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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA SCUOLA DI SPEC.NE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO Fisico-Informatico-Matematico CLASSE A047 SEDE Bologna Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese UN’ ESPERIENZA DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO DELLA MATEMATICA IN UNA CLASSE SECONDA DI UN LICEO SCIENTIFICO: EQUIVALENZE TRA FIGURE PIANE TESI DI SPECIALIZZAZIONE Presentata dalla Dott.ssa Il Supervisore Veronica Alessandrella Prof. Fabrizio Monari Relatore Chiar.mo Prof. Bruno D’Amore Anno accademico 2006/2007

SCUOLA DI SPEC - Liceo Scientifico Enrico Fermi · UN’ ESPERIENZA DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO DELLA MATEMATICA . IN UNA CLASSE SECONDA DI UN LICEO SCIENTIFICO: EQUIVALENZE TRA

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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA

SCUOLA DI SPEC.NE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO Fisico-Informatico-Matematico CLASSE A047 SEDE Bologna

Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese

UN’ ESPERIENZA DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO DELLA MATEMATICA IN UNA CLASSE SECONDA DI UN LICEO SCIENTIFICO:

EQUIVALENZE TRA FIGURE PIANE

TESI DI SPECIALIZZAZIONE Presentata dalla Dott.ssa Il Supervisore Veronica Alessandrella Prof. Fabrizio Monari

Relatore Chiar.mo Prof.

Bruno D’Amore

Anno accademico 2006/2007

Indice Introduzione............................................................................................................. 1 Capitolo 1 - Il quadro teorico - didattico ................................................................. 3

1.1 Approccio cognitivista................................................................................... 3 1.2 Registri e rappresentazioni ............................................................................ 5

1.2.1 Gestione registri semiotici ...................................................................... 6 1.2.2 Aspetti figurali e concettuali .................................................................. 7 1.2.3 Immagini mentali.................................................................................... 9

1.3 Forme di conoscenza ................................................................................... 10 1.3.1 L’intuizione .......................................................................................... 10 1.3.2 La dimostrazione .................................................................................. 12

1.4 Il linguaggio................................................................................................. 14 1.5 Il laboratorio ................................................................................................ 16

Capitolo 2 - L’esperienza in classe........................................................................ 19 2.1 Fase 1: conoscenza della classe ................................................................... 19 2.2 Fase 2: introduzione al concetto di equiestensione ..................................... 21 2.3 Fase 3: i teoremi belli! ................................................................................. 23 2.4 Fase 4: il laboratorio .................................................................................... 30 2.5 Fase 5: la verifica......................................................................................... 32

2.5.1 Il linguaggio......................................................................................... 33 2.5.2 Osservazione dei disegni ..................................................................... 34 2.5.3 La dimostrazione ................................................................................. 36

Capitolo 3- La valutazione .................................................................................... 39 3.1 Valutazione dell’azione didattica in aula..................................................... 40

3.1.1 Utilizzo strumenti didattici ................................................................... 40 3.1.2 Coinvolgimento classe.......................................................................... 40

3.2 Valutazione segmento curricolare ............................................................... 41 3.3 Valutazione del lavoro svolto dagli studenti ............................................... 42

Conclusioni............................................................................................................ 49 Bibliografia............................................................................................................ 51 Allegato n. 1 - Progetto di tirocinio..................................................................... 55 Allegato n. 2 - Analisi del testo di un problema.................................................. 81 Allegato n. 3 - Schemi delle lezioni .................................................................... 85 Allegato n. 4 - Test iniziale ................................................................................. 91 Allegato n. 5 - Introduzione all’equiestensione................................................... 93 Allegato n. 6 - Il gioco del tangram..................................................................... 95 Allegato n. 7 - Congruenza, equiestensione ed equiscomponibilità.................... 97 Allegato n. 8 - Macro Cabrì................................................................................. 99 Allegato n. 9 - Assegnazione di un problema insolito....................................... 101 Allegato n. 10 - Alcuni problemi proposti........................................................... 103 Allegato n. 11 - Svolgimento del primo problema .............................................. 105 Allegato n. 12 - Svolgimento del secondo problema .......................................... 107 Allegato n. 13 - Un altro svolgimento del secondo problema............................. 109 Allegato n. 14 - La verifica finale: fila 1 ............................................................. 111 Allegato n. 15 - La verifica finale: fila 2 ............................................................. 113 Allegato n. 16 - Il punteggio assegnato a ciascun quesito della verifica finale... 115 Allegato n. 17 - I TEPs proposti.......................................................................... 117 Allegato n. 18 - Il cartellone finale...................................................................... 119

Introduzione L’amore per una disciplina, il suo studio approfondito sono fattori

essenziali per il raggiungimento del titolo di laurea. Essi tuttavia costituiscono un patrimonio necessario, ma non più sufficiente per un buon insegnante, giacché nell’insegnamento l’attenzione si sposta dal voler acquisire competenze al far acquisire le stesse.

Un insegnante di Matematica necessita dunque non solo di forti competenze disciplinari ma anche, in uguale misura, di una conoscenza approfondita della Didattica della Matematica, “disciplina di ricerca che studia le condizioni dell’apprendimento in situazioni reali d’aula (…) quando il traguardo cognitivo in gioco è specifico della Matematica” (D’Amore, Fandiño Pinilla, 2003).

Solo una simile formazione può aiutare l’insegnante ad interpretare correttamente gli eventi dell’aula, quando i poli della terna insegnante-allievo-sapere interagiscono tra di loro.

Di tale disciplina avevo una conoscenza prettamente teorica, essendo il tirocinio attivo la mia prima vera esperienza in campo didattico.

Parafrasando Confucio, l’esperienza è una lampada appesa dietro alla schiena che illumina soltanto la strada già fatta. Mi attendeva quindi un percorso alquanto buio, per la cui copertura l’unica “bussola” a mia disposizione era rappresentata da quanto appreso nei due anni di specializzazione.

E’ stato il tirocinio a farmi comprendere l’importanza rivestita dall’ingegneria didattica1 nell’insegnamento. L’obiettivo che mi sono quindi posta, nella stesura della tesi, è appunto quello di testimoniare come un’analisi ed una progettazione attente della lezione siano essenziali per l’apprendimento dei ragazzi. Con questo non si intende sminuire il ruolo fondamentale rivestito dall’esperienza dell’insegnante, ma, proprio come comunemente accade in ogni ambito lavorativo, anche nell’insegnamento non è possibile pensare all’ingresso in aula senza aver effettuato un’analisi

1 Il termine ingegneria didattica indica un insieme di sequenze di classe concepite, organizzate ed articolate nel trascorrere del tempo in forma coerente da parte dell’insegnante-ingegnere allo scopo di realizzare un progetto di apprendimento per una certa popolazione di allievi (Douady- L’ingégnerie didatique. Cahier de DIDIREM, 19 Paris

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a priori e, dopo l’attuazione del “progetto”, un’analisi a posteriori dei risultati conseguiti.

Il presente lavoro, partendo dall’esperienza di tirocinio maturata in una classe del secondo anno di liceo scientifico sulla tematica dell’equivalenza tra figure piane, si sviluppa in tre capitoli: il primo considera il quadro teorico-didattico considerato nella

stesura e successiva realizzazione del progetto; il secondo, attraverso la descrizione degli avvenimenti salienti,

cerca di fornire una visione completa delle modalità con le quali è stato attuato il tirocinio e delle riflessioni che ne sono scaturite; il terzo è riservato ad un’attenta e partecipata valutazione del

lavoro svolto.

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Capitolo 1 - Il quadro teorico - didattico E’ opinione comune che la geometria, ed in particolare quella del biennio

delle scuole superiori, sia costituita esclusivamente da un insieme di teoremi e dimostrazioni. Tale impianto è tuttavia l’approdo di un percorso già iniziato alla scuole medie, ove allo studente è richiesto uno studio operativo basato sull’intuizione e sull’applicazione di regole. Le conoscenze geometriche sono cioè un insieme di “fatti” e di “regole” da ricordare all’occorrenza, ma non necessitanti di ulteriori spiegazioni. E’ dunque con il passaggio alle superiori che ai ragazzi viene proposto un metodo essenzialmente deduttivo.

Pur svolgendo il tirocinio in una classe del secondo anno, come tale già avviata all’uso del predetto metodo fin dal precedente anno del corso di studi, sono emerse perduranti difficoltà da parte degli studenti nell’affrontare uno studio della disciplina improntato al differente approccio deduttivo caratteristico del corso.

A tale difficoltà ero preparata, avendo avuto modo di confrontarmi con un’ampia letteratura sull’argomento, sia ai fini del superamento di alcuni esami del corso di specializzazione sia per acquisire strumenti utili all’interpretazione degli episodi che avrei presumibilmente vissuto in aula. Proprio all’accennato fine interpretativo quindi ho cercato di utilizzare l’ampio quadro teorico-didattico della Didattica della Matematica.

1.1 Approccio cognitivista La scelta di considerare in primo luogo l’aspetto formativo per lo

studente non è stata casuale. La stesura stessa del progetto è stata subordinata ad una riflessione circa

le teorie sull’apprendimento. Condividere un approccio costruttivista piuttosto che uno comportamentista avrebbe caratterizzato inequivocabilmente il lavoro. La scelta andava dunque fatta a priori!

Se in una visione costruttivista l’allievo diventa costruttore della propria conoscenza attraverso l’interazione con l’ambiente, in quella comportamentista l’apprendimento è visto come un fenomeno riproduttivo, un processo esogeno. In quest’ultima ottica, l’insegnamento si basa

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sull’esposizione alla lavagna ed agli studenti è richiesta la riproduzione di quanto esposto.

Solo sposando una visione costruttivista, a mio avviso, si ha la speranza che la matematica non venga più vista come una disciplina arida, bensì come una disciplina viva in cui all’allievo viene offerto un ruolo da protagonista, invitandolo a pensare in modo razionale, a porsi domande ed a cercare di rispondere senza preoccuparsi delle soluzioni offerte dalla matematica ufficiale.

La base teorica da cui sono partita quindi nella stesura del mio progetto può essere sintetizzata nell’idea secondo la quale: “L’istruzione influenza ciò che l’allievo apprende, ma non determina tale apprendimento. L’allievo, cioè, non si limita a recepire passivamente la conoscenza, ma la rielabora costantemente in modo autonomo” ( D’Amore, 1999).

In quest’ottica, l’allievo, messo in condizioni adeguate, riesce a costruire, in modo attivo, una propria conoscenza, interagendo con l’ambiente (primo “assioma” teoria costruttivista) ed organizzando poi le sue costruzioni mentali (secondo “assioma”). In particolare, nel processo di costruzione del concetto, è essenziale l’interazione fra i soggetti in apprendimento (l’ambiente viene esteso alla classe, ai piccoli gruppi di lavoro), mentre quest’ultimo trova le condizioni ottimali per realizzarsi in una zona di sviluppo potenziale, collocata tra il livello di risoluzione autonoma di problemi e quello di risoluzione mediante l’aiuto di un adulto.

In ambito geometrico condividere una teoria costruttivista ha implicato la rinuncia a lezioni articolate in una sequenza di teoremi e dimostrazioni proposte alla lavagna. Una simile impostazione infatti non avrebbe di certo stimolato processi di assimilazione, rielaborazione ed appropriazione endogena. Le lezioni, viceversa, sono state organizzate in modo tale che l’allievo potesse, dopo un’esperienza concretamente vissuta (tangram, quesiti posti sotto forma di rompicapo, laboratorio informatico), elaborare congetture, argomentarle e formalizzarle, giungendo così all’enunciato di un teorema.

Un approccio costruttivista è stato seguito non solo nella speranza di una “riappacificazione” dell’allievo con la matematica, ma con la ragionevole convinzione che esso potesse aiutare lo sviluppo ed il raffinamento delle capacità di ragionamento del ragazzo, indispensabili per il suo futuro accesso nella società (effetto meno immediato, ma certo più importante).

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Nella seguente tabella si è cercato di schematizzare per ciascuna attività, i contenuti geometrici che ad essa sono correlati (Arrigo, 2001):

Competenza Sviluppo in Geometria Analisi Interpretazione di una figura geometrica Sintesi Impostazione di un iter risolutivo, la traduzione in

termini matematici di un testo scritto in lingua Riflessione metacognitiva

Riflessione sui procedimenti adottati per la risoluzione di un problema , in particolar modo di quelli che hanno portato al successo

Intuizione Capacità divergente non acquisibile con lo studio ma sicuramente raffinabile attraverso esso

Invenzione Capacità sviluppabile chiedendo ai ragazzi di inventare nuovi problemi, rappresentare in modo differente un oggetto matematico

1.2 Registri e rappresentazioni La realizzazione di un tirocinio in geometria ha imposto la riflessione su

argomenti chiave quali il rapporto fra semiotica e noetica, la distinzione fra disegno e figura, la costruzione di immagini mentali, alla luce delle possibili misconcezioni2 che ne possono scaturire.

Al fine di una compiuta esposizione dell’accennata riflessione, occorre precisare anticipatamente che per oggetto istituzionale/personale matematico si intende “un emergente del sistema di pratiche sociali/personali associate ad un campo di problemi” (Godino, Batanero, 1994).

Si comprende quindi come uno stesso oggetto possa assumere un significato istituzionale ed uno personale differenti fra loro.

L’odierno processo didattico si pone come obiettivo quello di far coincidere il significato personale con quello che la comunità scientifica ha accettato come pertinente e corretto.

2 “Una misconcezione è un concetto errato e dunque costituisce genericamente un evento da evitare; essa

però non va vista sempre come una situazione del tutto negativa: non è escluso che per raggiungere la costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, ma in corso di sistemazione”. (D’Amore 1999)

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Poiché ogni concezione è in evoluzione storico-critica perenne, è impossibile valutare il raggiungimento di questo limite; sarebbe quindi più corretto parlare di oggetto acquisito dalla comunità scientifica fino ad ora. “L’oggetto è qualche cosa di ideale, di astratto, punto culminante di un processo perennemente in atto, del quale abbiamo solo un’idea limitata all’evoluzione storica ed allo stato attuale” (Bagni, D’Amore, 2005).

1.2.1 Gestione registri semiotici

Un aspetto importante delle misconcezioni in geometria riguarda le

diverse rappresentazioni degli enti primitivi ed in generale di tutti gli “oggetti” geometrici.

A tale proposito pare inevitabile fare riferimento alla teoria proposta da Duval, secondo la quale l’acquisizione concettuale di un oggetto passa necessariamente attraverso l’acquisizione di una o più rappresentazioni semiotiche.

Le rappresentazioni mentali, secondo Duval, sono il risultato di un processo di interiorizzazione delle rappresentazioni semiotiche. La disponibilità di più sistemi semiotici permette differenti rappresentazioni di uno stesso oggetto, il che arricchisce le capacità cognitive dei soggetti e le loro rappresentazioni mentali. Riflettendo sull’affermazione di Duval secondo cui “non c’è noetica senza semiotica”, è possibile puntualizzare quanto segue: ogni concetto matematico ha rinvii a “non oggetti” e dunque la

concettualizzazione non si basa sulla realtà concreta; ogni concetto matematico deve servirsi di rappresentazioni, non

esistendo “oggetti” utili a manifestarli; la concettualizzazione deve necessariamente passare attraverso registri rappresentativi che, soprattutto se sono a carattere linguistico, non sono univoci; in matematica si parla molto più spesso di “oggetti” che non di

“concetti” in quanto in matematica si studiano preferibilmente oggetti piuttosto che concetti3.

Da tali riflessioni si intuisce che l’attenzione non va posta tanto sul concetto, quanto sulla coppia (segno, oggetto) ed è per tale motivo

3 D’Amore B. Le basi filosofiche, pedagogiche, epistemologiche e concettuali della Didattica. Pitagora Bologna

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didatticamente importante soffermarsi sui segni utilizzati nella rappresentazione dell’oggetto matematico.

Ridurre il segno ai simboli convenzionali che individuano direttamente l’oggetto può portare a misconcezioni, in quanto l’alunno sarà indotto a confondere gli oggetti matematici con le loro rappresentazioni semiotiche. La costruzione della conoscenza matematica è legata alla capacità di utilizzare differenti registri di rappresentazione semiotica di un concetto ovvero alla capacità di rappresentare l’oggetto in un certo registro, di trattare le informazioni ricavate e di convertirle da un dato registro ad un altro4.

La pluralità di registri permette all’allievo non solo di distinguere fra l’oggetto stesso e la sua rappresentazione, ma anche di ottenere un numero esaustivo di informazioni sull’oggetto. Infatti ciascuna rappresentazione può fornire informazioni differenti sullo stesso oggetto, evidenziando ciascuna un aspetto dello stesso. Una corretta gestione dei registri semiotici è un aspetto da considerare costantemente non solo in riferimento alle misconcezioni, ma anche per evitare che l’allievo rinunci alla devoluzione5.

Tale rinuncia potrebbe scaturire da una difficoltà di rappresentare, trattare, convertire le varie rappresentazioni semiotiche della quale l’allievo potrebbe farsi pieno carico, ma che al contrario potrebbe dipendere dall’assenza di una didattica specifica. Di fronte a simili difficoltà il ragazzo potrebbe decidere di delegare alla scuola il compito di selezionare per lui i saperi significativi (scolarizzazione dei saperi), rendendo impossibile l’attuazione di un approccio costruttivista.

1.2.2 Aspetti figurali e concettuali

Oltre alla gestione dei differenti registri semiotici, nello studio della

geometria, occorre considerare anche le misconcezioni frutto di uno squilibrio fra componente concettuale e figurale di un determinato oggetto geometrico.

Una figura geometrica può essere sì descritta con proprietà concettuali, ma non può limitarsi ad esse, includendo anche rappresentazioni mentali di

4 Rappresentazione, Trattamento, Conversione sono caratteristiche proprie della semiotica 5 Per “devoluzione” si intende l’atto con il quale l’insegnante delega allo studente di farsi carico diretto della responsabilità della costruzione del proprio sapere. Quando l’allievo accetta l’apprendimento è possibile; in altri casi lo studente non accetta di impegnarsi personalmente, ed allora l’apprendimento è impossibile.

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proprietà spaziali6. Le figure geometriche, quindi, rappresentano costruzioni mentali che possiedono simultaneamente proprietà concettuali e figurali. Vincoli psicologici impediscono l’integrazione fra proprietà spaziali (forme, posizione, grandezze) e qualità concettuali (astrattezza, generalità, perfezione). Ciononostante la loro armonizzazione deve essere fra gli obiettivi didattici di un insegnante. Quest’ultimo deve aver presente che la “fusione fra concetto e figura”, con la predominanza dei primi sui secondi, non è un processo naturale e necessita quindi di una particolare att

a troppo forte e porti a cancellare gli indispensabili vin

ecifica rappresentazione grafica, vale a dire il disegno della fig

in posizioni dif

ntale che lo studente si è costruito in rel

no di una figura geometrica: percettiva, sequenziale, dis

enzione. La rappresentazione figurale è ciò che contraddistingue i concetti

geometrici da altri concetti matematici, ma la sola rappresentazione figurale non è sufficiente per la formazione del concetto geometrico; solo con un atto mentale, un disegno può essere interpretato e può arrivare a condividere con il concetto che rappresenta anche la generalità (D’Amore, 1999). Se ciò non avviene, c’è il rischio che la rappresentazione iconica venga identificata con il concetto geometrico (D’Amore, 2003), ossia che l’aspetto figurale si

coli concettuali. La confusione fra “figura” e “disegno” è assai diffusa: spesso il termine

figura viene utilizzato sia per indicare l’ente matematico astratto ed ideale sia una sua sp

ura stessa. Credo che tale confusione abbia indotto in errore alcuni studenti quando,

nella risoluzione del test iniziale, non hanno riconosciuto alcuni quadrilateri particolari (parallelogrammo, trapezio) solo perché disegnati

ferenti da quelle usualmente rappresentate nei libri di testo. E’ bene quindi sottoporre sempre il disegno ad un controllo concettuale

al fine di comprendere il modello meazione ad un concetto geometrico. Riflettendo sull’importanza del disegno, non è possibile non considerare

le quattro forme di comprensione cognitiva collegate al modo in cui una persona guarda il diseg

corsiva e operativa.

6 La tematica sull’armonizzazione degli aspetti figurali e concettuali è stata introdotta da Efraim Fischbein nel 1963, affermandosi solo più tardi con un importante articolo dello stesso, pubblicato nel 1993

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La comprensione percettiva riguarda ciò che una persona riconosce a una prima occhiata quando guarda una figura geometrica; la componente sequenziale viene coinvolta per descrivere la costruzione di una figura; quella discorsiva fa riferimento alle proprietà matematiche assegnate o ric

ile lavoro educa gli studenti a gu

a, avendo inizialmente interpretato il disegno fatto alla lavagna come un unico qu ione di n figure differenti fra loro.

i mentali. L’insieme di

flitto cognitivo. Esso si verifica all

to

avate da altre proprietà; quella operativa infine dipende dai diversi modi di modificare una figura.

La prima fase, quella percettiva, assume fondamentale rilievo quando si esamina l’aspetto figurale. Essa implica la costruzione di un’immagine interna a partire da stimoli esterni. Tale rappresentazione figurale è estremamente soggettiva ed è importante evidenziare nel corso di una lezione, la varietà di interpretazioni e gli “inganni” che si possono celare nelle rappresentazioni iconiche. Un sim

ardare con occhio critico l’aspetto figurale conferendo maggiore importanza a quello concettuale.

Ho potuto constatare durante il tirocinio, quanto la prima “interpretazione” che il ragazzo attribuisce al disegno, influenzi poi il successivo svolgimento del relativo esercizio. E’ capitato, infatti, che i ragazzi incontrassero difficoltà nell’esecuzione di un problem

adrilatero e non come l’un

1.2.3 Immagini mentali

L’elaborazione di dati, figurali o proposizionali, che l’individuo ha

acquisito su un determinato concetto, accompagnata dalle esperienze personali e dalle influenze culturali, dà vita ad immagin

tutte le immagini mentali che uno studente ha costruito in relazione ad uno stesso concetto costituiscono un modello mentale.

E’ importante comprendere le immagini mentali che un ragazzo sta costruendo per evitare un eventuale con

orquando, nelle successive sollecitazioni, il modello venutosi a creare entra in contrasto con le nuove immagini.

L’esplicitazione di tali modelli non è una cosa semplice né immediata. Ogni qualvolta infatti una persona tenta di comunicare il proprio modello mentale relativo ad un concetto, lo traduce in un modello esterno. Ques

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rap

senta l’immagine mentale che egli si è costruito, ma so

al ragazzo di svincolarsi più facilmente dall’idea dell’insegnante valutatore e di esprimere con maggiore libertà la pro

a quale fosse il giusto approccio da utilizzare, qu

della matematica, il dilemma è usualmente approdato alla scelta fra il privilegiare l’intuizione ovvero la rigidità del binomio definizione/dimostrazione.

one come forma di conoscenza trova le

zione. L’intuizione di accettazione, invece, è costituita

presenta “la proposta comunicativa consapevole in una qualche forma di linguaggio, proposta fatta per necessità di comunicare” (D’amore, 1999).

L’insegnante, quindi, deve essere consapevole che un’esposizione dello studente non rappre

ltanto una sua traduzione, condizionata peraltro dalle clausole del contratto didattico.

Alla luce di quanto detto, ho deciso, al termine del mio tirocinio, di assegnare ai ragazzi alcuni TEPs, in considerazione del fatto che tale tecnica di indagine consente

pria immagine mentale.

1.3 Forme di conoscenza Tutte le lezioni di tirocinio, come era naturale che fosse, sono state

precedute da uno studio dell’argomento da trattare. La domanda che mi sono costantemente posta er

ale strumento aiutasse i ragazzi a comprendere ed in futuro a padroneggiare l’argomento.

Guidata da un’ampia letteratura in materia di didattica

1.3.1 L’intuizione

Com’è noto la riflessione sull’intuizisue origini in tempi remoti nel campo filosofico ed è rinvenibile già negli

scritti di Platone ed Aristotele. In campo psicologico, Fischbein affida all’intuito uno dei tre livelli7

caratterizzanti qualsiasi attività in campo matematico. In particolare, egli distingue fra l’intuizione di anticipazione e quella di accettazione. La prima può essere identificata in una sorta di congettura preliminare che precede la vera e propria risolu

7 Livello formale riguarda la struttura logico deduttiva della disciplina Livello algoritmico riguarda gli strumenti utilizzati (operazioni, definizioni, teoremi) Livello intuitivo riguarda la dinamica che porta il ragazzo ad accettare un enunciato come cosa evidente e certa.

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da

o sempre “un ele

inzioni.

costruzione bisogna prestare la dovuta attenzione, in quanto non se

finalità pe

in classe con l’u

e quindi l’intuizione permette di “vedere” un determinato concetto, di convincersi della sua universalità, quale finalità ha la dimostrazione?

un insieme di rappresentazioni, relazioni, interpretazioni che lo studente considera evidenti.

Per Fischbein le intuizioni di accettazione contengonmento di fede”, un atto di fiducia verso il libro, l’insegnante (grado di

fiducia banale), verso le proprie competenze o convAd ogni modo tali intuizioni nascono da un’elaborazione interna della

persona e non da forme di convincimento esterne. Le conoscenze umane possono quindi essere suddivise in conoscenze

immediate e conoscenze mediate. Solo le prime scaturiscono tuttavia dall’intuizione, mentre per le seconde l’essere umano cerca una forma di evidenza, le rielabora per cercare di trasformarle in conoscenze vicine a quelle prodotte dalle intuizioni. A livello matematico il tentativo della persona di associare significati intuitivi a concetti astratti, genera modelli. In questa

mpre il modello intuitivo rende piena ragione del concetto da cui è scaturito.

L’intuizione va quindi “guidata”, facendo anche uso di diagrammi, schemi che fissino in qualche forma, da subito, il concetto intuitivo anche senza ricorrere ad ulteriori spiegazioni. Essa va educata e stimolata, rivestendo una notevole importanza in una fase, antecedente alla dimostrazione, costituita da congetture, tentativi che via via si perfezionano. Questa attività preliminare è affidata alla capacità di intuizione, prima ancora che di organizzazione razionale della dimostrazione, ed è di fondamentale importanza nella persuasione dell’alunno. Tale

rsuasiva non può essere lasciata alla sola dimostrazione che, come osservato da Speranza (1992), “non dà il massimo convincimento”.

Alla luce di tali riflessioni, ho cercato nelle varie lezioni di anteporre sempre alla dimostrazione attività che consentissero ai ragazzi di maturare opinioni e successivamente di convincersi di quanto enunciato. Le attività svolte in laboratorio informatico, piuttosto che quelle svolte

so del tangram, sono servite sia a sollecitare l’interesse degli alunni sull’argomento sia a “rendere visibile” le proprietà enunciate.

S

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1.3.2 La dimostrazione

“Siamo stati educati nell’ideale aristotelico-euclideo nel quale la

matematica viene presentata secondo lo schema enunciati-dimostrazioni. Siamo arrivati a far coincidere con questo stile la sostanza della razionalità matematica”(Speranza, 1992).

Basta sfogliare un qualsiasi testo di matematica per convincersi che l’affermazione appena enunciata risulta ancor oggi fondamentale nell’impostazione dei corsi di matematica.

La visione dello studio matematico come sequenza di teoremi e dimostrazioni è ancor più evidente nell’ambito geometrico. Di certo nessuno può negare l’importanza delle dimostrazioni ma è altrettanto impensabile perseguire una loro impostazione puramente formalistica nella quale cioè lo studente funge da spettatore senza essere coinvolto sul piano della sua produzione, e della riflessione su cosa si intenda per “dimostrare”. Un simile approccio renderà l’allievo capace di ripetere la dimostrazione proposta dall’insegnante ma non di produrne delle proprie in modo autonomo.

Affinché il ragazzo acquisisca padronanza nello svolgimento della dimostrazione occorre altresì considerare il passaggio cognitivo da una forma di ragionamento naturale (adottato fino alle scuole medie) ad una deduttiva. Nell’introduzione al nucleo fondante “Argomentare, Congetturare, Dimostrare”, presente in ‘La matematica per il cittadino’(UMI 2003), si ribadisce la necessità, nelle scuole superiori, di “supportare gli studenti nell’evoluzione che li porta dall’argomentare al dimostrare”, mettendo così in evidenza l’importanza e la difficoltà insite in tale passaggio.

Per comprendere tale difficoltà è importante sottolineare la differenza che intercorre tra la spiegazione, l’argomentazione e la dimostrazione. La spiegazione fornisce uno o più ragioni per rendere comprensibile un dato. Il ragionamento ha per scopo la modifica del valore epistemico di un enunciato-bersaglio e la determinazione del suo valore di verità; fra le varie forme di ragionamento possiamo distinguere l’argomentazione e la dimostrazione. “Affinché un ragionamento sia una dimostrazione è necessario che sia un ragionamento valido. L’argomentazione, al contrario,

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è un ragionamento che non obbedisce a vincoli di validità, ma a vincoli di pertinenza” (Duval, 1996).

Inoltre è bene sottolineare che “lo sviluppo dell’argomentazione, anche nelle sue forme più elaborate, non apre la via verso la dimostrazione” (Duval, 1996), anzi tale passaggio crea rottura cognitiva. Attraverso lo studio dell’inferenza e del concatenamento8, Duval evidenzia altresì le differenze notevoli che intercorrono fra l’argomentare ed il dimostrare, individuando nel primo una maggiore somiglianza con il linguaggio naturale. Poiché il ragionamento deduttivo si esprime all’interno dello stesso discorso naturale, gli studenti confondono queste due forme distinte di ragionamento. E’ quindi necessario esplicitare agli studenti la vera natura della dimostrazione portandoli alla scoperta che: ogni proposizione ha due valori uno logico (vero/falso) ed uno

epistemico; non è detto che due proposizioni vere abbiano per questo lo stesso

valore epistemico9; in matematica ci si occupa delle proposizioni vere apodittiche (la

cui certezza è cioè dovuta a conclusioni necessarie). D’altro canto, all’insegnante non deve sfuggire la difficoltà che i ragazzi

incontrano nell’aderire alla logica aristotelica come modello della dimostrazione naturale. Di fronte ad un’esposizione “scorretta” dello studente, basata su deduzioni che tengono presente fin dall’inizio la tesi cui si vuol giungere, egli dovrebbe innanzitutto domandarsi quale sia il quadro logico che il ragazzo sta assumendo come riferimento. Recenti ricerche hanno evidenziato, infatti, come “talvolta il comportamento argomentativo-dimostrativo di uno studente, in situazione spontanea, è più empiricamente vicino alla nyaya10 che non alla logica aristotelica” (D’Amore, 2005b).

Se quindi la dimostrazione racchiude in sé tante difficoltà, perché perseguirla?

8 Per Inferenza si intende il passo singolo del ragionamento, per Concatenamento la transizione che porta da un passo di ragionamento al successivo 9 Per valore epistemico si intende il grado di certezza o di convinzione attribuito ad una proposizione 10 La nyaya (dottrina filosofica indiana) distingueva nel suo sillogismo cinque elementi assertivi:

L’asserzione (pratijna) (non è dimostrata; è l’enunciazione di quel che si vuol dimostrare); La ragione (hetu); La proposizione generale o enunciato (udaharana), seguita da un esempio; L’applicazione (upanaya), detta anche seconda asserzione; La conclusione (nigamana).

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Molti autori (fra cui Bachelard) hanno attribuito alla dimostrazione la funzione di convincere se stessi, altri (fra cui Doise e Mugny) l’hanno considerata come il fatto sociale di convincere membri dello stesso gruppo. Già con il tirocinio di osservazione ho notato che tali teorie non calzavano con la realtà della classe e con le necessità dei ragazzi. Per convincere gli studente erano necessarie argomentazioni pertinenti. Solo dopo tale passaggio ha senso affrontare la dimostrazione con l’obiettivo di spiegare perché l’enunciato vale all’interno di un sistema di conoscenze più o meno ben argomentato (Paola, 2000). Proprio tali riflessioni mi hanno indotto a modificare il piano delle attività di laboratorio previste nel progetto. Inizialmente infatti avevo manifestato l’intenzione di portare i ragazzi in laboratorio informatico per verificare il teorema di Pitagora dopo aver affrontato in aula la sua dimostrazione. Una riflessione condotta congiuntamente al supervisore ed alla tutor ha tuttavia evidenziato come l’utilità del laboratorio fosse proprio quella di convincere i ragazzi e come dunque tale attività dovesse precedere la dimostrazione. Onde evitare una stasi nell’attività didattica abbiamo quindi ritenuto di rinviare lo svolgimento delle esperienze di laboratorio alla verifica del II teorema di Euclide, facendo precedere la stesse alla dimostrazione in aula di quest’ultimo.

1.4 Il linguaggio Fra gli ostacoli di natura didattica, quelli derivanti dal linguaggio

rivestono uno spessore notevole. Può sorprendere quanto il problema sia sentito, non solo nello studio

della matematica, tanto da spingere lo studioso R. Flesh ad elaborare una formula di leggibilità dei testi letterari. La facilità di un testo per Flesh può essere espressa dalla quantità seguente:

yxF 015.159.085.206 −−=

dove x = numero di sillabe per 100 parole ed y = numero di parole per frase.

L’applicazione ai testi matematici di tale formula può essere faticosa, ma alcune prove aiutano a comprendere come effettivamente lo stesso problema, posto in forme diverse, presenti un differente grado di difficoltà.

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Nella scelta del linguaggio da utilizzare in aula si è di fronte al paradosso del linguaggio specifico: il linguaggio adoperato in aula deve favorire, e non ostacolare,

l’apprendimento degli allievi (a tal fine la comunicazione deve avvenire in lingua comune); la matematica ha un suo linguaggio e fra gli obiettivi dell’insegnante

deve esserci quello di far acquisire agli studenti tale linguaggio specifico. Il paradosso si fa evidente soprattutto nelle scuole secondarie superiori

dove ai ragazzi è espressamente richiesta una padronanza del linguaggio specifico, non solo esplicativo ma anche formale.

Seguendo Laborde, un discorso matematico deve rispondere a caratteristiche di precisione, concisione, universalità, ma spesso i ragazzi, nel tentativo di ripetere frasi quanto più simili a quelle pronunciate dall’insegnante, ne producono altre completamente prive di senso.

Ho avuto modo di riscontrare tale fenomeno quando, alla mia richiesta di enunciare un dato teorema, uno studente ha risposto asserendo che ‘un parallelogramma è equivalente ad un rettangolo avente base ed altezza congruente’. Sollecitato a completare l’enunciato, l’alunno è rimasto sorpreso, non riuscendo a comprendere l’origine della mia richiesta.

Per stabilire se un testo matematico è davvero comprensibile, bisogna considerare le caratteristiche linguistiche che Laborde ha proposto come variabili redazionali: grado di esplicitazione ottenuto dall’impaginazione, dalla punteggiatura e dalle strutture sintattiche impiegate; complessità sintattica; densità dell’enunciato; ordine delle informazioni fornite; differenza tra la forma in cui le informazioni sono date e quella in cui le si deve trattare nella risoluzione; grado di esplicitazione degli oggetti intermedi utili alla risoluzione del problema (Laborde, 1995). Nel valutare il grado di difficoltà di un problema assegnato, quindi, sarebbe consigliabile esaminare anche tali variabili.

Ho peraltro sperimentato personalmente le difficoltà derivanti dal linguaggio. Mi è capitato infatti di ricercare alcuni quesiti su libri diversi da quelli di testo e di trovare difficoltà nel tradurre in linguaggio matematico uno di essi, salvo poi ritrovare lo stesso esercizio nel libro di testo, ove una esposizione più lineare ne facilitava enormemente l’interpretazione ed il successivo svolgimento. Un’analisi delle relative variabili redazionali e

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l’applicazione della formula di Flesh ai testi dei due quesiti (vedi allegato n. 2) hanno confermato le mie difficoltà.

1.5 Il laboratorio La stesura del progetto è stata realizzata con l’intento di conferire quanto

più spazio possibile alle attività di laboratorio, inteso, in accordo con quanto riportato nell’UMI 2003, “non come luogo fisico diverso dalla classe, ma come insieme strutturato di attività volte alla costruzione di significati degli oggetti matematici”. Le attività di laboratorio non dovevano dunque esaurirsi nell’utilizzo di software, bensì estendersi a lavori in aula, utilizzando il tangram, cartoncini opportunamente tagliati e colorati, manipolazione di oggetti.

Simili attività hanno aiutato nell’intento di mostrare una matematica differente, potendo altresì risultare utili nello stimolare l’interazione tra gli studenti, nonché tra studenti ed insegnanti.

Inoltre, con le attività di laboratorio, la devoluzione scatta necessariamente, in quanto l’insegnante ha il solo compito di stimolare mentre al ragazzo è lasciata tutta la responsabilità di costruzione. In laboratorio, più che altrove, “lo studente deve implicarsi, farsi carico personale della costruzione non solo del sapere ma anche dell’oggetto attraverso il quale il sapere concretamente transita” (D’Amore, 2005a).

Le relative attività devono essere caratterizzate dalla realizzazione, dall’ideazione di qualcosa, di un oggetto concreto di contenuto matematico. In particolare, l’impostazione che ho dato all’attività di laboratorio informatico si è basata sull’utilizzo di software al fine di esplorare e verificare importanti teoremi di geometria, obiettivo rinvenibile nei programmi P.N.I. per il biennio.

Naturalmente occorre considerare che, dopo l’iniziale entusiasmo per la nuova attività, l’interesse dei ragazzi potrebbe calare, rientrando anche questa nella routine scolastica. E’ per questo motivo che la figura del docente deve rimanere centrale.

Il software deve essere utilizzato come uno strumento finalizzato all’apprendimento, che va opportunamente gestito ed organizzato. Fra i software utilizzabili ho posto l’attenzione su quello di geometria dinamica Cabrì (Cahier de BRuillon Interectif), attraverso il quale, utilizzando la

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tecnica del trascinamento, l’attenzione si sposta dal prodotto al processo utilizzato per ottenerlo. Le figure del Cabrì dunque possono essere considerate “la controparte esterna di ciò che a livello mentale è un concetto figurale” (Mariotti,1998).

Già nella costruzione delle figure, i concetti geometrici devono essere esplicitati e ordinati nella sequenza di comandi che realizza la procedura di costruzione. Con tali operazioni, il ragazzo esplora l’universo della geometria elementare scoprendone le proprietà. Quanto detto non deve indurre di certo a pensare che il software possa sopperire al disegno con riga e compasso oppure al calcolo dell’area di una figura geometrica, disegnata su un foglio, attraverso la misurazione delle lunghezze e degli angoli.

Se il rifiuto dell’innovazione costituisce un errore, è egualmente grave sostituire il vecchio con il nuovo. Come in tutti i processi, un periodo di assestamento è inevitabile, ma bisogna lavorare alla ricerca di un giusto equilibrio. Una buona strada per il concretizzarsi di tale obiettivo, sarebbe sicuramente l’individuazione dei pregi e dei limiti dell’uso del software geometrico rispetto all’utilizzo degli strumenti da disegno tradizionali. In particolare è possibile affermare che il software geometrico: costringe a rispettare regole precise nella costruzione delle figure; è più coinvolgente; facilita la formulazione di congetture;

Va però osservato che attraverso il suo utilizzo: si riduce ulteriormente la manualità; l’evidenza visiva rischia di far perdere interesse per il metodo

ipotetico-deduttivo; la visualizzazione delle figure geometriche sullo schermo di un

calcolatore rischia di accentuare ancor più la frattura fra la struttura granulare della materia e le nozioni di ”infinito”, “illimitato”, “continuo” (Villani, 2003).

A queste considerazioni, aggiungerei, anche in base a quanto osservato durante il tirocinio, che i ragazzi possono confondere, nell’utilizzo del software, la dimostrazione con l’argomentazione. Va quindi richiamata la loro attenzione sul fatto che l’attività di laboratorio serve come palestra nel congetturare ed argomentare, ma che la dimostrazione ha altre

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caratteristiche e che tali operazioni mentali sono tutte necessarie, non potendo l’una sostituire le altre.

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Capitolo 2 - L’esperienza in classe L’attuazione del progetto non ha subito rilevanti modifiche rispetto alla

sua progettazione, salvo che per la variazione dell’oggetto riguardante l’attività di laboratorio informatico e per alcune lezioni aggiuntive dedicate all’esercitazione, espressamente richieste dalla tutor.

Mentre nell’ allegato n. 3 sono riportati gli schemi dettagliati di ciascuna lezione, di seguito sono presentate, suddivise nelle analoghe fasi del progetto, alcune considerazioni sullo svolgimento delle lezioni.

2.1 Fase 1: conoscenza della classe La prima ora di tirocinio attivo è stata riservata alla mia presentazione ed

alla esecuzione di un test volto ad accertare le competenze possedute dai ragazzi relativamente ai concetti che gli stessi avrebbero dovuto successivamente utilizzare nella trattazione dell’equiestensione.

Quanto alla presentazione, ho ritenuto opportuno dedicare alla stessa tutto il tempo necessario a chiarire il mio ruolo, ritenendo che fosse giusto far comprendere ai ragazzi il motivo di questa momentanea “sostituzione”.

E’ mia ferma convinzione, del resto, che tra gli aspetti più piacevoli dell’insegnamento vi sia proprio il rapporto quotidiano con i ragazzi e che questo vada coltivato fin dal primo giorno. Credo inoltre che nell’insegnamento la comunicazione vada sviluppata non solo sul piano razionale ma anche su quello affettivo: “Non si apprende da chi non si ama” (D’Amore, 2004).

Alla presentazione del progetto e del tirocinio, la classe ha risposto con entusiasmo, ponendo ulteriori domande sul tirocinio e pensando addirittura che il test da affrontare fosse riferito alla loro vita personale.

Questo breve colloquio iniziale è servito altresì a “rompere il giaccio”, consentendomi di superare l’ inevitabile impaccio iniziale.

Il test proposto (allegato n. 4) si è svolto in un’atmosfera rilassata grazie alla quale i ragazzi hanno azzardato anche risposte a domande che anticipavano gli argomenti da trattare nel corso del tirocinio ed inserite nel questionario al solo fine di “testare” le loro reminiscenze dalle scuole medie. Naturalmente, ne sono consapevole, sull’effervescenza con cui i

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ragazzi hanno affrontato il test, molto ha influito la dichiarata assenza di una specifica valutazione collegata allo stesso.

Il primo quesito richiedeva di disegnare il quadrilatero la cui definizione era data in scrittura simbolica. La maggior parte dei ragazzi, in corrispondenza della definizione di parallelogramma ha disegnato un rettangolo, in quella di rombo un quadrato ed in quella di trapezio un trapezio isoscele.

Ho potuto quindi desumere che i ragazzi erano in grado di distinguere fra parallelogramma e trapezio, ma che tendevano inconsapevolmente ad aggiungere proprietà non espresse nelle ipotesi verbali. Poiché alla mia richiesta di enunciare le definizioni dei tre quadrilateri che costituivano l’esatta risposta, i ragazzi hanno risposto correttamente, ho potuto fin da subito constatare la loro difficoltà nell’utilizzo della scrittura simbolica, a cui gli studenti non ricorrono mai in modo spontaneo. Era evidente inoltre che gli studenti avevano imparato le definizioni imitando il più possibile il linguaggio dell’insegnante, senza far proprio, tuttavia, il significato sotteso allo stesso. Mi sono prefissa quindi l’obiettivo di proporre le definizioni anche in un linguaggio autenticamente naturale affinché i ragazzi facessero propri i relativi concetti. A conferma di quanto accennato, ho riscontrato altresì che tutti gli alunni sono stati in grado di dare una definizione corretta di congruenza, salvo poi rifugiarsi in affermazioni del tipo “si vede ad occhio”, quando, nel successivo quesito, si chiedeva di individuare, fra cinque figure, quelle fra loro congruenti.

Relativamente alla seconda domanda, alla mia richiesta di tracciare l’altezza di un dato triangolo, Debora fornisce la seguente risposta

Nel test iniziale ho fatto diffusamente ricorso ai disegni in quanto essi

possono essere utilizzati per intuire il modello mentale di un concetto che l’allievo si è costruito. L’immagine iniziale che Debora ha costruito in relazione alle altezze di un triangolo, confermata da molteplici esempi, si è trasformata in modello intuitivo rivelatosi poi modello parassita, secondo il

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quale le altezze devono cadere sempre all’interno del triangolo. Ho quindi proposto un’immagine generica di altezza, che ha permesso a Debora di ampliare l’immagine che possedeva. Il conflitto cognitivo che nasce tra l’immagine precedente e quella successiva, determina la costruzione di una successione di immagini, fino a quella più definitiva detta modello, “che racchiude il massimo delle informazioni e che si dimostra stabile rispetto ad un buon numero di ulteriori sollecitazioni” (D’Amore, 1999) .

L’ultima domanda del test era finalizzata a comprendere il grado di conoscenza del software Cabrì posseduto dai ragazzi, al fine di organizzare correttamente le successive attività in laboratorio. Ho potuto così constatare che quasi tutti gli studenti avevano già utilizzato nel corso delle scuole medie tale programma, anche se non ricordavano l’argomento specifico per la cui trattazione il software era stato impiegato.

2.2 Fase 2: introduzione al concetto di equiestensione La lezione è iniziata con l’introduzione del concetto di estensione

illustrando altresì l’utilità di tale concetto nella vita quotidiana e l’evoluzione storica che esso ha avuto fin dall’Antico Egitto (allegato n. 5).

Alla domanda “Cosa si intende per estensione”, Francesco ha risposto con sicurezza “l’area di una figura”. Tale intervento ha riscosso il consenso di tutta la classe, tanto che la mia non piena approvazione ha creato sbigottimento. Mi è sembrato allora opportuno evidenziare come l’affermazione di Francesco non fosse del tutto sbagliata, sottolineando tuttavia come l’area sia la caratteristica comune a tutte le superfici aventi la medesima estensione. L’osservazione dell’alunno ha così fornito l’occasione per introdurre il concetto di estensione come relazione d’equivalenza.

Alla mia affermazione che ogni superficie piana è equivalente a se stessa, Anush ha commentato “è ovvio! perché dirlo” . L’intervento mi ha sinceramente colto di sorpresa, ed avrebbe meritato forse un maggiore approfondimento teso ad evidenziare l’importanza e la non immediatezza della proprietà riflessiva.

Al fine di proporre in modo accattivante il concetto di figure equiscomponibili, mi è parso utile fare ricorso al gioco del tangram. La classe è stata divisa in cinque gruppi, a ciascuno dei quali è stato assegnato

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un tangram ed una figura da costruire (allegato n. 6). Inizialmente i ragazzi sono rimasti favorevolmente sorpresi: una geometria spiegata non alla lavagna ma utilizzando i riferimenti storici ed il gioco non rientrava nella loro comune esperienza.

Il tangram si è rivelato un mezzo efficace non solo per l’introduzione del concetto di equiscomponibilità, ma anche per l’accostabilità tra figure piane e per l’acquisizione di competenze nel lavorare “concretamente” con figure geometriche. Nel gioco del tangram l’aspetto creativo, dialogico e costruttivo può prevalere su quello matematico, ma ciò non va visto come un fattore negativo (Sbaragli, 2001). Anzi questa attività è servita a risvegliare l’interesse nei ragazzi ed a rendere meno passivo il loro atteggiamento nei confronti del lavoro scolastico.

La situazione creata era prettamente a-didattica: dopo l’attività di gruppo, i ragazzi, interrogati sulle caratteristiche che avevano tutte le figure costruite con il tangram, hanno individuato l’equiscomponibilità e l’equiestensione. Beatrice ha voluto però sottolineare che le figure costruite non potevano ritenersi tutte congruenti fra loro.

Alla mia richiesta di individuare, data un disegno rappresentante un arco di luna ed un quadrato (allegato n. 7), le proprietà che accomunavano tali figure, i ragazzi si sono affannati nel fornire una serie di “soluzioni” la cui casualità era tuttavia evidente.

E’ emerso in tal modo che nel contratto didattico i ragazzi avevano inserito la clausola secondo la quale, in una gamma di opzioni, ne esiste almeno una esatta. Un simile esercizio di riconoscimento di sicuro stride con la natura scientifica della matematica. Le caratteristiche di un qualsiasi modello devono infatti essere attribuite per definizione o per deduzione logica, non certo sulla base di impressioni percettive (Maier, 1998). Tale attività era tuttavia necessaria affinché i ragazzi scoprissero, attraverso una libera discussione, le relazioni di implicazione che legano il concetto di congruenza, equiscomponibilità ed equiestensione.

E’ seguita una lezione in laboratorio informatico, nel corso del quale ai ragazzi sono state presentate alcune macro sviluppate con Cabrì (allegato n. 8). Purtroppo il verificarsi di alcuni imprevisti ha ritardato l’accesso al laboratorio, imponendo ritmi più serrati alla sperimentazione. Non è stato possibile quindi concedere ai ragazzi il tempo necessario ad una piena familiarizzazione con i modelli. I ragazzi hanno tuttavia accolto il mio

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invito a visitare il sito web anche da casa, dimostrandomi successivamente di aver effettivamente continuato tale osservazione.

Ciascuna macro presentava un quadrilatero, dal quale, trascinando opportunamente un punto, era possibile ottenere un’altra figura. In questo modo i ragazzi hanno potuto “vedere” in anticipo alcune proprietà che avrebbero poi costituito oggetto di specifica dimostrazione.

Nella successiva lezione, Cristian è stato chiamato alla lavagna al fine di dimostrare l’equivalenza fra un rettangolo ed un triangolo sotto particolari ipotesi.

Lo studente ha seguito il seguente ragionamento: “Disegno le due figure sovrapposte, il pezzetto che fuoriesce di una delle due figure lo sposto fino a sovrapporlo al pezzetto che fuoriesce dalla seconda figura, dimostro che i due pezzetti sono congruenti ”. Non è difficile ritrovare nello sviluppo logico di Cristian un condizionamento operato dalle macro viste in laboratorio, sebbene avessi più volte ribadito che l’attività di laboratorio non poteva sostituire la dimostrazione. Ciò a conferma che, per quanto i modelli vengano scelti con attenzione, essi non potranno mai rappresentare un concetto geometrico in modo completo. Per generare idee appropriate ai concetti, ciascun modello deve essere elaborato mentalmente (Maier, 1998). In questa elaborazione è importante la comunicazione fra l’insegnante e lo studente. Solo attraverso gli strumenti linguistici, l’insegnante può capire come i ragazzi interpretano i modelli e quali siano le loro idee concettuali. Cristian ha avuto difficoltà a convincersi che la sovrapposizione fosse un’ipotesi aggiunta di sua iniziativa e che essa non poteva risultare scontata ma al contrario giustificata. Mi sono stupita per come i ragazzi, in generale, abbiano trovato più difficoltà a convincersi della necessità di proprietà/passaggi apparentemente scontati, piuttosto che a persuadersi di passaggi più problematici di una dimostrazione.

2.3 Fase 3: i teoremi belli! I teoremi di Euclide e di Pitagora erano già stati studiati dai ragazzi alle

scuole medie, sia pure come formule da applicare senza preoccuparsi della relativa dimostrazione. L’agevole risoluzione degli esercizi che ne scaturiva, ne aveva dunque lasciato un ricordo piacevole, tanto da

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giustificare l’apprezzamento riservato agli stessi di cui si è dato atto nel titolo del presente paragrafo.

Il progetto inizialmente prevedeva una presentazione sulla vita di Euclide, ho preferito tuttavia che fossero i ragazzi a ricercare informazioni biografiche sul matematico. Facendo tesoro delle teorie costruttiviste, ho ritenuto giusto non proporre lezioni già confezionate nelle quali agli allievi sia riservato il semplice ruolo di spettatori. Nelle presentazioni della precedente fase ho sempre invitato i ragazzi a ricercare approfondimenti, aneddoti che ampliassero quanto da me riferito, ma la tattica non si è rivelata vincente. E’ come se, una volta presentato l’argomento, i ragazzi non avessero più stimoli per ricercare approfondimenti. Con la presentazione dei dati biografici di Euclide ho allora invertito lo schema, ottenendo i risultati tanto attesi.

Qualcuno invero si è limitato a stampare le pagine del primo sito web riportante le informazioni richieste, ma la maggior parte dei ragazzi ha sviluppato una ricerca approfondita. Alla mia richiesta di presentare i lavori svolti, si è scatenata una vera e propria gara a chi avesse raccolto più informazioni. Si sono stupiti per la diversità delle date di nascita trovate da ciascuno (ce n’erano almeno due differenti) e per l’esistenza di altre geometrie oltre a quella euclidea. E’ stato veramente interessante notare come i ragazzi vivano la lezione, adattandosi allo schema che l’insegnante propone. Se quest’ultimo offre tutte le informazioni, loro le raccolgono, accontentandosi dei dati acquisiti. Viceversa, qualora gli si fornisca l’opportunità di diventare protagonisti della lezione, essi si impegnano, raggiungendo i risultati attesi.

Con la spiegazione del primo teorema di Euclide ho introdotto, in coerenza con il libro di testo e sotto espressa richiesta della tutor, la notazione Q(c1), R(p1,i) per indicare, dato un triangolo rettangolo, rispettivamente il quadrato avente per lato il cateto c1 ed il rettangolo avente la base congruente alla proiezione p1 del primo cateto sull’ipotenusa e l’altezza congruente all’ipotenusa i. Il passaggio dal disegno all’uso di questa simbologia è risultato molto difficoltoso per i ragazzi.

Invitata alla lavagna, a Giulia è stato chiesto di considerare un trapezio rettangolo con la diagonale minore perpendicolare al lato obliquo e di dimostrare che il quadrato costruito su tale diagonale fosse equivalente al

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rettangolo con base ed altezza rispettivamente congruenti alla base maggiore ed a quella minore.

Risulta evidente dal testo come l’esercizio richiedesse semplicemente

l’applicazione del teorema poco prima illustrato al triangolo ABC formato dalla diagonale, dalla base maggiore e dal lato obliquo.

Giulia era sicura di dover applicare il primo teorema di Euclide, in coerenza con quella clausola del contratto didattico secondo la quale l’esercizio deve riguardare un argomento spiegato durante la lezione (clausola che anche la sottoscritta aveva rispettato in pieno). Ha però iniziato a disegnare quadrati e rettangoli su tutti i lati dei possibili triangoli rettangoli che individuava nel disegno. L’immagine riportata di seguito, analoga al disegno eseguito da Giulia alla lavagna, evidenzia la complessità raggiunta da quello finale

E’ chiaro come Giulia abbia fatto ricorso al disegno non come

atteggiamento spontaneo in grado di facilitare il ragionamento ma come strumento da cui ricavare la soluzione. Fin dall’inizio del biennio nelle ore di geometria si usa rappresentare in modo figurato il testo del problema ed i successivi passi di risoluzione. Alla mia richiesta di non riportare sul disegno i quadrati ed i rettangoli, ma di utilizzare l’opportuna nomenclatura, Giulia ha guardato la professoressa-tutor, quasi volesse da lei l’approvazione necessaria per rompere la clausola del contratto didattico.

Gli esercizi relativi al nuovo argomento non richiedevano più l’attenzione sul disegno, imponendo di lavorare in modo più “algebrico”

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sui simboli rappresentanti le figure. Ad aumentare la difficoltà contribuiva sicuramente la conversione da un registro geometrico ad uno algebrico, chiesta agli alunni per la prima volta.

I ragazzi sapevano lavorare con le espressioni algebriche, sapevano interpretare un esercizio di geometria, ma hanno incontrato difficoltà nel passare dall’uno all’altro. Su tale punto mi sono soffermata, alla luce della teoria di Duval, secondo la quale se a livello matematico è importante la funzione del trattare le rappresentazioni di un concetto all’interno di un dato registro, a livello cognitivo è da accordare importanza alla conversione di una rappresentazione da un dato registro all’altro. Tale funzione è condizione necessaria per la padronanza della comprensione.

Nel corso della lezione successiva, i ragazzi hanno lamentato talune difficoltà nello svolgimento degli esercizi assegnati come compito per casa.

Essendo quattro gli esercizi da rivedere, è stato possibile adottare due tecniche differenti: per alcuni esercizi, ho chiamato alla lavagna il ragazzo che

aveva denunciato difficoltà di risoluzione; per i restanti, invece, ho chiamato i ragazzi che li avevano

risolti correttamente. Certamente sarebbe stato possibile risparmiare tempo, qualora avessi

personalmente svolto gli esercizi alla lavagna, ma questa soluzione si sarebbe rivelata sicuramente meno proficua.

Ho preferito, a costo di pianificare ex-novo l’organizzazione della lezione, coinvolgere maggiormente i ragazzi nella risoluzione dei compiti assegnati, nella speranza di un miglioramento della loro comprensione.

Invitando alla lavagna i ragazzi che avevano trovato difficoltà, ho riscontrato l’importanza che riveste, di fronte a situazioni di difficoltà e di errore dello studente, l’intervento dell’insegnante mediante un approccio positivo all’errore medesimo.

La costruzione del sapere da parte dell’allievo è dinamica e si serve degli errori affinché l’attività venga orientata nella direzione esatta.

Nello svolgimento degli esercizi da parte dei ragazzi che non avevano avuto nessuna difficoltà, ho voluto invece applicare il metodo della comunicazione intenzionale11. Al ragazzo chiamato alla lavagna ho quindi

11 Il metodo della comunicazione intenzionale pone l’allievo nel ruolo di insegnante con lo scopo di far apprendere ad un altro allievo uno specifico argomento ed è basato sulla convinzione che la responsabilità di

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spiegato che non doveva solo riscrivere la risoluzione dell’esercizio, ma spiegare altresì ai suoi amici la logica seguita.

Assegnando il compito di Alunno-Docente ad un ragazzo, è stato dunque possibile: costruire un chiaro momento di devoluzione; costruire una situazione a-didattica; organizzare una lezione in cui l’interazione avviene fra pari.

Ad Elisa ho chiesto, ad esempio, di dimostrare che, dato un trapezio isoscele con diagonali perpendicolari ai lati obliqui, il quadrato costruito su una diagonale è equivalente al rettangolo i cui lati sono congruenti alla base maggiore e alla semisomma delle basi del trapezio.

L’esercizio che Elisa aveva svolto correttamente a casa, era tuttavia privo di giustificazioni e svolto in maniera disordinata:

Invitata al predetto chiarimento, Elisa ha incominciato a riflettere

riguardando l’esercizio svolto sul suo quaderno e solo, dopo qualche minuto, ha incominciato a spiegare ai suo compagni.

Alla lavagna, contrariamente allo stile utilizzato a casa, ha disegnato con molta attenzione il trapezio, chiedendomi i gessetti colorati per evidenziare alcune caratteristiche. Poi ha spiegato:

“Il triangolo ACB è rettangolo e quindi posso utilizzare il primo teorema di Euclide sul cateto AC. Posso allora dire che il quadrato costruito su AC è equivalente al rettangolo avente i lati congruenti ad AB (che coincide con

comunicare ad altri le proprie conoscenze possa migliorare sia l’apprendimento che la motivazione ad apprendere (Maurizi - Minazzi - Arrigo 2005).

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la base maggiore del trapezio) ed ad AK (proiezione di AC su AB). Ma essendo ABCD un trapezio isoscele, posso dire che:

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,2

DCABDCABDCAHHKAK

DCABKBAH

+=

−+=+=

−==

e quindi ho dimostrato quanto richiesto ” L’intera classe ha seguito la spiegazione di Elisa con molta attenzione. Tale episodio dimostra, a mio avviso, come il metodo della

comunicazione intenzionale abbia aiutato non solo i ragazzi che avevano trovato difficoltà nella risoluzione del problema, ma anche la stessa Elisa, che ha così potuto migliorare il proprio apprendimento e la propria motivazione ad apprendere.

Dopo la trattazione del teorema di Pitagora, approfittando anche di un precedente intervento della tutor relativo alla misura dei segmenti, ho voluto assegnare fra gli esercizi da svolgere a casa, un problema “particolare”. La consegna si differenziava già nella forma: a ciascun ragazzo sono stati dati tre quadrati di carta spillati ad una fascetta sulla quale era specificata la consegna (allegato n. 9).

Il problema richiedeva di costruire un quadrato equivalente alla somma dei tre quadrati dati. Questo problema, insieme ad un altro tratto dal libro “Pitagora si diverte” (allegato n. 10), sono stati assegnati con l’intento di far uscire i ragazzi dalla routine scolastica, “un esercizio standard (…) di geometria (…) non genera quella vivace curiosità necessaria a far sì che, volendo risolvere a tutti i costi il problema, il ragazzo ricorra a tutti i mezzi a sua disposizione anche non contemplati ufficialmente nelle “sacre” clausole didattiche” (D’Amore, 1995).

Molti ragazzi sono riusciti nella consegna colorando ed incollando in modo opportuno su un cartoncino i tre quadrati (allegato n. 11). Altri, non riuscendo, hanno preferito chiedere agli amici qualche suggerimento per la soluzione, piuttosto che venir meno alla consegna. “La risoluzione di un problema è un atto individuale o sociale che si indirizza ad un individuo (…) allo scopo di mostrare la propria capacità (…)) (D’Amore, 1995).

Il secondo problema “fuori dagli standard” richiedeva invece il calcolo delle aree (dal punto di vista numerico) ottenute dalla partizione di un quadrato considerato come appezzamento di terreno in cui erano piantati

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alberi da frutta. E’ bastata questa fantasiosa ambientazione per far scattare tre distinti protocolli: alcuni ragazzi (allegato n. 12 per protocollo completo) hanno

utilizzato figure “allegoriche” per individuare i punti chiave del problema, risolvendo poi correttamente lo stesso;

altri (allegato n. 13 per protocollo completo) hanno utilizzato

massicciamente figure “allegoriche”, ma non sono riusciti a tradurre correttamente il testo in una rappresentazione figurale (i punti non erano sul quadrato e/o erano disposti in un ordine differente a quello richiesto);

altri ancora hanno utilizzato la figura come supporto alla soluzione (‘figura risolutiva’), affrontando la risoluzione come in un normale problema di geometria.

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In tutte le consegne, però, emerge la clausola e.g.f. (esigenza della giustificazione formale), in quanto da tutti il procedimento è stato scritto in un linguaggio formale, seguendo tutte le indicazioni date nel corso delle varie lezioni in vista della verifica finale.

2.4 Fase 4: il laboratorio Nel laboratorio informatico è stato chiesto ai ragazzi di rappresentare,

attraverso l’uso del software Cabrì, un triangolo rettangolo, di costruire sull’altezza relativa all’ipotenusa un quadrato, e sull’ipotenusa un rettangolo avente i lati congruenti alle proiezione dei cateti su di essa.

Si richiedeva inoltre di calcolare le aree dei due quadrilateri tramite il comando ‘Area’ e, successivamente, di inserire in una tabella tutti i valori automaticamente calcolati al variare dei quadrilateri mediante la tecnica del trascinamento. L’obiettivo era quello di verificare il secondo teorema di Euclide.

L’esplicita richiesta della tutor, ripetuta nel corso del biennio, di disegnare seguendo sempre la costruzione riga e compasso, ha agevolato i ragazzi che non hanno trovato difficoltà nel disegnare un triangolo rettangolo (triangolo iscritto in una semicirconferenza). La costruzione dei quadrilateri ha invece richiesto alcuni tentativi.

Nella costruzione del quadrato sul quaderno, i ragazzi sicuramente approfittano del sotterfugio dei quadretti. Con Cabrì sono stati costretti a ricordare la costruzione attraverso il disegno di circonferenze e parallele.

Leonardo, dopo vari tentativi, ha disegnato il quadrato tracciando tre segmenti della stessa lunghezza dell’altezza. Applicando il test di trascinamento, è stato evidenziato che la sua figura non rispettava né la congruenza dei lati né quella degli angoli.

Ho quindi chiesto di spiegare la tecnica utilizzata. Leonardo: “Partendo da un estremo dell’altezza ho tracciato un altro

lato della stessa lunghezza. Ho fatto lo stesso per gli altri lati” Tutor : “Come fai ad essere sicuro che è un quadrato?” Leonardo : “Ho fatto attenzione che tutti i lati avessero la stessa

lunghezza ” . E’ evidente come Leonardo abbia tentato di “contare i quadretti” anche

sul monitor del computer.

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L’uso di Cabrì ha permesso di focalizzare quindi l’attenzione sul processo, piuttosto che sul prodotto, in quanto i ragazzi hanno dovuto evidenziare la sequenza logica utilizzata.

Fino a quando ha costruito il quadrato sul foglio, Leonardo ha potuto avvantaggiarsi di tecniche non rispondenti “a logiche euclidee”. Con l’uso del software proposto ha dovuto esplicitare ed ordinare la sequenza di comandi con la quale ha realizzato la costruzione. Tale esternalizzazione è stata resa necessaria dal movimento, componente essenziale del significato di una figura di Cabrì. Nel trovare poi i valori da inserire nella tabella, Giulia ha esclamato ad alta voce: “La mia figura è corretta, ma qualche valore non coincide! ” quasi fosse riuscita a confutare lo stesso Euclide.

L’episodio mi ha permesso di sottolineare come la nostra attività in laboratorio fosse basata sulla verifica del teorema, ma come tale attività dovesse mirare alla sua dimostrazione. Questa è infatti essenziale per spiegare in modo formale la veridicità di un enunciato all’interno di una teoria.

La dimostrazione infatti non va pensata come strumento per convincere gli studenti, che raramente sono restii a convincersi di una supposta verità geometrica.

“Laddove la dimostrazione formale venga presentata solo come un modo per dimostrare qualcosa della cui verità gli alunni sono già convinti è probabile che essa rimanga un’attività priva di significato” (Hanna G., Jahnke H. N. citazione tratta da D’Amore, 1999).

Per la lezione successiva avevo chiesto di preparare una relazione sull’esperienza di laboratorio. Non avevo ritenuto necessario né fornire una griglia né imporre una lunghezza della relazione. Ancora una volta mi sono dovuta scontrare con l’insuccesso di non aver organizzato nei dettagli l’attività richiesta. A parte alcune lodevoli eccezioni, la maggior parte dei ragazzi si è limitata alla redazione di poche righe tese ad esprimere il proprio consenso all’attività e l’invito a ripeterla con maggiore frequenza. In particolare Cristian ha sottolineato: “quando si usa Cabrì è come studiare e giocare contemporaneamente ”.

Daniele, invece : “Mi è piaciuto molto perché è un programma fatto bene e carino(…). E’ utile per vedere e capire molto meglio i teoremi”.

A parte il sorriso indotto dal giudizio bonario di Daniele, tali riflessioni hanno confermato a mio avviso, quanto il laboratorio possa essere uno

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strumento per “riappacificare” gli allievi con la matematica (Arrigo, 2001). Nello svolgimento di tale attività le conoscenze geometriche non vengono presentate in modo strutturato ed organizzato, ma elaborate ed assimilate dall’allievo allorquando compaiono nella risoluzione dei problemi.

2.5 Fase 5: la verifica Come previsto dal progetto, una delle ultime fasi è stata dedicata alla

verifica. Se per gli studenti essa ha rappresentato un campo di prova circa le conoscenze acquisite, per me è stato uno strumento utile a misurare l’efficacia della mia didattica.

La verifica era articolata in otto quesiti. Nella fase di preparazione del compito, ho concordato con la tutor il punteggio da assegnare a ciascun quesito, in modo che il voto finale complessivo scaturisse dalla somma di essi.

Sono stati predisposti due compiti distinti (allegati n. 14, 15), composti però da esercizi di analoga difficoltà. Questo per rispettare lo schema solitamente seguito dalla tutor di suddividere la classe in due file differenti.

Il primo quesito richiedeva il completamento di una definizione e dell’enunciato di due teoremi al fine di accertare se gli studenti avessero acquisito i concetti chiave unitamente alla capacità di esprimerli correttamente.

Il secondo quesito era dedicato invece all’enunciato del primo (secondo) teorema di Euclide.

Il terzo ed il quarto quesito richiedevano di classificare taluni quadrilateri date opportune ipotesi. In entrambi i quesiti, le figure si sovrapponevano solo per una parte, quindi si chiedeva di dimostrare l’equivalenza dei quadrilateri formati dalle parti complementari. In particolare nel terzo quesito lo svolgimento implicava l’uso del teorema di equivalenza sui parallelogrammi e l’applicazione delle proprietà della somma e della differenza di figure equiestese. La risoluzione del quarto invece imponeva di ragionare soprattutto sulla congruenza dei triangoli.

Il quinto quesito richiedeva di dimostrare l’equivalenza fra due dei quattro triangoli in cui un rettangolo viene diviso dalle sue diagonali. L’alunno, svolgendo tale esercizio, avrebbe manifestato le competenze

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acquisite nell’individuare fra i tre lati di un triangolo quello che, visto come base, dava maggiori informazioni .

Il sesto e l’ottavo quesito consistevano nella dimostrazione dell’equivalenza fra quadrilateri, lavorando non sul disegno bensì sull’espressione composta dalla nomenclatura Q(c1), R(p1,i).

Con il settimo quesito infine bisognava esplicitare in base a quali teoremi erano vere alcune equivalenze, sfruttando così la competenza di conversione da un dato registro semiotico ad un altro.

L’analisi che segue, scaturisce da un esame attento dei vari elaborati, compiuta utilizzando come chiave di lettura proprio i concetti di didattica della matematica discussi nel precedente capitolo.

2.5.1 Il linguaggio Nella preparazione del compito finale avevo immaginato che la prima

domanda sarebbe risultata di facile svolgimento, cosicché i ragazzi sarebbero stati incoraggiati anche nella risoluzione degli altri esercizi

Con meraviglia ho dovuto constatare invece la loro difficoltà nel trascrivere correttamente le definizione e gli enunciati richiesti.

Molte risposte erano connotate da scarsa precisione, ovvero inficiate dell’omissione di termini essenziali. Molti, ad esempio, hanno confuso la congruenza con la coincidenza di segmenti, altri, nell’enunciare i teoremi, hanno parlato di base ed altezze senza specificare il quadrilatero di appartenenza.

Cristian ha affermato che: “Un parallelogramma è equivalente ad un rettangolo avente stessa base e stessa altezza”.

Mentre Debora scrive: “Ogni triangolo è equivalente ad un parallelogramma avente l’altezza congruente e la base congruente alla metà di quella del triangolo”.

Nell’enunciare il secondo teorema di Euclide invece Filippo sembra non considerare che un triangolo possiede tre altezze, affermando che “In ogni triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’altezza è equivalente al rettangolo…”

Quanto sopra a conferma della difficoltà che i ragazzi incontrano nell’acquisizione del linguaggio specifico della geometria, e della

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conseguente tendenza ad imitare il linguaggio dell’insegnante e/o del libro di testo.

E’ opportuno precisare che tante volte gli stessi ragazzi, chiamati alla lavagna, non hanno commesso le stesse imprecisioni perché aiutati dal registro figurale. Questo a conferma che la lingua naturale è un registro di rappresentazione semiotica più complesso degli altri (Alongi, 2006).

Non rinvenibile in nessun concetto di didattica della matematica, ma imputabile semplicemente al frequente uso del cellulare da parte dei ragazzi, è la modalità espositiva di Elsa :“ in tr. rett. h relativa a ip”. Quasi stesse scrivendo un SMS ad un amico, piuttosto che affrontando una verifica di matematica.

L’influenza del linguaggio quotidiano si è rilevata altresì in altre forme. Nello svolgimento del terzo esercizio, volendo studiare il rettangolo

HPQK ed il triangolo ABC,

Debora scrive:

L’uso dei verbi partire, terminare rivela un utilizzo di termini propri della geometria all’interno di modi di dire tratti dalla lingua comune.

2.5.2 Osservazione dei disegni

Se in alcuni esercizi da una semplice osservazione del disegno

emergevano le caratteristiche della figura, nel quinto i due triangoli, componenti una delle due metà in cui un rettangolo viene diviso dalle due diagonali, andavano attentamente studiati.

Inoltre il disegno non era riportato esplicitamente nel testo e la risoluzione poteva essere svolta in modi differenti a seconda dell’analisi fatta sulla figura.

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Molti ragazzi hanno disegnato un rettangolo con base sul lato maggiore ed hanno iniziato ad esplicitare una serie di congruenze ed equivalenze. Il loro ragionamento era frutto di un osservazione statica del disegno, quasi che non fosse possibile vederlo da un’altra ottica.

Riporto di seguito due protocolli presi ad esempio delle due diverse tipologie di svolgimento adottate:

Protocollo 1: Filippo riesce ad individuare il giusto lato da considerare come base per

entrambi i triangoli e la relativa altezza

Protocollo 2 Daniele dimostra la congruenza fra quattro triangolo per arrivare

all’equivalenza richiesta

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Dal primo protocollo si comprende come Filippo non abbia confuso il

disegno con la figura riuscendo ad individuare il giusto lato da considerare come base per entrambi i triangoli e la relativa altezza. Da una simile lettura, lo svolgimento diventa una agevole applicazione di un teorema sull’equivalenza.

La rigidità di Daniele e il suo approccio iconografico al disegno, gli impediscono di individuare una semplice risoluzione, rimanendo vincolato alla ricerca di congruenze fra triangoli.

2.5.3 La dimostrazione

Con un certo compiacimento, la tutor ed io abbiamo potuto notare che in

molti compiti i ragazzi erano riusciti a produrre una corretta sequenza logico-deduttiva nello svolgimento dei vari esercizi.

Non credo sia necessario soffermarsi sugli esiti positivi, quanto evidenziare le difficoltà di dimostrazione manifestata da taluni alunni.

Per alcuni la dimostrazione è un insieme di informazioni un po’ trascritte ed un po’ disegnate. In tali casi, il ragazzo disegna correttamente altezze e congruenze, ma non sente la minima necessità di spiegare la logica utilizzata in tale costruzione.

Nel quinto esercizio, ad esempio, Leonardo, come molti altri, esegue il seguente disegno:

36

Utilizzando poi nella dimostrazione i segmenti OH ed OK, ma non dichiarando mai esplicitamente che tali segmenti sono stati costruiti pensando alla altezze rispettivamente dei triangoli AOD ed AOB.

In altri casi emerge proprio una difficoltà nell’impostare e seguire logicamente un ragionamento deduttivo.

Nel terzo esercizio, alla richiesta di dimostrare l’equivalenza fra i quadrilateri AGCD e EFBG

Debora scrive : “Considero il triangolo DEC e il parallelogramma

EFBC. Essi sono equivalenti poiché hanno la stessa altezza,

perché lati di un quadrato.

DCBC ≅

DEEFEFDE212 =⇒≅ . Quindi DEC

equivalente EFBC.” Debora dimostra la tesi attraverso uno pseudo-ragionamento insensato

utilizzando un linguaggio ascoltato in aula, di cui imita la mera forma priva di contenuto

Di particolare rilievo mi sembra poi l’abbandono della geometria da parte di Giovanni, nel vano tentativo di ritrovare nell’algebra una soluzione per il sesto esercizio.

Alla richiesta di dimostrare che il quadrato costruito sull’altezza di un triangolo equilatero è equivalente ai 3/4 del quadrato costruito su un lato, Giovanni, non riuscendo a ritrovare alcun procedimento geometrico che l’aiutasse nella risoluzione, ha tentato uno svolgimento algebrico:

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Lo svolgimento suscita qualche perplessità non avendo molto senso né in

geometria né in algebra. Giovanni ha provato ad utilizzare il teorema di Pitagora sotto forma di formula. Non avendo le lunghezze dei lati ha utilizzato il rapporto esplicitato nel testo.

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Capitolo 3- La valutazione Alla scelta metodologica, all’organizzazione e realizzazione di una

trasposizione didattica, è giusto che segua una valutazione della coerenza e dell’efficacia di quanto realizzato.

In un passato non molto remoto, l’idea di valutazione era ricondotta alla semplice assegnazione del voto che esprimeva un giudizio sull’allievo. Oggi, viceversa, essa ha acquisito un significato molto più ampio, essendo vista come “strumento tramite il quale l’insegnante sprona l’allievo e sé stesso a sviluppare meglio il processo di insegnamento-apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non essere solo attore in dipendenza del contratto didattico” (Fandiño Pinilla, 2002). Attraverso la valutazione, quindi, l’insegnante si pone tre macro obiettivi (Fandiño Pinilla, 2004): misurare l’efficacia della propria azione didattica (giudizio

sull’ingegneria didattica); misurare l’opportunità delle scelte di un dato segmento

curricolare; misurare lo stato cognitivo di ogni singolo allievo, traendo

indicazioni sulla congruenza fra “curricolo auspicato” e “curricolo effettivo”.

Tali obiettivi sicuramente non sono indipendenti, ma strettamente legati l’uno all’altro:

Dallo schema proposto emerge il forte legame che unisce le tre tipologie

di valutazioni. E’ quindi difficile sviluppare una riflessione, effettuando una netta distinzione fra di esse. Di seguito tenterò di analizzare in modo separato i tre oggetti di valutazione più per ordine espositivo che per una reale possibilità di separazione della riflessione personale.

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3.1 Valutazione dell’azione didattica in aula La riflessione sul mio operato verte principalmente sulla modalità di

utilizzo dei vari strumenti didattici a mia disposizione e sul rapporto con la classe.

3.1.1 Utilizzo strumenti didattici

Nell’organizzazione delle lezioni, ho ritenuto opportuno focalizzare

l’attenzione su una molteplicità di strumenti che è possibile utilizzare (software, cartelloni, ecc.), sottovalutando tuttavia il ruolo assolto dalla lavagna. Utilizzare tale strumento con ordine ed attenzione avrebbe sicuramente facilitato gli studenti durante lo svolgimento della lezione.

Un poco disordinata e con una grafia non sempre agevolmente leggibile, al termine di ciascuna lezione ho dovuto constatare di aver utilizzato la lavagna in modo non chiaro, non avendo prestato attenzione né all’organizzazione grafica né all’ordine sequenziale della trascrizione.

Un uso più ragionato della stessa, avrebbe permesso ai ragazzi, ancora privi di un’apprezzabile abilità nel prendere appunti, di ripercorrere tutti i passaggi di una dimostrazione o di seguire lo svolgimento della lezione con maggiore facilità.

3.1.2 Coinvolgimento classe

Al nostro primo incontro, la professoressa-tutor ha espresso il desiderio di affidarmi, per il tirocinio attivo, la II C, classe che manifestava una certa pigrizia nello studio della Matematica. La mia presenza avrebbe dovuto contribuire a rompere la routine delle lezioni, ad interrompere quell’azione di scolarizzazione del sapere che i ragazzi, sia pur inconsapevolmente, stavano attuando.

Fra gli obiettivi del tirocinio c’era quindi quello di cambiare le abitudini degli studenti, infondendo il gusto per la sperimentazione e l’esplorazione.

Devo ammettere che i ragazzi non hanno avuto difficoltà ad entrare in uno schema differente di lezione, manifestando fin dall’inizio il desiderio di approfondire alcuni argomenti trattati e di mettersi in gioco in prima persona. Naturalmente non tutti i ragazzi hanno vissuto le lezioni con lo stesso grado di attenzione e partecipazione. Progettare una lezione che

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riuscisse a catturare l’attenzione di ventuno ragazzi aventi carattere, indole ed aspettative differenti, è stato per me un lavoro di notevole impegno, della cui riuscita non posso dirmi sempre certa.

Avrei voluto coinvolgere maggiormente ragazzi assorbiti, soprattutto nell’ultima ora del sabato, più dai loro problemi adolescenziali che da quelli geometrici.

Le attività di laboratorio sono state invece animate da notevole partecipazione. Sia per quanto riguarda le attività condotte nel laboratorio informatico, per il cui svolgimento è stato necessario anche uno spostamento fisico dall’aula ad un nuovo ambiente, sia per le altre attività in aula, l’atmosfera è stata estremamente coinvolgente, tanto da indurre ad una partecipazione attiva anche quei ragazzi che, per indole più silenziosa, sono restii ad intervenire.

In questo clima estremamente positivo, le situazioni a-didattiche che si sono presentate hanno permesso il realizzarsi di lezioni dinamiche, dialogate e costruttive.

3.2 Valutazione segmento curricolare Una differente valutazione dei tempi per l’esecuzione di alcune delle

attività descritte nel progetto avrebbe probabilmente contribuito ad una trasposizione didattica più efficace. Mi riferisco, in particolare, ai tempi dedicati alle dimostrazioni ed alle attività svolte nel laboratorio informatico.

Sotto il primo profilo, credo di aver ecceduto nella presentazione delle dimostrazioni di teoremi, a discapito della discussione in classe di problemi nei quali fossero i ragazzi in prima persona a lavorare sulla situazione proposta ed a suggerire strategie risolutive.

Un eccesso di ottimismo, unito all’inesperienza, mi aveva fatto sperare che la presentazione delle varie dimostrazioni desse agli studenti uno schema logico da poter poi sfruttare al momento della risoluzione degli esercizi.

Purtroppo tale aspettativa si è dovuta scontrare con la difficoltà dei ragazzi a svolgere autonomamente le dimostrazioni, nonché con le varie problematiche caratterizzanti la natura stessa della dimostrazione (sulle quali si veda più ampiamente il paragrafo 1.3.2).

41

Ho potuto riscontrare personalmente che “i ragazzi riescono ad imparare ed a ripetere le dimostrazioni proposte dall’insegnate, ma sono, per la grande maggioranza, incapaci di produrre dimostrazioni autonomamente”(Mariotti, 1998).

Per quanto riguarda l’attività di laboratorio informatico, a mio avviso, essa produce il massimo dei benefici allorquando allo studente è lasciato il giusto tempo “per esplorare”.

Ritmi serrati, invece, mi hanno costretta talvolta ad indirizzare qualche ragazzo sulla giusta strada ma, ne sono profondamente convinta, il valore di una soluzione autonomamente trovata non può essere paragonata a quello di una soluzione in qualche modo suggerita.

I tempi ristretti in laboratorio sono dipesi comunque non esclusivamente dalla mia personale organizzazione delle attività, ma anche da taluni imprevisti. La partenza dei ragazzi per la gita scolastica, la necessità di procedere alla verifica di algebra (che ha comportato alcune lezioni aggiuntive sui radicali), unitamente alla necessità di concludere l’argomento di geometria entro i tempi previsti dal progetto, hanno determinato una sia pur lieve riduzione dei tempi trascorsi in laboratorio.

3.3 Valutazione del lavoro svolto dagli studenti Sarebbe limitativo identificare la valutazione del lavoro degli studenti

con il voto assegnato allo svolgimento del compito in classe o all’interrogazione. Non si valuta esclusivamente per dare un voto e questa convinzione dovrebbe essere chiara non solo al corpo docente, ma anche ai ragazzi ed alle rispettive famiglie.

“La valutazione non è ristretta ad un punto o ad una certa azione, ma è attuata lungo tutto l’arco del processo di insegnamento-apprendimento (…). La valutazione è continua e globale”. (Fandiño Pinilla, 2002).

Entrando ancor più nel dettaglio, per effettuare una valutazione in Matematica occorre considerare due macro destinazioni: valutazione di conoscenze; valutazione di competenze.

La prima può essere effettuata anche attraverso un test di controllo, in quanto la conoscenza “fotografa” situazioni statiche, rilevando solo se c’è congruenza tra quanto atteso e quanto è stato di fatto ottenuto. La

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competenza, viceversa, non è ricavabile da una “fotografia”, perché implica il coinvolgimento di questioni “affettive”, quali ad esempio l’atteggiamento, la volizione, il desiderio di far uso delle conoscenze possedute e di completare quelle che si rilevano insufficienti.(Fandiño Pinilla, 2004).

Proprio per ottenere quante più informazioni possibile sulle competenze di ognuno, durante tutto il tirocinio ho prestato particolare attenzione al comportamento dei ragazzi in aula ed al loro approccio alla geometria.

Si è rivelata particolarmente utile ascoltare le loro idee, i loro dubbi non limitando mai i miei interventi alla semplice correzione di errori, ma utilizzando gli stessi come spunto per una discussione più approfondita. Una simile attività permetteva altresì di comprendere, per ogni allievo, il grado di implicazione personale raggiunta nel processo di apprendimento.

Con un certo compiacimento ho potuto verificare che la classe si è resa disponibile ad accettare uno schema di lezione meno rigido e più aperto alla riflessione (anche non prettamente matematica).

L’autoproporsi degli studenti per lo svolgimento di problemi alla lavagna, così come la richiesta degli stessi di conoscere la dimostrazione originale, o almeno supposta tale, del teorema di Pitagora, hanno indotto ad approfondimenti anche non auspicati. Devo ammettere comunque che talvolta i ragazzi non hanno dato il giusto peso ad alcune attività di laboratorio.

Dopo aver assegnato il problema proposto sotto forma di quadrati cartacei e poi quello ambientato in un frutteto (allegato n. 10), taluni studenti mi hanno chiesto di svolgere qualche esercizio in più a casa, aggiungendo però: “qualche esercizio vero!”. Siffatta osservazione rivela che esercizi e lezioni estranei agli schemi usuali sono stati percepiti da alcuni allievi come più gradevoli, ma meno utili ai fini dell’apprendimento della matematica. Tale giudizio è probabilmente imputabile al modo in cui l’insegnamento di questa disciplina viene percepito dagli studenti. Non tutti però hanno condiviso questo atteggiamento perplesso di fronte alla predetta tipologia di problemi; il secondo di questi, infatti, è stato proposto per esplicita richiesta di una ragazza entusiasta del primo.

Ritornando alla chiave di lettura fornita inizialmente allo schema che evidenzia le tre tipologie di valutazioni, il peso dato dai ragazzi ad alcune attività di laboratorio dipende sicuramente da una clausola del contratto

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didattico, ma coinvolge altresì una riflessione sul mio operato, evidenziando una personale difficoltà nel far loro comprendere gli obiettivi raggiungibili tramite quelle stesse attività.

Fra i mezzi utilizzati per la valutazione figurano anche una prova tradizionale finale ed i TEPs.

Quanto alla prima metodologia, la scelta dei quesiti è stata dettata dal desiderio di accertare il raggiungimento, da parte dei ragazzi, di determinati obiettivi cognitivi. A tale scopo ho utilizzato i seguenti criteri: criteri di realizzazione: essere capaci di scrivere correttamente

una definizione o l’enunciato di un teorema (quesito n. 1, 2), utilizzare correttamente il disegno (quesiti n. 3, 4), saper giustificare il comportamento seguito per giungere alla soluzione. criteri di risultato: saper scegliere la risoluzione più immediata ed

economica (quesito n. 5), saper evidenziare i teoremi che giustificano determinati passaggi logici (quesito n. 7), saper condurre la dimostrazione di un teorema secondo un approccio deduttivo. criteri di comprensione: essere capaci di tradurre l’enunciato in

un registro grafico, saper esporre il risultato ottenuto, aver compreso i teoremi di equivalenza e il loro utilizzo nella sequenza logica di una dimostrazione.

Ad ogni quesito è stato assegnato un punteggio (allegato n. 16), considerando anche un voto di penalizzazione in caso di mancato commento, figura ed altre imprecisioni.

Durante la correzione l’attenzione è stata posta non tanto sul prodotto, quanto sul processo di svolgimento. L’andamento dei risultati è stato più che soddisfacente. Di seguito vengono presentati alcuni istogrammi al fine di evidenziare graficamente le maggiori difficoltà incontrate dagli studenti e la votazione complessiva riportata:

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Quesiti 1 (punteggio max 6), 2 (punteggio max 4):

Voto Range n. Tra 5 e 6 5 6 6 Tra 6 e 7 6 7 4 Tra 7 e 8 7 8 5 Tra 8 e 9 8 9 2 Tra 9 e 10 9 10 2

10 10 1 ≥ < 20

6

4

5

2 2

1

0

1

2

3

4

5

6

7

Tra

5 e

6

Tra

6 e

7

Tra

7 e

8

Tra

8 e

9

Tra

9 e

10

10

Tra 5 e 6

Tra 6 e 7

Tra 7 e 8

Tra 8 e 9

Tra 9 e 10

10 L’istogramma conferma la difficoltà degli studenti ad esprimere

correttamente le definizioni ed gli enunciati dei teoremi richiesti nei rispettivi quesiti (solo un ragazzo ha raggiunto il massimo del punteggio)

Quesiti 6 (punteggio max 5) , 8 (punteggio max 6):

Voto Range n. non svolto 0 0 5 Tra 2 e 4 2 4 6 Tra 4 e 6 4 6 5 Tra 6 e 8 6 8 1 Tra 8 e 10 8 10 1 Tra 10 e 11 10 11 1

11 11 1 ≥ < 20

56

5

1 1 1 1

0

1

2

3

4

5

6

7

non

svol

to

Tra

2 e

4

Tra

4 e

6

Tra

6 e

8

Tra

8 e

10

Tra

10 e

11 11

non svolto

Tra 2 e 4

Tra 4 e 6

Tra 6 e 8

Tra 8 e 10

Tra 10 e 11

11

L’istogramma evidenzia la difficoltà dei ragazzi nel lavorare utilizzando

la nomenclatura Q(c1), R(p1,i), come implicitamente necessario per la risoluzione del quesito.

A parte tali osservazioni, come già detto, gli esiti della verifica sono stati più che soddisfacenti.

45

Istogramma Voti

Voto Range n. Tra 4 e 6 4 6 6 Tra 6 e 7 6 7 9 Tra 7 e 8 7 8 2 Tra 8 e 9 8 9 3 ≥ < 20

6

9

23

0123456789

10

Tra

4 e

6

Tra

6 e

7

Tra

7 e

8

Tra

8 e

9

Tra 4 e 6

Tra 6 e 7

Tra 7 e 8

Tra 8 e 9 Oltre ad illustrare le medie raggiunte, però, ritengo significativo

soffermarmi anche sul comportamento tenuto dai ragazzi al momento della consegna dei compiti corretti.

A tale riguardo, occorre preliminarmente precisare che: i voti scaturiti dalla verifica erano per tutti gli alunni superiori

alla loro media (per qualcuno risultava coincidente, ma per nessuno era inferiore); anche la tutor aveva avuto modo di apprezzare l’esito del

compito e di condividere con me i voti attribuiti. Il giorno della consegna al mio entusiasmo la classe ha risposto con

insoddisfazione e non curanza. Nessun ragazzo ha contestato gli errori evidenziati, e del resto a qualsiasi

richiesta di spiegazione ho dato ampio spazio, ciononostante il clima di insoddisfazione è stato evidente.

Credo che una simile reazione sia imputabile all’idea dei ragazzi di essere avvantaggiati da una correzione fatta dalla tirocinante nonché dall’opinione, ampiamente diffusa (e confermata nei successivi TEPs), che l’argomento fosse di facile comprensione.

Quanto sottolineato acquista maggior peso, considerando che “ogni studente si deve sentire parte non solo del processo di insegnamento-apprendimeno, ma pure del processo di valutazione. La coerenza implica uno sviluppo efficace, il riconoscimento di valori diversi, la professionalità

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del docente. Infine, è importante che tutti abbiano fiducia nel processo di valutazione, perché venga riconosciuto come prodotto esterno nel quale si configura l’etica delle intenzioni didattiche” (Fandiño Pinilla, 2002).

Al termine del percorso, ho proposto ai ragazzi alcuni TEPs (allegato n. 17), ovvero “produzioni nelle quali lo studente, messo nelle condizioni di volersi esprimere in modo comprensibile e con linguaggio personale, accetta di liberarsi da condizionamenti linguistici e fa uso di espressioni spontanee” (D’Amore, Maier, 2002).

Il primo TEP richiedeva di raccontare ad un amico le lezioni sull’equiestensione da un punto di vista emotivo. I restanti invece richiedevano di spiegare ad un bimbo un teorema ed un concetto matematico emersi durante le lezioni di tirocinio.

Per tutti ho avuto l’accortezza di scegliere come destinatario delle risposte una persona che non fosse l’insegnante stesso. Questo aspetto è di fondamentale importanza affinché il ragazzo si senta libero di esprimersi in modo informale.

Riporto di seguito alcune risposte accompagnate da mie brevi riflessioni. Alcune risposte circa il primo TEP: - “le lezioni di tirocinio sono sempre state piacevoli e chiare, mai

pesanti o noiose, grazie anche al tipo di argomento affrontato (non troppo complicato ed interessante) ”.

L’idea che i concetti relativi all’equiestensione fossero semplici (da cui forse la loro amarezza nel non aver raggiunto risultati eccellenti) caratterizza molti lavori.

- “L’ho vissuta come un’esperienza scolastica normale con momenti

però divertenti come quando siamo andati in laboratorio di informatica. Non ci sono stati momenti in cui sono stato più attento, mi ha interessato tutto, anche perché dopo c’era la verifica. Difficoltà vere e proprie non ci sono state ho fatto esercizio a casa e basta. Secondo me il lavoro è stato svolto correttamente con momenti anche di gioco dove però abbiamo imparato; l’unica critica è quella di velocizzare un po’ le spiegazioni, il resto è a posto ”

Da tale risposta emerge la convinzione che la valutazione sia vincolata sempre e solo alla verifica finale.

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- “Secondo me le lezioni sulle equivalenze sono state utili poiché abbiamo fatto attività alternative come laboratorio, tangram che sono state d’aiuto per comprendere meglio….”

L’apprezzamento sulle attività di laboratorio è riscontrabile in molti TEPs.

Soprattutto nel primo TEP molti ragazzi, nelle loro produzioni, si sono

rivolti a me dimenticando la figura dell’amico. Questo a conferma di come sia difficile per l’allievo sganciarsi dai vincoli stabilitisi in classe (anche perché riguardava un giudizio diretto sul mio operato)

Con gli altri TEPs i ragazzi sono riusciti maggiormente ad immedesimarsi nel compito richiesto.

Nel seguente TEP uno studente ha iniziato con un giusto approccio salvo poi dare per scontata il concetto di congruenza:

- “L’equiscomponibilità ti servirà quando sarai più grande comunque l’equiscompopnibilità ti permette di suddividere due figure differenti in più parti congruenti ”

C’è invece chi riesce ad esprimersi staccandosi da termini geometrici - “immagina di dover colorare un parallelogramma ed un triangolo. Se

il parallelogramma ha la stessa altezza del triangolo ed il triangolo ha la base che è il doppio di quella del parallelogramma allora la parte che dovrai colorare nel parallelogramma sarà uguale a quella del triangolo”.

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Conclusioni La stesura della tesi mi ha obbligato ad una profonda riflessione sia sul

lavoro svolto durante il tirocinio sia, più in generale, sugli anni di frequenza della scuola di specializzazione. Solo con l’esecuzione del tirocinio ho avuto modo, infatti, di comprendere il senso reale di alcuni dei corsi seguiti ed in particolare di quelli dedicati all’insegnamento della Didattica della matematica e di Laboratorio di didattica della matematica. Oggi posso affermare con sincera convinzione che la conoscenza della sola disciplina non è sufficiente affinché un insegnante svolga con piena avvedutezza il proprio mestiere. La Didattica della Matematica amplia gli orizzonti dei docenti fornendo loro la giusta chiave di lettura di quei complessi fenomeni che entrano in gioco nel processo di insegnamento-apprendimento. Preparandomi alla stesura del presente lavoro, ho avuto modo di leggere numerosi articoli di ricerca e testi di didattica della matematica, potendo constatare il valido aiuto che tale materiale fornisce all’insegnante che desideri organizzare un’attività di aula oppure effettuare un’analisi critica di quanto accaduto nello svolgimento dello stesso.

Durante il tirocinio ho avuto il piacere di organizzare lezioni delle quali gli stessi ragazzi sono divenuti attori principali ed ho constatato con gioia il loro entusiasmo nel “vivere” la matematica piuttosto che nel sentirla spiegare. Sono naturalmente consapevole dell’immenso aiuto ricevuto dalla tutor, professoressa Boltri, e dal supervisore, professor Monari. Ringrazio entrambi per il sostegno e l’aiuto profusomi affinché svolgessi il tirocinio nei migliori dei modi.

In particolare, sarò infinitamente riconoscente alla professoressa Boltri per i preziosi consigli elargiti durante le “ore buca” davanti ad una tazzina di caffè!

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Allegato n. 1 – Progetto di tirocinio

Università di Bologna Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario

Anno Accademico 2006/2007

Progetto di tirocinio

Equivalenze fra figure piane

Specializzando: Veronica Alessandrella Supervisore: prof. Fabrizio Monari Indirizzo Fisico-Informatico-Matematico Classe di abilitazione: A047 (matematica) Scuola di attuazione: Liceo Scientifico “E. Fermi” Bologna Tutor: prof.ssa Marina Boltri

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Finalità E’ assunto largamente condiviso che la scuola debba provvedere non

solo alla formazione culturale dello studente ma anche, e forse soprattutto, all’introiezione di valori che contribuiscano alla sua maturazione personale. La cultura, infatti, non può mai essere fine a se stessa, dovendo al contrario stimolare il ragazzo a porsi nuove domande, aiutarlo a rispondere ai suoi interrogativi.

Essa, in altri termini, deve rappresentare quel gradino posto più in alto che lo aiuti ad allargare gli orizzonti del proprio campo visivo.

A conferma di quanto detto è interessante considerare la premessa del documento ‘Attività didattiche e prove di verifica per un nuovo curricolo di Matematica’ redatto dall’Unione Matematica Italiana nel 2003, ove si precisa che “l’educazione matematica, insieme a tutte le altre discipline, deve contribuire alla formazione culturale del cittadino, in modo da consentirgli di partecipare alla vita sociale con consapevolezza e capacità critica”.

Il perseguimento di siffatto obiettivo è riscontrabile altresì nel Piano di Offerta Formativa del liceo scientifico Enrico Fermi, istituto presso il quale svolgo il tirocinio. Nel citato piano, infatti, sono rinvenibili obiettivi non solo didattici, ma anche educativi e formativi, quali il rispetto delle idee altrui, dell’ambiente, la disponibilità alle relazioni interpersonali. Nel descritto contesto trova senz’altro un posto d’onore la Matematica, una delle più antiche discipline (la cui importanza era già riconosciuta nell’antica Grecia), sulla quale si è fondato lo sviluppo di molte altre discipline quali l’astronomia, la navigazione ed oggi l’informatica. Sarebbe tuttavia riduttivo intendere la Matematica solo come disciplina scientifica, dal momento che essa è sempre stata “parte rilevante del pensiero umano ed elemento motore dello stesso pensiero filosofico”12 ed un intellettuale, fin poco tempo fa, non poteva dirsi tale se non aveva anche competenze matematiche.

Eppure oggi, sempre più spesso, ci si interroga sull’utilità della Matematica ed in particolare della Geometria. L’idea di Einstein, che

12 Dal programma di Matematica per il biennio (P.N.I.)

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considerava entrambe utili alla conoscenza del modo di essere degli oggetti reali che ci circondano, sembra essersi persa per sempre.

Sarebbe bene riflettere sull’evoluzione in atto, partecipando ai ragazzi quanto emerso nel 2000 dai lavori della commissione Kahane. Istituita nel 1999 dal Ministero francese dell'Istruzione Pubblica al fine di ripensare, in un'ottica globale e di lungo termine, l'insieme dei programmi scolastici, dalla scuola elementare all'università.

I rapporti prodotti dalla ricordata commissione ministeriale contengono molteplici approfondimenti teorici ed epistemologici nonché indicazioni pratiche ed abbracciano tutto l'insegnamento della disciplina, istituendo un prezioso collegamento agli sviluppi attuali della ricerca. Da tali documenti emerge in particolare come la Geometria sia una disciplina utile innanzitutto alla costruzione del concetto di spazio propria di ogni persona, un processo molto studiato peraltro in psicologia e da Piaget. Sarebbe certo un errore affermare che la conoscenza dello spazio sia riconducibile esclusivamente alla Geometria, ma errore egualmente grave sarebbe non riconoscere l’influenza che questa disciplina scientifica ha su di essa.

La commissione Kahane ha inoltre evidenziato il contributo fornito dalla Geometria allo sviluppo delle capacità di ragionamento, quelle stesse capacità che aiutano i cittadini ad assumere responsabilità in maniera consapevole ed a partecipare in modo attivo alla vita politica, sociale ed economica del Paese.

Tale sviluppo difficilmente viene riconosciuto, se si pensa alla Geometria solo come luogo in cui svolgere il ragionamento deduttivo, mentre appare evidente se si pensa alla stessa come ausilio all’apprendimento del ragionamento.

E’ essenziale altresì tener presente che l’apprendimento della Matematica in generale, e della Geometria in particolare, è complesso e richiede un investimento intellettuale notevole. Questa difficoltà non può e non deve essere ignorata dall’insegnante, che deve stimolare ed incuriosire il ragazzo, evitando di ridurre il ragionamento geometrico all’apprendimento formale di una dimostrazione. Il ragionamento geometrico, che inizialmente si basa sull’osservazione delle figure, prima di elaborare congetture, consta al contrario di un esame critico, che permette l’individuazione della strada migliore per lo svolgimento della dimostrazione. Il tutto in un dialogo permanente fra intuizione e rigore. Questo approccio costituito da analisi,

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ragionamento, ricerca della strada più semplice che porta alla soluzione, fornisce, una volta fatto proprio, uno “stile” utilizzato nell’affrontare tutti i problemi e non solo quelli a carattere matematico.

A riprova dell’universalità di questa disciplina e della sua importanza vale la pena soffermarsi un attimo sul suo utilizzo “extra-scolastico”. In pittura, ad esempio, Kandisky approfondisce la discussione sul rapporto punto-linea; l’urbanistica si è avvalsa costantemente di concetti geometrici, dall’antica Pompei alla costruzione dei nuovi quartieri di New York; in architettura, la Geometria Euclidea gioca un ruolo fondamentale già nella costruzione delle cattedrali. Nella vita quotidiana, poi, la Geometria ci viene in aiuto in una sconfinata molteplicità di situazioni: dall’interpretazione dei grafici statistici proposti dai quotidiani, all’arredamento del nostro appartamento, alla lettura della cartina di una città da visitare.

Pare dunque evidente come la Matematica in generale contribuisca allo sviluppo delle facoltà intuitive e logiche; incrementi le capacità di astrazione e di formazione dei concetti; coltivi il gusto per la ricerca di soluzioni problematiche mediante argomentazioni coerenti.

Strategie Alla luce di quanto detto, risulta dunque chiaro che il fallimento dello

studente in una disciplina implica molto più che il mancato apprendimento di nozioni. Per l’importanza del suo compito, il docente deve quindi approntare vere e proprie strategie, considerando anzitutto il legame fra insegnante, allievo e sapere, usualmente rappresentato in didattica della Matematica con il triangolo di Chevellard. L’insegnante deve considerare la noosfera in cui lavora, ovvero il sistema didattico, l’ambiente sociale e culturale della classe, facendo attenzione alla trasposizione didattica messa in atto. Nel corso delle lezioni, infatti, egli attua una trasposizione dal sapere matematico al sapere da insegnare e infine a quello insegnato, ed è in tale passaggio che bisogna fare attenzione alle eventuali costruzioni di misconcezioni o addirittura di ostacoli.

E’ vero che tutti, compresi gli insegnanti, hanno la tendenza naturale ad attribuire ad un nuovo concetto un’interpretazione intuitiva, ma il continuo ricorrere a tale espediente da parte dell’insegnante potrebbe rivelarsi dannoso. Bisogna infatti considerare che un modello intuitivo è un concetto alquanto forte ed inevitabilmente è utilizzato, anche a livello algoritmico,

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nella risoluzione dei problemi. Solo se vi è accordo fra i due livelli la consegna viene svolta più facilmente ed il ruolo della rappresentazione intuitiva passa inosservato. La costruzione di modelli mentali, ritenuti dall’allievo stabili e definitivi, può dar luogo ad un conflitto cognitivo allorquando riceve informazioni su un nuovo concetto non convalidato dall’immagine che aveva. Alla base dei conflitti vi sono misconcezioni ovvero “concezioni momentaneamente non corrette, in attesa di risistemazione cognitiva più elaborata e critica” (D’Amore 1999 pag 124)

Vi sono misconcezioni “inevitabili”, derivanti indirettamente dalla trasposizione didattica dell’insegnante, imputabili alla necessità di dover partire da un certo sapere da dover comunicare, che non sarà mai inizialmente esaustivo del concetto matematico interessato. Esistono poi misconcezioni “evitabili” derivanti, invece, dall’abitudine a presentare al ragazzo una figura, un concetto sempre nella stessa maniera: esse sono una diretta conseguenza della trasposizione didattica. Esempi di questo tipo sono riscontrabili in Geometria, dove la difficoltà dell’allievo a comprendere problemi, indicazioni, spiegazioni dell’insegnante, dipendono dal forte legame delle sue concezioni geometriche a modelli concreti utilizzati come supporto visivo, nel momento della creazione di tali concezioni.

La confusione degli oggetti matematici con le loro rappresentazioni semiotiche è tutt’altro che rara e ben esplicitata dal paradosso di Duval13: l’apprendimento degli oggetti matematici deve essere un apprendimento concettuale, ma è solo con l’uso di rappresentazioni semiotiche che è possibile un’attività su tali oggetti.

Oggetti matematici e loro rappresentazioni non dovrebbero mai essere confusi e lo stesso insegnante dovrebbe sempre considerare che mentre lui lavora su di essi, lo studente sta lavorando sulla loro rappresentazione semiotica.

Ancora Duval afferma che “gli oggetti matematici non sono direttamente accessibili alla percezione come gli oggetti comunemente detti ‘reali o fisici’; per questo motivo le rappresentazioni semiotiche di un oggetto matematico diventano necessarie ma è altrettanto vero che l’attenzione deve

13 Duval R. (1993) Registres de Répresentation semiotiques et Fonctionnement cognitif de la Pensée in “Annales de didatiques et de sciences cognitives”.

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essere posta sempre sull’oggetto e non sulle sue diverse rappresentazioni semiotiche14.

Sulle rappresentazioni visuali si sofferma Fischbein15 affermando che l’integrazione delle proprietà concettuali e figurali in strutture mentali, in cui le prime sormontano le seconde, non è un processo naturale e per essere raggiunta necessita di un costante impegno del docente. Il concetto figurale, inteso come “fusione tra concetto e figura” è un ulteriore obiettivo che l’insegnante deve prefiggersi, proponendo costantemente situazioni didattiche richiedenti la stretta cooperazione tra tali aspetti, fino alla loro fusione in oggetti mentali unitari. Se dunque il ruolo del registro figurale è importante, analoga attenzione bisogna dare al registro linguistico. Infatti non solo il linguaggio utilizzato nell’esposizione di nuovi argomenti, ma anche quello con cui vengono proposti problemi ed esercizi potrebbero nascondere ostacoli didattici. In particolare, il testo che viene fornito ai ragazzi, a casa o in classe, deve non solo possedere un elevato indice di leggibilità ma rispecchiare altresì determinati criteri evidenziabili dalla valutazione di quelle che C. Laborde ha chiamato “variabili redazionali” (punteggiatura e strutture sintattiche impiegate, complessità sintattica, densità dell’enunciato, ordine dell’informazioni fornite). Da siffatta valutazione si comprende come l’insegnante debba considerare che la difficoltà del problema dipende anche dal testo con cui lo stesso viene presentato. Certamente tali valutazioni potrebbero stridere con il desiderio dell’insegnante di portare in aula un linguaggio rigoroso. Occorre tuttavia considerare che l’uso di un linguaggio rigoroso rappresenta una difficoltà ulteriore, che si aggiunge a quella comportata dalla risoluzione del problema. Spetta quindi all’insegnante ricercare un giusto compromesso fra il rigore ed una esposizione del problema il più possibile chiara per lo studente.

Affrontando un tirocinio in Geometria risulta necessario altresì esaminare il ruolo assolto dalle dimostrazioni.

Spesso in Geometria, alle dimostrazioni viene affidato un ruolo fondamentale. Esse sono considerate dagli stessi insegnanti come mezzo per convincere l’allievo, per “fargli vedere determinate proprietà”. Certo le dimostrazioni rappresentano una fase importante dell’apprendimento 14 Duval R. (1993) op. cit. 15 Fischbein E. The theory of figural concepts, in: “Educational Studies in Mathematics”

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dell’intera Matematica, ma limitare lo studio della disciplina al loro svolgimento potrebbe allontanare lo studente, che vivrà questo distacco come un personale fallimento. Come sostenuto da F. Speranza “le dimostrazioni sono solo una parte del lavoro, esse sono precedute da una fase di intuizione, di congetture, di tentativi che via via si perfezionano”16. Questa fase preliminare non va ignorata anzi andrebbe considerato il livello di ‘accettazione intuitiva’ raggiunto dallo studente. In particolare Fischbein distingue tre livelli di comprensione: il primo considera il fatto espresso dell’affermazione stessa, il secondo livello si riferisce alla struttura della dimostrazione, l’ultimo riguarda la comprensione dell’universalità di tali affermazione, garantita ed imposta dalla dimostrazione stessa.

Per ottenere l’attenzione dei ragazzi, per accrescere il loro coinvolgimento, potrebbe risultare utile conferire maggiore spazio sia alla Storia che all’Epistemologia della Matematica. L’approfondimento della prospettiva storica, con specifico riferimento al contesto socio-culturale del tempo, offre infatti la possibilità di riflettere e comprendere la genesi di un concetto. L’epistemologia, invece, aiuta l’insegnante tanto nella trasposizione didattica quanto nella comunicazione. Trascurando la prospettiva epistemologica, la Matematica apparirà al ragazzo come qualcosa di impersonale ed atemporale (come più volte denunciato da Brousseau). Nascondere gli sforzi, le difficoltà incontrate nel costruire la Matematica contribuisce solo ad una visione noiosa, mnemonica e scollegata dal mondo reale della materia.

Il riferimento ad eventi storici, offrirebbe non solo un approccio aneddotico (sempre piacevole per gli studenti) ma potrebbe altresì rappresentare un utile filo di collegamento tra le varie discipline, mentre le conoscenze epistemologiche possono aiutare un insegnante ad individuare gli ostacoli epistemologici eventualmente presenti in determinati concetti matematici.

Un’analisi delle strategie da seguire non può tuttavia risultare completa senza aver considerato l’analisi degli errori, ed il ruolo da lasciare ai ragazzi. Spesso gli errori di uno studente vengono letti come un fallimento e non come la manifestazione di un malessere cognitivo, ovvero come 16 Speranza F. (1992), La geometria nelle scuole superiori: dimostrazioni o progetto di razionalità. Definire, argomentare e dimostrare nel biennio e nel triennio: opinioni, esperienze e risultati di ricerche a confronto, Atti del II Internucleo della Scuola secondaria superiore, CNR, tecnologie e innovazioni didattiche

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l’esplicitazione da parte dell’allievo di una misconcezione. Compito dell’insegnante quindi non dovrebbe essere esclusivamente quello di valutare siffatti errori in modo negativo, dovendo fornire al ragazzo tutti gli strumenti necessari all’elaborazione critica. L’insegnante deve, in altri termini, riconoscere in tali errori l’eventuale conflitto tra livello intuitivo, livello algoritmico e livello formale, dovendo aiutare lo studente a prendere coscienza di tali conflitti. Da parte sua, il ragazzo deve sviluppare, con l’aiuto dell’insegnante, la capacità di analizzare le sue risposte, di rendere esplicite le supposizioni implicite e dimostrarle attraverso l’uso di strategie formali. In tal modo la lezione vedrà una diretta implicazione del ragazzo nell’apprendimento, manifestata dalla rottura del contratto didattico. La lezione, in altri termini, sarà caratterizzata dalla creazione di una situazione a-didattica, in cui è il ragazzo in prima persona che fa tentativi, li verifica ed analizza gli eventuali fallimenti.

Una simile didattica, più del rigore e delle dimostrazioni, potrebbe indurre un’affezione per la disciplina, indispensabile perché lo studente sia disposto ad apprendere.

Quanto detto trova una mirabile sintesi nel noto aforisma: “Credimi, dice il maestro all’allievo, osa utilizzare il tuo proprio sapere e imparerai”17.

Vincoli Al fine di concretizzare le strategie finora esaminate, non bisogna

trascurare il contesto in cui si lavora. Mi avvarrò pertanto delle riflessioni scaturite dall’osservazione condotta nelle classi del liceo scientifico ‘E. Fermi’ di Bologna, dove svolgo l’attività di tirocinio. L’Istituto offre, oltre all’indirizzo tradizionale, altri 5 indirizzi sperimentali: il corso tradizionale con scienze, il corso con sperimentazione linguistica (insegnamento di due lingue straniere), il corso attuante il PNI, l’indirizzo che attua il PNI integrato da scienze e quello con PNI integrato da due lingue straniere.

Tutti gli indirizzi hanno ampie possibilità di realizzazione, essendo l’Istituto fornito di numerosi laboratori. Se a questi si aggiungono poi il laboratorio musicale autogestito, la biblioteca, le palestre, gli ampi spazi destinati alla ricreazione e l’offerta aggiuntiva di corsi di teatro, danza scrittura, si comprende come l’obiettivo dell’Istituto sia quello di fornire

17 Sarrazy B. (1995) Le contrat didatique. Revue française de pedagogie

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allo studente un ambiente quanto mai idoneo a stimolare ed evidenziare le sue attitudini.

L’osservazione è stata condotta nelle classi di due bienni, con la realizzazione di un inevitabile confronto fra quelle del medesimo anno di corso. In particolare l’attenzione è stata rivolta alle classi dell’ultimo anno del biennio, in una delle quali, la II C, svolgerò il tirocinio attivo. L’altra, la II D, composta da 27 alunni mi è apparsa come una classe vivace, complessivamente poco propensa allo studio, ma che a suo modo segue le lezioni. Il clima in classe è disteso ed anche i rimproveri per il mancato studio pomeridiano, sono all’insegna di una sintonia reciproca tra i ragazzi e la professoressa.

La II C è composta da 21 alunni e sebbene il minor numero di studenti dovrebbe influire positivamente sul rapporto alunno-insegnante, la professoressa fin dall’inizio mi ha espresso le sue “preoccupazioni” per il clima instauratosi in classe. Nel corso del primo anno, la classe, molto vivace e poco attenta, seguiva le lezioni in un’aula con affaccio su via Emilia Levante, strada molto trafficata ed alquanto rumorosa. I ragazzi attribuivano la loro distrazione proprio alla collocazione dell’aula. Quest’anno la loro aula si affaccia su un giardino interno ed è molto silenziosa, ma, nonostante questo, la classe sembra comunque poco interessata allo studio della Matematica. Personalmente ritengo che l’assenza di partecipazione non sia dovuta ad un reale disinteressamento per la Matematica, quanto piuttosto alla mancanza in classe di ragazzi che partecipino in modo attivo alla lezione, mettendo in gioco le proprie capacità.

Fatta eccezione infatti per alcuni ragazzi aventi lodevoli risultati, ma di carattere taciturno ed inidonei ad ‘animare’ la lezione, e per quelli poco coinvolti, la maggior parte degli studenti si limita alla continua richiesta di regole da applicare e procedimenti standard da seguire. Tale esigenza li induce ad ascoltare passivamente la lezione, ma soprattutto causa enormi difficoltà in quelle consegne dove è richiesta una rielaborazione personale delle conoscenze acquisite.

Pur con risultati differenti, la metodologia utilizzata dal tutor in entrambe le classi è simile (ciò a riprova che non esiste una ricetta pronta che consenta di preparare una lezione di Matematica efficace, per l’apprendimento dell’allievo). Le lezioni sono quasi sempre frontali: la

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professoressa, seguendo l’ordine del libro di testo, propone alla classe i nuovi argomenti, soffermandosi, per quanto riguarda la Geometria, sulla chiarezza del disegno, delle ipotesi e della tesi. Particolare importanza viene data al lavoro svolto nelle ore pomeridiane, che dovrebbe contribuire ad una personale rielaborazione dei contenuti illustrati in classe, nonché all’emersione di passaggi poco chiari da riesaminare nella lezione successiva. Lo studio pomeridiano a casa, tuttavia, è quasi assente per la maggior parte dei ragazzi e la professoressa è costretta a controllare spesso i compiti assegnati. In caso di mancata consegna, lo studente è invitato alla lavagna per svolgere l’esercizio mancante onde approfondire gli eventuali passaggi critici. Di fronte ad imprecisioni od errori, la professoressa invita altri ragazzi ad intervenire mantenendo così alta l’attenzione di tutta la classe.

La partecipazione spontanea è bene accetta ed anzi incoraggiata. In tali momenti l’attenzione della professoressa non è rivolta alla correttezza dei calcoli, quanto piuttosto a comprendere se il ragazzo ha fatto propri determinati concetti. Interventi concettualmente esatti, ma inutili ai fini della corretta consegna vengono considerati inesatti in quanto espressione di un apprendimento mnemonico, cui non è seguita alcuna riflessione personale.

Per quanto riguarda la Geometria, il libro di testo utilizzato “Talete. Le grandezze geometriche, la similitudine, lo spazio” di Bergamini-Trifone, propone un’impostazione classica: definizioni, teoremi, alcuni problemi svolti in funzione esemplificativa. Al testo la professoressa affianca suoi schemi, con l’intento di aiutare gli studenti ad inquadrare meglio l’argomento.

Raramente la professoressa conduce i ragazzi in laboratorio fondamentalmente per problemi organizzativi e di tempo avendomi fatto osservare situazioni in cui l’uso di software specifici, in particolare del Cabrì, sarebbe risultato utile. Anche gli studenti hanno più volte espresso il loro desiderio di svolgere alcune lezioni in laboratorio.

Prerequisiti Il tirocinio attivo in II C verrà svolto in Geometria ed in particolare

sull’equivalenza delle figure

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piane. Per il raggiungimento degli obiettivi, che dinanzi verranno elencati, è necessario che i ragazzi

abbiano acquisito determinate conoscenze e competenze18. In particolare:

mutativa;

nferenza; izione di parallelogramma e di trapezio;

re con le proprietà che caratterizzano una relazione

onferenza;

nate in posizioni differenti da quelle che usualmente

conoscenze di base del software Cabrì.

competenze da parte della classe, che il relativo livello di ac

Sapere definizione di relazione di equivalenza; definizione di proprietà associativa, com i tre criteri di congruenza dei triangoli; definizione di poligono circoscritto in una circo defin

Saper fare lavora

d’equivalenza; costruire l’altezza relativa a ciascun lato di un triangolo; disegnare un poligono circoscritto a una circ costruire le altezze in un parallelogramma; applicare i criteri di congruenza dei triangoli; riconoscere la congruenza fra figure piane e fra angoli; individuare figure piane, in particolare parallelogrammi e

trapezi, anche se disegvengono adoperate;

Un test iniziale potrà essere sicuramente utile sia per individuare il

possesso di tali quisizione19 . Sarà dunque possibile evidenziare se i ragazzi sono in grado di riprodurre

conoscenze note applicabili in accertamenti standardizzati, oppure se, ad un livello più alto, sono in grado di affrontare problemi non di semplice routine, ma sempre di ambito familiare ovvero infine se sono in grado di

18 Per conoscenze si intende l’insieme di nozioni, concetti ed informazioni che il ragazzo apprende e di cui diventa detentore. Le competenze sono l’insieme di attitudini (qualità intrinseche dell’individuo), delle conoscenze (o saperi), delle abilità (“sapere in azione” ovvero la modalità con cui la conoscenza viene esercitata e resa operativa) detenute dal ragazzo 19 In PISA 2003 sono evidenziati tre livelli di competenze: della riproduzione, delle connessioni, della riflessione.

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pianificare strategie di soluzioni ed applicarle in contesti meno familiari e più

ivi

i superficie piana; lenza;

individuare e dimostrare l’equivalenza fra poligoni; scere i teoremi di Euclide e le relative dimostrazioni;

relativa dimostrazione.

poligoni in altri equivalenti;

equivalenza

ione a problemi geometrici,

equivalenti

pio spazio dedicato alla risoluzione di ese

relazioni tra il contenuto insegnato, gli alunni, l’insegnante e le attese,

complessi.

ObiettL’attuazione del tirocinio attivo è vincolata ai seguenti obiettivi: Sapere

acquisire il concetto d acquisire il concetto di area come relazione di equiva acquisire il concetto di equivalenza fra figure piane ed

equiscomponibilità;

cono conoscere il teorema di Pitagora e la

Saper fare addizionare /sottrarre più superfici; confrontare superfici stabilendo relazioni fra esse;

trasformare applicare i teoremi di Euclide e di Pitagora;

verificare, attraverso l’utilizzo del software Cabrì, l’ fra figure;

formulare congetture in relaz attraverso l’uso di Cabrì, e argomentare su di esse; saper manipolare figure piane trasformandole in altre

attraverso riga e compasso. Considerata la “situazione emotiva” della classe, mi pare utile proporre

alcuni obiettivi anche in ordine alla metodologia da utilizzare. Pur evitando di stravolgere lo stile del tutor, lezioni frontali nelle quali

alla spiegazione teorica segue un amrcizi e problemi atti a consolidare ed approfondire le nozioni acquisite, è

mia intenzione introdurre nella lezione più ampi riferimenti storici nonché l’utilizzo di tecnologie informatiche.

Questo al fine di rompere quella “routine” d’aula che la classe vive, forse dovuta in parte ad una cattiva interpretazione del contratto didattico, ossia “dell’insieme di regole, di vere e proprie clausole…che organizzano le

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all’interno della classe nelle ore di Matematica” (D’Amore 1999). Siffatta discontinuità rispetto all’accennata “routine” potrà essere favorita dal mio ruolo di “professore pro-tempore” (la stessa mia presenza in aula come tirocinante ha rappresentato elemento di “diversità”) dovendo comunque essere gestita con attenzione per evitare che costituisca un elemento di dis

vita qu

dalle ide

uesta attività sarà inoltre un valido ausilio affinché i ragazzi non si limitino solo alla risoluzione del problema, ma riflettano sulle strategie uti

staurare fin da subito un rapporto chiaro e co

ncordate con la professoressa, ciò al

orientamento per lo studente.

Organizzazione dei contenuti Le lezioni verranno organizzate in modo tale da stimolare costantemente

i ragazzi alla partecipazione attiva, sebbene, nella fase di osservazione, abbia potuto notare una certa reticenza a tale coinvolgimento, nonostante i ripetuti inviti della professoressa tutor. Il mio intento è quello di evidenziare in ogni fase l’aspetto storico che ha spinto i grandi studiosi della materia a soffermarsi su determinati argomenti, facendo contemporaneamente emergere le idee, le immagini che i ragazzi hanno dei concetti, oggetto di lì a poco della lezione. Credo infatti sia necessario tenere sempre a mente che i ragazzi non sono una ‘tabula rasa’ ma che, attraverso esperienze di

otidiana e/o attraverso le attività condotte nel corso degli anni di studio precedenti, essi hanno già costruito proprie immagini e propri modelli.

Nell’introdurre i nuovi concetti, è mia intenzione, quindi, di partiree intuitive dei ragazzi per poi passare alla formalizzazione delle stesse,

evidenziando altresì l’importanza di tali nozioni nella vita quotidiana. Attraverso le attività di laboratorio, i ragazzi saranno coinvolti in prima

persona nella costruzione di congetture e nella verifica dei risultati cui esse portano. Q

lizzate.

Fase 1 (tempo previsto 1 ora) Per la realizzazione degli obiettivi assegnatimi (e credo anche a livello

metacognitivo) è necessario inrretto con la classe, spiegando anzitutto la ragione della “momentanea

sostituzione” dell’insegnante. Ai ragazzi deve essere chiaro che, sia pur con differenti modi di

attuazione, le linee guide sono state co

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fin

discussione nel corso della quale gli stessi ragazzi saranno ch

avoro sarà del tutto compatibile con la tra

non presenti sul libro di testo, verranno di volta in volta for

o con il contributo di tutti e la cui forma verrà delineata, lezione dopo lezione rispecchiando gli interessi ed il modo di essere della classe stessa

e di evitare che la sostituzione temporanea sia percepita come una discontinuità dell’attività disciplinare.

Essendo la conoscenza della classe limitata al periodo di tirocinio passivo, ritengo inoltre importante proporre un test per la verifica del possesso da parte degli studenti di quelle competenze e conoscenze necessarie per affrontare il nuovo argomento. L’esito del test verrà discusso in una lezione successiva, non come una correzione di un compito in classe, ma come libera

iamati ad evidenziare le eventuali lacune, con il successivo ed immediato mio intervento.

L’impostazione di questo breve lccia del libro di testo e con i risultati dell’osservazione, proprio al fine di

evitare confusione in ogni studente. Nelle fasi seguenti si cercherà sempre di affiancare ai concetti

geometrici, riferimenti storici e/o applicazioni concrete. A supporto di tali ‘deviazioni’,

niti, a ciascun ragazzo, i materiali di riferimento, opportunamente fotocopiati.

Una copia del materiale aggiuntivo fornito verrà attaccata ad un cartellone affisso in classe. Va da sé che confido in una ricerca (incoraggiata e ben accetta) di materiale ulteriore da parte dei ragazzi. Anche i materiali messi a disposizione dagli studenti arricchiranno il tabellone, nel tentativo di far vivere l’argomento trattato come qualcosa di costruit

.

Fase 2 (tempo previsto 6 ore) Inizialmente verrà fatto emergere il concetto di estensione di una

superficie che i ragazzi hanno acquisito nel corso degli anni di studi passati. Si portano esempi concreti per evidenziare i problemi della vita quotidiana in cui utilizzare il concetto di area. Si fa riferimento storico all’importanza che il calcolo delle aree aveva negli antichi Egizi e Greci. Si fornisce una dispensa di tale riferimento storico che mi permetterà di introdurre l’attività relativa al riempimento del cartellone e di spiegarne il senso.

68

Viene poi introdotto il concetto di equivalenza fra figure piane facendo emergere le proprietà che la rendono una relazione d’equivalenza. I ragazzi saranno stimolati a calcolare la somma e la differenza fra superfici o a confrontarle fra loro (maggiore di, minore di). Si evidenzierà come tale concetto sia utile nella vita extra scolastica (acquisto di più terreni, scelta di un appartamento per la sua metratura, ecc). Attraverso l’utilizzo del tangram, i ragazzi saranno invitati a costruire figure adoperando sempre un ugual numero di pezzi (figure equivalenti) o una porzione sempre differente (figure non equivalenti). In tal modo si concretizzerà l’idea di equivalenza fra figure e allo stesso tempo si evidenzierà la differenze fra tale concetto e quello di congruenza.

Viene introdotto il concetto di figure equiscomponibili evidenziando la relazione con il concetto di equivalenza fra le stesse figure.

Attraverso un attività in laboratorio (o anche l’utilizzo di videoproiettore in classe), i ragazzi, utilizzando macro elaborate con il software Cabrì (vedi allegato ‘Macro Cabrì’), saranno invitati a trasformare le figure in altre equivalenti. Le immagini stampate verranno poi incollate sul cartellone. L’attività sarà finalizzata a rendere visibili i concetti che in aula verranno poi affrontati con maggiore rigore matematico.

Successivamente si procederà alla spiegazione dei vari teoremi sull’equivalenza fra figure piane (alcuni dei quali sono stati visti nella precedente attività di laboratorio), seguendo l’ordine del libro di testo. Il libro verrà costantemente preso in considerazione non solo per l’ordine di presentazione, ma anche per l’impostazione delle dimostrazioni. E’ infatti im o nel libro di

tizione. seguenti equivalenze:

triangolo eq

portante che i ragazzi, nel loro studio pomeridiano, trovintesto un valido strumento di ripe

In particolare verranno dimostrate le fra due parallelogrammi; fra parallelogramma e triangolo; fra triangolo e trapezio; fra triangolo e poligono circoscritto a una circonferenza.

Infine, verrà illustrata la trasformazione di un poligono convesso in un altro poligono equivalente al primo ma con un lato in meno. Si farà quindi vedere come da qualsiasi poligono si possa ricavare un

uivalente. Questa fase è di notevole importanza perché permetterà ai ragazzi di lavorare manualmente attraverso disegni alla lavagna.

69

La spiegazione dei teoremi suddetti richiederà sicuramente una lezione più frontale rispetto alle precedenti ma l’obiettivo non sarà la sterile rip

o quelle co

negli argomenti trattati. Attraverso lo svolgimento di esercizi alla lavagna si cercherà di riepilogare, coinvolgendo tut

ttive opere. Il ma

ngolo opportunamente costruito sulla

roduzione, dal libro alla lavagna, delle varie dimostrazioni, bensì la costruzione di ciascuna di essa con la partecipazione di tutta la classe.

In questa fase verrà coinvolto il nucleo fondante “Argomentare, congetturare, dimostrare”. Sia per l’attività di laboratorio che per la lezione in aula verrà chiesto ai ragazzi di produrre congetture e di argomentarle. Le congetture emerse verranno messe fra loro a confronto, confermand

rrette attraverso l’uso del software e/o il riferimento a teoremi già studiati; nello stesso modo verranno confutate le congetture errate.

Prima di passare ad argomenti successivi, verrà effettuato un riepilogo di quanto emerso. L’attività consentirà di “testare” il grado di attenzione della classe ed il relativo coinvolgimento

ta la classe, tutti i concetti emersi.

Fase 3 (tempo previsto 5 ore) Prima di enunciare i teoremi di Euclide e quello di Pitagora verrà

presentata la vita di questi grandi matematici e le rispeteriale concernente tale approfondimento storico verrà distribuito agli

studenti ed una copia dello stesso verrà affissa al cartellone. Dopo aver precisato la nomenclatura utilizzata per indicare gli elementi

di un triangolo rettangolo, verranno illustrati i seguenti teoremi: o Primo teorema di Euclide: enunciato e dimostrato seguendo i

criteri di una lezione frontale. L’impostazione che verrà seguita, quella del libro di testo, considera l’equivalenza fra il quadrato ed un parallelogramma costruiti su uno stesso cateto di un triangolo rettangolo e l’equivalenza dello stesso parallelogramma con il rettaproiezione del cateto sull’ipotenusa. Sfruttando la proprietà transitiva dell’equivalenza si arriverà alla tesi. o Teorema di Pitagora: poiché esso è stato già studiato alla scuole

medie si cercherà in un primo momento di far emergere quanto i ragazzi già conoscono. A tal fine verranno utilizzate alcune delle fasi descritte nel documento UMI 2003 in riferimento a questo teorema. In particolare verrà utilizzato il racconto (vedi allegato) presente nella prima di dette fasi per stimolare una discussione sull’applicabilità del teorema di Pitagora. In

70

particolare si chiederà ai ragazzi di riflettere su quanto descritto nel racconto, di riprodurlo alla lavagna (l’uso di gessetti colorati potrebbe aiutare l’evidenziazione delle figure interessate), di verificarlo per più triangoli rettangoli aventi lati di lunghezza intera. Il racconto proseguirà seguendo la seconda fase proposta in UMI 2003 (vedi stesso allegato) al fine di interrogare i ragazzi sulla validità del teorema di Pitagora per tutti i triangoli rettangoli a prescindere dalla lunghezza dei suoi lati. Questa riflessione porterà all’esigenza di una dimostrazione formale che garantisca l’universalità del teorema. Quest’attività può risultare particolarmente utile in quanto, anche in fase di tirocinio, mi è capitato di osservare come i ragazzi spesso confondano la dimostrazione con la verifica (“l’ho provato per n casi e funziona!!”). Verrà considerata la dimostrazione sulla validità del teorema riportata sul libro di testo. o Inverso del teorema di Pitagora: questo teorema, solo enunciato,

verrà introdotto illustrando ai ragazzi la modalità con cui gli antiche Egizi costruivano gli angoli retti e facendo osservare loro che tale metodologia

ne frontale. L’impostazione che verrà seguita, quella del lib sitiva dell’equivalenza.

si al cartellone.

si desidera co

no considerando), ai ragazzi

teti c1 , c2 diventi:

rappresenta proprio l’inverso del teorema di Pitagora (vedi allegato). Tale metodologia è ripresa ancora una volta dal documento UMI2003 o Secondo Teorema di Euclide enunciato e dimostrato seguendo i

criteri di una lezioro di testo, sfrutta il primo teorema di Euclide e la proprietà tran

Tutti gli allegati utilizzati in tale fase verranno affis

Fase 4 (tempo previsto 3 ore) - Laboratorio Con l’attività di laboratorio, mediante l’uso di Cabrì, involgere in prima persona i ragazzi, invitandoli a congetturare sulle

possibili strade da seguire per verificare il teorema di Pitagora. Dopo aver effettuato la costruzione ed aver controllato la veridicità del

teorema in questione per alcuni casi (saranno gli studenti, muovendo i tre vertici, ad indicare il caso particolare che stanverrà chiesto di spostare il vertice relativo all’angolo retto in modo che il triangolo di ipotenusa i e ca Triangolo rettangolo equilatero (c1 = c2): applicando teorema di

Pitagora si avrà i = 2 c1

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ovvero la formula che fornisce la diagonale di un quadrato di cui si conosce il lato (il triangolo iniziale è proprio la metà di un quadrato) Triangolo rettangolo avente il cateto c1 la metà dell’ipotenusa

1 ):

c2=

(c =i/2) applicando il teorema di Pitagora i ragazzi troveranno che

23 i Ovvero la formula per determinare l’altezza di un triangolo

eq

mente per entrambi i casi saranno i ragazzi che attraverso co

al fine di “istituzionalizzare” il sapere emerso. Le relazioni, richieste dopo le prime due ore di attività in laboratorio,

previsto 3 ore) - Verifica

a collaborazione con il tutor. allo stile della professoressa, è mia posto da

mi, per la cui risoluzione non siano necessari solo gli argomenti trattati, ma anche la personale pianificazione di una strategia di ris

rcorso effettuato dallo studente che, e in questo caso soprattutto, della correttezza dell’impostazione e dell’attuazione dell’iter da me utilizzato.

uilatero di cui si conosce il lato (il triangolo iniziale è proprio la metà di un triangolo equilatero).

Naturalngetture, discussione, verifiche dovranno arrivare alle osservazioni prima

riportate. Al termine di questa fase verrà chiesto ai ragazzi di elaborare a casa una

relazione, nella quale spiegare l’attività svolta in laboratorio, i risultati trovati, le figure su cui si è lavorato. Questa attività è indispensabile

verranno discusse nell’ultima ora.

Fase 5 (tempo

Verifica (2 ore)

Il testo del compito verrà elaborato in strettImprontando la verifica anche intenzione proporre un compito com domande a risposta aperta; domande a risposta chiusa; problemi simili a quelli già affrontati in aula; proble

oluzione.

Correzione (1 ora)

La correzione e discussione in aula della verifica effettuata segnerà la conclusione della mia attività di tirocinio. Da questo fase dovrà emergere sia una valutazione del pe

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Valutazione Per affrontare il tema della valutazione è indispensabile riflettere sulle

sue finalità, sugli strumenti da operare e sui fattori da osservare. L’idea di valutazione è stata fonte di studio e nel corso degli anni ha

subito una profonda evoluzione. Se infatti all’inizio del XX secolo era il docente che valutava l’allievo per le sue capacità cognitive, oggi l’idea di valutazione è radicalmente mutata, non essendo più intesa come un fine ma come un processo.

La valutazione quindi non s’identifica più con la semplice assegnazione di un voto, ma diviene lo “strumento tramite il quale l’insegnante sprona l’allievo e sé stesso a sviluppare meglio il processo di insegnamento – apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non essere solo attore in dipendenza del contratto didattico”20.

Si comprende allora come la valutazione debba essere considerata come un processo utile sia all’insegnante, per misurare l’efficacia della propria didattica, sia all’allievo, per verificare le conoscenze-competenze apprese.

Studi pedagogici hanno evidenziato la distinzione tra valutazione “formativa”, “sommativa” e “valutativa”. La prima prende in esame la realizzazione degli obiettivi cognitivi di un allievo, la seconda misura il lavoro di ciascun allievo in modo sistematico (spesso riducendosi all’assegnazione di un voto), mentre l’ultima considera una valutazione più ampia, che prende in esame il lavoro dell’insegnante, la scuola, il curricolo.

Se quindi la valutazione è un processo così complesso, si comprende come non sia possibile individuare un unico strumento atto al raggiungimento di tutti questi obiettivi. E’ necessario allora adottare tecniche differenti a seconda dello scopo da raggiungere. In particolare si potrà: osservare i ragazzi impegnati nelle attività in aula e chiedere

spiegazioni sul loro operato; chiedere agli studenti la loro opinione sulla matematica, il loro stato

d’animo mentre lavorano in matematica; favorire la discussione in aula; utilizzare le prove tradizionali.

20 Perrenoud (1991) , Pour une approche pragmatique de l’évolution formative

73

Tali metodologie verranno tenute ben presenti nel corso del tirocinio attivo.

Il test iniziale avrà lo scopo di valutare le conoscenze e le competenze possedute da ciascuno studente. Le valutazioni formative in itinere verranno attuate durante l’attività in classe, considerando gli interventi degli studenti, la loro partecipazione nelle varie fasi, la loro capacità di svolgere problemi nuovi proposti in classe.

L’esito di queste valutazioni porterà altresì ad una personale riflessione sul mio operato in classe e sull’efficacia delle metodologie utilizzate, permettendomi, ove sia necessario, di apportare le dovute correzioni.

A conclusione del progetto verrà proposta una verifica sommativa per valutare il livello di comprensione dei concetti affrontati ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

La valutazione individuale non scaturirà solo da siffatta verifica, bensì anche dall’osservazione della classe in tutte le attività proposte, dall’interesse mostrato, dall’impegno profuso in classe come nelle ore pomeridiane di studio a casa. Per quanto concerne la valutazione sommativa, anche al fine di garantire una certa continuità con il passato, svilupperò, con l’aiuto del tutor, una griglia per attribuire a ciascuno degli esercizi proposti un voto; la somma dei singoli risultati costituirà il voto assegnato. La correzione di ciascun esercizio non terrà conto solo della correttezza del risultato finale, ma anche del procedimento seguito e della logica utilizzata.

Alla luce di quanto esposto, la valutazione non potrà dirsi completa senza che sia stata esaminata l’efficacia del mio intervento. A tal fine risulterà certamente utile non solo l’analisi dell’esito della verifica, eventualmente rapportato agli esiti ottenuti dalla classe in precedenti verifiche, ma anche il confronto con il supervisore, costantemente aggiornato sulle attività svolte e sulla risposta della classe, e con la tutor. Quest’ultima, in particolare, grazie alla compresenza in aula ed all’approfondita conoscenza della classe, potrà esprimere un costruttivo parere sia sulle attività proposte sia sulle modalità di insegnamento da me concretamente adottate.

74

Bibliografia

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Bagni G.T. (2005), Appunti di Didattica della Matematica. Reperibile sul sito http://www.syllogismos.it/giorgiobagni/appdid/0-introd.pdf.

D’Amore B. (1999), Elementi di didattica della matematica. Bologna, Pitagora.

D’Amore B. (2004), Il ruolo dell’Epistemologia nella formazione degli insegnanti di Matematica nella scuola secondaria. La matematica e la sua didattica, 4, 4-30.

D’Amore B., Sbaragli S.(2005), Analisi semantica e didattica dell’idea di “misconcezioni”. La matematica e la sua didattica, 2, 139-163.

Sbaragli S.(2005), L’importanza delle diverse rappresentazioni semiotiche. Il caso degli enti primitivi della geometria. Bollettino dei docenti di matematica, 50, 69-76.

Sbaragli S. (2005), Misconcezioni “inevitabili” e misconcezioni “evitabili” . La matematica e la sua didattica,1, 57-71.

Fandiño Pinilla M. I. (2002), Curricolo e valutazione in matematica. Bologna, Pitagora.

Documenti consultati: Commission de réflexion sur l’enseignement des mathématiques (2000).

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Matematica- Ciclo secondario. Unione Matematica Italiana.. Piano dell’Offerta Formativa 2006-2007 del liceo scientifico “Enrico Fermi”

di Bologna. PISA 2003, Valutazione dei quindicenni, Armando 2004 Siti consultati http://digilander.libero.it/scuoladibiasio/file_Cabri.htm

75

http://www.syllogismos.it/giorgiobagni/dispense.htm Libri Geometria Bergamini, Trifone- Talete. Le grandezze geometriche, la similitudine, lo

spazio. Scaglianti, Varagnolo- Lezioni di Matematica: la geometria.

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Allegato teorema Pitagora Descrizione dell’attività L’attività proposta non solo offre una ripresa e un approfondimento di

contenuti noti agli studenti, che infatti nella scuola media hanno già conosciuto e applicato il teorema

di Pitagora, ma li guida anche ad argomentare correttamente. Prima fase L’insegnante inizia con la lettura di una parte del racconto. “Siamo assai impazienti”, continuò lo Sceicco, "che tu ci aiuti a

rispondere a una domanda posta dal principe Cluzir Shah. In quale modo gli indiani hanno contribuito al progresso della matematica e chi sono i geometri indiani che maggiormente si sono distinti in questa scienza?” “Generoso Sceicco!”, rispose Beremiz, "Il compito che tu mi affìdi richiede cultura e obbiettività: cultura, per conoscere nei particolari la storia della scienza, obbiettività per analizzarla e giudicarla con criterio. D'altra parte, o Sceicco, ogni tuo desiderio è per me un ordine. Racconterò quindi a questa eletta compagnia, quale piccolo omaggio al principe Cluzir Shah, le poche cose che

conosco sullo sviluppo della matematica nel paese del Gange.” “Nove o dieci secoli prima di Maometto viveva nell'India un famoso

bramino di nome Apastamba. Questo sapiente, per istruire i preti sulla costruzione di altari e sul progetto di templi, scrisse un’opera chiamata Salvasūtra che contiene molti esempi matematici. È improbabile che questo trattato sia stato influenzato dalle teorie pitagoriche, dal momento che gli studiosi indiani non seguivano i metodi di indagine dei greci. Nelle sue pagine si trovano comunque numerosi teoremi e

SPAZIO e FIGURE regole per costruzioni geometriche. Per spiegare la costruzione di un altare, Apastamba propone di tracciare un triangolo rettangolo, i cui lati misurino rispettivamente 39, 36 e 15 centimetri; per risolvere il problema egli applica un teorema attribuito al greco Pitagora:

“L’area del quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati”. E, rivolgendosi allo sceicco Iezid, che ascoltava attentamente: “Sarebbe più facile spiegare questa famosa regola con un disegno”. Lo Sceicco fece un cenno ai servitori, e subito due schiavi portarono una larga scatola piena di sabbia, sulla cui liscia superficie Beremiz si mise a tracciare figure e a effettuare calcoli per il Principe di Lahore, servendosi di una canna di bambù. “Ecco un triangolo rettangolo. Il suo lato maggiore si chiama ipotenusa. Costruiamo adesso un quadrato su ciascuno dei suoi lati: è facile dimostrare che il quadrato grande disegnato sull'ipotenusa ha esattamente la stessa area della somma degli altri due quadrati, confermando così la giustezza del teorema di Pitagora.”

L’insegnante apre la discussione allo scopo di guidare gli studenti ad

analizzare quanto viene descritto nel testo e a verificarlo con strumenti grafici o con un software di geometria. Invita poi a ricercare e a costruire casi analoghi, ovvero triangoli rettangoli in cui i lati hanno misure espresse da numeri interi.

Seconda fase L’insegnante prosegue proponendo agli studenti la lettura di un altro

passo del racconto: Il Principe chiese se la stessa regola fosse valida per tutti i triangoli. Al

che Beremiz rispose solennemente: “È vera e costante per tutti i triangoli rettangoli. Posso affermare, senza tema di SPAZIO e FIGURE smentita, che la legge di Pitagora esprime una verità eterna. Ancor prima che il sole

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splendesse nel firmamento, ancor prima che ci fosse aria da respirare, il quadrato dell'ipotenusa era uguale alla somma dei quadrati degli altri due lati.” Affascinato dalle spiegazioni di Beremiz, il Principe si rivolse con calore al poeta Iezid: “Come è meravigliosa la geometria, amico mio! Che scienza interessante! Dalle sue spiegazioni emergono due qualità atte a impressionare anche l'uomo più umile e sprovveduto: la chiarezza e la semplicità”. E, sfiorando leggermente la spalla di Beremiz con la mano sinistra, gli chiese: “Questa scoperta degli antichi greci compare anche nel Salvasūtra di Apastamba?” Beremiz non esitò a rispondere. “Certamente, mio Principe!” disse. “Anche se il cosiddetto teorema di Pitagora compare nel Salvasūtra in una forma un po' diversa. Fu leggendo l'Apastamba che i preti appresero l'arte di costruire santuari, mettendo in relazione i triangoli rettangoli con i relativi quadrati”.

L’insegnante sollecita la discussione allo scopo di suscitare le seguenti domande:

Tale proprietà vale per tutti i triangoli rettangoli o solo per quelli che hanno i lati con particolari misure? Attraverso quanto verificato si può rispondere a tale domanda? Si vuole giungere in tal modo a far emergere la necessità di trovare altre vie per accertare la validità della proprietà per tutti i triangoli rettangoli.

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Allegato inverso Teorema Pitagora L’insegnante racconta agli studenti del modo in cui si dice che gli

Egiziani costruissero gli angoli retti, avvalendosi di cordicelle con nodi equidistanti in numero uguale a

quelli di terne pitagoriche, per esempio 3, 4, 5. Facevano 11 nodi su una corda a distanza uguale tra loro. Fissavano

quindi a terra i due capi della corda e, tenendo la corda tesa, la fissavano al terreno nel terzo e settimo

nodo.

Si può chiedere agli studenti se ritengono questo procedimento

equivalente a quanto visto finora o se osservano qualche differenza. L’insegnante li guida a concludere che quanto fatto dagli Egiziani

rappresenta l’operazione inversa. Le attività svolte in precedenza conducono alla dimostrazione di una

proprietà dei triangoli rettangoli (il teorema di Pitagora), mentre il modo di procedere degli

Egiziani si fonda sull’enunciato inverso: se i lati di un triangolo hanno misure tali che la

somma dei quadrati di due è uguale al quadrato della terza allora il triangolo è rettangolo.

80

Allegato n. 2 - Analisi del testo di un problema

Variabili redazionali di Laborde 1. grado esplicitazione 2. complessità sintattica 3. densità dell’enunciato 4. ordine delle informazioni fornite 5. differenza tra forma in cui le informazioni sono date e

quella in cui le si deve trattare nella risoluzione 6. grado esplicitazione degli oggetti intermedi utili alla

risoluzione del problema Formula R. Flesh: Sia F il grado di “facilità” di un testo

F = 015.1*59.0*100.85.206fp

ps

−−

dove s = numero di sillabe, p = numero di parole, f = numero di frasi. Testo 1: Quesito tratto dal libro ‘Lezioni di matematica: geometria’ di L.

Scaglianti – L. Varagnolo Ed. CEDAM Si unisca il punto medio M di un lato obliquo AD di un trapezio con gli

estremi B, C del lato opposto. Dimostrare che si ottiene un triangolo equivalente alla metà del trapezio Testo 2: Quesito tratto dal libro ‘Talete. Le grandezze geometriche, la

similitudine, lo spazio’ di A. Trifone, M Bergamini Ed. Zanichelli Disegna un trapezio ABCD, sia BC uno dei lati non paralleli ed M il

punto medio di AD. Dimostrare che il triangolo BMC è equivalente a metà del trapezio

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Esaminiamo i due testi a partire dalla formula di Flesh:

Formula di Flesh - testo 1:

s= 63, p=33, f=2 ⇒

F= 015.1*23359.0*

33100.6385.206 −− =77.48

Formula di R. Flesh - testo 2:

s= 51, p=29, f=2 ⇒

F= 015.1*22959.0*

29100.5185.206 −− = 88.39

Da cui si evidenzia come il secondo testo abbia un grado di facilità

maggiore del primo.

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Esaminiamo i due testi a partire dalle variabili di Laborde:

Variabili redazionali Laborde

Testo 1 Testo 2

grado esplicitazione

la punteggiatura non è utilizzata e non viene esplicitato il triangolo da considerare

la punteggiatura è utilizzata eviene indicato esplicitamente il triangolo da considerare

complessità sintattica

l’enunciato appare complesso. Costituito da due proposizioni, di cui la prima richiede una notevole attenzione da parte dello studente

l’enunciato appare meno complesso. Costituito sempre da due proposizioni, ma la prima ha una forma espositiva meno “rischiosa”

densità dell’enunciato

il testo è alquanto denso il testo è alquanto denso

ordine delle informazioni fornite

nel testo vengono enunciate prima le ipotesi e solo dopo è esplicitata la tesi

nel testo vengono enunciate prima le ipotesi e solo dopo è esplicitata la tesi

differenza tra forma in cui le informazioni sono date e quella in cui le si deve trattare nella risoluzione

le informazioni sono date nell’ordine inverso rispetto a quello in cui esse possono essere trattate

le informazioni sono date nell’ordine in cui esse possono essere trattate nella risoluzione

grado esplicitazione degli oggetti intermedi utili alla risoluzione del problema

i lati obliqui da considerare non vengono esplicitati inizialmente ma ricostruiti durante il testo

i lati obliqui da considerare vengono esplicitati fin dall’inizio

83

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Allegato n. 3 - Schemi delle lezioni

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II ora:

Lezione 06/02/2007 (2 ore)

Restrizione del nostro studio ai poligoni

Figure con uguale estensione possono non essere equiscomponibili

• V esercizio del test (allegato n. 4) • Esempi con figure irregolari • Allegato n. 7

Concetto superfici equivalenti

In classe: esercizi pag 25 P+ n 5, 9 Per casa: teoria: I paragrafoesercizi: pag 25 P+ n 1,2,6,8

Svolgimento di esercizi

Relazione d’equivalenza (concetto di area)

Problema: Quando due superfici hanno la stessa estensione?

………………………..

Lezione del 10/02/2007 (1 ora)Obiettivo:L’attività di laboratorio permette ai ragazzi di “vedere” alcune equivalenze, si passa poi ad una dimostrazione formale (evidenziare differenza fra queste due fasi)

Attività laboratorio Uso macro cabrì per ‘vedere’ alcune equivalenze

Dimostrazione teorema “Equivalenza fra due parallelogrammi”

Corollario: Equivalenza parallelogramma e rettangolo (vista macro cabrì)

Lezione frontale

Per casa: teoria: pag 5 P+esercizi: pag 22 P+ n 11, 12, 18 - pag 24 P+ n 23, 24,25

Per un contrattempo otteniamo in ritardo le chiavi del laboratorio. Purtroppo i tempi

devono essere più serrati!!!

Lezione del 20/02/2007 (2 ora)

Obiettivo: comprendere la dimostrazione di due teoremi sulle figure equivalenti

Lezione frontale

Dimostrazione teorema “Equivalenza fra triangolo e trapezio“

I ragazzi rientrano da una settimana di ferie: insieme ricordiamo i concetti fondamentali emersi nell’ultima lezione e svolgiamo alla lavagna alcuni esercizi

In classe pag 27 P+ n 38, 40, 41 Per casa: teoria: pag 6,7,8 esercizi: pag 27 P+ n 42, 43, 52 - pag 28 P+ n 55

Dimostrazione teorema “Equivalenza fra parallelogramma e triangolo“

I ragazzi sono più ‘rumorosi’ ma anche meno titubanti nell’esprimere le loro incertezze

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Lezione del 24/02/2007 (1 ora)

Obiettivo: comprendere la dimostrazione di un nuovo teorema sulle figure equivalenti

Lezione frontale Dimostrazione teorema “Equivalenza fra triangolo e poligono circoscritto a una circonferenza”

In classe: peg 30 P+ n 67 Per casa: teoria pag 9 P+

esercizi pag 30 P+ n 66, 68 pag 31 P+ n 70, 72

Per lo svolgimento degli esercizi relativi a questo teorema, i ragazzi devono utilizzare

teoremi sui poligoni circoscritti

Lezione del 27/02/2007 (1 ora)

Obiettivo: con la costruzione di poligoni equivalenti, i ragazzi scoprono l’aspetto manuale della geometria: loro stessi possono trasformare una figura in un’altra applicando semplici regole!

Costruzione di poligoni equivalenti: da un poligono convesso a uno equivalente con un lato in meno.Lezione frontale

Per Casa: teoria pag 10 P+

esercizi: pag 31 P+ n 73, 75 – pag 32 P+ n 86ricercare informazioni sulla vita di Euclide

Trasformazione di un esagono in un pentagono.

La professoressa introduce la misura dei

segmenti.

Lezione del 03/03/2007 (1 ora)

Obiettivo: riepilogo teoremi studiati

In classe: esercizi tratti dal libro ‘Lezioni di Matematica: geometria’ di Scaglianti- Varagnolo

Per casa: esercizi: pag 45 P+ n 1, 2, 3, 4 – pag 46 P+ n 15

Alla luce delle ricerche effettuate dai ragazzi, emergono i punti salienti sulla vita e le opere di Euclide.

I ragazzi sono chiamati alla lavagna a svolgere esercizi per la cui risoluzione è necessario considerarenon solo i teoremi sull’equivalenza, ma anche concetti studiati in precedenza.

Glie esercizi sono presentati con una complessità linguistica maggiore di quelli del libro di testo. Forse avrei dovuto riscriverli

considerando le variabili redazionali della Laborde

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Lezione del 06/03/2007 (1 ora)

Obiettivo: comprendere enunciato e dimostrazione del teorema Euclide. Riflettere sul teorema di Pitagora

Enunciato e dimostrazione del primo teorema di Euclide

Biografia Pitagora

………………………..

Durante la dimostrazione bisogna focalizzare l’attenzione su di un parallelogramma

posizionato in modo non standard! Filippo trova estrema difficoltà ad individuarne

l’altezza

Lezione del 06/03/2007 (1 ora)

In classe:Pag 37 P+ n 102 Per casa: teoria: pag 11 P+

esercizi: pag 37 P+ n 103,105,109

Si considera il caso particolare di un triangolo rettangolo isoscele. in cui l’ipotenusa rappresenta la diagonale di un quadrato. Il caso particolare permette alla tutor di fare riferimento al calcolo dei radicali (argomento di algebra che i ragazzi stanno studiando).

I ragazzi seguono con attenzione il racconto. Argomentano sulla validità del teorema di

Pitagora. Beatrice chiede come mai nella dimdi Pitagora si utilizzi Euclide se quest’ultimo è vissuto 2 secoli dopo! L’osservazione meriterà una risposta. Fra i compiti da svolgere a casa

c’è anche un rompicapo. Alcuni sembrano entusiasti

Lettura racconto presente su UMI 2003 e riflessioni dei ragazzi a partire da quello che ricordano dalle scuole medie su questo teorema.

Lezione del 10/03/2007 (1 ora)

Obiettivo:dimostrazione teorema Pitagora

Dimostrazione teorema Pitagora come proposto dal libro (viene utilizzato primo teorema di Euclide).

I ragazzi hanno trovato molta difficoltà negli esercizi da svolgere a casa. Bisogna rivederli insieme!

Non sembravano esercizi difficili. Bastava effettuare il disegno e richiamare il I teorema di Euclide. Questa volta però il disegno è stato un

ostacolo e non un aiuto. Non riuscendo a tradurre il testo in disegno, i ragazzi si sono bloccati

………………………..

88

Lezione del 10/03/2007 (1 ora)

In classe: pag 39 P+ n 114 Per casa: teoria pag 13,14 P+

esercizi: pag 39 P+ n 115, 116, pag 83 P+ n 25, 26, 27

Trovare equiestensione applicando il teorema di Pitagora, e le proprietà relative alla somma e alla differenza di superfici equivalenti (lo svolgimento ha carattere più “algebrico” che “geometrico”). E’ lampante la difficoltà dei ragazzi.

Dimostrazione dello stesso teorema seguendo i passi che alcuni storici attribuiscono a Pitagora

I ragazzi preferiscono la prima dimostrazione. Forse, per gli studenti, un procedimento che non richiami altri teoremi e che sfrutti solo le possibili

scomposizioni di una figura, non assomiglia ad una dimostrazione

Affrontati due tipologie di esercizi

Utilizzare il teorema di Pitagora per verificare la commensurabilità/incommensurabilità fra ipotenusa e cateti.

Lezione del 13/03/2007 (1 ora)

Obiettivo:verificare ed argomentare con cabrì sul II teorema di Euclide

Per casa: pag 43 P+ n 138, pag 45 P+ n 7, 8, 9Problema tratto dal libro ‘Pitagora si diverte 2’ di Gilles CohenRelazione sull’attività svolta in laboratorio

Disegnare con cabrì un triangolo rettangolo, il quadrato costruito sull’altezza relativa all’ipotenusa ed il rettangolo avente i lati congruenti alle proiezioni dei cateti sull’ipotenusa. Verificare, con tecnica del trascinamento, il II teorema di Euclide.

L’idea di problemi ‘fuori dai soliti schemi’ entusiasma alcuni

ragazzi

Per i tempi ristretti siamo costretti a suggerire ai ragazzi alcuni passi da seguire. Man mano viene chiesto ai

ragazzi il perché si determinate costruzioni ed il significato che si può

trarre da esse

I ragazzi rispondono con entusiasmo all’attività in laboratorio. Christian osserva che è come unire il gioco al computer con

lo studio

Lezione del 17/03/2007 (1 ora)

Obiettivo:dimostrare il II teorema di Euclide ed evidenziare differenza fra argomentare e dimostrare

In Classe: pag 37 n 107, 143 Per Casa: pag 41 n 125, 127, 128pag 48 n 25

Dimostrazione del secondo teorema di Euclide

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Lezione del 24/03/2007 (1 ora)

Obiettivo: riepilogo teoremi studiati

In Classe: esercizi tratti dal libro ‘Lezioni di Matematica: geometria’ di Scaglianti- Varagnolo +pag 43 n 139,140

Per Casa: pag 39 n 118, pag 41 n 124, pag 43 n 146, pag 43 n 144 ,145

I ragazzi sono chiamati alla lavagna per svolgere esercizi riepilogativi dei teoremi studiati sull’equivalenza, sfruttando anche concetti studiati in precedenza.

Lezione del 27/03/2007 (2 ora)

Obiettivo: verificare

Verifica

Lezione del 31/03/2007 (1 ora)

Obiettivo: discussione verifica + TEPs

Consegna TEPs da svolgere nel restante tempo in classe

Consegna dei compiti corretti con relativa discussione

I ragazzi sembrano insoddisfatti anche se i voti sono maggiori delle loro medie in

matematica

Soprattutto con i TEPs che richiedono di raccontare ad un bimbo alcuni concetti

sull’equiestensione, i ragazzi si esprimono liberamente

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Allegato n. 4 - Test iniziale 1) A partire dalle ipotesi date, definisci e disegna ciascun quadrilatero ABCD:

a) Se AB//DC ∧ AD//BC b) Se AB//DC c) Se AB//DC ∧ AD//BC ∧

(AB≅ DC AD≅ BC) ≅

ABCD è un ……………. ABCD è un …………… ABCD è un ………………

2) Nei seguenti quadrilateri traccia le altezze indicate a) ABCD trapezio b) ABCD parallelogramma c) ABC Triangolo altezza relativa ad AB altezza relativa a BC altezza relativa ad AB

3) Completa: Per definizione, due figure sono congruenti se………………………………………… 4) Le figure sotto riportate sono a due a due congruenti? Se si perché ……..…….………………………………………………………………... ……………………………………………………..............................................................................................................................................…………………... ……………… Se no, indica almeno una figura non congruente alle altre e motiva la risposta

……………………………………………………………………………………….……………………………………………………………………………………………...…………………..…………………………………………………………………………………………………….

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5) Le figure A e B sono

A B -congruenti -equivalenti -equiscomponibili

6) Le figure C e D sono:

C D -congruenti -equivalenti -equiscomponibili

7) Dato un triangolo ABC, tracciare la retta AB e la parallela s per C ad AB. Sapresti indicare la distanza fra le due rette?

8) Le domande seguenti sono utili per le future attività di laboratorio:

1) hai mai utilizzato il software Cabrì? 2) In caso affermativo, sapresti indicare un argomento di geometria che hai svolto utilizzando questo software?

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Allegato n. 5 - Introduzione all’equiestensione

Il problema della misurazione di una regione piana si presentò all’uomo fin dai tempi più antichi, probabilmente da quando cominciò a vivere in comunità sedentarie. E’ noto che gli antichi Cinesi avevano trovato formule relative all’area d’un triangolo e d’un trapezio e che nella geometria degli egizi la misurazione di aree aveva un posto importante.

Risulta, infatti, da antichi documenti (fra cui il famoso papiro Rhind21) che gli Egizi avevano stabilito alcune formule per determinare aree di particolari figure geometriche: pare che queste misurazioni fossero utilizzate per determinare le proprietà dei terreni e stabilire la tassa su questi dopo le annuali inondazioni del Nilo. Essi calcolavano la misura dell’area di un cerchio di raggio r prendendo un quadrato di lato 8/9 del diametro (ovvero una quadrato di lato 16r/9); quindi usavano praticamente la formula 256r2 /81 mentre oggi tale misura è π r2; se ci fermiamo nel calcolo alla quinta cifra dopo la virgola, si ottiene 3.16049 r2 per gli Egizi e 3.14159 r2 per noi; si nota subito che il valore determinato dagli Egizi è una buona approssimazione (per eccesso, il che favoriva il fisco dell’epoca) della misura dell’area del cerchio. Gli Egiziani disponevano inoltre di formule per l’area d’un triangolo e di un trapezio mentre l’area di un quadrilatero veniva calcolata mediante il prodotto delle medie aritmetiche dei lati opposti! Anche i Babilonesi sapevano determinare aree di trapezi, triangoli e cerchi. Fu con i Greci che il problema dell’area venne affrontato sistematicamente, soprattutto per i poligoni, attraverso la scomposizione degli stessi in parti congruenti!

21 Papiro di Rhind: rotolo lungo cinque metri, composto da quattordici fogli di papiro, contiene decine di problemi matematici di vario tipo.

93

94

Allegato n. 6 - Il gioco del tangram

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Allegato n. 7 - Congruenza, equiestensione ed equiscomponibilità

Queste figure hanno la stessa estensione perché sono composte dallo

stesso numero di quadratini e sono equiscomponibili nei quadratini indicati.

Vediamo bene che queste figure non sono equiscomponibili,

verrebbe quindi spontaneo concludere che non hanno la stessa estensione, ma sarà proprio così? Utilizziamo il metodo della pesata: disegniamo le due figure da confrontare su uno stesso foglio di cartone a spessore uniforme e ritagliamole. Pesiamo quindi, con una bilancia di precisione, le due figure ottenute.

Se hanno lo stesso peso vuol dire che se è stata impiegata la stessa quantità di cartone perciò le due figure avranno la stessa estensione

CONCLUSIONI

Se due figure sono congruenti… allora sono equivalenti ed equiscomponibili

Se due figure sono equiscomponibili ... allora sono equivalenti, ma non necessariamente congruenti

Se due figure sono equivalenti ... non sono necessariamente equiscomponibili

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Allegato n. 8 - Macro Cabrì 1)

2)

3)

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4)

5)

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Allegato n. 9 - Assegnazione di un problema insolito

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Allegato n. 10 – Alcuni problemi proposti Primo problema: Come è possibile costruire un quadrato equivalente alla somma dei seguenti quadrati?

Secondo problema: Desiderio ha comprato un frutteto, di forma quadrata, con una superficie di 2116 m2. Ai quattro angoli del frutteto ci sono nell’ordine, un albicocco, un banano, un cedro e un dattero. Ai bordi del terreno si trovano anche un fico e una guaiava: il fico è situato tra l’albicocco ed il banano, la guaiava tra l’albicocco ed il dattero. La distanza albicocco-guaiava è di 20 m, mentre la distanza albicocco-fico è di 21 m. Nel frutteto c’è un viale rettilineo che collega il fico alla guaiava. Un secondo viale, perpendicolare al primo, passa dal cedro. I due viali si incrociano ai piedi di un magnifico eucalipto. Qual è la distanza tra l’eucalipto e il cedro?

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Allegato n. 11 - Svolgimento del primo problema

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Allegato n. 12 - Svolgimento del secondo problema

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Allegato n. 13 - Un altro svolgimento del secondo problema

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Allegato n. 14 - La verifica finale: fila 1 1) Completa:

a) La relazione di equivalenza tra superfici gode delle proprietà …………..

b) Ogni trapezio è equivalente ad un triangolo avente ………………………

c) Due parallelogrammi sono equivalenti quando…….. ……………………

2) Il triangolo ABC è rettangolo in A.

Indica quali segmenti del triangolo sono coinvolti nel 2° teorema di Euclide

ed enuncia tale teorema.

3) Ipotesi:

A, B, E, F allineati

rette AB e DC parallele,

rette DE e CF parallele,

DA ⊥ AB CB ⊥ AB

a) classifica i quadrilateri ABRD e REFC

b) dimostra che i quadrilateri precedenti sono equivalenti

4) Dato il triangolo ABC e la costruzione in figura, rispondi:

a) classifica HKPQ

b) dimostra che HKPQ è equivalente ad ABC

5) Sia ABCD un rettangolo e O il punto di incontro delle diagonali.

Dimostra che i triangoli ABO e OBC sono equivalenti

6) Dimostra che il quadrato costruito sull’altezza di un triangolo equilatero è

equivalente ai 3/4 del quadrato costruito su un lato

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7) Sia ABC un triangolo rettangolo e AH l’altezza relativa all’ipotenusa BC; sia PH ⊥ AB e HQ ⊥AC. Giustifica le seguenti equivalenze:

a) Q(AC) ≐Q(AH) + Q(HC) b) Q(HC) ≐ R(AC, QC)

c) Q(AH) ≐ R(AB, AP) d) Q(AH) ≐Q(HQ) + Q(AQ)

8) In un triangolo rettangolo siano D ed E due punti rispettivamente dei cateti

AB e AC. Dimostrare che la somma dei quadrati costruiti su EB e DC è

equivalente alla somma dei quadrati costruiti su ED e BC.

Esercizio 1 2 3 4 5 6 7 8

Punteggio

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Allegato n. 15 - La verifica finale: fila 2

1) Completa:

a) Due poligoni sono equiscomponibili se …………….…………………

b) Ogni triangolo è equivalente ad un parallelogramma avente…………

c) Un parallelogramma è equivalente ad un rettangolo avente……………

2) Il triangolo ABC è rettangolo in A.

Indica quali segmenti del triangolo sono coinvolti nel 1° teorema di Euclide

ed enuncia tale teorema.

3) Ipotesi:

ABCD quadrato

D, A, E, F allineati

CE // BF

a) classifica i quadrilateri AGCD e EFBG b) dimostra che i quadrilateri precedenti sono equivalenti

4) Dato il triangolo ABC e la costruzione in figura,

rispondi:

a) classifica HKPQ

b) dimostra che HKPQ è equivalente ad ABC

5) Sia ABCD un rettangolo e O il punto di incontro delle diagonali.

Dimostra che i triangoli ADO e ABO sono equivalenti

6) Dimostra che il quadrato costruito sull’altezza di un triangolo equilatero

è equivalente ai 3/4 del quadrato costruito su un lato

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7) Sia ABC un triangolo rettangolo e AH l’altezza relativa all’ipotenusa

BC;

sia PH ⊥ AB e HQ ⊥AC. Giustifica le seguenti equivalenze:

a) Q(AC) ≐Q(AH) + Q(HC) b) Q(HC) ≐R(AC, QC)

c) Q(AH) ≐R(AB, AP) d) Q(AH) ≐Q(HQ) + Q(AQ)

8) In un triangolo rettangolo siano D ed E due punti rispettivamente dei

cateti AB e AC. Dimostrare che la somma dei quadrati costruiti su EB

e DC è equivalente alla somma dei quadrati costruiti su ED e BC.

Esercizio 1 2 3 4 5 6 7 8

Punteggio

114

Allegato n. 16 - Il punteggio assegnato a ciascun quesito della verifica finale

Quesito Punteggio 1 62 43 84 75 46 57 88 6

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Allegato n. 17 - I TEPs proposti 1) Immagina di raccontare ad un tuo amico, che frequenta un'altra scuola: Come hai vissuto le lezioni sull’equivalenza fra figure piane Se e quali ti hanno particolarmente interessato Quali difficoltà hai incontrato, se e come le hai superate Quali sono le tue critiche e le tue proposte

2) Immagina di spiegare ad un bimbo di otto anni l’equivalenza fra un triangolo ed un parallelogramma . Tu che cosa gli diresti? 3) Immagina di spiegare ad un bimbo di cinque anni il concetto di equiscomponibilità . Tu che cosa gli diresti?

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Allegato n. 18 - Il cartellone finale

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