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Relazione introduttiva al 1° congresso provinciale di SEL Il congresso costituente di SEL si svolge nel pieno della crisi politica del centrodestra, e nel perdurare delle ricadute sociali della più grande crisi economica che il mondo abbia conosciuto dal 1929 ad oggi. Il berlusconismo è in crisi, conosce una fase di degrado anche morale senza precedenti, e lo sbocco della sua crisi è quanto mai incerto, potenzialmente foriero di grandi pericoli per il nostro Paese. Questa situazione non induce a nessun ottimismo. Le nuove generazioni sono espulse dalla costruzione del futuro, la precarietà diventa un tema che unifica l’intero tempo di vita, a lunghi periodi di lavoro precario si alternano, nella vita di tante persone, anche a Reggio Emilia, lunghi periodi di non lavoro. L’Italia è il paese europeo che spende di meno per ogni studente, con una spesa media per la scuola, università e ricerca molto al di sotto degli altri Paesi Ocse. In questo contesto il ministro Gelmini mette in atto un vero e proprio progetto di distruzione della scuola pubblica e dell’università, che risponde a una visione reazionaria e classista della società: i figli dei ricchi all'università, i figli degli operai e degli impiegati a lavorare in un'occupazione precaria, se riescono a trovarla. La crisi economica, politica e morale del paese, i giovani senza futuro e lo smantellamento dei diritti del lavoro e la distruzione della scuola pubblica rappresentano le ragioni di fondo che danno per intero il senso e il bisogno di una sinistra nuova. Un bisogno ancora più pressante, se si considera che in Italia, nello spazio che un tempo era occupato dal Partito Comunista prima e dai Ds poi, si è aperto un gigantesco vuoto, nel quale si barcamena il Pd. In questi ultimi 20 anni, iniziati con le stragi di mafia e con l'avvento del berlusconismo, il Paese e il suo senso comune sono cambiati profondamente. Il Paese si è incattivito, si è avvitato nella ricerca di nuovi nemici in una cultura della paura diffusa: dalla insicurezza, alla paura dell’altro all'evasione fiscale come filosofie e pratiche di vita. In questo processo un ruolo di primo piano lo ha giocato la Lega, la vera ruota di scorta del berlusconismo. La Lega, nel crepuscolo di Berlusconi, nell'incrudirsi della crisi economica, e nel dissesto delle finanze pubbliche, soprattutto di tanti enti nel Sud Italia, torna a sventolare minacciosamente lo spettro della

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Relazione introduttiva al 1° congresso provinciale di SEL Il congresso costituente di SEL si svolge nel pieno della crisi politica del

centrodestra, e nel perdurare delle ricadute sociali della più grande crisi

economica che il mondo abbia conosciuto dal 1929 ad oggi.

Il berlusconismo è in crisi, conosce una fase di degrado anche morale senza

precedenti, e lo sbocco della sua crisi è quanto mai incerto, potenzialmente

foriero di grandi pericoli per il nostro Paese.

Questa situazione non induce a nessun ottimismo. Le nuove generazioni sono

espulse dalla costruzione del futuro, la precarietà diventa un tema che unifica

l’intero tempo di vita, a lunghi periodi di lavoro precario si alternano, nella vita di

tante persone, anche a Reggio Emilia, lunghi periodi di non lavoro.

L’Italia è il paese europeo che spende di meno per ogni studente, con una spesa

media per la scuola, università e ricerca molto al di sotto degli altri Paesi Ocse. In

questo contesto il ministro Gelmini mette in atto un vero e proprio progetto di

distruzione della scuola pubblica e dell’università, che risponde a una visione

reazionaria e classista della società: i figli dei ricchi all'università, i figli degli

operai e degli impiegati a lavorare in un'occupazione precaria, se riescono a

trovarla.

La crisi economica, politica e morale del paese, i giovani senza futuro e lo

smantellamento dei diritti del lavoro e la distruzione della scuola pubblica

rappresentano le ragioni di fondo che danno per intero il senso e il bisogno di

una sinistra nuova.

Un bisogno ancora più pressante, se si considera che in Italia, nello spazio che

un tempo era occupato dal Partito Comunista prima e dai Ds poi, si è aperto un

gigantesco vuoto, nel quale si barcamena il Pd.

In questi ultimi 20 anni, iniziati con le stragi di mafia e con l'avvento del

berlusconismo, il Paese e il suo senso comune sono cambiati profondamente.

Il Paese si è incattivito, si è avvitato nella ricerca di nuovi nemici in una cultura

della paura diffusa: dalla insicurezza, alla paura dell’altro all'evasione fiscale

come filosofie e pratiche di vita.

In questo processo un ruolo di primo piano lo ha giocato la Lega, la vera ruota di

scorta del berlusconismo. La Lega, nel crepuscolo di Berlusconi, nell'incrudirsi

della crisi economica, e nel dissesto delle finanze pubbliche, soprattutto di tanti

enti nel Sud Italia, torna a sventolare minacciosamente lo spettro della

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secessione. E divulga messaggi di odio e di separazione, senza avere la minima

autorità morale per farlo, come dimostrano anche i recenti scandali nei quali

sono stati coinvolti i principali esponenti di quel partito in Emilia.

Anche noi dobbiamo rileggere ciò che è accaduto nel Paese, capire come

modificare il senso comune che è diventato cultura egemonica, offrendo diverse

prospettive e nuovi valori di riferimento.

La sinistra non può limitarsi a recitare a memoria il copione della propria

esistenza, il repertorio delle proprie antiche virtù.

La sinistra deve ritrovare la capacità di rappresentare il lavoro, che anche in

Italia non è più definito dalla sola dimensione salariale, ma anche e soprattutto

dalla precarietà e dalla perdita di diritti, nascoste spesso dietro l'apparente

modernità delle partite Iva, che in realtà sono lavoro sommerso e pseudo

aziende artigiane.

Il modello presentato dalla FIAT a Pomigliano è la fotografia più brutale di questa

crisi: sospensione dei più elementari diritti sindacali e costituzionali, come il diritto

di sciopero, o delocalizzazione della produzione in Serbia. Prendere o lasciare.

In questo scenario, per Marchionne e per il ministro Sacconi, al sindacato è

concesso un ruolo meramente corporativo. Ci auguriamo che gli industriali

reggiani prendano le distanze da questo modello, anche se l'esordio del nuovo

presidente di Confindustria Stefano Landi sembra avvenuto col piede sbagliato.

La risposta della FIOM non poteva non essere ferma, e anche per questo sabato

saremo anche noi a Roma a manifestare insieme alla FIOM.

Con alle spalle due anni di forti perdite, l’economia nazionale ha annaspato e la crisi globale l’ha ulteriormente indebolita. Ci vorranno anni, almeno altri tre o quattro anni, per tornare ai livelli produttivi pre-crisi, e con livelli occupazionali comunque più bassi di quelli ante-crisi. La CGIL ha appena calcolato che nel decennio 2000-2010, per effetto dell’inflazione, dell’aumento delle tasse, le buste paghe di lavoratori e pensionati si sono alleggerite in media di 5.000 euro. Basta qualche dato per comprendere l’emergenza salariale. In Italia 15.000

milioni di lavoratori non superano i 1.300 euro al mese. Di questi, 7 milioni non

oltrepassano il tetto di mille euro. A ciò si aggiunga che dall’inizio della crisi ad

oggi sono andati perduti circa 800.000 posti di lavoro.

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Il problema è lo sviluppo, che il governo Tremonti-Berlusconi non affronta perché

pensa a tutt’altro. Pensa agli scudi fiscali, e non alle politiche industriali.

L’idea di sviluppo implica cambiamento; innovazione, ricerca degli elementi che

consentono un aumento del reddito, come sta avvenendo in Germania. Adesso

anche Emma Marcegaglia esorta ad una politica di sviluppo, dichiarando

finalmente che, in sua assenza, saremo sempre più poveri. Meglio tardi che mai.

Ma c’è in campo la ricetta Marchionne che dice: investimenti a fronte di maggior

lavoro, con la negazione delle norme contrattuali e dei diritti costituzionali.

I partiti del centrosinistra perdono il consenso dei lavoratori, che in molti casi

votano Lega o votano Berlusconi, perchè dal centrosinistra non ricevono

proposte e risposte convincenti. E allora si fanno spazio le scorciatoie e le

soluzioni egoistiche, e si dà la colpa agli immigrati che “rubano il lavoro” e alle

regioni del sud “che portano via i nostri soldi”.

Anche il sistema produttivo reggiano è stato fortemente indebolito da questa

gravissima crisi. Ci sono almeno 40.000 persone in questo momento nella

nostra provincia che sono o disoccupate o in cassa integrazione.

Il tasso di disoccupazione sfiora il 6%, un dato quasi incredibile, se si pensa che

fino a tre anni fa la disoccupazione era solo al 2,5% e vedeva Reggio ai

primissimi posti in Italia.

A pagare la crisi sono stati prima di tutto gli immigrati e i lavoratori precari, ma la

disoccupazione si è estesa anche a miglia di lavoratori a tempo indeterminato,

operai e impiegati. La metalmeccanica, la ceramica e il tessile della nostra

provincia sono state investite da una specie di tsunami. Stanno per scadere molti

contratti di cassa integrazione, e il futuro per migliaia di lavoratori è incerto.

Purtroppo si è avverato quanto la CGIL di Reggio Emilia diceva già nella prima

metà di questo decennio. La crescita impetuosa dell'economia reggiana, in

buona parte drogata da un disordinato sviluppo edilizio di molti comuni della

provincia, è stata una crescita più quantitativa che qualitativa.

Sono andate in crisi anche le aziende più dinamiche della provincia, che ora

cercano di riagganciare i primi timidi segnali della ripresa mondiale. Le altre

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aziende, quelle che per anni hanno fatto utili sfruttando manodopera a basso

costo, hanno chiuso i battenti e non li riapriranno più. Con la crisi industriale

arriva anche la crisi del terziario, e anche a Reggio sono sempre più numerosi i

negozi con le saracinesche abbassate e gli esercizi e gli edifici con la scritta

“vendesi”.

La popolazione residente a Reggio Emilia è passata in 15 anni da 135.000

abitanti a 170.000 (+24.000). A livello provinciale abbiamo superato il mezzo

milione di abitanti: erano poco più di 400.000 all’inizio degli anni '90. La

popolazione immigrata in città è passata nello stesso periodo da 7.500 unità a

25.000, a conferma delle profonde modificazioni in atto.

Questo fenomeno ha messo in crisi il nostro sistema di wellfare. I tagli di

Tremonti rischiano di dare il colpo di grazia a un modello, quello emiliano, che si

è sempre basato sull'inclusione e sulla solidarietà.

Crescono nuove domande sociali, in campo assistenziale ed educativo, dilagano

nuove povertà, aumentano le difficoltà economiche delle famiglie dei lavoratori,

dei pensionati. Gli enti locali non hanno le risorse per fare fronte a queste nuove

emergenze.

Perciò serve anche un nuovo ruolo per le amministrazioni pubbliche, che sono

chiamate

alla costruzione del consenso attraverso forme innovative di partecipazione, di

ascolto, di ricomposizione di interessi e di visioni divergenti. In una parola c'è

bisogno di più democrazia.

Abbiamo di fronte l’acutizzarsi dei problemi sociali, dovuti alla crisi verticale del

mercato edilizio e delle politiche urbanistiche praticate a Reggio negli anni

passati.

A tale proposito la sfida che lancia alla città e alle sue forze sociali la

riqualificazione dell'area nord è molto delicata. Questo è un banco di prova

formidabile per l'amministrazione locale e per le forze politiche del centro-

sinistra. In quell'area la più grande famiglia industriale della provincia, i

Maramotti, ha già avuto molto: una variante ad hoc per la costruzione del nuovo

stabilimento e le Vele di Calatrava. Perciò gli industriali non hanno il diritto di

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porre veti sulle politiche di riqualificazione dell'area nord. L’area nord deve

servire a riqualificare quella fetta di città e di territorio. Non può essere

l'occasione di nuove speculazioni urbanistiche, ma il frutto di un meccanismo

trasparente e partecipato di scelte, che coinvolgano i cittadini non meno delle

associazioni imprenditoriali e degli amministratori locali.

E' una sfida anche per la cooperazione, che anche a Reggio deve recuperare

pienamente la sua vocazione sociale e solidale, e sull'area nord deve essere

trasparente, per progettare interventi che siano eco-compatibili e al servizio della

città.

Se poi la presidente della Provincia una volta tanto riuscirà a trovare un

approccio più collaborativo con l'Amministrazione comunale, forse ci sarà la

possibilità di ridisegnare al meglio il volto di Reggio.

Questi problemi pongono all’ordine del giorno a tutti gli attori istituzionali e sociali

la necessità di affrontare serie riconversioni produttive nel settore edile e del

manifatturiero più povero per valore aggiunto, aggiornando la visione del modello

di sviluppo.

Bisogna andare oltre il modello della piccola impresa sostenendo le aggregazioni

e i consorzi di imprese, investendo in ricerca e innovazione di processo e di

prodotto.

E' chiaro che rispetto a questi temi le associazioni imprenditoriali, le

organizzazioni sindacali, le istituzioni sono chiamate ad assumersi nuovi

impegni per recuperare la specificità positiva di un modello produttivo ad alta

coesione sociale come Reggio e l’ Emilia hanno saputo rappresentare.

Anche a Reggio e in Emilia R. ha prodotto danni enormi la troppa finanza,

l’illusione che i soldi potessero continuamente creare nuovi soldi senza legami

con il lavoro e con la produzione. Abbiamo assistito a casi clamorosi. Penso alla

Parmalat, al crac Bipop e anche all’incredibile crac di Mariella Burani, che è

maturato a Reggio in un clima di omertà generale. Uno dei più grandi gruppi

industriali della nostra provincia è andato in liquidazione, e i suoi proprietari sono

stati tratti in arresto, ma Confindustria a oggi non ha ancora formulato un solo

commento su una vicenda che costerà molti posti di lavoro.

Cosa significa allora il concetto di responsabilità sociale, se i profitti finiscono

nelle tasche degli imprenditori, che spesso poi li portano alle Cayman e in

Lussemburgo, e le perdite vengono socializzate?

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Le imprese invece devono sostenere il processo di riforma del welfare, farsi

carico, almeno in parte, di bisogni primari, come quello della casa, ad esempio.

Da qui non si scappa, occorre che le associazioni imprenditoriali anche a Reggio

Emilia passino rapidamente dalle parole ai fatti.

I comuni devono fare la loro parte ma, con i tagli del Governo Berlusconi-

Tremonti, i Comuni non ce la possono fare da soli, se non c’è un risveglio del

senso civico, se non si attivano nuove forme di partecipazione.

Servono quindi, anche a Reggio, da parte delle amministrazioni locali un

controllo e un contenimento autentico delle previsioni urbanistiche in funzione di

una migliore e più marcata sostenibilità ambientale.

E serve una risposta forte, in termini di riordino e riorganizzazione dei servizi di

wellfare, ai bisogni sociali emergenti e all’intero sistema di protezione sociale,

perché, proprio mentre i Comuni sono costretti a pianificare tagli, servirebbe un

aumento significativo delle prestazioni ai cittadini.

C’è una gravissima questione di evasione fiscale: alcuni pagano tutto, troppi non

pagano niente. L’evasione fiscale è complice anche nel determinare uno stimolo

sempre più debole alla crescita economica.

Il federalismo fiscale dovrebbe costituire l’occasione per riformare organicamente

tutto il sistema della finanza pubblica e in particolare quella locale, che versa nel

disordine più assoluto a causa della sovrapposizioni di competenze e

dell’eccesso di norme dettate dalle varie Leggi finanziarie che hanno

ampiamente stravolto le basi dell’autonomia.

Ma, come previsto, il nuovo federalismo sarà finanziato attraverso l’Irpef e le

addizionali comunali e regionali, cioè si tradurrà in più tasse per chi le tasse le ha

sempre pagate.

Con il federalismo voluto dalla LEGA NORD, l’ingiustizia nazionale viene così

trasferita a livello regionale e comunale.

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Tornando alle questioni di carattere locale, occorre inoltre tracciare un bilancio

ed esprimere un giudizio sulle varie amministrazioni che governano gli enti locali

reggiani e che, su diversi temi, sono andati in ordine sparso.

A Reggio succede che sulla proposta dell’assessore Matteo Sassi di riconoscere

un elementare diritto di cittadinanza ai Rom nell’accesso alle case popolari, nel

Pd c’è chi strizza l’occhio al peggior Sarkozy e scopre che i rom sono brutti,

sporchi e cattivi, e non cittadini con gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli

altri. Il modo peggiore, il più demagogico, per andare a caccia di qualche

consenso in più.

Penso ai ritardi e alle timidezze manifestate sull’ istituzione del registro del

testamento biologico, ora realizzato in sei comuni a partire dal comune

capoluogo, un risultato importante che ha visto l’impegno determinante di

Donatella Chiossi e del comitato Alta Voce.

Un esempio positivo di un agire in cooperazione tra movimenti e associazioni

con le forze politiche del centro sinistra per difendere e determinare la conquista

di diritti civili di uno stato laico, un agire politico che dovrà caratterizzare l’azione

futura di SEL per riaffermare anche a Reggio i contenuti di una sinistra nuova

di governo.

In questi mesi ci siamo impegnati, e seguiteremo a farlo, sul piano rifiuti.

Il fatto che i reggiani producano meno rifiuti, li gestiscano meglio e sprechino

meno acqua è un fatto positivo, che va nella direzione di quel modello di sviluppo

sostenibile che da tempo invochiamo. Per questo abbiamo chiesto alla giunta

comunale di discutere sul cambio di rotta sul piano di sviluppo di raccolta

domiciliare dei rifiuti annunciato dal sindaco l’estate scorsa.

Sulla differenziata e sulla raccolta a domicilio si è sviluppata a Reggio una forte

mobilitazione che ha prodotto ottimi risultati anche nella coscienza dei reggiani.

E’ una mobilitazione che ha visto protagonisti anche nuovi movimenti, che oggi

hanno rappresentanza nei consigli comunale e nei consigli regionali e che, su

alcune giuste battaglie, dovrebbero cercare di sviluppare alleanze anche con le

altre forze della sinistra.

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La comprensibili preoccupazioni relative agli aumenti dei costi della raccolta

domiciliare non possono portare al fermo di un modello che i cittadini in misura

sempre più grande rivendicano con orgoglio come impegno e disponibilità a fare

qualcosa in prima persona per migliorare l’ambiente nel quale viviamo.

Va da sé che i tempi e le scelte prima richiamate andranno aggiornate e ridefinite

sia attraverso una verifica di programma con tutte le forze economiche e sociali

che nel rapporto con la cittadinanza.

Reggio è una città con grandi tradizioni di sinistra, una realtà nella quale la

sinistra non si è mai accontentata di fare testimonianza, ma si è sempre posta la

sfida di governare la realtà e di governare il cambiamento, spesso riuscendoci e

fornendo idee e soluzioni innovative.

Bisogna tornare a investire nella cultura: qualcuno allora forse vorrà spiegarci

perché ha deciso di sbaraccare un centro di eccellenza della produzione artistica

e culturale del nostro territorio come Palazzo Magnani.

Tornando ai temi fondativi di SEL è di oggi il rapporto del WWF sullo stato di

salute del pianeta “se si continuano a consumare le risorse a ritmi attuali nel

2030 ci vorranno due pianeti” nella classifica di chi spreme di più l’Italia è

ventinovesima, mentre risultano più virtuosi il Regno Unito, il Giappone e la Cina.

Non è dunque più sostenibile questo sistema economico che sfrutta lavoro

umano e risorse naturali. Una nuova consapevolezza sui temi ecologici sta

maturando e ne abbiamo avuto la conferma nel risultato straordinario e inedito

realizzato con il milione e quattrocentomila firme per l’acqua pubblica che ora ci

offre una occasione di dibattito e di iniziativa, non solo con l’obiettivo di vincere il

prossimo referendum.

L’acqua, i beni comuni, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, la battaglia

per la loro difesa e la loro promozione, dovranno trovare un rinnovato impegno di

SEL nella raccolta di firme a sostegno della proposta di legge per il NO al

nucleare e per la conquista di un piano energetico nazionale, coerente con le

scelte dell’Unione Europea.

Dobbiamo anche combattere una difficile battaglia culturale – è nelle testa degli

Italiani che è dilagato il berlusconismo, veicolato dalle sue tv e dai suoi media.

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Si fanno sparire le notizie vere, non si parla del lavoro che non c’è, del dissesto

delle finanze degli enti locali, non si parla delle donne inoccupate per oltre il 50%,

di un giovane su tre che non trova lavoro, così succede che per 240 posti

all’Ikea di Catania concorrono in 40.000.

Dalla crisi del centro-destra, la rottura di Fini con il Pdl , non traggono alcun

vantaggio, in termini di consenso, il Pd e le forze del centro-sinistra.

Il Pd che ha forse finalmente abbandonato la linea suicida dell’autosufficienza –

meglio tardi che mai – rimane un partito in piena crisi di identità.

E’ un partito a vocazione sostanzialmente centrista.

Ha investito politicamente sui Rutelli, le Binetti e i Calearo, con i risultati che

sappiamo. Su Pomigliano Enrico Letta non ha avuto troppe esitazioni a schierare

il partito con Marchionne.

Sull’Afghanistan un giorno è pronto a discutere delle bombe sugli aerei italiani

ma il giorno dopo si preoccupa anche dei rischi per i civili.

A Reggio il Pd è diviso: lo abbiamo visto ad esempio nella vicenda Manodori,

dove questa importante fondazione è saldamente nelle mani delle forze che

hanno tramato per fare cadere la giunta di centro-sinistra del comune capoluogo.

Insomma, è evidente che sia a Reggio che a Roma l’incontro tra le due culture,

quella social-liberale del vertice dei Ds e quella cattolico-democratica dell’ex

sinistra Dc, non ha funzionato.

Ora c’è qualche novità a livello nazionale, dove l’accordo tra Vendola e Bersani

per un governo di scopo per cambiare la legge elettorale e le primarie di

coalizione, rappresenta un primo segnale positivo.

Per battere Berlusconi in un passaggio che si prospetta ormai imminente serve

un programma di alternativa in campo economico- sociale e una coalizione.

Questa coalizione, credo non esistano dubbi tra di noi, deve essere di centro-

sinistra, ovvero il PD, l’IdV, SEL con l’attuale sinistra extraparlamentare, e non

una coalizione di destra-centro-sinistra per il semplice fatto che la sconfitta di

Berlusconi è possibile solo se si spezza il bipolarismo e si forma il terzo polo.

E’ bene che Fini, Rutelli e Casini si coalizzino per conto loro.

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Chi nel PD la pensa diversamente se ne deve fare una ragione. La coalizione di

centro-sinistra non vince se non mobilita il popolo di sinistra, con particolare

riguardo a quanti e sono tanti e decisivi che si sono ritirati nell’astensionismo.

E’ per tutte queste ragioni, per vincere il senso di smarrimento e di

scoraggiamento che ha conquistato molti elettori di sinistra, davanti

all’aggressività del governo Bossi-Berlusconi e ai tentennamenti del Pd, che è

nata Sinistra Ecologia e Libertà.

Un partito che non dovrà essere l’ennesimo piccolo partito, ma che è nato per

unificare la sinistra, per vincere la partita! La nostra idea come è richiamato nel

manifesto costituente è quella di un sinistra nuova, dell’eguaglianza, libera,

plurale e unitaria.

Arriviamo al congresso con quasi 50.000 iscritti, solo due mesi fa gli iscritti a

SEL erano poco più di 10.000, è una buona premessa per crescere ancora a

partire dalle regioni del Nord, compresa l’Emilia dove si conferma esserci una

questione settentrionale per SEL come per tutto il centro-sinistra.

In provincia siamo passati da 100 a oltre 200 iscritti, abbiamo adesioni nuove,

aderiscono giovani e operai – vorrei segnalare quelli dell’azienda

metalmeccanica Ognibene, una vera e propria fabbrica vendoliana, se mi è

consentita una battuta.

Vorrei chiudere l’intervento con una nota di carattere personale, che riguarda la

mia generazione, una generazione che ha dedicato gran parte della propria vita

all’impegno e alla militanza sindacale e politica.

Tre anni fa con la nascita del PD ho vissuto come credo buona parte di voi, la

separazione anche con sofferenza da una storia collettiva, per cominciare una

nuova avventura, un nuovo percorso politico consapevole di tutte le difficoltà e i

rischi che esso comportava ma anche carico di entusiasmo e di speranze.

Abbiamo vissuto delusioni e sconfitte dal fallimento dell’esperienza di Sinistra

Arcobaleno ai modesti risultati delle prove elettorali successive ma penso siano

state esperienze utili ad affossare le torsioni identitarie e massimaliste per uscire

dalla dimensione del partitino.

Ora possiamo guardare con più fiducia alla concreta possibilità di costruire il

partito di sinistra nuovo della sinistra Italiana capace di ricostruire, come indica

Nichi Vendola la connessione con bisogni e speranze del popolo.

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Da qui la necessità vitale per un soggetto politico nuovo di sostenere i giovani ,

per una nuova generazione alla guida di SEL.

Per noi che non abbiamo posizioni di potere da difendere sarà naturale stare con

il nostro impegno a fianco di quei giovani che si ritrovano negli ideali che vedo

oggi così bene rappresentati da Nichi Vendola e in SEL

Franco Ferretti

Reggio Emilia, 14 ottobre 2010