della

mia voce: “Sii la benvenuta, omorte!”.

Non ho paura di te, ma di incon-trare il mio Signore.

Questo terzo ed ultimo poema,la cui brutta copia reca scritto “Lamia sofferenza e la mia pena”, è in-titolato sul quaderno: “Il chiaroredella mia speranza”. È l‘ultimo ti-tolo preferito da Soumia, quello

che riflette meglio il testo. In effet-ti, se malattia, dolore e sofferenzasono ancora presenti, non è più inmodo dominante, alla stregua diun leitmotiv, come negli altri poe-mi. Ella afferma, al contrario, il vi-gore della propria anima: “Sonomalata e sopporto i miei dolori, masono forte”. Ella prega: “O Signo-re, la mia guarigione”. Infine, dicee ridice, a voce alta, di non averpaura né della sua sorte né dellamorte. Questa morte che ora guar-da in volto: “Sii la benvenuta, omorte! Non ho paura di te”. Ella hapaura solo dell’incontro col suo Si-gnore, che la giudicherà.

Che magnifica evoluzione. Alleriflessioni disincantate, quasi di-sperate, dei primi testi, sono succe-dute fede, coraggio e lucidità. Inqueste disposizioni ella è partitaall’incontro con il suo Signore.Una riflessione diverse volte inte-sa dopo la sua morte: “Dio purifi-ca, mediante la sofferenza, quelliche egli ama in special modo”(H. adîth riportato da al-Bukhârî alkitâb al-marad). Le sue sorelline,di nove e undici anni, conoscono isuoi poemi a memoria e li recita-vano al di sopra della mia spalla, amano a mano che li scoprivo sulquaderno...

L’impatto delle lunghe settima-ne di sofferenza e di coraggio diSoumia è stato molto forte su tutticoloro – parenti, amici e personaleospedaliero – che l’hanno accom-pagnata fino alla fine. Tutti conser-vano il ricordo del suo dolorososorriso, nel corso della sua prova, edella sua fede luminosa. Possanoquesti poemi che ella ha lasciatoaiutare gli altri ad affrontare la vitacon maggior coraggio, poiché so-no coloro che stanno per morireche ci insegnano a vivere.

Nota congiunta sulla compassione come prime paroledi un linguaggio islamico-cristianodi François Cominardi

1. Sulle tracce di Pierre Claverie e Christian Chessel

Constatando il fallimento di nu-merosi tentativi di dialogo interre-ligioso, Pierre Claverie dichiarava:“Il nostro vocabolario è comune,ma il senso [delle parole] è diffe-

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rente. Dobbiamo riprendere tuttodalla base, vivere insieme, non sol-tanto nelle parole e nei libri, manelle parole vissute insieme, nelleparole giuste, un’esperienza con-divisa...”1.

Partendo da questa constatazio-ne e dall’esperienza comune dellasofferenza che vivono cristiani emusulmani nell’Algeria in crisi,Christian Chessel si chiedeva se“la compassione non sia la primaparola di un discorso e il primo ge-sto di un impegno con l’altro e perl’altro, qualunque sia la sua fede”2.Parlando di compassione, Chri-stian aveva in mente soprattuttoquella che vivono, dal 1992, i cri-stiani che hanno scelto di restare inAlgeria per condividere le provedel popolo algerino, malgrado lamancanza di sicurezza, la preca-rietà, le penurie, ecc.; e ciò a ri-schio spesso della propria vita3.

2. Alla scuola dei malati

Personalmente è stato al terminedell’accompagnamento di SoumiaLamri, giovane malata di dicias-sette anni, in fase terminale, che hoassociato quanto vivevo al capez-zale dei malati alla riflessione sul-la compassione iniziata da Chri-stian. Questo accompagnamentoveniva condotto in contatto conti-nuo con la famiglia e con l’équipecurante. Si trattava di un accompa-gnamento quotidiano, piuttosto la-cerante per quanti, per oltre tre me-si, hanno circondato di tenerezzala giovane Soumia.

Al termine di questa esperienzacomune, vissuta come cristiano coni miei amici musulmani, il vuoto la-

sciato dalla scomparsa di Soumia euna grazia speciale che le devo,produssero lo “scatto”, cioè “quel-l’esperienza condivisa”, “quel pri-mo gesto di impegno con l’altro eper l’altro” che vivevo al capezzaledei malati, specialmente di coloroche non avevano più speranza diguarigione. Sono dunque i malatiche mi conducono a proseguire ilsolco aperto da Christian, non su unpiano sapiente di islamologo o diesegeta (quale non sono), ma alsemplice livello della base, comeuomo in contatto fraterno con i suoi“fratelli e sorelle” musulmani.

3. Cos’è la compassione?

Ho consultato i dizionari. Il PetitRobert definisce la compassioneun “sentimento che porta a compa-tire e a condividere il male degli al-tri”. Esso rinvia a commiserazione,misericordia, pietà, consolazione.Il Petit Larousse la definisce comeun “sentimento di pietà che ci ren-de sensibili ai mali degli altri”.

La Bibbia, come espone detta-gliatamente Christian, parla di mi-sericordia, consolazione e tenerez-za. Questo messaggio culmina nel-la parabola del buon samaritano(Lc 10, 30-37) che fu “mosso dacompassione” per lo sfortunatoche giaceva ai bordi della strada“mezzo morto”. La sua tenerezzal’ha reso vicino, o piuttosto “pros-simo” al miserabile incontrato. Èper caso che Gesù mette in scenaun “malato mezzo morto”? Noncredo. Nel Corano ritroviamo co-me leitmotiv il bismillâh al-Rah. mân al-Rah. îm; “in nome diDio, il Tutto Misericordia, il Mise-ricordioso”. Rimando a Christianche l’ha spiegato bene.

La compassione fa dunque parte“di un vocabolario comune ai cri-stiani e ai musulmani”. Non si trat-ta unicamente della compassionepassiva, attraverso la quale ci si la-scia toccare dall’altro, ma soprat-tutto della compassione attiva,quella che suppone un impegnoper l’altro. “Non amiamo a parolené con la lingua, ma coi fatti e nel-la verità”, diceva San Giovanni (1Gv 3, 18).

4. La compassione verso il malato

Esprimere la propria compas-sione in presenza del malato vuol

dire condividere tutto con coluiche soffre, vuol dire soffrire conlui, mettersi al suo posto, soffriredella sua sofferenza, entrare nellasua personalità sofferente, farsi piùvicino a lui, al punto di coinciderecon lui, per vivere della sua soffe-renza. Per questo, non c’è bisognodi parole: basta essere là, esserecon lui, tenergli la mano, asciugar-gli la fronte, essere per lui segnodella tenerezza di Dio.

Il segno è più facilmente com-preso della parola, soprattutto seviene dal profondo del cuore...Raggiunge direttamente il cuoredell’altro: è un dialogo da cuore acuore... a un livello che non è in-trappolato dalle parole.

Quando si tratta di accompagna-re un malato in fase terminale, so-prattutto se egli sa di essere con-dannato, questo dialogo è fatto perriuscire, poiché nasce tra le perso-ne che la vicinanza della morte va-gante allinea al livello dell’essen-ziale: quello della vita e della mor-te. Si è in qualche modo costretti aspogliarsi di ogni accessorio... Nu-di siamo usciti dal seno di nostramadre, nudi ritorneremo a Dio. Celo ricorda, senza alcuna parola, co-lui che si appresta ad apparire da-vanti al proprio Creatore. Egli met-te allo stesso livello tutti coloro chepartecipano a questa esperienza dicompassione. Il dialogo che si in-staura li fa accedere a un livellomolto profondo di comunicazione,che va ben oltre le parole... Tutte lereticenze, tutti gli ostacoli sono ri-mossi... La via è aperta. Questo ac-compagnamento, che può esserefatto solo in équipe, mette inoltretutti coloro che vi partecipano ingrande armonia gli uni con gli altri,al punto che una sola parola, un so-lo nome, basta in seguito ad evoca-re questo “stato di grazia”.

5. Quando una giovane malata di cancro turba musulmani e cristiani dopo la sua morte

Soumia Lamri ci ha lasciato trepoemi scritti dopo aver saputo diessere condannata e una lettera chele aveva spedito il chirurgo che l’a-veva operata. Tutti coloro che nehanno preso conoscenza, parenti,amici, conoscenti, membri del per-sonale curante e simpatizzanti del-l’aiuto ai malati, sono stati toccatinel più profondo di loro stessi.

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Molti vi hanno visto un verostrumento di dialogo islamico-cri-stiano. Dialogo manifestato daparte musulmana attraverso la fi-ducia concessami come cristianodal personale curante che mi hasollecitato a partecipare a questoaccompagnamento, e dalla madreche mi ha affidato questi preziosidocumenti, perché apportino lucee coraggio ad altri. Dialogo mani-festato da parte cristiana attraversoil mio rispetto assoluto delle con-vinzioni di Soumia e dall’acco-glienza commossa della trentina didelegati della diocesi di Laghouatriuniti a Ghardaiä per l’Ascensio-ne, che hanno potuto toccare conmano in questo messaggio postu-mo l’azione incontestabile delloSpirito nel cuore di Soumia e inquello del suo medico.

Data la richiesta, è stato neces-sario moltiplicare e far circolarefotocopie di questo dossier, che haprovocato, al di là delle emozioni e

delle lacrime, riflessioni e confi-denze, verbali o scritte, risoluzionidi impegno in favore dei malati e,in alcuni casi, una vera psicotera-pia che ha fatto risaltare cose dolo-rose di cui non si era mai potutoparlare. Decisamente Soumia nonha finito di compiere piccoli “mi-racoli”.

6. Essi si scoprono “credenti”

Suscitando la compassione, tan-to dei musulmani quanto dei cri-stiani, Soumia ha grandementecontribuito a modificare lo sguardodi ognuno sull’altro. Christian deChergé ha conosciuto questo chocquando una guardia campestre al-gerina, suo amico, ha messo in gio-co la propria vita ed è morto peraverlo protetto4. Questo “choc” lodevo a Soumia, e non sono il solo.

Come aveva visto ChristianChessel, la compassione è la lin-gua del cuore di cristiani e musul-

mani che, in un’esperienza comu-ne di Dio e dell’uomo, ben oltre leparole, si scoprono “credenti”.

P. MAURICE BORRMANSProfessore dell’Istituto di Studi Islamici

Roma

Note1 Forum des communautés chrétiennes à

Angers. Pentecoste 1994. Cfr. La Croix, 25maggio 1994.

2 Cfr. La compassion, premier mot d’unlangage islamo-chrétien pour temps de crise,in Ribâ al-Salâm, n. 21, febbraio 1995, pp.22-25.

3 Christian e i suoi tre confratelli PadriBianchi hanno vissuto questa compassione fi-no al dono della loro vita, il 27 dicembre 1994.Cfr. DUVAN ARMAND, C’était une longue fidé-lité (à l’Algerie et au Ruanda), Paris, Média-spaul Ed., 1998.

4 Cfr. MARIE-CHRISTINE RAY, Christian deChergé, prieur de Tibhirine, Paris, Bayard-Centurion, 1998, pp. 47-48.

ELENA DE ROSSI FILIBECK

IV.3 Induismo

Nell’introduzione alle Strofe delSam. hkya o Sam. hkyakarika di Isva-rakr

˚s.n.a il prof. Raniero Gnoli nota

come vi siano nella storia dell’u-manità alcune idee che diventanoil nucleo verso cui, in qualche mo-do, converge la tensione di un’in-tera cultura. Tale è stata in Occi-dente la distinzione tra materia eforma, tale nella civiltà indiana laduplice concezione di prakr

˚ti e di

purus.a, indicando con il primo ter-mine una sorta di natura naturans,manifestazione dell’essere in ognicosa e con il secondo l’idea di uo-mo/anima.

“Questa idea che, nel corso deltempo, ha animato tutto il pensieroindiano”, egli aggiunge, “la ritro-viamo adombrata in certe Upa-nis.ad, la leggiamo nei Puran.a e laritroviamo, infine, nella maggior

parte della mistica indiana. Ovunque insomma si sia mani-

festata l’esigenza di una riflessionesul mondo, si è affacciata la distin-zione di questi due principi fonda-mentali” (Gnoli, p. 13).

Che cosa si intende per Induismo

Questa citazione ci fa compren-dere come alcuni principi filosofi-ci, nati nell’ambiente vedico, ela-borati nel Brahmanesimo e con-fluiti poi nel Buddhismo, sianopresenti e rintracciabili nella storiamillenaria del pensiero indiano,pur nelle sue molteplici riflessionie soluzioni, conferendo ad essouna linea di continuità, un caratte-re specifico.

Questa specificità la ritroviamoanche nelle pratiche religiose degliHindù, che consentono di formula-re una sorta di unità ideale di tuttigli Hindù, indipendentemente dal-l’appartenenza a questa o a quellascuola delle varie dottrine indiane(Piano II, p. 133).

Furono i Sampradaya, letteral-mente i conferitori, a formulare nelcorso del tempo le varie dottrine,elaborando i dati ricevuti dalla tra-dizione.

Questa tradizione riguardava insommo grado il sapere sacro, ossiala speculazione sul concetto diBrahman o assoluto, l’antica po-tenza impersonale connessa al rito,assurta poi alla fisionomia diuno/tutto e pur coincidente conl’intimo di uomo o atmam.

Vera anima della spiritualità in-

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diana, dalle diverse scuole sorse ilfenomeno degli yogin (o rinuncia-tari), dei sadhu (o buoni), e dei vai-ragin (o coloro che praticano il di-stacco) (Piantelli I, p. 49).

Per tutti era comunque doverosovivere mettendo in pratica i princi-pi del dharma hindù che si basavasu due aspetti fondamentali. Dauna parte l’ahim. sa (non violenza)e la satya (o veridicità) e dall’altralo svadhana, ovvero il dovere spe-cifico proprio di ogni casta (Varen-ne, p. 166).

Con Induismo intendiamo quin-di riferirci alla cultura religiosa tra-dizionale dell’India il cui territo-rio, ricordiamo, fu spartito nei deidue stati dell’Unione Indiana e delPakistan nel 1947, sulla base delcriterio religioso, con l’attribuzio-ne dei territori a maggioranza isla-mica al Pakistan e di quelli a mag-gioranza hindù all’India .

Ricorderemo che il terminehindù di origine geografica, formairanica di Sindh, ci è pervenuto at-traverso i musulmani. Al tempodella conquista islamica gli inva-sori lo applicarono a tutti coloroche non accettavano la religionedel Profeta.

In realtà il termine è inversamen-te esclusivo nel senso che per esse-re considerati hindù bisogna appar-tenere ad una casta e non si appar-tiene ad una casta se non si è nati inIndia. È nota la delusione di tantiOccidentali che, attratti dall’Indui-smo, si sono accorti che in Indianessuna comunità tradizionale po-teva accoglierli (Varenne, p. 165).

È quindi forte l’aspirazione aidentificare l’induismo con l’in-dianità.

In questo senso si può parlaredell’Induismo nella civiltà indianacome un continuum, pur nel mille-nario succedersi di avvenimenti edi popoli, di razze e di religionidifferenti.

La scienza medica

Espressione della cultura indui-sta è sicuramente la medicina,considerata fin da tempi antichis-simi una scienza al pari dellagrammatica, della matematica edell’astrologia.

La tradizione chiamata Ayurvedaè alla base degli insegnamenti dellamedicina indiana. Questa tradizio-

ne vanta legami con i Veda, ossiacon il corpus di testi di carattere re-ligioso e rituale più antichi dell’In-dia, che si presentano nella loro for-ma attuale come il risultato di unprocesso di elaborazione pluriseco-lare (Filliozat 1964, p. 1).

Infatti l’Ayurveda o scienza del-la longevità è considerata a voltecome parte secondaria (upanga)dell’Atharvaveda e a volta un Vedasecondario (o upaveda) del R

˚gve-

da.L’Atharvaveda è una raccolta di

inni (20 libri con 731 inni e alcuneparti in prosa) contenenti incante-simi, benedizioni, maledizioni,

canti per cerimonie etc., dove fan-no la loro comparsa anche specula-zioni teologiche e cosmogoniche.

Da studi condotti sulla lingua esul contenuto degli inni si è potutostabilire che l’Atharvaveda si siacostituito posteriormente al R

˚gve-

da, la cui datazione risale al 1500-1000 a.C., e che è considerata laraccolta più antica dei Veda (con-tiene inni, formule magiche, in-cantesimi per guarire da malattie eper ottenere una lunga vita etc. in10 libri o cerchi con 1017 inni)(Piantelli, p. 17).

Fare riferimento al mondo anticodei Veda significa riferirsi a queiconcetti come Brahman, atman,sam. sara e karman che sono parteintegrante del pensiero filosoficoindiano e che riguardano i principi

fondamentali ai quali le diversedottrine indiane si inspirarono perla loro analisi del mondo spiritualee materiale.

I legami dell’Ayurveda al sub-strato vedico sono ben stabiliti, adesempio, nell’idea che corpo e spi-rito sono delle realtà compenetra-bili tra loro.

L’importanza della medicina nelmilieu brahmanico era determinatasoprattutto dal desiderio di conqui-stare l’immortalità materiale e spi-rituale.

La salute e la lunga vita, che do-veva durare almeno cento anni,erano una condizione richiesta non

soltanto per vantaggi materiali, maanche in vista della vita futura: labuona salute era ritenuta essenzia-le per adempiere i doveri della vitae le pratiche religiose.

Le discipline dello Yoga, il Tan-trismo e lo studio dell’alchimia svi-lupparono l’idea di un soma incor-ruttibile: la salute e la longevità era-no viste come mezzi per trascende-re la condizione transmigratoria, ot-tenere l’immortalità definitiva o ilriunirsi del sé con l’assoluto (Rosu,pp. 215-216).

Questa aspirazione era determi-nata dalla credenza del continuosusseguirsi delle nascite e dellemorti, catena delle successive esi-stenze o sam. sara, mosso dal kar-man, un’implacabile legge di cau-sualità applicata alla morale. Que-

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sto spiegava come il dolore o ilmale fisico della presente esistenzaderivasse in realtà da azioni com-piute in vite precedenti (Petrini,pp. 50-52). Non restava quindi chela speranza di estinguere definita-mente il ciclo delle nascite e dellemorti.

Ayurveda: testi e tradizione

La scienza ayurvedica ci è per-venuta attraverso un’abbondanteletteratura sanscrita. È necessarioricordare che nel grande paese in-diano l’hindi, lingua ufficiale del-l’Unione Indiana, è il punto odier-no di arrivo di una lunga tradizioneche parte dai dialetti parlati dagliinvasori arii dell’India, dialetti chechiamiamo indiani antichi e di cuiuno – il sanscrito, o antico indianoper eccellenza – è attestato fin dalsecondo millennio a. C. nei più an-tichi inni del R

˚gveda.

Nel corso del tempo questa lin-gua, eminentemente della casta edella cultura brahmanica, si crista-lizza e resta quasi uguale a se stes-sa dal III secolo a.C. fino ai giorninostri, diventando la lingua impie-gata letterariamente per il più lun-go periodo di tempo (Pisani, p. 12).

È così che anche la letteraturascientifica si esprime in sanscrito.

I principali e più antichi testidella medicina indiana sono leSam. hita o raccolte attribuite aBhela, Caraka, Susruta (forse vis-suti nei primi secoli della nostraera) e a Vagbhat.a il vecchio, attivoverso il VII secolo d.C.

Di queste raccolte soltanto laprima ci è pervenuta direttamentein un unico e incompleto mano-scritto, mentre le altre ci sono per-venute in redazioni posteriori do-vute alla revisione di autori o com-pilatori differenti.

I loro trattati costituirono l’og-getto di ampi commentari di erudi-ti, inspirando opere specialistichesu patologia e terapeutica, serven-do come base a compilazioni sullamedicina in epoche posteriori (Pi-sani, pp. 178, 207).

In realtà nessuna di queste rac-colte rappresenta un primo tentati-vo di una descrizione sistematicadella scienza medica; al contrariotutte si basano su una tradizionegià stabilita, alla cui base gli autorio i compilatori sembrano estranei:

essi si limitano a raccogliere e atramandare i dati in loro possessoricevuti dalla tradizione.

L’Ayurveda consiste in otto parti:questa divisione era così famosache l’espressione otto parti, oas.t.anga, è normalmente usata perdenotare la scienza medica indiana.

Esse sono: chirurgia, medicinainterna, demonologia, pediatria,tossicologia, metodi per contrasta-re l’invecchiamento, andrologia(Sharma, pp. 53 ssg.).

Le fonti concernenti l’originedell’Ayurveda sono molto com-plesse, ma un dato sembra certo: iracconti sulla sua origine sono in-separabili da quelli che riguardanol’origine delle altre scienze, e cioèla credenza che i primi insegna-menti risalgano agli dèi.

Da un lato troviamo quindi rac-conti mitologici riguardanti l’Ayur-veda mentre l’esposizione dei prin-cipi ayurvedici basati sulla osserva-zione dei fatti normali e patologiciconferiscono a questa tradizioneuna forte connessione con la realtà.Aggiungerò che i Vaidya, o medici,si distinguevano nelle due catego-rie di chi aveva studiato diretta-mente i testi e di chi praticava lamedicina sulla base di una cono-scenza tramandata oralmente(Sharma, p. 8).

La tradizione ayurvedica resta aigiorni nostri assai viva in India an-che come dottrina popolare la qua-le in realtà, sebbene a volte sia sta-ta definita immutabile, ha subitouna certa evoluzione e si è arrichi-ta di nuove acquisizioni.

Nel corso della storia, ad esem-pio, la farmacopea indiana ha assi-milato anche medicine straniere.

In presenza e in ragione di tantaletteratura scientifica della medici-na indiana scaturita in epoche di-verse, l’esposizione successiva deiprincipi ayurvedici si riferirà aquelli elaborati durante il periodoclassico. Questo periodo, che fuquello del massimo splendore del-la civiltà indiana, è il periodo Gup-ta e post-Gupta che va dal 320 al740 d. C.

Principi dell’Ayurveda

Ho accennato all’inizio l’idea diprakr

˚ti e di purus.a poiché questi

due termini, oltre ad avere un si-gnificato filosofico, si riferiscono

a ciò che noi chiamiamo uomo nel-la sua costituzione fisica (prakr

˚ti)

che si riceve al momento del con-cepimento e nella sua essenza dipersona (purus.a). Ed è l’uomol’oggetto della cura medica.

Nella concezione indiana la ge-netica è responsabile soltanto del-l’individualità corporale che forni-sce all’essere psichico transmi-grante un organismo con i suoistrumenti psicologici, inclusi gliorgani di senso.

Il continuum psicologico è rive-stito da un corpo nuovo al momen-to della nuova rinascita. L’indivi-dualità psichica dell’essere viventeè indipendente dal suo involucromateriale deperibile, ereditato daigenitori.

L’essere è concepito come uncomposto di di cinque elementimateriali (mahabhuta) e di un ele-mento psichico (cetana) o coscien-za che viene suscitata dall’atman.

Nel corso della transmigrazionel’atman resta associato all’esserepsichico per discendere con essonell’embrione quando prende uncorpo nuovo nel momento del con-cepimento (Rosu, p. 220).Questaconcezione fa sì che la medicina in-diana dia una grande importanzaalla parte psichica e mentale di unapersona, nonostante l’idea che ilnuovo corpo comunque soffrirà pergli atti di vite precedenti.

Lo stato di salute e di malattia èdeterminato dalle interconnessionidegli elementi costitutivi dell’or-ganismo. L’esperienza ha un ruolomolto importante nello stabilireuna cura, ma la pratica medica del-l’Ayurveda non è empirica: i datidell’esperienza sono organizzatisecondo una teoria generale di fi-siopatologia.

In alcuni testi (o Sam. hita) glielementi costitutivi dell’universosono assimilabili agli elementi delcorpo umano. Infatti la moltitudinedelle sostanze esistenti sia organi-che che minerali, per quanto sotti-li, sono il risultato della combina-zione in proporzioni variabili deicinque elementi fondamentali checompongono tutto l’Universo: ter-ra, acqua, fuoco, vento e spazio(Piantelli I, p. 61).

Il corpo è fondamentalmente unaggregato complesso e diversifica-to dei cinque elementi.

A questi si aggiunge il pensiero(cetana) che risiede nel cuore.

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68 SALUTE E SOCIETÀ

Questi elementi principali for-mano le sostanze dell’organismochiamati dhatu.

Essi sono sette e precisamente:il liquido organico (rasa), il san-gue (rakta), la carne (mam. sa), ilgrasso (medas), le ossa (asthi), lacartilagine (majja), e lo sperma(sukra) (Filliozat 1949, p. 27).

Dal rasa derivano tutti gli altripoiché questo è considerato so-stanza primordiale. Inoltre in tuttociò che esiste c’è un rasa (gusto)che conferisce le proprieta e levirtù ad ogni cosa.

Una caratteristica del liquido èquella di possedere come una forzavitale che sta nel cuore. Il respiro(pran.a) si basa su questa forza chedistribuisce nel corpo attraverso i24 vasi chiamati dhamani che por-tano sangue e liquido organico.

Ricorderemo anche che il pran.aoltre ad assicurare la respirazione,trasporta le sensazioni e i pensierifino al cuore.

L’interconnessione dei tre ele-menti principali – e sono conside-rati come tali il vento, il fuoco el’acqua – dà vita e movimento alcorpo. Quando questi elementi so-no eccitati o si arrestano, interven-gono la malattia e la morte.

Ed è per questo che sono chia-mati simultaneamente tridhathu(o tre elementi) e tridos.a (o tre di-fetti /malattie) dell’organismo.

Il vento forma il respiro (pran.a),il fuoco è presente nell’organismoin forma di bile (pitta) e l’acqua inquella di phlegma o secrezioni mu-cose (kapha o sles.man)

Ognuno di questi elementi assu-me poi a sua volta molteplici for-me e nomi.

La salute di una persona dipendedall’equilibrio di questi tre princi-pali elementi. L’accezione del ter-mine dos.a, che in origine indicavaun’afflizione e soprattutto un’affli-zione patologica del respiro, dellabile o della phlegma, sotto l’in-fluenza della filosofia Sam. khya,diventa difetto/malattia, poichénell’uso generale il termine creaun’antinomia con gun.a che vuoldire qualità o virtù opposta, appun-to, a difetto (Scharfe, p. 622).

Nei commentari dei testi di me-dicina classica si uniscono la filo-sofia alla medicina.

Per sintetizzare potremmo direche secondo la visione filosofico-religiosa dell’Ayurveda il mondo e

l’uomo costituiscono un organi-smo le cui parti sono collegate fraloro da uno scambio continuo cheoggi potremmo definire comel’oggetto dello studio dei bioritmi(Monaco, p. 11).

Per questo, nel valutare lo stadiodi malattia, il medico ayurvedicovaluta anche altri fattori quali il ses-so, l’età, il tipo di alimentazione, ilgenere di vita mentale e affettivadel suo paziente, la stagione in cor-so perché per essi esiste uno strettolegame tra ambiente e fisiologia.

Se ci soffermiamo ad esaminarele cure proposte dall’Ayurveda ciaccorgiamo che esse si basano inprimo luogo sulla somministrazio-ne di medicine composte da erbe eda minerali: quello che deve esserenotato è che l’uso di questi farma-ci non è visto come azione farma-cologica di contrasto ma in quantosinergismo naturale che può rista-bilire l’equilibrio dei tre elementi(Monaco, p. 10).

I consigli basilari dell’Ayurvedaper mantenere una buona salutenon riservano indicazioni straordi-narie, ma si inspirano piuttosto anorme di buon senso: igiene perso-nale, corretta alimentazione, atti-vità fisica giornaliera ritenuta indi-spensabile per tutti, ore di sonnosufficienti.

La buona salute è un concettoreso con la parola svastha che let-teralmente significa uno che sta al-l’interno della sua propria norma,intesa sia in senso fisico che men-tale (Sharma, p. 43).

Per concludere ricorderemo co-me gli scambi culturali tra la Gre-cia antica e l’India, avvenuti graziealla funzione mediatrice dell’im-pero persiano e alle colonie greched’Asia minore, permisero una co-noscenza reciproca della scienzamedica.

Alcune analogie tra i principiayurvedici e la medicina dell’anti-ca Grecia sono riconoscibili inspecial modo nei testi ippocraticiΠερι Χυµων e Περι Φυσων.

Nel primo sono studiati i quattroumori o fluidi (χυµοι o succhi)sangue, phlegma, bile gialla e bilenera, mentre nel secondo vieneesposto un principio assai simile aquello di vento nell’Ayurveda, ecioè che l’organismo vive e simuove grazie al respiro interno or-ganico che è identico al vento at-mosferico (Filliozat 1964).

Ma l’analogia fra questi due si-stemi, che oggi chiamiamo olisticio psicosomatici, diviene più evi-dente proprio nella relazione tramedicina e filosofia.

Pur con le dovute differenze pro-prie dei due sistemi, questa si puòcogliere nell’affermazione formu-lata nell’ambito degli Iatrosofistidel tardo ellenismo, secondo laquale la filosofia è la medicina del-le anime e la medicina la filosofiadei corpi.

Prof.ssa ELENA DE ROSSI FILIBECK

Docente di Tibetologia, Università “La Sapienza” di Roma

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69DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

Introduzione al Buddismo

Il Buddismo può essere definitoe spiegato sotto molteplici punti divista: il Buddismo, cioè l’insegna-mento del Buddha, l’Illuminato,propone lo sviluppo dell’umanitàattraverso la purezza, mediante lamoralità, la calma, la concentra-zione, la chiarezza e la saggezza.Il Buddismo è una religione fon-data dal Buddha per il benessere ela felicità degli uomini e per aiuta-re il mondo. Le persone di ogni li-vello sociale possono mettere inpratica questo insegnamento se-condo la loro capacità e libera vo-lontà. Il Buddismo è una religionedi ragionamento e di pratica peraiutare e avere fiducia in se stessi,e per tendere una mano agli altriper gentilezza e compassione. IlBuddismo è una filosofia e allostesso tempo una pratica. Benchéaccetti l’esistenza di esseri divini,non considera il credo in un esseresupremo come parte significativadella religione. Al contrario inse-gna ai seguaci ad avere qualità co-me la vergogna e la paura morale,rendendoli divini nel dhamma inquesta vita, e ad essere dotati diretta fede, moralità, cultura, gene-rosità e saggezza. Insegna inoltreche chi è libero dalla contamina-zione della cupidigia, dell’avver-sione e delle manie viene visto co-me un essere superiore.

Background storico e geografico del Buddismo

Il Buddismo nacque in India al-l’incirca 2.600 anni fa, quando ilPrincipe Indiano Siddharta fu illu-minato e quindi conosciuto comeil Buddha, che significa l’Illumi-nato. Ci sono due scuole principa-li nel Buddismo: Theravada, l’in-segnamento preservato dagli an-

ziani, e Mahanyana, la riforma. Ilprimo viene praticato in SriLanka, Thailandia, Burma (Myan-mar), Laos, Cambogia e in partidell’India e del Nepal. Il secondo èprevalente in Cina, Giappone, Co-rea, Vietnam, Taiwan, Tibet eMongolia. Nel Primo Sermone, ilDiscorso della “messa in motodella ruota del Dhamma o Verità”,il Buddha ha indicato la Via Me-diana che dà visione, conoscenza,che conduce alla calma, all’intui-to, all’illuminazione e al nirvana,lo stato in cui si è liberi da ognicontaminazione e sofferenza. Inbreve, il Buddha ha insegnato allagente come essere felici e prosperiin senso materiale e spirituale. Co-loro che seguono il suo insegna-mento possono scegliere il mododi vita più adatto per loro.

Il simbolo del Buddismo è unaruota con otto raggi che rappre-sentano il Nobile Ottuplice Sentie-ro, cioè la via che conduce alla li-berazione dal dolore, che si per-corre mediante: retta visione, rettarappresentazione concettuale, ret-ta parola, retta attività, retto meto-do di vita, retta applicazione, rettopensiero e retta concentrazione.

Il Buddha è l’Illuminato che hascoperto la Verità Suprema. Eglinon ha forzato nessuno a crederenel suo insegnamento con fedecieca. La ragionevolezza del suoinsegnamento sta nel fatto che es-so accetta qualunque esame criticoad ogni stadio della via dell’illu-minazione. Il Buddha ha detto:“Non accettate nulla per semplicesentito dire, né per pura tradizione,né sulla base di dicerie, né perchési accorda con le vostre scritture,né per mera supposizione o inter-ferenza, né semplicemente consi-derando le apparenze, né solo per-ché si accorda con le vostre nozio-ni preconcette, né semplicementeperché sembra accettabile, perché

pensate che l’anacoreta è il nostromaestro”. Buddha ha poi insegna-to a considerare ogni cosa con at-tenzione. Egli ha detto: “quandosapete che queste cose sono catti-ve, queste cose sono riprovevoli,sono censurate dal saggio, quandoqueste cose, intraprese e osserva-te, portano al danno e al male, ab-bandonatele. Invece, quando sape-te che queste cose sono buone,queste cose, intraprese e osservateportano al beneficio e alla felicità,entratevi e dimorate in esse”.

Se la felicità vuol dire benesserefisico, allora possiamo vivere feli-cemente senza credere in nessunareligione. Ma un essere umano èformato di due cose principali:corpo e mente. Per avere una vitapienamente sviluppata e felice c’èbisogno di nutrire corpo e mente.In questo caso la religione può for-nire la guida e la via per sviluppa-re la mente e lo spirito assieme alcorpo. Secondo il Buddismo,ognuno è libero di considerare e dianalizzare l’insegnamento buddi-sta prima di accettarlo. Anche do-po averlo accettato è libero di sce-gliere una parte dell’insegnamen-to da mettere in pratica. Buddhaha fornito varie forme praticheadatte a persone di gusti e tenden-ze diversi.

I Cinque Precetti non sono leg-gi, ma regole di auto-formazioneche portano alle pratiche morali ea un retto comportamento. Poichénon siamo soli, vivere in societàrichiede autoconsapevolezza, au-tocontrollo, adattabilità, un atteg-giamento non violento e buonavolontà. I Cinque Precetti sono:non uccidere, non rubare, astener-si da una cattiva condotta sessuale,dalla falsità e dalle sostanze intos-sicanti che causano sconsideratez-za. Se saremo gentili, onesti e pre-murosi, la nostra società raggiun-gerà l’obiettivo secondo il quale le

RONARONG NOPAKUN

IV.4 Luce nel dialogo interreligioso: il Buddismo

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70 SALUTE E SOCIETÀ

persone possono vivere in pace ein fiducia reciproca. I cinque co-mandamenti sono i seguenti: nonuccidere, non rubare, non mentire,non commettere adulterio e nonfare uso di bevande alcoliche.

Il Buddismo insegna che a tuttigli esseri sensibili, siano essi uma-ni o non umani, dovrebbe esserediffusa la gentilezza amorevole.Se il mondo seguisse l’insegna-mento di diffondere universal-mente la gentilezza amorevole, iconflitti potrebbero esseri risoltinon con il confronto ma con mez-zi pacifici. Il Buddismo nega l’at-taccamento all’anima permanen-te, ma ammette la continuità dellavita da un essere all’altro, fino alraggiungimento del nirvana o l’e-stinzione completa del fuoco dellacontaminazione e della sofferen-za. Ogni qualvolta gli esseri uma-ni o animali trasmigrano nel ciclodella vita dalla nascita alla morte edalla morte alla rinascita, il kam-ma continua a portare frutti a coluiche agisce. Il Buddha sottolineamodi e mezzi pratici per raggiun-gere i tre livelli di vantaggi e be-nefici.

Primo: il Beneficio Presente,cioè il profitto economico e socia-le mediante lo sforzo per guada-gnarsi da vivere, la protezione diquanto si è acquisito, l’avere buo-ni compagni e un modo di viveremoderato. Secondo: il BeneficioFuturo, cioè il profitto basato sullamoralità e sulle virtù mediante lafede, la moralità, la generosità e lasaggezza. Terzo: il Beneficio As-soluto, cioè il profitto più alto at-traverso la libertà dalla contami-nazione e dalla sofferenza me-diante la moralità, la concentrazio-ne e la saggezza. La pratica di que-sto triplice studio porterà alla libe-razione.

Storia del Buddismo in Thailandia

Come sappiamo il Buddismoraggiunse il suo massimo splendo-re in India durante il regno dell’Im-peratore Asoka (273-233 a.C.).Con le conquiste effettuate eglifondò un grande impero a costo dinumerose vite. La vista di tantosangue lo disgustò. Egli smise dicombattere e da allora visse alla ri-cerca della pace. La religione bud-

dista gli piacque e divenne grandepatrono del Buddismo. Durante lasua vita inviò missionari buddistiin vari Paesi per predicare il Buddi-smo, anche in Thailandia. Il Buddi-smo fiorì poi a Ceylon e un sacer-dote buddista erudito venne aNokorn Sitammarat in Thailandia;lì Re Rama Kamhaeng di Sukhotai(1275-1317) invitò un dotto mona-

co ceilonese perché potesse aiutareil sacerdote ad insegnare la nuovareligione al popolo.

Il Regno e le riforme di Re Chulalongkorn(1868-1910)

Re Mongkut (Rama IV) fu ilprimo re Chakri ad intraprendereseriamente le riforme basate suimodelli occidentali. Egli si con-centrò sugli aspetti tecnici e orga-nizzativi. Fu un monarca erudito,coscienzioso e umano che go-vernò in un periodo difficile dellastoria tailandese. Le riforme e lapolitica estera di re Mongkut fu-rono continuate dal figlio e suc-cessore, re Chulalongkorn (RamaV), che salì al trono mentre era unfragile giovinetto di 16 anni emorì dopo aver regnato per 42 an-ni, ed essere stato uno dei re delSiam più amati e riveriti. Si puòdire veramente che la Thailandiamoderna sia il prodotto delleriforme progressiste, in quanto

queste hanno riguardato quasiogni aspetto della vita del Paese.Durante il suo regno il contributoche re Chulalongkorn diede all’e-ducazione fu di grande significatoper la Thailandia moderna. Lapubblica istruzione, la salute e lamedicina divennero comuni co-me mai erano stati nella storia delPaese. Il re volle mandare i suoi

cittadini a studiare all’estero, inparte perché il Paese aveva biso-gno delle tecniche e delle cono-scenze dell’Occidente e in parteperché all’estero gli studenti tai-landesi avrebbero potuto entrarein contatto diretto con l’élite eu-ropea. Re Chulalongkorn man-tenne il Siam uno stato sovranoindipendente nonostante le crisipolitiche, e nel contempo lottòper mantenere alti i valori cultura-li, artistici e religiosi del Paese.Quando egli morì, nel 1910, unnuovo Siam era iniziato. Il regnotailandese era ora uno stato piùcentralizzato e burocratico, inparte costruito sui modelli occi-dentali. Era anche una societàsenza schiavi, con una classe diri-gente parzialmente occidentaliz-zata nella concezione e molto piùconsapevole di quanto avvenivain Europa e in America. Anche alivello tecnologico erano staticompiuti molti progressi: c’eranoora ferrovie e tram, francobolli etelegrafi, la Pubblica Sanità e laMedicina.

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Il Buddismo nel Regno di Thailandia oggi

La Thailandia si trova nella par-te centrale del Sud-Est asiatico. Ilterritorio occupa 514.000 km2 conuna popolazione di 60 milioni dipersone. La Nazione è governatada una monarchia costituzionale, ilre è capo dello Stato con una legi-slatura rappresentativa. Il Buddi-smo svolge un ampio ruolo in tuttele sfere della vita pubblica, dallanascita alla morte, in tutte le condi-zioni della vita, nelle occasioni lie-te e in quelle tristi. Benché esso siadiventato la religione di stato, i tai-landesi hanno sempre sottoscrittol’ideale della libertà religiosa. Se-condo la costituzione i re tailande-si devono essere buddisti, ma i mo-narchi sono invariabilmente deno-minati “sostenitori di tutte le reli-gioni”. Di conseguenza il governo,attraverso il Ministero degli AffariReligiosi, destina annualmentefondi per finanziare l’educazionereligiosa e per costruire e restaura-re i monasteri, le moschee e lechiese.

Secondo la Costituzione dellaThailandia BE 2540 (1997), il di-ritto alla libertà di religione è pro-tetta e organizzata come segue.“Sezione 38: Un individuo godedi piena libertà di professare unareligione, un credo religioso, diappartenere a una setta, osservare iprecetti religiosi o esercitare unaforma di culto secondo il propriocredo, atteso che ciò non sia con-trario ai suoi doveri civili, all’ordi-ne pubblico o alla buona morale”.Esercitando la libertà a cui si rife-risce il paragrafo uno, un indivi-duo è protetto da ogni azione delloStato che sia pregiudizievole per isuoi diritti o benefici, perché pro-fessa una religione, un credo, ap-partiene a una setta religiosa, os-serva i precetti religiosi o esercitauna forma di culto secondo un cre-do diverso da quello degli altri.

Altre religioni presenti in Thailandia

Considerata un pilastro essen-ziale della società, la religione ènon solo la principale forza moraledella famiglia e della comunità tai-landese, ma ha altresì contribuito amodellare questo popolo amante

della libertà e tollerante per moltisecoli. Il fatto che in Thailandiaesista piena libertà di culto, senzanessuna discriminazione etnica orazziale, non dovrebbe quindi sor-prendere ogni serio studioso dellasocietà tailandese.

I Musulmani costituiscono laminoranza religiosa più numerosae sono concentrati principalmentenelle province a sud del Paese. Pa-re che l’Islam sia stato introdottonella penisola Malay da commer-cianti e avventurieri arabi duranteil XIII secolo. La maggior partedei musulmani tailandesi è di di-scendenza Malay, e riflette l’ere-dità culturale comune. Novantano-ve per cento Sunniti e uno per cen-to Shiiti, i musulmani tailandesigodono del sostegno morale e fi-nanziario di Sua Maestà che ha de-stinato fondi per la traduzione delCorano in lingua thai. Inoltre eglinomina un rispettato leader reli-gioso musulmano come Chula-rajamontri, o Consigliere di Statoper gli affari islamici. In alcuneprovince del sud, i casi familiari edereditari sono giudicati secondo lalegge coranica con la presidenza diun giudice musulmano, o kadi. InThailandia ci sono circa 2.000 mo-schee, un centinaio delle quali è aBangkok. Circa 200 scuole musul-mane offrono istruzione secolare ereligiosa.

Cristiani. Il Cristianesimo fu in-trodotto in Thailandia dai missio-nari europei del XVI e nel XVIIsecolo. Questi primi missionaricattolici furono poi raggiunti daiprotestanti presbiteriani, battisti eavventisti del settimo giorno. I lo-ro convertiti provenivano princi-palmente dalle minoranze etniche,come gli immigrati cinesi. Mal-grado l’esiguo numero di tailande-si convertiti, i cristiani hanno ap-portato diversi importanti contri-buti nel campo della salute e del-l’educazione. La prima macchinada stampa fu introdotta nel Paesedai missionari cristiani. I cristianihanno introdotto inoltre la chirur-gia occidentale, effettuato le primevaccinazioni contro il vaiolo, for-mato i primi medici nella medici-na occidentale e scritto i primi di-zionari inglese-thai. La popolazio-ne cristiana del Paese è stimata in-torno allo 0,5%.

Indu e Sikhs. I circa 200.000 in-diani residenti in Thailandia sono

quasi equamente divisi tra indu esikhs. La comunità indu è concen-trata soprattutto a Bangkok, doveesercita il proprio culto in quattrotempli principali. Ci sono anchediversi santuari brahamanesi siaper indu che per buddisti. Gli induhanno una propria scuola il cuicurriculum di studi si basa sul si-stema educativo tailandese e dove,oltre alla lingua thai, si insegna in-di, sanscrito e inglese. Anche isikhs sono concentrati principal-mente a Bangkok. Essi gestisconouna libera scuola per i bambini po-veri, senza distinzione di casta,credo o religione; inoltre, attraver-so diverse associazioni caritatevo-li, essi sostengono gli anziani e imalati.

Cure sanitarie

La salute nei templi buddisti in Thailandia

Sin dall’antichità i tailandesihanno aspirato a fare del Buddi-smo il cuore della loro cultura euno dei pilastri della società. Èconsuetudine costruire al centro diogni città principale una pagoda incui siano conservate le reliquie delBuddha. Mentre le società si evol-vevano diventando più sicure e lecomunità si espandevano, i tailan-desi costruivano templi anche al-l’interno delle loro comunità, cherappresentavano il centro della vi-ta e venivano usati come scuoladei bambini per l’educazione dibase. I templi buddisti sono stati ilcentro delle cure mediche e sanita-rie della popolazione per un lungoperiodo: i monaci usavano pianteed erbe per curare la gente.

Alta qualità della ricerca delle piante medicinali in Thailandia

Secondo S.A.R. Prof. Dott.Principe Chulabhorn di Thailan-dia, presidente del Chulaborn Re-search Institute, è possibile spie-gare l’utilità delle piante e delle er-be per la medicina in Thailandianel seguente modo: nelle epoche,gli uomini hanno sfruttato la ric-chezza della natura come fonte dimedicina per trattare varie malat-tie. In Asia vengono utilizzate ascopo medico diverse migliaia dispecie di piante. Si ritiene che per

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circa 3 miliardi e 400 milioni dipersone nel mondo sviluppato,cioè l’88% della popolazionemondiale, le piante rappresentinola fonte primaria di medicinali. Ilnostro Paese, essendo tropicale, hagoduto a lungo di un’innumerevo-le varietà di piante tropicali. Aquesto riguardo i tailandesi hanno

una lunga tradizione di medicinapopolare, che utilizza erbe e pian-te medicinali. I rimedi naturaliusati per migliaia di anni dalla raz-za umana e non documentati, de-vono essere appropriatamente ca-talogati affinché la vitale informa-zione etno-medica non vada persa.È di enorme importanza e di estre-ma urgenza per la salute pubblicae per la vita umana che venga in-trapresa un’azione per prevenirel’ulteriore diminuzione della di-sponibilità attuale e potenziale de-gli agenti medici e biologici. Lascoperta delle sostanze medicinalidai prodotti della natura può esse-re la risposta alle questioni interdi-pendenti della conservazione dellabiodiversità, della crescita econo-mica e della salute umana. Moltifarmaci contro il cancro clinica-mente utili sono stati scoperti uti-lizzando varie piante. Il potenzialedei prodotti naturali come agentiterapeutici nel trattamento dellamalaria è enorme. Il chinino,estratto dalla corteccia di chinapresente in grandi piantagioni del-l’Asia, è stato introdotto come an-timalarico più di un secolo fa. Gliasiatici hanno una lunga tradizio-ne di uso di un’erba chiamataQing hao (Artemisia Annua) per iltrattamento della malaria. La

Stephania erecta Craib è stata usa-ta nella medicina popolare tailan-dese come rilassante dei muscoli ecome analgesico. Preparati di pe-rossido sono stati isolati da alcunepiante tailandesi usate nei rimedipopolari per la malaria. Il Phyllan-tus amarus è stato tradizionalmen-te usato per il trattamento dell’itte-ro e di altre malattie epatiche. Ilprincipio attivo della Gloriosa su-perba è la “colchicina”, un alca-loide isolato dal tubero essiccatodella pianta usata per trattare l’ar-titre.

Il trattamento tradizionale thailandese più famoso nel mondo

La Thailandia non è famosa sol-tanto per l’alto livello delle sue cu-re mediche, che fanno parte dellamedicina ayurvedica. Il massaggiotailandese ha una lunga storia diguarigione terapeutica ed è il pro-dotto dell’antica medicina orienta-le. La sua origine risale a 2.500 an-ni fa, in India. Il fondatore dell’ar-te del massaggio fu “Master Chio-vak Karmar Phaj”, un medico del-l’India settentrionale, discepolodel Buddha. La diffusione di que-sto massaggio tecnico in Thailan-dia avvenne ad opera di medicibuddisti con l’espansione del Bud-dismo in Asia. Il massaggio tailan-dese viene citato nei libri di medi-cina scritti su foglie di palma findal XVII secolo. Questi vecchi te-sti sul massaggio sono importantiquanto le scritture buddiste, ma lamaggior parte di loro andarono di-strutti e scomparvero durante la di-struzione di Ayudhaya, la vecchiacapitale tailandese, nel 1767. I libririmasti furono riutilizzati nel 1832da re Rama III il quale ordinò chetutta la conoscenza disponibilefosse scritta su lastre di pietra chefurono poste nel campo del Tem-pio del Buddha Sdraiato o Wat Poa Bangkok e che possiamo vedereancora oggi.

Il massaggio tailandese è consi-derato un eccellente metodo perauto-curarsi. Nel messaggio thaidi solito usiamo gli atti istintivi deltoccare, dello strofinare, del mas-saggiare e dell’allungare diverseparti del corpo quando ci sono do-lori o disturbi. Il massaggio tailan-dese è certamente un metodo ec-cezionale per contribuire a unabuona salute e al benessere. Se vi

uniamo una buona alimentazionee una vita sana, sicuramente essoapporta buone condizioni fisiche ecomfort al corpo.

Alto livello delle cure sanitarie oggi

Gli ospedali privati tailandesisono ampiamente accettati. Nu-merose multinazionali hanno fir-mato contratti perché i loro impie-gati siano sottoposti a check-up e atrattamento medico in Thailandia.I medici tailandesi, riservati e pro-fessionali, sono in grado di curaregli impiegati stranieri residenti neiPaesi dell’ASEAN. Gli ospedalidel Paese hanno uno standardequivalente a quelli dell’Europaoccidentale e degli USA. Il livellodi professionalità dei medici, deglispecialisti e del personale infer-mieristico è eccellente e abbracciaogni campo della medicina. Sullabase dei regolamenti esistenti esotto lo stretto controllo del Mini-stero della Pubblica Sanità, la mis-sione degli ospedali è quella dileader in un servizio di alto livello.

Conclusione

Per concludere, possiamo direche la Thailandia dell’antichità èstata influenzata dal Buddismo eche i templi buddisti hanno svoltoun importante ruolo nella vita delpopolo tailandese. Essi sono statiil pilastro della società e il centrodel benessere sociale, educativo,sanitario e medico. Quando i mu-sulmani e i missionari cattolici eprotestanti arrivarono in Thailan-dia, apportarono importanti con-tributi nei campi della salute, del-l’educazione e della vita socialedella gente che dava loro ascolto eli rispettava nelle proprie comu-nità. Oltre 120 anni fa il Paese haintrapreso una grande riforma so-ciale sotto il regno di re Rama V.Da allora, la Thailandia ha svilup-pato una moderna tecnologia cheriguarda anche il sistema sanitarioe medico, che oggi possiamo con-siderare simile a quello dei Paesidell’Europa occidente e degli Sta-ti Uniti d’America.

S.E. RONARONG NOPAKUNAmbasciatore della Tailandia

presso la Santa Sede

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73DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

Il titolo del tema espresso in lin-gua italiana si presta ad equivoci ead aspettative che potrebbero esse-re disattese. È giusto perciò partiremettendolo in chiaro. Potrebbe farpensare al complesso delle orga-nizzazioni tecniche da avviare nel-la cura pastorale: ad es. sommini-strazione dei Sacramenti, anima-zione del personale di servizio,promozione di gruppi per l’uma-nizzazione dell’ospedale.

Può però riferirsi sia alla riquali-ficazione dell’attività religiosa,propostasi in seguito alla revisioneancora in corso del concetto di sa-lute e malattia avanzata dalla psi-cosomatica, sia al conseguente ag-giornamento della figura dell’assi-stente spirituale in ambito ospeda-liero, sia al suo possibile inseri-mento nell’organsimo assistenzia-le e ai requisiti richiesti per un con-tatto efficace con i malati. È suqueste tematiche che si vuole quiporre attenzione. Ad esse si riferi-sce più esplicitamente il titolo deltema espresso in lingua franceseed inglese: “La prise en charge pa-storale dans la médecine d’aujour-d’hui” e “Pastoral Care in Medici-ne Today”. L’accento cade sul si-gnificato della cura pastorale nellamedicina oggi.

1. Ripensamento del concetto di salute e malattia

Qualche decennio fa dire che adammalare non era un organo mal’uomo intero con le sue compo-nenti organiche e psichiche potevacostituire una novità. Ora più che

una novità è uno stereotipo. L’af-fermazione, partita inizialmentedall’antropologia filosofica, hachiamato in causa altre discipline:sociologia, psicologia e, non da ul-timo, le stesse teologia e pastorale.Salute e malattia acquistano unanozione molto più ampia di quellaacquisita dalla medicina tradizio-nale.

Il rilievo non poteva sfuggire allaNota della CEI (1989) dal titolo: Lapastorale della Salute nella Chiesaitaliana. Nei Nr. 6-7 è detto:

“Il concetto di salute... non sirapporta unicamente a fattori fisicio organici, ma coinvolge le dimen-sioni psichiche e spirituali dellapersona...” ... “Anche il concetto dimalattia è cambiato. Non è più con-figurabile come semplice patolo-gia, rilevabile attraverso analisi dilaboratorio. La malattia è intesa an-che come malessere esistenziale”1.

Questa concezione psicosomati-ca ha segnato una svolta nellascienza medica e conseguente-mente nella stessa cura pastorale.Si è aperto un campo di analisi cheun tempo era impensabile. Ultima-mente si è voluto chiarire sulla ba-se di osservazioni sociologiche seil fattore religione incida sulla sa-lute e sul decorso della malattia.La risposta formulata in terministatistici non lascia dubbi.

Negli USA sono apparsi studicon inchieste condotte su credentie non-credenti, su credenti rigoro-samente praticanti e altri di tiepidaosservanza. I risultati hanno evi-denziato dati chiaramente a favoredi coloro che fanno delle convin-zioni religiose una pratica di vita. I

quadri riportati sono numerosissi-mi. Il prof. Matthews ha pubblica-to recentemente un ponderoso vo-lume dal titolo Il fattore fede. Il po-tere della preghiera per guarire2.Allo scritto è riconosciuto il giustomerito sia per la novità dell’argo-mento esposto sia per il rigorescientifico adottato.

A titolo di esempio giova ripor-tare qualche dato numerico. Su unvasto campione di 91.909 soggettii casi di mortalità tra credenti prati-canti rispetto ad altri non credentisi assestavano sul 50% in meno permalattie cardiovascolari, sul 56%per enfisema, sul 74% per cirrosiepatica e sul 53% per suicidio3. Al-tro esempio. La mortalità dei pa-zienti affetti da gravi disturbi car-diaci sottopostisi poi ad interventochirurgico tocca il 9%; tra i creden-ti la cifra scende al 5%. Lo stessorapporto differenziale è verificabi-le in altri ambiti riguardanti la pre-venzione, la famiglia, il divorzio, ilconsumo di stupefacenti4.

I quadri statistici, pur espressi intermini matematici, si prestano amolte interpretazioni. Si può avan-zare l’ipotesi che i vantaggi delcredente non siano dovuti alla suafede quanto alle conseguenze cheda quella derivano, ossia ad unacondotta di vita seria, a diete so-brie e alla castigatezza dei costu-mi. In altri termini si potrebbe pen-sare che se al posto della fede siponesse un altro valore: sport, li-nea del corpo, efficienza fisica ocura della salute, si otterrebbero glistessi risultati. Allora il benesseredell’individuo non si dovrebbe at-tribuire alla convinzione religiosa

MARIO BIZZOTTO

I: La cura pastorale nella medicina oggi

III SezioneAzioni da realizzare: cosa fare?

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in sé, quanto piuttosto all’osser-vanza di norme igieniche che daquella derivano. Si constata peròche queste, pur venendo scrupolo-samente osservate da tutti, noncambiano i risultati e le differenzesopra rilevate. Va aggiunto, nelprocesso di guarigione delle perso-ne praticanti, il diverso effetto deifarmaci e la maggiore possibilitàdi superare operazioni particolar-mente difficili.

In particolare Matthews insistesull’efficacia della preghiera neltrattamento terapeutico, tanto daproporre che il medico non limitil’esercizio della sua attività allaprescrizione di farmaci e diete, masi soffermi anche a pregare con imalati che lo desiderano. La pro-posta alquanto insolita può essereincolpata di poco realismo, nonperò di poca coerenza logica; in-fatti è conseguente al suo assuntorilevato dalla statistica. Una voltaconstatato l’apporto salutare dellapreghiera, è logico che la personaaddetta alla cura del malato si ser-va di tutti i mezzi a sua disposizio-ne per accelerarne la guarigione.Si sa però, e lo stesso autore lo no-ta, che la proporzione dei credentitra la classe medica è molto infe-riore rispetto a quella constatabilenella gente comune. Non è possi-bile, dunque, chiedere a un medicol’esercizio di una pratica religiosain cui non crede.

Se questo compito non può esse-re assolto dal medico, può essereeseguito dall’assistente religioso,il quale non si presenta nel mondodella salute nella semplice veste diun visitatore, ma nella funzione dichi si inserisce nell’organico assi-stenziale. Se la malattia coinvolgetutto l’uomo e questo si qualificacon una componente religiosa, se-gue che l’apporto del cappellano ochi per lui è altamente benefico.

2. Riqualificazione ed esercizio della cura pastorale

Il richiamo al nesso che inter-corre tra medicina e religione ri-propone sotto nuova luce la figuradell’assistente religioso.

Meyer-Scheu, autore di numero-se pubblicazioni sull’argomentolamenta una crisi di identità nell’o-peratore religioso che presta servi-zio in ospedale. La concezione

della medicina tradizionale lo con-finava ai margini ritenendolo su-perfluo. Non ne riconosceva lafunzione efficace agli effetti dellaguarigione5. Il nuovo concetto dimalattia porta alcuni emendamentinella concezione un tempo egemo-ne. La cura pastorale viene ora ac-quistando un rilievo preciso quasiuniversalmente riconosciuto. Cisono perciò premesse favorevoliper superare “la crisi esterna e in-terna” segnalata da Meyer-Scheu.

Parlando di crisi vengono ricor-date anche le sue cause, tra le qua-li si lamenta la scarsa preparazionespecifica degli assistenti spirituali,la mancata sensibilità di certe ge-rarchie diocesane, il corrispettivoimpiego nella cura pastorale tra imalati affidato a individui non più

giovani ed efficienti. Alla fase del-la crisi si offre ora un’opportunitàparticolarmente favorevole per ri-conoscere alla cura pastorale la do-vuta importanza. Il suo eserciziopostula requisiti imprescindibili diordine religioso, intellettuale e psi-cologico.

Chi si assume l’impegno nel-l’assistenza al malato deve sentirsiincline al suo compito. In ambitoascetico si parla di carisma o voca-zione. Questo è un punto di parten-za fondamentale. Su di esso si co-struiscono poi le conoscenze teo-logiche e, soprattutto a partire daesso, si scoprono le mediazioni

adeguate a far passare il messag-gio. Il grado di creatività e duttilitàche sa adeguarsi alle singole istan-ze decide l’efficacia dell’azionepastorale. Ogni infermo ha la suastoria da raccontare, non omologa-bile ad un’altra. La capacità dicomprensione dei singoli casi nonla si impara nell’insegnamentoscolastico, per il semplice motivoche non è neppure insegnabile.

L’applicazione delle conoscenzeacquisite viene fatta solo con lapropria esperienza, la si apprendeda sé. Non ci sono maestri che lapossano insegnare, perché non cisono risposte già preformate.Ognuno ha i suoi interrogativi eognuno reagisce ad essi con unasua risposta.

Il pericolo che incombe riprodu-

ce in qualche maniera l’antica ere-sia docetista, che nel nostro casotradisce la mancata incarnazionedel messaggio, la sterile presenta-zione dei principi o la preoccupa-zione di mettere in salvo la coeren-za dottrinale più che il singolo. Si èpreoccupati, come gli amici diGiobbe, della causa di Dio e si di-mentica quella dell’interlocutore6.La preoccupazione dottrinale è piùche legittima, tuttavia non va ante-posta al dovere della solidarietà. Sitratta di trovare ad essa il tempo eil luogo più appropriato. A Cristosi arriva anche toccando soltanto illembo del suo mantello, poi dal

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mantello (Mt 14, 26) si passa ad in-contrare il suo volto. Prima è lapersona con la sua ricchezza uma-na che deve venire alla luce, e soloconcomitantamente è il ruolo.

Rientra negli stessi presuppostidell’evangelizzazione la benevo-lenza e la disponibilità all’aiuto.Non si evangelizza in formule dot-trinali e tanto meno facendo ricor-so a frasi generiche che non riflet-tano l’irripetibile della situazionecontingente. Non sempre riesce ef-ficace la stessa citazione biblica, ilcui facile uso dà la sensazione dinon volersi esporre con la propriaparola, servendosi della Bibbia co-me di uno strumento che fa da scu-do ai propri sentimenti. Il rapporto,allora, corre sulla superficie, nonapre un contatto che va da animaad anima. Andare direttamente allinguaggio della fede e della mora-le provoca reazioni di rigetto, dan-do l’impressione di recitare la pro-pria parte senza condividere la sof-ferenza dell’interlocutore.

Il malato non chiede né scienzané erudizione a chi gli si avvicina.Chiede piuttosto vicinanza e parte-cipazione. Quando la cultura è uti-lizzata per nascondere le proprieemozioni, si resta fuori dalla situa-zione del sofferente. Si è davanti alui e la vicinanza è soltanto fisica,è quella che Adorno definisce lavicinanza di due punti geometrici7.

La prima condizione per arriva-re al malato e per riqualificare lacura pastorale è la vocazione. Èquesta a suggerire gli atteggiamen-ti da assumere, a creare le rispostepiù adeguate alla singola situazio-ne, a condividere la sorte altrui e ascegliere le mediazioni attraversole quali far passare il messaggio.

3. Formazione e cooperazione

La riqualificazione dell’assi-stente religioso passa attraverso lavocazione, ma anche attraverso laformazione ascetica, teologica eumanistica. La Nota della CEI rac-comanda di essere “in sintonia conl’evoluzione della cultura e dellamedicina e lo sviluppo della rifles-sione teologica sulla prassi eccle-siale” e la lettera apostolica Salvi-fici Doloris dedica gli ultimi nu-meri al tema della preparazioneprofessionale.

Fa parte della formazione asceti-

ca l’assimilazione dello spiritoevangelico che invia i suoi mes-saggeri disarmandoli. I discepoli sidedicano alla loro missione senzaalcun diritto da rivendicare. Nonhanno difese, si presentano con laveste della povertà e dell’umiltà.Analogamente in ospedale il rap-presentante religioso è un inviatoche non passa per le corsie come ilmedico e il personale di servizio.La sua presenza è diversa, può es-sere anche rifiutata. Questa possi-bilità lo colloca in una condizioneumile. Egli è inviato con il compi-to di proporre e offrire un servizio,la cui fruizione è lasciata alla libe-ra scelta degli interlocutori.

Faber ha parlato del cappellanoaccostandolo al ruolo del clownnel circo. Il confronto potrebbe sulmomento disorientare. Se si riflet-te un po’, invece, ci si accorge cheil paragone è efficace ed è in gradodi esplicitare particolari significati.Molto meglio di qualsiasi altropersonaggio, per quanto serio edimpegnato, il clown ci fa capire lameschinità e l’impotenza dell’uo-mo. Mentre tutto e tutti sono impe-gnati a raggiungere successi, eglimostra l’altro volto della meda-glia, riporta le vicende della vita alloro posto, le interpreta con i lorofallimenti e le loro miserie e neprende parte. Un po’ analoga è lapresenza del prete nell’ospedale. Èun individuo che si pone accanto aisofferenti, anche lui debole e coin-volto nel gioco disorientante delmale. Condividendo la sofferenzasi propone di portare la parola del-la solidarietà e della speranza. Co-loro che gli stanno attorno – spe-cialisti, chirurghi e scienziati –possono vantare dei successi chesottolineano la loro opera indi-spensabile. Il cappellano non puòassociarsi ai loro successi. Il suolavoro, non facilmente riconosci-bile, deve far proprio lo spiritoumile del Vangelo8.

Alla formazione ascetica si as-socia la competenza professionalecaldeggiata da molti studiosi che sisono battuti per una medicina psi-cosomatica. Frankl, Weizsäcker,Plügge, Balint sono alcuni esempitra i molti che hanno privilegiato ilrapporto personale con il malato.Gebsattel, in particolare, ha messoin risalto nella formazione dell’as-sistente spirituale la necessità diuna sua cooperazione con lo psico-

terapeuta. Nella sua attività ha in-contrato casi patologici per la cuisoluzione ritiene necessaria lacompetenza del teologo. L’aiuto èreciproco. Il terapeuta constata seil suo paziente è sostenuto da unafede autentica o se, al contrario, èdisturbato da una falsa esperienzareligiosa.

Nel primo caso la fede diventastimolo di promozione e liberazio-ne della persona, nel secondo casoassume un senso oppressivo, ve-nendo recepita come un complessodi pratiche esteriori, culti, riti, pre-scrizioni, divieti e un cumulo di ar-tifici. Il paziente chiamato a chiari-si con se stesso, si chiarisce anchecon la sua fede. Il teologo intervie-ne per mostrare cosa significhi cre-dere, orientare verso i centri di gra-vitazione dell’esperienza religiosacon il suo messaggio salvifico9.

Chi cura, sia esso psicoterapeutao teologo, coopera per il ristabili-mento di un nuovo equilibrio delmalato, sempre nel presuppostoche egli stesso possieda un’armo-nia interiore e sia in pace con sestesso. Chi è disturbato da conflittie vive in uno stato ansioso non saràin grado di comunicare quello cheegli stesso non ha. La sua azionenon avrà effetto sanante. Chi adesempio ha alle spalle esperienzereligiose negative, non potrà rasse-renare altri coinvolti negli stessidisturbi10. Un direttore di coscien-za scrupoloso, formalista, fanaticoha bisogno di curare se stesso pri-ma di avvicinare gli altri. Nellaformazione dell’assistente spiri-tuale è basilare il requisito di unsano buon senso e di una stabilitàpsicologica.

Gebsattel insiste sulla necessitàdi una formazione professionale eumanistica nell’assistente spiritua-le. Non basta voler aiutare e met-tersi a disposizione con disinteres-se. È importante avere una cono-scenza dei meccanismi psichici,altrimenti la forma di aiuto che sioffre è solo apparente, aggira ilproblema anziché individuarne lasua radice11. L’autenticità del pro-prio intervento va verificata. Die-tro il sentimento della solidarietàpotrebbero nascondersi altre moti-vazioni: vanità, orgoglio, istinto diautoaffermazione, fuga da proble-mi personali. Dietro la mascheradell’altruismo sono spesso nasco-ste movenze equivoche.

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Ci sono tecniche e strategie diguida che sono premesse necessa-rie per condurre un dialogo profi-cuo. Il cappellano sa operare ade-guatamente quando accetta loscontro tra messaggio religioso erealtà e lo elabora calandolo nel-l’esperienza e personalizzandolo.Se ne rende perciò testimone auto-revole e credibile. Non ha bisognodi appellarsi a fonti estranee. Lasua parola nasce da un crogiolo in-terno, è passata attraverso un tra-vaglio personale di dissidi e do-mande sofferte. Chi ha lottato persuperare difficoltà incontrate nellaproposta della fede è in grado dicapire meglio le difficoltà degli al-tri12.

Una delle tentazioni più fre-quenti e pastoralmente nocive è ilricorso alla polemica o alla difesapungente dei propri punti di vista.Tutto questo nasconde un disagiointeriore mal represso e finisceper bloccare ogni possibilità didialogo. Gebsattel riporta al pro-posito l’ossevazione di un pazien-te: “Se mi si avvicina il cappella-no con la sua morale non mi dà al-cun aiuto... mi incatena, per que-sto rifiuto di cercarlo”. Una mala-ta diceva di aver sognato il preteche le imponeva sulla testa un va-so soffocante. L’immagine non habisogno di commenti, dice espli-citamente l’impressione sgrade-vole di chi si sente intimidire e ac-costare con alcune imposizioni13.

Le difficoltà di ordine dottrinalenon si risolvono prescindendo dal-la situazione dell’interlocutore.Una proposta che vuole esseresaggia tiene conto del grado dicomprensione e recettività dell’in-terlocutore. Il punto di partenzaper comunicare non si limita allasalvaguardia dell’ortodossia némuove dal di fuori in forma coer-citiva. Di fronte a un individuo ri-belle ad ogni proposta religiosanon posso parlargli dell’amore diDio. C’è un altro compito da as-solvere prima: vedere quali sonole cause del risentimento e soltan-to dopo aver neutralizzato la di-sposizione psicologicamente di-sturbata è possibile accostare ilproblema religioso.

Il cappellano o chi per lui, peressere significativo nello svolgi-mento della sua attività religiosa,ha bisogno di una formazioneascetica, teologica e umanistica. Il

suo apporto sarà tanto più validoagli effetti della guarigione dell’in-tera persona quanto più sarà capa-ce di mettersi in sintonia con le al-tre forze operanti nel mondo dellasalute. Per questo la proposta dellafede è particolarmente impegnati-va, va oltre l’informazione sempli-cemente teologica.

Il suo ruolo resta tuttavia diffici-le anche dopo aver soddisfatto i re-quisiti essenziali ad una formazio-ne ideale. L’uomo attuale respirain un clima secolarizzato, sordo al-la prospettiva trascendente. È por-tato a risolvere i suoi problemiconfidando esclusivamente suimezzi terreni. Sembra quasi chesposti il suo interesse non più sulladomanda “come regolare il miorapporto con Dio?” ma sull’altradomanda “come organizzare lamia vita senza Dio?”14. La presa dicoscienza della cultura egemoneattuale rientra nella formazionedell’assistente religioso come unrequisito indispensabile.

Teologo e terapeuta si trovanospesso in rapporti di necessario in-terscambio. La loro collaborazioneè richiesta da situazioni nelle qualiesperienza religiosa e meccanismipsichici vengono ad intrecciarsi traloro. Il teologo somministra la gra-zia, che a dire dell’antico adagiopresuppone la natura, non però unanatura distorta nel suo equilibrio,ma quella arrivata ad un grado dimaturazione. È su questa base chesi può costruire un’autentica espe-rienza di fede. La cooperazione trateologo e terapeuta diventa indi-spensabile nelle nevrosi collegateal fattore religioso. Ambedue han-no un loro campo di azione speci-fico. Se all’uno spetta il compito dispiegare i contenuti della fede, al-l’altro spetta il compito di trovarele cause di un disturbo psichico.Vale al riguardo l’osservazione diJung: “Se mi chiedi perché tu deviessere il custode di tuo fratello,non ti posso dare alcuna risposta.Posso però dirti perché tu mi poniquesta domanda”.

Si riscontra nell’analisi dellapsiche come certe disfunzioni dipresunta origine religiosa, siano inrealtà dovute a cause che non han-no niente a che fare con la religio-ne. Questa è chiamata in causa co-me copertura che nasconde le vereragioni del disturbo. Si sa ad esem-pio come un figlio attaccato mor-

bosamente alla madre si senta im-pacciato nei rapporti con le altredonne. Capita che egli attribuiscail suo disagio a un motivo morale:alla paura di peccare.

Freud ha identificato la causa dimolte nevrosi nella religione. Nonha capito come una retta educazio-ne religiosa contribuisca a renderel’individuo responsabile e libero.A volte la nevrosi potrebbe esserecausata proprio da una rimozionedel problema religioso. Anche inquesto caso l’opera del terapeuta siaffianca a quella del teologo15.

Resta da trovare la via per arri-vare all’altro e aprire un rapportodi comunicazione. Diederich acco-glie la domanda di molti assistentireligiosi: “Che fare?”. Non ha altrarisposta che la seguente: andare avisitare il malato16.

4. La visita al malato

La presenza dell’assistente reli-gioso trova nella visita al malato ilmomento più pertinente per espli-citare la sua formazione. Qui sigioca qualcosa di decisivo, quiviene in luce il senso umanisticodel suo compito di evangelizzazio-ne. Ha luogo la conoscenza, si ve-de, si parla, si sosta, avviene la co-munione accompagnata da un’in-tensa gamma di sentimenti, i piùvari: sospetto, precauzione, fidu-cia, apertura, simpatia, confidenzae gioia. È in questa cornice che sipresenta l’opportunità di affronta-re la questione religiosa e, nel casosia possibile, seguire il consigliodel prof. Matthews: pregare con ilmalato e somministrare i Sacra-menti.

Dal punto di vista cristiano la vi-sita all’infermo si iscrive tra le ope-re di misericordia (Mt 25, 31-40;Gc 5,14). Quanto più essa è fre-quente, tanto più sono probabili leoccasioni del dialogo, il cui avviopresuppone il superamento di pre-giudizi e la creazione di una nuovabase di intesa. Se la cura pastoraleè chiamata a partecipare attiva-mente nel processo della guarigio-ne, è necessario che essa si esplici-ti nell’avvicinamento al malato ededichi tempo al suo servizio. Unacomparsa fugace e magari rara nonpuò avere alcun effetto benefico, siriduce a una pura formalità. Per co-noscersi è necessario frequentarsi

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ed ascoltare. Nello scambio dellaconversazione affiorano molte do-mande, la più frequente verte sulsenso della malattia. Al cappellanoè addossato il ruolo di un interpel-lato, funzione molto delicata, perassolvere la quale non basta il sa-pere perché è coinvolto come per-sona con la sua sensibilità.

La domanda del malato è unapseudo-domanda, dice più di quel-lo che l’espressione letterale lasciaintendere. Il suo vero significato,più che nelle parole, è riposto inciò che vi sta dietro. Non ha il sen-so dell’obiezione fatta dallo stu-

dente all’insegnante. Non parte daun banco di scuola, ma da un lettodi dolore. Più che una domanda èun lamento o un’implorazione diaiuto, è carica di emozioni. Tra-smette il desiderio della vicinanza.Certo, tutto questo non è ancoratrascendenza e apertura al proble-ma religioso. D’altra parte la teolo-gia non comincia nell’offerta diconcetti dottrinali, ma nella condi-visione dell’esperienza altrui se-condo l’esempio stesso di Cristo17.

L’incontro con il messaggio reli-gioso ha risvolti psicologici chestimolano nel malato risorse effi-caci per un esito favorevole dellamalattia. Questa, però, potrebbeessere incurabile e non avere altroepilogo che nella morte. Il segnodella fraternità resta ugualmentevalido, non deve diventare occa-sione per alimentare illusioni o perraccontare bugie, comode a chi si

trova condannato dalla scienza esoprattutto a chi l’assiste. Si ac-compagna veramente il sofferentequando lo si aiuta a venire in chia-ro con la sua situazione e ad ade-guarsi ad essa. È un lavoro che co-sta, ma è quello che conduce allamaturità. Il problema da sempredibattuto sulla verità da comunica-re al malato si riferisce in genere achi versa in pericolo di morte im-minente.

Non è però solo questo il compi-to che l’assistente spirituale è chia-mato a svolgere. C’è anche chi su-bisce una grave menomazione fisi-ca: l’amputazione di un arto, unaparalisi, la perdita della vista. L’in-fermo che viveva antecedente-mente in un’esuberanza vitale ècostretto a ridimensionare il suostile di vita. Le crisi che l’aspetta-no lo impegnano in una lotta cheda solo non può superare. Non c’èquanto l’assistente spirituale con lasua esperienza accumulata nelmondo del dolore che gli può esse-re a fianco e farsi compagno nellalotta. Il richiamo alla trascendenza,salto necessario per dare un sensoalla sventura, aiuta alla rassegna-zione e al ricupero della calma; vafatto però con garbo e senza acce-lerare i tempi. Poi arriva anche ilmomento della preghiera e dellasperanza.

Oggi la medicina nutre delleaspettative nel cappellano. Essepossono essere adempiute soprat-tutto nell’incontro. La visita inospedale si dirige al malato indivi-duando in esso il suo primo inter-locutore, che non è comunque l’u-nico. Se ne aggiungono poi altri:familiari dei degenti, personale in-fermieristico, tecnici, medici. An-che di fronte a questi ha un compi-to da assolvere. In un’epoca affa-scinata dalla tecnica l’idea di ser-vizio minaccia di essere abbassataad una pura prestazione lavorativa.L’ospedale tende sempre più a se-colarizzarsi finendo in un appiatti-mento che richiama il clima dellafabbrica. In questo ambiente l’as-sistente religioso tiene vivo il ri-chiamo alla persona18. Rappresen-tando il vangelo rappresenta l’uo-mo con le sue esigenze umane ereligiose. La sua azione, infatti,non si serve della tecnica, è ordina-ta ai valori religiosi e morali del-l’uomo: alla coscienza, alla frater-nità, all’amore del prossimo e al-

l’intesa che intercorre tra anima eanima. Contro il pericolo di faredell’altro un oggetto, si rivendica ilposto della persona che va incon-trata con i suoi ritmi e le sue emo-zioni19.

Il malato è certo un soggetto bi-sognoso di servizi, che la tecnicasomministra con ritrovati stupefa-centi tuttavia è bisognoso anche disostegni psicologici e di chiarifica-zioni sui problemi della vita. Forseper la prima volta, legato ad un let-to e costretto a passare ore di soli-tudine, si sente sorprendere damolti interrogativi, scopre esigen-ze che l’esercizio della professionegli aveva nascosto. Nell’avvicina-mento dell’assistente religioso in-contra quell’aiuto e quelle chiarifi-cazioni che la sua situazione di cri-si richiede.

In tutti i servizi esibiti dall’ospe-dale oggi incombe l’ansia e la cor-sa del tempo, il tempo razionaliz-zato della tecnica che ci mette infila, facendoci aspettare il nostroturno, e una volta che questo è ve-nuto eccoci incalzati da chi vienedopo. Non può essere così nel col-loquio con l’operatore pastorale, ilquale è chiamato a interpretare iltempo umano, quello che si ade-gua al bisogno. Esso richiede cal-ma e sosta. Per questo, tra le racco-mandazioni date a chi fa visita al-l’infermo, si ricorda di mettersi asedere per fugare ogni impressionedi fretta. Non si viene per andarse-ne subito, si viene per essere a di-sposizione.

Tutto questo è richiesto non solodalle regole di un comportamentogentile ma dal dovere della testi-monianza cristiana. Il servizio delreligioso in ospedale è fatto da unapersona formata al rapporto conl’altro ed educata allo spirito delVangelo. Essa si presenta con il di-stintivo della fede, che traspare nelsuo modo di comportarsi e parlarepiù che nell’esecuzione di riti onella recita di preghiere. È chiaro,il cappellano è veramente se stessoquando porta e rivivifica il gestosacro; tuttavia deve farlo senza ca-dere nell’artificio. Nell’epoca del-la secolarizzazione urta tutto ciòche è apparato esteriore o pura ce-rimonia e si attiene rigidamente almanuale dimenticando l’azionecreativa e personale, adeguata allasituazione contingente.

Il messaggio cristiano si impone

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quando passa attraverso l’atteggia-mento spontaneo. Non ha bisognodi essere voluto intenzionalmente,nasce già da sé come il respiro deipolmoni. Vale non solo quello chesi dice, ma anche la maniera con laquale si porge la propria convin-zione. La cultura secolare non ri-getta la testimonianza autentica, larifiuta se si ferma alla pura esterio-rità o alla comunicazione di conte-nuti non elaborati nell’esistenza.Non c’è bisogno che si parli diret-tamente di Cristo né che si passisubito alla proposta della sommi-nistrazione dei sacramenti. “Non ètanto decisivo che noi parliamo diCristo quanto piuttosto che lo sifaccia presente come un nostropartner”20. Tutto ciò che è esterio-rità non trova posto nel Vangelo.Se si tentasse di presentarlo indos-sando delle maschere, si perpetre-rebbe un tradimento nei suoi con-fronti. L’espressione esterna hasenso se dischiude l’interno, ilmondo dell’anima. Visitare è pren-dere coscienza dell’altro e nel con-tempo comunicare se stessi. Lamaschera non comunica nulla, an-zi nasconde, lascia l’individuochiuso in un egocentrismo mortifi-cante. Una volta che si sia creato ilvero rapporto, ha senso la propostasacramentaria e la preghiera. Fuoridel contesto della conoscenza nel-l’attuale ambiente secolare, l’azio-ne religiosa minaccia di ridursi aun’esperienza episodica isolata,staccata dall’alveo dell’esistenza edalla sofferenza.

Il messaggio di cui il testimonedel Vangelo si fa portavoce nelmondo del dolore è sostenuto dallasperanza e dalla prospettiva ultra-terrena. Diventa arduo proporlo inuna cultura dominata dal contin-gente e catturata dalla realtà deisensi. Lo stesso messaggero faparte del mondo del suo interlocu-tore, percepisce le difficoltà della

sua missione e non le nasconde.Con umiltà si presenta come unoche crede e che ha imparato inmezzo alle vicende tristi della vitaa sperare e a pregare.

La visita ai malati è sempre stataconsiderata il punto saliente dellacura pastorale. Ora è riconosciutanella sua validità dalla stessa medi-cina, a dispetto di ogni influsso del-la secolarizzazione. Essa è un mez-zo necessario più che utile, richiestonon solo dalle situazioni-limite madalla stessa costituzione dell’uomoche ama il bene per il bene e godequando lo scopre, e scoprendolo lopuò compiere. Essa arriva al conse-guimento del suo ultimo obiettivoquando sconfina nella fede, si volgein preghiera o in azione sacramen-tale. È certamente questo il momen-to più gratificante del cappellano.La comparsa dell’esigenza religiosadetermina la conquista di una situa-zione psicologicamente ottimale aifini della guarigione.

Il richiamo alla preghiera riportala riflessione al punto di partenza.Matthews la include nella suaprassi medica. Osserva tra l’altroche è irragionevole parlare del ca-rattere spirituale della medicinasenza avvalersi della preghiera.

5. Promozione umana e preghiera

Quando la malattia invita a pre-gare, ha luogo un’esperienza diparticolare valore antropologico.L’uomo provato dal dolore e aper-to all’invocazione si percepisceper quello che realmente è: un es-sere debole e precario.

Si parla dell’umanizzazione del-la medicina. Mai questa tocca lasua espressione più compiuta co-me quando, nella tribulazione, li-bera il pensiero elevandolo a Dio.Si è sempre pregato nelle sciagure:nei campi di concentramento, nel-le guerre, nei cataclismi, nelle car-ceri dove si aspettava l’esecuzionedi una condanna a morte. In ogniluogo del dolore la voce della pre-ghiera è la più pertinente e la piùautentica. Afferma i confini del-l’uomo, che in genere si ignorano.Chi è sano, è portato istintivamen-te a pensarsi autosufficiente senzaaccorgersi di essere vittima diun’illusione. È la sofferenza a direla verità e a invitare alla preghiera.

Si dice che essa cooperi al miglio-ramento dello stato di salute. Ed èdetto bene. Tuttavia, ammesso pu-re che essa non conseguisse alcunrisultato sul piano organico, reste-rebbe sempre un grande traguardosul piano psicologico e spirituale.Raccoglie l’uomo e lo confrontacon Dio.

Pregando noi “ci eleviamo al disopra di noi stessi e di quanto cicirconda, e portiamo lo sguardolontano, verso un orizzonte infini-to, verso una sfera al di là del tem-po e dello spazio, una sfera pienadi grandezza e chiarezza, ma an-che di mistero”21. Il malato cheprega proprio perché si eleva al disopra di sé, non si sente travolgeredisperatamente dalla situazione dicrisi in cui versa. Nonostante glivenga meno il terreno sotto i piedi,non perde fiducia perché ha unpunto solido a cui la preghiera lorimanda. Il mondo non si riduce aquello delle ingiustizie, delle vio-lenze e delle sciagure. Il supplicelo sa, e per questo si apre ad undialogo con Dio, alle cui mani eglisi rimette. Prende coscienza, allo-ra, del suo vero essere che finora iltempo della salute gli aveva tenutonascosto.

Malattia e preghiera stanno beneassieme. Costituiscono un’espe-rienza di autenticità. La nostracondizione umana, minata dal nul-la (Heidegger), trova la sua veraconsistenza aprendosi all’invoca-zione, che dà parola alla debolezzae che acquista, partendo dal basso,dalla situazione umile della po-vertà, la sua forza.

L’infermo è costretto a rappor-tarsi con la fine22. In questo delica-to frangente entra la preghiera amantenerlo ancorato alla vita. Es-sa, in fondo, prospetta salvezza an-che dalla morte. Di fronte a questala reazione istintiva è la fuga: chiu-dere gli occhi alla propria fragilità.La preghiera blocca ogni tentativodi evasione, fa chiamare le cosecon il loro nome e avvertendone lavanità apre un varco verso l’alto. Achi prega è richiesto sincerità conse stesso, e la sincerità è limpidez-za che riflette il mondo così comeesso è, senza travisamenti. Dalmondo relativo ci si solleva a quel-lo assoluto. Nella preghiera c’è l’aldi qua e l’al di là, c’è l’universo in-tero, nel quale l’infermo trova ilsuo posto come essere amato da

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Dio. Da qui attinge speranza e co-raggio23.

Matthews scopre nella preghierauna forza sanante, benefica per lostesso organismo. Questa, però, èsolo una conseguenza di un ordinemolto più importante concernentelo spirito, che dà la giusta misuraall’uomo. Non solo per diventaresani è richiesta la malattia, ma an-cora di più, se questa insegna apregare, è richiesta anche per di-ventare semplicemente uomini.

P. MARIO BIZZOTTO, Docente di filosofia

allo Studio teologico S. Zeno di VeronaItalia

Note1 Cfr. il testo e il commento della Nota in

BRUSCO A. (a cura di), Curate i malati. La Pa-storale della Salute nella Chiesa italiana, Ed.Camilliane, Torino 1990.

2 MATTHEWS D.A., Glaube macht gesund.Spiritualität und Medizin, tr. ted., Herder,

Freiburg 2000. Allo stesso tema (fede e guari-gione) dedica un capitolo GOTTSCHLICH M. inSprachloses Leid, Springer, Wien-New York1998, specialmente pp. 95-104.

3 Cfr. ivi, p. 32.4 Cfr. ivi, p. 37.5 Cfr. MEYER-SCHEU J., Seelsorge im

Krankenhaus. Entwurf für eine neue Praxis,Grünewald, Mainz 1974 e ID., Seelsorge imKrankenhaus, Grünenwald, Mainz, 1977, pp.21-28.

6 THIELICKE H., Leiden an der Kirche, Fur-che, Hamburg 1965, pp. 97-103.

7 Cfr. al riguardo CASERA D., L’assistentereligioso nelle istituzioni sanitarie, in BRUSCOA. (a cura di), Curate gli infermi, o.c., pp.125-134. Si veda soprattutto GOTTSCHLICHM., Sprachloses Leid, o.c., pp. 39-44.

8 Cfr. FABER H., Der Pfarrer im modernenKrankenhaus, Gütersloher Verlagshaus, Gü-tersloh 1970, pp. 13ss.

9 Cfr. GEBSATTEL V.E., Imago hominis.Breiträge zu einer personalen Anthropologie,Müller Verlag, Salzburg 1968, p. 44 e FRANKLV., Ärztliche Seelsorge, Kindler, München1975, p. 220. Si veda al proposito anche la cri-tica mossa a Frankl da RINGEL E., Selbstschä-digung durch Neurose, Herder, Freiburg1973, pp. 208 e 238.

10 Cfr. ivi, pp. 240ss.11 Cfr. GEBSATTEL V.E., Imago hominis,

o.c., p. 31.12 CASERA D., Visita al malato, in Diziona-

rio di pastorale sanitaria, Ed. Camilliane, To-rino 1997, specialmente pp. 1378s. e BRUSCOA., Guaritore ferito, ivi, pp. 566s.

13 Cfr. GEBSATTEL V.E., Imago hominis,o.c., p. 47.

14 Cfr. ivi, p. 48.15 Cfr. RINGEL E., Selbstschädigung durch

Neurose, o.c., pp. 235-248. Sul rapporto tera-peuta e assistente religioso si sofferma FRANKLV. in Ärztliche Seelsorge, o.c., pp. 217-227.

16 Cfr. DIEDERICH H., Der Krankenbesuch,Seelsorge Verlag, Freiburg a.B. 1965, p. 6.

17 Cfr. REINER A., Seelsorger und Pazient,in Lexikon Medizin, Ethik, Recht, Herder,Freiburg 1992, pp. 1004s.

18 GUARDINI R., Der Dienst am Nächsten inGafahr, in ID., Sorge um den Menschen, II,Werkbund-Verlag, Würzburg 1966, pp. 66-93e THIELICKE H., Wer darf leben? Goldmann,München 1970, pp. 146-151. Sul tema dell’u-manizzazione si veda BRUSCO A.- PINTOR S.,Sulle orme di Cristo medico, EDB, Bologna1999, specialmente pp. 161-169 e soprattuttoMARCHESI P.L., Umanizzazione sanitaria, inDizionario di teologia pastorale sanitaria,o.c., pp. 1327-1340. Segnalo al proposito unostudio molto ben articolato di CASALONE C.,Medicina, macchine e uomini, Gregorian Univ.Press, Morcelliana, Brescia 1999, es. pp. 43-48e pp. 292ss.

19 Cfr. SANDRIN L., Nella vigna del Signoreanche il malato deve lavorare, in BRUSCO A.(a cura di), Curate i malati, o.c., pp. 107-125.

20 Cfr. DIEDERICH H., Der Krankenbesuch,o.c., p. 17.

21 MINKOWSKI E., Il tempo vissuto, tr.it., Ei-naudi, Torino 1971, pp. 105s.

22 Cfr. ivi, p. 108. si vedano anche sul temapreghiera e sofferenza le pagine suggestive diMORETTO G., Giustificazione e interrogazio-ne. Giobbe nella filosofia, Guida, Napoli1991, specialmente pp. 199-207.

23 Cfr. MATTHEWS D.A., Glaube macht ge-sund, o.c., es. pp. 202ss. e pp. 256ss. Sullostesso tema si veda anche BIANCHI E., Pre-ghiera, in Dizionario di Teologia Pastorale,o.c., specialmente pp. 932-936.

Prima di iniziare con l’argomen-to che mi è stato assegnato, Comegli ospedali nell’anno 2000 devonorispondere alla sfida della tecnolo-gia ed alle altre sfide, permettetemidi dire qualche parola sulla sanitàcattolica negli Stati Uniti. Il mini-stero iniziò circa 223 anni fa a NewOrleans, fondato dalle Suore Orso-line. Da questo timido inizio, si dif-fuse in tutta la nascente nazione.Con grandi sforzi, la maggior partedei religiosi, uomini e donne, spes-so venivano negli Stati Uniti perservire gli immigranti che arrivava-no dall’Europa, prestando in questo

modo delle cure sanitarie a personeche altrimenti ne sarebbero statesprovviste. Oggi ci sono oltre 600ospedali cattolici, più di 700 case dicura a lunga degenza così come700 altri tipi di prestazioni sanitarieoperate da enti cattolici. Ogni annonegli Stati Uniti, un paziente su seiche viene ricoverato in ospedale fail suo ingresso in un ospedale catto-lico. Spesso prestiamo delle cure apersone povere ed emarginate, lad-dove gli altri non andranno o dovenon sono presenti. Stiamo lavoran-do sempre più con i nostri colleghinell’ambito delle “Catholic Chari-

ties” ed altri enti ecclesiastici permeglio servire la chiesa e le comu-nità locali. I vescovi degli StatiUniti hanno riaffermato ed orienta-to il ministero nella loro Lettera Pa-storale del 1981, Health and HealthCare. Siamo stati profondamenteonorati quando, durante la sua se-conda visita pastorale negli StatiUniti, il Santo Padre Giovanni Pao-lo II ha parlato all’assemblea deileaders nel campo della sanità del-l’intero Paese. Nel suo intervento,egli ha dichiarato: “La cura sanita-ria è un ministero essenziale dellaChiesa”.

MICHAEL D. PLACE

II: Gli ospedali del XX secolo:carità antica e tecnologia moderna

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Situazione attuale

Come in molti dei vostri paesi,questo “ministero essenziale” ne-gli Stati Uniti sta affrontando sfideenormi, oltre a quelle che affiora-no dalla tecnologia. Permettetemidi menzionarne alcune:

Reperimento fondi: i continuisforzi, a livello statale e federale,di contenere le spese governativeper la sanità, così come le restri-zioni fiscali che emergono dalriassetto delle assicurazioni priva-te attraverso cure gestite, hannominacciato la stabilità finanziariadel ministero.

Lavoro: la combinazione di unapressione significativa da parte deisindacati dei lavoratori ed altreforze per aumentare in modo rile-vante i salari, così come l’emer-genza causata da una forte man-canza di infermieri ed altri opera-tori sanitari, hanno posto il siste-ma in una situazione di notevoletensione.

Consumismo: l’espansione diInternet, con le sue informazionisulla salute e sulla medicina, hacreato un paziente/consumatorepiù informato e attivo. Sempre dipiù i pazienti arrivano dopo averformulato un’autodiagnosi e condelle opzioni per il trattamento.Inoltre, essi ‘frenano’ i medici egli operatori, basandosi su infor-mazioni ricevute da diverse fontipubbliche sulla qualità.

Genetica: similmente alle pre-cedenti rivoluzioni sulle cure sa-nitarie che hanno portato alla sco-perta dell’anestesia e della peni-cillina, così come l’attuale rivolu-zione nelle pratiche associata a ri-sultati notevoli in farmacologia(ad esempio, i progettisti di medi-cinali), ci troviamo al culmine diuna nuova rivoluzione che avràcome risultato la traccia dellamappa del genoma umano. La ge-netica e la ricerca cellulare trove-ranno un nuovo modo di praticarela medicina e di prestare le curesanitarie.

Il risultato di queste sfide e diquelle della tecnologia è che il ve-ro volto della sanità cattolica ècambiato. L’ospedale, che in tem-pi recenti era stato il centro dellecure sanitarie, spesso viene oggidescritto come un dinosauro: unareliquia del passato che si trova alcentro di un futuro emozionante.

Le cure sanitarie vengono forniteal paziente sempre più attraversoun “continuum di cure” che com-prende centri ambulatoriali, servi-zi per la diagnostica, centri per lariabilitazione, programmi per lachirurgia esterni, servizi di curedomiciliari, un tipo di vita assisti-to, cure a lungo termine, hospice.Ai servizi sociali spesso viene ri-chiesto di aiutare, specialmentedurante il ricovero ospedaliero, ilpaziente e la sua famiglia per pro-grammare l’accesso ai servizi dicui avranno bisogno dopo la di-missione dall’ospedale. C’è inol-tre maggiore attenzione per quel-le che vengono descritte come le“forme alternative” della medici-na, come la terapia dei massaggi,l’agopuntura e la terapia con le er-be. L’influenza delle cure spiri-tuali per un buon recupero fisico èun campo di studio e di serviziemergente. Proprio mentre questicambiamenti si ripercuotono di-rettamente sul campo della curasanitaria il ruolo del medico sitrova di fronte alla burocrazia del-le cure gestite, e nel contempo di-venta sempre più importante per-ché non c’è una continuità effetti-va di cure senza collaborazionecon medici, infermieri ed altrioperatori.

Il risultato di queste e di altreforze è che il ministero può facil-mente diventare burocratizzato,frammentato ed impersonale. Unaparola su ciascun aspetto:

Burocratico: sia l’assicurazionepubblica che quella privata ed ifornitori sono stati costretti a svi-luppare un’abbondanza di regole edi modulistica che confondono edirritano i pazienti e le loro fami-glie.

Frammentato: mentre si è svilup-pata una comprensibile evoluzionedi forme di cura diverse dall’ospe-dale, queste dimensioni emergentimancano di coerenza o di coesività.Il medico, nello stesso tempo, è sta-to ridotto a una specie di “dentedell’ingranaggio” con il risultatoche i pazienti, se hanno navigatocon successo in questo terrenoframmentato, devono diventare isuoi stessi avvocati. Ovviamentequesto è un compito più facile daadempiere per la persona “quasi sa-na” piuttosto che per quella seria-mente malata, o socialmente vulne-rabile.

Impersonale: il risultato finale èche l’aspetto delle cure sanitariepuò essere piuttosto impersonale.Un tempo la sanità cattolica si di-stingueva per la “manualità” dellereligiose, ora si trova di fronte allasfida di non essere uguale a quellasecolare. Nonostante le miglioriintenzioni, ciò sta diventando sem-pre più difficile laddove la duratadell’incontro è scandita dai minutie dalle ore, non dai giorni o dallesettimane. Allo stesso modo, il pa-ziente spesso viene visto isolata-mente, piuttosto che come mem-bro di una famiglia o come partedella comunità.

Ispirazione

Chiaramente queste avversità,laddove combinate con la seduzio-ne del mondo postmoderno e l’im-perativo tecnologico: se può esse-re costruito, costruiscilo; se è co-struito, compralo, pone la sanitàcattolica nel nord del Primo Mon-do in una situazione difficile, cheva persino oltre la vaga realtà chegli Stati Uniti e le altre nazioni in-dustrializzate consumano un am-montare disordinato delle risorsesanitarie globali.

In questo scenario, disperazio-ne, cinismo e scetticismo possonofacilmente prendere mano. Comeantidoto, per trovare ispirazione emotivazione dobbiamo guardare aquei monaci che, malgrado le li-mitazioni dell’alto Medioevo, for-nirono di personale le infermeriedei monasteri, o ai Fatebenefratel-li, che ebbero cura dei pellegrinicristiani in tempi di grande avver-sità. Malgrado le insormontabiliavversità che affrontarono, essiandarono avanti e prosperarono.Perché? Perché molto tempo pri-ma che Giovanni Paolo II ci illu-minasse con l’immagine del Van-gelo della Vita, essi lo avevano giàmesso in pratica. Essi vedevanonella vulnerabilità di ogni essereumano un’inalienabile sacralitàdella vita, così come un indistrutti-bile legame di solidarietà che lirendeva parte di quella comunitàche è la famiglia umana. E la fon-te della loro ispirazione per essereservi del Vangelo della Vita nonera altro che l’immagine e la realtàdel Cristo che guarisce, in altre pa-role, il Cristo sanante. Chiaramen-

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te l’anima di ciò che negli StatiUniti chiamiamo “il ministero sa-nante” dev’essere trovata nellemolteplici narrazioni del Vangeloche parlano di Gesù che guariscelo zoppo, il cieco, il lebbroso, cosìcome l’ultima azione sanante,quella della restituzione della vita.

Se il Cristo sanante è l’animadel ministero, vorrei suggerire cheè a Lui che dobbiamo guardareper cercare la guida nella ricercadel modo migliore per risponderealla sfida tecnologica e alle altresfide che dobbiamo affrontare. Atal fine, Padre Donald Senior, CP,ha recentemente presentato una ri-flessione su tre differenti modalitàche incontriamo studiando le pa-rabole del Vangelo che riguardanoGesù sanante: liberazione, solida-rietà e speranza. Utilizzerò questemodalità come base per le mie ri-flessioni su come gli ospedali cat-tolici e, ovviamente, tutte le strut-ture sanitarie cattoliche possono edevono rispondere alle sfide at-tuali.

Liberazione

Padre Senior afferma che, inprima istanza, Gesù venne a per-sone libere, nel contesto di una ri-sposta nella fede, derivante dallamalattia. E come molto spesso nelcaso del Vangelo, egli ribaltò l’a-bituale aspettativa religiosa e cul-turale che la malattia fosse un se-gno della mancanza personale odel giudizio divino, così come lagiustificazione per l’alienazione o

la separazione espressa in modovisibile nel caso del lebbroso, odella emorroissa, o in quello delpazzo confinato nelle grotte fuoridella città.

Le strutture sanitarie cattoliche,negli Stati Uniti, hanno consape-volmente deciso che anch’esse de-vono essere una liberazione. Essesi sentono chiamate, ed indubbia-mente impegnate, ad essere agentidi una trasformazione sociale checome Cristo rovescia le ipotesicontemporanee e biasima il fattoche vengano isolati ed alienati co-loro che sono malati o coloro il cuistato viene visto come una minac-cia. Tre esempi.

Ambiente: negli anni recenti, èstato elaborato un insieme di datiche dimostra chiaramente una re-lazione causale tra la tossicità am-bientale e la diminuzione della sa-lute. Sebbene in molti casi debbaessere ancora determinata l’esattanatura del collegamento, la rela-zione causale non è in questione.Ad esempio, è particolarmentesconcertante il drammatico au-mento dell’incidenza dell’asma edei relativi problemi polmonari trai giovani, particolarmente tra quel-li poveri.

A livello locale, le strutture cat-toliche hanno sviluppato dei pro-grammi che, mentre trattano l’a-sma o le condizioni polmonari, la-vorano anche per rimuovere le mi-nacce ambientali nel materialeusato per gli alloggi o dei pericoliambientali come i luoghi deserticitossici. A livello nazionale, i siste-mi sanitari utilizzano i loro inve-stimenti finanziari in modo “so-cialmente responsabile”, per mi-gliorare le decisioni nella costru-zione degli alloggi che modifiche-rebbero la politica dannosa delleaziende su questioni quali l’usodel mercurio, così come la difesadelle politiche statali e federali peril miglioramento della qualità del-l’aria e dell’acqua.

Condizioni sociali: non sorpren-de il fatto che per una persona chenon può accedere ad un casa siadifficile, se non impossibile, avereuno stato di salute positivo o cheuna nutrizione inadeguata, l’abusodi droga e di alcol, e le malattiementali siano direttamente colle-gate con la diminuzione della sa-lute. Anche se è sempre più diffici-le a causa di una maggiore fragi-

lità della condizione finanziaria, lestrutture sanitarie cattoliche si so-no mosse nella comunità per af-frontare questi problemi. Lavoran-do spesso in partnership con altri,gli operatori sanitari cattolici si so-no adoperati per mettere a disposi-zione abitazioni abbordabili, spes-so per gli anziani, per creare centricomunitari esterni che, oltre a ren-dere disponibile il cibo sul posto,lo portino anche direttamente a ca-sa; inoltre forniscono dei servizi apazienti esterni ed un sostegno acoloro che si trovano a dover af-frontare sfide per l’abuso di so-stanze o per problemi mentali. Intutti questi sforzi, i servizi sanitaricattolici cercano di liberare le per-sone dalle catene dell’emargina-zione, fornendo servizi e un sup-porto che si dimostrino sensibilialla loro dignità e li facciano ritor-nare nella comunità.

Politiche di governo: forse la li-mitazione più imperdonabile aduno stato positivo di salute per lepersone è, negli Stati Uniti, lamancanza di accesso all’assicura-zione sanitaria. È un’offesa mora-le che nella più opulenta nazionedel mondo circa 44 milioni di per-sone attualmente si trovino senzaassicurazione e, di conseguenza,siano esclusi dall’insieme dei ser-vizi sanitari. È particolarmente de-plorevole che 10 milioni di perso-ne senza assicurazione siano bam-bini, ridotti a ricevere cure sanita-rie al pronto soccorso.

Come risposta a questa realtà, lasanità cattolica è stata, e sarà, unadifesa non solo per accedere allecure sanitarie di base, ma in favo-re di una riforma per l’intero siste-ma sanitario, di modo che le curesanitarie siano accessibili ed offer-te a tutti, in un sistema di eroga-zione che sia contrassegnato daqualità, sicurezza, giustizia e com-passione. Ciò viene portato a com-pimento attraverso la credibilitàdella nostra presenza come “voceper coloro che non hanno voce”,incoraggiando i nostri 800.000impiegati e le loro famiglie ad usa-re il proprio voto come strumentodi scambio, ed essere presenti allaCasa Bianca, al Congresso, e nellalegislatura statale. Lavorando sen-za il beneficio di un “potere mira-coloso”, siamo impegnati nel no-stro obiettivo di una trasformazio-ne sociale.

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Solidarietà

Personalismo: anche se Gesùspezzò i legami della malattia, eglinon eliminò tutta la sofferenzaumana che si accompagna allamalattia e al dolore. La personache soffre spesso sperimenta unsenso di isolamento o di separa-zione. Questo isolamento è in con-trasto con la vera solidarietà chedovrebbe essere un segno di unacomunità umana che riflette la na-tura pubblica del Dio uno e trinodel quale siamo fatti ad immaginee somiglianza. Gesù, operando inTerra Santa, ci diede la testimo-nianza della solidarietà che ebbenei confronti dei peccatori, guarì ilservo del centurione, ed operò mi-racoli tra i Samaritani. Forse la te-stimonianza più profonda della so-lidarietà con i sofferenti è sottoli-neata ancora una volta dal Padrequando ci ricorda che il corpo diGesù glorificato continua a porta-re le ferite della sua sofferenza emorte. Pur nella gloria, Gesù èsempre un sofferente.

Nei tempi moderni forse il no-stro ricordo più intenso di questasolidarietà è Madre Teresa e la suacomunità. Dalle strade di Calcuttaai sobborghi di New York, lei e lesue sorelle hanno lavato, nutrito etrasportato i malati ed i senzatettoin una testimonianza silenziosa disolidarietà della famiglia umana.

Chiaramente, questo stesso spi-rito dev’essere un segno distintivodelle molte e varie espressioni delministero sanante cattolico. Sedobbiamo risanare così come feceGesù, allora sia letteralmente chemetaforicamente dobbiamo tocca-re come Gesù il corpo, la mente elo spirito dell’uomo. “Alta tecno-logia” senza “tocco elevato” man-ca della solidarietà che è l’essenzadel nostro ministero. Senza dub-bio questo ristabilimento del per-sonalismo autentico nell’ufficiodel medico, del pronto soccorso,del reparto di chirurgia, e delle ca-mere dei pazienti dev’essere por-tato a compimento. Gli ostacoli,come già detto prima, sono nume-rosi. Vorrei condividere con voi al-cuni emozionanti esempi di suc-cesso, ma purtroppo non posso.Abbiamo una lunga strada da per-correre, ma ci stiamo muovendo. Imedici sempre più spesso parlanoa sfavore di strutture di cura gesti-

te che chiedono loro di dedicaresoltanto pochi minuti al pazienteprescindendo dalla condizione fi-sica, emotiva o spirituale di que-st’ultimo. Gli amministratori stan-no elaborando dei programmi incui il paziente o un membro dellafamiglia possa richiamare l’atten-zione nei confronti di un impiega-to che abbia prestato delle cure“personali” esemplari. Gli enti go-vernativi stanno usando la “soddi-sfazione del paziente” come unadelle componenti critiche nella de-terminazione della compensazio-ne esecutiva.

Sono dei buoni inizi, ma c’è an-cora molto da fare.

Distribuzione: Prima di chiude-re questa sezione, vorrei parlarvi,seppur brevemente, di un’altra sfi-da rivolta ad un autentico senso disolidarietà umana. Anche se a li-vello macroscopico o universalenon abbiamo avuto una discussio-ne appropriata sulla distribuzionedelle risorse destinate alle cure sa-nitarie, negli Stati Uniti, e io credoanche altrove, non ci siamo nean-che impegnati in un discorso siste-matico ed informato su di una po-litica sanitaria nazionale che possafornire una giusta ed equa distri-buzione delle limitate risorse perla sanità.

Mi azzardo a suggerire che latradizione cattolica ci impegna alavorare e a partecipare a tale di-scussione. La comprensione dellasolidarietà umana ci informa che,come ci ha detto il Beato PapaGiovanni XXIII, l’accesso alle cu-re fondamentali dev’essere un di-ritto dell’uomo e conseguente-mente anche un bene sociale – ilbene sociale che ci dice di unire leresponsabilità a livello personale,sociale e di governo per preserva-re ed assicurare la realizzazione diquesto stesso bene sociale. Inmancanza di una discussione delgenere, l’aumento del costo dellecure sanitarie, alimentato in misu-ra non minore dall’aumento deicosti della tecnologia avanzata,così come dei medicinali, ha por-tato a quello che è, nei fatti, unprocesso indiretto o implicito didistribuzione. Una variazione si-gnificativa dei tipi di pratica e deirisultati delle cure sanitarie secon-do la razza, il sesso e la zona geo-grafica sono indici di altri modelliimpliciti di distribuzione. Altra co-

sa sono le decisioni prese dai pianisanitari, o dalle società che li ac-quistano, per quanto riguarda ciòche viene coperto. Un esempio èla limitazione posta con frequenzasui benefits in sanità dipendentidal comportamento. In altri tempi,le decisioni sono state prese dalCongresso o dai legislatori statali,laddove ordinavano di garantiredeterminati servizi, come il tratta-mento della fertilità.

Mentre i motivi per il continuoattacco negli Stati Uniti a questa“distribuzione implicita” sono fa-voriti da molteplici fattori (come ilcredo capitalistico nel potere dimercato e la paura di un governo

“importante”) su un livello più teo-logico sono alimentati da una com-prensione non sfumata del sensoindividuale ed impoverito della so-lidarietà umana.

Sebbene chiaramente colpita daqueste più grandi forze culturali, lasanità cattolica, in special modo inquesti paesi in cui ha una presenzasociale significativa, dev’essere unpartecipante combattivo al discor-so sociale, che può portare ad unadistribuzione più razionale e giustadelle risorse sanitarie. Alimentatida una visione morale coerente eda un profondo senso dell’unionee degli obblighi interdipendenti edalle responsabilità della solida-

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rietà umana, possiamo contribuiread ottenere i dibattiti necessari.

Lo scorso anno in un interventoalla Catholic Theological Union diChicago, basandomi sul lavoro fat-to precedentemente dalla CatholicHealth Association, ho presentatoalcune riflessioni iniziali che sa-rebbero potute servire per un di-battito. Ho iniziato col notare lacomplessità dell’argomento. At-tualmente, il 13,5% o un 1,1 trilio-ne di dollari del Prodotto InternoLordo viene speso per i vari aspet-ti della sanità. Proprio 18 anni fa,questa cifra era l’8,9% del PIL. Untale aumento fa scaturire la do-manda: ci dovrebbero essere limitia queste spese e, se sì, in che modouna nazione potrebbe giungere adeterminarli? Ad esempio, quantodi ciò che spendiamo per la sanitàè determinato solo dalle forze dimercato, da una disposizione dellacorporazione, o da altre fonti? E seuna decisione del genere dev’esse-re presa, quali dovrebbero essere icriteri per guidare tale processo di‘decision-making’? Se sì, in chemodo? E qualora queste domandenon fossero abbastanza complesse,ho sottolineato che esiste un paral-lelo tra come distribuire le risorseesistenti, l’1,1 trilioni di dollari, inun modo giusto ed equo.

Ho notato che negli ultimi annici sono state diverse proposte ne-gli Stati Uniti per sviluppare inmodo più esplicito dei criteri perla distribuzione delle risorse sani-tarie. Forse una delle più famoseha avuto luogo nell’Oregon, doveè stata stabilita una deroga federa-le per sviluppare un sistema sani-tario statale per coloro che usu-fruivano dell’assistenza medicacon un “pacchetto di base” garan-tito fissato dalla politica statale. Inaltre parole, è stato proposto – ealla fine adottato – che a coloro ilcui stato economico li qualificavaper l’assistenza medica sarebbestato garantito un insieme di servi-zi ed anche che sarebbero stateesplicitamente negate alcune op-zioni di trattamento.

Nonostante non ci siano stati al-tri esempi recenti di una discus-sione pubblica sulla distribuzionedelle risorse così come c’è statanell’Oregon, ho suggerito che fos-se considerato un argomento im-portante, se non bene articolato.In effetti, se gli sforzi dei gruppi

come la Catholic Health Associa-tion ed altri per rendere accessibi-li e abbordabili le cure sanitariecome priorità nazionale hannosuccesso, il come distribuire le ri-sorse sanitarie richiederà una cer-ta attenzione.

Tale dibattito non arriverà facil-mente. La distribuzione spesso vie-ne scambiata per razionalizzazio-ne, ed il concetto di razionalizza-zione non si adatta con il senso po-polare della consacrazione ameri-cana ad una certa concezione dellalibertà così come viene presentatanell’etica americana.

Dato che consideriamo sia lanecessità sia l’eventualità di unadiscussione del come distribuire lerisorse sanitarie, ho suggerito cheil prisma dell’etica vitale compati-bile fosse quello dell’assistenza.Ad esempio, la nostra ricca conce-zione della dignità umana richie-derebbe ogni discussione sul fattoche la distribuzione venga appli-cata in modo equo e libero da di-scriminazioni, per la nostra condi-visione della dignità umana. Allostesso modo, poiché l’accesso acure sanitarie adeguate è un dirittoumano fondamentale, c’è una li-nea basilare dei servizi che nonpuò essere soggetta agli scambipolitici. La stessa inalienabile di-gnità richiederebbe un processoaperto e partecipativo che coinvol-gerebbe tutti quanti sono coinvoltinelle decisioni di distribuzione.Tornando alla gestione della vitaumana e delle risorse, ogni distri-buzione deve avere una prioritàetica assicurando che queste risor-se siano fornite alle persone svan-taggiate. Una buona gestione ri-chiede inoltre che ci sia una neces-sità dimostrata di decisioni o pro-cessi gestionali e che gli effetti so-ciali ed economici delle decisionidella distribuzione siano control-lati per vedere che raggiungano gliobiettivi dichiarati e non abbiamoconseguenze involontarie.

Per finire, una presa di coscien-za integrale del bene comune for-nirà un’importante rete per pren-dere delle decisioni. Ciò richie-derà che le decisioni per la distri-buzione si focalizzino non soltan-to su individui, ma anche sullo sta-to di salute delle comunità e diquelle forze sociali che possanomigliorare la salute personale edella comunità. Una presa di co-

scienza tangibile del bene comunecambierà la presa di coscienza li-mitata della libertà umana chevorrebbe affermare che gli indivi-dui dovrebbero essere in grado diricevere qualsiasi servizio sanita-rio essi desiderino e, parlando daun punto di vista medico, persinoquei servizi che sono consideratifutili.

Speranza: fino a questo punto,nelle nostre riflessioni abbiamo ri-visto l’attuale sfida tecnologica ele altre sfide che la sanità cattolicasi trova a dover affrontare negliStati uniti ed abbiamo consideratocome, ispirati dalle narrazioni delVangelo del Cristo sanante, la sa-nità cattolica sta rispondendo nellaprospettiva della liberazione e del-la solidarietà. Nei suoi scritti, Pa-dre Senior ha identificato una ter-za modalità di cui per i miei scopiparlerò, e a cui ho dato il titolo diSperanza.

Come credenti, siamo piuttostoconsapevoli del rapporto essenzia-le esistente tra corpo, mente e spi-rito. In effetti, in queste riflessioniabbiamo trattato un aspetto di que-sto rapporto, quando abbiamo par-lato del senso di separazione dallacomunità che può essere associatocon la malattia. Nella sezione fina-le, vorrei riflettere su un’altra con-seguenza della malattia, special-mente nel caso di una malattia cro-nica o terminale. Molto spesso,entrambe portano una profonda e,allo stesso tempo, devastante alie-nazione dello spirito umano. Datoche le energie del corpo si consu-mano o sono permanentementeesaurite, la normale armonia delcorpo e dello spirito giunge ad unafine: l’abituale rapporto con l’am-biente fisico è alterato; le relazioniinterpersonali sono cambiate e, difronte alla morte, prossime alla fi-ne così come le conosciamo. Spes-so il risultato di tutto ciò è un sen-so di alienazione con lo stesso spi-rito umano dalle fonti del senso odello scopo che ciò sia servito, co-me raison d’être dell’esistenza diun individuo.

Il Cristo sanante è venuto pertutte queste forme di alienazione, especialmente per l’alienazione del-lo spirito. Rispondendo una voltaper tutte al lamento di Giobbe, Cri-sto attraverso la sua morte e risur-rezione ha dato al genere umano ilsuo dono-speranza sanante più

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grande. È stato a questa speranzache si è rivolto il Cardinal Bernar-din come leitmotif per la sanitàcattolica, persino quando si è tro-vato a dover affrontare la sfida per-sonale di un cancro al pancreas.Permettetemi di fare una citazione:

“Vorrei chiarire cosa intendoper ‘speranza’. Non si tratta diuna speranza di qualcosa. Non èl’aspettativa che qualcosa acca-drà. Sebbene alcune persone spe-rino in una cura fisica, non tuttelo fanno. Spesso le persone credo-no che una cura non sia possibile,o sono troppo stanche per speraredi tornare al loro precedente statodi salute. Ma spesso, anche quan-do non ci aspetta una cura, si puòancora sperare. La speranza dicui sto parlando è un atteggia-mento verso la vita e vivere nellecure amorevoli di Dio. La speran-za, radicata nella nostra fede nel-l’amore di Dio per noi in Cristo,ci dà forza e fiducia; ci confortacon la consapevolezza che, qual-siasi cosa ci accada, siamo amatida Dio attraverso Cristo. Nondobbiamo perciò addolorarci odisperare nello stesso modo di co-loro che non condividono questasperanza (cfr. 1 Tm 4:13-18). Lamalattia non deve soggiogarci.Anche se restiamo malati, anchese dovessimo morire prematura-mente, dobbiamo essere corag-giosi ed aver fiducia nell’amoreduraturo di Dio per noi (cfr. 2 Cor5, 6-10)”.

Come cristiani, siamo chiamatie legittimati a confortare gli altrinelle loro sofferenze dando lorouna ragione di speranza. Siamochiamati ad aiutarli a fare l’espe-rienza dell’amore duraturo di Dioper loro. È questo che rende la sa-nità cristiana veramente diversa.Noi dobbiamo fare reciprocamen-te ciò che Gesù stesso ha fatto:confortare gli altri ispirando in lo-ro la speranza e la fiducia nella vi-ta. Così come l’attività permanentee creativa di Gesù nel mondo e ilsuo amore hanno reso possibileche noi continuassimo a vivere no-nostante il caos prodotto dalla ma-lattia, anche il nostro operato nelmondo deve dare speranza a colo-ro che curiamo. La nostra vocazio-ne distintiva nella sanità cristiananon è tanto curare meglio o in mo-do più efficiente qualcun altro; èportare conforto alle persone dan-

do loro un’esperienza che rafforzila loro fiducia nella vita. L’obietti-vo finale delle nostre cure è quellodi dare a coloro che sono malati,attraverso le nostre cure, una ra-gione di speranza.

Non c’è da stupirsi che questavisione abbia trovato una profon-da risonanza nella sanità cattolicadegli Stati Uniti. Veramente noisiamo chiamati in una societàprofondamente pluralistica ad es-sere, come ha detto il Cardinale,un “segno di speranza” dalle mol-teplici sfaccettature. Per gli altricristiani noi siamo una testimo-nianza vivente della Pasqua sem-pre speranzosa; per colui che cre-de in un Dio buono, siamo la testi-monianza vivente di un Dio bene-volo ma, come ha detto Paolo nel-l’Acropoli, ancora senza nome; e acolui che non crede, offriamo l’e-sperienza di un potere trascenden-te dello spirito che può portare ol-tre i limiti umani fino al senso fi-nale della tenacia benigna.

Indubbiamente, essere un tale“segno di speranza” è una respon-sabilità che intimorisce, special-mente alla luce di tutto ciò che ab-biamo detto. Ma nella sfida sfug-giamo ad un grande pericolo. Dicoquesto perché la liberazione e lasolidarietà senza la speranza che èessenziale alla fede cristiana pos-sono facilmente diventare nullapiù che un movimento politico be-ne intenzionato o una forma illu-minata di terapia psicosociale.

Per la sanità cattolica essere un“segno di speranza” significa farepropria la dimensione evangelicadel ministero sanante. Mentre ri-spettiamo la coscienza di coloroche serviamo e non usiamo mai ilnostro ministero per fare proseliti,alla fine attraverso l’esperienza ela testimonianza siamo evangelistipieni di speranza.

Anche se dico ciò, sono consa-

pevole delle difficoltà. Negli StatiUniti ci sono sempre meno reli-giose e religiosi nel ministero, e ilaici assumono ruoli legittimi dileadership nell’adempimento del-le loro responsabilità battesimali;dobbiamo trovare allora nuovimodi per alimentare una culturaricca e vibrante di fede attraversola continuità dei nostri servizi. As-sieme ai collaboratori che semprepiù sono cristiani e ad una popola-zione di pazienti equamente di-versi, dobbiamo rendere esplicitiil nostro impegno e i nostri valori.E in una società profondamente inconflitto sulla natura sacra dellavita ancora non nata e che ora stadibattendo la legalizzazione del-l’eutanasia, dobbiamo essere servifedeli di un’etica coerente dellavita.

Poiché viaggiando nel nostropaese ho potuto costatare la ric-chezza del ministero che ammini-striamo, sono ottimista sul futuro.E questo ottimismo ha due fonti:primo e più importante è la pro-messa del Vangelo “io sarò sem-pre con voi” e, secondo, l’ispira-zione delle comunità religiose chehanno fondato e sono presenti indiversi modi nel ministero. Adesempio, se è radicata nella sem-plicità di San Francesco d’Assisi,l’ospitalità di Madre McCauley, el’inventiva di Vincenzo de’ Paoli eLouise de Marillac, come non pos-siamo affrontare la sfida della tec-nologia e le molte altre di cui ab-biamo parlato?

P. MICHAEL D. PLACE, STDPresidente della C.H.A.

(Catholic Health Association)USA

Bibliografia

CARDINALE JOSEPH BERNARDIN, A Sign ofHope, Arcidiocesi di Chicago, Chicago, IL,Ottobre 1995.

Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattoli-ci, Health and Health Care, Lettera Pastoraledei Vescovi Cattolici d’America, ConferenzaCattolica degli Stati Uniti, Washington, DC,Novembre 1981.

PLACE, MICHAEL D., Healthcare: EssentialBuilding Block for a Free Society, the EighthAnnual Joseph B. Brennan Lecture, Univer-sità Georgetown, Washington, DC, 20 Aprile1999.

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1. Introduzione

Alcuni anni fa ho incontrato unagiovane coppia che aveva appenaavuto notizie terribili: il bambinoche attendevano era seriamentehandicappato. Di fatto egli era af-fetto da un’anancefalia e appenaquesta fu diagnosticata, il loro me-dico “cattolico” di un ospedalecattolico propose loro l’aborto. Ilmedico lo chiamò “induzione” espiegò che sarebbe stato effettuatoin un ospedale non cattolico. Lacoppia si insospettì. Pur sapendoche, a meno di un miracolo, la vitadel loro bambino sarebbe statabreve, Clare e Tom erano decisi aportare avanti la gravidanza e adoffrire al loro piccolo tutte le pos-sibili opportunità. Affrontaronol’ormai prossima nascita con tuttal’emozione e l’apprensione checaratterizza i nuovi genitori, masenza le consuete aspettative ecioè che il loro bimbo sarebbe sta-to sano e che sarebbe loro soprav-vissuto. Cercarono un altro dotto-re e un altro ospedale cattolico do-ve trovarono rifugio per loro e peril loro bimbo.

Benché sostenuti dalla fede,dalla famiglia e dagli amici, la gio-vane coppia aveva avvertito finoalla vigilia della nascita una terri-bile tensione. Tuttavia, erano bendecisi a resistere alle pressioni del-l’ambiente circostante affinchécancellassero la vita del loro pic-colo come se fosse stata nulla, inverità meno che nulla, un valorenegativo sulla bilancia della qua-lità della vita. Essi andarono in-contro al futuro pieni di apprensio-ne, ma anche di speranza, conbuon senso e amore.

Il loro bimbo nacque in ospeda-le e fu immediatamente battezzato

con il nome di ‘Thomas Walter’dasuo padre; quando arrivai, lo cresi-mai io stesso. Egli visse ancora di-ciotto ore. Aveva un bel visino eun corpicino perfetto da maschiet-to; il battito del suo cuore era fortee respirava bene; ma la testa eraincompleta e, quindi, il suo desti-no era segnato. A volte emettevapiccoli suoni e voleva stringerecon le sue piccole mani il dito diqualcuno. I suoi genitori lo nutri-vano con piccole gocce di liquidosulla punta di un dito. I nonni, glizii e le zie arrivarono da ogni par-te della regione per fare vista alpiccolo Tom, per toccarlo e per es-serne toccati, per conoscerlo unpo’ e per condividere la sua brevevita, le gioie e le lacrime dei suoigenitori. In ogni istante della suavita egli fu stretto con forza daqualcuno che lo amava. Nelle suediciotto ore di vita egli ebbe tantis-simo. Fu un tempo abbastanzalungo perché gli fossero cambiatidiverse volte i vestitini, perchéfosse baciato, abbracciato e acca-rezzato, lungo abbastanza per per-mettere a Clare e Tom di passareun po’ di tempo con lui, per cele-brare piccoli compleanni alla finedi ogni ora di vita, in particolareun compleanno privato con lui amezzanotte quando, contro ogniaspettativa, egli vide un nuovogiorno. Un tempo che diede lorouna notte di sonno disturbato conil loro bimbo, che è un diritto ditutti i nuovi genitori. E ha anchedato loro il tempo di salutarlo.

La notte della sua nascita, primache me ne andassi, abbiamo recita-to insieme le preghiere per i mo-renti. Il piccolo Thomas morì ver-so l’alba, mentre dormiva tra i suoigenitori all’ospedale. Ci riunimmodi nuovo con i genitori e con i non-

ni, questa volta per recitare le pre-ghiere dei morti e per pregare percoloro che lo piangevano. I suoigenitori, la sua famiglia e gli ami-ci, gli operatori sanitari e i cappel-lani avevano fanno tutto ciò cheera possibile per lui. Tutti insieme,essi avevano offerto la più potentedelle testimonianze al Vangelo del-la Vita, alla preziosità della vitaumana; insieme, essi avevano di-mostrato la nobiltà che anche unasimile tragedia può suscitare nel-l’animo della gente comune; insie-me avevano scritto un canto d’a-more con le loro vite...1.

In questa conferenza gli oratorihanno attirato la nostra attenzionesull’enorme varietà di nuove pos-sibilità nell’ambito sanitario cheesistono nel nuovo secolo, di nuo-ve domande che tali possibilitàtecnologiche pongono, e di nuoverisposte che potrebbero essere da-te. Tutto ciò pone enormi sfide alleistituzioni sanitarie cattoliche e ailoro professionisti, e quindi allaChiesa non solo come dispensatri-ce di servizi sanitari, ma anche co-me responsabile della Pastorale siadei pazienti che dei lavoratori cheoperano nell’ambito della sanità.

2. Sanità oggi: tre frontiere

La sanità e la cappellania si tro-vano di fronte a tre frontiere: trauna visione della sanità come vo-cazione e un’impresa puramentetecnica o un prodotto di mercato;tra una conseguente visione deglioperatori sanitari come professio-nisti e persone sulla via della san-tità e come semplici tecnici o pre-statori di servizi; e infine tra unavisione delle pratiche e delle scel-te sanitarie come attività con

ANTHONY FISHER

III: Le nuove frontiere

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obiettivi propri e soggette alla mo-rale comune e una visione di talipratiche e scelte il cui unico limiteè rappresentato da ciò che è mate-rialmente possibile. Sono questetre frontiere, dunque, che vorreiora esplorare.

2.1 Sulla frontiera tra “sanità come vocazione” e “sanità come impresa tecnica o prodotto di mercato”2

Quando Dio è venuto tra noinella persona di Gesù Cristo, Egliha redento l’umanità non solo conla sua morte, predicando la sua pa-rola salvifica, rimettendo i peccati,o riunendoci in un nuovo popolodi Dio, ma anche curando le per-sone. Matteo ci dice “Gli si avvici-narono molte folle che avevanocon sé zoppi, storpi, ciechi, muti emolti altri infermi e li deposero aisuoi piedi. Egli li guarì, tanto chele folle, al vedere muti che parla-vano, storpi guariti, zoppi checamminavano e ciechi che vede-vano, rimasero stupite e glorifica-rono il Dio d’Israele”3.

Così come le guarigioni miraco-lose di Gesù esprimevano in ma-niera immediata la compassionesanante di Dio e fornivano segni epremonizioni della venuta del Re-gno, allo stesso modo i professio-nisti della sanità “vedono il loroministero non solo come uno sfor-zo per ripristinare e preservare lasalute, ma anche come un serviziospirituale e un segno di quellaguarigione finale che un giornoprovocherà la nuova creazione cheè il frutto ultimo del ministero diGesù e dell’amore di Dio pernoi”4. Anche nella migliore tradi-zione secolare la medicina e il ser-vizio infermieristico sono abba-stanza lontani da una semplice ec-cellenza tecnica o dal soddisfaci-mento di una richiesta del merca-to. Una ragione di più perché lasanità cattolica debba essere testi-mone di una fede in un Dio amo-revole e provvidenziale, testimo-nianza della creazione e della na-tura umana, della malattia e dellamorte, della comunione dei santi,del perdono dei peccati, della re-surrezione dei corpi, e della vitaeterna...5. La nostra fede significache consideriamo la persona mol-to più di una particolare specie dianimale o di macchina intelligen-

te, deciso a farsi la sua strada, ca-pace di raggiungere determinati eimportanti obiettivi tecnici, o diprodurre e consumare beni e servi-zi: la persona umana è l’immaginedi Dio e la comunità umana è l’im-magine della Trinità. Siamo infat-ti, fratelli e sorelle nel Signore esiamo i custodi delle nostre sorellee dei nostri fratelli; l’amore fami-liare, il rispetto, la meraviglia, ciòche San Tommaso chiamava du-lia6, è questo l’atteggiamento chedovrebbe caratterizzare le nostrerelazioni. Abbracciando l’interapersona – corpo, mente e spirito –con compassione e amore, la sa-nità cattolica dice alle persone:“Vogliamo essere come Cristo,che avrebbe steso la mano per toc-carvi e guarirvi”7.

Come questo possa riuscire nel-l’esperienza quotidiana della sa-nità nel nostro nuovo secolo non èfacile da predire: forse con la cor-tesia e la compassione, la pazienzae la perseveranza, con la vigilanzae la speranza, la volontà di impe-gnarsi in comportamenti all’appa-renza inefficienti quali il tenerecompagnia o l’ascoltare, usare unlinguaggio rispettoso, toccare conun atteggiamento reverenziale nondissimile da quello con cui trattia-mo le cose sante. E parole quali‘vocazione’, ‘missione’ e ‘aposto-lato’ che così facilmente – troppofacilmente – escono dalla boccadei cristiani, devono in quest’am-bito significare più di ‘lavoro’ oanche di ‘professione’: esse devo-no esprimere una sorta di ministe-ro sacerdotale di mediazione e dilode di Dio che è amore della vitae della salute8.

Se la sanità cattolica è concepi-ta come una vocazione religiosa,coloro che ne sono responsabilidevono diffidare della secolariz-zazione, dell’adattamento e delcompromesso con la logica del ri-sultato meramente tecnico o dimercato9, come anche diffidarequando la medicina supera i limitidella sua sfera legittima, invaden-do tutta la realtà, promettendo allepersone di sollevarle dalla condi-zione umana, offrendo false spe-ranze di immortalità terrena, im-pegnandosi in accanimenti tera-peutici, sostenendo che la salute èla salvezza. I fedeli della vera reli-gione devono essere sempre at-tenti critici del messianismo sani-

tario, dell’ostinazione terapeuticae dell’idolatria della vita e dellasalute10. La salute non è il nostrobene più alto e la sanità non è lanostra religione.

Gesù guariva le persone nel loroinsieme, guariva il loro corpo e laloro anima. Prima di guarire il pa-ralitico, egli gli perdonò i suoipeccati11. I legami tra la malattiafisica e quella spirituale con laguarigione fisica e quella spiritua-le sono stati lungamente studiatidai cristiani e da altri credenti. Co-me hanno osservato i vescovi de-gli Stati Uniti, “senza la salute del-lo spirito, l’alta tecnologia incen-trata esclusivamente sul corpo of-fre una limitata speranza di guari-gione dell’intera persona. Rivoltaai bisogni spirituali che spessovengono più profondamente ap-prezzati in tempi di malattia, la cu-ra pastorale è parte integrante del-la sanità cattolica”12. La pastoralecattolica dei malati è cosa diversadal lavoro sociale, dalla terapia, daaltri supporti umani, anche se in-clude alcuni elementi di tutto ciò:riguarda in primo luogo e soprat-tutto i sacramenti13. Ma ciò impli-ca oggi sfide particolari. La caren-za di sacerdoti, i gruppi di volonta-riato laico che includono personedei più diversi orizzonti e forse an-che alcuni interni, pazienti moltodiversi tra loro, ricoveri più brevi:tutto ciò offre nuove opportunità,ma può anche portare a una desa-cralizzazione di tale ministero.Tuttavia i Sacramenti dell’Estre-ma unzione, della Confessione,della Comunione e del Viatico peri morenti devono restare al centrodi ogni genuina forma di sanitàcattolica. Occorre inoltre avere lapossibilità di fornire occasioni re-golari di preghiera in comune e diculto, sia per i pazienti che per ilpersonale. Naturalmente questo ti-po di attenzione spirituale, comedel resto quella per la salute, dovràessere adattata alle esigenze parti-colari dei pazienti e del personale:i non cristiani, i non cattolici e icattolici non praticanti avrannoesigenze molti differenti da quelledei cattolici più ‘regolari’. Nondi-meno anche i non cattolici vengo-no nelle nostre istituzioni in qua-lità di pazienti o di membri delpersonale, aspettandosi un approc-cio spirituale del tutto particolare,cristiano ma senza imbarazzi, e

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non dovremmo avere il timore dioffendere gli estranei mostrandola nostra cattolicità.

Oltre ai Sacramenti l’attenzionepastorale ai malati “comprendel’intera gamma dei servizi spiri-tuali, che prevede una presenza eun ascolto costante, l’aiuto per af-frontare l’impotenza, il dolore el’alienazione, nonché l’assistenzanel riconoscere e nel risponderealla volontà di Dio in uno spiritodi maggiore gioia e pace”14. Inquesto caso l’obiettivo è di confer-mare i fratelli e le sorelle nel Si-gnore, affinché essi possano vive-re, soffrire e morire nel miglioredei modi. Cercare di umanizzare edi cristianizzare la malattia, lamorte e la stessa tecnologia sanita-ria, e offrire ragioni di speranzaanche quando la medicina non puòfare più niente, sono strumenticruciali per fare in modo che la cu-ra pastorale diventi complementa-re della cura clinica15. Nel caso diClare e Tom, l’attenzione pastora-le e il sostegno della famiglia e de-gli amici sono stati l’aiuto deter-minante al loro eroismo: senzaquell’aiuto, non so come essiavrebbero potuto affrontare ilviaggio verso la nascita del lorobambino.

2.2 Sulla frontiera tra “gli operatori sanitari come professionisti e persone sulla via della santità” e “gli operatori sanitari come tecnici e prestatori di servizi”

Parallela alla frontiera tra la sa-nità come vocazione e sanità comeimpresa tecnica o prodotto di mer-cato, corre la frontiera tra due di-verse concezioni dell’operatoresanitario: da una parte l’operatoresanitario visto come un professio-nista e come una persona vera-mente sulla via della santità; dal-l’altra, l’operatore visto come unsemplice tecnico, un prestatore diservizi, o anche un killer a paga-mento. La ‘professione’ è propria-mente una nozione etica che im-plica un commercio o un’arte,molto più di quanto lo faccia l’i-dea di ‘lavoro’: la convinzione daparte di questi operatori dell’im-portanza di un servizio particolareagli altri e della loro ‘vocazione’ aquesto servizio come occupazione‘a tempo pieno’ con aspettative

durevoli; il loro essere in qualchemodo immersi in questa particola-re professione, con le conoscenze,le competenze e il genio che glisono propri, e che provoca e ri-chiede loro devozione di vita e ca-rattere; una sorta di pubblica pro-fessione di un ‘orientamento diservizio’ e di responsabilità pub-blica degli operatori; alcuni atti dipubblico riconoscimento da partedella comunità del fatto che questaprofessione è l’espressione deisuoi valori essenziali e che questepersone sono validi professionisti;una continua (auto)regolamenta-zione della professione da partedegli operatori in conformità agliobiettivi interni della professionee le migliori tradizioni dell’etica.

La vocazione ad essere santi,che è la vocazione di ogni profes-sionista sanitario cristiano, è unavocazione che non è in conflittocon le richieste di professionalità,ma piuttosto una chiamata ad es-sere più di un commerciante, piùdi un professionista: è una voca-zione a un tipo di dono di sé cri-stologico, così meravigliosamenteraccontatoci nella nostra tradizio-ne con l’immagine del Cristo me-dico, nella storia del Buon Samari-tano e, fortunatamente, in tantisanti professionisti sanitari che ab-biamo conosciuto. Raggiungeretali livelli non è fuori dalla portatadei comuni operatori sanitari: al

contrario, è proprio la loro veravocazione. Ma ciò richiede unaspiritualità della vocazione sanita-ria e un genuino sforzo nel coltiva-re un certo tipo di carattere im-prontato a rispetto, pietas, com-passione, comprensione, benevo-lenza, spontaneità, onestà, fedeltà,precisione, pazienza, moderazionee umiltà16.

I dirigenti e il personale degliospedali cattolici, quindi, dovreb-bero essere particolarmente pru-denti nei confronti dell’istituzio-nalizzazione di vizi quali una non-curante mancanza di rispetto perla vita e la dignità umana, la cecitào l’indifferenza nei confronti deglieffetti della politica su alcune per-sone, l’avarizia e l’anzianità, il su-bire l’imperativo della tecnologia,e via di seguito. Essi devono op-porsi al sacrificio di persone in no-me dell’efficienza, del progresso odel profitto, e promuovere un cer-to ascetismo in risposta alla ten-denza alla massimizzazione medi-ca, e un atteggiamento contempla-tivo in risposta alla frenesia lavo-rativa che prevale nell’ospedalemedio. Le associazioni di operato-ri sanitari cattolici, moribonde inmolti Paesi negli ultimi due de-cenni, dovrebbero essere positiva-mente rifondate seguendo una piùchiara definizione degli obiettividi formazione spirituale ed etica, edi sostegno ai lavoratori della sa-

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nità che forse non sono catechiz-zati a sufficienza o che devono af-frontare pressioni esterne affinchési conformino ai valori di ‘questomondo’ piuttosto che a quelli delRegno di Dio.

2.3 Sulla frontiera tra le pratiche sanitarie come “attività con scopi propri e soggette alla morale comune” e come “attività il cui unico limite è rappresentato da ciò che è materialmente possibile”

Nella sua lettura programmaticatratta dal profeta Isaia, all’iniziodel suo ministero, Gesù, come rac-contato da Luca, dichiara di esserestato unto dallo Spirito Santo perpredicare il Vangelo ai poveri e aiprigionieri e per portare la guari-gione ai ciechi17. Ci dice Matteo:“Gesù andava attorno per tutta laGalilea, insegnando nelle loro si-nagoghe e predicando la buonanovella del regno e curando ognisorta di malattie e di infermità nelpopolo”18. A volte le guarigioniprecedevano ed evocavano la fe-de; altre volte la guarigione erauna risposta alla fede. L’attività dipredicazione profetica di Gesù eraquindi intimamente legata alla suaattività di guarigione. Il legame traquesti due ministeri è esteso ancheai suoi discepoli. Gesù dice loro:“E strada facendo, predicate che ilregno dei cieli è vicino. Guarite gliinfermi, risuscitate i morti, sanate ilebbrosi, cacciate i demoni”19. Siaper Gesù che per i suoi discepoli laguarigione e la predicazione sonocome due facce della stessa meda-glia di redenzione.

La sanità cattolica, quindi, deveessere profetica, una proclamazio-ne vissuta del Vangelo. Mi fa pia-cere rilevare che la prima nota apiè di pagina della Carta degliOperatori Sanitari, ci rimanda al-l’allocuzione di Papa GiovanniPaolo II ai professionisti della sa-nità del Mercy Hospital di Mel-bourne, la mia città natale, discor-so nel quale egli ha sottolineatocome l’assistenza sanitaria sia pri-ma di tutto “un importantissimoservizio alla vita” ma anche “unaforma di testimonianza cristia-na”20. Siamo oggi di fronte alla sfi-da di rinnovare la nostra compren-sione dell’attività sanitaria inquanto erede di una particolare

tradizione – la nobile saggezzadella medicina ippocratica – con ipropri obiettivi interni e con lapropria logica, e soggetta, cometutte le attività umane, alle normedella morale comune21; di rinnova-re anche la nostra percezione disanità cattolica in quanto eredeanche di una tradizione rivelata,articolata nelle Scritture come peril Buon Samaritano, chiarita ininestimabili documenti quali l’E-vangelium Vitae e la Carta, e ap-plicata attraverso i carismi di par-ticolari fondatori di congregazionie i loro collaboratori laici.

Negli ultimi decenni le personeimpegnate a portare avanti il mini-stero di guarigione di Gesù si sonotrovate di fronte a enormi sfide eti-che, non ultime le pressioni del se-colarismo, della burocrazia e delmercato, e anche la costante tenta-zione di ‘saltare nel letto con lozeitgeist’. Quindi dobbiamo esserecristallini nell’affermare che i no-stri impegni centrali sono il rispet-to della dignità di ogni personaumana in quanto creata ad imma-gine di Dio, redenta da Cristo e de-stinata a godere della gioia eternadella Trinità e dei santi in paradi-so; la riverenza per ogni istanza divita umana dal momento del con-cepimento sino alla morte in quan-to impegno sacro; l’amore del no-stro prossimo e del bene comune,compreso l’impegno per assicura-re l’accesso universale a un livellodi attenzione e a una giusta distri-buzione delle risorse; il rispettoper il significato nuziale del corpo;il desiderio di umanizzare le prati-che mediche; un’opzione prefe-renziale per i disabili22. Tutto ciòva contro la visione delle pratichee delle scelte sanitarie viste comeattività il cui unico limite è rappre-sentato solamente da ciò che è tec-nicamente e politicamente possi-bile.

La sanità cattolica è profeticanella misura in cui esemplifica talinorme e tali valori cristiani nelmodo più concreto e luminosopossibile; più silenziosa e compro-messa sarà la sua testimonianzamorale, più la ragion d’essere del-la sanità cattolica sarà confusa everrà in definitiva abbandonata. Inanni recenti, i capi della Chiesahanno ripetutamente ribadito l’im-pegno della Chiesa nell’assistenzasanitaria, ma hanno anche insistito

sul fatto che ciò deve svolgersi inaccordo con una moralità profon-da così come viene espresso dalmeglio della tradizione ippocrati-ca purificata dal Vangelo e dalMagistero della Chiesa23. Almenonel mondo occidentale post-cri-stiano, l’assistenza sanitaria catto-lica dovrebbe offrire sempre piùuna forte alternativa di preparazio-ne e di stile di assistenza in accor-do con le nostre tradizioni e normedi vita particolari. Non dovremmoassolutamente discostarci da que-sti comportamenti, per timore diperdere finanziamenti o la nostra

rispettabilità. In realtà penso chesia proprio un’alternativa di altaqualità in contrapposizione allabanalità il modo migliore con cuil’assistenza sanitaria cattolica pos-sa rispondere in futuro alla conti-nua tolleranza e al sostegno dei di-spensatori di fondi. I codici di eti-ca e di prassi cattolici, i comitatietici, i programmi di formazionedel personale, ecc., non solo aiute-ranno a fare in modo che i servizisanitari cattolici compiano la loromissione primaria – che è quella diassicurare un’assistenza efficace –ma può anche offrire loro una‘nicchia di mercato’. Ciò può ave-re le sue attrattive non solo permolti pazienti ma anche per moltimembri del personale, poiché giàin alcune parti del mondo i tiroci-nanti e i praticanti in certe specia-lizzazioni quali l’ostetricia e la gi-necologia, la pianificazione fami-liare, la genetica, la pediatria, lagerontologia e la rianimazione su-

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biscono pressioni affinché aderi-scano a pratiche immorali e ven-gono rifiutati loro avanzamenti dicarriera in caso contrario. In man-canza di istituzioni sanitarie ge-nuinamente cattoliche in cui for-marsi e lavorare, alcuni operatorisanitari potrebbero compromette-re le loro coscienze e la loro mora-lità oggettiva, o dover abbandona-re la loro specializzazione. E a di-fetto di un chiaro senso dei limiti – la frontiera – tra le pratiche sani-tarie viste come attività con unaloro propria logica interna e sog-gette alla morale comune, e le pra-tiche sanitarie viste come attività ilcui unico limite è costituito da ciòche è possibile da un punto di vistatecnico, politico ed economico,una tale perseveranza nella ricercadel bene si rivelerà impossibile.

3. Il futuro della sanità: tre altre frontiere

Siamo testimoni di una rivolu-zione biotecnologica probabil-mente più significativa di quelledell’industrializzazione, dell’eraatomica o dell’informatizzazione.I recenti progressi della biologia edella medicina stanno a significareche stiamo rapidamente acquisen-do il potere di modificare e di con-trollare il come e il quando venia-mo alla vita, il come e il quandomoriamo, e nel frattempo le nostrestesse nature, capacità e attività. Infuturo la sanità si troverà semprepiù davanti a tre frontiere, oltre aquelle che ho già sottolineato: lafrontiera tra la vita e la morte al-l’interno dell’utero; la frontiera trail rispetto della dignità della perso-na e la mercificazione delle perso-ne; e la frontiera tra la morte natu-rale e il ‘medicidio’ (l’omicidiomedico). Sono queste le tre fron-tiere che vorrei esplorare nel tem-po che mi rimane.

3.1 Sulla frontiera tra la vita e la morte nell’utero

Ai due estremi della vita, la vi-sione cristiana del rispetto perogni essere umano – sia egli fragi-le o forte, desiderato o indesidera-to, sofferente o in buona salute – èoggi particolarmente al centro del-l’attenzione e continuerà ad esser-lo probabilmente anche in futuro.

Le istituzioni e i professionisti sa-nitari cattolici sono quanto di me-glio ci sia al mondo per quanto ri-guarda la cura dei neonati, questiesseri minuscoli, gli esseri umanipiù vulnerabili, e naturalmentedelle loro madri. Abbiamo assun-to, se così si può dire, un’“opzionepreferenziale” per i bambini nonnati e per i neonati. Ciò trova variriscontri nella nostra tradizioneteologica, nella gioia del salmistaper l’unione del bimbo al grembodella madre, oppure nella felicitàdi Gesù quando i bambini veniva-no portati a lui. E oggi la medicinapuò fare molto: affermare la vitaper quanto riguarda soprattutto ilsuo stadio iniziale. Ma la vitaumana appena concepita o appenanata non è universalmente beneaccolta, e in futuro dovremo sem-pre di più decidere se dare asilo omeno a questi piccoli esseri.

Prendiamo la nuova genetica24.Siamo ovviamente felici dellostraordinario successo del proget-to del genoma umano e di altre at-tività che hanno contribuito in mo-do così notevole alla nostra com-prensione delle basi genetiche del-la condizione umana, così fecondedi possibilità terapeutiche. Pru-denti interventi terapeutici volti acorreggere malattie genetiche e aprevenire la loro comparsa o il lo-ro sviluppo costituiscono in lineadi massima un buon uso dellascienza della genetica e della sa-nità – anche se è il caso di usaregrande prudenza circa la speri-mentazione, la privacy, l’equitànell’accesso, la ‘germ line the-rapy’ e le ‘modifiche genetiche’. Ilgrande problema è che adesso enel prossimo futuro gli usi princi-pali di questa tecnologia non sa-ranno affatto terapeutici. Sarannovolti soprattutto ad effettuare testpre-natali. E se il bambino risul-tasse portatore di qualche malattiaimportante, probabilmente la ma-dre sceglierebbe o verrebbe guida-ta – non costretta, naturalmente –dai dottori, dai consiglieri, dallafamiglia o dagli amici, versoun’interruzione genetica della gra-vidanza. I miei amici Tom e Clarehanno molto sofferto per le pres-sioni che avevano ricevuto da di-verse persone ‘illuminate’ e ‘beneintenzionate’.

In un commovente articolo susua sorella Domenica che era af-

fetta dalla sindrome di Down, Ni-gel Lawson ha scritto sulla com-plicità della tecnologia geneticanella ricerca e distruzione corren-temente portata avanti contro ibambini down. Fibrosi cistica, spi-na bifida, sindrome di Down, pre-disposizione agli attacchi di cuore:quando finirà tutto ciò? L’Accade-mia Nazionale delle Scienze degliStati Uniti ha riportato che alcunepersone hanno già perso il loro la-voro o la loro assicurazione sullavita o sanitaria perché loro stessi,il loro coniuge, il loro bambino,fosse egli nato, non ancora nato onon ancora concepito, avevanouna predisposizione genetica auna qualche condizione avversa.Le preferenze personali e le pres-sioni sociali sui genitori affinchéproducano il bambino perfetto eabortiscano quelli che potrebberoessere imperfetti ci sono già, e so-no probabilmente in aumento.Una coppia che dovesse sceglieredi non effettuare il test per indivi-duare la sindrome di Down, o dinon abortire essendone venuta aconoscenza rischia di venire con-siderata arretrata, superstiziosa,egoista, socialmente irresponsabi-le, o anche criminale. Potremmochiederci, cosa accadrà di coloroche sfuggono alla rete dello scree-ning genetico e che nascono condifetti genetici in un tale mondo:lungi dall’essere accolti e dal rice-vere ogni possibile opportunità dauna famiglia umana solidale, queibambini rischiano di essere consi-derati e trattati come parassiti, unaperdita di risorse limitate e di sim-patia.

Chi decide quali caratteristichegenetiche giustificano la morte,prima o dopo la nascita? Su qualibasi? E nell’interesse di chi? L’eu-genetica, lontano dall’essere unmonopolio dei nazisti tedeschi odei cinesi, riguarda il pensiero ditante persone ‘illuminate’ e appa-rentemente di buona volontà, ed èchiaramente espressa dall’altaquantità, in costante aumento, diricerche genetiche e di missioni didistruzione (che vengono chiama-te ‘screening prenatali e conclu-sioni genetiche’). Il Papa suggeri-sce che ciò nasconde “una menta-lità egoista che vorrebbe rifiutarela solidarietà a coloro che sono di-versi da noi e ci richiedono unacerta misura di sacrificio persona-

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le”. La visione secondo cui sareb-be meglio che gli handicappatinon fossero mai nati, mai esistiti, ècertamente molto in disaccordocon il Vangelo, che considera ogniessere umano un fratello o una so-rella, relativizza ogni handicap, emette l’accento sul potere dei de-boli di assistere i forti; è anchecontraria al principio di giustizia,condiviso da molte persone di tut-te le religioni ma anche da atei,che prevede un uguale rispetto perla dignità e la vita di ogni essereumano, soprattutto dei più vulne-rabili e dei più deboli25.

Fino a poco tempo fa gli obietti-vi della ricerca e della distruzionegenetica erano gli esseri con gravihandicap che potevano essere fa-cilmente identificabili in utero.Ma la lista di tali handicap si staallungando, in parte quale risultatodell’accresciuta capacità di identi-ficarli, e questo in modo semprepiù preciso; ma in parte anche acausa della scuola di pensiero se-condo la quale gli handicap ven-gono considerati incompatibilicon un’esistenza degna di esserevissuta.

Mi è capitato una volta di essereconsultato sul caso di una coppiadi nani in attesa di un figlio cheavevano presentato a un ospedaleuna richiesta per uno screeninggenetico. Quando fu detto loro cheil loro bambino era perfettamentenormale, essi dichiararono di volerabortire. Il personale medico erastupefatto: malgrado una lungaesperienza di aborti su richiesta,non era mai capitato il caso di unaborto richiesto specificamenteperché il bambino era normale! Ilcaso sollevò una gran quantità didomande sulla natura della salutee dell’handicap. Ci si chiese anchese i genitori, i medici o le societàavessero il diritto di decidere qua-li sono le condizioni che giustifi-cano la morte di un bambino, e sequeste condizioni sono nell’inte-resse del bambino o nell’interessedegli altri26.

L’articolo di copertina del nu-mero di aprile 1998 della rivistaLife indicava con sicurezza le se-guenti qualità tra quelle che pote-vano essere completamente o ingran parte determinate: occhi, ca-pelli e colore della pelle; sesso;forma del corpo e forza atletica;intelligenza di diversi tipi; inson-

nia, pressione del sangue, emicra-nie, depressione e psicosi; timi-dezza e aggressività, timore dei ri-schi e ricerca della paura, ottimi-smo, estroversione e alienazione,senso del comando e scelta dellacarriera; sensibilità estetica, orien-tamento sessuale, gusti e dipen-denze; e – l’appresi con interesse –religiosità27. E non si può nemme-no dire che queste affermazionisiano un’esclusiva delle riviste po-polari: David Roshland, che fueditore della prestigiosa rivistaScience, ha attribuito anche lamancanza di casa e la disoccupa-zione ai difetti genetici!

Se viene determinato che i fatto-ri genetici contribuiscono in realtàa molte di queste qualità, i bambi-ni che non corrispondono alleaspettative dei genitori o della so-cietà potrebbero essere destinatialla distruzione. Non sono affattocerto che parlare di cause multifattoriali, dell’importanza del-l’ambiente, dell’ambiguità dei ri-sultati dei test, e di altro ancora,potrà fermare tutto ciò. Un recentestudio ha rivelato che circa i trequarti dei giovani americani inter-vistati sceglierebbero l’aborto sesapessero che il loro feto ha il 50%di possibilità di nascere obeso28.Entro un decennio potrebbero es-sere disponibili sul mercato deitest per determinare l’eventualeobesità dei bambini. Il gruppo deicandidati allo screening genetico ealla distruzione non smette di au-mentare...

Sono molte le cose che potreb-bero essere dette sulla rivoluzionegenetica che è davanti a noi: i peri-coli derivanti dall’atteggiamentosemplicistico che riduce le perso-ne ai loro geni; la pressione eserci-tata su genitori e professionistidella sanità dalla facile reperibilitàdi quei test, che li spinge ad utiliz-zarli e, quindi, ad aderire alla rou-tine dell’aborto genetico, nell’am-bito del discorso sulla libertà ri-produttiva; il potere dell’imperati-vo tecnologico di trascinare le per-sone nel proprio campo e di diven-tare un’ideologia generale per lamedicina; l’istruttiva repulsionedella gente comune nei confrontidi alcuni estremismi della scienzagenetica contemporanea. Ma lamia principale preoccupazione inquest’ambito è che ci troviamo difronte a una rivoluzione tecnologi-

ca già in corso la quale, per il suotanto vantato potenziale terapeuti-co, contribuirà, nel prossimo futu-ro, alla morte nell’utero più che al-la terapia e alla salute.

Nel frattempo continua ad esse-re sviluppata un’intera nuova ge-nerazione di ‘pillole del giorno do-po’, di ‘contraccettivi di emergen-za’ e di droghe abortive, che tendea confondere la linea tra contrac-cezione e aborto. Una profusionedi embrioni continua ad esserecreata nei laboratori e continueràprobabilmente in futuro in quan-tità sempre crescenti attraverso laclonazione e altre tecniche, e poisperimentata o sfruttata su partidel corpo, per poi eventualmentesbarazzarsene, senza nessuna seriaprotesta da parte di popolazioni si-stematicamente desensibilizzate almale che rappresenta l’uccisionedella vita umana al suo nascere29.

Risultato: il numero di abortitocca attualmente livelli impensa-bili, più devastanti, in numeri as-soluti di fatalità, delle grandiguerre mondiali, delle grandi epi-demie e carestie, dei grandi disa-stri naturali. Siamo talmente abi-tuati al fenomeno degli aborti cheuccidono ogni anno milioni dibambini che siamo praticamenteinsensibili di fronte al numerogiornaliero delle vittime. E do-vunque l’aborto viene comune-mente e pubblicamente praticato,c’è anche la tendenza a banaliz-zarlo. L’anno scorso due cittadiniamericani sono stati riconosciuticolpevoli di omicidio lo stessogiorno: al primo, un uomo diMilwaukee che aveva sparato alsuo gatto uccidendolo perché gliaveva sibilato contro, sono staticomminati 21 mesi di prigione; alsecondo, un uomo di New Yorkche aveva praticato aborti illegalisu due bambini già abbastanzasviluppati da poter sopravvivereperfettamente fuori dall’utero,non è stata comminata nessunapena detentiva ma solo un perio-do di cinque anni di libertà vigila-ta. In molti Paesi occidentali, at-tualmente un terzo o più delledonne abortisce durante la pro-pria vita; in Paesi quali la Russiaquesto vale per la maggioranzadelle donne. Questo fa dell’abortola più comune pratica chirurgicaal mondo, e fa in modo che l’in-vestimento emotivo, ideologico e

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finanziario di molti nella giustifi-cazione e nel proseguimento diquesto particolare tipo di omici-dio sia enorme – anche se un nu-mero sempre crescente di donnene viene terribilmente danneggia-to. Il Presidente degli Stati UnitiBill Clinton appoggia perfino gliaborti ‘partial-birth’, una praticatalmente mostruosa da arrivare ascuotere la coscienza collettivaanche dell’American MiracoleAssociation. Se nei mesi e neglianni a venire l’America prose-guirà su questa strada, penso checiò sia altamente indicativo diquale sarà la strada che la nostraciviltà imboccherà.

Come conseguenza di tutto ciò imedici cristiani e gli altri medicipro-vita, ma anche le infermiere e

i farmacisti possono aspettarsi disubire pressioni affinché rinunci-no alle loro posizioni, pena unacrescente emarginazione. Essi sitroveranno sulla frontiera tra lavita e la morte nell’utero, che ri-schia di diventare un posto vera-mente solitario. Per la Chiesa ciòrappresenterà un’enorme sfidaevangelica e pastorale: come po-tremo sostenere al meglio i profes-sionisti pro-vita che si trovano suquella frontiera? Come potremopredicare al meglio il nostro Van-gelo della Vita, per convertire e ri-conciliare coloro che hanno agitocontro la vita, e per sostenere colo-ro che potrebbero essere tentati diagire contro la vita nell’utero o neilaboratori? Come costruire unmondo in cui il piccolo ThomasWalters sia il benvenuto piuttostoche una vittima dell’‘aborto pre-coce’, e dove le future madri po-tranno ricevere sostegno alla loroangoscia durante tutta la loro gra-

vidanza e oltre, piuttosto che co-strette ad abortire da una societàche non vuole responsabilità30.

3.2 Sulla frontiera tra “il rispetto per la dignità della persona” e “la mercificazione delle persone”

Dovunque le persone aspirano auna famiglia piccola, o a nessunafamiglia, dovunque ‘educazionesessuale’ significa acquiescenzaad attività sessuali non caste e me-ra ricerca di strategie di ‘minimiz-zazione del danno’, dovunquel’individualismo e il soggettivi-smo morale sono rampanti, le per-centuali sia dell’attività sessualeche della contraccezione cresco-

no, e lo stesso accade, inevitabil-mente, per le percentuali delle gra-vidanze e degli aborti. Nella medi-cina del ventesimo secolo, il cam-po in cui si sono forse verificati icambiamenti più straordinari nonè quello della chirurgia o quellodelle vaccinazioni, ma quello del-la ‘pianificazione familiare’: conla fornitura di dispositivi, di medi-cinali e di procedimenti chirurgici,la biotecnologia ha promessoun’attività sessuale a richiesta pre-sumibilmente priva della ‘minac-cia’ di gravidanze e di bambininon desiderati31.

La ricerca del contraccettivo edell’aborto perfetti proseguirà infuturo, e le ramificazioni persona-li, sociali e culturali continuano adessere colossali; ma non vogliosoffermarmi su ciò in questa sede.Oltre ad eliminare bambini, la me-dicina ha anche fatto progressi nelconsentire loro di venire al mondo:le tecnologie di riproduzione artifi-

ciale hanno prodotto centinaia dibambini nati vivi, e distrutto nellostesso processo milioni di bambininon nati, embrioni di bambini32. Lepersone possono attualmente com-missionare ad altri i requisiti di fe-condità che essi stessi non possonoo non vogliono fornire. Ovuli,sperma, embrioni, utero, mezzitecnologici, tutto può provenire dapersone che non sono quelle chedesiderano effettivamente il bam-bino. Le persone implicate posso-no avere o meno relazioni di pa-rentela con il bambino o tra di loro;possono essere sposate, non sposa-te, omosessuali o single; possonoessere pagate o meno, vive o mor-te, in stato di coma o anche aborti-te o mai nate. La conservazionetramite il congelamento consenteai gemelli di nascere in momentidifferenti e da genitori differenti,anche molti anni dopo la morte deiloro genitori genetici, e di nascereanche in generazioni differenti. At-traverso la manipolazione geneti-ca, la partogenesi, la clonazione ealtre chimere indotte le personepotranno avere in futuro un sologenitore genetico, ma anche piùgenitori genetici; ci saranno proba-bilmente molti gemelli, e si potràdecidere di far avere a questi bam-bini determinate caratteristicheumane o non umane, o di essere‘cannibalizzati’ per ottenere mate-riale genomico in favore di adultimalati o di parti del corpo di lorofamiliari. A seconda delle richiestedel mercato, donne in menopausa,madri surrogate, uomini, animali emacchine, potranno generare bam-bini; i bambini potranno esserecreati in memoria di persone ama-te defunte e molto altro ancora po-trà essere realizzato che per il mo-mento non abbiamo nemmeno im-maginato.

E i bambini? In un’epoca in cuiil diritto degli adulti ad avere tuttoquello che vogliono – case, auto-mobili, televisori, tutto – su richie-sta, in tutti i colori e i modelli chedesiderano, oggetti da usare a vo-lontà per poi sbarazzarsene quandonon le si desiderano più, è statoesteso ad ogni cosa, in questa epo-ca i bambini stanno forse diventan-do l’ultimo prodotto, l’ultimo benedi consumo per le persone che han-no ormai tutto? Verranno “prodot-ti” sempre di più per soddisfare lepreferenze della ‘me-generation’,

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ed eliminati dalla società dell’usa egetta se non soddisfacenti?

Nel mio Paese una Corte Fede-rale ha recentemente deciso che ledonne sole e le lesbiche hanno ildiritto di ricorrere all’inseminazio-ne artificiale e alla fecondazione invitro, e che è da considerare discri-minatorio riservare tali pratiche al-le coppie sposate o alle coppieconviventi eterosessuali. Ciò sem-bra voler dire che i mezzi per ave-re bambini, e conseguentemente ibambini stessi, sono beni e servizia cui tutti devono avere la possibi-lità di accesso, quali che siano lecircostanze. Nessuna voce si è le-vata in favore dei bambini in que-sto caso, salvo quella della Chiesacattolica: nella circostanza, il si-lenzio del governo, dei tribunali edelle agenzie per i diritti umani èstato assordante. In un’epoca incui la società dei consumi e l’os-sessione dell’autonomia hanno in-vaso la culla e anche il genoma, sitende sempre più a considerare lapaternità e la maternità non tantocome affidamento ricevuto quantocome progetto scelto, non tantocome dono quanto come oggettodi shopping.

Leon Kass descrive in questomodo la differenza: quando unacoppia sceglie di procreare, essi siuniscono per dare o per rischiare didare la vita ad un altro essere che èformato, esattamente come loro losono stati, da ciò che essi sono: es-seri vivi, corporali, mortali, imper-fetti, con le loro passioni. Essi ac-cettano il sorgere di una nuova vitacon tutte le sue caratteristiche dinovità, comunque quel bambino sipresenti. Abbracciare il futuro tra-mite la procreazione significa ab-bandonare alcuni dei nostri appi-gli. Perché i nostri bambini non so-no solo nostri, non sono di nostraproprietà, non sono i nostri proget-ti. Essi scaturiscono dal passato,ma prendono una via inesplorataverso il futuro. D’altra parte neiconcepimenti geneticamente con-trollati “noi diamo la vita a un es-sere non simile a quello che siamo,ma a quello che intendiamo e chedesideriamo. Come per ogni pro-dotto da noi realizzato, non impor-ta quanto eccellente sia, l’arteficesi erge al di sopra non come unuguale ma come un superiore, tra-scendendolo con la sua volontà ela sua capacità creativa”33.

La nuova genetica è quindi mo-ralmente problematica, non soloperché sta sulla frontiera tra la vitae la morte nell’utero, ma ancheperché tende a mercificare queibambini di cui non minaccia le vi-te. Infatti può anche rappresentarefacilmente un’altra grave imposi-zione da parte dei genitori delle lo-ro preferenze sui bambini e un ul-teriore rifiuto della tradizionalenozione secondo la quale “i bam-bini dovrebbero essere accettatidai loro genitori come un dono di-vino da amare solo per quello chesono in modo unico e non sempli-cemente perché si conformano al-le speranze e alle aspettative deigenitori”34. La procreazione diven-ta semplice riproduzione, rimpiaz-zando l’essere generato con l’es-sere fatto, trasformando i bambiniin prodotti dalla qualità controlla-bile, e le madri incinte in collauda-trici. E lo screening genetico ha ilpotere di distaccarci (sia in sensofigurato che letterale) dai nostribambini, rendendo ogni gravidan-za ‘incerta’ e richiedendo alle ma-dri un certo distacco fino a quando

tutto non viene giudicato buono egiusto.

Naturalmente la biotecnologianon riguarda solamente i provve-dimenti riguardanti la vita e lamorte. Mentre scrivevo questo do-cumento sono stato colpito da unacolica renale. Si tratta di un’affe-zione terribile e non c’è nessunaconsolazione nel sapere che unparto è altrettanto doloroso! Ma lamia esperienza mi ha fatto cono-scere le meraviglie delle moderne

tecniche per il sollievo del dolore,della diagnostica radiologica, del-la chirurgia mininvasiva, dei trat-tamenti al laser, della litotripsia. Iprogressi della biotecnologia han-no permesso a un maggior numerodi persone di vivere vite più sane epiù a lungo, di essere curate da va-rie malattie e da vari spiacevolisintomi, e di alleviare le loro sof-ferenze in diverse maniere. E granparte di ciò ha aspetti veramentemolto positivi35. Ma tutto ciò com-porta propri dilemmi morali, qualiad esempio l’equa distribuzionedelle risorse sanitarie36.

Ancora più preoccupanti sonogli usi di quelle tecnologie chesembrano trattare il corpo come sefosse solo una cosa e non l’espres-sione concreta di una persona uni-ca37. La strumentalizzazione delcadavere, e anche del corpo deldonatore vivo consenziente, è unaspetto della raccolta di organi chedeve ancora essere oggetto di unariflessione teologica appropriata38.Un altro esempio è costituito dal-l’utilizzo di farmaci, di ormoni odella chirurgia non per correggeredifetti, ma solamente per elimina-re i segni di un normale invecchia-mento, per cambiare la forma delcorpo, il colore o il sesso, secondole preferenze personali. CindyJackson, proprietaria della fioren-te ‘Cosmetic Surgery Network’ diLondra, ha avuto molti titoli neigiornali raccontando i nove annidurante i quali ha subito 37 opera-zioni e speso centinaia di migliaiadi sterline per somigliare quantopiù possibile alla bambola ‘Bar-bie’. I chirurghi hanno rigirato lelabbra di Cindy all’esterno e lehanno imbottite con il grasso delsuo sedere. Le hanno allungato gliocchi, le hanno rotto e ricostruitola mandibola, segato il mento perridurlo e iniettato del silicone nel-le guance. Hanno trattato il suo vi-so con la dermoabrasione, effet-tuato due operazioni al naso, cosìcome varie cure dentistiche co-smetiche e un trapianto di capelli.Operazioni di liposuzione sonostate effettuate sui fianchi e sullecosce e il seno è stato ingrandito.Cindy ha avuto tre lifting facciali ene progetta altri con scadenza an-nuale. Da allora, molte donne sisono rivolte al chirurgo di Cindyper seguirne la formula e diventa-re dei ‘cloni’ di Cindy. Molto altro

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si potrà fare in futuro nel campodell’ingegneria del corpo.

Il campo di azione più impor-tante per il futuro della biotecnolo-gia della mezza età sarà comunquequello del controllo delle capacitàumane quali la forza, l’agilità, i ri-flessi, le emozioni, la memoria,l’immaginazione, il desiderio, lalibido, l’aggressività, il pensiero,la scelta, l’eloquio e l’azione39. Peril momento queste sono ancora auno stadio primitivo, ma già di-sponiamo di una serie di tecnichechirurgiche quali quelle del cam-biamento di sesso, la chirurgiaestetica e ricostruttiva, nonché ditecniche farmaceutiche, in parti-colare quelle che prevedono l’usodi tranquillanti e di stimolanti, diantidepressivi ed eccitanti, di far-maci per ‘espandere la conoscen-za’, di euforizzanti e di allucino-geni. Il futuro ci promette pilloleper potenziare la memoria, pilloleper controllare il carattere, pilloleper indurre il piacere, e molto al-tro. Ai bambini iperattivi e con tur-be, alle persone anziane nelle casedi cura e alle persone emotive dimezza età vengono sempre piùsomministrati farmaci tranquillan-ti; gli steroidi anabolizzanti e altrifarmaci per migliorare le presta-zioni hanno guastato le recentiOlimpiadi nel mio Paese; l’assun-zione di droghe per diletto è cosacomune e quasi sempre terribil-mente nociva; e l’industria farma-ceutica, sia quella legale che quel-la illegale, crea continuamentenuovi prodotti, nuovi mercati enuove dipendenze. Per tutti queibambini, adolescenti ed adulti, co-me per i bambini non nati prima diloro, esiste il rischio di essere trat-tati non come soggetti di attenzio-ne e di cura, ma come oggetti dimanipolazione, con o senza il lorosupposto consenso. Invece delproper loci del rispetto, dell’amo-re e della cura, essi diventano il lo-cus della soddisfazione delle pre-ferenze edonistiche, della soddi-sfazione consumistica, o di mano-vre tecniche.

Come risultato di tutto ciò i pro-fessionisti cristiani della sanitàpossono di nuovo aspettarsi di do-ver subire pressioni e di essereemarginati – oppure di essere am-mirati e lodati – quando si trovanosu una nuova frontiera: la frontie-ra tra il rispetto per la dignità del-

la persona e la mercificazione del-le persone. Anche questa volta po-trebbe trattarsi di un posto vera-mente solitario. E, ancora una vol-ta, offre alla Chiesa una grandesfida pastorale ed evangelica: qualè il modo migliore di sostenere iprofessionisti della sanità che vi-vono su quella frontiera? Qual è ilmodo migliore di predicare la di-gnità di ogni essere umano, e diconvertire e riconciliare coloroche trattano gli esseri umani comesemplici merci?

3.3 Sulla frontiera tra la “mortenaturale” e il “medicidio (l’omicidio medico)”40

L’idea che la morte possa essere‘domata’ è molto forte nell’anticamitologia e nella scienza moder-na. Sviluppi quali il trapianto diorgani, gli organi artificiali, l’in-gegneria genetica e altre ricercheintorno al rallentamento o all’arre-sto dell’invecchiamento – tuttimolto promettenti in verità – so-stengono non solo la promessa difar aumentare l’età media, affin-ché la maggioranza delle personepossa contare su una vita di duratanormale, ma possa anche ottenereil massimo dell’aspettativa di vita.Secondo alcune stime sarà prestopossibile aggiungere dai venti aiquarant’anni all’aspettativa di vitaumana: la notizia della morte, nel-l’agosto 1998 di una donna fran-cese di 122 anni, Jeanne Calment,potrà un giorno essere assoluta-mente comune. L’OrganizzazioneMondiale della Sanità prevede cheil numero di centenari in Franciapasserà dai 200 registrati nel 1950ai circa 150.000 nel 205041. Questidati sollevano ogni sorta di do-mande su quando applicare equando rifiutare i trattamenti per ilmantenimento in vita, quanto alungo prolungare la vita o forseprolungare la morte, senza parlarenaturalmente del fardello che an-drà ad aggiungersi al nostro siste-ma di cura degli anziani. Ma quel-lo che mi interessa soprattutto inquesta circostanza è che, come pergli sforzi della chirurgia estetica dicancellare i segni dell’invecchia-mento, esiste l’idea doppiamentevana che qui sulla terra possanoesistere la vita e la gioventù. Il fat-to è che anche i giovani sacerdoticon facce da bambino sono sog-

getti ai calcoli renali: tutti dovre-mo morire e la morte, il nostro ul-timo nemico, non può essere do-mata.

Naturalmente, l’altro modo di‘domare’ la morte è quello di farladiventare parte dell’arsenale me-dico. In una regione del mio Pae-se, l’eutanasia volontaria è statalegale per un breve periodo neglianni ’90, e in molte parti del mon-do la campagna per la legalizza-zione di tale pratica prosegue.L’assistenza cristiana agli anzianie ai moribondi subisce attualmen-te notevoli pressioni ed è probabi-le che molte altre ne subirà in futu-ro42. Anche dalla croce Cristo hadimostrato la sua attenzione perun ladro morente; e mentre Cristomoriva, sua madre e il suo amatodiscepolo gli erano vicini. Il com-pito dell’assistenza sanitaria cri-stiana è di assistere anche quandonon può curare. I cristiani sonosempre stati in prima linea nell’al-lestire ospedali per malati termi-nali, nelle cure specializzate per lepersone morenti, compresa, anchese non solo, la sempre più concre-ta scienza delle cure palliative. Mail compito di assistere al meglio imalati terminali costituisce unasfida particolare in un mondosempre più incline alla discrimina-zione, all’abbandono, anche al‘medicidio’ – l’omicidio medico –nei confronti dei malati terminali,mascherati da rispetto per i diritti,da pietà per coloro che non posso-no essere curati e dall’uso effi-ciente delle risorse. Ed è difficilis-simo mantenere le proprie posi-zioni quando anche i teologi e iprofessionisti della sanità di buonavolontà non si trovano d’accordosu questioni fondamentali qualil’obbligo di nutrire e di idratare ipazienti in stato di incoscienza43.

Non ho bisogno di spiegare quiperché questi temi siano così im-portanti per noi. Sarà sufficientedire che essenziale al rispetto delprecetto di non uccidere e alla di-stinzione tra uccidere e lasciaremorire dell’etica medica classicacristiana è un’alta visione della di-gnità e dell’eguaglianza umana, edelle nostre responsabilità moralinell’agire e nell’astenersi dall’agi-re al rispetto. Ciò mette il profes-sionista della sanità cristiano in di-retto conflitto con i valori di unacultura che dice che la felicità è

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più o meno la soddisfazione e ilcontrollo; che dice che le personevalgono per quanto producono,consumano o contribuiscono inqualche altro modo; che dice chela scelta è regina e che tutti posso-no scegliere come vivere e morire.Trovandosi sulla frontiera tra lamorte naturale e il ‘medicidio’, iprofessionisti sanitari cristianipossono, ancora sotto un altroaspetto, subire pressioni ed esserelasciati soli. Di nuovo questo cisfida sia dal punto di vista pastora-le che da quello evangelico: comepossiamo predicare nel miglioredei modi la dignità degli anziani,delle persone deboli e dei mori-bondi, e convertire e riconciliarenel migliore dei modi coloro chepensano che la comodità e l’auto-determinazione prevalgono su tut-to il resto e che l’omicidio medico,quindi, può essere giustificato?Come devono essere sostenutiquei professionisti della sanità cheaffermano la vita e che si trovanosu questa frontiera – nella lorocomprensione, la loro convinzio-ne, nelle loro decisioni, nella loroperseveranza nell’assistere in mo-do moralmente sensibile malgradol’ostilità offerta da alcuni?

4. Conclusione

Ho iniziato il mio interventocon la storia di Clare e Tom e delloro piccolino condannato a mortecosì poco tempo dopo la sua nasci-ta. Io penso che quella storia rias-suma in modo molto commoventele diverse frontiere sulle quali sitrovano oggi i professionisti dellasanità e i loro pazienti. Se guardia-mo in una direzione, vediamo lasanità come una realizzazione pu-ramente tecnica o un prodotto dimercato, fornita da semplici tecni-ci, ‘prestatori di servizi’ o ‘killer apagamento’, e i cui limiti sono co-stituiti solo da ciò che è tecnica-mente e politicamente possibile: sitratta, naturalmente, della sanitànella ‘cultura della morte’ e in de-finitiva non contempla né salutené assistenza. Ma se guardiamodall’altra parte della nostra fron-tiera, vediamo la sanità come vo-cazione, portata avanti da personeche sono professionisti e personesulla via della santità, e le cui atti-vità, con i loro propri obiettivi, so-

no soggette alla morale comune:quest’ultima è la vera sanità, unaparte della costruzione della ‘ci-viltà dell’amore’. Tom e Clare,con il loro bambino e con coloroche lo hanno assistito, si trovava-no su quella frontiera. Così comesi trovavano sulle tre altre nuovefrontiere tra la vita e la morte nel-l’utero, tra il rispetto per la dignitàdella persona e la mercificazionedelle persone, tra la morte naturalee il ‘medicidio’. Hanno dovutocompiere scelte molto difficili. Ela loro storia si ripete migliaia divolte al giorno nel mondo nelleistituzioni sanitarie cristiane e nellavoro dei professionisti cristianidella salute. Thomas Walter Ryanè nato il 18 dicembre 1996 ed èmorto poco dopo. Ma la sua storia,e la storia della sua famiglia, con-tinua. Nello stesso ospedale, esat-tamente un anno dopo, lo stessoidentico giorno ma del 1997, allapresenza di alcune delle personeche avevano già assistito Thomas,è nato Isaac Peter Ryan, suo fratel-lo. Isaac è vivo e sta bene...

P. Prof. ANTHONY FISHER OPVice-Presidente del Pontificio Istituto

Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia,

MelbourneVicario Episcopale per la Salute,

Arcidiocesi di Melbourne

Note1 La storia della famiglia Ryan è racconta-

ta più ampiamente in “Thomas Walter JosephRyan: celebration of a life”, in Bioethics Out-look 8(2) (giugno 1997), pp. 1-3.

2 Sulla vocazione della sanità si veda: Pon-tificio Consiglio per gli Operatori Sanitari,Carta degli Operatori Sanitari (1995), 1-10.Ho esplorato più diffusamente alcuni di que-sti temi in: “Is there a distintive role for theCatholic hospital in a pluralist society?” inLUKE GORMALLY (ed), Issue for a CatholicBioethic (Londra: Linacee Centre, 1999), pp.200-230.

3 Mt 15, 30-31.4 Conferenza Episcopale dei Vescovi Cat-

tolici (USA), Ethical and Religious Directi-ves for Catholic Healthcare Services (1994).

5 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris:Lettera Apostolica sul significato cristianodell’umana sofferenza (1984).

Vescovi del New Jersey, “The rationale ofCatholic healthcare”, in Origins 25(27) (21dicembre 1995), pp. 449-452: “Siamo una co-munità di fede, di culto, di amore fraterno e dicura, e sappiamo chi siamo e cosa diverremo,chi siamo attraverso la vita, la morte e la re-surrezione di Gesù... [In lui riconosciamo] ilDio che ha sofferto insieme a noi... Nella suarisurrezione riconosciamo non soltanto il po-tere di Dio, ma anche la nuova vita donata daDio... Dio dimora con noi e tra noi tramite il

potere dello Spirito Santo e ciò ci rende real-mente e veramente differenti... Noi che siamostati toccati, salvati e cambiati da Dio dobbia-mo rendere tutto ciò visibile non solo attra-verso le nostre lodi a Dio piene di fede, maanche con la nostra amorevole reciproca pre-senza e il nostro curarci reciprocamente. Lasanità cattolica esiste in quanto segnale con-creto di fede vivente; esiste ‘per essere l’amo-re di Gesù per gli altri nell’ambiente sanita-rio’”.

Vescovi USA, 1994: “Per i cristiani, il no-stro incontro con la sofferenza e con la mortepuò assumere un significato positivo e distin-tivo attraverso il potere redentore della soffe-renza e della morte di Gesù. Come dice SanPaolo, ‘portiamo sempre e dovunque nel no-stro corpo, perché anche la vita di Gesù simanifesti nel nostro corpo’ (2 Cor 4, 10).Questa verità non fa diminuire il dolore e lapaura, ma conferisce fiducia e grazia per sop-portare la sofferenza e per non esserne travol-ti. Il ministero della sanità cattolica costitui-sce una testimonianza della verità che, per co-loro che sono in Cristo, la sofferenza e la mor-te sono i dolori della nascita di una nuovacreazione. ‘Ed egli sarà il ‘Dio-con-loro’. Etergerà ogni lacrima dai loro occhi; non cisarà più la morte, né lutto, né lamento, né af-fanno, perché le cose di prima sono passate’”(Ap 21, 3-4).

Cfr. JULIANA CASEY, Food for the Jour-ney: Theological Foundations of the CatholicHealthcare Ministry (St. Louis CatholicHealth Association, 1991); ALASDAIR MAC-INTYRE, “Can medicine dispense with a theo-logical perspective on human nature?” in D.CALLAHAN e H.T. ENGELHARDT (eds), TheRoots of Ethics (New York: Plenum, 1981),pp. 199-138.

6 Summa theologiae Ia Iiae 25, I; 103-109;IIIia 25, ii.

7 Vescovi USA (1997). Comitato Ammini-strativo della Conferenza Episcopale Cattoli-ca (USA), The Bishops’ Pastoral Role inCatholic Healthcare Ministry (1997) in Ori-gins 26(43) (17 aprile), pp. 700-704, a p. 704.

Nell’Esortazione apostolica Vita Conse-crata, sulla vita consacrata e la sua missionenella Chiesa e nel mondo (1996, § 83), Gio-vanni Paolo II descrive la diakonia di infer-miere religiose in termini che potrebbero es-sere più generalmente applicati a tutti coloroche vivono il loro apostolato nella sanità cat-tolica: “La Chiesa guarda con ammirazione egratitudine... [le persone] che, assistendo imalati e i sofferenti, contribuiscono in manie-ra significativa alla sua missione. Esse conti-nuano il ministero di misericordia di Cristo,che ‘passò beneficando e sanando tutti’ (At10, 38). Sulle orme di lui, divino samaritano,medico delle anime e dei corpi, e sull’esem-pio dei rispettivi fondatori e fondatrici... [es-se] dovrebbero perseverare nella loro testimo-nianza d’amore verso i malati, dedicandosi aloro con profonda comprensione e partecipa-zione. Privilegino nelle loro scelte gli amma-lati più poveri e abbandonati, come gli anzia-ni, i disabili, gli emarginati, i malati termina-li, le vittime della droga e delle nuove malat-tie contagiose”.

8 Sap 11, 6. Si veda Carta § 3; e BONIFACIOHONINGS, “The Charter for HealthcareWorkers: A synthesis of Hippocratic ethicsand Christian morality”, in Dolentium homi-num 31(1996), pp. 48-52.

9 La letteratura sull’‘identità cattolica’ del-le istituzioni sanitarie è attualmente molto va-sta. Si veda ad esempio: JOHN R. RAMOS et al,The Search for Identity: Canonical Sponsor-ship of Catholic Healthcare (St. Louis:Catholic Health Association, 1993); BENE-DICT ASHLEY OP, “The documents of Catho-lic identity” in R.E. SMITH (ed), The Gospel ofLife and the Vision of Health Care: Procee-

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dings of the 15th Workshop for Bishops(Braintree: Pope John Center, 1996, pp. 10-16; JOHN BEAL, “Catholic hospitals: HowCatholic will they be?” in Concilium 1994-5:Catholic Identity (Londra: SCM, 1995), pp.81-90; JOSEPH BERNARDIN, “Crossroads forthe Church’s health care ministry”, in Origins22(24) (26 novembre 1992), pp. 409-411;Catholic Health Association (USA), “How toapproach Catholic identity in changing ti-mes”, in Health Progress (aprile 1994), pp.23-29; JOHN E. CURLEY, “Catholic identity,Catholic integrity”, in Health Progress (otto-bre 1991), pp. 56-69; RICHARD MCCORMICK,“The Catholic hospital: mission impossible?”in Origins 24(39) (16 marzo 1995), pp. 648-653; THOMAS MURPHY, “What is the bottomline in Catholic healthcare?” in Origins 26(4)(13 giugno 1996), pp. 56-60; JOHN O’CON-NOR, “The temptation to become just anotherindustry: healthcare”, in Origins 25(27) (21dicembre 1995), pp. 452-454.

10 Gli anatemi contro gli stregoni nell’Anti-co Testamento (Lv 20, 27; Dt 18, 10-14; 1 Cr10, 13-14; cf. At) e contro i farmacisti (ϕαρ−µακοις) nel Nuovo Testamento (Ap 21, 8; 22,15) richiamano la nostra attenzione sui peri-coli della ‘medicina’ che diventa ‘magica’.Cfr. STANLEY HAUERWAS, “Salvation andhealth: why medicine needs the Church”, inEARL SHELP (ed), Theology and Bioethica:Exploring the Foundations and Frontiers(Dordrecht: Reidel, 1985), pp. 205-224; eGILBERT MEILAENDER, Body Soul, and Bio-ethica (Notre Dame: University of Notre Da-me Press, 1995).

11 Lc 5, 17-26; cfr. Mc 2, 1-12.12 Vescovi USA 1994; cfr. Carta § 3.13 Carta, §§ 108-113. Cfr. Vescovi USA

1994, in cui si afferma che “per i pazienti o iresidenti cattolici, la preparazione ai Sacra-menti costituisce una parte particolarmenteimportante del ministero della sanità cattoli-ca. Nessuno sforzo deve essere risparmiatoperché siano assegnati sacerdoti agli ospedalie alle istituzioni sanitarie affinché essi vi pos-sano celebrare l’Eucaristia e dare i Sacramen-ti ai pazienti e al personale... Una cura parti-colare deve essere posta nel fornire e nel pub-blicizzare le opportunità riservate ai pazientio ai residenti di ricevere il sacramento dellapenitenza... In risposta ai desideri e alla con-dizione dei pazienti, tutti i responsabili dellapastorale dovrebbero facilitare la presenza disacerdoti che dispensino il sacramento dell’E-strema unzione dei malati, riconoscendo cheattraverso tale Sacramento Cristo concedegrazia e aiuto a coloro che sono gravementemalati o resi deboli dall’età avanzata... Tutti icattolici in grado di ricevere la comunione do-vrebbero ricevere il viatico quando si trovanoin pericolo di morte, mentre sono ancora nelpieno possesso delle loro facoltà... I neonatiin pericolo di morte, compresi i frutti di unaborto, dovrebbero essere battezzati quandoquesto è possibile... Quando un cattolico cheè stato battezzato ma che non è stato cresima-to si trova in pericolo di morte, qualsiasi sa-cerdote può cresimarlo”. (Direttive 12-18).

14 Vescovi USA 1994.15 Cfr. HONINGS 1996. STANLEY HAUERWAS,

in Suffering Presence: Theological Reflectionson Medicine, the Mentally Handicapped andthe Church (Notre Dame: University of NotreDame Press, 1986), p. 81, ha osservato: “Perquanto [la medicina] possa diventare efficace,essa non può escludere in principio la neces-sità della preghiera. Infatti la preghiera non èun supplemento all’insufficienza delle nostreconoscenze e delle nostre pratiche mediche;non è nemmeno una polizza di assicurazionedivina che garantisca che nostra tecnica medi-ca funzionerà; la nostra preghiera è piuttosto ilmezzo che abbiamo per rendere Dio presentein ogni caso, che la nostra tecnica medica ab-

bia successo o meno. In quest’ottica, il proble-ma non è di sapere se le cure mediche e la pre-ghiera siano antitetiche, ma di sapere come lecure mediche possano essere sopportate senzail sostegno costante della preghiera”.

16 Cfr. AUGUSTINE DI NOIA OP, “The vir-tues of the Good Samaritan: healthcare ethicsin the perspective of a renewed moral theo-logy”, in Dolentium hominum 31(1996), pp.211-214; ALASDAIR MACINTYRE, DependentRation Animals: Why Human Beings Needthe Virtues (Londra: Duckworth, 1999) (e nu-merosi suoi lavori precedenti); GILBERT MEI-LAENDER, “Are there virtues inherent in a pro-fession?”, in EDMUND PELLEGRINO et al (eds),Ethics, Trust and Professions (WashingtonDC: Georgetown UP, 1991), pp. 139-155;EDMUND PELLEGRINO, “Toward a virtue-ba-sed normative ethics for the health profes-sions”, Kennedy Institute of Ethics Journal 5(1995), pp. 253-277 (e altri suoi diversi arti-coli sulla virtù).

17 Lc 4, 18.18 Mt 4, 23; 9, 35.19 Mt 10, 7-8.20 GIOVANNI PAOLO II, “Allocuzione agli

operatori sanitari del Mercy Maternity Hospi-tal di Melbourne, 28 novembre 1986”, in In-segnamenti IX/2(1986), p. 1734.

21 Cfr. DIEGO GUILLEN, “The HippocraticOath in the development of medicine”, in Do-lentium hominum 31(1996), pp. 22-28.

22 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Evangelium Vi-tae: Enciclica sul valore e l’inviolabilità dellavita umana (1995) e innumerevoli discorsi sultema della salute. Tra i contributi emanantidalla Congregazione per la Dottrina della Fe-de occorre citare la Quaestio de abortu: Di-chiarazione sull’aborto procurato (1974),Haec sacra congregatio: Dichiarazione sullasterilizzazione effettuata negli ospedali catto-lici (1975), Dichiarazione su alcune questio-ni riguardanti l’etica sessuale (1976), Jura etBona: Dichiarazione sull’eutanasia (1980),Donum vitae: Istruzione sul rispetto della vitaumana alla sua origine e sulla dignità dellaprocreazione (1986) e, più recentemente, gliinterventi circa la terapia abortiva rispettiva-mente in Germania e in Austria. Alcuni diquesti documenti e altri documenti del Magi-stero sono riuniti in: KEVIN O’ROURKE e PHI-LIP BOYLE (eds), Medical Ethics: Sources ofCatholic Teachings (2ª edizione, WashingtonDC: Georgetown University Press, 1993).

23 Cfr. BRUNO ZANOBIO, “The ethical di-mension of Hippocratic medicine and its spe-cific relationship to Christian morality”, inDolentium hominum 31(1996), pp. 29-32.

24 Ho trattato più diffusamente alcuni diquesti temi in: “Adult science and adolescentethics: A response to John Henley”, in HI-LARY REGAN et al (eds), Beyond Mere Health:Theology and Health Care in a Secular Soci-

ety (Melbourne: Forum Teologico australia-no, 1996), pp. 145-168; “The brave newworld of genetic screening: ethical issues” inJOHN FLADER (ed), Death or Disability? Pro-ceedings of a Seminar at the University ofTasmania (Hobart: University of Tasmania,1996), pp. 16-43; e “The human genomeproject: hopes and fears”, in Philippiana Sa-cra 30(90) (settembre-dicembre 1995), pp.483-498.

25 Si veda HAUERWAS 1986 e MACINTYRE1999, cap. 1.

26 Per maggiori dettagli su questo caso, siveda: ANTHONY FISCHER OP, “Ethical issuesin genetic screening”, in Bioethics Outlook8(4) (dicembre 1997), pp. 1-12.

27 GEORGE COLT, “Where you born thatway?”, in Life (aprile 1998), pp. 38-50.

28 COLT 1998.29 Su questi temi si veda: Carta §§ 35-36,

42-46, 139-146.30 Per un resoconto commovente di questo

terribile processo e delle sue conseguenze, siveda l’eccellente libro di MELINDA TANKARDREIST, Giving Sorrow Words: Women’s Sto-ries of Grief After Abortion (Sydney: Duffy &Snellgrive, 2000).

31 Su questi temi si veda anche Carta §§15-20.

32 Mi sono soffermato più ampiamente suquesti temi in: “The brave new world of re-productive technologies”, in Philippiana Sa-cra 30(89) (maggio-agosto 1995), pp. 277-292. Si veda anche: Carta §§ 21-24.

33 Cfr. LEON KASS, “The wisdom of repu-gnance: why we should ban the cloning of hu-mans”, in The New Republic 216(22) (2 giu-gno 1997), pp. 17-26, a pp. 20-24.

34 BENEDICT ASHLEY OP e KEVINO’ROURKE, Healthcare Ethics: A TheologicalPerspective (4ª edizione, Washington DC:Georgetwon UP), p. 317; cfr. CDF 1986.

35 Si veda anche: Carta §§ 56-58, 62-71.36 Fornisco un resoconto più completo di

alcuni dilemmi in questo campo in: “Accoun-tant, Pollster, Samaritan: three models of ju-stice in health care resource allocation”, inJOHN FLADER (ed), Health Care in the Balan-ce: Ethical Issues in Medical Funding (Ho-bart: University of Tasmania, 1997), pp. 13-26; e il documento di prossima uscita The Al-location of Healthcare: An Ethical Fra-mework for Policy (con Luke Gormally ed al-tri, Londra: Linacre Centre, per i Vescovi bri-tannici).

37 Si veda: Carta §§ 48-41.38 Alcune delle mie domande in “Contrast-

ing ethical approaches to organ transplanta-tion and xenotransplantation”, in FAUSTOGOMEZ OP e ANNIEAL YU-SOLIVEN (eds),Love and Life-Making, Confidentiality, Xeno-transplants and Aging (Manila: UST Depart-ment of Bioethics, 2000), 75-110.

39 Su questi temi si veda: LEON KASS,Toward a More Natural Science: Biology andHuman Affairs (New York: Free Press,1985); Carta §§ 92-107.

40 Si veda: Carta §§ 114-124, 130-138,147-150. Ho esposto più diffusamente alcunedi queste idee in: “Theological aspects ofeuthanasia”, in JOHN KEOWN (ed.), ExaminingEuthanasia: Legal, Ethical and Clinical Per-spectives (Cambridge: Cambridge UniversityPress, 1995), pp. 315-332; e in “Why theLords rejected euthanasia”, in Human LifeReview, 22(3) (estate 1996), pp. 15-23.

41 Organizzazione Mondiale della Sanità,Annual Health Report, 11.05.97.

42 Cfr. O’CONNOR 1995.43 Parlo più diffusamente di questo dilem-

ma in: “On not starving the unconscious”,New Blackfriars, 74 (marzo 1993), pp. 130-145; e “Should we starve the unconscious?”,in Australian Catholic Record, 74(3) (luglio1997), pp. 315-329.

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96 SALUTE E SOCIETÀ

La formazione dei professionistimedici è sempre stata una delleprime attività delle Università, findalla loro creazione. Insieme allateologia e alle scienze umanisti-che, l’educazione medica vi occu-pava un posto rilevante.

Nel secolo XIX, durante la rivo-luzione industriale e la moderniz-zazione sociale, l’educazione me-dica iniziò a trasformarsi comin-ciando ad integrare formalmentela metodologia scientifica per ilsuo espletamento. Con l’avventodegli anestetici e delle moderneteorie di asepsi e di antisepsi, siiniziò a includere le tecniche chi-rurgiche nel bagaglio terapeutico.Ciò motivò il fatto che la medicinadovesse essere insegnata non sol-tanto in modo teorico e individua-le attraverso un tutor, come finoallora era comune che avvenisse,ma allo stesso tempo si richiedevache l’alunno venisse a contattocon le scienze mediche basilari,arricchite dalle scoperte dell’epo-ca nel campo della fisiologia, del-la biochimica, dell’istologia e del-l’infettivologia.

In America del Nord all’iniziodel secolo XX Flexner, con il pa-trocinio della fondazione Carne-gie, realizzò uno studio approfon-dito sulla realtà dell’educazionemedica agli inizi del 1900. Flexnerera perplesso per la grande varietàdi programmi che, nella loro gam-ma ampiamente eterogenea, diffi-cilmente assicuravano una forma-zione medica qualitativamenteomogenea. Già in quell’epoca ilconcetto di qualità universale dellamedicina era visto come una metada raggiungere, evitando che lescuole di medicina preparasseromedici di qualità molto diversa, inquanto era difficile laurearli per

una pratica sicura ed efficiente del-la medicina clinica.

L’impatto di Flexner nel delinea-re i programmi d’educazione medi-ca fu importantissimo. Ma, alla suaepoca, la metà delle scuole di medi-cina degli Stati Uniti dovetterochiudere per mancanza di qualitànel loro curriculum educativo.Flexer insisteva sull’integrazionedelle materie di scienze basilari al-l’inizio della carriera del medico.Dopo si sarebbe dovuto includerel’insegnamento delle scienze clini-che, insistendo sempre sul mante-nimento della fisiopatologia deiquadri nosologici nelle scienze ba-silari. L’inclusione del laboratorioclinico e dell’immaginologia basi-lare, rappresentata inizialmentedalla radiologia semplice, fu il pila-stro sul quale Flexner decise di ba-sare la riorganizzazione dei pianieducativi delle scuole di medicinadella sua epoca. A poco a poco,l’influenza della medicina norda-mericana andò espandendosi per ilresto del mondo; questa espansioneera sostenuta dagli eventi che se-guirono alla Seconda Guerra Mon-diale, in cui l’economia mondiale siricostruì sotto una forte influenzanordamericana. Durante lo svilup-po della medicina della secondametà del secolo XX, fu impressio-nante l’espansione della tecnologiamedica tanto nell’area diagnosticaquanto in quella terapeutica. La mi-crotecnologia spinta dai progressiscientifici, frutto dell’era spaziale,e l’inizio dell’era elettronica e digi-tale furono i principali propulsori diquesto cambiamento.

Le capacità di esplorare l’inter-no del corpo a livelli molecolari,rivoluzionarono tanto la conoscen-za del corpo stesso nella sua archi-tettura e nelle sue funzioni, quanto

la conoscenza delle reazioni fisio-patologiche del corpo a stimoli no-civi di origine esterna e interna.

Con la scoperta della biochimicadel meccanismo genetico si aprì lastrada a tutta la capacità di analisidello sviluppo delle cellule, deitessuti e degli organi. Si iniziò acomprendere la relazione perfettacon cui il nostro creatore ci ha co-dificati per sviluppare il nostrocorpo e le nostre funzioni vitali diadattamento a questo mondo.

La capacità risolutiva delle im-magini del microscopio elettroni-co, unite alla possibilità di marcag-gio molecolare con istochimica, ele tecniche di radioimmunoanalisici ha permesso di ubicare fisica-mente tanto nelle diverse cellulecorporali e nei suoi organelli, co-me nei microorganismi con cui en-triamo in contatto, i siti specifici incui si realizzano le reazioni fonda-mentali della biologia cellulare.

Le tecniche di ultrafiltrazione edi analisi spettrofotometrica han-no portato alla biologia molecola-re attuale una diversità impressio-nante. La quantità di molecole diespressione nelle diverse celluledell’economia corporale è amplis-sima, e la cosa più bella è che ognimolecola particolare è responsabi-le di un’azione biochimica origi-nale e specifica che determina laprogressione di una sequenza fi-siologica normale.

Attualmente nella maggior partedelle patologie il concetto di malat-tia fisica deve essere spiegato a li-vello di ambito molecolare, giac-ché il suo trattamento sarà anchediretto a correggere questa altera-zione cellulare con l’applicazionedi medicine di grande specificità eattività sulle molecole o sui siti ri-cettori propri nell’organismo. Que-

TOMÁS BARRIENTOS FORTES

IV: La formazione dei futuri professionisti nel campo della salute

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97DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

sta stessa specificità ha fatto sì chele medicine attuali siano più effica-ci, potenti e sicure in quanto i loroeffetti secondari sono ridotti al mi-nimo dalla specificità della loroazione.

Tuttavia la tecnologia medica siè sviluppata sotto uno stimolo eco-nomico terribile. Il costo dello svi-luppo delle nuove tecnologie tantodiagnostiche quanto terapeuticheha raggiunto cifre da record, ren-dendolo eccessivamente costosoper la popolazione in generale.

Una grande crescita ha interessa-to tutta la popolazione del mondo.Secondo dati delle Nazioni Uniteoltre sei miliardi di esseri umanipopolano il mondo. Tuttavia, mal-grado si disponga già di risorse tec-nologiche che ci permettono dipraticare un’individuazione oppor-tuna e azioni preventive nella quasitotalità delle malattie, non possia-mo in generale applicarle alla po-polazione mondiale.

Quanto detto affonda le proprieradici in parte nella cattiva distri-buzione del reddito economicomondiale, in parte nelle caratteri-stiche socio-culturali delle diverseregioni del nostro pianeta. Attual-mente, malgrado si disponga deifarmaci più sofisticati e degli stru-menti per le immagini diagnosti-che e terapeutiche più avanzati, ol-tre la metà delle consultazioni me-diche in Nordamerica è di medici-na alternativa. L’iridologia, la me-dicina magnetica, la medicina na-turale, l’agopuntura, l’omeopatia,l’erboristeria, e altre pratiche nonscientifiche della medicina, invecedi andare diminuendo, sembranoin disinvolta ascesa. Ciò è dovutoin gran parte ad una mancanza diregolazione da parte delle Autoritàsanitarie governative praticamentedi tutti i Paesi del mondo. Nondobbiamo dimenticare che la mag-gior parte dei governanti non è me-dico e non conosce la portata diquesti rami non scientifici dellamedicina alternativa. D’altro latoquesti, per il fatto di essere “pocoredditizi” e di “poco rischio”, nonhanno accaparrato l’interesse deigovernanti perché li regolasserocome finora hanno fatto con la me-dicina scientifica, che rientra nel-l’ambito dell’attenzione alle curedella salute mondiale. Non possia-mo neanche negare che quanti pra-ticano la medicina alternativa mol-

te volte pongono maggiore enfasisul rapporto umano che sul mezzoche utilizzano per effettuare il lorotrattamento. Non c’è dubbio chenell’area della salute l’umanesimocontinua ad essere preponderantenell’utilizzo degli strumenti curati-vi, sia di carattere scientifico chealternativo.

Per quanto detto è indispensabi-le orientare nuovamente l’educa-zione medica nell’uso razionale enel costo utile delle risorse medi-co-diagnostiche e terapeutiche cheoggi sono a disposizione dellascienza medica.

Tale educazione non deve essereriservata unicamente alla forma-zione dei nuovi medici bensì, at-traverso programmi di educazionemedica continua, anche ai medicigià laureati e che praticano quoti-dianamente la medicina clinica.

È difficile immaginare qualedebba essere oggi il profilo deimedici. Tuttavia, perché la profes-sione medica sopravviva nei tempimoderni, non si deve perdere di vi-sta il fine primordiale della medi-cina che è quello di aver cura dellasalute dell’umanità, riconoscendol’essere umano come Fine, e il re-sto degli elementi della medicinacome Mezzo. In questo modo l’u-manesimo sarà sempre la base del-la struttura medica, assicurandoche l’individuo non passi mai in

secondo piano e servendo da guidanell’etica quotidiana della praticamedica. Questa è una realtà chedovrà essere condivisa giorno do-po giorno da ciascuno dei mediciche fa parte della comunità mon-diale formata da coloro che servo-no la salute.

Tuttavia l’ambiente che ci cir-conda è cambiato. Questi cambia-menti si evidenziano in una mag-giore popolazione, in una miglioregestione dell’informazione, in unamigliore tecnologia e in una mi-gliore qualità di vita. Purtroppoquesta realtà è appannaggio sola-mente di un numero ristretto dipersone e non ha raggiunto la mag-gior parte della popolazione mon-diale. L’ingiustizia sociale nella ri-partizione economica continua adessere elemento di freno della stes-sa umanità per la promozione deiprogressi più avanzati e attuali nel-la conoscenza e nella pratica dellamedicina.

Questa stessa ingiustizia nelladistribuzione delle risorse mondia-le si accentua nella particolarità diognuno dei Paesi che integra ilconcerto mondiale delle nazioni.Per questo dobbiamo sempre rico-noscere il progresso mondiale nel-la conoscenza e nelle risorse sani-tarie della medicina, senza confon-derli e mischiarli con la disponibi-lità degli stessi in un ambiente lo-

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98 SALUTE E SOCIETÀ

cale, proprio e caratteristico diogni Paese del nostro pianeta. Nonbisogna disprezzare i valori cultu-rali e sociali propri di ogni comu-nità mondiale, ma cercare la ma-niera di incorporare i benefici delprogresso medico senza disuma-nizzare l’individuo, la sua famigliao la sua collettività.

La globalizzazione dell’educa-zione e della pratica medica nondeve disprezzare questo aspettotanto rilevante per lo sviluppo del-l’umanità. La diversità di ambienticlimatici e socio-economici porràbarriere all’applicazione mondialedei principi medici di carattereparticolare. Non bisogna contami-nare l’educazione medica localecon l’universalizzazione di questiaspetti particolari che non corri-spondono a tutte le realtà. In Mes-sico utilizziamo comunemente untermine che esemplifica ciò che hoappena commentato, e cioè “adat-tare al tropico” (tropicalizar) l’ap-plicazione delle conoscenze medi-che universali, principalmente neiloro processi, non tanto nelle lorobasi universali di conoscenza fon-damentale. La storia dell’umanitàha documentato, per oltre 2000 an-ni, che i principi universali vengo-no costantemente ridefiniti e che ilricorrere ai dogmi di pratica scien-tifica o non scientifica della medi-cina ci porta spesso ad una loro ob-solescenza temporale.

Una delle missioni che, comeChiesa, abbiamo nel campo dellasalute, è quella di favorire l’acces-so a migliori servizi sanitari pertutte le popolazioni del mondo.Nostro Signore ci ha lasciato lamissione apostolica di andare peril mondo a curare i malati nelle lo-ro sofferenze e, quando possibile,nelle loro malattie, ad assisterlicome ci insegna il Buon Samarita-no, essendo solidali per rendererealtà questo mandato; impegnan-doci nei confronti dei nostri fratel-li, dando loro il meglio che abbia-mo per la loro cura. Però, allo stes-so tempo, riconoscendoci comeuna grande famiglia, tutti fratelliin Gesù Cristo, dal quale ottenia-mo le risorse e le ispirazioni persconfiggere la malattia, e sovrap-porci ad essa trovando in Lui edattraverso di Lui tutte le risorsenecessarie per la cura della nostracondizione umana e preparandocialla vita eterna.

Oggi, con il fenomeno della glo-balizzazione, abbiamo infranto lebarriere della non comunicazione,e siamo testimoni viventi della sof-ferenza umana mondiale. La Chie-sa deve quindi agire secondo que-sti tempi che stiamo vivendo, tantoa livello universale – attraverso ilPontificio Consiglio per la Pasto-rale della Salute – quanto attraver-so ciascuno dei suoi vescovi nelleloro diocesi particolari, e delle or-ganizzazioni religiose e laiche diispirazione cristiana, emanate dal-la società civile e che si impegna-no apostolicamente nei confrontidei loro fratelli in seno alla Chiesanell’edificazione di opere e servizidi carattere sanitario locale e uni-versale.

Le Scuole di Medicina cattoli-che non devono sottrarsi all’impe-gno di formare medici che cono-scano a fondo il funzionamento ela struttura dell’essere umano,creato a immagine e somiglianzadel suo Creatore; impegnati anchea cercare le opzioni migliori chepermettano al loro prossimo dimantenersi sano e di recuperarequella salute che è stata perduta.

Si deve partire con l’insegnare ilconcetto di salute definito dall’Or-ganizzazione Mondiale della Sa-nità e che il Santo Padre ha com-pletato con l’aggiunta dell’aspettopiù importante, cioè il benesserespirituale, affinché si comprendache la salute è il benessere fisico,sociale, mentale e spirituale del-l’individuo e, quando ci riferiamoalla salute comunitaria, della suacomunità.

In questo modo, anche ai medicisi insegnerà che la promozione del-

la salute è un’opera che implica lapartecipazione di tutta la comunità,locale e mondiale. Per questo moti-vo tale attività non può essere rea-lizzata da un solo individuo. Da quil’imperativo che le Scuole di Me-dicina promuovano la comunica-zione e l’azione partecipativa deiloro studenti, a beneficio loro edelle loro comunità, insegnando alavorare in équipe, tanto nel ruolodi collaboratori, quanto nella re-sponsabilità di leader nei confrontidei propri colleghi, collaboratori edella comunità in generale. Tale at-teggiamento di leadership deve es-sere promosso a partire dalla visio-ne cattolica di servizio, fortementeispirata alla dottrina sociale dellaChiesa. Allo stesso tempo si dovràeducare il medico ad utilizzare glistrumenti di comunicazione che glipermettono di mantenersi in con-tatto con i propri pazienti, la pro-pria comunità e il resto della pro-fessione medica in modo efficientee aggiornato, approfittando delleopportunità che Dio ci forniscegiorno dopo giorno per il beneficiodei nostri pazienti. Allo stesso tem-po condividere attraverso l’infor-mazione medica la comunicazionetra i diversi specialisti in program-mi di servizio medico di telepre-senza, abbreviando le distanze tra ipazienti e i medici curanti, distri-buendo meglio le capacità e ren-dendole accessibili a luoghi distan-ti e remoti. Comunicando in questomondo con il mondo, si favoriscel’assistenza tra tutte le popolazionidell’universo.

Solamente formando équipe dimedici conoscitori della scienzamedica e impegnati nelle loro co-munità, sviluppando programmiche promuovano la salute indivi-duale, familiare e collettiva delleloro particolari comunità, saremosicuri di continuare a realizzarequesto grande mandato che abbia-mo ricevuto da nostro Signore Ge-sù 2000 anni fa. In questo modo sipromuoverà il suo regno di pace edi giustizia affinché, attraverso lasalute corporale e comunitaria dicui godiamo in questa vita, possia-mo ottenere la salute eterna conLui nella sua gloria e eternità.

Dott. TOMÁS BARRIENTOS FORTES

Direttore della Scuola di MedicinaUniversità di Anáhuac

Messico

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99DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

Introduzione

Vorrei dividere l’esposizionedel tema che mi è stato affidato intre sezioni: in primo luogo, faròalcune considerazioni, poi forniròdelle ragioni sulla necessità e l’ur-genza della formazione, esponen-do i suoi fini e i contenuti fonda-mentali, indicandone alcune ca-ratteristiche e segnalando le tappee i mezzi; per finire presenterò al-cune proposte di attuazione.

1. Considerazione

In primo luogo desidero fare al-cune osservazioni per collocare edefinire il tema, vederne la portatae comprenderne le carenze.

1. Mi focalizzerò sulla forma-zione dei cappellani, e cioè la for-mazione dei presbiteri cui è stataaffidata la cura pastorale dei fede-li nell’ospedale. Non toccherò laformazione di coloro che, senzaessere sacerdoti, prestano assi-stenza religiosa come membri delServizio Pastorale, sebbene ciòche dirò sia in buona parte appli-cabile anche a loro. Questa forma-zione merita senza dubbio un’at-tenzione prioritaria perché si trattadi una chiave essenziale per rag-giungere il rinnovamento dei Ser-vizi di Pastorale.

2. Ho considerato i cappellanidel primo mondo di cultura latina,giacché non dispongo di docu-mentazione verificata sulla for-mazione dei cappellani di culturaanglosassone, né del Terzo Mon-do. Limitazione importante, chespero diventi uno stimolo per fu-turi lavori in questo campo dellaformazione.

3. Ho optato per una messa afuoco pratica, che si basa chiara-

mente su una riflessione ed illu-minazione teorica.

4. Le fonti ispiratrici del mio in-tervento sono state i documenti delmagistero della Chiesa sulla for-mazione dei presbiteri, le riflessio-ni e le esperienze sul tema portateavanti dalla Chiesa negli ultimi an-ni e la mia esperienza di cappella-no e Direttore del Dipartimento diPastorale della Salute della Confe-renza Episcopale Spagnola.

2. Necessità ed urgenza della formazione del cappellano

Nella Chiesa, soprattutto a par-tire dal Concilio Vaticano II, laformazione è stata costante e ripe-tuta in tutti i campi e settori. C’èuna chiara coscienza del fatto chela formazione e l’aggiornamentocontinuo sono un’esigenza che ri-guarda tutti coloro che esercitanouna professione, adempiono unincarico o realizzano un lavoro,per essere efficienti ed aggiornati.Nel caso del sacerdote, la forma-zione gli è richiesta ed è espres-sione di fedeltà al suo ministero,del suo amore a Cristo e di un do-vere di giustizia nei confronti delPopolo di Dio che ha diritto al ser-vizio della Parola, dei sacramentie della carità (PVD 72).

Per quanto riguarda i cappella-ni, la necessità della loro forma-zione è richiesta anche per i se-guenti motivi.

1. Il cappellano realizza la suamissione in un’istituzione che hasperimentato una grande evolu-zione. L’ospedale è oggi un’istitu-zione secolarizzata, scientifico-assistenziale, ogni volta più com-plessa e costosa per la quale, pri-ma o poi, passano tutti i cittadini.Deve conoscerla per prestare in

modo efficiente un servizio. Labuona volontà non basta.

2. L’ospedale è un luogo chiaveper la nuova evangelizzazione. LaChiesa ha la sfida e l’opportunitàdi illuminare, con i valori del Van-gelo e della sua ricca tradizione, ilsenso degli avvenimenti fonda-mentali dell’esistenza che si vivo-no nell’ospedale, e contribuire alchiarimento dei gravi problemiumani, sociali ed etici che in essosi presentano. Un mondo così ne-cessita oggi dei testimoni e deimaestri migliori.

3. Il lavoro pastorale nell’ospe-dale moderno non è un compitofacile, esso logora e può maturareo stressare le persone. L’ambientesecolarizzato e tecnologico che viregna, l’indifferenza religiosa, ilpassaggio rapido e il cambiamen-to continuo dei malati da curare, ilsovraccarico di lavoro del perso-nale e del cappellano, il contattogiornaliero con le persone chesoffrono, ecc. esigono preparazio-ne, impegno, realismo, dedizionee cure.

4. La formazione è oggi mag-giormente necessaria ed urgenteperché un considerevole numerodi cappellani non è stato a suotempo preparato e messo in gradodi lavorare per la pastorale nell’o-spedale.

5. Solo una buona formazionepermetterà ai cappellani di acqui-sire la necessaria capacità per col-laborare nel centro con le personee i servizi che si prendono cura delmalato.

3. Fini e contenuti della formazione del cappellano

“Il significato profondo dellaformazione – dice Giovanni Pao-

RUDESINDO DELGADO PÉREZ

V: La formazione dei cappellani

sabato18

novembre

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lo II – è quello di aiutare il sacer-dote ad essere e a svolgere la suafunzione nello spirito e secondolo stile di Gesù Buon Pastore”(PDV 73). La formazione delcappellano non ha come finalitàquella di conferirgli un ruolo,bensì di aiutarlo a crescere e amaturare umanamente e cristiana-mente, a configurare la propriaidentità, e a renderlo in grado diportare avanti in modo efficientela propria missione1.

a. Aiutare a maturare umanamente e cristianamente

Il primo obiettivo della forma-zione è la persona stessa del cap-pellano.

La formazione deve aiutare ilcappellano a conoscere il propriomondo interiore e le proprie risor-se terapeutiche, ad integrare le suedifficoltà e le sue afflizioni, a ri-conciliarsi con la propria morte.

La formazione deve privilegiarenel cappellano la crescita di atteg-giamenti personali maturi giacchél’amore di Dio si comunica spe-cialmente attraverso la testimo-nianza e la manifestazione dellapropria vita.

Tra le qualità che il cappellanodeve coltivare si possono elencareil rispetto profondo per l’altro, ladisponibilità, la comprensione, laconoscenza dei propri doni e deipropri limiti, la capacità di stabili-re un rapporto da persona a perso-na, la flessibilità, la discrezione, ladisposizione a collaborare e a la-vorare in équipe2.

b. Configurare la propria identità di cappellano

“Il presbitero, con la sua pre-senza accanto al malato, è segnodella presenza di Cristo, non solocome ministro dei Sacramenti,ma anche come servitore specialedella sua pace e della sua consola-zione”3.

Come servitore della parola, ilcappellano annuncia la verità delVangelo, applicandola alle circo-stanze concrete della vita dell’o-spedale. Come servitore dei Sa-cramenti, presiede l’Eucarestia ecelebra la Penitenza e l’Unzionedegli infermi (PO 6). Come pasto-re inviato dal vescovo all’ospeda-le, ha la missione di esortare la

fraternità cristiana tra tutti coloroche lavorano nell’ospedale o pas-sano per esso, di creare un grup-po-équipe di pastorale e coordi-narne le azioni, essendo vincolo diunità4.

La formazione deve aiutare ilcappellano a: 1. sentirsi ministrodi Gesù Cristo, sacramento dell’a-more di Dio per l’uomo, ogni vol-ta che è mediatore e strumento vi-vo della grazia di Dio verso gliuomini (PDV 73); 2. maturare lacoscienza che il suo ministero èradicalmente ordinato a convoca-re la famiglia di Dio come frater-nità animata dalla carità e portarlaal Padre per mezzo di Cristo nelloSpirito Santo (PDV 74); 3. far cre-scere in sé la coscienza della pro-pria partecipazione alla missionesalvifica della Chiesa (PDV 75).

L’attenta contemplazione diGesù, della sua vita, delle sue pa-role e dei suoi gesti, del suo mododi affrontare la sofferenza e lamorte, il suo modo di agire e i rap-porti con le persone, specialmentecon i malati, aiuteranno il cappel-lano a configurare la sua identitàdi pastore e il suo stile di presenzaaccanto al malato e a disimpegna-re fedelmente la sua missione nelnome del Signore, come amico eservitore della vita5.

c. Appoggiarlo e perfezionarlo per disimpegnare in modo efficace la sua missione

La formazione non si esauriscein se stessa, ha una finalità pratica:preparare il cappellano per il di-simpegno efficace della sua mis-sione. Dunque, qual è la sua mis-sione e quali sono le sue funzioni?

c.1. Evangelizzare la vita e la salute, la malattia e le cure, la sofferenza e la morte, così come l’assistenza

La formazione deve rendere ilcappellano capace di entrare in undialogo profondo con la culturadel mondo della salute e poter of-frire il senso che il Vangelo, la teo-logia e il magistero danno a temiimportanti come la difesa e la curadella vita; il contenuto umano diuna vera qualità di vita; la salutecome compito responsabile orien-tato alla crescita integrale dellapersona, il senso ecologico dellasalute intesa come armonia con

l’ambiente in cui la vita si svilup-pa; la visione cristiana della cor-poreità e il dominio del corpo; lepossibilità umane e cristiane dellamalattia; il valore umano e cristia-no della donazione di sangue e diorgani; l’esperienza umana e cri-stiana della vecchiaia; il sensoumano e cristiano del morire6.

c.2. Visitare e accompagnare il malato e la sua famiglia nel processo della sua malattia, cura e/o morte

Il malato, e la sua famiglia, è ilcentro privilegiato dell’attenzio-ne, della cura e la preoccupazionepastorale del cappellano. La visitae l’accompagnamento al malatodevono ispirarsi allo stesso atteg-giamento di Gesù ed offrire al ma-lato l’aiuto di cui ha bisogno pervivere con buon senso le diverse

fasi della malattia, per lottare de-gnamente per la propria salute eper accostarsi alla morte con spe-ranza.

La formazione deve aiutarlo aconoscere in profondità il mondointeriore del malato, i suoi biso-gni, particolarmente quelli spiri-tuali e religiosi. Deve inoltre abili-tarlo alla relazione di aiuto pasto-rale che ha come obiettivi:

– comprendere meglio le ne-cessità del malato, accogliere lesue domande, intuire quelle nonespresse, condividere le sue spe-ranze, le sue fatiche e le sue gioie;

– apprendere l’arte dell’ascoltoe della comunicazione;

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101DOLENTIUM HOMINUM N.46/1-2001

– saper iniziare, approfondire econcludere incontri pastorali;

– insegnare a camminare con ilmalato, a seguire e rispettare ilsuo ritmo;

– conoscere le risorse della fe-de cristiana per vivere la malattiae la morte.

Tra i malati ve ne sono alcuniche devono rappresentare la prio-rità per il cappellano: i malati ter-minali, quelli mentali, i malati diAIDS, gli anziani, i malati di altreconfessioni, quelli lontani da casae i malati non credenti. La forma-zione deve preparare il cappella-no all’attenzione pastorale spe-cializzata nei confronti di questimalati.

c.3. Celebrare la vita nei Sacramenti degli infermi: Riconciliazione, Comunione, Unzione e Viatico

La celebrazione dei Sacramentioccupa un posto privilegiato nellamissione del cappellano. La for-mazione deve aiutarlo a compren-dere il significato teologico diogni Sacramento, a curarne convero zelo la celebrazione, discer-nendo a livello pastorale le moti-vazioni del malato, cercando ilmomento opportuno, suscitandola partecipazione attiva del mala-to, spiegando la ricchezza espres-siva di ogni Sacramento, incorag-giando, per quanto possibile, lacelebrazione comunitaria e, so-prattutto, la vicinanza di quei cre-denti, familiari, operatori o volon-tari che stanno accanto a lui “sa-cramentalizzando” con il loro ser-vizio o il loro lavoro la presenzadel Cristo sanante e salvatore7.

c.4. Curare pastoralmente il personale del centro

L’attenzione pastorale rivoltaagli operatori sanitari, in partico-lar modo a quelli cattolici, è unobbligo di primaria importanzache il cappellano a volte trascura.La formazione deve renderlo ingrado di curarli nei loro bisognispirituali e religiosi; aiutarli a sco-prire meglio il senso del loro lavo-ro e il contenuto cristiano del loroservizio sanante, appoggiare i lorosforzi per umanizzare di più l’as-sistenza al malato e condividerecon loro i gravi problemi che sipongono nell’esercizio della pro-fessione. Laddove ci sono religio-

se, il cappellano presterà loroun’attenzione speciale, valoriz-zando la loro presenza come undono e contando sulla loro colla-borazione per le attività del Servi-zio Pastorale8.

c.5. Offrire consulenza etica ai malati, ai familiari, al personale e ai servizi del centro che lo richiedono

Nell’ospedale si vivono giornal-mente i grandi interrogativi dellascienza e si presentano problemietici che riguardano i malati, i lorofamiliari, gli operatori sanitari e idiversi reparti e servizi. La forma-zione aiuterà il cappellano a con-tribuire alla loro comprensione e achiarirli, collaborando nella for-mazione degli operatori ed offren-do la consulenza etica che gli è ri-chiesta, così come parteciperà atti-vamente nei Comitati di Etica As-sistenziale che si stanno svilup-pando negli ospedali9.

c.6. Collaborare nella progressiva umanizzazione dell’assistenza sanitaria

L’umanizzazione dell’assisten-za è una delle grandi preoccupa-zioni, oggi, nel mondo ospedalie-ro. La formazione deve preparareil cappellano affinché possa colla-borare mediante l’apporto dellaforza umanizzatrice dei valorievangelici (compassione, rispetto,aiuto reciproco, solidarietà, gra-tuità, riconciliazione...), lo svolgi-mento umano e competente delleproprie funzioni, l’attenzione ver-so coloro che soffrono maggior-mente gli effetti della disumaniz-zazione, la partecipazione e l’ap-poggio alle azioni che si portanoavanti nell’ospedale per ottenereun trattamento più umano, ecc.10.

c.7. Promuovere un maggiore rapporto con le parrocchie

La comunità cristiana presentein un centro ospedaliero che acco-glie e cura i malati, lo fa comeprolungamento della comunità dadove essi provengono e cui ritor-nano. È necessario perciò un mag-giore rapporto e una maggiorecollaborazione tra entrambi, e an-cora di più tenendo conto che ilsoggiorno dei malati nel centrosarà sempre più breve. La forma-zione aiuterà il cappellano a sco-prire questa necessità e a rompere

l’isolamento che non porta benefi-ci a nessuno11.

c.8. Costruire la comunità cristiana nell’ospedale

Il cappellano ha il compito dicostruire e presiedere la comunitàcristiana nell’ospedale – corpo as-sistenziale di Cristo – nel cui am-bito ogni membro sviluppa il pro-prio carisma e lo mette al serviziodella missione: evangelizzare. Laformazione deve renderlo in gra-do di passare da un lavoro pasto-rale in cui il protagonista è quasiesclusivamente lui, ad una pasto-rale realizzata in comunione e conla corresponsabilità dei membridel Servizio Pastorale, dei cristia-ni che lavorano nell’ospedale, co-sì come dei volontari. Allo stessomodo deve prepararlo ad organiz-zare la pastorale programmata,realizzata e valutata in gruppo incui gli uni e gli altri, rispettando ipropri carismi, si adoperino persuperare gli individualismi12.

4. Caratteristiche della formazione

Ogni formazione ha delle carat-teristiche che la differenziano. De-vono essere scelte quelle che ren-dano più facile il raggiungimentodei suoi fini e dei suoi obiettivi.Tenendo conto di ciò, la formazio-ne specifica e continuata dei cap-pellani deve possedere le seguenticaratteristiche.

– Integrale ed integrata: checomprenda tutte le dimensioni del-la formazione e serva per integrareun’autentica spiritualità, un’accu-rata preparazione umana e teologi-ca e una buona capacità tecnicanella comunicazione e nell’orga-nizzazione.

– Che parta dalla vita (eserci-zio del ministero), la illumini e ri-torni alla vita.

– Teorico-pratica: che coniu-ghi il sapere e l’agire poiché nel-l’agire esprimiamo ciò che appren-diamo e dal nostro agire possiamoapprendere continuamente.

– Attiva e personalizzata: cheil soggetto del processo formativosia realmente il suo protagonista.

– Partecipata e condivisa: chesi coltivi mediante lo studio per-sonale e la riflessione condivisanel gruppo.

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102 SALUTE E SOCIETÀ

– Trasformatrice: che l’aiutosia un fattore di crescita della per-sona e dell’identità del cappella-no, dei suoi atteggiamenti, dellesue conoscenze e delle sue debo-lezze.

– Contestualizzata: che siadatti alle situazioni concrete, alcontesto sanitario in cui i cappel-lani lavorano, alle necessità deidestinatari del ministero.

– Graduale: che sia un proces-so che favorisca una crescita ar-monica, rispettando il ritmo dellepersone ed evitando di bruciare letappe.

– Che abbia Cristo come model-lo, lo Spirito come guida, e i malaticome maestri.

5. Livelli o tappe della formazione

La formazione nella pastoraledella salute comprende vari livelliche si sviluppano nelle tappe suc-cessive.

a. Formazione iniziale dei seminaristi

I suoi obiettivi principali sonodue. 1. Sensibilizzare i seminari-sti alla Pastorale della Salute einiziare a renderli idonei, quandosaranno presbiteri, a disimpegna-re la missione che la Chiesa ha af-fidato loro, quella di “curare consollecitudine i malati e gli agoniz-zanti” (PO 8). 2. Cogliere l’occa-sione delle possibilità che offre ilcontatto con i malati per chiarire,giudicare, rafforzare o modificareun’opzione di vita, cioè la lorovocazione. “La formazione dellaPastorale sanitaria – dice Giovan-ni Paolo II – è per i candidati alsacerdozio un’autentica scuola divita e un mezzo sicuro di maturitàpersonale, poiché si ispira diretta-mente all’esempio di Cristo me-dico”13.

Nei piani di studio non figura laPastorale della Salute come argo-mento specifico, ma le sue temati-che sono presenti in altre materiecome Sacra Scrittura, Cristologia,Sacramenti e Liturgia, Antropolo-gia, Etica filosofica e morale, Pa-storale.

Nella pratica alcuni seminarioffrono una formazione iniziale dibase mediante colloqui, incontri e

corsi brevi, e promuovono espe-rienze pastorali nel campo dei ma-lati: visitarli, portare loro la comu-nione, partecipare a campi di la-voro o volontariato nei periodi divacanza...

In Spagna tutte le estati, dal1995, si tiene un corso teorico-pratico sulla Pastorale della Salu-te, con un’accoglienza eccellentee con una valutazione molto posi-tiva da parte dei candidati.

La formazione iniziale dei se-minaristi in questo campo pasto-rale può essere vivaio per futuricappellani, sempre più necessarise teniamo conto dell’età media,ormai avanzata, di quelli attuali.

b. Formazione specifica dei cappellani

È giusto riconoscere che, negliultimi anni, si sono moltiplicate leiniziative e le attività di carattereformativo; e ciò grazie alla mag-giore coscienza e al maggiore im-pegno dei cappellani, all’impulsoche stanno dando alla formazionei diversi organismi di Pastoraledella Salute e le associazioni deicappellani, alle istituzioni che sistanno creando per la formazionein questa Pastorale, così come alleesigenze formative da parte deicentri ospedalieri.

È anche vero, però, che spessosi vedono sacerdoti inviati negliospedali senza preparazione, e inalcuni casi senza vocazione, e chevengono lasciati alla loro sorte.Ciò si ripercuote negativamentetanto sulla presenza evangelizza-trice della Chiesa nell’ospedale,quanto sugli stessi sacerdoti che sivedono immersi in un mondo sco-nosciuto, che risulta loro quantomeno estraneo e a volte ostile, incui devono portare avanti attivitàper le quali non si sentono prepa-rati. Evidentemente questa situa-zione è grave e bisogna porre ri-medio.

Nei Paesi di cultura anglosasso-ne (Stati Uniti, Canada, Paesi delcentro e del nord Europa, Filippi-ne, ecc.), la formazione specificaè un requisito per poter esercitarecome cappellano e ha delle carat-teristiche che le provengono dalclima socioculturale, dalla sensi-bilità ecumenica e dallo spiritopragmatico. Pongono maggioreenfasi sulla Parola, nel dialogo pa-

storale nell’apprendistato con l’e-sperienza, nella professionalizza-zione del cappellano, nell’apertu-ra alla collaborazione interdisci-plinare e nell’organizzazione delServizio di Pastorale. Utilizzano ilmodello formativo chiamato CPE(Clinical Pastoral Education,Formazione Pastorale Clinica)che intende la formazione comeprocesso costante di crescita in treambiti: personale, essere se stes-so, crescere nella presa di coscien-za degli aspetti deboli e in quelliforti della propria personalità e in-tegrare gradualmente le “zoned’ombra”; professionale, saper fa-re bene il bene; teologico, riflette-re teologicamente sulle proprieesperienze e scoprire le necessitàspirituali delle persone, cercandodi vedere con loro i segni dellapresenza di Dio negli avvenimen-ti umani14.

Nei Paesi di cultura latina (me-diterraneo-europea, e nell’Ameri-ca Latina), la formazione specifi-ca non è un requisito obbligatorioper essere nominato cappellano,ma è un’esigenza cui bisogna dareuna risposta. Il modello formativonon è quello dell’Educazione Pa-storale Clinica, sebbene vada in-corporando – adattate – alcunedelle sue caratteristiche.

Nella Chiesa spagnola abbiamorealizzato un grande sforzo negliultimi anni per la presa di co-scienza e per facilitare la forma-zione dei cappellani. Dopo un’in-dagine in cui sono state segnalatele necessità formative, è stato ela-borato un piano di formazioneche comprendeva il programmadei temi, la celebrazione di uno odue corsi annuali in ambito nazio-nale per riflettere su di essi e ladiffusione di materiale formativoper approfondirli mediante lo stu-dio personale e la riflessione nelleriunioni e negli incontri diocesa-ni. Si iniziò nell’anno 1983 e apartire dal terzo anno, i corsi ven-nero aperti a religiose operanti inambito sanitario e ai laici che ini-ziavano a lavorare nei Servizi diPastorale. Lo sviluppo di ogni te-ma inizia con un’analisi dellarealtà, segue l’illuminazione bi-blica e teologica, e conclude conla risposta pastorale. La metodo-logia coniuga le esposizioni dot-trinali con il lavoro attivo perso-nale e di gruppo. Nel 1987 i ve-

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scovi della Commissione Episco-pale di Pastorale hanno pubblica-to gli “Orientamenti pastorali sul-l’assistenza religiosa nell’ospeda-le”, che hanno segnato positiva-mente lo sviluppo della pastoraleospedaliera.

c. Formazione permanente dei cappellani

La formazione permanente, tragli altri, ha i seguenti obiettivi.

1. Offrire un aiuto reciprocomediante la comunicazione delleproprie esperienze e riflessioni.

2. Far fronte ai rischi che com-porta l’operato pastorale nell’o-spedale: routine, stanchezza inte-riore, attivismo esagerato, ecc.

3. Aggiornarsi su quegli aspettie temi formativi in modo da essereprecisi.

Si porta avanti attraverso lo stu-dio personale e la partecipazione ariunioni periodiche, giornate distudio, seminari o corsi, esperien-ze vissute insieme, esercizi spiri-tuali, in attività della formazionepermanente del clero, ecc.

Attualmente si dispone di mez-zi diversi:

– Riviste specializzate comeDolentium hominum, Aumôniersd’Hôpitaux, Insieme per servire,Labor Hospitalaria, Camillia-num, Horizonte médico, Selare,ecc.

– Bibliografia abbondante e diqualità sui diversi temi di Pastora-le della Salute.

d. Formazione dei formatori

La domanda crescente di for-mazione e il miglioramento dellasua qualità richiedono specialistiben formati in Pastorale della Sa-lute. Oggi esistono istituzioni ade-guate a tal fine. Tra di esse si di-stingue l’Istituto Internazionale diTeologia Pastorale Sanitaria “Ca-millianum”. È un centro dei PP.Camilliani, approvato dalla SantaSede nel 1987, di formazione teo-logica e di pratica pastorale per ilmondo della salute, i cui risultatigià si percepiscono nelle nostreChiese locali. Conferisce i gradiaccademici (Licenza e Dottoratoin Teologia pastorale sanitaria) econ le sue diverse attività contri-buisce al sorgere di una nuovacultura della vita per fare del cam-

po sanitario il luogo privilegiatodell’evangelizzazione. È il primoe sino ad ora unico Istituto supe-riore teologico di questo genere.

6. Alcune proposte

La formazione dei cappellani èun compito e una responsabilitàdei cappellani, così come degli or-ganismi della Chiesa che si occu-pano di Pastorale della Salute nel-le diocesi, nelle Conferenze Epi-scopali e nella Santa Sede. Vorreipresentare, dopo le precedenticonsiderazioni, alcune proposteconcrete.

1. Realizzare uno studio profon-do sulla situazione attuale dellaformazione dei cappellani.

2. Creare un servizio che stimo-li la collaborazione e il coordina-mento delle diverse istituzioni le-gate alla formazione degli opera-tori di Pastorale della Salute e chedia impulso e faciliti l’interscam-bio di esperienze formative, pro-grammi, documentazione ed altrimezzi di tipo formativo.

3. Dare maggior rilevanza neipiani di formazione dei seminariai contenuti teorici e pratici dellaPastorale della Salute.

4. Sollecitare e facilitare la for-mazione iniziale e continuata deicappellani e di tutto il personaledel Servizio Pastorale, e sostenerlinello svolgimento della loro mis-sione.

5. Appoggiare la creazione discuole, centri di formazione di Pa-storale della Salute e di altre ini-ziative destinate alla preparazione

dei cappellani e degli altri opera-tori di Pastorale.

6. Stimolare permanentementela riflessione teologico-pastoralesugli avvenimenti fondamentaliche si vivono nel mondo sanitario:salute, malattia, sofferenza, mor-te, assistenza, cure, questioni digiustizia, ecc. coinvolgendo bibli-sti, teologi, catechisti e specialistidi Pastorale, così come gli opera-tori sanitari laici, le associazionidi malati e altri esperti.

7. Promuovere con decisioneServizi di Pastorale integrati persacerdoti, religiosi e laici che la-vorino in équipe, apportando laricchezza e la complementaritàdei propri carismi.

8. Costituire un’AssociazioneInternazionale di Cappellani.

Spero e mi auguro che questeproposte diventino presto una feli-ce realtà, con lo sforzo e la colla-borazione di tutti, affinché i Servi-zi di Pastorale negli ospedali sia-no Servizi qualificati, ecclesiali,coordinati con gli altri Servizi delcentro e con la pastorale dellaChiesa.

Termino con le parole che unamico sacerdote ha pronunciatoper la morte di una malata che eglicurò pastoralmente.

“Ieri, quando ti ho salutato... ri-cordi?, hai stretto le tue mani nel-le mie. Io ti ho detto: ‘Le sentomolto fredde’. E tu mi hai rispo-sto: ‘È lei che ha sempre le manicalde. Lei è il pastore’. Senza sa-perlo, mi hai dato una delle defini-zioni più belle del sacerdozio. Es-sere sacerdote significa ‘averesempre le mani calde’. Significa,in mezzo ad un mondo egoista,portare calore a tante persone chemuoiono di freddo per mancanzadi amore. Tu stessa sei morta ren-dendo grazie a Dio per esserti sen-tita circondata, sino alla fine, dal-l’amore dei tuoi.

“Congedandomi ti ho detto:‘Arrivederci!’. E tu mi hai rispo-sto: ‘Arrivederci all’altra vita!’. Ein mezzo alla mia sorpresa e almio stupore, alzasti il tuo bracciodestro, facesti tre croci in aria e midesti la tua benedizione. Uscii dal-la tua casa con gli occhi gonfi dilacrime. Non potrò dimenticaremai questa benedizione tanto sor-prendente e inaspettata. La por-terò sempre nel mio cuore come

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una reliquia preziosa, perché que-sta benedizione mi ricorda che ilmio ufficio di sacerdote è benedi-re tutti, perdonare, servire, adope-rarmi per gli altri... e portare nellemie mani la fiamma sempre acce-sa di un amore sincero e disinte-ressato”.

D. RUDESINDO DELGADO PÉREZConsulente Ecclesiastico Nazionale

dell’Associazione di Operatori SanitariPROSACSPAGNA

Note1 COMISIÓN EPISCOPAL DE PASTORAL, La

asistencia religiosa en el hospital, Edice,Madrid 1987, n° 178.

2 COMISIÓN EPISCOPAL DE PASTORAL, o.c.,n° 179.

3 Ritual de la Unción y de la Pastoral deEnfermos, Orientaciones doctrinales y pa-storales del episcopado español, n° 57.

4 COMISIÓN EPISCOPAL DE PASTORAL, o.c.n° 147.

5 Cfr. per le questioni di base il Seminariodi studio su “L’identità del Cappellano Catto-lico nella Pastorale della Salute e la Sanità al-le soglie del Terzo Millennio” organizzato dal

Pontificio Consiglio per la Pastorale della Sa-lute e celebrato a Roma il 22-23 novembre del1999 in Dolentium hominum, n° 44, 2000/2.

6 DEPARTAMENTO DE PASTORAL DE LA SA-LUD, Congreso Iglesia y Salud, Edice, Ma-drid 1995, p. 175.

7 DEPARTAMENTO DE PASTORAL DE LA SA-LUD, o.c., p. 165.

8 DEPARTAMENTO DE PASTORAL DE LA SA-LUD, o.c., p. 166.

9 COMISIÓN EPISCOPAL DE PASTORAL, o.c.,n° 120 e ss.

10 COMISIÓN EPISCOPAL DE PASTORAL, o.c,nn° 135-136.

11 DEPARTAMENTO DE PASTORAL DE LA SA-LUD, o.c., pp. 167.

12 DEPARTAMENTO DE PASTORAL DE LA SA-LUD, o.c., 164.

13 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’As-semblea Plenaria del Pontificio Consiglioper la Pastorale degli Operatori Sanitari,Roma 9/2/90.

14 PANGRAZZI A., Girasoles junto a saucesSal Terrae, Santander 1999, 61-62.

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