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chiamati - convocati - mandati E itinerario di catechesi per adolescenti 14-16 anni Chiesa di Bologna Ufficio Catechistico Diocesano 1 CHIESA DI BOLOGNA UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

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chiamati - convocati - mandati

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itinerario di catechesi per adolescenti 14-16 anni

Chiesa di BolognaUfficio Catechistico Diocesano

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LA PROFESSIONE DI FEDE

Chiesa diBologna

UffiCio CateChistiCo dioCesano

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Introduzione

Oggi si può facilmente e senza possibilità di essere smentiti sostenere che credere è più connesso o sostituito con “presentire”, “paventare”, “supporre” o anche “sognare” o “cre-dere di credere”. E’ un credere che è inversamente proporzionale alle “ragioni” del credere tradizionale. E questo avviene tanto più in quanto la credenza è aleatoria, insostenibile con la ragione. L’ingenuità e la credulità stanno alla base e al fondamento dei nuovi volti del sacro in un vortice di frammentarietà e di irrazionalità che coinvolge ogni aspetto della fede e non lascia più intatto alcun momento proprio della vita religiosa, che diventa scomposta e a volte confusa. Allora, quale possibilità ha la fede cristiana nei confronti della rassegnazione al sen-so comune e alla ineluttabilità delle cose? Sicuramente, quello di offrire uno sguardo inedito, differente, non uno sguardo da “nessun luogo”, ma dall’orizzonte di Dio che rivoluziona le sicurezze sottoposte alla tranquilla verifica delle cose già viste. Per questo, la fede è una scelta ed una decisione difficile, perché chiama l’uomo a volgersi dall’esistenza come problema al Mistero come orizzonte di senso, invitandolo a non arrestarsi alla superficie dei significati a buon mercato, ma ad abitare le domande della storia e dell’esistenza il cui senso non è misu-rabile secondo parametri esclusivamente razionalistici. Tuttavia, ciò non esclude lo scandalo e le contraddizioni del credere, la cui eccedenza sta nell’aprire la ricerca umana alla fatica della verità. Piuttosto che essere “centometrista del mondo dello spirito che in gran fretta trova da qualcuno qualche piccola novità sul dubbio, da un altro qualcuna sulla fede e ora arrangia i suoi affari alla buona di Dio”, il credente è colui che osa il coraggio della meraviglia e dello stupore della ragione dinanzi alla sorpresa del Dio rivelato in Gesù Cristo.

Introduzione

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Introduzione

La fede come donazione di senso

Si può affermare che la fede ha il compito di essere interprete del mondo e della storia, a partire dalla consapevolezza che l’esperienza della storicità dell’uomo esige una continua capacità di interpretazione. E’ingenuo pensare ad una semplicità o spontaneità del credere al di fuori di un cammino di discernimento critico, perché la fede è dinamica, movimento dell’e-sistenza, inquietudine per la salvezza che rappresenta l’interrogativo essenziale dell’uomo e che si manifesta come tensione all’autenticità e alla felicità.

Per questo, il credere è segno di un interrogarsi che abita nell’ascolto della rivelazione cri-stologicamente caratterizzata. Anzi, lo specifico della fede è proprio quello di tenere aperta l’esistenza e la storia alla Parola che ci dà sempre a pensare, stella di orientamento che muta la comprensione della fede in un di più rispetto alla sola interpretazione concettuale.

Ciò esige dal credere una tensione alla conoscenza del Dio trinitario e al riconoscimento della sua signoria nella storia. Una fede priva della conoscenza rasenta il fideismo e la staticità, fino a capovolgersi in non-fede. Il conoscere, invece, è dimensione della fede quale risposta a un “appello reale oggettivo” che sorprende l’uomo nella ricerca della verità.

Affermare che la fede convive con l’incredulità e il dubbio; che essa è decisione dell’impos-sibile rispetto alle normali possibilità umane e, quindi, sfida alle presunte certezze della ragio-ne, significa sottolineare che la fede è “critica e crisi di ogni certezza”, indicazione di un senso che non si costruisce da solo, ma che proviene dall’incontro di due libertà: quella di Dio e quella dell’uomo. Scrive J. Ratzinger che “credere cristianamente significa intendere la nostra esistenza come risposta al Verbo, al Logos che sostenta e mantiene in essere le cose. Significa dare il proprio assenso a quel “senso” che non siamo in grado di fabbricarci da noi, ma solo di ricevere come un dono, sicché ci basta accoglierlo e abbandonarci ad esso”.

In tale ottica, l’irruzione di Dio nella sua imprevedibilità, comporta una serie di conseguen-ze che rende il credere un pensare altrimenti e un diverso modo di essere, dove l’io dell’uomo è decentrato e sradicato nell’affidarsi all’Altro e agli altri. Il difficile è proprio nella decisione dell’affidarsi, perché tale scelta richiede all’uomo la capacità di fare esodo verso l’inesauri-bile creatività del progetto salvifico di Dio, laddove Dio è Altro, non riducibile alla misura dell’uomo, né risolvibile entro condizioni predeterminate. Non meraviglia, quindi, che la fede cristiana è un rischio che abita nella provvisorietà e precarietà del suo movimento, allusione ad un’esistenza che osa dichiarare l’impossibilità della chiusura nel proprio mondo, pena lo smarrimento dell’identità autentica. L’affidarsi esprime la forza dell’incondizionato, il corag-gio di ammettere che l’incontro con Dio non può partire da una pretenziosa familiarità con la “psicologia” di Dio e col suo “comportamento” per interpretare i testi nei quali si profilano le vie difficili che portano alla comprensione del Divino. Il quale si illumina soltanto, per così dire, sul crocevia dove s’incontrano i cammini umani, e dove questi cammini stessi l’invocano e l’annunziano

Dal punto di vista del Dio di Gesù Cristo

Proprio per il fatto che il credere è caratterizzato dall’affidarsi, ne consegue l’impossibilità di una a-storicità del credere. Il riconoscimento di Dio si traduce in una prassi che modifica il vissuto, in quanto inserisce nella concretezza del quotidiano la speranza della trasforma-

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Introduzione

zione del mondo e destina l’esperienza credente a vincere l’apatia con la passione inesausta e profetica contro tutto ciò che minaccia l’uomo e che è funzionale alla logica della disgrega-zione. Può apparire strano, ma la riformulazione della nostra professione di fede passa per un cambiamento radicale che non può più accontentarsi di una rapporto con Dio a buon merca-to, fondato sulla contrattazione della domanda e dell’offerta. La fede nella sua dimensione pratica indica l’esigenza di uscire da determinate rappresentazioni utilitaristiche di Dio e dal considerarlo un prolungamento necessario all’uomo. Il Dio rivelato in Gesù Cristo oltrepassa gli schemi logorati della logica umana e dal cerchio dei bisogni e desideri di gratificazione istantanea, quasi supplente nelle difficoltà e contraddizioni dell’esistenza. La fede, cioè, non è la religione intesa quale forma e ambito dei “doveri” che l’uomo ha nei confronti di Dio, ma è una relazione qualitativamente differente che investe l’intera trama dell’esistenza e si incarna nella elaborazione culturale quale risposta alle profonde domande che nascono dalla riflessione-ricerca sul mistero dell’uomo e del suo destino. In tale ottica, la fede è un itinerario del senso, cioè come afferma E. Bianchi. Innestata nell’umano, come capace di orientare e di portare a pieno sviluppo ciò che vi è di più autentico nell’uomo. Non si tratta solo (e neppure tanto) di cogliere l’utilità della fede mettendola a servizio del bisogno di senso dell’uomo, ma di vedere il tipo di umanità realizzata e vissuta da Cristo come il fondo più vero dell’umano. “Credere significa aderire a colui che introduce una scissione in noi e nella società, con parole di un’audacia sconcertante: ma io vi dico...sono la verità; chi crede in me e nella mia parola, avrà la vita”.

Ecco il motivo per il quale la testimonianza biblica circa il novum della fede si esprime nel-la molteplicità dei dinamismi del credere, come ha messo in risalto C.M. Martini, mostrando che il cammino della fede va dalla fede diffidente, incapace di affidarsi, alla fede questuante, inquieta; dalla fede fragile, che ha raggiunto qualcosa ma che sente il peso della sua insuffi-cienza, alla fede agonica, capace di lottare, fino alla fede vincente, piena, in grado di affidarsi.

Ma ciò che fa pensare e riflettere è la ricerca di quello spazio misterioso in cui la diffidenza fa il passo verso l’affidamento, il non verso l’amen, la poca fede verso la grandezza del cre-dere. Tale spazio può essere rintracciato nel fatto che Dio è diverso proprio nella sua compa-gnia all’uomo, in quella vicinanza cristologica che è evento della salvezza e della liberazione, perché appella al punto di vista di Dio che progetta la storia come mondo-della-vita di fede. In quanto atto, la fede appartiene all’esistenza dell’essere-nel-mondo; ma in quanto è atto-di-fede, essa trascende questa esistenza assumendola dall’interno di un’altra interpretazione della realtà: il mondo di Dio. La conoscenza di fede è quindi, in definitiva, la conoscenza del mondo dell’uomo come mondo di Dio

Un itinerario possibile sui sentieri della Tradizione

Ogni domenica, durante la celebrazione della Messa, i cristiani cattolici dicono ad alta voce la loro fiducia in Dio Padre, Figlio e Spirito, con le parole della professione di fede. È il Credo nicenocostantinopolitano, che la comunità cristiana ha formulato secoli fa. Fin dal tempo degli apostoli, i discepoli del Signore hanno espresso la loro fede in formule chiare e precise.

Nella prima parte del Credo professiamo la nostra fede nelle persone divine con le parole: credo in Dio Padre, credo in Gesù Cristo, credo nello Spirito Santo. Propriamente parlando l’atto di fede si indirizza soltanto alle persone divine, alle quali l’uomo si affida e si abbando-

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Introduzione

na. Ma, oltre a essere rapporto di fiducia e di abbandono, la fede è anche l’accettazione di tutto ciò che Dio ci manifesta e ci propone. Per questo il movimento della fede comporta, dopo l’a-desione personale al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, l’accettazione di quanto queste stesse persone ci propongono da credere e da fare. La fede ha cioè dei contenuti che noi professiamo. La seconda parte del Credo comincia dicendo: credo la Chiesa. La Chiesa è uno dei contenuti della nostra fede. Si noti la formulazione usata. Essa non dice: credo nella Chiesa, ma credo la Chiesa. La Chiesa oggetto della nostra fede, è una realtà che noi accettiamo perché ci fidiamo delle persone divine che l’hanno voluta e l’hanno preparata per noi. Sono gli scritti del Nuovo Testamento che ci invitano a scrutare in profondità la realtà della Chiesa, a non accontentarci di uno sguardo superficiale, ravvisando in essa la Chiesa che scaturisce dalla Trinità.

Le formule

Già nel Nuovo Testamento troviamo queste «professioni di fede». Le più antiche erano for-mule cristologiche: i cristiani professavano la loro fiducia in Gesù Salvatore, perché pensava-no che il mistero della sua persona e della sua storia era l’elemento essenziale della loro fede (vedi, ad es., At 2,36; Rm 10,9). Accanto a queste formule, troviamo nel Nuovo Testamento anche formule trinitarie (vedi, ad es., Mt 28,19; Ef 4,4) che erano utilizzate sia quando si cele-brava il Battesimo sia quando si invitavano i cristiani a vivere come Dio chiede.

Nei secoli successivi le comunità cristiane professarono la loro fede sviluppando formule che si riferivano al Padre, al Figlio e allo Spirito, «simboli» articolati delle prime professioni di fede.

Nel III secolo, nella comunità cristiana di Roma era usata, durante la celebrazione del Bat-tesimo, questa formula per la professione di fede:

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra;e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo,nacque da Maria Vergine, pati sotto Ponzio Pilato,fu crocifisso, mori e fu sepolto; discese agli inferi;il terzo giorno risuscitò da morte; sali al cielo,siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti,Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Era chiamata simbolo apostolico. Nel IV secolo si riteneva infatti che gli stessi apostoli ne avessero redatto il testo. Se non sembra attendibile questa attribuzione storica, l’antica professione di fede della Chiesa di Roma può per un altro valido motivo essere ancora chia-mata simbolo apostolico: essa, infatti, esprime in maniera sintetica e ordinata il messaggio di salvezza proclamato e testimoniato dagli apostoli del Signore Gesù. La formula è ancor oggi conosciuta dai cristiani ed è qualche volta usata nella celebrazione della Messa al posto del simbolo nicenocostantinopolitano.

Mentre in Occidente era molto usato il simbolo romano (o apostolico), in Oriente le comu-nità del IIIIV secolo esprimevano in forme linguistiche differenti la professione dell’unica fede cristiana. Nei secoli IVV la comunità cristiana fu divisa da grandi discussioni dottrinali. Nei

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Introduzione

Concili Ecumenici di Nicea (nel 325) e di Costantinopoli (nel 381 ) i vescovi della Chiesa cat-tolica precisarono la formulazione della fede cristiana opponendosi agli errori di chi negava la divinità di Gesù Cristo (Ario) e dello Spirito Santo (Macedonio). A Nicea i vescovi ripresero una professione di fede in uso nella comunità cristiana di Cesarea e la completarono con pre-cise affermazioni su Gesù, «unigenito Figlio di Dio»: «della stessa sostanza del Padre», è Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero. A Costantinopoli i vescovi ripresero la formula del Concilio di Nicea e vi aggiunsero alcune significative precisazioni sulla terza persona della Trinità: «Crediamo nello Spirito Santo, Signore, datore di Vita, che procede dal Padre ed è ado-rato ed onorato con il Padre e col Figlio, e che ha parlato per bocca dei profeti». Nel V secolo le comunità della Siria iniziarono a usare questo «Credo» nella celebrazione della Messa. Anche le comunità cristiane di Spagna e della Gallia accolsero quest’uso, che divenne abituale anche per la Chiesa di Roma verso il 1020. Dal secolo XI in poi, le comunità cristiane dell’Occidente durante l’Eucaristia professano la loro fede con queste parole, divenute norma autorevole per giudicare la retta fede di un credente e per valutarne gli errori. Nei secoli successivi le comuni-tà cristiane professarono la loro fede sviluppando formule che si riferivano al Padre, al Figlio e allo Spirito, «simboli» articolati delle prime professioni di fede.

Un primo orizzonte

Io credo. Questa è la prima parola di un cristiano. Essere cristiano significa appunto esse-re uno che crede. Professare la fede significa credere qualcosa e credere a qualcuno. In senso cristiano si tratta di credere a Dio, che ci parla per mezzo di Gesù Cristo, e di credere a Gesù Cristo per mezzo del quale Dio si è manifestato a noi. L’atto di fede è essenzialmente fiducia, confidenza, abbandono nei confronti di Dio e di Gesù Cristo. La Bibbia ci presenta una serie di personaggi per i quali la fede, come atteggiamento di fiducia assoluta, è stato qualcosa di determinante nella loro vita, a partire da Abramo, passando attraverso i profeti, per giungere alla Madonna, agli apostoli, ai membri della prima comunità cristiana. Di tutti questi «cre-denti» si può dire che essi si sono fidati di Dio, anche quando umanamente sarebbe stato più «ragionevole» non fidarsi. Si pensi al caso di Abramo, «nostro padre nella fede», la cui vita è contrassegnata appunto da una fede messa a dura prova. Gesù stesso richiedeva alle persone che lo avvicinavano e alle quali si rivolgeva, di credere in lui, cioè di fidarsi di lui Certo non si tratta di una fiducia cieca e irrazionale. L’uomo si fida di Dio, di Cristo, dopo essersi reso conto di chi si tratta. La fede è un atto di omaggio, ma è un omaggio ragionevole, posto cioè con conoscenza di causa.

Per il credente, ciò che rende ragionevole il suo atto di fede è soprattutto il fatto che Gesù è risuscitato dai morti. Questo straordinario intervento di Dio garantisce che ci si può fidare di Gesù, che egli è l’inviato di Dio, che dietro alle sue parole e azioni ci sta Dio stesso.

La struttura della fede comporta due momenti essenziali, che si possono così esprimere: io credo a qualcuno che mi dice qualcosa.. Oltre che rapporto di fiducia fra persone, la fede comporta un contenuto di verità da credere e di disposizioni da mettere in pratica. E questo contenuto lo possiamo, anzi lo dobbiamo esprimere mediante le nostre parole nella «confes-sione di fede» o «credo». Troviamo, sin dall’inizio della Chiesa, delle confessioni o professioni di fede molto sintetiche come queste: Gesù è morto per i nostri peccati, Gesù è il Signore, Dio ha risuscitato il Cristo dai morti, ecc. Il fatto che la fede abbia un contenuto, e che tale conte-

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Introduzione

nuto vada professato, sta a indicare che il nostro credere non è un’esperienza soggettivistica, non è puro sentimento, e neppure una vaga esperienza religiosa. Nella fede noi non abbiamo solo o principalmente a che fare con noi stessi, con i nostri sentimenti e le nostre aspirazioni.

La fede si riferisce a delle realtà oggettive, che stanno al di fuori di noi e che noi accettiamo perché ci vengono annunciate come una buona novella che arreca gioia e salvezza. In questo senso san Paolo scriveva: «La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo» (Rm 10, 17).

La fede dono da accogliere

Nella stessa lettera, san Paolo afferma che nella fede bisogna tenere strettamente unite fra loro l’adesione interna e la professione esterna: «Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rm l0,10).

Dunque, la fede non ce la fabbrichiamo noi secondo i nostri gusti, o secondo le mode della nostra epoca. Se la fede fosse solo una nostra esperienza soggettiva, qualcosa che proviene solo da noi e dal nostro sentire, essa non potrebbe essere l’inizio e il fondamento sul quale riposa la nostra salvezza. La salvezza, intesa come liberazione dal peccato, dalla sofferenza, dalla morte, e come rapporto filiale e di comunione con Dio e con gli altri uomini, possiamo riceverla solo da un Altro, cioè da Dio stesso. Nella fede riconosciamo innanzitutto che la sal-vezza è dono, e professiamo che tale dono giunge a noi da parte di Dio per mezzo di Cristo e del suo Spirito.

Per crescere nella fede

La fede è un rapporto personale con Dio nel quale tutto l’uomo, con tutte le sue dimensioni, è coinvolto. La fede non nasce né si sviluppa unicamente con ragionamenti o con studi. La fede è incontro personale con Dio. Per «credere» è necessario pregare. Un buon «test» della fede è la preghiera. Essa è luogo privilegiato, benché non unico, nel quale si esprime il rappor-to fra l’io umano e il Tu divino. La fede ha dei contenuti che bisogna conoscere e approfondire con la riflessione e lo studio della Bibbia, della tradizione della Chiesa, del Magistero, e con il confronto con altri cristiani, specialmente con quelli che si distinguono per santità di vita e per coraggio di testimonianza.

Bisogna reagire a un certo soggettivismo che è portato a confezionare la fede secondo i gusti e le attese del momento. Questo però non significa che la proposta della fede non venga incontro ai bisogni e alle attese profonde dell’uomo. Tuttavia è talora una risposta paradossale quella che la fede ci offre, non misurabile con i criteri della saggezza umana. La proposta di Dio passa attraverso il paradosso della croce di Cristo. La fede è resa oggi difficile causa del contesto in cui viviamo, anche se la fede autentica non è mai stata facile e ogni epoca presenta le sue resistenze e obiezioni.

La situazione contemporanea rende difficile la fede perché vi è la tendenza ad attribuire va lore e certezza solo alle cose controllabili con i mezzi tecnicoscientifici, a valutar solo ciò che risponde a criteri di efficienza, a dissolvere il mondo del mistero e del simbolo, a non stimare eccessiva mente ciò che è gratuito. Affinché la fede possa nascer e crescere, occorre creare un clima adatto, fatto di attesa di disponibilità. Per poter accogliere e mantenere la fede, è neces-

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Introduzione

sario inoltre vigilare costantemente su l’orientamento della propria vita e delle proprie scelte.La fede non ha permanenza di per se stessa. Non la si può mai semplicemente presupporre

come una cosa già in se conclusa. Deve continuamente essere rivissuta. E poiché è un atto, che abbraccia tutte le dimensioni della nostra esistenza, deve anche essere sempre ripensata e sempre di nuovo testimoniata. “Perciò i grandi temi della fede - Dio, Cristo, Spirito Santo, Grazia e peccato, Sacramenti e Chiesa, morte e vita eterna - non sono mai temi vecchi. Sono sempre i temi, che ci colpiscono più nel profondo.”

Che cosa crede la Chiesa? Questa domanda include le altre: chi crede? E come credere? Det-to in altre parole: illustra l’atto della fede ed il contenuto della fede nella loro inseparabilità.

d. chi crede - Si ritrova nelle confessioni di fede tanto la formula “io credo” come l’altra “noi crediamo”. Parliamo della fede della Chiesa, e parliamo del carattere personale della fede, e infine parliamo della fede come di un dono di Dio, come di un “atto teologale”, secondo un’e-spressione oggi corrente nella teologia. Che cosa significa tutto questo? “La fede è un orienta-mento della nostra esistenza nel suo insieme. È una decisione di fondo, che ha effetti in tutti gli ambiti della nostra esistenza. La fede non è un processo solo intellettuale, né solo di volontà, né solo emozionale, è tutto questo insieme. È un atto di tutto l’io, di tutta la persona nella sua unità raccolta insieme., insieme con l’io è in gioco il noi ed il tu del totalmente altro, il tu di Dio. Ciò significa però anche che in un tale atto viene superato l’ambito dell’agire puramente personale. L’essere umano come essere creato è nel suo più profondo non solo azione, ma sem-pre anche passione, non solo essere donante, ma essere accogliente.” Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l’esistenza.

La fede cristiana è nella sua essenza incontro con il Dio vivente. Dio è il vero ed ultimo contenuto della nostra fede. In questo senso il contenuto della fede è molto semplice: io credo in Dio. Ma la realtà più semplice è sempre anche la realtà più profonda e che tutto abbraccia. Possiamo credere in Dio, perché Dio ci tocca, perché egli é in noi e perché egli anche dall’e-sterno si avvicina a noi. Possiamo credere in lui, perché esiste colui che egli ha mandato: “Egli ha visto il Padre (Gv6,46)”. Potremmo dire che la fede è partecipazione allo sguardo di Gesù. Nella fede Egli ci permette di vedere insieme con lui, ciò che egli ha visto. In questa afferma-zione la divinità di Gesù Cristo è inclusa, così come la sua umanità. A motivo del fatto che egli è il Figlio, egli vede continuamente il Padre. A motivo del fatto che egli è uomo, noi possiamo guardare insieme con lui. A motivo del fatto che egli è entrambe le cose allo stesso tempo, Dio e uomo, egli non è mai una persona del passato e non è mai soltanto nell’eternità, sottratto ad ogni tempo, ma è sempre al centro del tempo, sempre vivo, sempre presente. “In tal modo però si tocca anche allo stesso tempo il mistero trinitario. Il Signore diviene presente per noi attraverso lo Spirito Santo. Se si considera bene l’atto di fede, si sviluppano in conformità con esso come da se stessi i singoli contenuti. Dio diviene per noi concreto in Cristo. Così da una parte diviene riconoscibile il mistero trinitario, dall’altra diviene visibile che egli stesso si è inserito nella storia fino al punto che il Figlio è divenuto uomo e dal Padre ci manda lo Spirito. Nell’incarnazione tuttavia è contenuto anche il mistero della Chiesa, poiché Cristo in realtà è venuto per “radunare in unità i dispersi figli di Dio” (Gv11,52). Il noi della Chiesa è la nuova, ampia comunità, nella quale ci attira (cfr. Gv12,32). Così la Chiesa è contenuta nell’inizio stes-so dell’atto di fede. La Chiesa non è un’istituzione, che sopraggiunge alla fede dall’esterno e

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crea una cornice organizzativa per attività comuni dei fedeli; essa appartiene allo stesso atto di fede. L’ “io credo” è sempre anche un “noi crediamo”. Se parliamo della storia di Dio con l’umanità, si tocca con questo anche il problema del peccato e della grazia. È toccato il pro-blema di come noi incontriamo Dio, quindi il problema della liturgia, dei sacramenti, della preghiera, della morale.” Ma non vorrei ora sviluppare tutto questo nei particolari; ciò che mi stava a cuore era propriamente la considerazione dell’interiore unità della fede, che non è un cumulo di proposizioni, ma un semplice intenso atto, nella cui semplicità è contenuta tutta la profondità ed ampiezza dell’essere. Chi parla di Dio, parla del tutto; impara a distinguere l’es-senziale da ciò che non è essenziale, e scopre qualcosa della logica interiore e dell’unità di tutto il reale, anche se sempre solo in frammenti e per enigma (1Cor13,12), finché la fede sarà fede e non diverrà visione. “Per concludere una riflessione sul come della fede. In Paolo si trova in proposito una parola singolare, che ci potrà aiutare. Egli dice che la fede è un’obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento, alla quale siamo stati consegnati (Rom6,17). Si esprime qui in fondo il carattere sacramentale dell’atto di fede, l’intimo legame fra confessione di fede e sacramento. È propria della fede una “forma di insegnamento”, dice l’apostolo. Non la in-ventiamo noi. Non ci viene come un’idea dal di dentro di noi, ma come una parola dal di fuori di noi.” È in certo qual modo parola dalla parola, noi veniamo “consegnati” a questa parola, che indica nuove vie al nostro pensiero e dà forma alla nostra vita. Questo “essere consegna-ti” ad una parola che ci precede si realizza attraverso la simbologia di morte dell’immersione nell’acqua.” Questo essere consegnati alla parola che ci ammaestra è un essere consegnati a Cristo. Non possiamo accogliere la sua parola come una teoria, come si apprendono ad esem-pio formule matematiche e opinioni filosofiche. La possiamo apprendere solo nella misura in cui accettiamo la comunione di destino con lui, e questa la possiamo attingere solo laddove egli stesso si è legato permanentemente con gli uomini in una comunione di destino: nella Chiesa. Usando il suo linguaggio chiamiamo questo processo dell’essere consegnati “sacramento”. L’atto di fede non è pensabile senza il sacramento. Qui emerge un altro aspetto dell’evento della fede: la fede, che come parola viene a noi, deve diventare di nuovo parola anche presso di noi stessi, in quanto nello stesso tempo si esprime la nostra vita. Credere significa sempre anche confessare. La fede non è privata, ma è pubblica e comunitaria. Da parola diviene innan-zitutto concezione, ma deve anche continuamente da concezione diventare parola ed azione.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica indica le diverse forme di confessione della fede, che ci sono nella Chiesa: professioni di fede battesimali, professioni di fede formulate da Concili, professioni di fede formulate da Papi (192). Ciascuna di queste professioni di fede ha il suo significato specifico. Ma l’archetipo della professione di fede, sul quale tutti gli altri si fondano è la professione di fede battesimale.

Il noi, il che cosa ed il come della fede sono strettamente legati. In tal modo diventa ora vi-sibile anche la dimensione morale dell’atto di fede: esso implica uno stile di esistenza umana, che non produciamo da noi stessi, ma che apprendiamo lentamente attraverso l’immersione del nostro essere immersi nel battesimo, nel quale continuamente Dio agisce in noi e nuova-mente ci attira a sé. La morale fa parte del Cristianesimo, ma questa morale è sempre parte del processo sacramentale del divenire cristiano, nel quale noi non siamo soltanto attori, ma sem-pre, anzi, addirittura in primo luogo ricettori, in una ricezione, che significa trasformazione.

Non è quindi per mania di archeologismo che il Catechismo sviluppa il contenuto della

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Introduzione

fede a partire dalla professione di fede battesimale della Chiesa di Roma, dal cosiddetto Sim-bolo apostolico. In esso si manifesta piuttosto la vera natura dell’atto di fede e così la vera natura della catechesi come un esercitarsi ad esistere con Dio.

Così, appare anche che il Catechismo è totalmente determinato dal principio della gerar-chia delle verità, come la ha intesa il Vaticano secondo. Infatti il Simbolo è innanzitutto, come abbiamo visto, professione di fede nel Dio trino, che si sviluppa dalla formula battesimale ed è ad essa legata.

Tutte le “verità della fede” sono sviluppi dell’unica verità, che noi scopriamo in esse come la perla preziosa, per la quale merita dare tutta la vita. Si tratta di Dio. Solo egli può essere la perla, per la quale noi vendiamo tutto il resto. Dio solo basta. Chi trova Dio, ha trovato tutto. Ma noi lo possiamo trovare solo perché egli prima ci ha cercato e ci ha trovato. Egli è in primo luogo colui che agisce e, per questo la fede in Dio è inseparabile dal mistero dell’incarnazione, dalla Chiesa, dal sacramento.

Tutto ciò che viene detto nella catechesi è sviluppo dell’unica verità, che è Dio stesso – l’a-more che muove il sole e l’altre stelle (Dante, Paradiso XXXIII,145).

Destinatari

Sono gli adolescenti (14-16 anni) che in una stagione particolare della vita, caratterizzata sovente da crisi d’identità e da nuovi interrogativi, hanno bisogno di non essere lasciati a se stessi, ma aiutati ad assumere con sufficiente chiarezza il progetto di vita che il Cristo Salva-tore propone a loro. Il progetto conosciuto, incontrato e vissuto nel percorso dell’Iniziazione cristiana ora ha la necessità di essere ulteriormente accompagnato. La fede è percepita come una realtà che va messa a confronto con le esigenze esistenziali ed è soggetta alle critiche e alle contestazioni, ma nello stesso tempo emerge il bisogno di approfondire e di trovare sicurezze.

Articolazione dell’itinerario e obiettivi educativi

L’itinerario di professione di fede ha come obiettivo primario l’integrazione tra fede e vita mediante un incontro vivo e autentico con Gesù Cristo, realizzato in una comunità viva di cre-denti, per aiutare a far fiorire dal proprio vissuto una risposta concreta alla propria vocazione di cristiano.

Gli obiettivi generali come indicato dall’Arcivescovo nel documento base sull’educazione, possono essere così indicati:

Educare gli adolescenti a:• Pensare la fede e conoscere i contenuti del credo in modo adeguato all’età e alla formazione.• Suscitare domande che siano capaci di mettere in relazione la fede e la vita• Comprendere e interpretare la realtà e la vita secondo il pensiero di Gesù Cristo• Pensare alla propria vita e al proprio futuro come risposta al disegno di Dio su di loro.• Vivere un rapporto personale con la parola di Dio, saper confrontare la propria vita con essa, e

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Introduzione

saper operare scelte di conseguenza.• Far crescere il rapporto con Dio nella preghiera e nei sacramenti in modo sempre più persona-

le e profondo. Iniziare un cammino di direzione spirituale.• Nutrire il senso di appartenenza alla chiesa • Vivere la virtù della fede, della speranza e della carità• Integrare fede e vita• Annunciare e testimoniare la fede di Gesù Cristo• Sentirsi parte viva della comunità parrocchiale e diocesana e della chiesa intera• Crescere nella capacità di dono di sé.• Crescere nella capacità di compagnia e di prossimità con chi soffre perché malato, solo, emar-

ginato.• Vivere nei quotidiani ambienti di vita con lo stile evangelico della verità, dell’essenzialità, del-

la gratuità e della responsabilità.

L’itinerario si articola in tre anni:1 anno: CHIAMATI2 anno: CONVOCATI3 anno: MANDATI

Nell’arco dei tre anni ci si propone di approfondire le verità di fede espresse nel credo. Ogni anno è suddiviso in otto unità che analizzano secondo questo schema:

Cosa significa credere: opinioni circa la fede, dilemmi esistenziali, l’atto di fede, la fede cristiana fede storica

Credere in qualcuno: Dio padre, onnipotente, creatore Cristo Figlio, Signore concepito di Spirito Santo, nacque da una vergine Maria Spirito SantoCredere in cosa: patì sotto ponzio pilato, fu crocifisso, morì e fu sepoltà discese

agli inferi, risuscitò da morte, salì al cielo siede alla destra di Dio padre, giudice, comunione dei santi , remissione dei peccati, la vita eterna

Come credere: Chiesa una, santa, cattolica, apostolica

La metodologia proposta

VEDERE: (fascia antropologica). È il punto di partenza di ogni unità: il tema viene anzitutto trattato a partire dall’esperienza stessa dell’adolescente. Vengono interrogati gli atteggiamenti verso la fede, le precomprensioni nei confronti di Dio, il volto di Dio che hanno in mente i ra-gazzi, lasciando emergere le contraddizioni, le sconfitte, gli aspetti incompiuti, ma anche le po-tenzialità positive, le conquiste, le attese e i desideri più vivi. Alcune domande opportunamente modellate sulle realtà adolescenziali, aiutano ad aprire una riflessione personale e un dialogo nel gruppo; sono l’invito a prendere coscienza di sé e del mondo, a porsi interrogativi, a farsi critici, nella sezione strumenti sono suggerite varie tipologie di attività per stimolare la discussione.

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Introduzione

CONFRONTARSI (fascia biblico-magistero-catechetica). Gli interrogativi dell’adolescente vengono ora assunti e confrontati con l’ascolto della parola (A.T. e N.T) e Per rafforzare il sen-so di continuità storica dell’esperienza cristiana e l’attualità del messaggio evangelico, testi dei Padri, del magistero ecclesiale contemporaneo. Nella sezione strumenti sono suggerite varie tipologie di attività per stimolare la discussione.

CELEBRARE (fascia di educazione alla preghiera). Uno spazio specifico dell’esistenza cri-stiana è la vita di preghiera, l’ascolto e il dialogo con Dio. Questa sezione propone le diverse forme di preghiera personale e comunitaria. Si suggerisce una preghiera personale da dare all’adolescente, una preghiera di gruppo (inizio/fine incontro oppure dedicare un momento ad hoc) e soprattutto si sottolinea il richiamo ad una partecipazione viva ai momenti di pre-ghiera proposti dalla parrocchia. All’interno di questa educazione si propone di insegnare i diversi linguaggi nei quali si articola la preghiera ed aiutare l’adolescente a portare la propria vita con i suoi desideri, speranze, luci e ombre nella preghiera:

preghiera di lodepreghiera di contemplazionepreghiera di ringraziamentopreghiera di invocazionepreghiera di supplicapreghiera di richiesta preghiera di lamentazionepreghiera di offerta preghiera di intercessionerichiesta di perdonopreghiera di adorazione

AGIRE: (fascia dei testimoni e missionaria). In questa sezione vengono proposte impegni personali, di gruppo e di parrocchia perché la fede non sia solo parlata ma vissuta e messa a disposizione di tutti. Tale capacità di servizio, come si può riscontrare da numerose analisi sul vissuto giovanile, contribuisce molto positivamente alla strutturazione dell’identità umana e religiosa dell’adolescente e non è quindi solamente un «di più» da considerare come opzionale o da rimandare a più tardi. La vita di ogni cristiano può confrontarsi con quella di uomini e donne che hanno incontrato il Signore ed offrono una esempio di fede vissuta. Nella sezione strumenti abbiamo voluto sottolineare figure di uomini/donne di fede della nostra chiesa bo-lognese che vengono offerte non tanto come modelli da ripetere, quanto come dimostrazione di come si possa tradurre nel proprio tempo il Vangelo che si è ricevuto in dono. Sempre nella stessa sezione abbiamo voluto dare risalto ai luoghi della fede della nostra diocesi bolognese, segno di una tradizione e vissuto alla sequela di Cristo.

In questo sussidio sono suggerite domande di approfondimento soltanto in alcune unità, o in alcune parti di esse, e questo per sollecitare la creatività e la responsabilità degli educatori, che conoscono i loro giovanissimi con le loro precise fisionomie, sia di singoli che di gruppi.

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Introduzione

Conclusione

Con la speranza che la proposta offerta possa essere realmente d’aiuto, siamo consape-voli che il miglior sussidio non può garantire risultati certi, se non si rimane assiduamente destinatari del Vangelo. Però, cosa ci dice il Vangelo al mattino di Pasqua? “Egli non sta qui. Egli vi precede in Galilea, là lo troverete”. Quest’ annuncio angelico spiazza continuamente l’evangelizzatore. C’è qui, un rovesciamento di prospettiva radicale. Non abbiamo Cristo con noi come un oggetto tenuto, posseduto, ammaestrato che bisognerebbe trasmettere agli altri che non lo conoscerebbero. Cristo non è un oggetto posseduto che si può tenere “qui”. Biso-gna, per raggiungerlo, uscire di casa, lasciare il proprio luogo e andare in un altro - la Galilea delle nazioni- laddove Egli ci precede. Là dove si arriva, si è sempre preceduti dallo spirito di Cristo. Non portiamo agli altri ciò che non hanno, ma li raggiungiamo sulla loro strada per scoprire con loro le tracce di Cristo risuscitato già lì. La fede è un cammino di riconoscenza di ciò che è già dato segretamente. Lo spirito di Cristo Risorto ci precede sempre. Da tutti i punti di vista, abbiamo sempre da lasciarsi evangelizzare da chi si evangelizza. “Uno stesso Spirito opera nell’evangelizzatore e nell’evangelizzato, e il primo, se sa cosa propone, accetta anche di essere convertito da colui che ha accettato di ascoltarlo”. Tutta l’arte dell’evangelizzatore sta allora nel favorire la riconoscenza, nel discernere e nell’indicare col dito la presenza del Regno nelle persone e nelle situazioni, anche dove meno lo si aspetta. E anche, andiamo verso l’altro, non per guadagnarlo alla nostra causa, non per portargli ciò che non ha, ma per riconoscere con lui, nella sua vita, la presenza del Risorto in una maniera che può sorprenderci. Così dob-biamo ricevere da chi evangelizziamo la testimonianza dell’opera di Dio già in loro.

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ITINERARIO

1 annoChiamati

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1.1 Credere e come credere: questo è il problema! Opinioni circa la fede, dilemmi esistenziali

TEMA DELL’UNITA’:

Fede come relazione con Dio in Cristo, che nasce da un incontro in cui noi siamo cercati da Dio in Cristo e passa attraverso le relazioni che viviamo.

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivono riguardo al vivere la fede sia nel rapporto con se stessi che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli dell’influenza della mentalità comune sui loro pensieri, orientamenti e scelte, per aiutarli a scegliere in modo sempre più libero.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione del credere in Gesù nella mentalità comune, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sap-pia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Interrogarsi sulla propria fede, cogliendone le luci e le ombre, e iniziando a scoprirne il significato per la propria vita.

• Allenarsi alla presenza costante di interrogativi nel cammino di fede.• Diventare consapevoli della fede non solo come contenuti, ma anche come relazione viva

di amicizia con Dio che chiama ad un cammino di sequela per un progetto. • Diventare consapevoli della propria posizione rispetto a questo invito del Signore.• Ricominciare il cammino di gruppo condividendo le esperienze significative della propria

vita per creare legami autentici nell’ascolto reciproco.

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1 anno - Chiamati

VEDERE

“io credo? Luci e ombre nella mia esperienza di fede”

spunti di riflessioneChe atteggiamenti hanno gli adolescenti verso il credere? Cosa pensano sia la fede? Che tipo

di fede vivono? Quali sono le domande e i dubbi che stanno nascendo in loro? La loro vita e la loro fede che punti di contatto hanno? Quali relazioni vitali li guidano e li sostengono in questo?

preghiamo insieme preghiera di richiesta in forma responsoriale (ogni adolescente esprime nella preghiera le

difficoltà del proprio credere)

Ripetiamo insieme: “Credo, Signore, aiutami nella mia incredulità”

CONFRONTARE

La bibbiaAT: Abramo Gen 12,1-3NT: I primi discepoli Gv 1,35-42 (venite vedrete)

Il catechismoIo ho scelto voi, Cdg/1 cap. 1 pag. 15-16

spunti di riflessioneChe tipo di relazione è la fede per Dio e come la propone e la chiede all’uomo? Che esigenze

ha, cosa offre, che tesoro c’è per l’uomo?Come Gesù si avvicina agli apostoli? E agli adolescenti? Quando sono state le loro “quattro

del pomeriggio?”

La parola dell’ArcivescovoOmelia della S. Messa prefestiva vespertina della Domenica ‘in albis’, Cattedrale di S. Pietro,

29 marzo 2008

La pagina evangelica narra il cammino percorso da Tommaso verso la fede. In esso ciascuno di noi può specchiarsi, e vedere narrata la vicenda umana di ogni credente.

La storia di Tommaso. Questi non era presente quando Gesù risorto venne per la prima volta in mezzo ai suoi discepoli, la sera di Pasqua. Quando gli dissero di aver visto il Signore, non

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1 anno - Chiamati

volle loro credere: “se non vedo nelle sue mani i segni dei chiodi e non metto la mano nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel costato, non crederò”.

Quando otto giorni dopo Gesù venne ancora fra i suoi, Tommaso era presente. Gesù si rivolse a lui: “metti qua il tuo dito e guarda le mie mani … e non essere più incredulo ma credente”. Ed allora Tommaso disse: “Mio Signore e mio Dio”.

Quale era la difficoltà che Tommaso sentiva in sé e gli impediva di credere alle parole dei suoi amici? Egli aveva visto morire Gesù; lo aveva visto sepolto in un sepolcro perfino sigillato. Non era davvero facile credere che Lui ora fosse vivo nel suo vero corpo: aveva bisogno di un incon-tro diretto con Lui. Ne ebbero bisogno le donne che andarono al sepolcro; ne ebbero bisogno Pietro, Giovanni e gli altri apostoli. Ne aveva bisogno anche Tommaso: incontrarlo vivo nel suo corpo!

E l’incontro avvenne: l’incredulità di Tommaso si incontrò colla esperienza diretta della pre-senza di Cristo. E l’apostolo pronunciò parole che esprimono come nessun’altra il nucleo intimo della fede: “Mio Signore e mio Dio”. Cioè: “se è così: se tu, che io ho visto morto e sepolto, puoi essere toccato nel tuo vero corpo, e quindi sei vivo, allora tu sei il “mio Signore e mio Dio”.

In questo modo la pagina evangelica ci dice nel modo più semplice e profondo che cosa è la fede: è l’incontro dell’uomo con il Signore vivente, vivente perché è Risorto. Questo incontro di-venta l’inizio di una nuova relazione della persona umana con Cristo, perché Egli è riconosciuto come il proprio Signore e Dio. Da questo incontro l’esistenza di Tommaso esce rigenerata e come riplasmata.

La storia di ciascuno. La storia di Tommaso si ripete in un qualche modo anche nella vita di ciascuno di noi. Anche ciascuno di noi, vivendo nel contesto della vita di un popolo modellato dalla fede cristiana, ha sentito parlare di Cristo. La vita di ciascuno di noi è stata attraversata dalla notizia cristiana. Ma ciascuno di noi ha dentro di sé l’apostolo Tommaso, e pone le doman-de di fondo: è vero che Dio esiste ed ha creato il mondo? È vero che Gesù Cristo non è uno dei fondatori di religione, ma è Dio stesso fattosi uomo? E se non è irragionevole e rassegnato alla sua infelicità, anche ciascuno di noi desidera e cerca l’incontro, l’esperienza di una presenza di Cristo.

C’è una parola straordinaria detta da Gesù: “perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto, hanno creduto”. Pietro, Giovanni, gli altri apostoli, le donne avevano visto, quando andarono al sepolcro, avevano visto dei segni: la tomba vuota; le bende che ave-vano avvolto il corpo morto del Signore. Ma non avevano visto il Signore: eppure credettero ed ebbero così l’esperienza dell’incontro colla Sua persona vivente.

Ciascuno di noi oggi può giungere alla fede se da una parte riconosce umilmente i tanti se-gni della presenza del Signore quali sono rinvenibili nella Chiesa, e dall’altra è docile all’azione della grazia che opera nel suo cuore. E’ questa la via della fede. Essa ha un versante, per così dire, esterno: ci sono segni attraverso i quali posso ragionevolmente concludere che quanto la Chiesa mi dice è vero. Ed ha un versante interno: c’è un’azione della grazia che opera nel cuore dell’uomo e lo conduce a credere che “Gesù è il Cristo, il figlio di Dio”.

Miei cari fratelli e sorelle, la celebrazione eucaristica che stiamo vivendo, aiutati dalla sugge-stione del canto che lungo i secoli ha espresso la preghiera della Chiesa, non è altro che questo. È l’esperienza vissuta da Tommaso: l’incontro con Cristo nel suo Corpo eucaristico, pane di vita eterna.

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1 anno - Chiamati

Pillole di ConcilioGaudium et Spes 10

Preghiamo insiemePreghiera di lode in forma responsoriale

Salmo 23 Il SIGNORE è il mio pastore

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Eb 11,12,1-3

Dall’omelia del santo padre GIOVANNI PAOLO II , 23 febbraio 2000

L’autore della Lettera agli Ebrei scrive: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì par-tendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava” (11, 8). Ecco: Abramo, nominato dall’Apostolo “nostro Padre nella fede” (cfr Rm 4,11-16), credette a Dio, si fidò di Lui che lo chiamava. Credette alla promessa. Dio disse ad Abramo: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione... in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12, 1-3). Stiamo forse parlando del tracciato di una delle molteplici migrazioni tipiche di un’epoca in cui la pastorizia era una fon-damentale forma di vita economica? E’ probabile. Sicuramente, però, non si trattò solo di questo. Nella vicenda di Abramo, da cui prese inizio la storia della salvezza, possiamo già percepire un altro significato della chiamata e della promessa. La terra, verso la quale si avvia l’uomo guidato dalla voce di Dio, non appartiene esclusivamente alla geografia di questo mondo. Abramo, il credente che accoglie l’invito di Dio, è colui che si muove nella direzione di una terra pro-messa che non è di quaggiù.

Leggiamo nella Lettera agli Ebrei: “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e pro-prio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome” (11,17-18). Ecco l’apogeo della fede di Abramo. Abramo viene messo alla prova da quel Dio nel quale aveva riposto la sua fiducia, da quel Dio dal quale aveva ricevuto la promessa concernente il lontano futuro: “In Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome” (Eb 11, 18). E’ chiamato, però, ad offrire in sacri-ficio a Dio proprio quell’Isacco, il suo unico figlio, a cui era legata ogni sua speranza, conforme del resto alla divina promessa. Come potrà compiersi la promessa che Dio gli ha fatto di una numerosa discendenza, se Isacco, l’unico figlio, dovrà essere offerto in sacrificio?

Mediante la fede, Abramo esce vittorioso da questa prova, una prova drammatica che met-

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1 anno - Chiamati

teva in questione direttamente la sua fede. “Egli pensava infatti - scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei - che Dio è capace di far risorgere dai morti” (11, 19). In quell’istante umanamente tragico, in cui era ormai pronto ad infliggere il colpo mortale a suo figlio, Abramo non cessò di credere. Anzi, la sua fede nella promessa di Dio raggiunse il culmine. Pensava: “Dio è ca-pace di far risorgere dai morti”. Così pensava questo padre provato, umanamente parlando, oltre ogni misura. E la sua fede, il suo totale abbandono in Dio, non lo deluse. Sta scritto: “per questo lo riebbe” (Eb 11, 19). Riebbe Isacco, poiché credette a Dio fino in fondo e incondizio-natamente.

L’Autore della Lettera sembra esprimere qui qualcosa di più: tutta l’esperienza di Abramo gli appare un’analogia dell’evento salvifico della morte e della risurrezione di Cristo. Quest’uomo, posto all’origine della nostra fede, fa parte dell’eterno disegno divino. Secondo una tradizio-ne, il luogo dove Abramo fu sul punto di sacrificare il proprio figlio, è lo stesso sul quale un altro padre, l’eterno Padre, avrebbe accettato l’offerta del suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Il sacrificio di Abramo appare così come annuncio profetico del sacrificio di Cristo. “Dio infatti - scrive san Giovanni - ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (3, 16). Il Pa-triarca Abramo, nostro padre nella fede, senza saperlo introduce in un certo qual senso tutti i credenti nel disegno eterno di Dio, nel quale si realizza la redenzione del mondo.

Un giorno Cristo affermò: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono” (Gv 8, 58), e queste parole destarono lo stupore degli ascoltatori che obiettarono: “Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?” (Gv 8, 57). Chi reagiva così, ragionava in modo meramen-te umano, e per questo non accettò quanto Cristo diceva. “Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?” (Gv 8, 53). Ad essi Gesù replicò: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8, 56). La vocazione di Abramo appare completamente orientata verso il giorno di cui parla Cristo. Qui non reggono i calcoli umani; occorre applicare la misura di Dio. Solo allora possiamo comprendere il giusto significato dell’obbedienza di Abramo, che “ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rm 4, 18). Sperò di diventare padre di numerose nazio-ni, ed oggi sicuramente gioisce con noi perché la promessa di Dio si compie lungo i secoli, di generazione in generazione.

L’aver creduto, sperando contro ogni speranza, “gli fu accreditato come giustizia” (Rm 4, 22), non soltanto in considerazione di lui, ma anche di noi tutti, suoi discendenti nella fede. Noi “crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore” (Rm 4, 24), messo a morte per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione (cfr Rm 4, 25). Questo, Abramo non lo sapeva; mediante l’obbedienza della fede, egli tuttavia si dirigeva verso il compimento di tutte le promesse divine, animato dalla speranza che esse si sarebbero realizzate. Ed esiste forse promessa più grande di quella compiutasi nel mistero pasquale di Cristo? Davvero, nella fede di Abramo Dio onnipotente ha stretto un’alleanza eterna con il genere umano, e definiti-vo compimento di essa è Gesù Cristo. Il Figlio unigenito del Padre, della sua stessa sostanza, si è fatto Uomo per introdurci, mediante l’umiliazione della Croce e la gloria della risurrezione, nella terra di salvezza che Dio, ricco di misericordia, ha promesso all’umanità sin dall’inizio.

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1 anno - Chiamati

Preghiera: “Tardi ti amai” dalle Confessioni di S.Agostino

Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai.Tu eri dentro di me ed io ero fuori. Lì ti cercavo.Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature.Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te.Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità;balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza,e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace

Momento di preghiera in parrocchia

Partecipare e animare la recita del santo rosario

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

Giacomo Biffi; L’enigma dell’esistenza e l’avvenimento cristiano. Corso inusuale di catechesi /1.

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1.2 Credere in chi ci ha amati per primo Siamo tutti figli di un unico Dio Padre

TEMA DELL’UNITA’:

Dio padre del popolo e padre di ognuno in Cristo. Dio ci ha amati, ci ama per primo e ci chiama a vivere da figli nel Figlio Gesù.

Obiettivi

• Riflettere sul modo di vivere l’essere figli, sul rapporto fra questo e la scoperta della propria identità, e sulle relazioni nella propria famiglia.

• Aiutare i giovanissimi a far crescere la consapevolezza e la necessità di definire se stessi, i propri desideri valori ed ideali all’interno di una relazione educativa viva, fondata sull’Amore e sulla ricerca del bene reciproco, con i propri genitori e con le figure adulte di riferimento.

• Diventare consapevoli della propria immagine di padre/madre che risulta dalla • propria esperienza e può aiutare o non aiutare nella relazione con Dio.• Scoprire il volto paterno di Dio e dare contenuto alla frase “Dio Padre” attraverso il

confronto con la Sua parola letta e meditata.• Dare consistenza e realtà nella vita alla frase “Dio Padre”:riscoprire l’essere figli, la

gratitudine che nasce dall’essere amati, la relazione di “dipendenza” amorosa del figlio; riconoscere che il Padre ”è più grande di me” e mi vuol bene sempre; imparare ad affidarsi a Lui invece che alle proprie certezze.

• Coltivare la relazione con Dio Padre attraverso la preghiera personale, imparando a trovare spazi e tempi per stare a tu per tu con Dio.

• Imparare a considerare l’altro (ogni altro) come fratello perché figlio dell’unico Padre, e cominciare a vivere uno stile di relazione capace di accoglienza e di perdono.

• Fare esperienza della preghiera come anima della comunità parrocchiale (e dove pos-sibile della propria famiglia)

• Riscoprire la preghiera di lode e, soprattutto nella liturgia, l’essere “totalmente altro” di Dio.

• Dare consistenza e realtà nella vita alla frase “Dio Padre”:riscoprire l’essere figli, la gratitudine che nasce dall’essere amati, la relazione di “dipendenza” amorosa del figlio; riconoscere che il Padre ”è più grande di me” e mi vuol bene sempre; imparare ad affidarsi a Lui invece che alle proprie certezze.

• Coltivare la relazione con Dio Padre attraverso la preghiera personale, imparando a trovare spazi e tempi per stare a tu per tu con Dio.

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1 anno - Chiamati

• Imparare a considerare l’altro (ogni altro) come fratello perché figlio dell’unico Padre, e cominciare a vivere uno stile di relazione capace di accoglienza e di perdono.

• Fare esperienza della preghiera come anima della comunità parrocchiale (e dove pos-sibile della propria famiglia)

• Riscoprire la preghiera di lode e, soprattutto nella liturgia, l’essere “totalmente altro” di Dio.

VEDERE

rapporto con padre/madre/ alla scoperta di se stessi nel rapporto con le figure educative

spunti di riflessioneChe esperienza di padri/madri hanno gli adolescenti? Quali caratteristiche emergono dai

padri / madri? Com’è, per loro, l’esperienza di essere figli ? Quale realtà emerge? Quali luci? Quali ombre? Come offrirle al Signore perché le cambi?

preghiamo insieme preghiera di lode in forma responsoriale (ogni adolescente esprime nella preghiera la pro-

pria lode al Padre per i doni ricevuti)

Ripetiamo insieme “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Mosè e i comandamenti Dt 5,1-22; Dt 6,1-10; Dt 30; Os 11,1-4; Is 49,13-16NT: Il padre misericordioso e i due figli Figlio Lc 15,11-32; Rm 8,14-17.

Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1 cap. 2 pag. 48-49

spunti di riflessioneChe tipo di padre è Dio? Che tipo di amore vive verso i figli? Come vive la tenerezza? Che

pedagogia sceglie per rivelarsi come padre? (Attraverso i comandamenti e i testi correlati del Dt , in che modo Dio si rivela Padre? Che tipo di relazione vuole con Israele e a che cosa lo

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1 anno - Chiamati

sollecita? Come amplia questa rivelazione nei profeti? Nel NT quale volto di Dio Padre viene rivelato?)

Quali sono gli atteggiamenti del padre nella parabola? Quando nella vita vivo da figlio di Dio?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della V Domenica di Pasqua Castelluccio, 20 aprile 2008

Cari fratelli e sorelle, l’apostolo Filippo nel santo Vangelo rivolge a Gesù una preghiera che anche noi dovremmo ripetere spesso: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”.

La preghiera di Filippo esprime il desiderio di incontrare veramente il volto di Dio; di aver-ne una conoscenza vera. Se anche questa mattina noi ci troviamo in questa Chiesa, è perché desideriamo più o meno consapevolmente “vedere il volto del Padre”.

Quale è la risposta che Gesù dà alla domanda di Filippo e nostra? “Chi ha visto me ha visto il Padre”. È attraverso Gesù – ascoltando le sue parole, conoscendo le sue opere – che noi pos-siamo conoscere Dio, il Padre. Quando noi conosciamo Gesù, è allora che noi conosciamo Dio, il Padre. Perché Gesù è la via per conoscere, per vedere il volto del Padre? “Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere”.

Chi parla, chi agisce in Gesù è il Padre. Gesù non ha frapposto nessun filtro fra lui e il Padre: Egli è la pura trasparenza del mistero di Dio. All’inizio del suo Vangelo l’apostolo Giovanni lo aveva già detto: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”.

Cari fratelli e sorelle: questa è la grazia suprema, il dono più prezioso che ci è stato fatto. Certamente, se siamo capaci di contemplare le tante bellezze di cui il Creatore ha ornato il mondo, possiamo avere una qualche conoscenza di Lui. Ma è come conoscere una persona guardando la sua immagine in uno specchio.

Anche i nostri fratelli ebrei hanno una conoscenza di Dio, poiché hanno ricevuto da Lui parole di rivelazione e di istruzione attraverso Mosè. Ma Mosè, dice la Scrittura, ha visto solo le spalle di Dio, non il suo volto.

A noi, credendo in Gesù, ascoltando le sue parole e conoscendo le sue opere, è donato di vedere il volto di Dio, il Padre. Poiché, ci dice Gesù: “io sono nel Padre ed il Padre è in me”.

E così, cari fratelli e sorelle, arriviamo alla suprema rivelazione che Gesù fa di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita”.

Gesù è la nostra vita. Chi lo ascolta e si unisce a Lui attraverso i sacramenti, viene in posses-so della stessa vita di Dio, perché Gesù vive la vita stessa del Padre.

Gesù è la nostra verità. Chi lo ascolta, come abbiamo detto, entra nella stessa luce divina. Passa dalle tenebre dell’errore alla luce della rivelazione divina. È toccato e riempito dalla luce divina, che ci fa gustare la gioia della verità.

Gesù è la nostra via. Solo attraverso di Lui noi siamo salvi; viviamo della vita stessa di Dio; siamo nella verità.

Cari fratelli e sorelle, la pagina del Vangelo è davvero stupenda. Essa ci mostra quale è il nostro vero destino: unirci a Cristo mediante la fede ed i sacramenti e così vivere della stessa vita di cui vive Dio; ascoltare la parola di Gesù e così avere una conoscenza vera del Padre.

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1 anno - Chiamati

Tutto quanto ci dice oggi la pagina evangelica, è donato ad ogni fedele in qualunque luogo egli viva, se ascolta con fede la parola di Gesù e partecipa alla santa Eucaristia. Non dovete cioè pensare che vivendo voi in questa piccola comunità, non ricevete o ricevete in misura minore ciò che il Vangelo promette. Anche in una comunità piccola come la vostra, “chi vede Gesù vede il Padre”.

Infatti, se voi siete ascoltatori attenti e fedeli della predicazione del Vangelo che ogni do-menica vi è fatta; se partecipate con vera devozione all’Eucaristia festiva, domenica dopo do-menica, “vedrete Gesù”. Cioè: conoscerete le sue opere; sarete illuminati dalle sue parole. Egli diventa per voi la via che vi conduce al Padre.

Vi ripeto dunque coll’apostolo Pietro: anche voi, in questo luogo sperduto, “siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce”. “Strin-getevi dunque a Cristo”, ed Egli vi condurrà a vedere il volto del Padre.

Pillole di ConcilioLumen Gentium 2,3,4

Preghiamo insieme preghiera di richiesta in forma responsoriale (ogni adolescente esprime nella preghiera la

propria richiesta al Padre per le proprie necessità)

Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Si-gnore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.

Ripetiamo insieme: Signore, mostraci il Padre e ci basta.

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Shemà Israel (Dt 6, 4-7)

Padre Nostro SantissimoCreatore, Redentore, Consolatore e Salvatore nostroChe sei nei cieli...negli Angeli e nei Santiilluminandoli a conoscere che tu, Signore, sei luce;infiammandoli ad amare, perchè tu, Signore, sei amore;inabitando in essi, pienezza della loro gioiapoichè tu, Signore, sei il sommo bene, eterno,dal quale viene ogni bene, senza il quale non viè alcun bene.

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1 anno - Chiamati

Sia santificato il tuo nome...si faccia più chiara in noi la conoscenza di te,per poter vedere l’ampiezza dei tuoi benefici,l’estensione delle tue promesse, i vertici della tua maestà,le profondità dei tuoi giudiziVenga il tuo regno...affinchè tu regni in noi per mezzo della graziae tu ci faccia giungere al tuo regno dove ti vedremo senza ombre,dove sarà perfetto il nostro amore per te,piena di gioia la nostra unione con te, eterna la nostra felicità.Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terraaffinchè ti amiamo con tutto il cuore sempre pensando a te;con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzionie in ogni cosa cercando il tuo onore.Fa’ che possiamo amare il nostro prossimo come noi stessi,trascinando tutti al tuo amore,godendo dei beni altrui come dei nostri,aiutando gli altri a sopportare i mali e non recando offesa a nessuno.Dacci il nostro pane quotidiano...il tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, da’ a noi oggia ricordo e riverente comprensione di quell’amore che ebbe per noi,e di tutto ciò che per noi disse, fece e patì.Rimetti a noi i nostri debiti...per la tua ineffabile misericordiain virtù della passione del Figlio tuo e per l’intercessione e i meritidella beatissima Vergine Maria e di tutti i santi.Come noi li rimettiamo ai nostri debitori...e quello che noi non sappiamo pienamente perdonare,tu, Signore fa’ che pienamente perdoniamo,sì che, per amor tuo, si possa veramente amare i nostri nemici...e a nessuno si renda male per male, e si cerchi di giovare a tutti in te.Non ci indurre in tentazione...nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.E liberaci dal male...passato, presente e futuro.AmenSan Francesco d’Assisi

Preghiera:Padre nostro

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta nella settimana alla messa feriale

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1 anno - Chiamati

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

C. M. Martini. Ritorno al Padre di tutti. G. Biffi, Alla destra del Padre

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1.3 Credere in chi ci ha amati per primo Gesù nato da una vergine: l’incarnazione passa attraverso il sì di Maria

TEMA DELL’UNITA’:

Il Figlio di Dio diventa uomo: l’incarnazione avviene attraverso il sì di una donna al dise-gno di Dio.

Obiettivi

• Aiutare i giovanissimi a riflettere sui propri progetti di vita e su come il loro stile di vita quotidiano nei vari ambienti cerchi di realizzarli, per cercare di scoprire i loro desideri più profondi.

• Comprendere lo stile con cui Dio opera la salvezza, non dall’alto ma entrando nella storia umana, e la sua volontà di agire attraverso la collaborazione dell’uomo.

• Riflettere sull’incarnazione come il momento in cui Dio, nel Figlio, “si abbassa”, si limita, viene a far parte della storia umana per portare l’uomo a far parte della comu-nione divina.

• Aiutare i giovanissimi a guardare a Maria come a una persona vera e reale, con i suoi desideri e le sue scelte, a scoprire il valore della fede e del rapporto con Dio nella sua vita.

• Aiutare i giovanissimi a guardare all’esempio di Maria per essere aperti alla novità di Dio nella propria vita.

• Educare alla preghiera e alla devozione mariana.• Accompagnare i giovanissimi a porsi la domanda riguardo al progetto di Dio su di

loro e alla loro apertura ad esso.• Far crescere la capacità di affidarsi ad un progetto più grande di noi.• Attraverso la riflessione sull’incarnazione guidare i giovanissimi a comprendere il

volto di Dio che si rivela attraverso il suo modo di agire.

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1 anno - Chiamati

VEDERE

Il progetto di Dio su di me (scelta della scuola e progetto di Dio; vita quotidiana e progetto di Dio, Progetti miei o progetto di Dio?).

spunti di riflessioneFaccio progetti di vita? Quali? Su cosa baso le mie scelte e progetti? E Dio rientra nelle mie

scelte?

preghiamo insieme preghiera di richiesta in forma responsoriale (ogni adolescente prega per i desideri, i propri

progetti di vita)

Ripetiamo insieme: Ti dia il Signore quel che il tuo cuore desidera, faccia riuscire ogni tuo progetto. (Salmo 20,4)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Is 9,1-6NT: Lc 2; Gal 4,4 ”Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da

donna, nato sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1 cap. 5 pag. 258-261

spunti di riflessioneChe progetto ha Dio sull’uomo? Perché manda un Figlio? Come mai chiama Maria? Maria

era adolescente, il suo sì ha fatto venire meno a tutti i suoi desideri e prospettive di vita? Ma Dio potrebbe far così anche con me?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della Solennità della B.V.di S. Luca Cattedrale di San Pietro, 1 maggio 2008

“Allora Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio sal-vatore”. Cari fratelli, dobbiamo essere grati all’evangelista Luca di aver messo sulle labbra di Maria il cantico del Magnificat. In questo modo il divino autore delle Scritture ci fa il privilegio di entrare nel segreto di Maria, di conoscere il suo mondo intimo.

Siamo spinti a questa conoscenza non da empia curiosità, ma dal desiderio di ricevere da Maria un’intelligenza più profonda del Mistero ed il modo giusto di dimorarvi. “Infatti” scrive il venerabile Beda “nella Chiesa è invalsa la buona e salutare abitudine di cantare l’inno … poi-

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1 anno - Chiamati

ché grazie a questa pratica il continuo ricordo dell’Incarnazione del Signore accenda ad ardente devozione l’anima dei fedeli” [Omelie sul Vangelo – Nell’Avvento 1,4, CN ed., Roma 1990, 65].

È necessario in primo luogo considerare attentamente il contesto in cui Maria elevò il suo cantico. Questo accade nell’incontro fra Elisabetta e Maria, al quale partecipa in modo mirabile anche il bambino non ancora nato e concepito nel grembo di Elisabetta. È il primo evento mes-sianico, questo incontro, poiché Elisabetta e Giovanni sono i primi a sapere che Dio ha visitato il suo popolo, ed ha compiuto le promesse. Maria di Nazareth entra nella casa di Elisabetta e Zac-caria come madre del Figlio di Dio: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”.

Ma le parole più importanti, dal nostro punto di vista, dette da Elisabetta a Maria sono le seguenti: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Queste parole ci rivelano come Maria è entrata dentro al Mistero.

Il Concilio Vaticano II insegna: “A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede (Rom 16,26; cfr. Rom 1,5; 2Cor 10,5-6), per la quale l’uomo si abbandona a Dio tutto intero [se totum committit] liberamente” [Cost. dogm. Dei Verbum 5; EV 1/877]. Maria nel momento dell’an-nuncio dell’angelo si è abbandonata tutta intera a Dio che le rivelava il suo disegno di amore. La rivelazione riguardava il suo Figlio, ma – come insegna ancora il Concilio – “volle il Pa-dre delle misericordie che l’accettazione della predestinata madre precedesse l’incarnazione”” [Cost. dogm. Lumen gentium 56; EV 1/430]. L’accettazione, il consenso mariano all’opera del Padre fu dato mediante la fede, così che – come amavano dire i Padri della Chiesa – Maria pri-ma di concepire l’Unigenito nel suo corpo, l’aveva concepito nella mente.

Maria dunque nel momento in cui visita la cugina è già “coinvolta” dentro al Mistero; vi è già entrata e ne comincia a vedere, nella casa di Zaccaria, i gioiosi primordi. Come vi resta? come, con quali pensieri ed attitudini ella vi dimora? il cantico del Magnificat ce lo rivela. Esso in un certo senso ci dona la “teologia di Maria”. Al riguardo mi limito solamente ad alcuni sug-gerimenti per la vostra meditazione e preghiera.

L’opera della salvezza è contemplata e magnificata come l’atto della misericordia: l’incontro del mistero della Gloria coll’abisso della miseria. Di questo evento Maria sente di farne espe-rienza.

L’atto di fede che l’ha introdotta nel Mistero, ora le dona un’intelligenza straordinaria del medesimo. La misericordia si estende di generazione in generazione, poiché l’amore del Padre per l’uomo accompagna questi lungo tutta la sua storia. Ed è un amore più potente di ogni male, di ogni deturpazione della dignità, in cui l’uomo, l’umanità, il mondo è coinvolto. È la potenza di una grazia che sovrabbonda là dove abbonda il male, il modo specifico in cui si ri-vela il Mistero e prende posizione nei confronti del mondo.

Cari fratelli, stiamo alla scuola di Maria per apprendere da essa come dimorare quotidiana-mente dentro il Mistero.

L’imposizione sacramentale delle mani ci ha introdotti nel dramma della redenzione dell’uomo, come segni efficaci della misericordia che “si estende di generazione in generazio-ne”. Come dobbiamo rimanervi? Come vi rimase Maria.

Ella vi rimase perché si è abbandonata tutta intera al Padre mediante l’obbedienza della fede. Tutto nella Chiesa, e dunque anche nel nostro ministero apostolico, è radicato nell’ob-bedienza mariana di fede. Cari fratelli, fuori di una “visione di una fede”, la nostra vita sa-cerdotale perde ogni senso, anche se producesse frutti che il mondo legittima ed approva.

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1 anno - Chiamati

Se l’occhio della fede si appanna, la coscienza che ciascuno ha di se stesso come sacerdote si oscura e si smarrisce.

Radicati e fondati nell’obbedienza della fede, ci collocheremo col nostro ministero nel posto giusto, come già vi dissi nell’omelia della Messa crismale. Nel punto cioè in cui la misericordia si incontra colla miseria; nel punto in cui “gli umili sono innalzati, gli affamati sono ricolmati di beni”. Maria ha visto nella fede questo evento di grazia che, accaduto nel suo grembo, si riversava su ogni generazione, ed ha magnificato il Signore. Ciascuno di noi vede che in se stesso prima di tutto la misericordia ha sollevato la miseria e si stupisce quotidianamente di essere lo “strumento” di quella misericordia: “Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” [1Tim 1,16].

L’uomo ha bisogno di sentire nel nostro sacerdozio la vicinanza misericordiosa di Dio alla sua miseria. Solo in questo modo, possiamo parlare in maniera sensata di “salvezza” all’uomo di oggi, cui diventa sempre più difficile comprendere tale annuncio. Ma esso è il “centro” del Vangelo.

È in questo “centro” che Maria ci educa a rimanere col suo Magnificat. Amen.

Pillole di ConcilioLumen Gentium, 56

preghiamo insiemerecitiamo l’Angelus (ogni adolescente ad ogni Ave Maria chiede un’intercessione)

L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria.Ed Ella concepì per opera dello Spirito Santo. Ave Maria…

Ecco l’Ancella del Signore.Sia fatto di me secondo la tua parola. Ave Maria…

E il verbo si è fatto carne.E venne ad abitare in mezzo a noi. Ave Maria…

Prega per noi, Santa Madre di Dio.E saremo degni delle promesse di Cristo.

preghiamo:Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre, tu, che all’annuncio dell’Angelo ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore. Amen.Gloria al padre…Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen.Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.

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1 anno - Chiamati

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: dal XXXIII,1ss canto del Paradiso di Dante Alighieri

«Vergine madre, figlia del tuo figlio,umile e alta più che creatura,termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana naturanobilitasti sì, che ‘l suo fattorenon disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amoreper lo cui caldo ne l’eterna pacecosì è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana facedi caritate, e giuso, intra i mortali,se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,che qual vuol grazia ed a te non ricorre,sua disianza vuol volar senz’ali.

La tua benignità non pur soccorrea chi domanda, ma molte fiateliberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,in te magnificenza, in te s’adunaquantunque in creatura è di bontate».

Dall’Angelus Sabato, 8 dicembre 2007, Benedetto XVI

Sul cammino dell’Avvento brilla la stella di Maria Immacolata, “segno di sicura speranza e di consolazione” (Conc. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 68). Per giungere a Gesù, luce vera, sole che ha dissipato tutte le tenebre della storia, abbiamo bisogno di luci vicine a noi, persone umane che riflettono la luce di Cristo e illuminano così la strada da percorrere. E quale per-sona è più luminosa di Maria? Chi può essere per noi stella di speranza meglio di lei, aurora che ha annunciato il giorno della salvezza? (cfr Enc. Spe salvi, 49). Per questo la liturgia ci fa

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1 anno - Chiamati

celebrare oggi, in prossimità del Natale, la festa solenne dell’Immacolata Concezione di Maria: il mistero della grazia di Dio che ha avvolto fin dal primo istante della sua esistenza la creatura destinata a diventare la Madre del Redentore, preservandola dal contagio del peccato origina-le. Guardando Lei, noi riconosciamo l’altezza e la bellezza del progetto di Dio per ogni uomo: diventare santi e immacolati nell’amore (cfr Ef 1,4), ad immagine del nostro Creatore.

Che grande dono avere per madre Maria Immacolata! Una madre splendente di bellezza, trasparente all’amore di Dio. Penso ai giovani di oggi, cresciuti in un ambiente saturo di mes-saggi che propongono falsi modelli di felicità. Questi ragazzi e ragazze rischiano di perdere la speranza perché sembrano spesso orfani del vero amore, che riempie di significato e di gioia la vita. È stato questo un tema caro al mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, che tante volte ha proposto alla gioventù del nostro tempo Maria quale “Madre del bell’amore”. Non poche esperienze ci dicono purtroppo che gli adolescenti, i giovani e persino i bambini sono facili vittime della corruzione dell’amore, ingannati da adulti senza scrupoli i quali, mentendo a se stessi e a loro, li attirano nei vicoli senza uscita del consumismo: anche le realtà più sacre, come il corpo umano, tempio del Dio dell’amore e della vita, diventano così oggetti di con-sumo; e questo sempre più presto, già nella preadolescenza. Che tristezza quando i ragazzi smarriscono lo stupore, l’incanto dei sentimenti più belli, il valore del rispetto del corpo, ma-nifestazione della persona e del suo insondabile mistero!

A tutto questo ci richiama Maria, l’Immacolata, che contempliamo in tutta la sua bellezza e santità. Dalla croce Gesù l’ha affidata a Giovanni e a tutti i discepoli (cfr Gv 19,27), e da allora è diventata per l’umanità intera Madre, Madre della speranza. A Lei rivolgiamo con fede la nostra preghiera, mentre ci rechiamo idealmente in pellegrinaggio a Lourdes dove proprio quest’oggi ha inizio uno speciale anno giubilare in occasione del 150° anniversario delle sue apparizioni nella grotta di Massabielle. Maria Immacolata, “stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!” (Enc.Spe salvi, 50).

Preghiera:SANTA MADRE DEL REDENTORE

O Santa Madre del Redentore, porta dei cieli, stella del mare, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere. Tu che accogliendo il saluto dell’angelo, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore madre sempre vergine, pietà di noi peccatori.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla novena in preparazione al Natale

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1 anno - Chiamati

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

G. Biffi, La donna idealeCard. Giacomo Biffi, Maria nel disegno del PadreMons. Tonino Bello Maria donna dei nostri giorni

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1.4 Credere per vedere cosa è realmente accaduto Gesù un uomo come noi

TEMA DELL’UNITA’:

Un uomo di nome Gesù.

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivono riguardo al vivere la loro corporeità, sia nel rapporto con se stessi che quando si con-frontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli con-sapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Educare i giovanissimi a rapportarsi in modo adeguato e positivo nei riguardi del pro-prio corpo, per arrivare così a percepirlo come espressione di se stesso e non come og-getto da usare a piacimento.

• Educare i giovanissimi a gestire il proprio corpo come luogo della comunicazione e dell’espressione profonda di sé, e quindi come luogo di incontro e di relazione.

• educare l’adolescente a riconoscere e ad accettare i limiti del proprio corpo come sco-perta ed accettazione del proprio limite personale;

• Aiutare i giovanissimi a cogliere i condizionamenti interni ed esterni rispetto alla visio-ne della corporeità e della bellezza.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione del corpo nella mentalità comune, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sappia ri-spondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Sviluppare la capacità di vedersi come una persona, un mistero fatto di anima, spirito e corpo intessuti insieme. Educare alla preghiera di lode per il dono che Dio ci ha fatto in noi stessi.

• Sviluppare la capacità di vedere la propria ed altrui bellezza. Educare ad uno sguardo contemplativo e non possessivo nei confronti dell’altro. Educare alla purezza.

• Valorizzare il corpo e il suo linguaggio nella preghiera personale e liturgica, come mo-dalità che esprime la totalità del nostro essere.

• Comprendere il corpo di Gesù come il “luogo” di relazione fra la persona e Dio.• Scoprire le caratteristiche umane di Gesù per poterlo incontrare in modo sempre più

reale e profondo.• Educare i giovanissimi ad affidare al signore, nella preghiera, tutte le difficoltà e i pro-

blemi che vivono nel loro rapporto con la corporeità.• Riflettere sull’incarnazione come il momento in cui Dio, nel Figlio, “si abbassa”, si limi

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1 anno - Chiamati

ta, viene a far parte della storia umana per portare l’uomo a far parte della comunione divina.

• Attraverso la riflessione sull’umanità di Gesù, guidare i giovanissimi a comprendere il volto di Dio che si rivela attraverso il suo modo di agire.

VEDERE

Belli dentro, belli fuori?

spunti di riflessioneCos’è per me la bellezza? Che valore ha? In che modo influenza le mie relazioni? E’ impor-

tante avere cura del proprio corpo? Perché? Che messaggi comunica il mio corpo? E il mio modo di vestire? E il mio modo di stare con gli altri? Ringrazio Dio per il dono di come sono? Che cosa potrei chiedergli in dono?

preghiamo insieme (recitata a cori alterni)

Siracide 11,1-15La sapienza dell’umile gli farà tenere alta la testa,gli permetterà di sedere tra i grandi.Non lodare un uomo per la sua bellezzae non detestare un uomo per il suo aspetto.

L’ape è piccola tra gli esseri alati,ma il suo prodotto ha il primato fra i dolci sapori.Non ti vantare per le vesti che indossie non insuperbirti nel giorno della gloria,poiché stupende sono le opere del Signore,eppure sono nascoste agli uomini le opere sue.

Molti sovrani sedettero sulla polveree uno sconosciuto cinse il loro diadema.Molti potenti furono umiliati profondamente;uomini illustri furono consegnati in potere altrui.

Non biasimare prima di avere indagato,prima rifletti e quindi condanna.Non rispondere prima di avere ascoltato,

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1 anno - Chiamati

in mezzo ai discorsi non intrometterti.Per una cosa di cui non hai bisogno non litigare,non immischiarti nelle liti dei peccatori.Figlio, la tua attività non abbracci troppe cose;se esageri, non sarai esente da colpa;anche se corri, non arriveraie non riuscirai a scampare con la fuga.

C’è chi lavora, fatica e si affanna:eppure resta tanto più indietro.C’è chi è debole e ha bisogno di soccorso,chi è privo di beni e ricco di miseria:eppure il Signore lo guarda con benevolenza,lo solleva dalla sua bassezzae lo fa stare a testa alta, sì che molti ne sono stupiti.

Bene e male, vita e morte,povertà e ricchezza, tutto proviene dal Signore.Sapienza, senno e conoscenza della legge vengono dal Signore;carità e rettitudine sono dono del Signore.

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Is 7,13-14NT: Lc 2,41-52

Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1: cap. 1 pag. 28-29

spunti di riflessioneCosa fa Gesù alla mia età? Con chi si relaziona? Come? Perché Dio ha voluto un Figlio che

avesse la mia stessa umanità e corporeità? Maria serbava tutto nel suo cuore e io? Cerco di capire? Vivo e lascio vivere?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della solennità di Natale Messa di mezzanotte Cattedrale, 25 dicembre 2004

“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terrà tenebrosa una luce rifulse”. La parola profetica descrive la condizione in cui si trovava il popolo: un popolo “che camminava nelle tenebre” perché “abitavano in terra tenebrosa”.

L’immagine del cammino richiama subito la realtà della vita: non è forse la nostra vita un

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1 anno - Chiamati

cammino? Ma un cammino ha un punto da cui parte ed una meta cui è diretto. E l’uomo, cia-scuno di noi, da dove viene? a quale traguardo ultimo è orientato?

Molti oggi non sanno più rispondere a queste due domande, ed è a causa di questa ignoran-za che camminano nelle tenebre ed abitano in terra tenebrosa. Alle spalle il caso; davanti a sé il nulla eterno. Venuti all’esistenza per caso, siamo destinati a scomparire per sempre: pensano oggi in tanti.

Poiché questa è la risposta che l’uomo oggi riceve in larga misura anche dalla cultura in cui vive; poiché il peso di questa risposta è insopportabile per le spalle dell’uomo, questa stessa cultura lo ha convinto che le domande sulla propria origine e sulla propria destinazio-ne finale sono domande inutili o comunque che non possono ricevere una risposta certa. Si è di conseguenza messo in atto un sistema educativo che tende ad esaltare il provvisorio ed il disimpegno dal definitivo, come buona forma di vivere. È questa la condizione di un popolo che cammina nelle tenebre ed abita in una terra tenebrosa.

A questo popolo, a coloro che vivono in questa condizione, la Chiesa questa notte comunica una notizia: una luce si è accesa; una risposta è stata donata. Quale luce? quale risposta?

“Carissimo” ci dice l’Apostolo “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. La luce che illumina l’uomo è la grazia di Dio apparsa in questa notte. La “grazia di Dio”: Dio stesso si è mostrato all’uomo come Dio che nutre nei suoi confronti pensieri di grazia e di amorevole vicinanza. All’uomo, a questo uomo di oggi spesso senza radici e senza destinazione, capace di navigare solo a vista, “è apparsa la grazia di Dio”. A questo uomo Dio questa notte scopre i segreti del suo cuore, segreti di amore.

Ed è proprio nella rivelazione della grazia, che l’uomo trova la risposta alla sua domanda più grande. Egli viene a sapere che nessuno di noi è venuto al mondo per caso o per necessità, poiché ciascuno di noi è stato pensato e voluto da Dio stesso. Prima di essere concepito sotto il cuore di una donna ciascuno di noi è stato concepito nel cuore di Dio. L’uomo questa notte viene a sapere che non è destinato alla morte eterna, ma a partecipare alla vita stessa di Dio. Quando appare la grazia di Dio, l’uomo scopre interamente la verità su se stesso: Dio rivelan-do se stesso all’uomo, rivela anche l’uomo all’uomo.

E quindi diventa veramente libero: “tu hai spezzato il gioco che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle e il bastone dell’aguzzino”. La grazia di Dio apparsa questa notte infatti “ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà”. Quando la grazia di Dio appare, comincia una storia nuova: rigenerato per una speranza viva, l’uomo diventa capace di costruire una vera civiltà.

Ma come e dove “è apparsa la grazia di Dio apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”?“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”.

La grazia di Dio non consiste in un nuovo insegnamento religioso; non consiste nella notifica-zione di un più rigoroso codice morale. La modalità che Dio ha scelto per far apparire la sua grazia è la presenza in mezzo a noi di una persona: Gesù Cristo. È una modalità reale, carnale, temporale: la grazia di Dio l’uomo la puo’ vedere, toccare. È Gesù Cristo. La grazia di Dio è ap-parsa in questo mondo questa notte, perché in questa notte ci “è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”. Ecco perché in questa notte “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.

I primi uomini appartenenti a questo popolo furono “alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge”. Singolare inizio del nuovo popolo! Non era necessario es-

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1 anno - Chiamati

sere persone di cultura, poiché non si trattava di apprendere una dottrina; non era necessario essere fedeli osservanti delle legge, poiché non si trattava di acconsentire ad un codice. Si trat-tava di andare a vedere un bambino appena nato, perché quel bambino è la grazia di Dio fatta carne umana. E di questo ogni uomo è capace; a questo ogni uomo è invitato.

I pastori andarono. E quando tornarono che cosa era cambiato per loro? Le pecore in mezzo cui vivevano puzzavano ancora come prima; le loro persone ed il loro lavoro erano disprezzati come prima; il futuro della loro vita era incerto come prima. Che cosa allora era cambiato? La coscienza che avevano di se stessi. Essi si videro amati da Dio e furono pieni di stupore sco-prendo la dignità della loro persona.

Carissimi: che Dio vi conceda di uscire da questa Cattedrale come i pastori dalla grotta di Betlemme. Col cuore pieno di lode alla grazia di Dio, e di stupore di fronte alla dignità della vostra e di ogni persona umana.

Pillole di ConcilioGaudium et Spes 22

preghiamo insieme (recitata tutti insieme)

Signore Gesù, Dio delle anime e dei corpiTu conosci l’estrema fragilitàdella mia animae della mia carne.Dammi forzanella mia debolezzasostienimi nella mia miseria.Dammi un animo riconoscenteche mi ricordi sempredei tuoi benefici. (Efrem il Siro)

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: salmo 138 “Signore tu mi scruti e mi conosci…”

Dall’udienza del mercoledì di Benedetto XVI - Salmo 138,13-18.23-24

In questa Udienza generale del mercoledì dell’Ottava di Natale, festa liturgica dei Santi In-nocenti, riprendiamo la nostra meditazione sul Salmo 138, la cui lettura orante è proposta dalla

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1 anno - Chiamati

Liturgia dei Vespri in due tappe distinte. Dopo aver contemplato nella prima parte (cfr vv. 1-12) il Dio onnisciente e onnipotente, Signore dell’essere e della storia, ora questo inno sapienziale di intensa bellezza e passione punta verso la realtà più alta e mirabile dell’intero universo, l’uomo, definito come il «prodigio» di Dio (cfr v. 14). Si tratta, in realtà, di un tema profondamente in sintonia con il clima natalizio che stiamo vivendo in questi giorni, nei quali celebriamo il gran-de mistero del Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza.

Dopo aver considerato lo sguardo e la presenza del Creatore che spaziano in tutto l’orizzon-te cosmico, nella seconda parte del Salmo che meditiamo oggi, gli occhi amorevoli di Dio si ri-volgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo. Egli è ancora «informe» nell’utero materno: il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’«embrione», descritto in quel termine come una piccola realtà ovale, arro-tolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio (cfr v. 16).

Il Salmista per definire l’azione divina all’interno del grembo materno ricorre alle classiche immagini bibliche, mentre la cavità generatrice della madre è comparata alle «profondità della terra», ossia alla costante vitalità della grande madre terra (cfr v. 15).

C’e innanzitutto il simbolo del vasaio e dello scultore che «forma», plasma la sua creazio-ne artistica, il suo capolavoro, proprio come si diceva nel libro della Genesi per la creazione dell’uomo: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo» (Gn 2,7). C’è, poi, il simbolo «tessile», che evoca la delicatezza della pelle, della carne, dei nervi «intessuti» sullo scheletro osseo. Anche Giobbe rievocava con forza queste e altre immagini per esaltare quel capolavoro che è la persona umana, pur percossa e ferita dalla sofferenza: «Le tue mani mi hanno plasma-to e mi hanno fatto integro in ogni parte… Ricordati che come argilla mi hai plasmato… Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d’ossa e di nervi mi hai intessuto» (Gb 10,8-11).

Estremamente potente è, nel nostro Salmo, l’idea che Dio di quell’embrione ancora «infor-me» veda già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena. Torna così ad emergere la grandezza trascendente della conoscenza divina, che non abbraccia solo il passato e il presente dell’umanità, ma anche l’arco ancora nascosto del futuro. Ma appare anche la grandezza di questa piccola creatura umana non nata, formata dalle mani di Dio e circondata dal suo amo-re: un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza.

Noi ora vorremmo affidarci alla riflessione che san Gregorio Magno, nelle sue Omelie su Ezechiele, ha intessuto sulla frase del Salmo da noi prima commentata: «Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro» (v. 16). Su quelle parole il Pontefice e Padre della Chiesa ha costruito un’originale e delicata meditazione riguardante quanti nella Comunità cristiana sono più deboli nel loro cammino spirituale.

E dice che anche i deboli nella fede e nella vita cristiana fanno parte dell’architettura della Chiesa, vi “vengono tuttavia annoverati... in virtù del buon desiderio. È vero, sono imper-fetti e piccoli, tuttavia per quanto riescono a comprendere, amano Dio e il prossimo e non trascurano di compiere il bene che possono. Anche se non arrivano ancora ai doni spirituali, tanto da aprire l’anima all’azione perfetta e all’ardente contemplazione, tuttavia non si tirano indietro dall’amore di Dio e del prossimo, nella misura in cui sono in grado di capirlo. Per cui avviene che anch’essi contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all’edificazione della Chiesa, poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo

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disprezzo del mondo, tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell’amore, nel quale trovano la loro solidità” (2, 3, 12-13, Opere di Gregorio Magno, III/2, Roma 1993, pp. 79.81).

Il messaggio di san Gregorio diventa una grande consolazione per tutti noi che procedia-mo spesso con fatica nel cammino della vita spirituale ed ecclesiale. Il Signore ci conosce e ci circonda tutti

Preghiera: “Tutto noi abbiamo in Cristo” S. Ambrogio

Tutto è per noi Cristo.Se desideri mendicare le tue ferite, egli è medico.Se bruci di febbre, egli è la sorgente ristoratrice.Se sei oppresso dalla colpa, egli è la giustizia.Se hai bisogno di aiuto, egli è la forza.Se temi la morte, egli è la vita.Se desideri il cielo, egli è la via.Se fuggi le tenebre, egli è la luce.Se cerchi il cibo, egli è il nutrimento.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta nella settimana alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

G. Biffi Identikit del festeggiato, C. M. Martini La bellezza che salvaC. M. Martini Sul corpoC. M. Martini Davide, peccatore e credente.

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1.5 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La passione e morte mi salva dal peccato

TEMA DELL’UNITA’:

Dio ama e offre la salvezza a tutti con la passione di Gesù, e salva l’uomo che si riconosce peccatore

Obiettivi

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo al vivere la loro fragilità e i loro sbagli,sia nel rapporto con se stessi che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione della fragilità nella men-talità dominante, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Imparare a riconoscere le proprie fragilità e i propri sbagli e a non chiudersi per que-sto, ma crescere nell’umiltà.

• Educare i giovanissimi a riconoscere la lotta interiore che si svolge dentro di noi e a saperla affrontare con l’aiuto del Signore.

• Insegnare ai giovanissimi a distinguere tra tentazioni e peccato, e a prendere come modello Gesù per affrontare le tentazioni.

• Vivere la dimensione della fede come cammino di libertà e come un valore aggiunto alla nostra umanità.

• Imparare ad affidare al Signore le proprie fragilità e i propri sbagli, nella certezza del suo perdono.

• Guardare alla passione di Gesù come al dono più grande di Dio per l’uomo, alla testi-monianza massima del suo desiderio di salvezza per l’uomo.

• Diventare consapevoli della dimensione comunitaria sia del peccato che della salvez-za e leggere la passione di Gesù in questo modo.

• Diventare consapevoli della dimensione comunitaria (sia in famiglia, che nel gruppo, che nella comunità parrocchiale) sia del peccato che della salvezza: i miei sbagli ap-pesantiscono tutti, la mia conversione aiuta tutti.

• Aiutare i giovanissimi a comprendere e a vivere sempre meglio i riti della settimana santa.

• Imparare a ringraziare Dio per il dono della salvezza in Gesù.• Educare i giovanissimi alla misericordia nei confronti degli sbagli e delle fragilità altrui.

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1 anno - Chiamati

VEDERE

Le mie fragilità

spunti di riflessioneMi sento fragile o riesco ad arginare i miei sbagli? Come capisco di aver sbagliato? Come

mi comporto davanti ai miei sbagli? Mi confronto, mi correggo, passo oltre? Da chi/cosa mi faccio aiutare per correggermi?

preghiamo insiemepreghiera di richiesta di perdono in forma responsoriale (ogni adolescente chiede perdono

a Dio e pone nelle sue mani la propria fragilità)

Ripetiamo insieme: Pietà di me, O Dio, nel tuo amore, nel tuo affetto cancella il mio peccato

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Gen 3NT: Rom 7,14-25; il racconto della passione secondo Marco (Mc 14-15); tentazioni (Lc 4,1-13)

Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1 cap. 2 pag. 68-69

spunti di riflessioneGesù è messo alla prova, come reagisce? Cosa lo fa andare avanti? Questo suo “sopportare”

un peso cosa mi “comunica”? Gesù vive come me le stesse difficoltà? Come le supera? Cosa posso fare io per superarle come ha fatto Lui?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia del Giovedì Santo – Messa “in coena Domini” Cattedrale di S. Pietro, 20 marzo 2008

“Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre … si alzò da tavola, depose le vesti e … cominciò a lavare i piedi dei discepoli”.

Miei cari fratelli e sorelle, dietro a queste parole è nascosta la narrazione del mistero della redenzione nella sua dimensione divina. Esso consiste nel progressivo avvicinarsi di Dio all’uo-mo, che raggiunge il suo “fondo” nel momento in cui Dio lava i piedi dell’uomo.

“Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”, diciamo nella nostra professione di fede. Il cammino di Dio per superare la distanza che lo separava dall’uomo, inizia col suo

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1 anno - Chiamati

“alzarsi da tavola”: la tavola della beatitudine divina, della sua convivialità trinitaria. E con-tinua col “deporre le vesti”. L’apostolo Paolo ci svela che cosa sta nascosto in queste parole. Cristo Gesù “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio: ma spogliò se stesso” [Fil 2,6-7a]. La spogliazione di se stesso e la deposizione delle sue vesti gloriose coincide col “cingersi attorno alla vita un asciugatoio”. L’apostolo infatti continua: “assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini: apparso in for-ma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” [7-8]. È mediante la sua umanità che il Verbo compì il suo servizio redentivo. È la sua umiliazione che ci salva; è il suo donarsi fino alla morte il bagno salutare che ci purifica dai nostri peccati.

Questa sera il servizio redentivo del nostro Salvatore ci viene narrato come un fatto acca-duto attorno ad un tavolo e in vista di un banchetto. Già il profeta Isaia aveva previsto un misterioso banchetto che Dio avrebbe preparato per l’uomo, e Mosè, come avete sentito nella prima lettura, aveva dato disposizioni per celebrare una cena, la cena pasquale, in forza della quale Israele era liberato dalla schiavitù.

Dio si alza dalla sua tavola divina e scende fino a lavare i piedi dell’uomo perché ciascuno di noi sia ammesso alla sua mensa, diventi degno di stare a “tavola con Dio stesso”. Questa sera, miei cari fratelli e sorelle, noi celebriamo l’umiliazione di Dio per la quale l’uomo è ele-vato a dignità sublime: l’umiliazione di Dio e l’esaltazione dell’uomo!

“Voi siete mondi, ma non tutti”. Con queste parole il Signore ci svela precisamente in che cosa consista l’esaltazione dell’uomo. È la liberazione dell’uomo dal peccato perché l’uomo possa stare a tavola col Signore, e cibarsi del suo pane divino. “Ma non tutti”, aggiunge il Si-gnore. Parole terribili, perché svelano il mistero della iniquità: l’uomo può rifiutarsi all’amore di Dio in Cristo. “Ecco, sto alla porta e busso” dice il Signore. “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” [Ap 3,20]. Tutta l’opera divina è come sospesa a quel “se qualcuno mi ascolta”.

Che cosa può indurre l’uomo a non aprire la sua porta? È in fondo il non riconoscere che abbiamo bisogno di essere purificati; che abbiamo bisogno di essere salvati dall’amore croci-fisso di Cristo.

La pagina evangelica questa sera ci presenta Giuda come la figura del rifiuto. Che cosa lo spinse a tradire il Maestro? Egli valuta l’opera di Gesù secondo le categorie e le misure del mondo. Non l’amore che giunge fino al dono totale di sé salva il mondo, ma il potere e la forza di esercitarlo.

Miei cari fratelli e sorelle, iniziamo il sacro Triduo pasquale nel cenacolo dove Cristo an-ticipa nei segni il dono di sé sulla Croce ed istituisce l’Eucaristia, perché di generazione in generazione ad ogni uomo sia data la possibilità di “sedersi a tavola con Dio”, di attingere dal mistero redentivo che l’Eucaristia rende presente, pienezza di carità e di vita.

La narrazione evangelica termina con una consegna: “vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Questa è la trasformazione che l’Eucaristia è in grado di operare nell’uomo: diventa capace di agire come Gesù; di amare come Gesù ha amato. La nostra liber-tà è trasfigurata: da forza di auto-affermazione diventa forza di auto-donazione. Il Signore ci conceda di partecipare al banchetto eucaristico in modo che accada in ciascuno di noi il mira-colo di questa trasfigurazione.

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Pillole di ConcilioGaudium et Spes 13-14; 16-17

preghiamo insieme

Signore Dio, la tua Chiesa pellegrina, sempre da te santificata nel sangue del tuo Figlio,in ogni tempo annovera nel suo seno membri che rifulgono per santità ed altri che nella disobbedienza a te contraddicono la fede professata e il santo Vangelo. Tu, che resti fedele anche quando noi diventiamo infedeli, perdona le nostre colpe e concedici di essere tra gli uomini tuoi autentici testimoni. Per Cristo nostro Signore. R . Amen.

Cristo pietà, Signore, pietà, Cristo pietà

O Padre misericordioso, tuo Figlio Gesù Cristo, giudice dei vivi e dei morti, nell’umiltà della prima venuta ha riscattato l’umanità dal peccato e nel suo glorioso ritorno chiederà conto di ogni colpa: ai nostri padri, ai nostri fratelli e a noi tuoi servi, che mossi dallo Spirito Santo ritorniamo a te pentiti con tutto il cuore, concedi la tua misericordia e la remissione dei peccati. Per Cristo nostro Signore. R . Amen.

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1 anno - Chiamati

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Salmo 50

Dall’udienza del mercoledì di Giovanni Paolo II 24 ottobre 2001 Salmo 50 - Pietà di me, o Signore

Abbiamo ascoltato il Miserere, una delle preghiere più celebri del Salterio, il più intenso e ripetuto Salmo penitenziale, il canto del peccato e del perdono, la più profonda meditazione sulla colpa e sulla grazia. La Liturgia delle Ore ce lo fa ripetere alle Lodi di ogni venerdì. Da se-coli e secoli sale al cielo da tanti cuori di fedeli ebrei e cristiani come un sospiro di pentimento e di speranza rivolto a Dio misericordioso.

La tradizione giudaica ha posto il Salmo sulle labbra di Davide sollecitato alla penitenza dalle parole severe del profeta Natan (cfr vv. 1-2; 2Sam 11-12), che gli rimproverava l’adulterio compiuto con Betsabea e l’uccisione del marito di lei Uria. Il Salmo, tuttavia, si arricchisce nei secoli successivi, con la preghiera di tanti altri peccatori, che recuperano i temi del “cuore nuovo” e dello “Spirito” di Dio infuso nell’uomo redento, secondo l’insegnamento dei profeti Geremia ed Ezechiele (cfr v. 12; Ger 31,31-34; Ez 11,19; 36, 24-28).

Due sono gli orizzonti che il Salmo 50 delinea. C’è innanzitutto la regione tenebrosa del pec-cato (cfr vv. 3-11), in cui è situato l’uomo fin dall’inizio della sua esistenza: “Ecco, nella colpa sono stato generato, peccatore mi ha concepito mia madre” (v. 7). Anche se questa dichiarazio-ne non può essere assunta come una formulazione esplicita della dottrina del peccato origina-le quale è stata delineata dalla teologia cristiana, è indubbio che essa vi corrisponde: esprime infatti la dimensione profonda dell’innata debolezza morale dell’uomo. Il Salmo appare in questa prima parte come un’analisi del peccato, condotta davanti a Dio. Tre sono i termini ebraici usati per definire questa triste realtà, che proviene dalla libertà umana male impiegata.

Il primo vocabolo, hattá, significa letteralmente un “mancare il bersaglio”: il peccato è un’a-berrazione che ci conduce lontano da Dio, meta fondamentale delle nostre relazioni, e per conseguenza anche dal prossimo.

Il secondo termine ebraico è ‘awôn, che rinvia all’immagine del “torcere”, del “curvare”. Il peccato è, quindi, una deviazione tortuosa dalla retta via; è l’inversione, la distorsione, la deformazione del bene e del male, nel senso dichiarato da Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Is 5,20). Pro-prio per questo motivo nella Bibbia la conversione è indicata come un “ritornare” (in ebraico shûb) sulla retta via, compiendo una correzione di rotta.

La terza parola con cui il Salmista parla del peccato è peshá. Essa esprime la ribellione del suddito nei confronti del sovrano, e quindi un’aperta sfida rivolta a Dio e al suo progetto per la storia umana.

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1 anno - Chiamati

Se l’uomo, però, confessa il suo peccato, la giustizia salvifica di Dio è pronta a purificarlo radicalmente. È così che si passa nella seconda regione spirituale del Salmo, quella luminosa della grazia (cfr vv. 12-19). Attraverso la confessione delle colpe si apre, infatti, per l’orante un orizzonte di luce in cui Dio è all’opera. Il Signore non agisce solo negativamente, eliminando il peccato, ma ricrea l’umanità peccatrice attraverso il suo Spirito vivificante: infonde nell’uomo un “cuore” nuovo e puro, cioè una coscienza rinnovata, e gli apre la possibilità di una fede limpida e di un culto gradito a Dio.

Origene parla a tal proposito di una terapia divina, che il Signore compie attraverso la sua parola e mediante l’opera guaritrice di Cristo: “Come per il corpo Dio predispose i rimedi dalle erbe terapeutiche sapientemente mescolate, così anche per l’anima preparò medicine con le parole che infuse, spargendole nelle divine Scritture… Dio diede anche un’altra attività me-dica di cui è archiatra il Salvatore il quale dice di sé: ‘Non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati’. Lui era il medico per eccellenza capace di curare ogni debolezza, ogni infermità” (Omelie sui Salmi, Firenze 1991, pp. 247-249).

La ricchezza del Salmo 50 meriterebbe un’esegesi accurata di ogni sua parte. È ciò che fare-mo quando tornerà a risuonare nei vari venerdì delle Lodi. Lo sguardo d’insieme, che ora ab-biamo rivolto a questa grande supplica biblica, ci rivela già alcune componenti fondamentali di una spiritualità che deve riverberarsi nell’esistenza quotidiana dei fedeli. C’è innanzitutto un senso vivissimo del peccato, percepito come una scelta libera, connotata negativamente a livello morale e teologale: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (v. 6).

C’è poi nel Salmo un senso altrettanto vivo della possibilità di conversione: il peccatore, sinceramente pentito, (cfr v. 5), si presenta in tutta la sua miseria e nudità a Dio, supplicandolo di non respingerlo dalla sua presenza (cfr v. 13).

C’è, infine, nel Miserere, una radicata convinzione del perdono divino che “cancella, lava, monda” il peccatore (cfr vv. 3-4) e giunge perfino a trasformarlo in una nuova creatura che ha spirito, lingua, labbra, cuore trasfigurati (cfr vv. 14-19). “Anche se i nostri peccati - affermava santa Faustina Kowalska - fossero neri come la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria. Occorre una cosa sola: che il peccatore socchiuda almeno un poco la porta del proprio cuore… il resto lo farà Dio… Ogni cosa ha inizio nella tua misericordia e nella tua misericordia finisce” (M. Winowska, L’icona dell’Amore misericordioso. Il messaggio di suor Faustina, Roma 1981, p. 271).

Preghiera: “Rialzami, o Signore” di Gregorio di Nazianzo, Poesie su se stesso, LXVII

Sono stato deluso, o mio Cristo,per il mio troppo presumere:dalle altezze sono caduto molto in basso.Ma rialzami di nuovo ora, poiché vedoche da me stesso mi sono ingannato;se troppo ancora confiderò in me stessosubito cadrò e la caduta sarà fatale.

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1 anno - Chiamati

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla stazione quaresimale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

(la storia infinita M. Ende cap. 6)/ La libertà. (C. Caffarra La libertà del cristiano)C. M. Martini L’itinerario spirituale dei 12 p.83-90 (la passione di Gesù) p.105-112 (il com-

battimento spirituale)

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1.6 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La risurrezione: Gesù vivo mi dona una vita da figlio Battesimo (relazione Dio uomini)

TEMA DELL’UNITA’:

la risurrezione è un fatto che cambia la storia e la vita di ogni cristiano. Con il dono del sacramento del Battesimo inizia la relazione con Dio mediante Cristo

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo al vivere la vita di grazia la preghiera, sia nel rapporto con Dio, che con se stessi che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Aiutare i giovanissimi a riscoprire il fondamento battesimale della loro vita di grazia e di preghiera.

• Riscoprire il Battesimo consapevolmente, il suo legame con la risurrezione di Gesù, e poter ri-scegliere consapevolmente la novità di vita che comporta.

• Rendere i giovanissimi consapevoli della differenza che il Battesimo comporta rispet-to al modo di vivere e di giudicare del mondo, per cogliere come la vita battesimale sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Conoscere e impegnarsi a vivere le esigenze che la vita battesimale comporta, sia nel rapporto con Dio che con i fratelli.

• Riscoprire il battesimo come fondamento delle relazioni nel gruppo e nella comunità parrocchiale.

• Educare i ragazzi alla condivisione dell’esperienza di fede e di preghiera che vivono, sia all’interno del gruppo che nell’ascolto delle esperienze di altri, più adulti nella fede.

• Educare i giovanissimi all’atteggiamento di conversione continua che deriva dalla consapevolezza di essere figli e di voler vivere da figli.

• Educare i giovanissimi a fare scelte concrete e quotidiane che rendano presente la novità di vita del Battesimo.

• Riscoprire il battesimo come forza per essere testimoni di Gesù nelle relazioni e nella vita quotidiana.

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1 anno - Chiamati

VEDERE

Vita di grazia, preghiera, vivere l’esperienza del discepolo.

spunti di riflessioneCosa significa vita di grazia? Quanto incide nella mia vita? Quanto spazio dedico alla pre-

ghiera? Per cosa prego? Come vivo la confessione, l’accostarmi all’eucarestia, la celebrazione della Messa? Leggo da solo la parola di Dio? Vivo l’esperienza della direzione spirituale? Ricordo quando sono stato battezzato? Cosa mi ha cambiato? E se i miei genitori non mi aves-sero battezzato?

preghiamo insiemepreghiera di richiesta di perdono in forma responsoriale (ogni adolescente chiede a Dio il

dono di una vita di grazia)

ripetiamo insieme: Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù.

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Il Diluvio Gen 9,1-17NT: Giovanni Battista Lc 3; Rom 6,1-11; Mt 16,1-18; Mc 16, 1-20 (risurrezione e apparizioni

del risorto)

Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1 cap. 4 pag. 224-227

spunti di riflessionePerché Gesù si fa battezzare? Cosa cambia dopo la Risurrezione? Perché Gesù dice “andate

e battezzate”? Non basta l’annuncio di quello che è successo? E’ un’altra novità?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della Veglia pasquale e santa Messa della Notte Cattedrale di S. Pietro, 22 marzo 2008

Questa è la notte durante la quale la condizione umana è stata radicalmente cambiata, per-ché Gesù “è risorto, come aveva predetto”.

Cari fratelli e sorelle, in questa notte ci è dato di far accadere in ciascuno di noi quanto è accaduto nel corpo sepolto del Salvatore.

Che cosa è accaduto nel sepolcro? Come l’angelo disse alle donne: “Non è qui … venite

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1 anno - Chiamati

a vedere il luogo dove era deposto”. Gesù in questa notte è passato dalla vita corruttibile e mortale in cui fino ad allora era umanamente vissuto ad una vita incorruttibile ed immortale. La morte, comune destino di ogni uomo, è stata vinta nel senso che Gesù in questa notte ha ri-preso vita; ma non quella sempre insidiata dalla morte, ma una vita incorruttibile.

Come è stato possibile questo ingresso della umanità di Cristo – che è in tutto simile alla nostra – nel possesso di una vita immortale? La parola di Dio ci rivela che la morte è stata l’i-nevitabile conseguenza della decisione dell’uomo di fondarsi su se stesso, di separarsi dalla fonte della vita. Non fu così per Gesù. Egli era strettamene unito al Padre, sorgente della Vita, così da formare con Lui una sola cosa. L’apostolo Pietro dice: “Dio lo ha risuscitato, scioglien-dolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere … perché [non] permetterai che il tuo Santo veda la corruzione” [At 2,24.27b]. La morte non poteva vincere perché Gesù era sempre unito col Padre.

In questa prospettiva comprendiamo come il fatto della risurrezione del Signore sia un evento che spezza il corso naturale della storia umana. In questa notte infatti l’umanità concre-ta di Gesù – senza esserne distrutta e come consumata – viene investita e totalmente permeata dalla stessa vita di cui vive Dio stesso. Il ciclo di vita-morte che percorre la vicenda umana di generazione in generazione, è stato fermato in quel momento preciso in cui Cristo è risorto. Il diacono perciò ha cantato: “O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore”.

Abbiamo iniziato i santi riti di questa notte con un gesto molto significativo, se ricordate. La cattedrale era completamente buia; brillava solo la luce del cero pasquale che il diacono ci presentò cantando: “la luce di Cristo!”. Poi ad un certo momento ciascuno di noi ha acceso il proprio cero alla luce di Cristo.

Cari fratelli e sorelle, questa è una potente metafora del mistero che stiamo celebrando. Quanto è accaduto a Cristo accade, può accadere in ciascuno di noi. La trasformazione av-venuta nell’umanità individuale di Cristo al momento della risurrezione è una forza che da Cristo esige di penetrare e trasformare ogni persona umana.

Ma come avviene questo? Come la trasformazione accaduta in Cristo può accadere anche in me? Come può arrivare fino a me? La risposta è di una semplicità sconcertante: mediante la fede ed il Battesimo. Questa è la notte del Battesimo che voi riceverete fra poco, cari catecume-ni, di cui noi già battezzati faremo memoria solenne. È quanto ci ha or ora insegnato S. Paolo: “Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. La Pasqua di Gesù ci afferra mediante il Battesimo, una volta per sempre.

Parlando di questo mistero un Padre della Chiesa scrive: “L’illuminazione è splendore delle anime, mutamento di vita, domanda rivolta a Dio da parte della nostra coscienza; … è soccor-so alla nostra debolezza … seguire lo Spirito, … rialzare l’essere che Dio ha plasmato, lavare i peccati, partecipare alla luce, dissolvere le tenebre” [S. Gregorio di Nazianzo, Orazione 40,2].

La ragione intima della gioia che la Chiesa vive celebrando questa veglia è precisamente l’e-sperienza che essa fa della presenza della Risurrezione del Signore. La Risurrezione non è pas-sata; la Risurrezione ci raggiunge, ci afferra e ci trasforma. In essa rimaniamo, cioè nel Signore risorto, perché la sua luce ci faccia passare dal potere delle tenebre al suo Regno di vita. Amen.

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1 anno - Chiamati

Pillole di ConcilioGaudium et Spes 37

preghiamo insieme

Recita del credo (o rinnovazione delle promesse battesimali)

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Exultet pasquale

Dall’omelia di Giovanni Paolo II della Veglia Pasquale nella notte santa 2001

Ma questa notte non sono le tenebre a dominare, bensì il fulgore d’una luce improvvisa, che irrompe con l’annuncio sconvolgente della risurrezione del Signore. L’attesa e la preghiera di-ventano allora un canto di gioia: “Exultet iam angelica turba caelorum... Esulti il coro degli Angeli!”.

Si ribalta totalmente la prospettiva della storia: la morte cede il passo alla vita. Vita che non muore più. Nel Prefazio canteremo tra poco che Cristo “morendo ha distrutto la morte e risor-gendo ha ridato a noi la vita”. Ecco la verità che noi proclamiamo con le parole, ma soprattutto con la nostra esistenza. Colui che le donne credevano morto è vivo. La loro esperienza diventa la nostra.

O Veglia permeata di speranza, che esprimi in pienezza il senso del mistero! O Veglia ricca di simboli, che manifesti il cuore stesso della nostra esistenza cristiana! Questa notte tutto si riassu-me prodigiosamente in un nome, nel nome di Cristo risorto.

O Cristo, come non ringraziarTi per il dono ineffabile che in questa notte ci elargisci? Il mi-stero della tua morte e della tua risurrezione si trasfonde nell’acqua battesimale che accoglie l’uomo antico e carnale e lo rende puro della stessa giovinezza divina.

Nel tuo mistero di morte e di risurrezione ci immergeremo tra poco, rinnovando le promesse battesimali; in esso saranno immersi specialmente i sei catecumeni, che riceveranno il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia.

Carissimi Fratelli e Sorelle, come per ogni battezzato, questa notte la morte cede il passo alla vita. Il peccato è cancellato e inizia un’esistenza tutta nuova. Perseverate sino alla fine nella fe-deltà e nell’amore. E non temete dinanzi alle prove, perché “Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9).

Sì, Fratelli e Sorelle carissimi, Gesù è vivo e noi viviamo in Lui. Per sempre. Ecco il dono di questa notte, che ha definitivamente svelato al mondo la potenza di Cristo, Figlio della Vergine Maria, a noi data per Madre ai piedi della Croce.

Questa Veglia ci introduce in un giorno che non conosce tramonto. Giorno della Pasqua di Cristo, che inaugura per l’umanità una rinnovata primavera di speranza.

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1 anno - Chiamati

Preghiera: dalle Confessioni IX,6 di Sant’Agostino

E fummo battezzati, e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata. In quei giorni non mi saziavo di considerare con mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano. Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare al Triduo Pasquale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

Rahner K. - Ratzinger J., Settimana santa, Queriniana

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1.7 Credere per vivere un amore che ci cambia I frutti dello spirito (Gal 5,22)

TEMA DELL’UNITA’:

Lo spirito Santo edifica l’uomo nuovo e dona la possibilità di vivere relazioni vere.

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo al vivere l’amicizia, sia nel rapporto con se stessi che quando si confron-tano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consa-pevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione dell’amicizia nella men-talità comune, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sap-pia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Conoscere lo Spirito Santo a partire dalle azioni che fa e da ciò che suscita.• Imparare a riconoscere l’azione della Spirito Santo nella nostra vita, nella vita della

Chiesa e nella vita del mondo a partire dai suoi frutti.• Cogliere i frutti dello spirito santo nella quotidianità della vita delle persone, e nella

quotidianità della vita del gruppo e della comunità.• Educare i giovanissimi ad una relazione personale con lo Spirito Santo tramite la

preghiera.• A partire dai frutti dello Spirito riconoscere e saper delineare il progetto di “uomo” e

di relazioni che sono secondo lo Spirito.• Educare i giovanissimi a favorire lo sviluppo in se stessi dei doni dello spirito.• Educare a far crescer relazioni che siano improntate ai doni dello spirito e sappiano

superare l’interesse personale.• Essere capaci di discernimento riguardo alla qualità delle nostre relazioni• Stare di fianco agli amici, facendosi carico della vita di fede degli altri.• Saper allargare il cerchio delle proprie relazioni al di là dell’orizzonte dei coetanei,

per costruire una comunità intessuta di relazioni vere.

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1 anno - Chiamati

VEDERE

Quale amicizia?

spunti di riflessionecos’è l’amicizia? Come la vivo? Chi è per me un amico? Che rapporto ho con gli amici? La

mia fede c’entra nei miei rapporti di amicizia? Come?

Preghiamo insiemepreghiera di ringraziamento in forma responsoriale (ogni adolescente ringrazia Dio per gli

amici)

Ripetiamo insieme: Chi teme il Signore è costante nella sua amicizia (sir 6,17)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Is 11,1-10NT: Gal 5,18-23; Rom. 8,14-17

Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1: cap. 2 pag. 81-82

spunti di riflessioneGal. 5,22ss: Nell’elenco dei frutti della carne e dello Spirito, conosco il significato di tutti i

termini, e le realtà alle quali rimandano? Quali mi capita di vivere, o di vedere vissuti? Nei frutti della carne, quali sono gli atteggiamenti che Paolo sintetizza in questi “frutti”? Quali sono quelli che trovo in me? Cerco di superarli? Come? Ne ho mai chiesto perdono a Dio nel-la confessione? Cosa provocano nelle mie relazioni di amicizia? Che ostacoli fanno nascere? Quali frutti dello Spirito vorrei capire meglio e approfondire? Per i frutti dello spirito, quali sono quelli che trovo più “ostici” (cioè quelli davanti ai quali provo resistenza o rifiuto) e quali quelli che mi affascinano di più? Riesco a dire come mai? Per i frutti dello spirito, riesco a trovare nella Scrittura e nella vita di Gesù alcuni brani, alcune situazioni che me li facciano vedere vissuti e mi aiutino a comprenderli e ad approfondirli?

Quali sono gli atteggiamenti che lo Spirito sviluppa in noi con la sua presenza, e che sono sintetizzati nei frutti? Nei frutti dello spirito, riesco a trovare un atteggiamento ed una situa-zione nella mia vita in cui possano essere davvero vissuti? Come cambia il mio stile di vita e le mie relazioni quando sono docile allo Spirito e ne vivo i frutti? Come sarebbe un’amicizia in cui i frutti dello Spirito risplendessero? Come fare per viverla?

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La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della S. Messa di Pentecoste Cattedrale di San Pietro, 11 maggio 2008

Cari fratelli e sorelle, la pagina evangelica e la prima lettura narrano lo stesso avvenimento: il dono del suo Spirito fatto dal Signore risorto ai discepoli. È una narrazione, quella evangeli-ca, molto diversa da quella della prima lettura. La diversità arricchisce la nostra fede, e pertan-to dobbiamo meditare ciascuna pagina tenendo presente l’altra. Iniziamo dal santo Vangelo.

Il dono dello Spirito Santo avviene attraverso un gesto fisico simbolico: “Dopo aver detto questo alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo”. È indicato anche con accuratezza in quale giorno della settimana il fatto accade: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”.

Per chi ha una qualche dimestichezza con la S. Scrittura, il racconto evangelico richiama subito un altro racconto. Quello della creazione dell’uomo. Dice la Scrittura: “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” [Gen 2,7]. L’indicazione cronologica va nello stesso senso: il sabato era il giorno in cui si era conclusa la creazione; il primo giorno dopo il sabato è un nuovo inizio, un nuovo principio posto dentro allo scorrere del tempo.

Il dono che Gesù risorto fa ai suoi discepoli li rigenera nella loro umanità, li ri-crea. Essi, per la forza di questo alito di vita, diventano esseri viventi, ma della stessa vita divina. Diventano partecipi della vita eterna di Dio. Oggi quindi noi celebriamo la rigenerazione dell’uomo, e l’inizio di una nuova creazione: è “il primo giorno dopo il sabato”.

Non dobbiamo però trascurare due particolari nel racconto evangelico. Il primo è il fatto che il dono dello Spirito avviene dopo che Gesù “mostrò loro le mani e il costato”: i segni glo-riosi della sua passione. Il dono dello Spirito Santo e la conseguente rigenerazione dell’uomo sono riferite, perché ne sono il frutto, alla potenza redentrice di Cristo crocefisso e risorto.

Il secondo particolare è il fatto che al dono dello Spirito Santo è connesso il perdono dei peccati: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. Cari fratelli e sorelle, la rigenerazione dell’uomo implica, esige che l’uomo sia consa-pevole della sua ingiustizia; implica quel giudizio interiore della coscienza mediante il quale l’uomo afferma la verità circa se stesso. Questa consapevolezza della propria ingiustizia, que-sto giudizio di auto-condanna sono l’altra “faccia” dell’evento narrato nel Vangelo: ha inizio il tempo della grazia; ha inizio il tempo del perdono e della misericordia: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi”. Il dono dello Spirito Santo ci dona la verità della coscienza e la re-denzione che ci rigenera.

Siamo così giunti al senso profondo della prima lettura. Quale è il segno più chiaro che l’umanità si trova nel disordine, e che ogni uomo vive in una condizione di ingiustizia? La divisione fra le persone, la contrapposizione fra i popoli, l’incapacità di comunicare gli uni con gli altri.

Riascoltiamo ora come viene narrato lo stesso evento narrato dalla pagina evangelica: “Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua”. Il segno e l’effetto della presenza dello Spirito Santo nel mondo è la ricostruzione

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1 anno - Chiamati

dell’unità della famiglia umana. È la capacità ridata all’uomo di comunicare veramente con l’altro uomo. La comunione interpersonale è la grande elargizione di grazia fatta dallo Spirito del Signore risorto: Egli è lo Spirito di comunione.

Cari fratelli e sorelle, questa sera, la sera di Pentecoste, noi impariamo a leggere la storia umana, a guardarla in profondità, oltre la verità delle cronache quotidiane. La storia umana è percorsa da due forze che cercano di costruire due opposti modi di convivere due città, amava dire S. Agostino: la forza dello Spirito Santo donato ai credenti, com-posizione delle diversità che crea una città di com-posizione; la forza del male che crea un città di contra-posizione.

È questa la contraddizione drammatica del nostro tempo. Da una parte vediamo che i po-poli si avvicinano sempre di più e diventano sempre più interdipendenti. Dall’altra vediamo che le fondamenta stesse della convivenza sono progressivamente erose: oscuramento del sen-so morale, devastazione dell’istituto matrimoniale origine di ogni società, imbarbarimento delle relazioni sociali.

Dentro a questo scontro vive ciascuno di noi: ne è al contempo spettatore e attore. E può allearsi con l’una o l’altra forza.

Questa sera sale la grande preghiera della Chiesa: “Vieni, o Santo Spirito … senza la tua forza nulla è nell’uomo … lava ciò che è sordido … piega ciò che è rigido”. Perché la forza che deturpa l’uomo nella sua verità e dignità sia finalmente vinta.

Pillole di ConcilioLumen Gentium 4

Preghiamo insiemeVieni Spirito Creatore

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Gv 15, 9-17

Dal messaggio di Giovanni Paolo II per la V Giornata Mondiale della Gioventù

Nel Vangelo di Giovanni, Cristo ci spiega il principio fondamentale della vita di questa vi-gna, quando dice: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,5). Sono proprio queste le parole che ho scelto come tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù. Rivolgo perciò a tutti voi un appello: Giovani, siate tralci vivi della Chiesa, siate tralci carichi di frutti!

Essere tralci vivi nella Chiesa-vigna significa, innanzitutto essere in comunione vitale con Cristo-vite. I tralci non sono autosufficienti, ma dipendono totalmente dalla vite. In essa si tro-va la sorgente della loro vita. Così, nel Battesimo, ciascuno di noi è stato innestato in Cristo ed ha ricevuto gratuitamente il dono della vita nuova. Per essere tralci vivi, dovete vivere questa

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realtà del vostro Battesimo, approfondendo ogni giorno la vostra comunione col Signore me-diante l’ascolto e l’obbedienza alla sua Parola, la partecipazione all’Eucaristia e al sacramento della Riconciliazione, e il colloquio personale con lui nella preghiera. Gesù dice: «Chi rimane in me, ed io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5).

Essere tralci vivi nella Chiesa-vigna significa anche assumersi un impegno nella comunità e nella società. Ce lo spiega in modo molto chiaro il Concilio Vaticano II: «Come nella compagi-ne di un corpo vivente non vi è membro alcuno che si comporti in maniera del tutto passiva, ma insieme con la vita del corpo ne partecipa anche l’attività, così nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, “tutto il corpo... secondo l’energia propria ad ogni singolo membro... contribuisce alla crescita del corpo stess” (Ef 4,16)» («Apostolicam Actuositatem», 2). Tutti, a seconda delle nostre vocazioni particolari, siamo partecipi della missione di Cristo e della sua Chiesa. La comunione ecclesiale è una comunione missionaria.

La Chiesa ha bisogno di molti operai. In questa quinta Giornata Mondiale Cristo stesso ri-volge a voi giovani un grande invito: «Andate anche voi, nella mia vigna» (Mt 20,4).

La Chiesa è una comunione organica, in cui ciascuno ha il proprio posto e il proprio com-pito. Lo avete anche voi giovani. E’ un posto molto importante, il vostro. La Chiesa, che alle soglie degli anni duemila si sente chiamata dal Signore a rendere sempre più intenso il suo sforzo evangelizzatore, ha particolare bisogno di voi, del vostro dinamismo, della vostra au-tenticità, della vostra appassionata voglia di crescere, della freschezza della vostra fede. Met-tete quindi al servizio della Chiesa i vostri giovani talenti senza riserve, con la generosità pro-pria della vostra età. Prendete il vostro posto nella Chiesa, che non è solo quello di destinatari di cura pastorale, ma soprattutto di protagonisti attivi della sua missione (cfr. «Christifideles Laici», 46). La Chiesa è vostra, anzi, voi stessi siete la Chiesa!

Da parte sua, la Chiesa ha tanto da offrire a voi giovani. Assistiamo oggi ad un fenomeno molto significativo. Dopo un periodo di diffidenza e di distacco nei confronti della Chiesa, ora numerosi giovani la stanno riscoprendo come guida sicura e fedele, come luogo indispensa-bile di comunione con Dio e con i fratelli, come ambiente di crescita spirituale e di impegno. E’ un segno molto eloquente. Molti di voi non si contentano più di appartenere alla Chiesa in modo meramente formale, anagrafico. Cercano qualcosa di più.

Luogo privilegiato di riscoperta della Chiesa e dell’impegno ecclesiale sono le associazioni, i movimenti e le varie comunità ecclesiali giovanili. Infatti parliamo oggi di una «nuova sta-gione aggregativa» nella Chiesa (cfr. «Christifedeles Laici», 29). Questa è una ricchezza enor-me ed un dono prezioso dello Spirito Santo, che va accolto con tanta riconoscenza.

«Andate anche voi nella mia vigna» (Mt 20,4). La Chiesa-vigna ha bisogno anche di operai particolari, che la servano in maniera specifica, con radicalismo evangelico, consacrandole tutta la loro vita. Si tratta delle vocazioni sacerdotali e religiose come pure delle vocazioni dei laici consacrati nel mondo. Sono sicuro che molti di voi, meditando il mistero della Chiesa, sentiranno nel profondo dell’animo l’invito di Cristo: «Va’ anche tu nella mia vigna...». Se udrete questa voce rivolta personalmente a voi, non esitate a rispondere «sì» al Signore. Non abbiate paura, perché servire Cristo e la sua Chiesa in modo totale è una vocazione stupenda ed un dono magnifico. Cristo vi aiuterà.

E’ questo, a grandi linee, l’argomento sostanziale della prossima Giornata Mondiale, gior-nata di riscoperta della Chiesa.

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Preghiera: “O Spirito Santo” di S. Bernardo

O Spirito Santoanima dell’anima mia,in te solo posso esclamare: Abbà, Padre.Sei tu, o Spirito di Dio,che mi rendi capace di chiederee mi suggerisci che cosa chiedere.O Spirito d’amore,suscita in me il desideriodi camminare con Dio:solo tu lo puoi suscitare.O Spirito di santità,tu scruti le profondità dell’animanella quale abiti,e non sopporti in leineppure le minime imperfezioni:bruciale in me, tutte,con il fuoco del tuo amore.O Spirito dolce e soave,orienta sempre piùla mia volontà verso la tua,perchè la possa conoscere chiaramente,amare ardentementee compiere efficacemente. AMEN

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta nella settimana alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

S. Francesco di Sales Lettere di amicizia spirituale

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1.8 Credere per vivere un amore che ci cambia La chiesa una e cattolica, popolo e parola di Dio in cammino

TEMA DELL’UNITA’:

Dio chiama a vivere la relazione con Lui nel suo disegno di salvezza attraverso l’Unica Chiesa universale

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo al vivere la loro appartenenza alla Chiesa attraverso la comunità parroc-chiale, sia nel rapporto con se stessi che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure

• Far scoprire ai giovanissimi il senso della chiesa e della comunità parrocchiale.• Scoprire la chiesa come corpo in cui ogni membro ha il suo posto e il suo valore.• Scoprire la molteplicità dei doni nella comunità parrocchiale e il dono proprio del

gruppo giovanissimi.• Riscoprire la Chiesa come comunità fondata sull’ascolto della parola • Suscitare nei ragazzi il desiderio di leggere la propria vita alla luce della parola di Dio.• Scoprire le esigenze di “ecclesialità” del gruppo e la novità del camminare insieme

come gruppo cristiano.• Tramite l’esperienza del gruppo maturare il senso di appartenenza alla chiesa, sen-

tendosene parte integrante e superando uno stile di presenza marginale e intermit-tente a favore di un impegno vivace e partecipativo.

• Aiutare il gruppo giovanissimi in quanto tale a progettare occasioni di annuncio per i loro coetanei (aiutare gli animatori a progettare occasioni di annuncio nell’estate ragazzi /a svolgere al meglio le occasioni di annuncio dell’Estate ragazzi)

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione della Chiesa nella men-talità dominante, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

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1 anno - Chiamati

VEDERE

l’esperienza di gruppo

spunti di riflessionecos’è per me la Chiesa? E’ la gerarchia? E’ la mia parrocchia? Io sono membro della Chie-

sa? Cosa mi aiuta e cosa mi ostacola nel sentirmi membro della Chiesa? Che valore ha la mia appartenenza ad essa? Non serve a niente? In che modo vivo l’appartenenza ad un gruppo parrocchiale? L’appartenenza al gruppo e la vita insieme mi aiuta a crescere come persona e a crescere nella fede? Come? Quali sono invece le difficoltà che genera? In che modo la vita di gruppo mi aiuta a vivere e a scoprire la Chiesa?

Preghiera di lode e di richiesta : ogni giovanissimo porta davanti a Dio sia le “cose belle” della vita di gruppo e di parroc-

chia, sia le difficoltà.

Ripetiamo insieme: “ Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Is 2,1-5NT: 1Cor 12; Atti 10-11 apertura ai pagani; Mt 16,18-19 (Tu sei Pietro e su questa pietra edi-

ficherò la mia chiesa); Mt 13,1-23 (parabola del seminatore); Ef 4,1-16 (un solo corpo, un solo Spirito, un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo…)

Il catechismoIo ho scelto voi Cdg/1 cap. 2 pag. 75-76

spunti di riflessioneRiflessione sul testo 1Cor 12

Quale immagine di Chiesa ci viene proposta da Paolo?Qual è il legame fra l’opera della Spirito Santo e la chiesa?Quali sono gli atteggiamenti che costruiscono la vita di questo “corpo”? Quali atteggiamen-

ti lo fanno morire? Nella vita della nostra comunità parrocchiale, dove possiamo vedere gli uni e gli altri? Dove possiamo vedere gli uni e gli altri nella vita del nostro gruppo?

Abbiamo mai pensato a noi stessi come membra del corpo “Chiesa”? Quali situazioni aiutano a formare in noi questa consapevolezza? Quali situazioni l’hanno ostacolata o la ostacolano?

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1 anno - Chiamati

Fra gli atteggiamenti proposti da Paolo per vivere la chiesa, quali sono quelli che ci attira-no, ci piacciono di più? Riusciamo a dire come mai? Ci è capitato anche di viverli nella nostra esperienza? Cos’è successo e cosa abbiamo compreso da ciò?

Fra gli atteggiamenti proposti da Paolo per vivere la chiesa, quali sono quelli che non ci piacciono, sui quali non siamo d’accordo, o dai quali istintivamente rifuggiamo? Riusciamo a dire come mai ci succede ciò? Cosa c’è in noi che fa resistenza?

Fra gli atteggiamenti proposti da Paolo per vivere la chiesa, quale riusciamo a vivere meglio, e quale quello nel quale incontriamo più difficoltà? Quali sono gli ostacoli che incontriamo, a livello individuale e al livello della vita di gruppo? Come vorremmo essere aiutati a superarli?

La parola dell’ArcivescovoDall’introduzione generale Seminario, “tre giorni del clero” 11 settembre 2006

La mia riflessione ha un carattere introduttivo alla riflessione ed al lavoro di domani. Vuole semplicemente indicarne il contesto e le linee fondamentali. E lo farò rispondendo ad una serie di domande.

Perché questo lavoro?È necessario che fin dall’inizio ci poniamo nella prospettiva giusta, che è quella teologica.L’avvenimento cristiano suscita un inesauribile stupore. Lo stupore che proviamo di fronte

ad ogni realtà che ci si mostra al contempo imprevista ed imprevedibile e perfettamente corri-spondente ai desideri più profondi del cuore. E l’avvenimento cristiano è semplicemente nar-rato così da Giovanni: “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra noi” [Gv 1, ], e da S. Paolo nel modo seguente: “factum ex muliere” [Gal 4, ]. Ciò che non finisce mai di stupire è quel “si fece carne”, è quel “factum ex muliere”. Il S. Padre Benedetto XVI ha iniziato la sua prima enciclica dicendo che l’inizio dell’esistenza cristiana coincide con un incontro, non con una conversione morale né con un’idea. Fonte di stupore per chi crede, ma vera pietra di scandalo per ogni gnostico di ieri e di oggi: “la brutta positività” di cui parlava Hegel. È scandaloso che Dio incontri l’uomo nell’umiltà e nella fragilità di carne ed ossa di un corpo umano “factum ex muliere”.

L’avvenimento cristiano oggi continua nella Chiesa: oggi è la Chiesa. Ed in verità di fronte ad essa chi crede, prova lo stesso stupito rapimento. Tesoro in un vaso d’argilla, vita divina – la stessa vita di cui vive la Trinità santa ed indivisibile – che si diffonde mediante uomini: questo è il mistero della Chiesa, sacramento della continuata presenza di Cristo dentro la nostra quo-tidianità. La Chiesa è una realtà divino-umana.

L’evento cristiano non può non porsi, realizzarsi in un territorio poiché questa è la condi-zione umana, e pertanto il mistero della Chiesa incontra l’uomo normalmente in un territorio. È per questo che “di regola la porzione del popolo di Dio che costituisce una diocesi o un’altra Chiesa particolare” è “circoscritta da un determinato territorio, in modo da comprendere tutti i fedeli che abitano in quel territorio” [C.J.C. can. 372§1], e ogni diocesi o altra Chiesa particola-re deve essere divisa in parti distinte, innanzitutto le parrocchie [cfr. can. 374§1]. Nella Chiesa particolare che è la Diocesi, è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica; è nelle e dalle Chiese particolari che sussiste la sola ed unica Chiesa cat-tolica [cfr. Cost. dogm. Lumen gentium 23,1].

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1 anno - Chiamati

Fermiamoci un momento a pensare. Tutto, assolutamente tutto ciò che è il Mistero della Chiesa, di cui sopra ho balbettato qualcosa, è veramente presente ed operante in questa Chiesa di Dio che è in Bologna: la sua [della Chiesa] unità, santità, cattolicità ed apostolicità. È pre-sente in mezzo a noi Cristo stesso, il Signore crocifisso risorto che ci dona il suo Spirito; e tutto questo è dentro alla nostra quotidianità.

Pillole di ConcilioLumen Gentium 1-2Gaudium et Spes 1

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Mt 16,18-19

Dall’omelia di Benedetto XVI, Basilica di San Pietro, Mercoledì 29 giugno 2005 Cari fratelli e sorelle, La festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni

di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. È anzitutto una festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste – la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce tutti i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio – è diventato re-altà. La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci ricono-sciamo fratelli. Con ciò è portata a compimento la missione di san Paolo, che sapeva di “essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani… oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15,16). Lo scopo della missione è un’umanità divenuta essa stessa una glorificazione vivente di Dio, il culto vero che Dio s’aspetta: è questo il senso più profondo di cattolicità – una cattolici-tà che già ci è stata donata e verso la quale tuttavia dobbiamo sempre di nuovo incamminarci. Cattolicità non esprime solo una dimensione orizzontale, il raduno di molte persone nell’unità; esprime anche una dimensione verticale: solo rivolgendo lo sguardo a Dio, solo aprendoci a Lui noi possiamo diventare veramente una cosa sola. Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo po-teva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: “Torneranno

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1 anno - Chiamati

al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli” (Sal 21,28). Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo così la promessa con la quale il salmo si concludeva.

Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa par-te di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. Il vero fondatore della teologia cattolica, sant’Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: “Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un’unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell’Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità” (Adv. haer. I 10,2). L’unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla no-stra vita, sul nostro “di dove?” e “verso dove?”, è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.

Sono contento che ieri – nella festa di sant’Ireneo e nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo – ho potuto consegnare alla Chiesa una nuova guida per la trasmissione della fede, che ci aiuta a meglio conoscere e poi anche a meglio vivere la fede che ci unisce: il Com-pendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Quello che nel grande Catechismo, mediante le te-stimonianze dei santi di tutti i secoli e con le riflessioni maturate nella teologia, è presentato in maniera dettagliata, è qui ricapitolato nei suoi contenuti essenziali, che sono poi da tradurre nel linguaggio quotidiano e da concretizzare sempre di nuovo. Il libro è strutturato come col-loquio in domande e risposte; quattordici immagini associate ai vari campi della fede invitano alla contemplazione e alla meditazione. Riassumono per così dire in modo visibile ciò che la parola sviluppa nel dettaglio. All’inizio c’è un’icona di Cristo del VI secolo, che si trova sul monte Athos e rappresenta Cristo nella sua dignità di Signore della terra, ma insieme come araldo del Vangelo, che porta in mano. “Io sono colui che sono” – questo misterioso nome di Dio proposto nell’Antica Alleanza – è riportato lì come suo nome proprio: tutto ciò che esiste viene da Lui; Egli è la fonte originaria di ogni essere. E perché è unico, è anche sempre pre-sente, è sempre vicino a noi e allo stesso tempo sempre ci precede: come “indicatore” sulla via della nostra vita, anzi essendo Egli stesso la via. Non si può leggere questo libro come si legge un romanzo. Bisogna meditarlo con calma nelle sue singole parti e permettere che il suo contenuto, mediante le immagini, penetri nell’anima. Spero che sia accolto in questo modo e possa diventare una buona guida nella trasmissione della fede.

Abbiamo detto che cattolicità della Chiesa e unità della Chiesa vanno insieme. Il fatto che entrambe le dimensioni si rendano visibili a noi nelle figure dei santi Apostoli, ci indica già la

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1 anno - Chiamati

caratteristica successiva della Chiesa: essa è apostolica. Che cosa significa? Il Signore ha istituito dodici Apostoli, così come dodici erano i figli di Giacobbe, indicandoli con ciò come capostipi-ti del popolo di Dio che, diventato ormai universale, da allora in poi comprende tutti i popoli. San Marco ci dice che Gesù chiamò gli Apostoli perché “stessero con lui e anche per mandarli” (Mc 3,14). Sembra quasi una contraddizione. Noi diremmo: o stanno con lui o sono mandati e si mettono in cammino. C’è una parola sugli angeli del santo Papa Gregorio Magno che ci aiuta a sciogliere la contraddizione. Egli dice che gli angeli sono sempre mandati e allo stesso tempo sempre davanti a Dio: “Ovunque sono mandati, ovunque vanno, camminano sempre nel seno di Dio” (Omelia 34,13). L’Apocalisse ha qualificato i Vescovi come “angeli” della loro Chiesa, e possiamo quindi fare questa applicazione: gli Apostoli e i loro successori dovrebbero stare sempre con il loro Signore e proprio così – ovunque vadano – essere sempre in comunio-ne con Lui e vivere di questa comunione.

Dai “Discorsi” di sant’Agostino, vescovoDa quando mi è stato posto sulle spalle questo peso, di cui dovrò rendere un non facile

conto a Dio, sempre sono tormentato dalla preoccupazione per la mia dignità. La cosa più temibile nell’esercizio di questo incarico, è il pericolo di preferire l’onore proprio alla salvezza altrui. Però, se da una parte mi spaventa ciò che io sono per voi, dall’altra mi consola il fatto che sono con voi. Per voi infatti io sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di un mandato che ho ricevuto, questo è nome di grazia. Quello di pericolo, questo di salvezza. Veramente ci sentiamo come in un mare immenso e come sbattuti dalle tempeste, proprio a causa dell’incombenza pastorale affidataci. Ci ricordiamo però a prezzo di quale sangue sia-mo stati redenti e, consolati da questo pensiero, entriamo come in un porto sicuro. Mentre ci affatichiamo nel lavoro apostolico, ci conforta la certezza del beneficio comune che ne risulta. “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Se dico di offrire al Signore il ministero di pascere le sue pecorelle, dico la verità. Lo faccio, infatti, “non io, ma la grazia di Dio che è con me”. Perciò, miei fratelli: “Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio”. Rendete fruttuoso il nostro ministero. “Voi siete il campo di Dio” (1Cor 3, 9). Dall’esterno ricevete chi pianta e chi irriga, dall’interno, invece, colui che fa crescere: Aiutateci con la vostra preghiera e la vostra obbedienza, perché troviamo la nostra gioia non tanto nell’essere vostri capi, quanto nell’esservi utili servitori.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta nella settimana alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:- Un santo per amico: S. Ambrogio, S. Agostino, S. Monica- Datti una mossa

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1 anno - Chiamati

APPROFONDIMENTI

C. M. Martini, Parole sulla chiesaC. M. Martini, La chiesa p. 9-18; 35-43; 57-66G. Biffi, La Chiesa Cattolica e il problema della salvezza

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2 annoConvocati

ITINERARIO

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2.1 Credere e come credere: questo è il problema! atto di fede, fede e ragione, fede “ragionata”

TEMA DELL’UNITA’:

La fede atto della persona intera, che coinvolge l’intelligenza e richiede la riflessione per poter “render ragione” della propria scelta.

La relazione con Dio, nella preghiera e nell’ascolto della sua parola, illumina l’intelligenza e la rende capace di comprendere, descrivere e raccontare l’esperienza di fede e le sue realtà: è un’esperienza di gioia.

Obiettivi

• Educare i ragazzi ad essere persone “pensose”, riflessive, non superficiali, in ogni ambito della loro vita

• Riconoscere la preziosità ed il valore dell’intelligenza ( e delle realtà che la fanno cre-scere) nello sviluppo della persona umana

• Far riflettere sul rapporto ragione-fede• Superare il pregiudizio della nostra mentalità secondo cui la fede è assolutamente

irrazionale.• Far superare un approccio di tipo fideistico ed emotivo alla fede.• Far sviluppare la riflessione con l’intelligenza riguardo all’esperienza di fede• Far apprezzare la riflessione con l’intelligenza sui contenuti della fede e introdurre a

qualche testo di teologia• Sviluppare la lode per i doni ricevuti tramite la propria intelligenza e l’impegno per

non sprecarli.• Dare strumenti agli adolescenti perché possano imparare a “rendere ragione” della

loro fede, attraverso le parole e la vita• Far conoscere l’importanza dello sviluppo della riflessione teologica nella vita della

Chiesa attraverso i padri• Impegnare la propria intelligenza a servizio del gruppo impegnandosi nei momenti

di riflessione insieme e nella meditazione personale• Conoscere i doni dell’intelligenza e presenti nella parrocchia

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2 anno - Convocati

VEDERE

Fede e ragione, fede e uso della mia intelligenza, fede e capacità di “rendere ragione” (con le parole e la riflessione) del proprio credere:

spunti di riflessioneQualche volta ho riflettuto sul rapporto ragione/fede? Come le metterei in rapporto? A

quali punti sono giunto e come mai?Quali sono le domande e le questioni che non ho ancora risolto rispetto a questo binomio?Cosa mi aiuta ad affrontarle, cosa mi ostacola?

La mia intelligenza c’entra con la fede? In che modo? Come vivo (o non vivo) questo fatto? Ci sono situazioni che mi aiutano?O altre che mi ostacolano?

Il mio andare a scuola quotidiano (cercando di usare la mia intelligenza) e la mia fede in che rapporto stanno? Lo studio c’entra con la fede?Se sì in che senso, se no, come mai? E il partecipare all’ora di religione?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta.

Ripetiamo insieme: Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore. (salmo 118,34)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: sap. 6,12-20; 7,22-30;8,1NT: Gv14,6 “Io sono la via, la verità, la vita”1 pt 3,15-16 siate sempre in grado di rendere

ragione della speranza che è in voi

Il catechismoCdg/1 cap. 6 pag. 326-328

spunti di riflessioneChe cos’è la Sapienza stando al testo biblico? Che cosa rivela di Dio? Che differenza c’è tra

la conoscenza soltanto umana e la sapienza biblica? Cosa pensi della preghiera di Salomone? Avresti chiesto la stessa cosa? Secondo te perché l’ha fatta, che desiderio lo ha spinto?

Mi è capitato di “rendere ragione” della mia fede? Cosa è successo? Che difficoltà ho incontrato?Come vorrei essere aiutato per riuscirci?

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2 anno - Convocati

La paraola dell’ArcivescovoDalla catechesi ai giovani bolognesi alla Giornata Mondiale della GioventùChiesa di Sant’Anna, Colonia, Germania, mercoledì 17 agosto 2005Tratto da BOLOGNA SETTE, Supplemento di Avvenire, domenica 21 agosto 2005

Introduco la prima riflessione con un aneddoto. Una persona era talmente smemorata che la mattina quando si alzava dimenticava dove aveva riposto i vestiti che si era tolto la sera. Un giorno trovò uno stratagemma. Pensò: “La sera scrivo su un biglietto dove ha messo camicia, pantaloni e scarpe”. Una mattina però, alzatosi esclamò: “Accidenti! Mi sono dimenticato dove ho messo la cosa più importante! Non mi ricordo più dove ho messo me stesso”. Questa è la situazione che può capitare oggi a tutti noi, non sapere più dove siamo e chi siamo.

I Magi si presentano a noi come persone che si sono messe in cammino alla ricerca di qual-cuno, come dei ricercatori. Pellegrini o vagabondi? Qual è la differenza tra i due? Il pellegrino sa dove deve andare. Il vagabondo invece, si mette in movimento, cammina, ma non sa dove andare, non ha una meta. Il pellegrino si muove perché ha nel cuore un desiderio, quello di rag-giungere una meta. Voi siete partiti da Bologna sapendo dove volevate andare e portando nel cuore tanti desideri. Il vagabondo invece non ha nessun desiderio nel cuore, si lascia semplice-mente attrarre da una cosa o dall’altra, non ha nessun progetto sul suo viaggio. Ciascuno di voi si chieda in quale tra queste due figure si ritrova maggiormente, nel vagabondo o nel pellegrino. I Magi sono stati dei pellegrini. E voi nella vostra vita, sapete dove dovete andare? Avete nel cuore il desiderio di giungere a una certa meta?

Ora voglio fare una seconda riflessione. Che cosa ha messo in movimento in Magi? Che cosa li ha spinti a mettersi in viaggio? I Magi si sono messi in movimento perché si sono meravigliati di un fatto che li aveva resi “pieni di stupore”. Il vostro viaggio comincia se siete ancora capaci di stupirvi, di meravigliarvi. Solo così sarete pellegrini e non vagabondi. Qual è l’oggetto dello stupore, della meraviglia? Il fatto stesso che voi “ci siete”. Riuscite a stupirvi del fatto di esistere? Ciascuno di voi deve essere scosso sempre da un sussulto di stupore: “Io ci sono!” Questo stupo-re poi genera delle altre domande: “Io ci sono, ma da dove vengo?”, “Io ci sono, ma chi sono?”, “A che cosa sono destinato?”.

Nell’ultima lettera che Giovanni Paolo II ha potuto scrivervi per questa Gmg vi ha detto: “I Magi, lanciandosi con coraggio per strade ignote e intraprendendo un lungo e non facile viaggio non esitarono a partire per seguire la stella che avevano visto sorgere. Imitando i Magi anche voi, cari giovani, dovete compiere un viaggio”. Cosa vuol dire “mettersi in viaggio”? Di che cosa stiamo parlando in realtà? Partire per questo viaggio vuol dire cercare la risposta alle grandi do-mande che avete nel cuore, vuol dire andare alla ricerca di quel bene che può soddisfare il vostro desiderio di felicità. Per prima cosa è accaduto qualcosa di grande: siamo stati chiamati alla vita, noi ci siamo. Allora voglio sapere chi sono e a che cosa sono destinato. Voglio sapere se esiste qualcosa in grado di rispondere al desiderio che ho nel cuore. Il pericolo è quello di non partire. Quanti amici dei Magi avranno tentato di dissuaderli dal viaggio. Molti lo diranno anche a voi: “Ma cosa sono questi problemi che ti metti? Che cosa ti importa di ricercare la verità di te stesso? Pensa a divertirti!”. Non ci si mette in viaggio quando si spengono queste grandi domande nel cuore, oppure quando si accorcia, per così dire, la misura del proprio desiderio, ci si accontenta di poco. Vi dico una cosa grave: siate vigilanti, siate vigilanti perché vivete in una cultura che fa di tutto per impedirvi di porvi le grandi domande della vita. Siate vigilanti, perché stanno fa-

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2 anno - Convocati

cendo di tutto perché non vi interroghiate seriamente sulla vita, raccontandovi che la verità non esiste, esistono le opinioni. È sufficiente tollerarsi a vicenda, ciascuno pensi come vuole. Viene estinta dentro di voi questa capacita di stupirvi. Essere pellegrini significa quindi cercare la veri-tà sulla propria esistenza, cercare il bene capace di soddisfare il nostro desiderio.

I Magi quando partono si sono certamente procurati un discreto equipaggiamento. Anche il viaggio di cui stiamo parlando, il viaggio dell’uomo mendicante della verità, mendicante di fe-licità, ha bisogno di un equipaggiamento. Quali sono gli strumenti che abbiamo a nostra dispo-sizione per cercare la verità e il bene? Se leggete la vicenda dei Magi avrete modo di scoprirlo: sono due, come le due gambe di cui ci serviamo per camminare. Non ne deve mancare una, per-ché si camminerebbe molto male. Le due gambe che ci servono per camminare nel pellegrinag-gio della vita sono la nostra ragione e la rivelazione che il Signore ci ha fatto e che noi accogliamo nella fede. Le due gambe che ci fanno camminare sono la ragione e la fede. Se eliminate una di queste gambe il pellegrino diventa un vagabondo.

La ragione in primo luogo. Sant’Agostino diceva: “Dilige intellectum!” Ama la tua intelligen-za, la tua ragionevolezza. Io vi chiedo di essere “ragionevolmente” credenti. Cercate di capire ciò in cui credete, le ragioni per le quali è bello seguire Cristo. Se un vostro amico che non è credente vi chiede: “Ma perché tu sei cristiano”? Voi dovete saper rispondere con dolcezza e mitezza, ma con chiarezza. Le dovete sapere queste ragioni per cui è bello seguire Cristo.

La seconda gamba è la rivelazione divina accolta per la fede. E dove noi apprendiamo la paro-la di Dio? Nella Chiesa! I Magi avevano i cammelli che li sollevavano e li portavano. Noi chi ab-biamo? Noi abbiamo la Chiesa che ci solleva sulle spalle, abbiamo la Chiesa che ci fa camminare nel pellegrinaggio della vita. Siate contenti di essere nella Chiesa. In una delle celebrazioni della Gmg noi canteremo le litanie dei Santi. Diremo i nomi di molti di loro e per ciascuno di loro dire-mo: “Mi raccomando: prega per me!”. In questa grande compagnia ci sono i Santi e c’è la Madre del Signore. Se voi prendete un bambino piccolo e lo prendete sulle spalle, il bambino vede più lontano di voi, perché si trova più in alto. Così è la Chiesa. Noi siamo sulle spalle di questi gran-di amici che sono nella storia della Chiesa e vediamo più avanti, forse anche più avanti di loro. Pensate: andare sulle spalle di Giovani Paolo II! Io vedo la Chiesa come il dono di spalle solide.

Pillole di ConcilioGS 14-15 GS 36

preghiamo insieme

“Dammi Signore,un cuore che ti pensi,un’anima che ti ami,una mente che ti contempli,un intelletto che ti intenda, una ragione che sempreaderisca fortemente a te, dolcissimo, e sapientemente,o amore sapiente, ti ami.”S. Agostino)

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2 anno - Convocati

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Sap. 9,1ss (preghiera di Salomone)

Dall’udienza del mercoledì di Giovanni Paolo II, Mercoledì 29 Gennaio 2003 Cantico: Sap 9, 1-6.9-11 - Signore, dammi la sapienza

Il Cantico ora proposto ci presenta la maggior parte di un’ampia preghiera posta in bocca a Salomone, che nella tradizione biblica è considerato il re giusto e il sapiente per eccellenza. A offrircela è il capitolo nono del Libro della Sapienza, uno scritto dell’Antico Testamento compo-sto in greco forse ad Alessandria d’Egitto, alle soglie dell’era cristiana. Vi si coglie un’espres-sione del giudaismo vivace e aperto della Diaspora ebraica nel mondo ellenistico.

Tre sono sostanzialmente i percorsi di pensiero teologico che questo libro ci propone: l’im-mortalità beata come approdo finale dell’esistenza del giusto (cfr cc. 1-5); la sapienza come dono divino e guida della vita e delle scelte del fedele (cfr cc. 6-9); la storia della salvezza, so-prattutto l’evento fondamentale dell’esodo dall’oppressione egizia, come segno di quella lotta tra bene e male, che sfocia in una piena salvezza e redenzione (cfr cc. 10-19).

Salomone visse una decina di secoli prima dell’autore ispirato del Libro della Sapienza, è sta-to però considerato come il capostipite e l’artefice ideale di tutta la riflessione sapienziale po-steriore. La preghiera innica posta sulle sue labbra è un’invocazione solenne rivolta al «Dio dei padri e Signore di misericordia» (9,1), perché conceda il dono preziosissimo della sapienza.

È evidente nel nostro testo l’allusione alla scena narrata nel Primo Libro dei Re, allorché Sa-lomone, agli esordi del suo regno, si reca sull’altura di Gabaon, ove sorgeva un santuario, e, dopo aver celebrato un grandioso sacrificio, ha nella notte un sogno-rivelazione. Alla richiesta stessa di Dio, che lo invita a chiedergli un dono, egli risponde: «Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1Re 3,9).

Lo spunto offerto da questa invocazione di Salomone è sviluppato nel nostro Cantico in una serie di appelli rivolti al Signore, perché conceda il tesoro insostituibile che è la sapienza.

Nel brano ritagliato dalla Liturgia delle Lodi troviamo queste due implorazioni: «Dammi la sapienza… Mandala dai cieli santi, dal tuo trono glorioso» (Sap 9, 4.10). Senza questo dono si ha la consapevolezza di essere senza guida, quasi privi di una stella polare che orienti nelle scelte morali dell’esistenza: «Io sono… uomo debole e di vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi… privo della tua sapienza, (l’uomo) sarebbe stimato un nulla» (vv. 5-6).

È facile intuire che questa «sapienza» non è la semplice intelligenza o l’abilità pratica, ma piuttosto la partecipazione alla mente stessa di Dio che «con la sua sapienza ha formato l’uo-mo» (cfr v. 2). È, quindi, la capacità di penetrare nel senso profondo dell’essere, della vita e della storia, andando oltre la superficie delle cose e degli eventi per scoprirne il significato ultimo, voluto dal Signore.

La sapienza è come una lampada che illumina le nostre scelte morali di ogni giorno e ci conduce sulla retta via, a «conoscere che cosa è gradito agli occhi del Signore e ciò che è con-

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2 anno - Convocati

forme ai suoi decreti» (cfr v. 9). Per questo la Liturgia ci fa pregare con le parole del Libro della Sapienza all’inizio di una giornata, proprio perché Dio con la sua sapienza sia accanto a noi e «ci assista e affianchi nella fatica» quotidiana (cfr v. 10), svelandoci il bene e il male, il giusto e l’ingiusto.

Con la mano nella mano della Sapienza divina noi ci inoltriamo fiduciosi nel mondo. A lei ci aggrappiamo, amandola di amore sponsale sull’esempio di Salomone che, sempre secondo il Libro della Sapienza, confessava: «Questa (cioè la sapienza) ho amato e ricercato fin dalla mia gio-vinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza» (8,2).

I Padri della Chiesa hanno identificato in Cristo la Sapienza di Dio, sulla scia di san Paolo, che definiva Cristo «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24).

Preghiera: Commento al Salmo 118/1: Saemo 9, p. 377 di S. Ambrogio

Tu insegnami le parole ricche di sapienza, perché tu sei la Sapienza! Tu apri il mio cuore, Tu che hai aperto il Libro! Tu apri quella porta che sta in cielo, perché tu sei la Porta! Se ci si introdurrà attraverso di Te, si possederà il Regno eterno; se si entrerà attraverso di Te, non ci si ingannerà, perché non può sbagliarsi chi abbia fatto il suo ingresso nella dimora della Verità.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare e animare la recita del santo rosario

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre TeresaDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

Fides et ratio

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2.2 Credere in chi ci ha amati per primo Dio creatore

TEMA DELL’UNITA’:

Creazione e redenzione, azioni di un unico Dio.

Obiettivo

• Approfondire la visione cristiana riguardo a Dio creatore.• Scoprire il legame tra creazione e redenzione.• Dare strumenti ai giovanissimi perché siano in grado di leggere e comprendere i pri-

mi due capitoli del libro della Genesi, e di superare così la dicotomia “ha ragione la Bibbia o ha ragione la scienza riguardo all’origine dell’universo?”

• Scoprire attraverso la creazione, il volto di Dio creatore e il suo progetto d’amore per l’uomo e per il modo.

• Scoprire il valore delle realtà create nel loro rapporto al creatore ed il rispetto loro dovuto.

• Educare all’ascolto, allo stupore, alla lode e al ringraziamento dinanzi alle bellezze del creato.

• Riflettere sulla realtà dell’ esperienza di vita dell’uomo che gli rivela il suo essere creatura come sua dimensione reale e costitutiva, imprescindibile per la sua realizza-zione piena.

• Far crescere la consapevolezza di essere creature e quindi l’atteggiamento di abban-dono fiducioso a Dio che mi ama e mi salva.

• Educare alla sobrietà e all’essenzialità per la condivisione dei propri averi e di se stessi con chi è più povero.

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2 anno - Convocati

VEDERE

rapporto con le cose (sono una creatura o sono padrone e quindi dio io?)/povertà/rapporto con se stessi “io sono immagine di Dio”

spunti di riflessioneDa dove ha avuto origine il mondo? Perché è stato creato così? Le cose create sono un “ser-

vizio” all’uomo? Cosa provo davanti alle bellezze del creato? Ringrazio per le cose che mi circondano?

E io da dove vengo? La vita è mia? Cosa c’è nella mia esperienza reale che me lo dice? Cosa c’è che mi dice il contrario? Come reagisco davanti a questo, cioè davanti a tutte le situazioni che non mi vanno bene, non ho scelto e non ho preventivato? Povertà: come reagisco davanti a questo termine? Mi riguarda? Come? Cosa mi suggerisce? Ci sono cose alle quali nella mia giornata non so rinunciare? Quali? Ci sono cose senza le quali non uscirei mai di casa? Come mai?

preghiamo insiemepreghiera di lode e ringraziamento in forma responsoriale (ogni adolescente loda Dio per le

cose create e ringrazia dei doni ricevuti)

Ripetiamo insieme: Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra (gen 14,22)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: gn. 1NT: ef. 1 (nuova creazione)

Il catechismoCdg/1 cap. 3 pag. 116-120

spunti di riflessionePerché Dio ha creato il mondo? Perché ha creato l’uomo? Qual è il progetto di Dio? Cosa

c’è di diverso fra il testo della Gn e quello di Efesini1? Se è all’interno di un progetto di amore perché ha lasciato che l’uomo si allontanasse da lui, sarebbe stato un mondo più perfetto?

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2 anno - Convocati

La parola dell’ArcivescovoDall’inizio della settimana Eucaristica S. Maria della Vita 7 febbraio 2005

“In principio Dio creò il cielo e la terra”. Carissimi fratelli e sorelle, la S. Scrittura – lampada che brilla in un luogo oscuro per guidare il nostro cammino ( cfr. 2Pt 1,19) – inizia con queste parole.

Esse narrano l’opera fondamentale del Signore Iddio: la creazione del cielo e della terra. Tutto ciò che esiste è opera delle sue mani, e noi non esistiamo per caso e per qualche inspiega-bile necessità. Siamo creati e conservati dall’amore onnipotente del Signore. È per questo che iniziamo la nostra professione di fede proclamando questa semplice e stupenda verità: “credo in un solo Dio creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili”.

La certezza che Dio “creò il cielo e la terra” fa nascere nel nostro cuore frutti di lode e di gra-titudine al Signore, come la Chiesa questa sera ci educa ponendo sulle nostre labbra le parole del Salmo: “benedici il Signore, anima mia; Signore, mio Dio, quanto sei grande. ... Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature”. La lode, l’adorazione, il ringraziamento sono gli elementi fondamentali di ogni vero atto religioso.

La certezza della creazione produce poi nell’uomo la vera coscienza di se stesso: ci fa capire chi siamo in verità. Ciascuno di noi è stato creato, pensato cioè e voluto da Dio medesimo, e quindi appartiene solo a Lui e deve rendere conto di se stesso a Lui. “Tutti infatti ci presen-teremo al tribunale di Dio” ci ricorda l’Apostolo “quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso” (Rm 14, 10-12). Nessuna parola esalta tanto la dignità della persona umana: solo a Dio essa renderà conto di se stessa; nessuna parola libera tanto dalla pericolosa illusione di un’autonomia che ci porta al di là del bene e del male: “tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio”.

Ma, carissimi fratelli e sorelle, noi siamo qui questa sera per dare inizio alla settimana eu-caristica, che durante l’Anno Eucaristico acquista una particolare importanza.

Esiste una connessione fra la verità della creazione insegnataci dalla parola di Dio e l’Euca-restia? Certamente. La dottrina cristiana è come una “sinfonia” nella quale ogni singola verità si armonizza ed è connessa con ogni altra.

Nella preghiera eucaristica noi fra pochi istanti diremo: “Padre santo, a Te la lode da ogni creatura”. Notate bene: da ogni creatura. È tutto l’universo che nella celebrazione eucaristica viene convocato a lodare il Padre. Ed infatti la “materia” del sacramento eucaristico, il pane e il vino, è “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”: mediante il pane e il vino anche l’univer-so materiale entra nella lode al Padre. Si compie veramente quanto abbiamo detto nel Salmo responsoriale.

Come è possibile questa partecipazione dell’universo materiale alla lode del Padre? Attra-verso la persona umana. È la persona umana, vero vertice di tutto il creato, che introduce tutta la creazione nel culto divino. L’universo può porsi difronte a Dio perché prende coscienza di sé nell’uomo e mediante l’uomo: questi è il sacerdote dell’intera creazione.

Ma come esercita l’uomo questo sacerdozio? Attraverso il sacrificio eucaristico. È il sacrifi-cio di Cristo sulla croce l’atto che rende pienamente gloria la Padre; è la sua Croce che unisce e riconcilia l’intera creazione col Padre. Noi siamo qui perché attraverso la celebrazione euca-ristica vogliamo partecipare realmente e personalmente a quel gesto di gloria e di lode con cui Cristo ri-conduce l’intera realtà al Padre.

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2 anno - Convocati

Egli mediante il suo Spirito faccia di noi un sacrificio perenne gradito al Padre e con noi ed in noi di tutta la creazione.

E Dio che disse: “sia la luce. E la luce fu”, faccia risplendere nei nostri cuori la conoscenza della gloria divina che rifulge nel volto di Cristo (cfr. 2 Cor 4,6), sommo sacerdote di tutta la creazione.

Pillole di ConcilioGS12 69

preghiamo insiemeSalmo 8

O Signore, nostro Dio,quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.Con la bocca dei bimbi e dei lattantiaffermi la tua potenza contro i tuoi avversari,per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissate,che cosa è l’uomo perché te ne ricordie il figlio dell’uomo perché te ne curi?

Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,di gloria e di onore lo hai coronato:gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi;tutti i greggi e gli armenti,tutte le bestie della campagna;Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,che percorrono le vie del mare.

O Signore, nostro Dio,quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

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2 anno - Convocati

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Dn 3,52-90 Cantico dei tre fanciulli

Dall’udienza del mercoledì di Giovanni Paolo II, Mercoledì, 10 luglio 2002 Cantico Dn 3, 57-88, 56: Ogni creatura lodi il Signore

Nel capitolo 3 del libro di Daniele è incastonata una luminosa preghiera litanica, un vero e proprio Cantico delle creature, che la Liturgia delle Lodi ci propone a più riprese, in frammen-ti diversi.

Ora ne abbiamo ascoltata la parte fondamentale, un grandioso coro cosmico, incorniciato da due antifone riassuntive: “Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esalta-telo nei secoli… Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento del cielo, degno di lode e di gloria nei secoli” (vv. 56.57).

Tra queste due acclamazioni si svolge un solenne inno di lode, che si esprime con il ripetuto invito “Benedite”: formalmente, si tratta solo di un invito a benedire Dio rivolto all’intera cre-azione; in realtà, si tratta di un canto di ringraziamento che i fedeli fanno salire al Signore per tutte le meraviglie dell’universo. L’uomo si fa voce di tutto il creato per lodare e ringraziare Dio.

Questo inno, cantato da tre giovani ebrei che invitano tutte le creature a lodare Dio, sboccia in una situazione drammatica. I tre giovani, perseguitati dal sovrano babilonese, si trovano immersi nella fornace ardente a motivo della loro fede. Eppure, anche se in procinto di subire il martirio, essi non esitano a cantare, a gioire, a lodare. Il dolore aspro e violento della prova scompare, sembra quasi dissolversi in presenza della preghiera e della contemplazione. È pro-prio questo atteggiamento di fiducioso abbandono a suscitare l’intervento divino.

Infatti, come attesta suggestivamente il racconto di Daniele, “l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco e rese l’interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia” (vv. 49-50). Gli incubi si disperdono come nebbia al sole, le paure si sciolgono, la sofferenza è cancellata quando tutto l’essere umano diventa lode e fiducia, attesa e speranza. È questa la forza della preghiera quando è pura, intensa, colma di abbandono in Dio, provvidente e redentore.

Il Cantico dei tre giovani fa sfilare davanti ai nostri occhi una specie di processione cosmica, che parte dal cielo popolato di angeli, dove brillano anche il sole, la luna e le stelle. Da lassù Dio effonde sulla terra il dono delle acque che sono sopra i cieli (cfr v. 60), cioè le piogge e le rugiade (cfr v. 64).

Ecco, però, soffiare anche i venti, esplodere le folgori e irrompere le stagioni col caldo e col gelo, con l’ardore dell’estate, ma anche con la brina, il ghiaccio, la neve (cfr vv. 65-70.73). Il po-eta coinvolge nel canto di lode al Creatore anche il ritmo del tempo, il giorno e la notte, la luce e le tenebre (cfr vv. 71-72). Alla fine lo sguardo si posa anche sulla terra, partendo dalle vette dei monti, realtà che sembrano congiungere terra e cielo (cfr vv. 74-75).

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Ecco, allora, unirsi nella lode a Dio le creature vegetali che germinano sulla terra (cfr v. 76), le sorgenti che apportano vita e freschezza, i mari e i fiumi con le loro acque abbondanti e misteriose (cfr vv. 77-78). Infatti il cantore evoca anche “i mostri marini” accanto ai pesci (cfr v. 79), come segno del caos acquatico primordiale a cui Dio ha imposto limiti da osservare (cfr Sal 92, 3-4; Gb 38, 8-11; 40, 15 - 41, 26).

È la volta poi del vasto e vario regno animale, che vive e si muove nelle acque, sulla terra e nei cieli (cfr Dn 3,80-81).

L’ultimo attore del creato a entrare in scena è l’uomo. Prima lo sguardo si allarga a tutti i “figli dell’uomo” (cfr v. 82); poi l’attenzione si concentra su Israele, il popolo di Dio (cfr v. 83); in seguito è la volta di coloro che sono consacrati pienamente a Dio non solo come sacerdoti (cfr v. 84), ma anche come testimoni di fede, di giustizia e verità. Sono i “servi del Signore”, gli “spiriti e le anime dei giusti”, i “pii e umili di cuore” e, tra costoro, emergono i tre giovani, Anania, Azaria, Misaele, che hanno dato voce a tutte le creature in una lode universale e pe-renne (cfr vv. 85-88).

Costantemente sono risuonati i tre verbi della glorificazione divina, come in una litania: “Be-nedite, lodate, esaltate” il Signore. È questa l’anima autentica della preghiera e del canto: cele-brare il Signore senza sosta, nella gioia di far parte di un coro che comprende tutte le creature.

Vorremmo concludere la nostra meditazione dando voce a Padri della Chiesa come Orige-ne, Ippolito, Basilio di Cesarea, Ambrogio di Milano, che hanno commentato il racconto dei sei giorni della creazione (cfr Gn 1, 1 - 2, 4a) proprio in connessione col Cantico dei tre giovani.

Ci limitiamo a raccogliere il commento di sant’Ambrogio, il quale, riferendosi al quarto giorno della creazione (cfr Gn 1, 14-19), immagina che la terra parli e, discorrendo del sole, trovi unite tutte le creature nella lode a Dio: “Buono davvero è il sole, perché serve, aiuta la mia fecondità, alimenta i miei frutti. Esso mi è stato dato per il mio bene, è assoggettato con me alla fatica. Geme con me, perché giunga l’adozione dei figli e la redenzione del genere umano, affinché possiamo essere anche noi liberati dalla schiavitù. Al mio fianco, insieme con me loda il Creatore, insieme con me innalza un inno al Signore nostro Dio. Dove il sole benedice, là benedice la terra, benedicono gli alberi fruttiferi, benedicono gli animali, benedicono con me gli uccelli” (I sei giorni della creazione, SAEMO, I, Milano-Roma 1977-1994, pp. 192-193).

Nessuno è escluso dalla benedizione del Signore, neppure i mostri marini (cfr Dn 3, 79). Continua infatti sant’Ambrogio: “Anche i serpenti lodano il Signore, perché la loro natura e il loro aspetto rivelano ai nostri occhi qualche bellezza e mostrano di avere una loro giustifica-zione” (ibidem, pp. 103-104).

A maggior ragione, noi esseri umani dobbiamo aggiungere a questo concerto di lode la no-stra voce lieta e fiduciosa, accompagnata da una vita coerente e fedele.

Preghiera: “Grazie a te, Signore, per le tue creature” dalle confessioni di S. Agostino

Grazie a te, Signore.Noi vediamo il cielo e la terra, ossia la parte corporea superiore e inferiore, come la creazione spirituale e corporea.Ornamento delle due parti, di cui consta tanto il complesso della mole del mondo, quanto in generale il com-plesso della creazione, vediamo la luce, creata e divisa dalle tenebre. Vediamo il firmamento del cielo, quello si-tuato fra le acque spirituali superiori e le acque corporee inferiori, corpo primario dell’universo, come la distesa

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fisica dell’aria, cui pure si dà il nome di cielo, ove vagano i volatili del cielo fra le acque che sono portate sopra di esso in forma di vapore per poi cadere in rugiada nelle notti serene, e le acque pesanti, che scorrono sulla terra.Vediamo il bell’aspetto delle acque riunite nelle distese del mare, e la terra arida, ora spoglia, ora ornata, fatta visibile e armoniosa quale madre di erbe e di alberi.Vediamo i lumi brillare sul nostro capo, il sole bastare da solo al giorno, la luna e le stelle consolare la notte, tutti insieme regolare e indicare il tempo.Vediamo l’elemento umido pullulare dovunque di pesci, di mostri e di esseri alati, poiché la densità dell’aria, sostegno al volo degli uccelli, si forma mediante l’evaporazione delle acque. Vediamo la faccia della terra ador-narsi di animali terrestri, e l’uomo, fatto a tua immagine e somiglianza, collocato sopra tutti gli animali privi di ragione appunto perché tua immagine e somiglianza, ossia dotato di ragione e intelletto. E come nell’anima dell’uomo v’è una parte che delibera e quindi domina, e una parte che soggiace, per ubbidire, cosi vediamo la donna fatta anche fisicamente per l’uomo. Essa possiede, si, uguale natura nella intelligenza razionale, ma nel sesso fisico è sottoposta al sesso maschile, come è sottoposto l’impulso dell’azione, per generare dalla ragione una norma di condotta sagace. Queste cose vediamo, singolarmente buone e tutte buone assai (13, 32, 47).

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta alla settimana alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre Teresa Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

G. Biffi, Padre onnipotente creatore del cielo e della terra

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2.3 Credere in chi ci ha amati per primo Cristo Figlio

TEMA DELL’UNITA’:

Cristo Gesù, Figlio di Dio, centro della nostra fede. Incontro con una persona che ci ama

Obiettivo

• Esaminare le nostre idee e posizioni riguardo alla persona di Gesù, vedere quanto c’è di mentalità comune nei ragazzi

• Riflettere sulla natura divina di Cristo, e sul significato che ha questo sull’incarna-zione.

• Crescere nella consapevolezza del nostro rapporto con Cristo, il Figlio per saper ri-spondere alla domanda “voi chi dite che Io sia”

• Riflettere sulla natura divina di Cristo, e sul significato e le conseguenze che ha que-sto per la propria vita e per le proprie scelte quotidiane.

• Aiutare i giovanissimi a considerare e a cercare di conoscere il mistero del legame fra la natura divina di Gesù e la sua natura umana, per potersi rapportare in modo sempre più profondo a Lui.

• Comprendere le conseguenze sulla vita del nostro gruppo e sulla vita della parroc-chia nel nostro stare insieme

• Comprendere e vivere le differenze che nascono dal nostro essere insieme, in gruppo, in parrocchia, nel nome di Gesù.

• Accompagnare i giovanissimi a vivere il natale come accoglienza a Dio che viene.• Far crescere il rapporto dei giovanissimi con Maria, “Madre di Dio”.

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2 anno - Convocati

VEDERE

“Voi chi dite che Io sia?”

spunti di riflessioneCome rispondo a questa domanda? Me la sono mai posta sul serio? Cosa potrebbe aiutar-

mi a rispondere? Conosco Gesù? Cosa mi aiuta e cosa mi ostacola nel conoscere di più Gesù? Come vorrei essere aiutato in questo? Cosa significa che Cristo è Figlio? Il fatto che Gesù sia “vero uomo e vero Dio” cosa mi svela di Dio, del suo “stile”, della relazione che vuole instau-rare con me? Cosa cambia nella mia vita?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

Ripetiamo insieme: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato (Salmo 2)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Is. 11,1-10NT: Mt 3,13-17 battesimo di Gesù; Lc1, 39-45 Maria ed Elisabetta; Mt 16,13-16 (confessione

di Pietro) Eb 1,1-14

Il catechismoCdg/1 cap. 2 pag. 65-67

spunti di riflessioneCosa rivela di Gesù il suo battesimo? Cosa rivela del suo rapporto con Dio? E di quello con

gli uomini? Chi è che ci rivela la natura profonda di Gesù? Come mai doveva essere battez-zato? Se mi fossi trovato là in quel momento, come avrei reagito? Cosa avrei pensato di Gesù? Cosa avrei fatto dopo (non solo nell’immediato, anche nei giorni seguenti…)? Cosa mi aiuta e cosa mi ostacola a conoscere e a comprender Gesù? Nella mia vita concreta, quanto posto è dedicato a Lui? Nell’incontro fra Maria ed Elisabetta, cosa ci viene rivelato di Gesù? In che modo questo fatto è legato alla gioia di Maria? Mi è mai capitato di vivere un’esperienza di gioia legata a Gesù, ad aver compreso qualcosa di Lui, anche avendo vissuto le feste che lo riguardano? Riesco a raccontare? Riesco a vedere questo nel Natale? Se sì, cosa mi aiuta? Se no, cosa mi ostacola?

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2 anno - Convocati

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia del Battesimo del Signore - Visita pastorale a Gaggio, 13 gennaio 2008

La santa Chiesa celebra oggi il mistero del Battesimo del Signore nel fiume Giordano. È un grande avvenimento carico di profondo significato. Poniamoci docilmente alla scuola della nar-razione evangelica per averne una vera comprensione.

“Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare”. La decisione di Gesù sconcerta e ci lascia stupiti. Il battesimo che Giovanni amministrava era un “battesimo di peni-tenza”, di cui faceva parte la confessione dei propri peccati. Il penitente entrava nella corrente del fiume e ne era come sommerso.

L’immersione nell’acqua del fiume aveva un duplice significato. Significava la morte: l’acqua è sempre anche una minaccia di morte che ti travolge. Ma in quanto corrente, l’acqua significa soprattutto la vita. Dunque, l’atto con cui il penitente si immergeva nel Giordano significava la sua volontà di porre fine alla sua vita peccaminosa e di iniziare una vita nuova, nella giustizia.

Gesù compie questa immersione: ma poteva compiere un simile gesto? È precisamente que-sto che chiede Giovanni, il quale “voleva impedirglielo, dicendo: io ho bisogno di essere battez-zato da te e tu vieni da me?”.

“Ma Gesù gli disse: lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia. Allora Giovanni acconsentì”. Miei cari fratelli e sorelle, per capire la difficile risposta di Gesù, la parola chiave è “giustizia”. Secondo gli Ebrei la giustizia consiste, è nella piena sottomissione alla Legge di Dio, la piena accettazione della volontà di Dio. Dunque – dice Gesù a Giovanni – “il gesto che io compio, è il segno esterno della mia totale obbedienza al Padre, della mia decisione ad eseguire il suo disegno”.

Quale disegno? Precisamente quello indicato dal simbolismo del battesimo. Gesù è venuto per prendere su di sé tutto il peccato del mondo, liberarne l’uomo, e reintegrarlo nella giustizia rigenerandolo alla vita nuova. Aiutiamoci in questi momenti colla nostra immaginazione. Gesù scende nell’acqua del fiume: Gesù entra nella morte e nel sepolcro; Gesù sale dall’acqua: Egli esce risorto dal sepolcro. Il battesimo del Giordano anticipa nel segno quanto accadrà in realtà colla Pasqua del Signore. La prova è ciò che accadde quando “appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua”.

“Ed ecco si aprirono i cieli”: i cieli sono la dimora di Dio, il luogo dunque in cui l’uomo non può penetrare. Ora si aprono: Dio si fa vicino all’uomo, e l’uomo diventa famigliare di Dio. “Vide lo Spirito Santo di Dio scendere come una colomba e venire su di Lui”: viene donato al Cristo lo Spirito perché come da sorgente si effonda su ciascuno di noi. “Ed una voce dal cielo disse: questi è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Nel Figlio unigenito che è Gesù anche ciascuno di noi, mediante il battesimo, diventa figlio adottivo del Padre. Fra la discesa – dono dello Spirito e la nostra adozione a figli c’è un legame molto stretto. Lo insegna S. Paolo: “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: abba, Padre” [Rom 8,15].

Cari fratelli e sorelle, nel fatto accaduto al fiume Giordano è stato anticipato in Gesù a nostro favore tutto l’avvenimento della nostra salvezza. Nel racconto evangelico noi veniamo a sapere chi è Gesù per noi, che cosa Egli ha fatto a nostra salvezza, come possiamo “appropriarci” di quella rigenerazione della nostra persona prefigurata al Giordano.

L’appropriazione avviene mediante la fede ed il battesimo. Poiché normalmente noi siamo

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2 anno - Convocati

stati battezzati ancora bambini, la nostra vita cristiana si configura come una progressiva ap-propriazione personale di quanto il nostro battesimo ha fatto in noi: una presa di coscienza dei doni fattici.

Come avviene questa appropriazione? È prima di tutto un fatto di consapevolezza; è dive-nire consapevoli dei “doni grandissimi e preziosi mediante i quali siamo diventati partecipi della natura divina” [cfr. 2Pt 1,4].

La consapevolezza si acquisisce mediate la catechesi. Essa non deve avvenire solo fino alla cresima; deve continuarsi fino alla maturità.

L’appropriazione del battesimo raggiunge il suo vertice, la sua “punta massima”, nella par-tecipazione all’Eucarestia. È l’Eucarestia che porta a perfezione il Battesimo. Il cristiano è colui che celebra l’Eucarestia.

Miei cari fedeli, il Vescovo è venuto a visitarvi per confortarvi e stimolarvi nel vostro itine-rario di progressiva appropriazione del battesimo che avete ricevuto. È il modo migliore di vivere la propria vita.

CONCILIO DI CALCEDONIA : definizione della fede riguardo alla duplice natura di Gesù e all’unicità della sua persona.

Seguendo, quindi, i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e mede-simo Figlio: il signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua uma-nità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato (45), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivi-se, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e me-desimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo, come prima i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, e come ci ha trasmesso il simbolo dei padri.

Pillole di ConcilioGS 32

preghiamo insieme

Signore Gesù, Figlio di Dio,Signore dei vivi e dei morti,abbi pietà di noi.Per la tua croce e la tua risurrezionemandaci lo Spirito di verità,facci conoscere il Padre,edifica la tua Chiesa,guidaci al Regno eterno. Amen

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2 anno - Convocati

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Col 1,15-20;

Dall’omelia a Manila, 29/11/70 di Paolo VI, papa dal 1963 al 1978 « Ma voi chi dite che io sia »

Cristo! Sí, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo: «Guai a me se non pro-clamassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). Io sono mandato da Lui, da Cristo stesso, per questo. Io sono apostolo, io sono testimonio. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è: l’amore che a ciò mi spinge (2 Cor 5, 14). Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (Mt 16, 16); Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito d’ogni creatura, è il fondamento d’ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uo-mo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità.

Io non finirei più di parlare di Lui: Egli è la luce, è la verità, anzi: Egli è «la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); Egli è il Pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete (Gv 6,35; 7,38); Egli è il Pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, Egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore, disgraziato e paziente. Per noi, Egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore ed i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i pecca-tori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli.

Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare; anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annuncio: «Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega» (Ap 21,6); Egli è il Re del nuovo mondo; Egli è il segreto della storia; Egli è la chiave dei nostri destini; Egli è il mediatore, il ponte, fra la terra e il cielo... Egli il Figlio dell’uomo, è il Figlio di Dio... è il Figlio di Maria... Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra (Rm. 10, 18), e per tutta la fila dei secoli.

Dall’udienza generale di Benedetto XVI, Mercoledì, 7 settembre 2005 Cantico cfr Col 1,3.12-20

Già in precedenza ci siamo soffermati sul grandioso affresco del Cristo, Signore dell’universo e della storia, che domina l’inno posto all’inizio della Lettera di san Paolo ai Colossesi. Questo can-tico, infatti, scandisce tutte le quattro settimane in cui si articola la Liturgia dei Vespri.

Il cuore dell’inno è costituito dai versetti 15-20, dove entra in scena in modo diretto e so-lenne Cristo, definito «immagine» del «Dio invisibile» (v. 15). Il termine greco eikon, «icona», è caro all’Apostolo: nelle sue Lettere lo usa nove volte applicandolo sia a Cristo, icona perfetta di Dio (cfr 2Cor 4,4), sia all’uomo, immagine e gloria di Dio (cfr 1Cor 11,7). Questi, tuttavia,

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col peccato «ha cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile» (Rm 1,23), scegliendo di adorare gli idoli e divenendo simile ad essi.

Dobbiamo, perciò, continuamente modellare la nostra immagine su quella del Figlio di Dio (cfr 2Cor 3,18), poiché siamo stati «liberati dal potere delle tenebre», «trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1,13).

Cristo è, poi, proclamato «primogenito (generato prima) di ogni creatura» (v. 15). Cristo precede tutta la creazione (cfr v. 17), essendo generato fin dall’eternità: per questo «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (v. 16). Anche nell’antica tradizione ebraica si affermava che «tutto il mondo è stato creato in vista del Messia» (Sanhedrin 98b).

Per l’Apostolo, Cristo è sia il principio di coesione («tutte le cose in lui sussistono»), sia il mediatore («per mezzo di lui»), sia la destinazione finale verso cui converge tutto il creato. Egli è «il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), ossia è il Figlio per eccellenza nella grande famiglia dei figli di Dio, nella quale ci inserisce il Battesimo.

A questo punto lo sguardo passa dal mondo della creazione a quello della storia: Cristo è «il capo del corpo, cioè della Chiesa» (Col 1,18) e lo è già attraverso la sua Incarnazione. Egli, infatti, è entrato nella comunità umana, per reggerla e comporla in un «corpo», cioè in una unità armoniosa e feconda. La consistenza e la crescita dell’umanità hanno in Cristo la radice, il perno vitale, «il principio».

Appunto con questo primato Cristo può diventare il principio della risurrezione di tutti, il «primogenito tra i morti», perché «tutti riceveranno la vita in Cristo… Prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo» (1Cor 15,22-23).

L’inno si avvia alla conclusione celebrando la «pienezza», in greco pleroma, che Cristo ha in sé come dono d’amore del Padre. È la pienezza della divinità che si irradia sia nell’universo sia nell’umanità, divenendo sorgente di pace, di unità, di armonia perfetta (Col 1,19-20).

Questa «riconciliazione» e «rappacificazione» è operata attraverso «il sangue della croce», da cui siamo giustificati e santificati. Versando il suo sangue e donando se stesso, Cristo ha ef-fuso la pace che, nel linguaggio biblico è sintesi dei beni messianici e pienezza salvifica estesa a tutta la realtà creata.

L’inno finisce, perciò, con un orizzonte luminoso di riconciliazione, unità, armonia e pace, sul quale si erge solenne la figura del suo artefice, Cristo, «Figlio diletto» del Padre.

Su questa densa pericope hanno riflettuto gli scrittori dell’antica tradizione cristiana. San Cirillo di Gerusalemme, in un suo dialogo, cita il cantico della Lettera ai Colossesi per rispon-dere a un anonimo interlocutore che gli aveva domandato: «Diciamo dunque che il Verbo generato da Dio Padre ha sofferto per noi nella sua carne?». La risposta, sulla scia del cantico, è affermativa. Infatti, afferma Cirillo, «l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura, visibile e invisibile, per il quale e nel quale tutto esiste, è stato dato - dice Paolo - per capo alla Chiesa: egli è inoltre il primo nato fra i morti», cioè il primo nella serie dei morti che risorgono. Egli, continua Cirillo, «ha fatto proprio tutto ciò che è della carne dell’uomo e “ha subito la croce, disprezzandone l’ignominia” (Eb 12,2). Noi diciamo che non un semplice uomo, colmo di onori, non so come, per la sua congiunzione a lui è stato sacrificato per noi, ma è lo stesso Signore della gloria colui che è stato crocifisso» (Perché Cristo è uno: Collana di Testi Patristici, XXXVII, Roma 1983, p. 101).

Davanti a questo Signore della gloria, segno dell’amore supremo del Padre, anche noi ele-viamo il nostro canto di lode e ci prostriamo adorando e ringraziando.

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Preghiera: tratta dalla tradizione orientale

“Credo in Gesù Cristo,Figlio di Dio e figlio dell’uomo:Immagine visibile e trasparentedell’invisibile volto di Dio:Immagine alta e puradel volto dell’uomocosì come lo ha sognatoil cuore di Dio:”

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla novena di Natale

AGIRE

Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre TeresaDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

C: M: Martini La donna nel suo popoloG. Biffi, Un Natale vero?

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2.4 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La vita pubblica di Gesù

TEMA DELL’UNITA’:

Conoscere la vita di Gesù, il suo annuncio, la sua missione, la chiamata a seguirlo

Obiettivi.

• Delineare le caratteristiche dei comportamenti di Gesù, il suo stile, e saperlo utilizzare

come verifica dei propri atteggiamenti o scelte.• Cogliere la novità dello stile relazionale di Gesù non basato sul giudizio ma sulla

misericordia.• Cogliere il volto del padre rivelato dallo stile di Gesù.• Aiutare i giovanissimi ad essere consapevoli che il vangelo consiste nella relazione

personale col signore Gesù, (e nella sua sequela) e nel vivere l’amore come dono di sé all’altro, come ha fatto Lui, irradiando così anche oggi, la sua presenza.

• Aiutare i giovanissimi a vivere l’essere cristiani in ogni ambiente di vita, senza temere il confronto e senza ricercare l’omologazione.

• Scoprire e saper vivere la novità degli atteggiamenti vissuti da Gesù per la vita del gruppo, per il nostro stile comunitario di relazione

• Sapere utilizzare lo stile di Gesù come verifica dei nostri comportamenti nel gruppo e in parrocchia.

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VEDERE

la mia vita pubblica ( i problemi dell’essere cristiano e di farlo vedere)

spunti di riflessionecome mi comporto a scuola, in famiglia, nelle mie scelte di vita? Che differenza c’è tra me

e i miei compagni.? Lo sanno che sono cristiano? Se non glielo avessi detto, sarebbero riusciti a capirlo? Da che cosa? Cosa mi aiuta a comportarmi da cristiano sempre, in ogni situazione? Quali sono le situazioni dove ci riesco meglio? Riesco a capire come mai? Che difficoltà incon-tro, cosa invece mi ostacola? Ci sono situazioni in cui non ci riesco proprio? Come mai?

preghiamo insiemepreghiera richiesta in forma responsoriale (ogni adolescente chiede a Dio il perdono per

non essere un testimone e la forza per poterlo essere)

Ripetiamo insieme: Non vergognarti della testimonianza da rendere al Signore nostro, ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio.

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Osea 5NT: Lc 7, 36-50(peccatrice perdonata) mc2, 13-17 (chiamata di Levi) Lc 19, 1-10 (Zaccheo)

Mc 10, 17-31 (giovane ricco) Gv 15, 1-8 (La vite e i tralci) Mt 10, 5-42 (Discorso apostolico)

Il catechismoCdg/1: cap. 2 pag. 56-61

spunti di riflessioneRiflessione su Mc 10, 17-31 (giovane ricco)Che “tipo” è il giovane che si reca da Gesù? Come ci viene descritto? Cosa ci dicono di lui i

suoi gesti e le sue parole?Che cosa aveva visto e intuito di Gesù?Cosa cercava il giovane ricco? Che desiderio aveva nel cuore?Qual era la condizione “religiosa” del giovane? In che cosa consiste questo sguardo di Gesù? In che modo è collegato alla richiesta che farà?In che cosa consiste la richiesta di Gesù? Qual è il rapporto fra le due parti della richiesta

di Gesù? Quali sono le ricchezze del giovane? In che cosa gli sono di ostacolo? Come mai un incontro

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che era iniziato così bene si conclude in questo modo?Questo brano cosa suscita in noi? Ci spaventa, ci irrita, ci lascia indifferenti, ci piace, ci affa-

scina…riusciamo a dire come mai?Ci è mai capitato di accorgerci dello sguardo di Gesù su di noi ? In quali situazioni, attra-

verso quali persone?Quali sono le nostre ricchezze? Ci viene chiesto, oggi, concretamente, nella nostra vita, il

“seguimi” che è stato chiesto al giovane? Riusciamo ad accorgercene?Ci sono o ci sono state delle situazioni nella nostra vita in cui ci viene chiesto di lasciare le

nostre ricchezze per seguire Gesù? Cosa facciamo in genere? Cosa desidereremmo di poter fare? Cosa ci ostacola?

Al posto del giovane ricco, cosa avremmo fatto?Al posto di Pietro, cosa avremmo detto? Riusciamo a vedere nella nostra vita il centuplo

per uno promesso da Gesù?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della S. Messa in preparazione alla Pasqua per gli studenti, i docenti ed il personale non docente dell’Università

di Bologna Cattedrale di S. Pietro, 5 aprile 2006

“Se rimanete fedeli alla mia parola sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Carissimi giovani, è Gesù che vi ha chiamati questa sera, perché egli desi-dera incontrarvi; egli desidera che accada nella vostra vita “qualcosa” che la renda veramente buona, grande, degna di essere vissuta. Che cosa? Che voi conosciate la verità e che la verità conosciuta vi faccia liberi.

Gesù inizia con voi il suo dialogo, carissimi amici, dicendovi subito due grandi parole, forse le più grandi che risuonano nel discorso umano: verità e libertà. Non solo, ma pone uno stretto legame fra le due: è la verità conosciuta che vi farà liberi; è la verità che genera la libertà. Era la cosa più “controcorrente” che Gesù poteva dirvi. Sì, poiché vi è continuamente insegnato che parlare di verità è pericoloso per la libertà dell’uomo; che solo i relativisti sono i custodi della libertà umana; che chi afferma l’esistenza di valori assoluti, indisponibili cioè alla negoziazio-ne umana, è nemico della democrazia. Ma Gesù questa sera vi dice: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. È la verità che rende liberi. Ma quale verità? quale libertà?

Voglio rispondere a queste domande ricordandovi un episodio narrato nel Vangelo secon-do Luca: l’incontro fra Gesù e Zaccheo. Zaccheo è un ladro, e chi ruba è schiavo del denaro al quale sacrifica anche la giustizia. Egli vuole vedere Gesù e Gesù passando si ferma e lo guar-da: il dialogo fra due persone inizia spesso da un profondo intrecciarsi di sguardi. Chiede a Zaccheo di essere invitato a cena. È durante quella cena, è a causa di quell’incontro che il ladro riceve in dono un nuovo orizzonte di vita e intravede la possibilità di vivere donando piut-tosto che possedendo. Vedete, carissimi giovani: ha incontrato Cristo, è divenuto libero dalla schiavitù del possesso; libero perché capace di amare.

Quale verità ci rende liberi? ci eravamo chiesti. È ciò che ci viene svelato in Gesù: nella sua persona, nella sua vita, nella sua parola; è cioè il volto del Mistero come Amore che si prende cura di noi. È la persona di Cristo vivente nella Chiesa che ci fa liberi.

Quale libertà ci viene donata dall’incontro colla verità che è il Cristo? È una profonda tra-sformazione del proprio io. La S. Scrittura usa una terminologia fortissima: ri-nascita; ri-ge-

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nerazione. È un nuovo inizio, ma nel tuo essere. Non in senso morale principalmente: cambia la vita, certo, ma perché è stata trasformata la struttura interiore dell’io. L’evangelista, come avete sentito, parla della “schiavitù del peccato”. Quando l’uomo conosce la verità, incontra cioè Cristo, egli libera la forza della sua volontà per il bene; è posto nella comunione con il Padre e con gli altri. La libertà liberata è questa comunione: “lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre”.

Carissimi giovani, avete sentito nella prima lettura il racconto di tre giovani che rifiutarono di sottomettersi al potente che imponeva loro un atto di idolatria.

Non fermatevi alle particolari circostanze storiche del racconto; questo vi priverebbe della possibilità di coglierne la drammatica attualità.

C’è anche oggi un potere di carattere culturale [si fa per dire] che limita, menoma e quasi spezza alle radici stesse la vostra libertà, nella vostra anima, nel vostro cuore, nella vostra co-scienza.

Quando quel potere cerca di convincervi che non esiste nessuna verità immutabile circa ciò che è bene/male per l’uomo, ma che tutto è negoziabile dalle convenzioni sociali, è come dirvi che in qualunque momento ogni scelta vale come il suo contrario. Una tale libertà è una condanna, perché presuppone una totale neutralità di ciò che esiste; presuppone che ciascuno sia originariamente e completamente solo.

Guardatevi da questi mercanti del nulla, anche se fanno uso - come il re Nabucodonosor - del “suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpicordo … e di ogni specie di strumenti musicali”. Se cioè fanno uso di ragionamenti apparentemente a favore dell’uomo.

Anche a ciascuno di voi Gesù questa sera viene incontro e vi dice: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. È un’esigenza ed un ammonimento. Un’esigenza: è un rapporto onesto colla verità la condizione della libertà; un ammonimento: senza questo rapporto colla verità la persona non realizza se stesso. L’uomo è libero quando si sottomette alla verità.

Pillole di ConcilioGS 32

preghiamo insieme: “Il ballo dell’obbedienza” di Madeleine Delbrel

Noi abbiamo suonato il flautoe voi non avete danzatoE’ il 14 luglioTutti si apprestano a danzare.Dappertutto, dopo mesi, dopo anni,il mondo danzaOndate di guerra, ondate di ballo.

C’è proprio molto rumore.La gente seria è a letto.I religiosi recitano il mattutino di sant’Enrico, re.E io, penso

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All’altro re.Al re Davide che danzava davanti all’Arca.

Perché se ci sono molti santi che non amano danzareCe ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare,Tanto erano felici di vivere:Santa Teresa con le sue nacchere,San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia,E san Francesco, davanti al papa.

Se noi fossimo contenti di te, Signore,Non potremmo resistereA questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo,E indovineremmo facilmenteQuale danza ti piace farci danzareSposando i passi che la tua Provvidenza ha segnato.

Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanzaDella gente che, sempre, parla di servirticon l’aria da capitano,Di conoscerti con aria da professore,Di raggiungerti con regole sportive,Di amarti come ci si ama in un matrimonio invecchiato.Un giorno in cui avevi un po’ voglia d’altroHai inventato san Francesco,E ne hai fatto il tuo giullare.Spetta a noi ora di lasciarci inventarePer essere gente allegra che danza la propria vita con te.

Per essere un buon danzatore, con te come con tutti,Non occorre sapere dove la danza conduce.Basta seguire,Essere gioioso,Essere leggero,E soprattutto non essere rigido.

Non occorre chiederti spiegazioniSui passi che ti piace fare.Bisogna essere come un prolungamento,Vivo ed agile, di te.E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l’orchestrascandisce.Non bisogna volere avanzare a tutti i costi,Ma accettare di girarsi, di andare di fianco.

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Bisogna sapersi fermare e sapere scivolare invece dicamminare.Ma non sarebbero che passi senza sensoSe la musica non ne facesse un’armonia.

Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,E facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica;Dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,Che la tua Santa VolontàE’ di una inconcepibile fantasia,E che non c’è monotonia e noiaSe non per le anime vecchie,Che fanno tappezzeriaNel ballo gioioso del tuo amore.

Signore, Vieni a invitarci.Siamo pronti a danzarti questa corsa da fare,Questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia incui avremo sonno.Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro,Quella del caldo, e quella del freddo, più tardi.Se certe arie sono spesso in minore, non ti diremoChe sono tristi;Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremoChe sono logoranti.E se qualcuno ci urta, la prenderemo in ridere;Sapendo bene che questo capita sempre quando si danza.

Signore, insegnaci il postoChe tiene, nel romanzo eternoAvviato fra te e noi,Il ballo singolare della nostra obbedienza.

Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni;In essa quel che tu permettiDà suoni straniNella serenità di quel che tu vuoi.

Insegnaci a indossare ogni giornola nostra condizione umanaCome un vestito da ballo che ci farà amare da te,tutti i suoi dettagliCome indispensabili gioielli.

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Facci vivere la nostra vita,Non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato,Non come una match dove tutto è difficile,Non come un teorema rompicapo,Ma come una festa senza finein cui l’incontro con te si rinnova,Come un ballo,Come una danza,Fra le braccia della tua grazia,Nella musica universale dell’amore.

Signore, vieni a invitarci!.....

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Gv 15, 1-8 (La vite e i tralci)

Dal discorso di Benedetto XVI, incontro con i giovani a Genova, Domenica, 18 maggio 2008

Gesù ha detto: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). Gesù non fa giri di parole, è chiaro e diretto. Tutti lo comprendono e prendono posizione. La vita dell’anima è incontro con Lui, Volto concreto di Dio; è preghiera silenziosa e perseverante, è vita sacramentale, è Vangelo meditato, è accompa-gnamento spirituale, è appartenenza cordiale alla Chiesa, alle vostre comunità ecclesiali.

Ma come si può amare, entrare in amicizia con chi non si conosce? La conoscenza spinge all’a-more e l’amore stimola la conoscenza. E’ così anche con Cristo. Per trovare l’amore con Cristo, per trovarlo realmente come compagno della nostra vita, dobbiamo innanzitutto conoscerlo. Come quei due discepoli che lo seguono dopo le parole del Battista e dicono in modo timido: “Rabbì, dove abiti?”, vogliono conoscerlo da vicino. E’ lo stesso Gesù che, parlando con i discepoli, di-stingue: “Chi dice la gente chi io sia”, riferendosi a coloro che lo conoscono da lontano, per così dire, “di seconda mano”, e “Chi dite voi chi io sia?”, riferendosi a coloro che lo conoscono “di prima mano”, avendo vissuto con Lui, essendo entrati realmente nella sua vita personalissima fino ad essere testimoni della sua orazione, del suo dialogo con il Padre. Così anche per noi è importante non ridurci semplicemente alla superficialità dei tanti che hanno sentito qualcosa di Lui - che era una grande personalità ecc. - ma entrare in una relazione personale per conoscerlo realmente. E questo esige la conoscenza della Scrittura, dei Vangeli soprattutto, dove il Signore parla con noi. Non sempre sono facili queste parole, ma entrando in esse, entrando in dialogo, bussando alla porta delle parole, dicendo al Signore “Aprimi”, troviamo realmente parole di vita eterna, parole vive per oggi, attuali come lo erano in quel momento e come lo saranno in futuro. Questo colloquio con il Signore nella Scrittura deve essere sempre anche un colloquio non solo

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individuale, ma comunionale, nella grande comunione della Chiesa, dove Cristo è sempre pre-sente, nella comunione della liturgia, dell’incontro personalissimo della Santa Eucaristia e del sacramento della Riconciliazione, dove il Signore dice a me “Ti perdono”. E anche un cammino molto importante è aiutare i poveri bisognosi, avere tempo per l’altro. Ci sono tante dimensioni per entrare nella conoscenza di Gesù. Naturalmente anche le vite dei Santi. Solo così, conoscen-do personalmente Gesù, possiamo anche comunicare questa nostra amicizia agli altri. Possiamo superare l’indifferenza. Perché anche se appare invincibile - in effetti, qualche volta l’indifferen-za sembra che non abbia bisogno di un Dio - in realtà, tutti sanno che qualcosa manca nella loro vita. Solo avendo scoperto Gesù, si rendono conto: “Era questo che aspettavo”. E noi, quanto più siamo realmente amici di Gesù, tanto più possiamo aprire il cuore anche agli altri, perchè anche loro diventino veramente giovani, avendo cioè davanti a sé un grande futuro.

Andate, carissimi giovani, negli ambienti di vita, nelle vostre parrocchie, nei quartieri più difficili, nelle strade! Annunciate Cristo Signore, speranza del mondo. Quanto più l’uomo si allontana da Dio, la sua Sorgente, tanto più smarrisce se stesso, la convivenza umana diventa difficile, e la società si sfalda. State uniti tra voi, aiutatevi a vivere e a crescere nella fede e nella vita cristiana, per poter essere testimoni arditi del Signore. State uniti, ma non rinchiusi. Siate umili, ma non pavidi. Siate semplici, ma non ingenui. Siate pensosi, ma non complicati. Entrate in dialogo con tutti, ma siate voi stessi. Restate in comunione con i vostri Pastori: sono ministri del Vangelo, della divina Eucaristia, del perdono di Dio. Sono per voi padri e amici, compagni della vostra strada. Voi avete bisogno di loro, e loro - noi tutti - abbiamo bisogno di voi.

Ciascuno di voi, cari giovani, se resta unito a Cristo e alla Chiesa può compiere grandi cose.

Preghiera: S. Ambrogio

Noi ti seguiamo, o Signore Gesù:ma, per poterti seguire,chiamaci,perché senza di te, nessuno procede innanzi.Tu solo se Via, Verità, VitaAccoglici come una Via comoda ed invitante;rassicuraci come la Verità sa rassicurare;fa di noi degli esseri vivi, poiché tu sei la Vita.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta alla settimana alla messa feriale

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AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre TeresaDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

C. M. Martini “Testimoni del risorto con Pietro”

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2.5 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La passione e morte: amore che accetta anche di soffrire e salva

TEMA DELL’UNITA’:

L’amore più è profondo, più accetta di soffrire.

Obiettivi:

• Affrontare il nodo dato dalla presenza del male e della sofferenza che porta i giova-nissimi a dubitare della presenza del Signore.

• Aiutare i giovanissimi a far spazio alle possibilità di crescita e di maturazione che la vita comporta, anche quando sono faticose e dolorose.

• Aiutare i ragazzi a concepire il dolore non come un “tradimento di Dio”, ma come un momento della sua promessa di bene e di vita.

• Accompagnare i giovanissimi a scoprire nella passione di Gesù la fedeltà dell’amore di Dio che non arretra davanti al male, e per questo salva.

• Aiutare i giovanissimi a viver la preghiera della “via crucis” come una scuola d’amore.• Aiutare i giovanissimi a portare nella preghiera le proprie sofferenze e difficoltà, so-

prattutto se sono molto grandi.• Vivere la sofferenza , nella sua difficoltà, come occasione per sperimentare la grazia

del Signore e rinnovare la propria adesione a Lui e alla sua Chiesa.• Accompagnare i giovanissimi a dire grazie con la vita e con la preghiera anche per le

“cose” meno gradite, vivendole come occasioni per rispondere all’amore di Gesù che ha sofferto per noi.

• Educare i giovanissimi ad affrontare le difficoltà e i dolori della vita comunitaria, sia di gruppo che in parrocchia.

• Educare i giovanissimi ad uno stile di prossimità con chi soffre e a non lasciarsi spa-ventare dal dolore e dalla presenza di chi soffre.

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2 anno - Convocati

VEDERE

sofferenza, male ricevuto

spunti di riflessioneQuando sono triste, o se mi è capitato di soffrire, come reagisco? In quei momenti, come è

stato il mio rapporto con Dio? Cosa gli ho detto, cosa gli ho chiesto? Che sentimenti ho pro-vato per Lui? Che domande fa nascere in me l’esperienza del dolore, sia mio che altrui? Che domande fa nascere in me l’esperienza della sofferenza di Gesù?

preghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande riguardo al tema e gli affida le sue tristezze.

Ripetiamo insieme: Io sono infelice e sofferente; la tua salvezza, Dio, mi ponga al sicuro. (salmo 68,30)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Giobbe 1-3; Is. 53; NT: Lc9, 23-26 Passione secondo Luca

Il catechismoCdg/1: cap. 4 pag. 198-199

spunti di riflessioneChe domande fa nascere in me l’esperienza della sofferenza di Gesù? Quali sono gli atteggiamenti di Gesù durante la passione? Quale mi colpisce di più, sia che

mi piaccia, sia che mi irriti? Come vive Gesù il dolore e la tristezza che prova? Come fa ad affrontarli? In tutto il brano, quali parti mi colpiscono di più, mi commuovono o mi sembrano belle, e davanti a quali altre sento resistenza in me? Riesco a capire come mai? Se fossi stato presente, come avrei reagito a ciò che accadeva? In quale dei personaggi mi ritrovo? Davanti alla sofferenza di Gesù, cosa provo?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia del Venerdì Santo – “in Passione Domini” Cattedrale di S. Pietro, 21 marzo 2008

In questa santa azione liturgica ci è chiesto di dimenticare completamente noi stessi. “Vol-geranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”, ci ha detto il profeta. È questo ciò che dobbia-mo fare in questo momento: volgere lo sguardo a colui che abbiamo trafitto.

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Non possiamo però non chiederci: perché tutto questo? Perché questa passione, questa morte? Certamente disponiamo di risposte pronte, a portata di mano. Da sempre esistono tribunali che emettono sentenze sbagliate: è capitato anche a Gesù. Quanti innocenti sono stati condannati lungo i secoli! Oppure possiamo pensare ad una ragione più alta e misteriosa. In questo mondo il giusto è perseguitato, l’innocente è combattuto, non raramente l’ingiustizia e la prepotenza hanno il sopravvento.

Senza negare che queste ragioni abbiano una loro verità e plausibilità, esse tuttavia sono insoddisfacenti.

L’inizio della narrazione che Giovanni fa della Passione del Signore è impressionante. È Gesù che liberamente decide di consegnarsi; la sua passione e la sua morte è la conseguenza di una scelta libera: “si è offerto perché Lui stesso lo ha voluto”. Sempre nel Vangelo secondo Giovanni Gesù aveva detto di non fare nulla da se stesso, ma che il cibo della sua vita era fare la volontà del Padre. Gesù dunque ha scelto liberamente di morire, e nel modo che ora abbia-mo sentito narrare.

Il Padre ha voluto che il suo Figlio unigenito subisse il supplizio della croce. Il Figlio ha dato Se stesso alla morte “mosso dallo Spirito eterno” [cfr. Eb 9,14].

Miei cari fratelli e sorelle, la nostra mente prova come una sorta di vertigine nell’ascoltare dalla parola di Dio la rivelazione di questo mistero: la morte dell’Unigenito è un fatto nel quale a titolo diverso sono coinvolte le tre divine Persone. Perché il mistero di Dio ha voluto alla fine mostrarsi, rivelarsi in questo modo, cioè nella passione e morte del Verbo fatto carne?

È ancora il Vangelo di Giovanni che ci mette finalmente sulla strada: “Dio … ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” [3,16]. E l’apostolo Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” [Rom 5,8]. La croce è stata pensata, voluta e compiuta perché l’uomo si convincesse che Dio lo ama: è stata pensata e voluta come inequivocabile dimostrazione della passione di amore che Dio ha per l’uomo. Ancora l’apostolo Paolo: “Egli … non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” [Rom 8,32].

“Non ha risparmiato”, dice il testo sacro. Sembra come sottintendere la volontà divina di non fermarsi di fronte a nulla, di non “risparmiarsi nulla” pur di convincere l’uomo che Dio lo ama.

Miei cari fratelli e sorelle, noi questa sera dobbiamo uscire da questa Cattedrale con nel cuore un’intima inconfutabile certezza: “Dio mi ama” e “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” [Rom 8,31]. Un grande poeta greco aveva avuto come la percezione istantanea di ciò che tutto questo significa, quando scrisse: “Viviamo un giorno. Cosa siamo noi? Cosa non siamo mai? Sogno di un’ombra/, un uomo. Ma quando un bagliore, che è dono divino, ci giunga,/ lucente fulgore sovrasta noi uomini, e dolce è la vita” [Pindaro, Pitica 8,95-97; trad. C. Neri].

L’uomo cessa di essere il sogno di un ombra, poiché un lucente fulgore questa sera lo sovra-sta: la certezza che Dio lo ama e si prende cura di lui.

Perché tanto “interesse” di Dio a dimostrare all’uomo il suo amore, se non perché questi Gli corrisponda? “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”, aveva detto Gesù. L’attra-zione non è esercitata da un potere che costringe, ma da un amore che convince.

Fra poco faremo la “Preghiera universale”: porremo davanti al Padre tutte le necessità del mondo, della Chiesa, di ogni uomo credente e non. La “causa dell’uomo” sta a cuore a Dio. Anzi nel suo Figlio unigenito l’ha fatta propria: la “causa di Dio” non è altro che la “causa

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2 anno - Convocati

dell’uomo”. Dal momento che “la gloria di Dio è l’uomo che vive” [S. Ireneo, Contro le eresie IV,20,7].

Proprio “volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto”, chi crede giunge a conoscere la sublime dignità dell’uomo e a dire: “quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del Creatore se “ha meritato di avere un tanto nobile e grande salvatore”” [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis, 10].

Pillole di ConcilioGS 18

preghiamo insiemesalmo 22

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Fil 2,1-5

Dall’udienza generale di Benedetto XVI Mercoledì, 26 ottobre 2005 Cantico Fil 2,6-11 Cristo, servo di Dio

Ancora una volta, seguendo il percorso proposto dalla Liturgia dei Vespri coi vari Salmi e Cantici, abbiamo sentito risuonare il mirabile ed essenziale inno incastonato da san Paolo nel-la Lettera ai Filippesi (2,6-11).

Abbiamo già in passato sottolineato che il testo comprende un duplice movimento: discen-sionale e ascensionale. Nel primo, Cristo Gesù, dallo splendore della divinità che gli appar-tiene per natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della «morte di croce». Egli si mostra così veramente uomo e nostro redentore, con un’autentica e piena partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte.

Il secondo movimento, quello ascensionale, svela la gloria pasquale di Cristo che, dopo la morte, si manifesta nuovamente nello splendore della sua maestà divina.

Il Padre, che aveva accolto l’atto di obbedienza del Figlio nell’Incarnazione e nella Passione, ora lo «esalta» in modo sovraeminente, come dice il testo greco. Questa esaltazione è espressa non solo attraverso l’intronizzazione alla destra di Dio, ma anche con il conferimento a Cristo di un «nome che è al di sopra di ogni altro nome» (v. 9).

Ora, nel linguaggio biblico il «nome» indica la vera essenza e la specifica funzione di una persona, ne manifesta la realtà intima e profonda. Al Figlio, che per amore si è umiliato nella morte, il Padre conferisce una dignità incomparabile, il «Nome» più eccelso, quello di «Signo-re», proprio di Dio stesso.

Infatti, la proclamazione di fede, intonata coralmente da cielo, terra e inferi prostrati in ado-razione, è chiara ed esplicita: «Gesù Cristo è il Signore» (v. 11). In greco, si afferma che Gesù è Kyrios, un titolo certamente regale, che nella traduzione greca della Bibbia rendeva il nome di

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Dio rivelato a Mosé, nome sacro e impronunciabile. Con questo nome “Kyrios” si riconosce Gesù Cristo vero Dio.

Da un lato, allora, c’è il riconoscimento della signoria universale di Gesù Cristo, che riceve l’omaggio di tutto il creato, visto come un suddito prostrato ai suoi piedi. Dall’altro lato, però, l’acclamazione di fede dichiara Cristo sussistente nella forma o condizione divina, presentan-dolo quindi come degno di adorazione.

In questo inno il riferimento allo scandalo della croce (cfr 1Cor 1,23), e prima ancora alla vera umanità del Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14), si intreccia e culmina con l’evento della risurrezione. All’obbedienza sacrificale del Figlio segue la risposta glorificatrice del Padre, cui si unisce l’a-dorazione da parte dell’umanità e del creato. La singolarità di Cristo emerge dalla sua funzione di Signore del mondo redento, che Gli è stata conferita a motivo della sua obbedienza perfetta «fino alla morte». Il progetto di salvezza ha nel Figlio il suo pieno compimento e i fedeli sono invitati - soprattutto nella liturgia - a proclamarlo e a viverne i frutti.

Questa è la meta a cui ci conduce l’inno cristologico che da secoli la Chiesa medita, canta e considera guida di vita: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).

Affidiamoci ora alla meditazione che san Gregorio Nazianzeno ha intessuto sapientemente sul nostro inno. In un carme in onore di Cristo il grande Dottore della Chiesa del IV secolo dichiara che Gesù Cristo «non si spogliò di nessuna parte costitutiva della sua natura divina, e ciò nonostante mi salvò come un guaritore che si china sulle fetide ferite… Era della stirpe di David, ma fu il creatore di Adamo. Portava la carne, ma era anche estraneo al corpo. Fu generato da una madre, ma da una madre vergine; era circoscritto, ma era anche immenso. E lo accolse una mangiatoia, ma una stella fece da guida ai Magi, che arrivarono portandogli dei doni e davanti a lui piegarono le ginocchia. Come un mortale venne alla lotta con il demo-nio, ma, invincibile com’era, superò il tentatore con un triplice combattimento… Fu vittima, ma anche sommo sacerdote; fu sacrificatore, eppure era Dio. Offrì a Dio il suo sangue, e in tal modo purificò tutto il mondo. Una croce lo tenne sollevato da terra, ma rimase confitto ai chiodi il peccato… Andò dai morti, ma risorse dall’inferno e risuscitò molti che erano morti. Il primo avvenimento è proprio della miseria umana, ma il secondo si addice alla ricchezza dell’essere incorporeo… Quella forma terrena l’assunse su di sé il Figlio immortale, perché egli ti vuol bene» (Carmina arcana, 2: Collana di Testi Patristici, LVIII, Roma 1986, pp. 236-238).

Alla fine di questa meditazione vorrei sottolineare due parole per la nostra vita. Innanzi-tutto questo ammonimento di san Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Imparare a sentire come sentiva Gesù; conformare il nostro modo di pensare, di decidere, di agire ai sentimenti di Gesù. Prendiamo questa strada, se cerchiamo di conformare i nostri sentimenti a quelli di Gesù: prendiamo la strada giusta. L’altra parola è di san Gregorio Nazianzeno: “Egli, Gesù, ti vuol bene”. Questa parola di tenerezza è per noi una grande con-solazione e un conforto, ma anche una grande responsabilità, giorno dopo giorno.

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Preghiera: dalle preghiere di Taizè

O Cristo, dalla tua pienezzaTutto noi abbiamo ricevuto;tu sei la nostra speranza eterna,paziente e pieno di misericordiaper tutti quelli che ti invocano. Intercedi per noi, o Signore.O Cristo, sorgente di vita e di santità,tu hai espiato i nostri peccati,ti sei caricato del pesodelle nostre colpe. Intercedi per noi, o Signore.O Cristo, obbediente fino alla morte,trafitto per i nostri peccati,sorgente di ogni consolazione,tu sei la nostra vita. Intercedi per noi, o Signore.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla stazione quaresimale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre TeresaDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

C. M. Martini La Madonna del sabato santo.

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2.6 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La risurrezione: Gesù vivo mi dona una vita di comunione con Lui e con la Chiesa Eucaristia (comunione nella Chiesa)

TEMA DELL’UNITA’:

La domenica, giorno della risurrezione, pasqua settimanale costituisce la Chiesa e la fa cre-scere nella comunione che nasce dalla celebrazione eucaristica.

Obiettivi:

• Riflettere sul bisogno di festa presente nel cuore di ognuno, sul suo senso e sui criteri che permettono di distinguere una festa “vera” e appagante da un’altra solo apparente.

• Far maturare, come singoli e come gruppo, la gioia come caratteristica e potenzialità della vita cristiana.

• Riflettere sul significato della risurrezione, sulla “festa” che ha portato nel modo e sul suo legame con la domenica.

• Imparare lo stile di “festa” della pasqua di Gesù con le sue esigenze e saperlo confrontare con lo stile di festa del nostro mondo per saper compiere scelte consapevoli e libere.

• Comprendere il senso dell’eucarestia: il volto di Dio che si rivela in essa, lo stile di re-lazione con gli uomini che Gesù manifesta in essa, il suo essere “pane di vita” per noi, essenziale per vivere da cristiani, e far crescere la fede nella presenza reale, efficace ed operante del Signore in essa

• Scoprire il legame fra l’eucarestia e la Chiesa, il senso del suo essere famiglia che fa germo-gliare la comunione nell’ascolto della parola e nello spezzare il pane, lo stile di accoglienza e servizio che qualifica il suo essere comunità.

• Comprendere la centralità della domenica per il proprio essere cristiani ed il suo essere “Pasqua settimanale” per passare dalla partecipazione alla Messa “per dovere”, ad una partecipazione che sia ricerca e incontro personale e comunitario col Signore.

• Educare a vivere l’eucarestia con la consapevolezza di partecipare al banchetto di Gesù.• Accompagnare il giovanissimo a riconoscere la centralità dell’ascolto della parola e del-

la partecipazione alla celebrazione eucaristica come dono e segno della presenza del Signore,origine, senso e fine della comunità parrocchiale e di tutta la chiesa.

• Aiutare i giovanissimi a vivere la certezza di non essere soli nel percorrere il sentiero della maturità umana e di fede, ma di essere accompagnati ed accolti dal Signore nella comuni-tà, al di là delle capacità delle singole persone.

• Far crescere uno stile “eucaristico” di apertura, accoglienza e servizio agli altri (gruppo, parrocchia) nelle relazioni che ciascuno vive.

• Educare alla fraternità con i poveri.

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2 anno - Convocati

VEDERE

Cos’è per noi la festa?/ come viviamo la domenica? (Messa e giorno della domenica)

spunti di riflessioneCos’è per me una festa?Quali sono per me gli ingredienti di una festa? Come mai desidero

fare festa? Perché è festa la domenica? Come vivo la domenica? Come vivo la Messa? Che cosa mi aiuta a viverla come una festa? Riesco a viverla come festa anche se non ci sono questi elementi? Se non ci riesco, cosa mi ostacola? Se sì, cosa mi aiuta?

preghiamo insiemepreghiera di lode e ringraziamento in forma responsoriale (ogni adolescente loda e ringra-

zia Dio per il dono della festa)

Ripetiamo insieme: Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità. (1Cor 5,8)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Manna Es. 16NT: Gv 6; Gv. 13; Lc 24

Il catechismoCdg/1: cap. 3 pag. 150-155

spunti di riflessione“Gli Israeliti videro la manna e si dissero l’un l’altro: Man hu: che cos’è?, perché non sape-

vano cosa fosse”. Forse anche noi non stimiamo questo pane vivo che è Gesù perché non lo conosciamo abbastanza. Sant’Agostino, che aveva girato molte agenzie per scoprirvi risposte serie alla vita, quando giunse a Cristo esclamò: “Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto antica e tanto nuova!”. Prima ci arriviamo, prima troveremo “ristoro per le nostre anime” (Mt 11,29).

Nel brano di Giovanni chi ci rappresenta maggiormente, la folla, i discepoli, i giudei… ?Cosa ci chiede Gesù a noi “folle sazie”?

La parola dell’Arcivescovo Dall’omelia del Giovedì Santo: S. Messa “in Coena Domini” Cattedrale di San Pietro, 5 aprile 2007

Che cosa realmente accade quando celebriamo l’Eucarestia ci viene rivelato dal gesto che

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2 anno - Convocati

Gesù compie nell’ultima Cena e narratoci nel S. Vangelo.Nell’Eucarestia celebriamo il fatto di un Dio che si alza dalla tavola della sua divinità; de-

pone le vesti della sua gloria divina che non considera un tesoro da custodire gelosamente; si cinge attorno l’umiltà della nostra umanità, e si pone al servizio dell’uomo: muore perché l’uomo viva. Ogni uomo sente rivolte a sé le parole dette a Pietro: “se non ti laverò, non avrai parte con me”. O uomo, se non ti lasci amare da Dio in questo modo; se non apri la tua libertà e il tuo cuore – la parte più intima del suo essere – a questo amore, non avrai parte alla vita eterna di Dio. L’Eucarestia è il capolinea insuperabile del cammino che Dio ha compiuto verso l’uomo e la possibilità data all’uomo di accogliere l’amore di Dio.

Ma nello stesso momento in cui la celebrazione eucaristica ci attira dentro all’atto oblativo di Gesù, inscrive nella storia umana e nei rapporti sociali una trasformazione della realtà. Genera un nuovo modo di convivere: “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. C. Caffarra

Dalla conclusione del Congresso Eucaristico Diocesano Piazza Maggiore, 7 ottobre 2007

“E cominciò a lavare i piedi dei discepoli ed asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto”. Miei cari fratelli e sorelle, la lavanda dei piedi dei discepoli da parte di Gesù è il più potente gesto profetico che Egli abbia compiuto. Esso significa che l’amore di Gesù verso l’uomo è giunto al suo limite estremo: “li amò sino alla fine”.

Quanto sarebbe accaduto il giorno dopo sulla croce viene ora pienamente anticipato nel cuore di Cristo e prefigurato nella lavanda dei piedi. Dio si prende cura dell’uomo “non consi-derando un tesoro geloso la sua gloria divina, ma spogliando se stesso, “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”” [cfr. Fil 2,6-8].

Quanto era stato prefigurato nella lavanda dei piedi; quanto accadde sulla croce, ora e in questo luogo è reso sacramentalmente ma realmente presente nella celebrazione eucaristica. Anche se coperto dai veli sacramentali, noi siamo presenti al dono che di Se stesso Cristo fece sulla croce per la nostra redenzione. Davanti a ciascuno di noi e per ciascuno di noi Egli ora compie il servizio che redime la nostra dignità.

Il fatto che stiamo celebrando il grande mistero dell’Amore non dentro ai templi ma pub-blicamente, nella piazza centrale della nostra città e per così dire nel suo cuore, è ricco di si-gnificato: ciò che celebriamo costituisce l’unica vera svolta accaduta nel tormentato cammino dell’umanità. Ciò che celebriamo in questa piazza, che tanti eventi ha visto nella storia della nostra città, è l’unico avvenimento che può renderla ciò che essa ha sempre desiderato di es-sere: una città a misura d’uomo.

Per quale ragione? Riascoltiamo il Signore: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi do-vete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Ciò che nel Cenacolo è prefigurato, sulla Croce realizza-to, nell’Eucarestia ripresentato costituisce il cambiamento radicale dei rapporti fra le persone umane: “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. L’uomo – ogni uomo e ogni donna – sente nel suo cuore che questa è la verità di se stesso, la verità e la bellezza del rapporto sociale, sentendosi – ogni uomo ed ogni donna – fatto per amare e non per odiare.

Ma questa parola risuona nella forma del dovere: “anche voi dovete …”. E chi è capace di realizzare questo che è il desiderio più profondo dell’uomo, amare ed essere amato? O non

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dobbiamo forse dare ascolto alla voce suadente e devastante di un nichilismo sempre più pervasivo, secondo il quale non esiste una risposta che sia adeguata all’ampiezza del nostro cuore? No, davvero, miei cari fratelli e sorelle!

Il Corpo ed il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché anche noi progressivamente trasfor-mati in Cristo, diventiamo capaci di “lavarci i piedi gli uni gli altri”. A ciò che Cristo ha fatto nel Cenacolo – sulla Croce noi partecipiamo. Egli cessa di essere solo un modello da imitare, ma diventa in noi la sorgente di una energia che trasforma alla radice il nostro modo di essere liberi. L’Eucarestia è unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi. Egli è in noi e noi siamo in Lui. La dinamica del suo amore ci penetra e ci possiede. Questo altare vuole essere come un “fuoco” che entra nella nostra città – nelle sue vie, nelle sue case, nei palazzi del potere politico ed economico – perché il servizio all’uomo diventi la sua misura dominante. Come ci ha appena detto l’Apostolo: “egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro… Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova”.

Pillole di ConcilioSC 47-48

preghiamo insieme

AdorateMi nella Mia forma debole e piccolaIn essa, nel Pane eucaristico,si racchiude l’immensità del Mio Amore,veramente e sostanzialmente presente.L’Amore è la Mia sostanza,tutto il mio Essere è Amore che si riversa,Mistero di tutti i misteri, nascosto,percepibile solo alla fede nell’Amore,Miracolo dei miracoli,celato eppure vivente e vicino.Non c’è pienezza di vita più veradella Presenza che è in questo Pane in te.Il tuo solo cuore può accogliere ciò chenessun cielo può contenere: l’Amore di Dio,racchiuso in un piccolo Pane.È infinitamente grande, Si dona perché tudivenga altrettanto Amore, Amore che noncessa mai più, che ti avvolge e trasformae ti racchiude nel centro del Suo Cuoree lì ti tiene in un eterno abbraccio.(Giovanni Paolo II)

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2 anno - Convocati

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Mt 26,20-30

Dall’Angelus di Benedetto XVI, Castel Gandolfo Domenica, 25 settembre 2005 Proseguendo la riflessione sul Mistero eucaristico, cuore della vita cristiana, oggi vorrei

porre in luce il legame esistente tra l’Eucaristia e la carità. “Carità” - in greco agape, in latino caritas - non significa prima di tutto l’atto o il sentimento benefico, ma il dono spirituale, l’a-more di Dio che lo Spirito Santo effonde nel cuore umano e che lo muove a donarsi a sua volta a Dio stesso e al prossimo (cfr Rm 5,5). L’intera esistenza terrena di Gesù, dal concepimento alla morte in croce, è stata un unico atto d’amore, tanto che possiamo riassumere la nostra fede in queste parole: Jesus Caritas, Gesù Amore. Nell’Ultima Cena, sapendo che “era giunta la sua ora” (Gv 13,1), il divino Maestro offrì ai discepoli l’esempio supremo di amore lavando loro i piedi e affidò ad essi la sua più preziosa eredità, l’Eucaristia, in cui è concentrato tutto il mistero pasquale, come ha scritto il venerato Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia (cfr n. 5).

“Prendete e mangiate, questo è il mio corpo … bevetene tutti, questo è il mio sangue” (Mt 26,26-27). Le parole di Gesù nel Cenacolo anticipano la sua morte e manifestano la coscienza con cui Egli l’ha affrontata, trasformandola nel dono di sé, nell’atto d’amore che si dona totalmen-te. Nell’Eucaristia il Signore si dà a noi con il suo corpo, la sua anima e la sua divinità, e noi diventiamo una sola cosa con lui e tra noi. La nostra risposta al suo amore dev’essere allora concreta, si deve esprimere in un’autentica conversione all’amore, nel perdono, nella reciproca accoglienza e nell’attenzione ai bisogni di tutti. Tante e molteplici sono le forme del servizio che possiamo rendere al prossimo nella vita di ogni giorno. L’Eucaristia diventa così la sorgen-te dell’energia spirituale che rinnova il mondo nell’amore di Cristo.

Esemplari testimoni di questo amore sono i santi, che hanno tratto dall’Eucaristia la forza di una carità operosa e non di rado eroica. Penso a san Vincenzo de’ Paoli, del quale celebreremo dopodomani la memoria liturgica, il quale affermava: “Che gioia servire la persona di Gesù Cristo nelle sue povere membra!”. Penso alla beata Madre Teresa, fondatrice delle Missionarie della Carità, che nei più poveri tra i poveri amava Gesù, ricevuto e contemplato ogni giorno nell’Ostia consacrata. Prima e più di tutti i santi, la carità divina ha colmato il cuore della Vergine Maria. Dopo l’Annunciazione, spinta da Colui che portava in grembo, la Madre del Verbo incarnato si recò in fretta a visitare e aiutare la cugina Elisabetta. Preghiamo perché ogni cristiano, nutrendosi del Corpo e del Sangue del Signore, cresca sempre più nell’amore verso Dio e nel servizio generoso ai fratelli.

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2 anno - Convocati

Preghiera: S. Ambrogio

Alla mensa dei tuo dolcissimo convito, o pio Signore Gesù Cristo, io, peccatore e privo di meriti, mi accosto tremante, solo confidando nella tua misericordia e bontà.Anima e corpo ho macchiati di molte colpe, la mente e la lingua non ben custodite. Dunque, o pio Signore, o terribile maestà, io misero, stretto fra le angustie, ricorro a te, fonte di misericordia, a te mi affretto per essere risanato, sotto la tua protezione mi rifugio. Quello che non posso sostenere come Giudice, sospiro di averLo come Salvatore.A te, o Signore, mostro le mie piaghe, a te scopro la mia vergogna. Conosco i miei peccati, che sono molti e grandi, per i quali io temo. Spero nelle tue misericordie senza numero.Guarda dunque verso di me con gli occhi della tua clemenza, o Signore Gesù Cristo, Re eterno, Dio e uomo, che per l’uomo fosti crocifisso. Esaudiscimi, poiché spero in te, abbi misericordia di me pieno di miseria e di peccati, tu che non cesserai mai di far scaturire la fonte della misericordia. Salve, o vittima della Salvezza, offerta sul patibolo della Croce per me e per tutto il genere umano. Salve, o nobile e prezioso Sangue, che sgorghi dalle ferite dei mio crocifisso Signore Gesù Cristo e lavi i peccati di tutto il mondo.Ricordati, o Signore, della tua creatura, che hai redento col tuo Sangue. Mi pento di aver peccato e desidero di rimediare a ciò che ho fatto. Togli dunque da me, o clementissimo Padre, tutte le mie iniquità ed i miei peccati, affinché, purificato di mente e di corpo, meriti di gustare degnamente il Santo dei santi; e concedimi che questa santa partecipazione dei Corpo e dei Sangue tuo, che io, sebbene indegno, intendo di ricevere, sia remissione dei miei peccati, perfetta purificazione dei miei delitti, fuga dei cattivi pensieri, rigenerazione dei buoni sentimenti, salutare efficacia di opere che ti piacciano, sicura tutela dell’anima e dei corpo contro le insidie dei miei nemici. Così sia.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare al triduo pasquale.

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre Teresa Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

R. Cantalamessa L’eucarestia, nostra santificazioneEcclesia de eucarestiaMane nobiscum DominumG. Biffi, All’origine della celebrazione eucaristica

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2.7 Credere per vivere un amore che ci cambia Il dono dello Spirito Santo: la pentecoste

TEMA DELL’UNITA’:

Lo Spirito Santo ci guida alla verità per vivere nella libertà

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo alla verità e al suo rapporto con la libertà, sia nel rapporto con se stessi che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per ri-uscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli dell’influenza della mentalità comune sui loro pensieri, orientamenti e scelte, per aiutarli a scegliere in modo sempre più libero.

• Allenarsi alla ricerca della verità e a vivere la libertà in rapporto con essa.• Conoscere e comprendere la visione cristiana della verità e il suo rapporto con la

libertà, la centralità di Gesù in questo e il ruolo dello Spirito Santo a guidarci a Lui.• Accompagnare i giovanissimi ad interrogarsi sulla propria ricerca della verità e della

libertà in rapporto alla propria fede.• Aiutare i giovanissimi a fare le scelte concrete della loro vita seguendo consapevol-

mente Gesù Verità per vivere nella libertà• Aiutare i giovanissimi a comprendere come la vita delle persone (in famiglia, nel

gruppo, a scuola, in parrocchia, nella società) cresce quando si ricerca la verità e si agisce di conseguenza ed educarli a verificare questo nella vita di gruppo.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione riguardo alla verità e alla libertà nella mentalità comune, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Aiutare i giovanissimi a chiedere la sapienza cristiana e la docilità del cuore nella preghiera

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2 anno - Convocati

VEDERE

“Quale verità?” /rapporto verità/libertà

spunti di riflessioneche cos’è la verità? Quello che penso è vero? Esiste una verità oggettiva? Cosa mi aiuta a

trovarla, e ad esserle fedele? Cosa mi ostacola? Quali difficoltà incontro sia dentro di me che nel mondo intorno a me? Che rapporto c’è fra sincerità e verità? Sono capace di essere sincero? In quali situazioni mi riesce meglio? Riesco anche a essere vero? Sono collegate verità e liber-tà? In che modo? Nelle mie scelte concrete, dov’è il legame? Se so che una cosa è vera, questo cambia il mio modo di agire? Come? Cosa intendo per libertà? In che modo la mia fede c’entra con la libertà? Quando la fa crescere? Se si ostacolano, come mai? Fra la mia fede e la verità c’è un legame? Quale?

preghiamo insieme

preghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi Gv 8,32

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Sap. 7,7-14 preghiera di Salomone; 1° re 3,5-14; Sap 9,1-8NT: atti 2 Gv 16,7-15(manderò il consolatore che vi guiderà alla verità tutta intera) Gv8,31-

32; Gv. 14,6.16-17

Il catechismoCdg/1: cap. 5 pag. 262-264

spunti di riflessioneChe cos’è libertà? Poter fare tutto ciò che si vuole, senza ledere la libertà altrui. Libertà di parola, di pensiero,

ecc. Possibilità di godere di una serie di diritti, nel rispetto dei diritti altrui (quindi osservando al contempo una serie di doveri). Questa forma di libertà a tutti nota, fondamento della società civile, è senz’altro necessaria, tuttavia non è sufficiente: non è sufficiente a realizzare quella pienezza di vita promessa dall’ideale di libertà sognato dagli uomini di tutti i tempi. È Gesù a proporre, per così dire, un “sovrappiù” di libertà, l’unico all’altezza dei desideri profondi

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2 anno - Convocati

dell’uomo. Quale libertà? “Se rimanere fedeli alla mia parola”: la libertà proposta da Gesù non è un “fare di testa

propria”, un “farsi da sé”; al contrario, è radicata nell’ascolto, nell’obbedienza ad una parola che non è mia, ma Sua. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”: la libertà non è fondata sull’arbitrio personale, su “quel che pare a me”, ma su una verità oggettiva e assoluta; è la verità, non il libero arbitrio, a farmi libero.

Ma quali sono questa “parola” e questa “verità” che mi fanno libero? Sono il silenzio di Gesù di fronte a Pilato, la verità emersa da quel processo che Gesù ha subito per noi:l’amore di un Dio che dà la vita per me, ecco la parola e la verità che mi rendono libero!

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della S. Messa in preparazione alla Pasqua per gli studenti, i docenti ed il personale amministrativo dell’Uni-

versità di Bologna 16 marzo 2005 Cattedrale di S. Pietro

“Gesù disse a quei Giudei che avevano creduto in Lui: se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Carissimi fratelli e sorelle, queste parole di Gesù penetrano nel nucleo centrale della nostra vita, perché riguar-dano il costituirsi del nostro io mediante la libertà. Il rapporto fra verità e libertà è il rapporto decisivo nella vita umana.

Anche a voi, a ciascuno di voi che a titoli diversi fate parte della comunità dell’Università dell’Alma Mater, Cristo questa sera viene vicino e vi dice: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

Con queste parole Cristo vi rivela un’esigenza fondamentale del vostro cuore, ed insieme vi dà un grave ammonimento. L’esigenza è quella di un rapporto necessario colla verità come fondamento di un’autentica libertà; l’ammonimento è che non confondiate libertà vera e li-bertà solo apparente, che non vi accontentiate di essere liberi solo superficialmente. Il punto centrale è il seguente: la verità rende liberi; fuori della verità l’uomo è schiavo. Ma di quale verità Cristo parla? di quale libertà?

La conoscenza della verità caratterizza in un certo senso tutta la vostra presenza nella co-munità universitaria: che cosa è infatti l’università se non schola veritatis, dove maestri e discepoli si pongono al suo servizio? Ma Cristo dà questa sera alla parola verità un significato che non esclude certo, ma integra in profondità quello di una conoscenza scientificamente raggiunta.

Verità sulla bocca di Gesù significa rivelazione del Mistero, del progetto divino circa l’uo-mo. Questa Rivelazione accade nella sua persona, nella sua parola, nella sua intera storia. Rivelando all’uomo il Mistero di Dio, Gesù svela anche all’uomo l’uomo stesso. Pertanto “nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo .. Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo” [Cost. past. Gau-dium et spes 22,1; EV1/1385]. È di questa verità che Cristo questa sera vi parla, e dice: “solo se tu conoscerai questa verità, tu diventerai libero”. Solo se la verità su Dio e su te stesso – quale si manifesta in Cristo – prenderà possesso della tua persona tu sarai libero: “se rimanete fedeli alla mia parola sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”.

Ma di quale libertà Cristo parla? la libertà è un potere incomparabile di costruzione e di

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distruzione della persona che l’esercita. È capacità di aderire al bene, a tutto il bene, ma nello stesso tempo è misteriosamente inclinata a tradire quest’apertura. È da questa inclinazione della libertà a rinchiudere la persona dentro al proprio egoismo, che Cristo libera la nostra libertà. Questa liberazione accade in noi nella misura in cui la Verità che ci dona Cristo, perva-de tutte le dimensione della nostra persona. La conoscenza e l’assimilazione della Verità che è Cristo trasforma l’intima struttura della persona umana perché la colloca nella sua dimora propria: la comunione con il Padre e con ogni uomo. Questa è la “casa dell’uomo” in cui lo schiavo non rimane. “Non cercare una liberazione che ti porti lontano dalla casa del tuo libe-ratore” ci ammonisce S. Agostino [En. In Ps XCIX,7; CCL 39.1397]. Chi esce dalla verità che è Cristo diventa schiavo.

Carissimi studenti, desidero dire una parola speciale a voi nella luce della parola di Cristo. È in modo speciale a ciascuno di voi che questa sera Cristo si fa vicino. Come Colui che vuo-

le donarvi la libertà autentica perché basata sulla verità; come Colui che vi libera da ciò che vi impedisce di amare e di godere della bontà e della bellezza; come Colui che vuole purificare il vostro cuore da tutto ciò che distrugge in esso e nella vostra coscienza l’autentica libertà. Fate spazio a Lui e alla sua parola; che la sua diventi una Presenza sempre più “invadente”: quanto più apparterrete a Lui, tanto più sarete liberi. I martiri lo confermano.

I giorni della Pasqua vi sono dati perché possiate, appropriando e assimilando tutta la real-tà dell’atto redentivo, ritrovare pienamente voi stessi: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” [Gal 5,1].

Pillole di ConcilioLG 4

preghiamo insieme

Vieni Santo Spirito

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Atti 1,1-10

Dal messaggio di Benedetto XVI per la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù

La promessa dello Spirito Santo nella BibbiaL’attento ascolto della Parola di Dio a riguardo del mistero e dell’opera dello Spirito Santo

ci apre a conoscenze grandi e stimolanti che riassumo nei punti seguenti.Poco prima della sua ascensione, Gesù disse ai discepoli: «Manderò su di voi quello che il

Padre mio ha promesso» (Lc 24,49). Ciò si realizzò nel giorno della Pentecoste, quando essi

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erano riuniti in preghiera nel Cenacolo con la Vergine Maria. L’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente fu il compimento di una promessa di Dio assai più antica, annunciata e preparata in tutto l’Antico Testamento.

In effetti, fin dalle prime pagine la Bibbia evoca lo spirito di Dio come un soffio che «aleg-giava sulle acque» (cfr Gn 1,2) e precisa che Dio soffiò nelle narici dell’uomo un alito di vita (cfr Gn 2,7), infondendogli così la vita stessa. Dopo il peccato originale, lo spirito vivificante di Dio si manifesterà diverse volte nella storia degli uomini, suscitando profeti per incitare il popolo eletto a tornare a Dio e ad osservarne fedelmente i comandamenti. Nella celebre visione del profeta Ezechiele, Dio fa rivivere con il suo spirito il popolo d’Israele, raffigurato da “ossa ina-ridite” (cfr 37,1-14). Gioele profetizza un’”effusione dello spirito” su tutto il popolo, nessuno escluso: «Dopo questo - scrive l’Autore sacro -, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo... Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito» (3,1-2).

Nella “pienezza del tempo” (cfr Gal 4,4), l’angelo del Signore annuncia alla Vergine di Na-zaret che lo Spirito Santo, “potenza dell’Altissimo”, scenderà e stenderà su di lei la sua ombra. Colui che ella partorirà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio (cfr Lc 1,35). Secondo l’e-spressione del profeta Isaia, il Messia sarà colui sul quale si poserà lo Spirito del Signore (cfr 11,1-2; 42,1). Proprio questa profezia Gesù riprese all’inizio del suo ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore - Egli disse fra lo stupore dei presenti - è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr Is 61,1-2). Rivolgendosi ai presenti, riferirà a se stesso queste parole profetiche affermando: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ed ancora, pri-ma della sua morte in croce, annuncerà più volte ai discepoli la venuta dello Spirito Santo, il “Consolatore”, la cui missione sarà quella di rendergli testimonianza e di assistere i credenti, insegnando loro e guidandoli alla Verità tutta intera (cfr Gv 14,16-17.25-26; 15,26; 16,13).

La Pentecoste, punto di partenza della missione della Chiesa

La sera del giorno della sua risurrezione Gesù, apparendo ai discepoli, «alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,22). Con ancor più forza lo Spirito Santo scese sugli Apostoli il giorno della Pentecoste: «Venne all’improvviso dal cielo un rombo - si legge negli Atti degli Apostoli - come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (2,2-3).

Lo Spirito Santo rinnovò interiormente gli Apostoli, rivestendoli di una forza che li rese audaci nell’annunciare senza paura: «Cristo è morto e risuscitato!». Liberi da ogni timore essi iniziarono a parlare con franchezza (cfr At 2,29; 4,13; 4,29.31). Da pescatori intimoriti erano diventati araldi coraggiosi del Vangelo. Persino i loro nemici non riuscivano a capire come mai uomini «senza istruzione e popolani» (cfr At 4,13) fossero in grado di mostrare un simile coraggio e sopportare le contrarietà, le sofferenze e le persecuzioni con gioia. Niente poteva fermarli. A coloro che cercavano di ridurli al silenzio rispondevano: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Così nacque la Chiesa, che dal giorno della Pentecoste non ha cessato di irradiare la Buona Novella «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

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Preghiera: “Vieni in me, Spirito Santo” di S. Agostino

Vieni in me, Spirito Santo,Spirito di sapienza:donami lo sguardo e l’udito interiore,perchè non mi attacchi alle cose materiali,ma ricerchi sempre le realtà spirituali.Vieni in me, Spirito Santo,Spirito dell’amore:riversa sempre piùla carità nel mio cuore.Vieni in me, Spirito Santo,Spirito di verità:Concedimi di pervenirealla conoscenza della veritàin tutta la sua pienezza.Vieni in me, Spirito Santo,acqua viva che zampillaper la vita eterna:fammi la grazia di giungerea contemplare il volto del Padrenella vita e nella gioia senza fine. AMEN

.Momento di preghiera in parrocchia

Partecipare almeno una volta alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre TeresaDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

Giovanni Paolo II, FIDES ET RATIO parte terzaGiovanni Paolo II, VERITATIS SPLENDOR n. 31-34

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2.8 Credere per vivere un amore che ci cambia La Chiesa santa

TEMA DELL’UNITA’:

La chiesa santa perché edificata da Dio, da Lui santificata, comunità di figli amati e perdo-nati che sono così disponibili a perdonarsi l’un l’altro

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vi-vono riguardo al perdonare e al chiedere perdono sia nel rapporto con se stessi, con Dio, che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli dell’influenza della mentalità comune sui loro pensieri, orientamenti e scelte, per aiutarli a scegliere in modo sempre più libero.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione riguardo al perdonare e al chiedere perdono nella mentalità comune, saperla confrontare con quella cristiana per cogliere come questa sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Imparare a riconoscere all’interno di noi stessi le resistenze che abbiamo nel chiedere perdono sia a Dio che agli altri, e nel perdonare, per poter affidare tutto a Dio e rice-vere da Lui un cuore capace di perdono.

• Aiutare i giovanissimi a superare il giudizio nei confronti dell’altro per vivere relazio-ni improntate all’accoglienza, alla gratuità e al perdono ed educarli a verificare questo nella vita di gruppo, vita di comunità superando le divisione e le mormorazioni.

• Coltivare l’umiltà e la pazienza come atteggiamenti indispensabili per poter perdo-nare.

• Approfondire e far comprendere la buona novella del perdono offerto da Dio nel suo Figlio Gesù

• Aiutare i giovanissimi ad essere consapevoli di essere figli amati e perdonati, a rin-graziare di questo dono gratuito per poter offrire a loro volta il perdono ricevuto.

• Riflettere e diventare consapevoli del significato del termine: Chiesa santa per passare da una aspettativa di chiesa perfetta alla consapevolezza di appartenere ad una co-munità di figli scelti, amati e perdonati da Dio in Cristo.

• Maturare un atteggiamento di appartenenza alla Chiesa, al di là delle esperienze vis-sute, positive, da cui trae forza, o negative, a cui guardare con serenità.

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• Insegnare ai giovanissimi a portare nella preghiera le proprie difficoltà riguardo al perdonare e a chiedere perdono.

• Riflettere sul sacramento della confessione per comprenderne il senso e viverlo in modo sempre più personale e profondo.

• Comprendere l’importanza del sacramento del perdono all’interno della propria ma-turazione umana e di fede.

• Fare dell’accoglienza e del perdono lo stile dei rapporti in famiglia, nel gruppo, e nel-la comunità parrocchiale e in tutti gli ambienti di vita

VEDERE

Tema del perdono. Nelle relazioni interpersonali, nella relazione con Dio (confessione come la vivo), nelle relazioni nella parrocchia e nella Chiesa (come considero io, gli sbagli nel grup-po, in parrocchia, nella chiesa.)

spunti di riflessioneCome viviamo l’essere perdonati? (siamo contenti, ci scoccia, non vogliamo, chi perdona è

un debole….Come viviamo il perdonare? Ci riusciamo? Se ci siamo riusciti qualche volta, come mai?

Cosa ci ha aiutato? Quando ci è tanto difficile da essere quasi impossibile? Ci è successa qual-che situazione di amicizia dove il perdonare ci ha aiutato?

Immaginiamo le situazioni quotidiane: casa, famiglia, scuola, amicizia, gruppo, squadra…cosa succede quando si perdona e quando no. Confrontare le situazioni.

Come viviamo la confessione? Quali sono i problemi più grandi che incontriamo? Abbiamo vissuto qualche confessione bella? Come mai, cosa ci è successo?

preghiamo insiemepreghiera di lode e ringraziamento in forma responsoriale (ogni adolescente loda e ringra-

zia Dio per il dono di Gesù)

ripetiamo insieme: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa Rom 5,25-26 oppure “Se il nostro cuore ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.” ( 1Gv 3, 19-21)

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CONFRONTARE

La BibbiaAT: Ez. 36, 24-28; Is. 30,19-21.23-26; Is 40,1-5.9-11; Baruc 5,1-9: Os 14,2-10NT: Mt 18, 15-35 (correzione fraterna in poi) gv. 8,1-11(adultera) lc 7,36-50 (peccatrice per-

donata)

Il catechismoCdg/1: cap. 5 pag. 265-266 spunti di riflessionePeccatrice perdonata

Se io fossi stato lì presente, come avrei reagito davanti alla scena? Che atteggiamento ha la peccatrice? Che cosa mi rivela dei suoi sentimenti e desideri verso Gesù?Che atteggiamento ha verso di lei e verso Gesù, Simone? Da cosa lo capisco? Quali potevano essere le attese di Si-mone verso Gesù? Che atteggiamento ha Gesù verso Simone? Se fossi stato Gesù, come avresti trattato Simone? Se fossi stato Gesù, come avresti reagito di fronte alle effusioni della peccatri-ce? Cosa avresti detto? Che atteggiamento ha Gesù verso la peccatrice? Cosa dice di lei? Se tu fossi stata la peccatrice, come ti saresti sentita? Se tu incontrassi la peccatrice adesso, che cosa le chiederesti di questo incontro? Ti è mai capitato di vivere qualcosa di simile all’esperienza della peccatrice? (Sia con Dio che con gli altri) Cosa è successo? Riesci a raccontare?

Che difficoltà troviamo a vivere l’atteggiamento di Gesù? Come vorremmo essere aiutati a viverlo?

La parola dell’ArcivescovoDalla Veglia del II sabato di Quaresima, Cattedrale, 3 marzo 2007

Miei cari catecumeni, oggi la Chiesa compie il gesto di consegnarvi il Simbolo della sua fede. Da questo momento essa vi riconoscerà come sue membra elette perché condividete la sua stessa fede: siete credenti nella, con la e come la Chiesa. Il Catechismo della Chiesa Catto-lica dice: “è innanzitutto la Chiesa che crede, e che oggi regge, nutre e sostiene la mia fede. È innanzi tutto la Chiesa che, ovunque, confessa il Signore, e con essa ed in essa, anche noi siamo trascinati e condotti a confessare” [n° 168].

Voi quindi da questa sera potete e dovete dire: “io credo” e ugualmente “noi crediamo”. Che cosa? “noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelata” [Paolo VI, Credo del Popolo di Dio 20, EV].

Molto presto la Chiesa ha voluto riassumere in forma essenziale e breve la sua fede. Questa formulazione, questo riassunto si chiama “Simbolo degli Apostoli”, ed è composto di dodici proposizioni. Ma considerato con maggiore profondità è composto di tre parti solamente. Esse

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corrispondono, carissimi catecumeni, alle tre divine Persone nel cui nome voi sarete battez-zati, secondo il comando di Gesù: “andate ed ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo” [Mt 28,19].

Da questa semplice considerazione siamo condotti alla comprensione di una cosa molto importante. La fede, cari catecumeni, che la Chiesa questa sera vi consegna non è una dot-trina religiosa astratta alla quale vi chiede di consentire. Essa è radicata nel fatto del vostro battesimo. Ed il battesimo è l’incontro decisivo di Dio con la vostra persona; è la stipulazione dell’alleanza infrangibile del suo Mistero colla vostra libertà; è l’inserzione della vostra per-sona dentro la grande famiglia di Dio. La fede che voi professate, racchiusa tutta nel Simbolo che voi ricevete, è dunque la narrazione delle grandi opere di salvezza che Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito Santo ha compiuto e compie per ciascuno di voi nella Chiesa.

Questa stupenda storia di amore ha come tre grandi capitoli, si svolge in tre grandi momen-ti corrispondenti alle tre parti in cui si struttura il Simbolo della fede.

Il primo atto della storia della nostra salvezza è l’atto creativo di Dio. Noi crediamo in Dio Padre Onnipotente creatore del cielo e della terra. Miei cari, questa certezza è la suprema certezza della nostra vita. Noi non esistiamo per caso. All’origine di tutta la realtà non ci sta l’irrazionalità, ma la Ragione creatrice di Dio.

Il secondo atto della storia della nostra salvezza è compiuto da Gesù, il Figlio unigenito del Padre. “Chi ha visto me ha visto il Padre” [Gv 14,9], egli disse. In quale Dio noi crediamo? La seconda parte del Simbolo risponde in maniera sconvolgente. Crediamo in un Dio che “fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine …”. È un Dio, quello in cui crediamo nel cui cuore dimora un amore per l’uomo così grande da condurlo a vivere con noi la nostra stessa vita.

Il terzo atto della storia della nostra salvezza, si svolge nel tempo attuale, nei giorni che stiamo vivendo. È l’opera che Dio Spirito Santo sta compiendo in mezzo a noi. Un opera di straordinaria bellezza: la Chiesa santa e cattolica. E in essa lo Spirito ci unisce guarendoci dalla nostra solitudine donandoci il perdono dei peccati.

E quale sarà l’esito finale di questa storia? “la risurrezione della carne, la vita eterna”. Non siamo destinati a precipitare dentro l’abisso di un nulla eterno. Siamo destinati alla vita eterna, anche col nostro corpo: a vivere cioè della vita stessa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Questa, miei cari catecumeni, è la nostra fede; questa è la fede della Chiesa: gloriatevi sem-pre di professarla.

Miei cari fedeli, l’itinerario catecumenale è una grande istruzione anche per noi.Questa sera esso ci insegna l’incomparabile preziosità della fede, intesa sia come virtù per-

sonale sia Parola di Dio che la Chiesa ci propone come divinamente rivelata.Siamo gelosamente innamorati della nostra fede non permettendo mai che essa venga insi-

diata nel nostro cuore dagli errori che il mondo, con inganno e seduzione, cerca di introdurre nella nostra mente. Senza la fede non è possibile piacere a Dio. Le dottrine inventate dagli uo-mini sono incapaci di donarci la vera salvezza: sono favole vacue. Ma chi si affida alla parola di Dio resta in eterno.

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Pillole di ConcilioLg 39

preghiamo insiemerecita del credo

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: atti 2

Dall’udienza generale di Giovanni Paolo II Mercoledì, 12 dicembre 1990

Il Concilio Vaticano II ha messo in risalto lo stretto rapporto che vi è nella Chiesa tra il dono dello Spirito Santo e la vocazione e aspirazione dei fedeli alla santità: “Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato “il solo Santo”, amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per lei, al fine di santificarla (cf. Ef 5, 25-26), e la congiunse a sé come suo corpo, e l’ha riempita del dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella Chiesa . . . sono chiamati alla santità . . . Questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli; si esprime in varie forme presso i singoli, i quali nel loro grado di vita tendono alla perfezione della carità e edificano gli altri (Lumen gentium, 39). È un altro fondamentale aspetto dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa: essere fonte di santità.

La santità della Chiesa, come risulta dal testo del Concilio appena riferito, ha il suo inizio in Gesù Cristo, Figlio di Dio che si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nacque dalla Vergine santissima Maria. La santità di Gesù nel suo stesso concepimento e nella sua nascita per opera dello Spirito Santo è in profonda comunione con la santità di colei che Dio ha scelto come sua Madre. Come nota ancora il Concilio, “presso i santi Padri invalse l’uso di chiamare la Madre di Dio la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura” (Lumen gentium, 56). È la prima e più alta realizzazione di santità nella Chiesa, per opera dello Spirito Santo che è Santo e Santificatore. La santità di Ma-ria è tutta ordinata alla santità suprema dell’umanità di Cristo, che lo Spirito Santo consacra e ricolma di grazia dagli inizi terreni alla conclusione gloriosa della sua vita, quando Gesù si manifesta “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti” (Rm 1, 4).

Questa santità ecclesiale, nel giorno della Pentecoste, rifulge non solo in Maria, ma anche negli apostoli e nei discepoli, che con lei “furono tutti pieni di Spirito Santo” (At 2, 4). Da allora sino alla fine dei tempi questa santità, la cui pienezza è sempre Cristo, dal quale rice-

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viamo ogni grazia (cf. Gv 1, 16), viene concessa a tutti coloro che tramite l’insegnamento degli apostoli si aprono all’azione dello Spirito Santo, come chiedeva l’apostolo Pietro nel discorso della Pentecoste: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; e riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2, 38).

In quel giorno ha inizio la storia della santità cristiana, alla quale sono chiamati sia gli isra-eliti che i pagani, che, come scrive san Paolo, “per mezzo di Cristo possono presentarsi, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2, 18). Tutti sono chiamati a diventare, secondo il testo già riferito nella precedente catechesi, “concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore . . . per diven-tare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2, 19-22). Questo concetto del tempio è caro all’apostolo, che in un altro testo chiede: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi?”. E ancora: “Il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo” (1 Cor 3, 16. 19).

È chiaro che nel contesto delle lettere ai Corinzi e agli Efesini il tempio non è soltanto uno spazio architettonico. È l’immagine rappresentativa della santità operata dallo Spirito Santo negli uomini viventi in Cristo, uniti nella Chiesa. E la Chiesa è lo “spazio” di questa santità.

Anche l’apostolo Pietro parla lo stesso linguaggio e ci dà lo stesso insegnamento. Infatti, rivolgendosi ai “fedeli dispersi” (tra i pagani), egli ricorda loro che sono stati “eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cri-sto e per essere aspersi dal suo sangue”. In virtù di questa santificazione nello Spirito Santo tutti vengono “impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 1, 1-2; 2, 5).

È significativo questo legame particolare stabilito dall’apostolo tra la santificazione e l’of-ferta di “sacrifici spirituali”, che in realtà è partecipazione al sacrificio stesso di Cristo, e al suo sacerdozio. È uno dei temi fondamentali della Lettera agli Ebrei. Ma anche nella Lettera ai Romani (Rm 15, 16) l’apostolo Paolo parla dell’“oblazione gradita a Dio, santificata dallo Spi-rito Santo”, la quale oblazione diventano gli uomini (pagani) per mezzo del Vangelo. E nella seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 13) esorta a rendere grazie a Dio perché “ci ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l’opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità”: tutti segni della coscienza, comune ai cristiani dei primi tempi, dell’opera dello Spirito Santo come autore della santità in loro e nella Chiesa, e quindi della qualità di tempio di Dio e dello Spirito che era stata loro concessa.

San Paolo insiste nel ribadire che lo Spirito Santo opera la santificazione umana e forma la comunione ecclesiale dei credenti, partecipi della sua stessa santità. Infatti gli uomini, “lavati, santificati e giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo”, diventano santi “nello Spirito del nostro Dio”. “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” (1 Cor 6, 11. 17). E questa santità diventa il vero culto del Dio vivo: il “culto nello Spirito di Dio” (Fil 3, 3).

Questa dottrina di Paolo va messa in relazione con le parole di Cristo riportate nel Vangelo di Giovanni, sui “veri adoratori”, che “adorano il Padre in spirito e verità . . . Il Padre vuole avere tali adoratori” (Gv 4, 23-24). Questo culto “in spirito e verità” ha in Cristo la radice da cui si sviluppa tutta la pianta, da lui vivificata mediante lo Spirito, come dirà Gesù stesso nel

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cenacolo: “Egli (lo Spirito Santo) mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 14). Tutto l’“opus laudis” nello Spirito Santo è il “vero culto” reso al Padre dal Figlio-Verbo incarnato, e partecipato ai credenti dallo Spirito Santo. È dunque anche la glorificazione del Figlio stesso nel Padre.

La partecipazione dello Spirito Santo ai credenti e alla Chiesa avviene anche sotto tutti gli altri aspetti della santificazione: la purificazione dal peccato (cf. 1 Pt 4, 8), l’illuminazione dell’intelletto (Gv 14, 26; 1 Gv 2, 27), l’osservanza dei comandamenti (Gv 14, 23), la perseve-ranza nel cammino verso la vita eterna (Ef 1, 13-14; Rm 8, 14-16), l’ascolto di ciò che lo Spi-rito stesso “dice alle Chiese” (Ap 2,7). Nella considerazione di quest’opera di santificazione, san Tommaso d’Aquino, nella catechesi sul Simbolo degli apostoli, trova agevole il passaggio dall’articolo sullo Spirito Santo a quello sulla “santa Chiesa cattolica”. Scrive infatti: “Come vediamo che in un uomo c’è un’anima e un corpo, e tuttavia ci sono diverse membra, così la Chiesa cattolica è un solo corpo con diversi membri. L’anima che vivifica questo corpo è lo Spirito Santo. E dunque, dopo la fede nello Spirito Santo, ci è comandato di credere la santa Chiesa cattolica, come diciamo nel Simbolo. Ora la Chiesa significa congregazione: e dunque la Chiesa è la congregazione dei fedeli, e ogni cristiano è come un membro della Chiesa, che è santa . . . per il lavacro nel Sangue di Cristo, per l’unzione con la grazia dello Spirito Santo, per l’inabitazione della Trinità, per l’invocazione del nome di Dio nel tempio dell’anima, che non bisogna più violare” (S. Tommaso, In Symb. Apost., a. 9) E, dopo aver illustrato le note del-la Chiesa, l’Aquinate passa all’articolo sulla comunione dei santi: “Come nel corpo naturale l’operazione di ciascun membro confluisce nel bene di tutto il corpo, così avviene nel corpo spirituale, cioè la Chiesa. Poiché tutti i fedeli sono un solo corpo, il bene di ognuno viene co-municato all’altro: secondo la fede degli apostoli vi è dunque nella Chiesa la comunione dei beni, in Cristo che, come capo, comunica il suo bene a tutti i cristiani, come a membri del suo corpo” (san Tommaso, In Symb. Apost., a. 10).

La logica di questo discorso è fondata sul fatto che la santità, di cui è fonte lo Spirito Santo, deve accompagnare la Chiesa e i suoi membri durante tutta la peregrinazione fino alle dimore eterne. Per questo nel Simbolo sono collegati tra loro gli articoli sullo Spirito Santo, la Chiesa e la comunione dei santi: “Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi”. Il perfezionamento di questa unione - comunione dei santi - sarà il frutto escatologico della santità che sulla terra viene concessa dallo Spirito Santo alla Chiesa nei suoi figli, in ogni persona, in ogni generazione, lungo tutta la storia. E anche se in questa peregrinazione terrena i figli della Chiesa più volte “rattristano lo Spirito Santo”, la fede ci dice che essi, “segnati” con questo Spirito “per il giorno della redenzione” (Ef 4, 30), possono - nonostante le loro debo-lezze e i loro peccati - avanzare lungo le vie della santità, sino alla conclusione del cammino. Le vie sono molteplici, e grande è anche la varietà dei santi nella Chiesa. “Una stella differisce dall’altra nello splendore” (1 Cor 15, 41). Ma “vi è un solo Spirito”, che col suo proprio modo e stile divino realizza in ciascuno la santità. Perciò possiamo accogliere con fede e speranza l’esortazione dell’apostolo Paolo: “Fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodi-gandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Cor 15, 58).

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Preghiera: tratta dagli Inni detti “AMBROSIANI”

O Luce, beata Trinitàe dominatrice Unità,già il sole infocato si allontana;infondi splendore nei cuori.Invochiamo Te al mattino,Te alla sera, con un canto di lode;la nostra supplice glorialodi Te per tutti i secoli.Sia gloria a Dio Padree al suo Unico Figliocon lo Spirito Paraclito,ora e sempre.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Francesco, S. Chiara, Benedetta Bianchi Porro, Madre Teresa Datti una mossa

APPROFONDIMENTI

C. M. Martini La chiesa

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3 annoMandati

ITINERARIO

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3.1 Credere e come credere: questo è il problema! fede storica, fatto storico, risurrezione al centro, fede sulla parola dei testimoni

TEMA DELL’UNITA’:

la venuta di Gesù segna storicamente il corso degli anni e cambia la storia con la sua risur-rezione

Obiettivo:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo alla realtà della risurrezione di Gesù quando si confrontano con “l’im-possibilità” e la novità assoluta di questo fatto

• Accompagnare i giovanissimi ad approfondire e a comprendere la storicità della fede cristiana, e la realtà del fatto che sta al suo centro, la resurrezione di Gesù, e le conse-guenze che questo ha per il credente.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli dell’influenza della mentalità scienti-sta oggi comune sui loro pensieri e dubbi riguardo la risurrezione.

• Far superare una visione soggettivistica della fede (ci credo quindi esiste), a favore della considerazione della sua storicità (esiste e quindi ci credo)

• Aiutare a comprendere la storia della chiesa come storia di fatti e di testimonianza di essi che è continuata da allora ad oggi, anche attraverso i periodi più difficili

• Guidare a comprendere che noi stessi siamo stati coinvolti dalla testimonianza di altri cristiani

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3 anno - Mandati

VEDERE

la storia della mia fede: chi sono i testimoni per me? Io per chi sono testimone?/Inchiesta sulla resurrezione (Critiche alla risurrezione e risposte)

spunti di riflessioneChi mi può dire realmente che esiste la risurrezione? I testimoni dicono il vero? E’ un fatto

che si deve accettare solo per fede? Quali resistenze e difficoltà troviamo in noi a credere alla realtà della risurrezione di Gesù? Quali sono gli ostacoli maggiori che troviamo? Quali espe-rienze o fatti invece ci aiutano a far aumentare questa consapevolezza? Nella storia della mia fede, come si colloca la risurrezione? La fede nella resurrezione cambia qualcosa nella mia vita? Come e cosa cambia? Ho incontrato dei testimoni che mi hanno annunciato la resurre-zione e me l’hanno resa presente? Riesco a raccontare? Che cosa ha cambiato per la mia vita? Io sono testimone di questo? Come? Che difficoltà incontro?

preghiamo insiemepreghiera di domanda in cui ogni giovanissimo porta davanti al Signore i suoi dubbi, le sue

domande e le sue resistenze a credere alla risurrezione, e chiede luce. Preghiera di lode per i testimoni che il Signore ha messo sul nostro cammino.

ripetiamo insieme: “Questo Gesù Dio l`ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.” (atti2,32)

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Dt 26, 4-9 (mio padre era un arameo errante, scese in Egitto…) Dt 6, 20-25 (Quando tuo

figlio ti domanderà…)NT: Gv20, 19-29 1Gv1, 1-4 1; 1Cor 15,3-9; Lc 1,1-4 (prologo)

Il catechismoCdg/1: cap. 6 pag. 320-321

spunti di riflessioneConosco i vangeli delle apparizioni di Gesù risorto? Come li considero? (una storia vera

per chi ci crede, il resoconto di un fatto valido solo per chi l’ha visto, ma incomunicabile, una variazione sulla storia di babbo natale, un avvenimento reale che però è capitato molto tempo fa e non mi riguarda, una novità incredibile…) Che atteggiamento vivo davanti ad essi? Mi capita di vivere lo stesso atteggiamento di Tommaso? Cosa mi spinge a ciò? Se fossi stato Tom-maso, come avrei reagito alle parole degli altri che mi annunciavano la risurrezione? come mai

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3 anno - Mandati

Dio sceglie di farsi “testimoniare” dagli uomini e non lo fa Lui direttamente con tanto di effetti speciali? Cosa ci dice questo di Dio, della relazione che vuole con gli uomini e della relazione che desidera gli uomini abbiano fra loro? Che compito dà alla chiesa e ad ogni cristiano? Che compito dà a me? Come lo vivo?

Come mai Luca, nel prologo del vangelo, si preoccupa di dimostrare al solidità degli inse-gnamenti che sta dando?

La parola dell’ArcivescovoTratto dall’incontro “I laici per un mondo nuovo” Settimana della fede “Nel solco del Vaticano II, un laicato più adulto”

Lecce, 16 febbraio 2008

La formulazione del tema che mi è stato proposto, mette a confronto due realtà: la persona del fedele-laico e un “mondo nuovo”. Dividerò dunque la mia riflessione in due parti. Nella prima vorrei descrivere la realtà denotata dal “mondo nuovo”; nella seconda cercherò di spie-gare in che rapporto si pone il fedele-laico col mondo nuovo.

IL MONDO NUOVO.Quando diciamo “mondo nuovo” noi possiamo pensare a due realtà molto diverse poiché

possiamo dare alla parola un significato teologico, ed un significato storico. Quando Paolo dice che “chi è in Cristo è una nuova creatura” [2Cor 5,17], parla del mondo nuovo nel senso della realtà posta in essere all’atto redentivo di Cristo. Quando F. Bacon scrive la Instauratio magna intendendo rivoluzionare la conoscenza in genere e la produzione in particolare, parla del mondo nuovo in senso storico nel senso del mondo moderno.

Vedremo che non si tratta di una distinzione insignificante per il tema che dovremo trattare.Inizio a trattare del “mondo nuovo” nel senso teologico del termine.Devo fare una premessa di importanza decisiva per tutto il nostro discorso seguente: nella

comprensione delle fede cattolica la salvezza dell’uomo è un fatto reale. Reale significa che essa, la salvezza, “concerne la realtà del mondo esteriore, sensibile, empirico, storico e mate-riale”. Parliamo cioè della realtà “di quel mondo che è primariamente “disponibile”, perce-pibile, materiale e spazio-temporale” [L. Scheffczyk, Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, 95].

La salvezza di cui parla la fede cattolica, quindi, non è qualcosa che accade solo nella di-mensione spirituale dell’uomo, e che riguarda solo il singolo individuo. Essa pervade anche la realtà fisica, la storia dell’uomo, il suo mondo esterno. Nulla è tanto alieno dalla fede cattolica quanto una concezione idealistica della salvezza ed una concezione morale della medesima. La fede cattolica non è un’idea; non è una proposta morale.

Quando noi parliamo di “nuovo mondo” in senso teologico, parliamo non semplicemente di un “mondo dello spirito”, ma di un “mondo” che ci sta di fronte e nel quale noi viviamo e col quale condividiamo sorte e destino.

Sulla base di che cosa abbiamo, noi cattolici, una concezione … così banale della salvezza? Sulla base del fatto dell’Incarnazione: “il Verbo si è fatto carne” [Gv 1,14]; “ Gesù è venuto nella carne” [1Gv 4,2]; il Figlio di Dio è venuto “fatto da una donna” [cfr. Gal 4,4]. Ora la carne umana connota la dimensione terrena del fatto centrale della nostra fede. Dio, la sua Vita, si è fatta visibile: è stata toccata, vista, ascoltata [cfr. 1Gv 1,1-4]. In questo modo l’uomo concreto,

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in carne ed ossa, è stato reso partecipe della vita divina, cioè è stato salvato.Ne deriva che tutti gli avvenimenti che narrano la vicenda umana del Verbo incarnato, de-

vono essere considerati realisticamente. In primo luogo, l’avvenimento pasquale.Nel discorso che Benedetto XVI tenne al IV Convegno della Chiesa italiana a Verona, disse:

“La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testi-moni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo … Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente il nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.

Il senso è chiaro. La risurrezione di Gesù è un fatto realmente accaduto dentro alla nostra storia: è il suo corpo crocefisso e morto che viene risuscitato. Ma nello stesso tempo quel cor-po è entrato in possesso di una vita nuova ed incorruttibile, senza cessare di essere un corpo veramente umano. È iniziato in Gesù risorto il “mondo nuovo”, che è questo stesso mondo di cui noi abbiamo esperienza, ma trasformato ed attratto dentro a quell’evento.

La risurrezione del Verbo incarnato non deve essere pensata come il punto in cui una linea - appunto il Verbo incarnato - tocca la circonferenza - appunto la nostra vicenda umana - per poi ritornare velocemente all’infinito. Essa continua realisticamente ad agire, a penetrare con-tinuamente nel nostro mondo per trasformarlo ed attirarlo a sé nella e mediante la Chiesa: realtà visibile e concreta, strutturata anche in modo giuridico. Del “nuovo mondo” la Chiesa è il seme ed il germe, la cui forza vitale ed il cui intimo dinamismo è costituito dalla presenza in essa del Risorto.

La creazione del “nuovo mondo” diventa particolarmente percepibile nei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. La natura propria del Battesimo è proprio quella di far ri-vivere, in senso reale, nel credente quanto Cristo ha vissuto nel suo evento pasquale. La porta di in-gresso della risurrezione di Gesù nel “mondo vecchio” è il Battesimo, poiché mediante il sa-cramento tutto l’uomo viene posto in Cristo e Cristo vive nell’uomo: “non son più io che vivo, ma Cristo vive in me” [Gal 2,20]. Questa è la definizione stessa della nascita del nuovo mondo. E l’Eucaristia porta a perfezione quanto è iniziato nel Battesimo.

In sintesi. Parlare di un “nuovo mondo” in senso teologico significa dire che la salvezza av-viene in modo realistico. Nel suo principio: Gesù, Verbo incarnato, crocefisso e risorto. Nella sua causa strumentale: la Chiesa visibile e concreta, strutturata anche in modo giuridico. Nella sua forma maggiormente percepibile: i sacramenti dell’iniziazione cristiana, e la successione apostolica.

Pillole di ConcilioDV 7, 18-19

preghiamo insieme:Preghiera responsoriale in cui i giovanissimi portano davanti al Signore quanto compreso e

fanno propria l’invocazione di Tommaso. (la si può dire mettendosi in ginocchio, come Tom-maso)

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“Mio Signore e mio Dio!”

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: 1Gv 5,1.6-13

Dall’udienza generale di Benedetto XVI, Piazza San PietroMercoledì, 26 marzo 2008 - Significato della Pasqua

Cari fratelli e sorelle!“Et resurrexit tertia die secundum Scripturas - il terzo giorno è risuscitato secondo le Scrittu-

re”. Ogni domenica, con il Credo, rinnoviamo la nostra professione di fede nella risurrezione di Cristo, evento sorprendente che costituisce la chiave di volta del cristianesimo. Nella Chiesa tutto si comprende a partire da questo grande mistero, che ha cambiato il corso della storia e che si rende attuale in ogni celebrazione eucaristica. Esiste però un tempo liturgico in cui questa realtà centrale della fede cristiana, nella sua ricchezza dottrinale e inesauribile vitalità, viene proposta ai fedeli in modo più intenso, perché sempre più la riscoprano e più fedel-mente la vivano: è il tempo pasquale. Ogni anno, nel “Santissimo Triduo del Cristo crocifisso, morto e risorto”, come lo chiama sant’Agostino, la Chiesa ripercorre, in un clima di preghiera e di penitenza, le tappe conclusive della vita terrena di Gesù: la sua condanna a morte, la salita al Calvario portando la croce, il suo sacrificio per la nostra salvezza, la sua deposizione nel sepolcro. Il “terzo giorno”, poi, la Chiesa rivive la sua risurrezione: è la Pasqua, passaggio di Gesù dalla morte alla vita, in cui si compiono in pienezza le antiche profezie. Tutta la liturgia del tempo pasquale canta la certezza e la gioia della risurrezione del Cristo.

Cari fratelli e sorelle, dobbiamo costantemente rinnovare la nostra adesione al Cristo morto e risorto per noi: la sua Pasqua è anche la nostra Pasqua, perché nel Cristo risorto ci è data la certezza della nostra risurrezione. La notizia della sua risurrezione dai morti non invecchia e Gesù è sempre vivo; e vivo è il suo Vangelo. “La fede dei cristiani – osserva sant’Agostino – è la risurrezione di Cristo”. Gli Atti degli Apostoli lo spiegano chiaramente: “Dio ha dato a tutti gli uomini una prova sicura su Gesù risuscitandolo da morte” (17,31). Non era infatti suffi-ciente la morte per dimostrare che Gesù è veramente il Figlio di Dio, l’atteso Messia. Nel corso della storia quanti hanno consacrato la loro vita a una causa ritenuta giusta e sono morti! E morti sono rimasti. La morte del Signore dimostra l’immenso amore con cui Egli ci ha amati sino a sacrificarsi per noi; ma solo la sua risurrezione è “prova sicura”, è certezza che quanto Egli afferma è verità che vale anche per noi, per tutti i tempi. Risuscitandolo, il Padre lo ha glorificato. San Paolo così scrive nella Lettera ai Romani: “Se confesserai con la bocca che Gesù è il Signore e crederai con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti sarai salvo” (10,9).

E’ importante ribadire questa verità fondamentale della nostra fede, la cui verità storica è ampiamente documentata, anche se oggi, come in passato, non manca chi in modi diversi la pone in dubbio o addirittura la nega. L’affievolirsi della fede nella risurrezione di Gesù rende di conseguenza debole la testimonianza dei credenti. Se infatti viene meno nella Chiesa la

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3 anno - Mandati

fede nella risurrezione, tutto si ferma, tutto si sfalda. Al contrario, l’adesione del cuore e della mente a Cristo morto e risuscitato cambia la vita e illumina l’intera esistenza delle persone e dei popoli. Non è forse la certezza che Cristo è risorto a imprimere coraggio, audacia profetica e perseveranza ai martiri di ogni epoca? Non è l’incontro con Gesù vivo a convertire e ad af-fascinare tanti uomini e donne, che fin dagli inizi del cristianesimo continuano a lasciare tutto per seguirlo e mettere la propria vita a servizio del Vangelo? “Se Cristo non è risuscitato, diceva l’apostolo Paolo, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede” (1 Cor 15, 14). Ma è risuscitato!

L’annuncio che in questi giorni riascoltiamo costantemente è proprio questo: Gesù è risorto, è il Vivente e noi lo possiamo incontrare. Come lo incontrarono le donne che, al mattino del terzo giorno, il giorno dopo il sabato, si erano recate al sepolcro; come lo incontrarono i disce-poli, sorpresi e sconvolti da quanto avevano riferito loro le donne; come lo incontrarono tanti altri testimoni nei giorni che seguirono la sua risurrezione. E, anche dopo la sua Ascensione, Gesù ha continuato a restare presente tra i suoi amici come del resto aveva promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Il Signore è con noi, con la sua Chiesa, fino alla fine dei tempi. Illuminati dallo Spirito Santo, i membri della Chiesa primitiva hanno incominciato a proclamare l’annuncio pasquale apertamente e senza paura. E quest’an-nuncio, tramandatosi di generazione in generazione, è giunto sino a noi e risuona ogni anno a Pasqua con potenza sempre nuova.

Specialmente in quest’Ottava di Pasqua la liturgia ci invita ad incontrare personalmente il Risorto e a riconoscerne l’azione vivificatrice negli eventi della storia e del nostro vivere quoti-diano. Oggi mercoledì, ad esempio, ci viene riproposto l’episodio commovente dei due disce-poli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Dopo la crocifissione di Gesù, immersi nella tristezza e nella delusione, essi facevano ritorno a casa sconsolati. Durante il cammino discorrevano tra loro di ciò che era accaduto in quei giorni a Gerusalemme; fu allora che Gesù si avvicinò, si mise a discorrere con loro e ad ammaestrarli: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profe-ti… Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,25 -26). Cominciando poi da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. L’insegnamento di Cristo – la spiegazione delle profezie – fu per i discepoli di Emmaus come una rivelazione inaspettata, luminosa e confortante. Gesù dava una nuova chiave di lettura della Bibbia e tutto appariva adesso chiaro, orientato proprio verso questo momento. Conquistati dalle parole dello sconosciuto viandante, gli chiesero di fermarsi a cena con loro. Ed Egli accettò e si mise a tavola con loro. Riferisce l’evangelista Luca: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,29-30). E fu proprio in quel momento che si aprirono gli occhi dei due discepoli e lo riconobbero, “ma lui sparì dallo loro vista” (Lc 24,31). Ed essi, pieni di stupore e di gioia, commentarono: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spie-gava le Scritture?” (Lc 24,32).

In tutto l’anno liturgico, particolarmente nella Settimana Santa e nella Settimana di Pasqua, il Signore è in cammino con noi e ci spiega le Scritture, ci fa capire questo mistero: tutto parla di Lui. E questo dovrebbe far ardere anche i nostri cuori, così che possano aprirsi anche i nostri occhi. Il Signore è con noi, ci mostra la vera via. Come i due discepoli riconobbero Gesù nello spezzare il pane, così oggi, nello spezzare il pane, anche noi riconosciamo la sua presenza. I discepoli di Emmaus lo riconobbero e si ricordarono dei momenti in cui Gesù aveva spezzato

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il pane. E questo spezzare il pane ci fa pensare proprio alla prima Eucaristia celebrata nel con-testo dell’Ultima Cena, dove Gesù spezzò il pane e così anticipò la sua morte e la sua risurre-zione, dando se stesso ai discepoli. Gesù spezza il pane anche con noi e per noi, si fa presente con noi nella Santa Eucaristia, ci dona se stesso e apre i nostri cuori. Nella Santa Eucaristia, nell’incontro con la sua Parola, possiamo anche noi incontrare e conoscere Gesù, in questa du-plice Mensa della Parola e del Pane e del Vino consacrati. Ogni domenica la comunità rivive così la Pasqua del Signore e raccoglie dal Salvatore il suo testamento di amore e di servizio fraterno. Cari fratelli e sorelle, la gioia di questi giorni renda ancor più salda la nostra fedele adesione a Cristo crocifisso e risorto. Soprattutto, lasciamoci conquistare dal fascino della sua risurrezione. Ci aiuti Maria ad essere messaggeri della luce e della gioia della Pasqua per tanti nostri fratelli. Ancora a tutti voi cordiali auguri di Buona Pasqua.

preghiera:Felice chi conosce Dio - S. Agostino

Signore, Dio di verità, basta la conoscenza di queste cose per piacerti? Infelice davvero chi conosce tutte quelle e ignora te; felice chi conosce te, anche se ignora quelle. Chi poi sa e di te e di quelle, non per quelle è più felice, ma per te solo felice, se, oltre a conoscerti, ti glorifica per ciò che sei e ti ringrazia, anziché disperdersi nei suoi vani pensieri. Chi sa di possedere un albero e ti è grato di goderlo, sebbene ignori i cubiti della sua altezza o la sua estensione in larghezza, è migliore di chi lo misura e ne conteggia tutti i rami, però non lo possiede né riconosce il suo creatore né lo ama. Così all’uomo di fede il mondo intero con i suoi tesori appartiene; forse non ha quasi nul-la, eppure tutto possiede perché unito a te, padrone di tutto. Non importa se nemmeno conosce i giri delle Orse: solo uno stolto dubiterebbe che non sia in ogni caso migliore di chi sa misurare il cielo, enumerare le stelle, pesare gli elementi, però fa nessun conto di te, che ogni cosa hai disposto nella sua misura e numero e peso (5, 4, 7).

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare e animare la recita del santo rosario (misteri gloriosi)

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

V. Messori, Dicono che è risorto

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3.2 Credere in chi ci ha amati per primo Dio onnipotente

TEMA DELL’UNITA’:

L’onnipotenza dell’amore di Dio in Cristo che libera dal male e da’ vita.

Obiettivi:

• Accompagnare i giovanissimi a…progettare in grande, non accontentarsi del presen-te per la propria vita e di un orizzonte appiattito.

• Far emergere i progetti dei giovanissimi riguardo al loro futuro, i loro sogni per la loro vita, le paure e i desideri profondi che li animano, e come intendono fare per realizzarli.

• Accompagnare i giovanissimi a considerare la realtà del male (nelle sue diverse espressioni) e far emergere i loro sentimenti e reazioni nei confronti di essa.

• Educare i giovanissimi a confrontare l’idea di potenza del nostro mondo, e il suo stile, e quella di Dio per discernere le differenze e compiere scelte consapevoli e libere.

• Aiutare i giovanissimi a confrontarsi con i sentimenti di Gesù che liberava dal male e dalla morte per poter far loro comprendere e gustare la grandezza e la bellezza del progetto di Dio e del significato da dare al termine “onnipotenza”.

• Aiutare i giovanissimi a considerare i sacramenti come segni visibili e reali dell’onni-potenza dell’amore di Dio in Cristo.

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VEDERE

progetti di vita: a chi ti affidi? / Quale felicità?

spunti di riflessioneDa chi ci facciamo salvare? Da chi ci faremmo salvare e perché?Di chi ci fidiamo ? A chi ci affidiamo?Cosa c’entra per noi Gesù in questi discorsi? C’entra? Come?preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente Ap 4,8

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Mosè - PasquaNT: Gv 11, 1-44

Il catechismoCdg/1: cap. 6 pag. 312-314

spunti di riflessioneQuali sono i segni di amore e di vita che Gesù lascia nel suo passaggio? (ricercare dai van-

geli) Che cosa ci dicono del suo desiderio e del suo progetto? (Lazzaro)

La parola dell’ArcivescovoDiscorso ai centri culturali cattolici; “Il Padre e la questione dell’origine Bologna, 13 novembre 2004

La verità della creazione ci mostra il volto di Dio rivolto alla persona creata “La creazione dal nulla esprime a sua volta che l’onnipotenza può render liberi. Colui al

quale io assolutamente devo ogni cosa, mentre però assolutamente conserva tutto nell’essere, mi ha appunto reso indipendente. Se Iddio, per creare gli uomini, avesse perduto qualcosa della Sua potenza, non potrebbe più rendere gli uomini indipendenti”.

La riflessione che abbiamo condotto, come avete potuto constatare, entra nel dramma es-senziale del destino umano. E non c’è dubbio che è stato grande merito della modernità l’a-verlo fatto emergere con tale intensità. E’ stato un percorso che ha avuto in molti come esito la perdita dell’esperienza della paternità, e quindi della filialità. E’ l’insidia più grave tesa

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all’uomo. Agostino aveva già in percepito il “nodo” della questione:“Credo in Dio Padre onnipotente. Come si fa presto a dirlo, ma quanto è grande! Egli è Dio,

egli è Padre; Dio per la potestà, Padre per la bontà. Come siamo felici di avere come padre il nostro Dio! Crediamo dunque in lui e tutto ci possiamo ripromettere dalla sua misericordia perché egli è l’Onnipotente: noi infatti crediamo in Dio Padre onnipotente”. [Discorso 213,2; NBA XXXII/1, pag. 205]

Gli fa eco S. Kierkegaard, che pure visse un’esperienza col suo Padre terreno che richiama quella di Kafka:

“Soltanto l’onnipotenza può riprendere se stessa mentre si dona, e questo rapporto costi-tuisce appunto l’indipendenza di colui che riceve. L’onnipotenza di Dio è perciò identica alla sua bontà. Perché la bontà è di donare completamente ma così che, nel riprendere se stessi in modo onnipotente, si rende indipendente colui che riceve”

E’ in questa “sintesi” di paternità-onnipotenza tutto il mistero della nostra origine.

Pillole di ConcilioGS 18

preghiamo insieme

Tu, Signore onnipotente, hai creato l’universo, a gloria del tuo nome; hai dato agli uomini il cibo e la bevanda a loro conforto, affinché Ti rendano grazie; ma a noi hai donato un cibo e una bevanda spirituale e la vita eterna per mezzo del tuo Figlio ... Gloria a Te, nei secoli!” (Didaché 9, 3-4; 10, 3-4).

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Lc. 1,26-38

Dall’omelia di Giovanni Paolo II in occasione della Solennità dell’Immacolata Concezione , 8 dicembre 1981 “Nulla è impossibile a Dio...” (Lc 1,37)La Chiesa, Ricorre alle parole dell’Annunciazione, alle parole di Gabriele, il cui nome vuol

dire: “la mia potenza è Dio”.

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3 anno - Mandati

Non è appunto l’onnipotenza di Dio, l’infinità potenza del suo amore e della sua grazia, che vengono annunciate da questo singolare messaggero? E insieme con lui le annuncia in un certo senso la Chiesa intera, in continuo ascolto delle parole del suo annuncio e ripetendole molte volte: “Nulla è impossibile a Dio”.

Solamente con quella onnipotenza che ama, solamente con l’infinita potenza dell’amore si può spiegare il fatto che Dio-Verbo, Dio-Figlio si fa uomo. Solo con l’onnipotenza che ama, solo con l’inscrutabile potenza dell’amore di Dio si può spiegare il fatto che la Vergine – figlia di genitori umani e di generazioni umane – diventa la Madre di Dio.

Eppure questo fatto per Lei stessa era incomprensibile: “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc 1,34).

E probabilmente era difficile da capire per il popolo, del quale era figlia, il popolo che d’al-tronde attraverso tutta la sua storia attendeva proprio solo questo: la venuta del Messia, e in questo vedeva lo scopo principale della sua vocazione, delle sue prove e sofferenze.

E questo fatto è difficile ad essere compreso da tanti uomini e nazioni, anche nel caso che accettino l’esistenza di Dio, anche se ricorrono alla sua bontà e misericordia.

Però, “nulla è impossibile a Dio”!Se oggi la Chiesa si richiama a queste parole, allora è anche necessario che noi cerchiamo in

esse la risposta per l’interrogativo sul mistero dell’Immacolata Concezione.Dato che l’onnipotenza dell’Eterno Padre e l’infinita potenza di amore operante con la forza

dello Spirito Santo fanno sì che il Figlio di Dio diventi uomo nel seno della Vergine di Nazaret, allora la stessa potenza in considerazione dei meriti del Redentore, preserva la sua Madre dal retaggio del peccato originale.

La fa santa ed immacolata sin dal primo momento del concepimento.La stessa onnipotenza, la stessa potenza d’amore, la stessa forza dello Spirito Santo fanno

si che Lei sola, tra tutti i figli e le figlie di Adamo, sia concepita e venga al mondo “piena di grazia”.

Così, anche nel momento dell’Annunciazione la saluterà Gabriele: “Ti saluto, o piena di grazia” (Lc 1,28).

Preghiera: Lodi a Dio Altissimo di S. Francesco

Tu sei Santo, Signore solo Dio, che operi cose meravigliose.Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,Tu sei re onnipotente, Tu, Padre Santo, re del cielo e della terra.Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dei,Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore dio vivo e vero.Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine,Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei giustizia,Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.

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3 anno - Mandati

Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore,Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna,grande e ammirabile Signore,Dio onnipotente misericordioso Salvatore.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla messa feriale una volta alla settimana

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

G. Biffi, Padre onnipotente creatore del cielo e della terra

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3.3 Credere in chi ci ha amati per primi Cristo Signore il Salvatore, il Messia

TEMA DELL’UNITA’:

Cristo il Signore, il Messia e Salvatore: il messia secondo Dio e non secondo l’uomo.

Obiettivi:

• Scoprire lo stile con cui Gesù vive la sua messianità, e qual è il volto di Dio che rivela al mondo.

• Scoprire che cosa rivela dello stile del Messia il Natale.• Imparare a costruire e a vivere , come singoli e come gruppo, uno stile di accoglienza

reale nelle nostre relazioni• Vivere lo stile di accoglienza come elemento fondante della comunità.• Imparare a vivere l’accoglienza e la cura verso gli altri nei propri ambienti di vita.

VEDERE

Approfondimento sui miracoli; miracoli e fede/Quale Messia? Che stile avrebbe il Messia?

(se tu lo fossi, come lo vorresti)

spunti di riflessioneQuando senti parlare di miracoli, come reagisci? (curiosità, fastidio, senso di superiorità,

diffidenza) Cos’è per te un miracolo? Cosa c’entra, per te, la fede della persona miracolata col fatto accaduto? Che problemi o domande ti suscitano i miracoli? Che salvezza offrono?

Per salvare il mondo e l’uomo, oggi, cosa ci vorrebbe, secondo te? Che tipo di messia?tu da cosa vorresti essere salvato? Cosa ti può aiutare o salvare?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Lc 2,11

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3 anno - Mandati

CONFRONTARE

La BibbiaAT: servo di Jhave Is. 42,1-9; Is 49,1-7; Is 50,4-10; Is 61,1ssNT:Lc 2,1-20 lc. 4,16ss (inizio della vita pubblica a Nazareth); Lc 9, 28-36 (trasfigurazione);

Lc 7,11-17 (figlio della vedova di Naim) Lc 8,40-56 (emorroissa e figlia di Giairo) Mc 1, 40-45 (lebbroso) Mc1,21-28 (indemoniato)

Il catechismoCdg/1: cap. 6 pag. 322-323

spunti di riflessioneQual è lo stile del servo di Jahvè? Quali sono i suoi atteggiamenti predominanti? Qual è lo

stile di Gesù? Con che parole chiave potremmo descriverlo? In che modo è determinante nei suoi incontri? Come poteva essere vissuto da coloro che lo incontravano? Che tipo di salvezza offre Gesù? Da quali elementi è costituita? In che relazione stanno la salvezza offerta da Gesù e la fede del suo interlocutore?

Nella mia vita e nella mia esperienza di fede ho vissuto l’accoglienza pronta e totale del signore per me? In che modo, attraverso quali esperienze? Cosa ha suscitato questo in me? Se non me ne sono accorto, che cosa potrebbe aiutarmi ad accorgermene?

Nella mia vita e nella mia esperienza di fede, ho mai sperimentato in modo reale “la sal-vezza del Signore”? In che modo? Cosa ha suscitato questo in me? Se non me ne sono accorto, quale potrebbe essere il motivo? Quali sono i mali da cui vorrei essere liberato?Concretamente, cosa faccio per toglierli? Da chi mi aspetto la salvezza? Accolgo il Signore che salva?

La parola dell’ArcivescovoDalla Veglia Quaresimale: consegna del Credo; Cattedrale, 19 febbraio 2005

“Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”. Carissimi catecumeni, le parole dell’apostolo vi dicono quale è il centro della vita della Chiesa nella quale vi preparate ad entrare: la fede in Cristo, Figlio di Dio fattosi uomo, morto e risorto per la nostra salvezza. La fede è una adesio-ne interna della vostra mente e della vostra volontà, del vostro “cuore”, come dice l’Apostolo. Ma questa intima convinzione ed adesione si manifesta anche esternamente: va “confessata”, detta cioè anche pubblicamente. È da questa fede, ci insegna l’Apostolo, che dipende la vostra salvezza. Senza nessuna discriminazione, di nessun genere “dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano”. Qui non si danno privilegi di nessun genere: appartenenza ad un popolo piuttosto che ad un altro; correttezza morale piuttosto che vita di peccato. Di fronte all’avvenimento della presenza in Cristo della grazia del Padre tutti gli uomini sono equiparati: “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo”.

Perché l’incontro con Cristo nella fede è decisivo per la salvezza dell’uomo? Perché è dall’a-scolto docile della sua parola che dipende esclusivamente la sorte eterna dell’uomo? Trovia-

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3 anno - Mandati

mo la risposta a questa domanda nella pagina evangelica: perché Gesù è la perfetta e defini-tiva rivelazione di Dio, il Padre. È il suo unico rivelatore: “chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me vede colui che mi ha mandato. Infatti “io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare … Le cose dunque che io dico le dico come il Padre le ha dette a me”. Questa è la ragione che rende decisivo l’incontro con Lui nella fede: accoglierlo o rifiutarlo significa accogliere e rifiutare il Padre. Pertanto la presenza di Cristo pone in essere un giudizio, e il giudizio coincide con l’accettazione o il rifiuto, con la fede o l’incredulità nella Sua persona e nella Sua parola. La presenza di Cristo e l’incontro con Lui mettono l’uomo nella necessità di svelarsi in ciò che ha di più intimo, nei pensieri del suo cuore. Se è veramente disponibile alla verità; oppure se ama la gloria degli uomini più della gloria di Dio.

Mi rivolgo ora a voi, carissimi fedeli. Siamo sempre nel rischio di perdere coscienza che al centro della nostra fede sta il rapporto con Cristo; che la nostra esistenza è una esistenza cristocentrica; che non possiamo vendere, meglio sarebbe dire svendere, a nessun prezzo la nostra confessione del primato assoluto di Cristo: non al prezzo di una malcompresa tolleran-za, non al prezzo di un sedicente rispetto degli altri. Non amiamo la gloria degli uomini più della gloria di Dio.

Pillole di ConcilioGS 45

preghiamo insieme

“Vieni o Gesù. Noi crediamo all’amore, alla tua bontà, crediamo che sei il nostro salvatore, che tu puoi ciò che agli altri è precluso, irrealizzabile.Abbiamo un solo desiderio: rimanere uniti a Te, ed essere cristiani non solo di nome, bensì cristiani convinti.” (Paolo VI)

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Lc. 1,46-55 Magnificat

Discorso di Benedetto XVI nella celebrazione a conclusione del mese mariano Sabato, 31 maggio 2008Immaginiamo lo stato d’animo della Vergine dopo l’Annunciazione, quando l’Angelo partì

da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l’ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo. Ma tutto, intorno a Lei, era rimasto come prima e il vil-laggio di Nazareth era completamente ignaro di ciò che Le era accaduto.

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3 anno - Mandati

Prima di preoccuparsi di se stessa, Maria pensa però all’anziana Elisabetta, che ha saputo essere in gravidanza avanzata e, spinta dal mistero di amore che ha appena accolto in se stessa, si mette in cammino “in fretta” per andare a portarle il suo aiuto. Ecco la grandezza semplice e sublime di Maria! Quando giunge alla casa di Elisabetta, accade un fatto che nessun pittore potrà mai rendere con la bellezza e la profondità del suo realizzarsi. La luce interiore dello Spirito Santo avvolge le loro persone. Ed Elisabetta, illuminata dall’Alto, esclama: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,42-45).

Queste parole potrebbero apparirci sproporzionate rispetto al contesto reale. Elisabetta è una delle tante anziane di Israele e Maria una sconosciuta fanciulla di uno sperduto villaggio della Galilea. Che cosa possono essere e che cosa possono fare in un mondo nel quale contano altre persone e pesano altri poteri? Tuttavia, Maria ancora una volta ci stupisce; il suo cuore è limpido, totalmente aperto alle luce di Dio; la sua anima è senza peccato, non appesantita dall’orgoglio e dall’egoismo. Le parole di Elisabetta accendono nel suo spirito un cantico di lode, che è un’autentica e profonda lettura “teologica” della storia: una lettura che noi dobbia-mo continuamente imparare da Colei la cui fede è senza ombre e senza incrinature. “L’anima mia magnifica il Signore”. Maria riconosce la grandezza di Dio. Questo è il primo indispensabile sentimento della fede; il sentimento che dà sicurezza all’umana creatura e la libera dalla pau-ra, pur in mezzo alle bufere della storia.

Andando oltre la superficie, Maria “vede” con gli occhi della fede l’opera di Dio nella sto-ria. Per questo è beata, perché ha creduto: per la fede, infatti, ha accolto la Parola del Signore e ha concepito il Verbo incarnato. La sua fede Le ha fatto vedere che i troni dei potenti di questo mondo sono tutti provvisori, mentre il trono di Dio è l’unica roccia che non muta e non cade. E il suo Magnificat, a distanza di secoli e millenni, resta la più vera e profonda interpretazione della storia, mentre le letture fatte da tanti sapienti di questo mondo sono state smentite dai fatti nel corso dei secoli.

Cari fratelli e sorelle! Torniamo a casa con il Magnificat nel cuore. Portiamo in noi i medesi-mi sentimenti di lode e di ringraziamento di Maria verso il Signore, la sua fede e la sua speran-za, il suo docile abbandono nelle mani della Provvidenza divina. Imitiamo il suo esempio di disponibilità e generosità nel servire i fratelli. Solo, infatti, accogliendo l’amore di Dio e facen-do della nostra esistenza un servizio disinteressato e generoso al prossimo, potremo elevare con gioia un canto di lode al Signore. Ci ottenga questa grazia la Madonna, che questa sera ci invita a trovare rifugio nel suo Cuore Immacolato.

Preghiera: Come non amarti, Maria? S. Teresa d’Avila

O Vergine immacolata,Tenerissima Madre!Tu sei piena di gioiaPerché Gesù ci dona la sua vitaE gli infiniti tesori della sua divinità.O Maria, come non amarti

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3 anno - Mandati

E non benedirtiPer il tuo grande amoreVerso di noi?Tu davvero ci ami,Come ci ama Gesù!Amare è dare tutto,anche se stessi,E tu ti sei donata totalmentePer la nostra salvezza.Il Salvatore conoscevaI segreti del tuo cuore maternoE l’immensa tua tenerezza.Gesù morente,Prima dell’ultimo respiro,Ci affida a te, rifugio dei peccatori.O Maria, tu sul calvario,Dritta presso la croceCome un sacerdoteDavanti all’altare,Offri per noi il dolce Emmanuele,Il Dio con noi, il tuo amato Gesù.O Regina dei martiri e nostra speranza,Noi ti amiamo e ti benediciamo in eterno.Amen.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla Novena di Natale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

C. M. Martini La donna nel suo popolo

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3.4 Credere per vedere cosa è realmente accaduto credo in un disegno: la vita eterna, la vita nuova

TEMA DELL’UNITA’:

il disegno di salvezza eterna di Dio per l’uomo: il giudizio, la resurrezione della carne, la vita eterna.

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo al futuro, alla speranza in esso, e al problema della morte che lo minaccia , sia nel rapporto con se stessi, con Dio, che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Educare i giovanissimi ad acquisire la consapevolezza che il futuro nasce dal pre-sente: a vivere la relazione tra presente e futuro nella propria vita in modo fecondo, interrogandosi su come vivere in pienezza l’oggi per costruire il domani.

• Educare i giovanissimi alla responsabilità, cioè ad assumersi le conseguenze delle proprie azioni.

• Aiutare i giovanissimi a conoscere la dottrina cristiana riguardo all’escatologia (so-prattutto nei punti a loro più sconosciuti o controversi), vista come il compimento del progetto di amore di Dio offerto alla libertà dell’uomo che chiama in causa la respon-sabilità delle sue scelte. Aiutare i giovanissimi a superare una visione infantile di essa.

• Educare i giovanissimi ed accompagnarli ad esercitare un discernimento sulla pro-pria vita alla luce del giudizio divino, improntato al criterio fondamentale di amore, ed educarli ad esercitarsi a scegliere tra bene e male, e alla responsabilità che questo comporta.

• Accompagnare i giovanissimi ad acquisire la consapevolezza che la salvezza non è individuale, ma comunitaria: ci salveremo con tutte le nostre relazioni, quelle che ab-biamo costruito nelle nostre scelte quotidiane. Educare quindi a vivere l’escatologia anche come responsabilità nei confronti della salvezza dell’altro.

• Accompagnare i giovanissimi a vivere l’esperienza di chiesa come occasione per spe-rimentare gradualmente il compiersi della promessa di Dio e in virtù di esso diventa-re persone portatrici di speranza.

• Esercitarsi a riconoscere i “segni” del regno di Dio nella vita di tutti i giorni, valoriz-zandoli e coltivandoli e “segnalandoli” agli altri.

• Imparare ad essere persona vigilanti capaci di attendere l’avvento del Regno di Dio nella speranza ma anche nell’impegno concreto per la sua realizzazione.

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3 anno - Mandati

VEDERE

speranza per vivere; speranza davanti alla morte

spunti di riflessioneCome penso al mio futuro? Come lo costruisco? Quali sono le mie attese della mia vita fu-

tura? Quali le mie speranze? Spero in qualcosa?

preghiamo insiemepreghiera di lode e ringraziamento in forma responsoriale (ogni adolescente loda e ringra-

zia Dio per il dono di Gesù)

ripetiamo insieme: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio 1Gv 5,11

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Is. 25,6-9NT: ap 21,1 ss Mt 25

Il catechismoCdg/1: cap. 6 pag. 318-319

spunti di riflessionePer una riflessione sul testo di Is.25:

BANCHETTO- Chi preparava la tavola?. Hanno in mente qualche altro passo dove succede la stessa cosa?

Hanno in mente qualche situazione in cui questo succede anche oggi? Com’è la tavola, cosa ci sarà? Chi sono gli invitati ?

- Quali sono per noi gli ingredienti di una festa, cosa ci aspettiamo: Se qualche festa a cui siamo stati è stata particolarmente bella, cosa c’era di bello? Quand’è che ci sentiamo proprio contenti a una festa?

VELO COLTRE1) Capire insieme cosa possono essere il velo e la coltre. 2) Com’erano le persone sotto la coltre e dietro il velo? Si capiva chi erano? Cosa lasciavano

vedere delle persone la coltre e il velo?a) Velo (immaginiamoci di avere un velo sulla faccia): cosa si vede da dietro il velo? Si vedono

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3 anno - Mandati

bene le cose? E le altre persone? Cosa vedono gli altri di me che sono dietro il velo?b) Ci sono delle situazioni in cui mi sembra che ci sia come un velo (fine, medio, molto spesso) tra me e gli altri, tra me e me stesso, tra me e Dio?Es: prendere in giro, dire bugie, essere aggressivi, essere violenti, ignorare, ricattare, usare gli altri per i propri scopi, “gasarsi” etc.,c) Quando mi succede, come mai faccio così ? come mi sento? ( Sono arrabbiato, deluso, ho paura di essere preso in giro, di non essere accettato, sono stato ferito e voglio ferire in risposta etc. )d) Quando c’è il velo, riusciamo a toglierlo? Come? Cosa ci vuole per toglierlo? Nel testo chi è che toglie il velo? Quand’è che il Signore, adesso, per noi, strappa questo velo? Quand’è che toglie la coltre?

ASCIUGARE LE LACRIMEa) Quand’è che piangiamo? Cosa ci fa piangere? Come ci sentiamo quando piangiamo

da soli? Ci è successo di farci consolare? Da chi ci facciamo asciugare le lacrime con una carezza?

b) Cosa ci dice questo gesto nella drammatizzazione del rapporto tra Dio e ogni persona? Quand’è che adesso il Signore ci asciuga le lacrime? Ci è capitato qualche volta di accorgercene?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della quinta Domenica di Quaresima Castel di Casio, 9 marzo 2008

Se abbiamo celebrato con fede i santi Misteri durante queste domeniche di Quaresima, ab-biamo percorso un cammino che ci ha portato ad una conoscenza sempre più profonda della persona di Gesù e del suo Mistero. Questo cammino vive oggi il suo momento più forte. Gesù fa la suprema rivelazione di Se stesso: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”.

Gesù rivela Se stesso oggi come la risurrezione e la vita. Oggi dice a noi due cose riguardo a Se stesso. Prima di tutto che la vita e la risurrezione è Lui stesso. Che Gesù avesse già fatto capire nei tre anni della sua vita pubblica che egli era la vita, era chiaro. Ma ora dice di Se stesso una cosa sconvolgente: non solo che è la vita, ma la risurrezione. Cioè: Egli è vita anche per chi è fisicamente morto; e cioè “risurrezione”. La morte fisica non è una vittoria definitiva sull’uomo come se ne fosse la totale distruzione e corruzione. In Gesù c’è una vita che possiede una tale forza da comunicarsi anche a chi è fisicamente morto, se in Lui ha creduto.

La seconda cosa è conseguenza della prima; “chi crede” in Lui “anche se muore, vivrà”. Me-diante la fede l’uomo entra in possesso di una vita che non è distrutta dalla morte fisica e che continua sempre. Anche se il credente è privato per un certo periodo del suo corpo che subisce nel sepolcro il dissolvimento della morte, chi ha creduto in Cristo continua a vivere con Lui: non per modo di dire, ma realmente e veramente. La morte riguarda temporaneamente solo il corpo. Temporaneamente, perché anch’esso sarà risvegliato dalla potenza di Gesù. Così la persona che è ciascuno di noi, in carne ed ossa, vivrà in pienezza della stessa vita di Gesù, in eterno.

Miei cari fratelli e sorelle, che cosa grandiosa è il cristianesimo! Esso è la risposta vera al desiderio più profondo dell’uomo, quello di vivere. In fondo, noi vogliamo una sola cosa, la

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3 anno - Mandati

“vita beata”, la vita che è semplicemente vita, semplicemente “felicità”.

Gesù oggi dice di Se stesso che è la risurrezione e la vita non solo a parole, ma con un fatto: “e detto questo, gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori”. Egli fa uscire da una tomba vivo un cadavere che vi giaceva già da quattro giorni.

La risurrezione di Lazzaro dobbiamo vederla e considerarla e come un fatto realmente ac-caduto e come un segno.

Come un fatto. Realmente Lazzaro viene fatto uscire dalla parola di Gesù dal sepolcro dopo quattro giorni dalla sua sepoltura. Come un segno. La risurrezione di Lazzaro è il segno di ciò che avverrà per ciascuno di noi alla fine del mondo. Ognuno di noi sarà chiamato fuori dal seno della morte dalla potenza di Gesù. Chi crede in Lui sarà chiamato per la vita eterna di beatitudine; chi non ha creduto per la condanna eterna.

Gesù è la risurrezione e la vita. Chi crede in Lui, chi lo incontra veramente e profondamente mediante la fede e i sacramenti, vive fin da ora della vita stessa di cui vive Gesù, e “chiunque vive e crede” in Lui “non morrà in eterno”.

Ma è possibile anche ritenere tutte queste cose pure favole, vacue parole, o al massimo discorsi inventati dall’uomo per avere necessarie illusioni sulla propria reale condizione. La duplice reazione possibile - la fede o l’incredulità – di fronte alla risurrezione di Lazzaro con-tinua anche oggi.

Anche oggi ciascuno di noi può credere che Gesù è la risurrezione e la vita; oppure ritenere che la morte totale di se stesso è il destino inevitabile di ciascuno. Può credere che Gesù è più forte della morte; oppure ritenere che la potenza della morte sia invincibile.

Miei cari e buoni fedeli, il Signore ci ha fatto il dono di leggere e meditare questa santa pa-gina durante la Visita pastorale. È dono e grazia questa coincidenza.

La risurrezione di Lazzaro in quanto evento che rivela la vera identità di Gesù, non appar-tiene al passato. Gesù anche oggi desidera manifestarsi come risurrezione e vita. Non sempli-cemente per darci una informazione a riguardo di Se stesso. Ma perché mentre compie questa manifestazione di Se stesso, Egli diventa ora e per ciascuno di voi risurrezione di vita. In che modo?

Il Vescovo è venuto in mezzo a voi precisamente ed in primo luogo come ministro di que-sto evento di grazia: perché vi sta predicando il Vangelo; perché vi preparerà fra poco un cibo mangiando il quale, l’uomo viene in possesso dell’eterna vita di Gesù.

Ogni domenica don Marco compie per voi questo stesso grande servizio. Allora voi potete capire che cosa è la comunità cristiana. È il luogo dove è possibile che l’uomo incontri Gesù che è la risurrezione e la vita, perché credendo in Lui viva in eterno. Esiste un luogo nel mondo più prezioso di questo? Certamente no. Dovete dunque vivere in esso, vivere la vostra appar-tenenza alla vostra comunità prima di tutto per ascoltarvi la predicazione del Vangelo; perché ascoltando, crediate; perché credendo, abbiate la vita di Gesù in voi.

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3 anno - Mandati

Pillole di ConcilioLG 48; GS 39

preghiamo insieme

“Ti prego o mio Dio,fa’ che ti possa conoscere, fa’ che ti possa amare,per giungere ad avereparte al tuo gaudio.Aiutami a trascorrereI miei giorniIn una speranza gioiosaPerché possa goderti per sempreNella realtà del Paradiso” (Anselmo d’Aosta)

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Dal “De civitate Dei” di S. Agostino

Nella Gerusalemme celeste il nostro sabato santo in Dio (…) non cesserà con la sera, ma sarà giorno del Signore come un giorno ottavo eterno: giorno ottavo che, consacrato dalla Risurre-zione del Cristo, prefigura il riposo eterno non solo dello spirito, ma anche del corpo.

Allora riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco che cosa accadrà in quella fine che non avrà mai fine.

Dai «Discors » di sant’Efrem, diacono (Sermo 3, De fine et admonitione 2. 4-5: Opera, edizione Lamy 3, 216-222) La speranza della vita nuova in Cristo

Fa’ risplendere, o Signore, il lume del tuo sapere e caccia le tenebre della nostra mente, perché ne sia illuminata e ti serva con rinnovata purezza. Il sorgere del sole dà principio all’at-tività dei mortali; fa’, Signore, che perduri nelle nostre menti un giorno che non conosca fine. Concedi di scorgere in noi la vita della risurrezione, e nulla distolga il nostro spirito dalle tue gioie. Imprimi in noi, o Signore, il segno di questo giorno che non trae inizio dal sole, infon-dendoci una costante ricerca di te.

Ogni giorno ti accogliamo nei tuoi sacramenti e ti riceviamo nel nostro corpo; facci degni di sperimentare nella nostra persona la risurrezione che speriamo. Con la grazia del Battesimo abbiamo nascosto nel nostro corpo il tuo tesoro, quel tesoro che si accresce alla mensa dei tuoi sacramenti; dacci di gioire nella tua grazia. Noi possediamo in noi stessi, perché lo attingiamo alla tua mensa spirituale, il tuo memoriale; fa’ che lo possediamo pienamente nella rinascita eterna.

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3 anno - Mandati

Quanto sia grande la nostra bellezza, ce lo faccia comprendere quella bellezza spirituale che, pur nella nostra condizione di mortali, la tua volontà immortale suscita. La tua crocifis-sione, nostro Salvatore, pose fine alla vita dei corpo; concedici di crocifiggere spiritualmente la nostra anima. La tua risurrezione, o Gesù, faccia crescere in noi l’uomo spirituale; il contatto con i tuoi misteri sia per noi come uno specchio che ce lo fa conoscere. La tua economia di-vina, Salvatore nostro, è simbolo del mondo spirituale; concedici di percorrerlo come uomini spirituali.

Non privare, Signore, la nostra mente della tua rivelazione spirituale, e non sottrarre alle nostre membra il calore della tua dolcezza. La natura mortale del nostro corpo ci conduce alla morte; riversa su di noi il tuo amore spirituale e purifica il nostro cuore dalle conseguenze del-la nostra condizione mortale. Dacci, o Signore, di affrettarci verso la nostra città e -come Mosè sul Sinai- fa’ che la possediamo attraverso la tua manifestazione.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta alla settimina alla messa feriale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

Card. Giacomo Biffi, Che cosa c’è dopo? Di là? Alla Fine?Card. Giacomo Biffi, l’aldilà con la morte finisce tutto?

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3.5 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La passione e morte: l’amore che rinnova e porta alla vita eterna

TEMA DELL’UNITA’:

la passione di Gesù ci rivela l’amore di Dio che ci dona una vita nuova, la grazia di amare come Lui e partecipare eternamente insieme alla vita di Dio.

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-no riguardo alla relazione uomo- donna e al tema dell’amore, sia nel rapporto con se stessi, con Dio, che quando si confrontano con gli altri e con la mentalità del nostro mondo, per riuscire a renderli consapevoli delle loro attese più profonde, dei loro desideri e delle loro difficoltà e paure.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli dell’influenza della mentalità comune sui loro pensieri, orientamenti e scelte, per aiutarli a scegliere in modo sempre più libero.

• Aiutare i giovanissimi a diventare consapevoli della visione riguardo all’amore e alla relazione uomo donna nella mentalità comune, saperla confrontare con quella cristia-na per cogliere come questa sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Aiutare i giovanissimi a riflettere e a comprendere che tipo di amore è l’amore di Dio in Gesù che si esprime nella passione: quali scelte profonde richiede, in quali atteggiamenti si esprime, che sentimenti mette in gioco, che reazioni suscita, che frutti porta.

• Accompagnare i giovanissimi a riflettere e ad approfondire l’essere di Dio come tri-nità d’amore.

• Aiutare i giovanissimi a comprendere come l’esempio di amore di Gesù nella passio-ne indichi un nuovo tipo di amore anche nella relazione uomo-donna e quali conse-guenze porti nelle loro scelte concrete in questo campo.

• Educare i giovanissimi alla meditazione personale sulla passione di Gesù come espressione del loro amore per Lui.

• Educare i giovanissimi ad affidare nella preghiera a Dio le loro speranze, attese, diffi-coltà e delusioni riguardo al tema dell’affettività.

• Educare i giovanissimi a vivere il tema dell’affettività in chiave vocazionale, come risposta ad un disegno d’amore di Dio su di loro.

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3 anno - Mandati

VEDERE

Quale amore?

spunti di riflessioneCome descriveresti l’amore? Come mi rapporto con chi amo? Chi amo? Da dove nasce l’a-

more? Come lo coltivo? L’amore è la mia felicità?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Rom. 5,8

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Ez 37,1-10 “Vieni o spirito …e soffia su questi morti…”NT: Passione secondo GiovanniIl catechismoCdg/1: cap. 6 pag. 335-339

spunti di riflessioneConfronto con l’amore che salva

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della III Domenica di Pasqua - Lagaro, 30 aprile 2006

“Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io. Toccatemi e guardate”. La pagina del Vangelo oggi narra un’apparizione del Signore risorto ai suoi discepoli nella quale Egli vuole convincerli di essere vivo “nel suo vero corpo” [“un fantasma non ha carne ed ossa come ve-dete che ho io”], e che c’è una perfetta identità fra quel Gesù col quale avevano condiviso tutto prima della morte e il Risuscitato apparso in mezzo a loro. Potremmo riassumere il contenuto della pagina evangelica nel modo seguente: il Signore risorto è lo stesso identico Gesù morto crocefisso; questa identità è assicurata nel corpo e dal corpo: il corpo risorto è lo stesso corpo sepolto il venerdì santo.

Possiamo allora e dobbiamo chiederci: perché il Signore risorto insiste tanto sul suo essere la stessa identica persona prima e dopo la morte del suo corpo? E’ così importante essere certi

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di questa identità? Non importante, ma necessario. Anzi, se così non fosse la nostra fede sa-rebbe vana. Vediamo perché.

La risurrezione è un fatto accaduto realmente a Gesù, un avvenimento che ha riguardato la sua Persona in quanto avente un’anima ed un corpo umano come il nostro. Dire che Gesù è ri-sorto non significa dire semplicemente che Egli vive immortale nella sua anima umana, come accade per noi. Significa dire che Gesù ha ripreso il suo corpo sepolto e lo ha reso partecipe di una vita ormai incorruttibile ed eterna, perché divina. Egli, pertanto, vive col suo corpo per sempre: Egli è e rimane il “Verbo incarnato”. “Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. La condivisione da parte del Verbo della nostra carne [“il Verbo si fece carne”] non è stato una specie di “parentesi” che è durata lo spazio di una vita terrena; una sorta di week-end dentro alla nostra condizione, terminato il quale ritorna ad essere come prima. Egli, al contrario, rimane per sempre nella nostra carne. Tutta la forza salvifica, tutto il significato dell’incarnazione, di Dio fattosi carne, svanirebbero fin dal principio se il Verbo non fosse anche un corpo per sempre. Carissimi fratelli e sorelle, questo è un punto centrale della nostra santa fede.

Se ora riascoltiamo la prima lettura, noi sentiamo che S. Pietro chiama la risurrezione di Gesù “glorificazione”: “il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù”. Questo modo apostolico di indicare la risurrezione di Gesù è assai importante perché ce ne fa capire una di-mensione essenziale. Essa non è consistita semplicemente nella “ri-animazione” del cadavere deposto nella tomba. Essa consiste nel rendere partecipe quel cadavere della vita stessa divina: è stata una rianimazione glorificante che ha introdotto quella carne dentro alla vita divina. E’ diventato un corpo vivente della vita stessa divina: “ha glorificato il suo servo Gesù”.

Questo è dunque il contenuto preciso e completo del fatto della risurrezione in quanto fatto accaduto a Gesù: quel Gesù che era stato crocefisso, è ora vivente d’una vita gloriosa anche corporale e non solo spirituale. È una vita corporale diversa certo da quella di cui noi viviamo ora, ma che nondimeno è in continuità reale con quel corpo che è stato sepolto. Questa è stata la risurrezione di Gesù!

Ma la risurrezione di Gesù non riguarda solo Lui: riguarda ciascuno di noi. S. Pietro, sem-pre nella prima lettura, dopo aver notificato che Gesù era risorto, dice: “pentitevi dunque, e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati”.

La risurrezione di Gesù ha introdotto l’umanità - anima e corpo - dentro alla partecipazione della vita divina. Ma Egli non ha vissuto per sé questo avvenimento, ma lo ha vissuto “per” ciascuno di noi: cioè “a nostro favore” e come “nostro capo”. Gesù risorto è il principio, la fonte della vita nuova che vuole donarci: “nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati”.

Credere nella risurrezione del Signore è dunque una decisione che realmente coinvolge tut-ta la nostra persona e tutta la nostra vita. Significa rendersi conto che la vita vissuta seguendo il nostro egoismo è una vita mortale, cioè che non ha alcuna prospettiva di eternità; essere certi che nella risurrezione di Gesù ci viene offerta la possibilità reale di una “vita nuova”; celebrare i sacramenti attraverso i quali questa possibilità diventa un avvenimento che accade realmen-te nella nostra persona [= sacramenti pasquali]: battesimo-Eucarestia.

Carissimi, ora istituirò un accolito. Il Signore risorto ed asceso al cielo fa’ dono alla sua Chiesa di tutti quei “ministeri” di cui ha bisogno. Voi oggi ne avete la prova.

Siatene grati al Signore, e beneditelo nella concordia e nella pace.

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Pillole di ConcilioGS 49

preghiamo insieme

“Dio, uno in tre persona;una essenza, potenza,sapienza, bontà;una e indivisa Trinità,apri a me, che t’invoco,le porte della giustizia,affinchè entrato in esse, io ti confessi, o Signore. (S. Agostino)

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Gv 17

Dall’omelia della Veglia Pasquale nella notte santa di Benedetto XVI Basilica Vaticana Sabato Santo, 7 aprile 2007Ritorniamo ancora alla notte del Sabato Santo. Nel Credo professiamo circa il cammino di

Cristo: “Discese agli inferi”. Che cosa accadde allora? Poiché non conosciamo il mondo della morte, possiamo figurarci questo processo del superamento della morte solo mediante im-magini che rimangono sempre poco adatte. Con tutta la loro insufficienza, tuttavia, esse ci aiutano a capire qualcosa del mistero. La liturgia applica alla discesa di Gesù nella notte della morte la parola del Salmo 23 [24]: “Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche!” La porta della morte è chiusa, nessuno può tornare indietro da lì. Non c’è una chiave per questa porta ferrea. Cristo, però, ne possiede la chiave. La sua Croce spalanca le porte della morte, le porte irrevocabili. Esse ora non sono più invalicabili. La sua Croce, la radicalità del suo amore è la chiave che apre questa porta. L’amore di Colui che, essendo Dio, si è fatto uomo per poter morire - questo amore ha la forza per aprire la porta. Questo amore è più forte della morte. Le icone pasquali della Chiesa orientale mostrano come Cristo entra nel mondo dei morti. Il suo vestito è luce, perché Dio è luce. “La notte è chiara come il giorno, le tenebre sono come luce” (cfr Sal 138 [139],12). Gesù che entra nel mondo dei morti porta le stimmate: le sue ferite, i suoi patimenti sono diventati potenza, sono amore che vince la morte. Egli incontra Adamo e tutti gli uomini che aspettano nella notte della morte. Alla loro vista si crede addirittura di udire la preghiera di Giona: “Dal profondo degli inferi ho gridato, e tu hai ascoltato la mia voce” (Gio 2,3). Il Figlio di Dio nell’incarnazione si è fatto una cosa sola con l’essere umano - con Adamo. Ma solo in quel momento, in cui compie l’atto estremo dell’amore discendendo nella notte della morte, Egli porta a compimento il cammino dell’incarnazione. Mediante il suo morire

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3 anno - Mandati

Egli prende per mano Adamo, tutti gli uomini in attesa e li porta alla luce.Ora, tuttavia, si può domandare: Ma che cosa significa questa immagine? Quale novità è lì

realmente accaduta per mezzo di Cristo? L’anima dell’uomo, appunto, è di per sé immortale fin dalla creazione – che cosa di nuovo ha portato Cristo? Sì, l’anima è immortale, perché l’uo-mo in modo singolare sta nella memoria e nell’amore di Dio, anche dopo la sua caduta. Ma la sua forza non basta per elevarsi verso Dio. Non abbiamo ali che potrebbero portarci fino a tale altezza. E tuttavia, nient’altro può appagare l’uomo eternamente, se non l’essere con Dio. Un’eternità senza questa unione con Dio sarebbe una condanna. L’uomo non riesce a giungere in alto, ma anela verso l’alto: “Dal profondo grido a te…” Solo il Cristo risorto può portarci su fino all’unione con Dio, fin dove le nostre forze non possono arrivare. Egli prende davvero la pecora smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Aggrappati al suo Corpo noi viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio. E solo così è vinta la morte, siamo liberi e la nostra vita è speranza.

È questo il giubilo della Veglia Pasquale: noi siamo liberi. Mediante la risurrezione di Gesù l’amore si è rivelato più forte della morte, più forte del male. L’amore Lo ha fatto discendere ed è al contempo la forza nella quale Egli ascende. La forza per mezzo della quale ci porta con sé. Uniti col suo amore, portati sulle ali dell’amore, come persone che amano scendiamo insieme con Lui nelle tenebre del mondo, sapendo che proprio così saliamo anche con Lui. Preghiamo quindi in questa notte: Signore, dimostra anche oggi che l’amore è più forte dell’odio. Che è più forte della morte. Discendi anche nelle notti e negli inferi di questo nostro tempo moderno e prendi per mano coloro che aspettano. Portali alla luce! Sii anche nelle mie notti oscure con me e conducimi fuori! Aiutami, aiutaci a scendere con te nel buio di coloro che sono in attesa, che gridano dal profondo verso di te! Aiutaci a portarvi la tua luce! Aiutaci ad arrivare al “sì” dell’amore, che ci fa discendere e proprio così salire insieme con te! Amen.

Preghiera: DAVANTI ALLA TUA MORTE da una preghiera di Giovanni Paolo II

Noi ti adoriamo, Cristo Gesù.Ci mettiamo in ginocchioe non troviamo parole sufficienti per esprimere quel che proviamo davanti alla tua morte in croce.Noi desideriamo, o Cristo,gridare oggi verso la tua misericordiapiù grande di ogni forza e potenzaalla quale possa appoggiarsi l ‘uomo.La potenza del tuo amoresi dimostri ancora una volta più grande del male che ci minaccia.Si dimostri più grande dei molteplici peccati che si arrogano in forma sempre più assoluta la cittadinanza nella vita degli uomini.

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Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare alla stazione quaresimale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

HV 9-10Deus caritas est

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3.6 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La risurrezione: Gesù vivo non ci lascerà mai soli La cresima (consapevolezza di credere/amare il Signore perché Lui ci viene incontro, ci dona il suo Spirito e ci dona un posto nella chiesa)

TEMA DELL’UNITA’:

Gesù risorto ci viene incontro, col dono della spirito ci chiama a partecipare dell’amore del Padre e del Figlio, ci dona un posto nella chiesa, e ci manda a partecipare di questo amore a tutto il mondo.

Obiettivo:

• Riflettere sul legame fra risurrezione e dono dello Spirito Santo• Aiutare i giovanissimi a formulare le domande, gli interrogativi, i problemi che vivo-

no riguardo al dono dello Spirito Santo• Aiutare i giovanissimi a riscoprire il fondamento della cresima della loro vita nella

chiesa e di testimoni• Riscoprire la propria Cresima consapevolmente, il suo legame con la risurrezione di

Gesù, e poter ri-scegliere consapevolmente la novità di vita che comporta.• Rendere i giovanissimi consapevoli della differenza che la Cresima comporta rispetto

al modo di vivere e di giudicare del mondo, per cogliere come la vita cristiana sappia rispondere alle attese più profonde del loro cuore.

• Conoscere e impegnarsi a vivere le esigenze che la cresima comporta, sia nel rapporto con Dio che con i fratelli.

• Riscoprire la cresima come fondamento delle relazioni nel gruppo e nella comunità parrocchiale.

• Educare i ragazzi alla condivisione dell’esperienza di fede e di preghiera che vivono, sia all’interno del gruppo che nell’ascolto delle esperienze di altri, più adulti nella fede.

• Educare i giovanissimi all’atteggiamento di conversione continua che deriva dalla consapevolezza di essere figli e di voler vivere da figli.

• Educare i giovanissimi a fare scelte concrete e quotidiane che rendano presente la novità di vita cristiana

• Riscoprire la cresima come forza per essere testimoni di Gesù nelle relazioni e nella vita quotidiana.

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3 anno - Mandati

VEDERE

La Chiesa come dono e cammino alla sequela di Cristo

spunti di riflessioneCosa significa per me vivere da cristiano? Cosa mi cambia la Risurrezione? Cosa mi cambia

fare parte della Chiesa? Che idea ho di Chiesa? Che posto ho nella Chiesa?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Rom. 5,5

CONFRONTARE

La BibbiaNT: Gv 21 Pietro epilogo della sua vicenda

Il catechismoCdg/1: cap. 5 pag. 283-287

spunti di riflessioneI discepoli hanno già incontrato il Signore Risorto ma cosa succede? Sembrano bisognosi di

incontrarlo di nuovo. Chi riconosce lo stile di Gesù (Gettate la rete sul lato destro della barca e troverete Gv 21,6) è il “discepolo amato” colui che ha esperienza dell’amore del Signore, colui che ha posato il capo sul grembo di Gesù quasi a mettersi in ascolto del suo cuore (cf. Gv 13,23-25), sa leggere i segni e diventa capace di riconoscere Gesù.

E nella nostra vita che esperienze abbiamo dell’incontro con Gesù? Lo riconosciamo? Gli parliamo? Abbiamo paura e ci “gettiamo in mare”? In che cosa possiamo riconoscerlo? Come possiamo stare con lui?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della celebrazione della Pasqua di Risurrezione del Signore Cattedrale di S. Pietro, 23 marzo 2008

“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocefisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto”. Le parole che le donne ascoltano, narrano semplicemente il fatto che noi oggi celebriamo: Gesù crocefisso e sepolto non può essere tro-

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3 anno - Mandati

vato in un sepolcro perché è risorto.Prima di ogni altra considerazione, quanto la Chiesa oggi celebra è prima di tutto un fatto

realmente accaduto. Le testimonianze circa la risurrezione di Gesù sono talmente numerose, alcune arrivate a noi in forma diretta e personale da parte dei protagonisti, che nessun fatto dell’antichità è certificato con tanta attendibilità. Come abbiamo sentito nella prima lettura, l’inizio della predicazione cristiana coincise colla narrazione-testimonianza di questo fatto da parte di Pietro. Pietro e gli altri apostoli erano uomini tutt’altro che predisposti a visioni e ad evasioni mistiche. Era gente sana, robusta, realistica ed allergica ad ogni allucinazione. Sem-plicemente si arresero all’evidenza di un fatto: “abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti”. Come vedete, l’apostolo non ricorda sublimi esperienze religiose, ma il fatto più banale e materiale: “abbiamo mangiato e bevuto con lui”.

Messo in chiaro questo, possiamo ora e dobbiamo chiederci: in che cosa è consistita la risurre-zione di Gesù? Che cosa è realmente accaduto in quel sepolcro? Qualcosa di unico, di incomparabil-mente singolare: il corpo umano di Gesù, il suo cadavere viene investito, permeato, vivificato dalla stessa vita di Dio. L’apostolo Paolo usa una espressione che ad un lettore assiduo della Sacra Scrittura suonava assai significativa: “Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre” [Rom 8,4]. L’ingresso della natura umana di Cristo nella vita di Dio non è un evento a disposizione delle forze umane, ma è il frutto di un intervento della forza e dello splendore di Dio, che trasfigura la condizione mortale in condizione immortale. Perché ho parlato di “novità assoluta”? perché quanto è accaduto nel sepolcro non è il ritorno da parte di Gesù alla vita umana di prima insidiata comunque dalla morte, ma l’ingresso della condizio-ne umana di Cristo nella vita e nella gloria di Dio. La risurrezione di Gesù è un fatto storico, realmente accaduto, ma che introduce Gesù, la sua umanità fatta di carne e di spirito, in una dimensione di vita profondamente nuova, in un ordine decisamente diverso.

Nell’ascolto meditato della parola di Dio, che stiamo vivendo, a questo punto sorge la do-manda decisiva per il nostro destino: questo fatto della risurrezione di Gesù che cosa significa per ciascuno di noi? Che cosa significa per il mondo e per la storia nel suo insieme? In che modo mi può riguardare?

Come avrete notato, la prima parola che le donne si sentono dire davanti al sepolcro vuoto, è la seguente: “non abbiate paura, voi!”.

Ci possono essere tante paure e timori nel cuore di una persona umana: paura di perdere e non trovare lavoro; paura di essere colpito da una malattia inguaribile; paura di perdere per-sone care. E così via. Ma se guardiamo più in profondità dentro al nostro vissuto quotidiano, vediamo che portiamo nel cuore una paura ben più profonda: la paura che alla fine tutto il nostro grande agitarsi e tribolare e lavorare non abbia un senso definitivo ed indistruttibile; che alla fine il capolinea definitivo al nostro correre sia il nulla eterno.

È vero che l’uomo ha cercato di anestetizzarsi da questa paura. Gli è stato detto che la scienza guarirà l’uomo anche da questa paura esistenziale. Si cerca di convincerlo con quella possente organizzazione della menzogna circa l’uomo che è la cultura in cui viviamo, che non deve ritenersi né diverso né superiore alla materia dalla quale per caso è emerso e nella quale scomparirà. Si oppone il rifiuto di rispondere alla domanda dei giovani che desiderano sapere se la realtà in cui entrano è amica o dominata dal “brutto poter che, ascoso, a comun danno impera”, come dice il poeta, creando con tale rifiuto una voragine educativa che non ha pre-

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3 anno - Mandati

cedenti.“Non abbiate paura, voi! “ si sentono dire le donne davanti al sepolcro vuoto. Perché pos-

siamo non avere più paura?La nuova realtà , la vita nuova che prende dimora in Cristo risorto, non si rinchiude in Lui.

Essa penetra continuamente nella nostra persona e nel nostro mondo, trasformandoli, trasfi-gurandoli perché li attira a sé.

Ciò avviene mediante la vita, la testimonianza, la predicazione della Chiesa. Se l’uomo crede a questa parola e riceve i santi sacramenti, diventa, come ci ha detto l’apostolo, “pasta nuova”.

Cari fratelli e sorelle, un grandissimo poeta greco aveva forse preavvertito tutto questo: la paura esistenziale di cui parlavo; l’insostenibile inconsistenza del nostro esserci; il desiderio di un dono divino che renda dolce il vivere. “Viviamo un giorno, cosa siamo mai? Cosa non siamo mai? Sogno di un’ombra,/ un uomo. Ma quando un bagliore, che è dono divino, ci giunga,/ lucente fulgore sovrasta noi uomini, e dolce è la vita” [Pindaro, Pitica 8,95-97; trad. C. Neri]. La risurrezione di Gesù è stata come un’esplosione di amore che ci libera dalla morte: “ci ha aperto il passaggio alla vita eterna” [Liturgia pasquale].

La risurrezione di Gesù è la sconfitta del nulla eterno, e perciò l’alternativa ad essa alla fine sarebbe una sola: il niente.

Pillole di ConcilioDV 4-5

preghiamo insiemeSalmo 18 “Ti amo Signore, mia forza…”

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppoLettura: Rom 12

Dall’omelia della celebrazione eucaristica per la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù di Benedetto XVI, Ippodromo di Randwick, Domenica, 20 luglio 2008

Cari amici,“avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi” (At 1,8). Abbiamo visto realizzata

questa promessa! Nel giorno di Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, il Signore risorto, seduto alla destra del Padre, ha inviato lo Spirito sui discepoli riuniti nel Ce-nacolo. Per la forza di questo Spirito, Pietro e gli Apostoli sono andati a predicare il Vangelo fino ai confini della terra. In ogni età ed in ogni lingua la Chiesa continua a proclamare in tutto il mondo le meraviglie di Dio e invita tutte le nazioni e i popoli alla fede, alla speranza e alla nuova vita in Cristo.

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3 anno - Mandati

In questi giorni anch’io sono venuto, come Successore di san Pietro, in questa stupenda ter-ra d’Australia. Sono venuto a confermare voi, miei giovani fratelli e sorelle, nella vostra fede e ad aprire i vostri cuori al potere dello Spirito di Cristo e alla ricchezza dei suoi doni. Prego perché questa grande assemblea, che unisce giovani “di ogni nazione che è sotto il cielo” (At 2,5), diventi un nuovo Cenacolo. Possa il fuoco dell’amore di Dio scendere a riempire i vostri cuori, per unirvi sempre di più al Signore e alla sua Chiesa e inviarvi, come nuova ge-nerazione di apostoli, a portare il mondo a Cristo!

“Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi”. Queste parole del Signore Risorto hanno uno speciale significato per quei giovani che saranno confermati, segnati con il dono dello Spirito Santo, durante questa Santa Messa. Ma queste parole sono anche indirizzate ad ognuno di noi, a tutti coloro cioè che hanno ricevuto il dono dello Spirito di riconciliazione e della nuova vita nel Battesimo, che lo hanno accolto nei loro cuori come loro aiuto e gui-da nella Confermazione e che quotidianamente crescono nei suoi doni di grazia mediante la Santa Eucaristia. In ogni Messa, infatti, lo Spirito Santo discende nuovamente, invocato nella solenne preghiera della Chiesa, non solo per trasformare i nostri doni del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore, ma anche per trasformare le nostre vite, per fare di noi, con la sua forza, “un solo corpo ed un solo spirito in Cristo”.

Ma che cosa è questo “potere” dello Spirito Santo? E’ il potere della vita di Dio! E’ il potere dello stesso Spirito che si librò sulle acque all’alba della creazione e che, nella pienezza dei tempi, rialzò Gesù dalla morte. E’ il potere che conduce noi e il nostro mondo verso l’avvento del Regno di Dio. Nel Vangelo di oggi, Gesù annuncia che è iniziata una nuova era, nella quale lo Spirito Santo sarà effuso sull’umanità intera (cfr Lc 4,21). Egli stesso, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, è venuto tra noi per portarci questo Spirito. Come sorgente della nostra nuova vita in Cristo, lo Spirito Santo è anche, in un modo molto vero, l’anima della Chiesa, l’amore che ci lega al Signore e tra di noi e la luce che apre i nostri occhi per vedere le meraviglie della grazia di Dio intorno a noi.

Qui in Australia, questa “grande terra meridionale dello Spirito Santo”, noi tutti abbiamo avuto un’indimenticabile esperienza della presenza e della potenza dello Spirito nella bellezza della natura. I nostri occhi sono stati aperti per vedere il mondo attorno a noi come veramente è: “ricolmo”, come dice il poeta “della grandezza di Dio”, ripieno della gloria del suo amore creativo. Anche qui, in questa grande assemblea di giovani cristiani provenienti da tutto il mondo, abbiamo avuto una vivida esperienza della presenza e della forza dello Spirito nella vita della Chiesa. Abbiamo visto la Chiesa per quello che veramente è: Corpo di Cristo, viven-te comunità d’amore, comprendente gente di ogni razza, nazione e lingua, di ogni tempo e luogo, nell’unità nata dalla nostra fede nel Signore risorto.

La forza dello Spirito non cessa mai di riempire di vita la Chiesa! Attraverso la grazia dei Sacramenti della Chiesa, questa forza fluisce anche nel nostro intimo, come un fiume sotter-raneo che nutre lo spirito e ci attira sempre più vicino alla fonte della nostra vera vita, che è Cristo. Sant’Ignazio di Antiochia, che morì martire a Roma all’inizio del secondo secolo, ci ha lasciato una splendida descrizione della forza dello Spirito che dimora dentro di noi. Egli ha parlato dello Spirito come di una fontana di acqua viva che zampilla nel suo cuore e sussurra: “Vieni, vieni al Padre!” (cfr Ai Romani, 6,1-9).

Tuttavia questa forza, la grazia dello Spirito, non è qualcosa che possiamo meritare o con-quistare; possiamo solamente riceverla come puro dono. L’amore di Dio può effondere la sua

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forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del no-stro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la “forza che proviene dall’alto”, una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo.

Nella sua Ascensione, il Signore risorto disse ai suoi discepoli: “Sarete miei testimoni... fino ai confini del mondo” (At 1,8). Qui, in Australia, ringraziamo il Signore per il dono della fede, che è giunto fino a noi come un tesoro trasmesso di generazione in generazione nella comu-nione della Chiesa. Qui, in Oceania, ringraziamo in modo speciale tutti quegli eroici missio-nari, sacerdoti e religiosi impegnati, genitori e nonni cristiani, maestri e catechisti che hanno edificato la Chiesa in queste terre. Testimoni come la Beata Mary MacKillop, San Peter Chanel, il Beato Peter To Rot e molti altri! La forza dello Spirito, rivelata nelle loro vite, è ancora all’o-pera nelle iniziative di bene che hanno lasciato, nella società che hanno plasmato e che ora è consegnata a voi.

Cari giovani, permettetemi di farvi ora una domanda. Che cosa lascerete voi alla prossima generazione? State voi costruendo le vostre esistenze su fondamenta solide, state costruendo qualcosa che durerà? State vivendo le vostre vite in modo da fare spazio allo Spirito in mezzo ad un mondo che vuole dimenticare Dio, o addirittura rigettarlo in nome di un falso concetto di libertà? Come state usando i doni che vi sono stati dati, la “forza” che lo Spirito Santo è anche ora pronto a effondere su di voi? Che eredità lascerete ai giovani che verranno? Quale differenza voi farete?

La forza dello Spirito Santo non ci illumina soltanto né solo ci consola. Ci indirizza anche verso il futuro, verso l’avvento del Regno di Dio. Che magnifica visione di una umanità re-denta e rinnovata noi scorgiamo nella nuova era promessa dal Vangelo odierno! San Luca ci dice che Gesù Cristo è il compimento di tutte le promesse di Dio, il Messia che possiede in pie-nezza lo Spirito Santo per comunicarlo all’intera umanità. L’effusione dello Spirito di Cristo sull’umanità è un pegno di speranza e di liberazione contro tutto quello che ci impoverisce. Tale effusione dona nuova vista al cieco, manda liberi gli oppressi, e crea unità nella e con la diversità ( cfr Lc 4,18-19; Is 61,1-2). Questa forza può creare un mondo nuovo: può “rinnovare la faccia della terra” (cfr Sal 104, 30)!

Rafforzata dallo Spirito e attingendo ad una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, ri-spettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia e dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani. Cari giovani amici, il Signore vi sta chiedendo di essere profeti di questa nuova era, messaggeri del suo

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amore, capaci di attrarre la gente verso il Padre e di costruire un futuro di speranza per tutta l’umanità.

Il mondo ha bisogno di questo rinnovamento! In molte nostre società, accanto alla prospe-rità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione. Quanti dei nostri contemporanei si sono scavati cisterne screpolate e vuote (cfr Ger 2,13) in una disperata ricerca di significato, di quell’ultimo significa-to che solo l’amore può dare? Questo è il grande e liberante dono che il Vangelo porta con sé: esso rivela la nostra dignità di uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rivela la sublime chiamata dell’umanità, che è quella di trovare la propria pienezza nell’amore. Esso dischiude la verità sull’uomo, la verità sulla vita.

Anche la Chiesa ha bisogno di questo rinnovamento! Ha bisogno della vostra fede, del vostro idealismo e della vostra generosità, così da poter essere sempre giovane nello Spirito (cfr Lumen gentium, 4). Nella seconda Lettura di oggi, l’apostolo Paolo ci ricorda che ogni sin-golo Cristiano ha ricevuto un dono che deve essere usato per edificare il Corpo di Cristo. La Chiesa ha specialmente bisogno del dono dei giovani, di tutti i giovani. Essa ha bisogno di crescere nella forza dello Spirito che anche adesso dona gioia a voi giovani e vi ispira a servire il Signore con allegrezza. Aprite il vostro cuore a questa forza! Rivolgo questo appello in modo speciale a coloro che il Signore chiama alla vita sacerdotale e consacrata. Non abbiate paura di dire il vostro “sì” a Gesù, di trovare la vostra gioia nel fare la sua volontà, donandovi comple-tamente per arrivare alla santità e facendo uso dei vostri talenti a servizio degli altri!

Fra poco celebreremo il sacramento della Confermazione. Lo Spirito Santo discenderà sui candidati; essi saranno “segnati” con il dono dello Spirito e inviati ad essere testimoni di Cri-sto. Che cosa significa ricevere il “sigillo” dello Spirito Santo? Significa essere indelebilmente segnati, inalterabilmente cambiati, significa essere nuove creature. Per coloro che hanno rice-vuto questo dono, nulla può mai più essere lo stesso! Essere “battezzati” nello Spirito significa essere incendiati dall’amore di Dio. Essersi “abbeverati” allo Spirito (cfr 1 Cor 12,13) significa essere rinfrescati dalla bellezza del piano di Dio per noi e per il mondo, e divenire a nostra volta una fonte di freschezza per gli altri. Essere “sigillati con lo Spirito” significa inoltre non avere paura di difendere Cristo, lasciando che la verità del Vangelo permei il nostro modo di vedere, pensare ed agire, mentre lavoriamo per il trionfo della civiltà dell’amore.

Nell’elevare la nostra preghiera per i confermandi, preghiamo anche perché la forza dello Spirito Santo ravvivi la grazia della Confermazione in ciascuno di noi. Voglia lo Spirito ri-versare i suoi doni in abbondanza su tutti i presenti, sulla città di Sydney, su questa terra di Australia e su tutto il suo popolo. Che ciascuno di noi sia rinnovato nello spirito di sapienza e d’intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, spirito di santo timore di Dio!

Attraverso l’amorevole intercessione di Maria, Madre della Chiesa, possa questa XXIII Gior-nata Mondiale della Gioventù essere vissuta come un nuovo Cenacolo, così che tutti noi, ardenti del fuoco dell’amore dello Spirito Santo, possiamo continuare a proclamare il Signore risorto e attrarre ogni cuore a lui. Amen!

✽ ✽ ✽

Saluto di cuore i giovani di lingua italiana, ed estendo il mio affettuoso pensiero a quanti

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sono originari dell’Italia e vivono in Australia. Al termine di questa straordinaria esperienza di Chiesa, che ci ha fatto vivere una rinnovata Pentecoste, tornate a casa rinvigoriti dalla forza dello Spirito Santo. Siate testimoni di Cristo risorto, speranza dei giovani e dell’intera famiglia umana!

Preghiera: San Pier Damiani

Onnipotente Padre,figlio e Spirito Santo,purificami, santificami.Donami la prudenza,la giustizia, la fortezza e la temperanza.Donami la fede,la speranza e la carità.Donami lo spirito di sapienza,di intelletto, di consiglio, di fortezza, di scienza,di pietà e del tuo timore.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare al triduo pasquale

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

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3.7 Credere per vivere un amore che ci cambia La Vita nuova nello Spirito: le beatitudini e l’ inno alla carità

TEMA DELL’UNITA’:

Lo Spirito dà la vita nuova, rende le beatitudini possibili e

Obiettivi:

• Riflettere sulle differenze esistenti tra lo stile di vita delle beatitudini e quello del nostro mondo, per saper individuare la mentalità del nostro mondo, i “lati oscuri” dentro di noi che sono conniventi con essa, i condizionamenti (sia dentro che fuori di noi) che ci ostacolano, gli aiuti che possiamo ricevere, per poter compiere scelte libere e consapevoli.

• Riflettere sulle beatitudini e sull’inno alla carità come”manifesti”dello stile di vita dei cristiani per capirne il significato profondo e coglierne l’autenticità e la bellezza.

• Saper collegare le beatitudini e l’inno alla carità con la vita di Gesù e comprendere quando Lui li ha vissuti e in che modo ci dona la possibilità di fare altrettanto.

• Saper guardare alla propria vita e individuare quando, anche a noi, è accaduto per grazia di poter vivere; nel nostro piccolo, in questo modo.

• Essere attenti ad individuare l’azione dello Spirito Santo, oggi, nella “vita nuova” vissuta da alcuni testimoni.

• Educare i giovanissimi ad essere disponibili all’amore verso tutti, e al dono concreto e generoso di sé in esperienze di servizio e nella vita quotidiana.

• Educare i giovanissimi a confrontarsi con esperienze di vita vissuta all’insegna della carità, e ad essere disponibili a risponder sì ad una chiamata in tal senso.

• Educare i giovanissimi a vivere con questa apertura del cuore le esperienze di servi-zio, soprattutto ai più piccoli (vedasi E.R.) e ai più poveri.

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VEDERE

Le beatitudini per il nostro tempo e per noi / Amore per tutti

spunti di riflessioneCome vivo le mie relazioni con i miei amici, in famiglia, al gruppo, a scuola?Mi accorgo di un amico che ha bisogno? Come lo aiuto? Quali difficoltà incontro? Che servizio vorrei fare in parrocchia? Perché vuoi impegnarti / non vuoi impegnarti?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offren-dosi a Dio in sacrificio di soave odore. Ef 5,20

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Lv19,1-18 (Siate santi perché io, il Signore, sono santo!...amerai il tuo prossimo come te

stesso)NT: Mt. 5; 1 Cor 13

Il catechismoCdg/1 cap. 3 pag. 158-161

spunti di riflessioneChi sono per me I “poveri in spirito, gli afflitti, i miti….”? Conosco il significato di queste

espressioni? Fra queste beatitudini, quale mi piace e mi attira di più? Come mai? Quale mi irrita di più, quale mi spaventa, e provoca in me le maggiori resistenze? Sono mai riuscito a vederne qualcuna vissuta da qualcuno vicino a me? Mi è mai capitato di riuscire a viverne qualcuna? Quando, in che situazione? Che cosa mi ha aiutato allora? Quali sono le difficoltà maggiori che incontro?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della solennità di Pentecoste Panzano, 10 maggio 2008 (Ez 37,1-14)

Cari fratelli e sorelle, la Chiesa celebra oggi il compimento della risurrezione del Signore. Questi risuscita per fare dono dello Spirito Santo a chi crede in Lui: è la festa del Dono; è la

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festa dello Spirito Santo donato ai credenti. Ascoltiamo dunque attentamente il Vangelo.“Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta

voce: chi ha sete, venga a me e beva, chi crede in me”.La grande festa di cui parla il Vangelo è la festa delle Capanne. Il rito principale consisteva

nell’attingere acqua dalla sorgente di Siloe per portarla come offerta al tempio. La celebra-zione era preghiera per ottenere sempre il dono dell’acqua, di cui una terra continuamente minacciata dalla siccità aveva assoluto bisogno.

Ma la celebrazione era soprattutto ricordo storico-salvifico dell’acqua che Dio aveva fatto sgorgare per gli ebrei dalla roccia durante il cammino del popolo nel deserto [cfr. Num 20,1-13].

Gesù si inserisce in questo contesto liturgico e fa una grande rivelazione di Se stesso: lui è la vera roccia da cui scaturisce la vera acqua; e la condizione per bere a questa sorgente è duplice: avere sete e credere in Lui.

Cari fedeli, voi capite benissimo che sulla bocca di Gesù parole come “acqua”, “sete”, “bere” hanno ormai un significato diverso da quello letterale.

Un grande Padre della Chiesa, S. Agostino, definisce l’uomo: “un filo d’erba assetato”. Chi non si riconosce in queste parole? C’è nell’uomo la sete profonda di verità, di bontà, di amore, di bellezza: di vita vera, in una parola. Gesù oggi si rivela come colui che è capace di estingue-re questa sete, di rispondere adeguatamente ai nostri bisogni più profondi.

Egli risponde anche alla domanda: come si beve quest’acqua della vita? come si accostano le labbra del nostro cuore a questa sorgente? “e beva, chi crede in me”. La via che ci conduce alla sorgente che è Gesù , è la fede. Chi crede beve l’acqua della vita umana vera. Si beve cre-dendo in Lui; riconoscendo in Lui il Figlio unigenito inviato dal Padre per la nostra salvezza; ascoltando docilmente la sua Parola, predicata nella Chiesa.

Ma a questo punto Gesù dice qualcosa di straordinario: “Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Chi ha sete e beve alla sorgente che sgorga da Cristo, diviene a sua volta una sorgente di acqua viva. Prima, Gesù parlava di Se stesso; ora, Egli par-la del suo discepolo. Anche questi, bevendo da Gesù - cioè credendo in Lui - diventa acqua che fa rifiorire la terra. Chi mediante la fede si unisce a Gesù, partecipa della stessa sua fecondità.

È la più alta descrizione della missione della Chiesa e del cristiano. Questa dipende esclu-sivamente dalla nostra unione e dalla nostra fede in Gesù. Se manca questo legame intimo, non cambieremo nulla. Il deserto può fiorire solo se vi giunge l’acqua. Il mondo, la società può essere mutato solo se i discepoli del Signore, ricevendo da Lui lo Spirito Santo, lo vivifiche-ranno. La storia lo dimostra. I santi sono come le oasi nel deserto del mondo: intorno fiorisce la carità e la vita.

Pillole di ConcilioLG 30-31

preghiamo insiemePREGHIERA SEMPLICE di San Francesco d’Assisi

O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace:dove è odio, fa’ che io porti amore;dove è offesa ch’io porti il perdono;

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dove è discordia, ch’io porti unione;dove è dubbio, ch’io porti la fede;dove è errore, ch’io porti la verità;dove è disperazione, ch’io porti la speranza;dove è tristezza, ch’io porti la gioia;dove sono le tenebre, ch’io porti la luce. O Maestro, fa’ che io non cerchi tanto:ad essere consolato, quanto a consolare;ad essere compreso, quanto a comprendere;ad essere amato, quanto ad amare.

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Gv 13,31-34

Dal messaggio di Benedetto XVI per la XXII Giornata Mondiale della Gioventù 1° APRILE 2007 Cari giovani,in occasione della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, che sarà celebrata nelle Diocesi

la prossima Domenica delle Palme, vorrei proporre alla vostra meditazione le parole di Gesù: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).

E’ possibile amare?Ogni persona avverte il desiderio di amare e di essere amata. Eppure quant’è difficile ama-

re, quanti errori e fallimenti devono registrarsi nell’amore! C’è persino chi giunge a dubitare che l’amore sia possibile. Ma se carenze affettive o delusioni sentimentali possono far pensare che amare sia un’utopia, un sogno irraggiungibile, bisogna forse rassegnarsi? No! L’amore è possibile e scopo di questo mio messaggio è di contribuire a ravvivare in ciascuno di voi, che siete il futuro e la speranza dell’umanità, la fiducia nell’amore vero, fedele e forte; un amore che genera pace e gioia; un amore che lega le persone, facendole sentire libere nel reciproco ri-spetto. Lasciate allora che percorra insieme a voi un itinerario, in tre momenti, alla “scoperta” dell’amore.

Dio, sorgente dell’amoreIl primo momento riguarda la sorgente dell’amore vero, che è unica: è Dio. Lo pone bene in

evidenza san Giovanni affermando che “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16); ora egli non vuol dire solo che Dio ci ama, ma che l’essere stesso di Dio è amore. Siamo qui dinanzi alla rivelazione più luminosa della fonte dell’amore che è il mistero trinitario: in Dio, uno e trino, vi è un eterno scambio d’amore tra le persone del Padre e del Figlio, e questo amore non è un’energia o un

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sentimento, ma una persona, è lo Spirito Santo.La Croce di Cristo rivela pienamente l’amore di DioCome si manifesta a noi Dio-Amore? Siamo qui al secondo momento del nostro itinerario.

Anche se già nella creazione sono chiari i segni dell’amore divino, la rivelazione piena del mi-stero intimo di Dio è avvenuta con l’Incarnazione, quando Dio stesso si è fatto uomo. In Cristo, vero Dio e vero Uomo, abbiamo conosciuto l’amore in tutta la sua portata. Infatti “la vera no-vità del Nuovo Testamento - ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est - non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito” (n. 12). La manifestazione dell’amore divino è totale e perfetta nella Croce, dove, come afferma san Paolo, “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). Ognuno di noi può pertanto dire senza tema di sbagliare: “Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me” (cfr Ef 5,2). Redenta dal suo sangue, nessuna vita umana è inutile o di poco valore, perché tutti siamo amati personalmente da Lui con un amore appassionato e fe-dele, un amore senza limiti. La Croce, follia per il mondo, scandalo per molti credenti, è invece “sapienza di Dio” per quanti si lasciano toccare fin nel profondo del proprio essere, “perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (cfr 1 Cor 1,24-25). Anzi, il Crocifisso, che dopo la risurrezione porta per sempre i segni della propria passione, mette in luce le “contraffazioni” e le menzogne su Dio, che si ammantano di violenza, di vendetta e di esclusione. Cristo è l’Agnello di Dio, che prende su di sé il peccato del mondo e sradica l’odio dal cuore dell’uomo. Ecco la sua veritiera “rivoluzione”: l’amore.

Amare il prossimo come Cristo ci amaEd eccoci ora al terzo momento della nostra riflessione. Sulla croce Cristo grida: “Ho sete”

(Gv 19,28): rivela così un’ardente sete di amare e di essere amato da ognuno di noi. Solo se arriviamo a percepire la profondità e l’intensità di un tale mistero, ci rendiamo conto della necessità e dell’urgenza di amarlo a nostra volta “come” Lui ci ha amati. Questo comporta l’impegno di dare anche, se necessario, la propria vita per i fratelli sostenuti dall’amore di Lui. Già nell’Antico Testamento Dio aveva detto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18), ma la novità di Cristo consiste nel fatto che amare come Lui ci ha amati significa amare tutti, senza distinzioni, anche i nemici, “fino alla fine” (cfr Gv 13,1).

Testimoni dell’amore di Cristo Vorrei ora soffermarmi su tre ambiti della vita quotidiana dove voi, cari giovani, siete par-

ticolarmente chiamati a manifestare l’amore di Dio. Il primo ambito è la Chiesa che è la nostra famiglia spirituale, composta da tutti i discepoli di Cristo. Memori delle sue parole: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35), alimentate, con il vostro entusiasmo e la vostra carità, le attività delle parrocchie, delle comunità, dei mo-vimenti ecclesiali e dei gruppi giovanili ai quali appartenete. Siate solleciti nel cercare il bene dell’altro, fedeli agli impegni presi. Non esitate a rinunciare con gioia ad alcuni vostri svaghi, accettate di buon animo i sacrifici necessari, testimoniate il vostro amore fedele per Gesù an-nunciando il suo Vangelo specialmente fra i vostri coetanei.

Prepararsi al futuro Il secondo ambito, dove siete chiamati ad esprimere l’amore e a crescere in esso, è la vostra

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preparazione al futuro che vi attende. Se siete fidanzati, Dio ha un progetto di amore sul vo-stro futuro di coppia e di famiglia ed è quindi essenziale che voi lo scopriate con l’aiuto della Chiesa, liberi dal pregiudizio diffuso che il cristianesimo, con i suoi comandamenti e i suoi divieti, ponga ostacoli alla gioia dell’amore ed impedisca in particolare di gustare pienamente quella felicità che l’uomo e la donna cercano nel loro reciproco amore. L’amore dell’uomo e della donna è all’origine della famiglia umana e la coppia formata da un uomo e da una donna ha il suo fondamento nel disegno originario di Dio (cfr Gn 2,18-25). Imparare ad amarsi come coppia è un cammino meraviglioso, che tuttavia richiede un tirocinio impegnativo. Il periodo del fidanzamento, fondamentale per costruire la coppia, è un tempo di attesa e di preparazio-ne, che va vissuto nella castità dei gesti e delle parole. Ciò permette di maturare nell’amore, nella premura e nell’attenzione verso l’altro; aiuta ad esercitare il dominio di sé, a sviluppa-re il rispetto dell’altro, caratteristiche tutte del vero amore che non ricerca in primo luogo il proprio soddisfacimento né il proprio benessere. Nella preghiera comune chiedete al Signore che custodisca ed incrementi il vostro amore e lo purifichi da ogni egoismo. Non esitate a ri-spondere generosamente alla chiamata del Signore, perché il matrimonio cristiano è una vera e propria vocazione nella Chiesa. Ugualmente, cari giovani e care ragazze, siate pronti a dire “sì”, se Iddio vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio ministeriale o della vita consacrata. Il vostro esempio sarà di incoraggiamento per molti altri vostri coetanei, che sono alla ricerca della vera felicità.

Crescere nell’amore ogni giornoIl terzo ambito dell’impegno che l’amore comporta è quello della vita quotidiana con le sue

molteplici relazioni. Mi riferisco segnatamente alla famiglia, alla scuola, al lavoro e al tempo li-bero. Cari giovani, coltivate i vostri talenti non soltanto per conquistare una posizione sociale, ma anche per aiutare gli altri “a crescere”. Sviluppate le vostre capacità, non solo per diven-tare più “competitivi” e “produttivi”, ma per essere “testimoni della carità”. Alla formazione professionale unite lo sforzo di acquisire conoscenze religiose utili per poter svolgere la vostra missione in maniera responsabile. In particolare, vi invito ad approfondire la dottrina sociale della Chiesa, perché dai suoi principi sia ispirata ed illuminata la vostra azione nel mondo. Lo Spirito Santo vi renda inventivi nella carità, perseveranti negli impegni che assumete, e audaci nelle vostre iniziative, perché possiate offrire il vostro contributo per l’edificazione della “ci-viltà dell’amore”. L’orizzonte dell’amore è davvero sconfinato: è il mondo intero!

“Osare l’amore” seguendo l’esempio dei santiCari giovani, vorrei invitarvi a “osare l’amore”, a non desiderare cioè niente di meno per la

vostra vita che un amore forte e bello, capace di rendere l’esistenza intera una gioiosa realiz-zazione del dono di voi stessi a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Colui che mediante l’amore ha vinto per sempre l’odio e la morte (cfr Ap 5,13). L’amore è la sola forza in grado di cambiare il cuore dell’uomo e l’umanità intera, rendendo proficue le relazioni tra uomini e donne, tra ricchi e poveri, tra culture e civiltà. Questo testimonia la vita dei Santi che, veri amici di Dio, sono il canale e il riflesso di questo amore originario. Impegnatevi a conoscerli meglio, affida-tevi alla loro intercessione, cercate di vivere come loro. Mi limito a citare Madre Teresa che, per affrettarsi a rispondere al grido di Cristo “Ho sete”, grido che l’aveva profondamente toccata, iniziò a raccogliere i moribondi nelle strade di Calcutta, in India. Da allora l’unico desiderio

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della sua vita divenne quello di estinguere la sete d’amore di Gesù non a parole, ma con atti concreti, riconoscendone il volto sfigurato, assetato d’amore, nel viso dei più poveri tra i po-veri. La Beata Teresa ha messo in pratica l’insegnamento del Signore: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (cfr Mt 25,40). E il messag-gio di questa umile testimone dell’amore divino si è diffuso nel mondo intero.

Il segreto dell’amore Ad ognuno di noi, cari amici, è dato di raggiungere questo stesso grado di amore, ma solo

ricorrendo all’indispensabile sostegno della Grazia divina. Soltanto l’aiuto del Signore ci con-sente, infatti, di sfuggire alla rassegnazione davanti all’enormità del compito da svolgere e ci infonde il coraggio di realizzare quanto è umanamente impensabile. Soprattutto l’Eucaristia è la grande scuola dell’amore. Quando si partecipa regolarmente e con devozione alla Santa Messa, quando si passano in compagnia di Gesù eucaristico prolungate pause di adorazione è più facile capire la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità del suo amore che sor-passa ogni conoscenza (cfr Ef 3,17-18). Condividendo il Pane eucaristico con i fratelli della comunità ecclesiale si è poi spinti a tradurre “in fretta”, come fece la Vergine con Elisabetta, l’amore di Cristo in generoso servizio ai fratelli.

Preghiera: “Mandami qualcuno da amare” di Madre Teresa di Calcutta

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;quando la mia croce diventa pesante,fammi condividere la croce di un altro;quando non ho tempo,dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;quando ho bisogno della comprensione degli altri,dammi qualcuno che ha bisogno della mia;quando ho bisogno che ci si occupi di me,mandami qualcuno di cui occuparmi;quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelliChe in tutto il mondo vivono e muoiono poveri ed affamati.Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano,e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.

Momento di preghiera in parrocchiaPartecipare almeno una volta nella settimana alla messa feriale

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AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

Padre Raniero Cantalamessa, Le beatitudini evangeliche. Otto gradini verso la felicità

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3.8 Credere per vivere un amore che ci cambia La chiesa apostolica: testimoni della lieta novella

TEMA DELL’UNITA’:

la chiesa apostolica, edificata sul fondamento degli apostoli scelti da Gesù e divenuti suoi testimoni: la chiesa comunità in cui tutti sono testimoni per annunciare la salvezza a tutti gli uomini

Obiettivi:

• Aiutare i giovanissimi a comprendere che la testimonianza nasce dal nostro quoti-diano incontro col signore e che si manifesta come un “irradiamento” della relazione con Lui.

• far comprendere ai giovanissimi che la fede è un cammino che si compie giorno per giorno che deve essere sostenuta oltre che dalla preghiera dalla testimonianza rivolta a tutti, in particolare ai coetanei.

• Maturare il senso di appartenenza alla chiesa, sentendosene parte integrante e testi-mone

• Confrontarsi con situazioni di martirio, scoprendo il sacrificio come dono per la Chiesa• Vivere la dimensione comunitaria della testimonianza e dell’evangelizzazione, attra-

verso il gruppo.• Sentirsi chiamati a prendersi cura del mondo come testimoni di Cristo, ascoltando le

richieste che ci vengono dalla realtà quotidiana.• Comprendere il ruolo e la missione del papa • Approfondire il senso del vescovo come successore degli apostoli, garante dell’unità

e della comunione nella chiesa, e il rapporto concreto con lui, conoscendo il suo ma-gistero e partecipando alle occasioni diocesane.

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VEDERE

Testimonianza

spunti di riflessioneCosa è per me la Chiesa? Chi è per me il papa? Perché nella chiesa c’è questa gerarchia? E’

meglio il prete di strada che il Vescovo che sta comodo nel suo ufficio in curia?Sono un testimone? Perché devo esserlo? Perché me lo dice la Chiesa? Che rapporto ho con

la chiesa?

preghiamo insiemepreghiera in forma responsoriale: ogni adolescente porta davanti a Dio le sue domande e

ciò che ha scoperto nella riflessione svolta

ripetiamo insieme: per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Gv 18,37

CONFRONTARE

La BibbiaAT: Dn6,1-24 2Mac.7,1-41NT: Atti 2; Mt 16, 18-19

Il catechismoCdg/1: cap. 5 pag. 270-272

spunti di riflessioneCome vivevano le prime comunità? Chi erano gli apostoli per la gente? Chi erano coloro

che si facevano battezzare? Quale era lo stile di vita dei battezzati? Come vive la nostra comu-nità? Chi è per me l’apostolo nella chiesa oggi? E i battezzati? Cambia qualcosa da prima del battesimo a dopo?

La parola dell’ArcivescovoDall’omelia della Festa di Santo Stefano protomartire; Cripta della Cattedrale di San Pietro, 26 dicembre 2007

Cari fratelli diaconi permanenti, siete fortunati ad avere come vostro patrono e modello S. Stefano. Egli è un santo a misura dei nostri tempi. Che cosa infatti chiedono alla Chiesa i nostri tempi? Lo ha detto varie volte il nostro S. Padre Benedetto XVI: che si ricostruisca una vera amicizia fra la fede e la ragione, e che questa amicizia generi una grande testimonianza di carità. Cioè: chiedono una grande testimonianza di fede, una grande testimonianza di carità. Le

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pagine che parlano di Stefano lo presentano modello di questa duplice testimonianza.Quando gli Apostoli cercarono collaboratori e trovarono anche Stefano, egli trasse da loro

proprio ciò che era la sostanza del servizio apostolico: dare testimonianza a Cristo. Che cosa significa? Che Stefano parlava di Gesù con intima convinzione, pubblicamente davanti al po-polo ed alle autorità parlava della vita di Gesù, ma soprattutto del suo mistero pasquale e della sua glorificazione.

La parola di Dio ci rivela quale era in Stefano la sorgente da cui sgorgava la sua testimo-nianza: “pieno di Spirito Santo”. Nel Vangelo di Giovanni Gesù lega strettamente la missione dello Spirito Santo colla testimonianza dei discepoli: “quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; ed anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio” [Gv 15,26-27]. La testimonianza del discepolo è la manifestazione esterna della parola interiore che lo Spirito dice al discepolo: “ille cordibus vestris inspirando, vos vocibus vestris sonando” scrive stupendamente S. Agostino [In Ioann. Tract. 92].

La parola di Dio non ci rivela solo la sorgente intima della testimonianza di Stefano; ne richiama anche la caratteristica principale: “pieno di … potenza”. Usa un termine assai signi-ficativo: “dunamis”. La stessa forza che si manifesta in tutta l’opera di Gesù ora è presente nel suo discepolo.

La potenza presente in Stefano e nella sua testimonianza raggiunge il vertice proprio nel momento in cui muore. Egli muore perdonando e chiedendo perdono per chi lo uccideva. L’a-more si rivelò essere l’impasto della sua vita. Risultò essere più potente dell’odio; più potente perfino della morte: moriva rendendo amore a chi lo uccideva. E questa potenza è davvero invincibile. Il martirio di Stefano genera il più grande testimone di Cristo di tutti i tempi: l’a-postolo Paolo.

Miei cari fratelli, vedete che in Stefano testimonianza di fede che rende ragione delle sue con-vinzioni ed opera della carità sono due dimensioni della stessa esperienza.

Vi dicevo che Stefano è un santo a misura del nostro tempo. Miei cari fratelli, è questo un punto di fondamentale importanza.

Voi sapete il posto privilegiato che i martiri hanno sempre avuto nel culto cristiano, nella coscienza dei cristiani. È guardando soprattutto ai martiri che i discepoli del Signore hanno preso coscienza della loro identità. La tradizione dei martiri è fondamentale per la Chiesa, ed anche noi siamo appena usciti dal “secolo dei martiri”. Essere cristiano significa credere; credere significa ritenere vero; ritenere vero significa essere dei confessori. E questa serie di equivalenze struttura un rapporto interpersonale nella Chiesa: è la mia persona che crede alla persona di Gesù, nella comunione che è la Chiesa.

Ma questa definizione di cristiano si radica nella stessa definizione di uomo. L’uomo è se stesso nel rapporto colla verità, cioè nell’aspirazione alla verità e nella ricerca della verità. E quando la raggiunge, la dignità e la libertà dell’uomo consiste nel sottomettersi alla verità conosciuta, nel dirla e nel testimoniarla anche pubblicamente. Il tentativo di rinchiudere la fede nel recinto del privato a cui ogni giorno assistiamo, non è solo contro la fede ma anche e prima è contro la dignità della persona. Chiedere ad un uomo questo equivale a chiedergli di rinunciare ad essere se stesso.

Problemi gravi che ci affaticano quotidianamente e dietro ai quali sta anche la figura, la vita ed il martirio di Stefano.

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Siate fieri di avere fra le vostre file un così grande fratello. Pregatelo perché vi ottenga dallo Spirito di essere pieni di potenza: la potenza dell’amore.

Pillole di ConcilioLG 31; 33

Preghiamo insiemepreghiera tratta Da La Trinità di Sant’Agostino

Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando Tu mi abbia riformato interamente.

CELEBRARE

Momento di preghiera di gruppo

Lettura: Mc 16, 15 “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo”

Dal messaggio di Giovanni Paolo II ai giovani di tutto il mondo per annunciare il tema della VII Giornata Mondiale della Gioventù

Carissimi giovani, “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mc 16, 15). Queste parole, indirizzate

agli Apostoli, toccano, mediante la Chiesa, ogni battezzato. La vocazione cristiana, infatti, im-plica una missione.

La Chiesa è, per sua natura, una comunità missionaria (cf. Ad gentes, 2). Essa vive costan-temente protesa in questo slancio missionario, che ha ricevuto dallo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste: “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” (At 1, 7). Infatti, lo Spirito Santo è il protagonista di tutta la missione ecclesiale (cf. Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, III). Di conseguenza, anche la vocazione cristiana è proiettata verso l’apostolato, verso l’evangelizzazione, verso la missione. Ogni battezzato è chiamato da Cristo a diventare suo apostolo nel proprio ambiente di vita e nel mondo: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20, 21). Cristo, tramite la sua Chiesa, vi affida la missione fonda-mentale di comunicare agli altri il dono della salvezza e vi invita a partecipare alla costruzione del suo Regno. Sceglie voi, nonostante i limiti che ciascuno porta con sé, perché vi ama e crede in voi. Questo amore di Cristo, così incondizionato, deve costituire l’anima stessa del vostro apostolato, secondo le parole di San Paolo: “l’amore del Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14).

Essere discepoli di Cristo non è un fatto privato. Al contrario, il dono della fede deve essere condiviso con gli altri. Per questo lo stesso Apostolo scrive: “Non è infatti per me un vanto

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predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16). Non dimenticate, inoltre, che la fede si fortifica e cresce proprio quando la si dona agli altri (cf. Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 2).

“Predicate il Vangelo”. Annunciare Cristo significa soprattutto esserne testimoni con la vita. Si tratta della forma di

evangelizzazione più semplice e, al tempo stesso, più efficace a vostra disposizione. Essa con-siste nel manifestare la presenza visibile di Cristo nella propria esistenza, attraverso l’impegno quotidiano e la coerenza con il Vangelo in ogni scelta concreta. Oggi il mondo ha bisogno in-nanzi tutto di testimoni credibili. Voi, cari giovani, che tanto amate l’autenticità nelle persone e che quasi istintivamente condannate ogni tipo di ipocrisia, siete disposti ad offrire al Cristo una testimonianza limpida e sincera.

Testimoniate, dunque, la vostra fede, anche tramite il vostro impegno nel mondo. Il disce-polo di Cristo non è mai un osservatore passivo ed indifferente di fronte agli eventi. Al con-trario, egli si sente responsabile della trasformazione della realtà sociale, politica, economica e culturale.

Annunziare, inoltre, significa propriamente proclamare, farsi portatore della Parola di sal-vezza agli altri. Molte persone rifiutano Dio per ignoranza. C’è, infatti, molta ignoranza intor-no alla fede cristiana, ma c’è anche un profondo desiderio di ascoltare la Parola di Dio. E la fede nasce dall’ascolto. Scrive San Paolo: “E come potranno credere, senza averne sentito par-lare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?” (Rm 10, 14). Annunziare la Parola di Dio, cari giovani, non spetta soltanto ai sac erdoti o ai religiosi, ma anche a voi. Dove-te avere il coraggio di parlare di Cristo nelle vostre famiglie, nel vostro ambiente di studio, di lavoro o di ricreazione, animati dallo stesso fervore degli Apostoli quando affermavano: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto ed ascoltato” (At 4, 20). Neanche voi dovete tacere! Esistono luoghi e situazioni in cui solo voi potete portare il seme della Parola di Dio.

Non abbiate paura di proporre Cristo a chi non lo conosce ancora. Cristo è la vera risposta, la più completa a tutte le domande che riguardano l’uomo e il suo destino. Senza di lui l’uomo rimane un enigma senza soluzione. Abbiate, dunque, il coraggio di proporre Cristo! Certo, bisogna farlo con il dovuto rispetto della libertà di coscienza di ciascuno, ma bisogna pur farlo (cf. Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, 39). Aiutare un fratello o una sorella a scoprire Cri-sto, Via, Verità e Vita (cf. Gv 14, 6) è un vero atto di amore verso il prossimo.

Parlare di Dio, oggi, non è un compito facile. Molte volte si incontra un muro di indiffe-renza, e anche una certa ostilità. Quante volte sarete tentati di ripetere con il profeta Geremia: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane!” Ma Dio risponde sempre: “Non dire: sono giovane, ma va’ da coloro a cui ti manderò” (cf. Ger 1, 6-7). Quindi non sco-raggiatevi, perché non siete mai soli. Il Signore non mancherà di accompagnarvi, come ha promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

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Preghiera: Preghiera per i giovani nel mondo di Giovanni Paolo II

Dio, nostro Padre, Ti affidiamo i giovani e le giovani del mondo, con i loro problemi, aspirazioni e speranze. Ferma su di loro il tuo sguardo d’amore e rendili operatori di pace e costruttori della civiltà dell’amore. Chia-mali a seguire Gesù, tuo Figlio. Fa’ loro comprendere che vale la pena di donare interamente la vita per Te e per l’umanità. Concedi generosità e prontezza nella risposta. Accogli, Signore, la nostra lode e la nostra preghiera anche per i giovani che, sull’esempio di Maria, Madre della Chiesa, hanno creduto alla tua parola e si stanno preparando ai sacri Ordini, alla professione dei consigli evangelici, all’impegno missionario. Aiutali a compren-dere che la chiamata che Tu hai dato loro è sempre attuale e urgente. Amen!

Momento di preghiera in parrocchiaVeglia di pentecoste

AGIRE

attività:Confronto con i testimoni:Un santo per amico: S. Gregorio MagnoDatti una mossa

APPROFONDIMENTI

Lumen gentium, 31-33 Apostolicam Actuositatem.

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STRUMENTI

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1. ATTIVITA’

VEDERE:suggerimenti per sviluppare gli argomenti nelle diverse unità

Scopo di questa sezione è capire dove si è realmente, che i giovanissimi e gli educatori ne prendano coscienza (senza spaventarsi, senza giustificarsi, senza “sgridate” e conseguenti moralismi e finzioni) ed individuino i desideri profondi .

1. ANALISI DELLA SITUAZIONE DEL MONDO INTORNO Scopo: Lavorare su testi di canzoni di musica leggera, film, reality, vita da vip, trasmissione

tipo “amici”, sondaggi sulle opinioni dei giovanissimi ecc (blog, siti internet, gergo usato) interviste libri (brani)

2. ANALISI DELLA PROPRIA SITUAZIONE a. come singoli b. come gruppo• brainstroming• giochi di ruolo ad hoc• se fosse … se fossi• Test• questionari con domande aperte riguardo alle situazioni reali• questionari con domande aperte riguardo ai sentimenti e alle emozioni che gli adolescenti

vivono davanti alle situazioni• questionari con domande aperte riguardo ai desideri e ai timori degli adolescenti e a ciò che

vogliono e che fanno per realizzare i propri progetti.• partire da un fatto accaduto ad uno di loro e problematizzarlo

3. CONFRONTO CON TESTI DI AUTORI PER PROVOCARLI A PRENDERE POSIZIONE4. LETTERA A …. (caro amico/nemico ti scrivo…..) 5. TUTTI CANTAUTORI :aggiungere strofe a canzoni note6. Intervista doppia7. INCONTRO PROVOCATORIO CON UNA SITUAZIONE O UNA PERSONA PREPARATO DA DOMANDE FATTE DA LORO

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STRUMENTI

CONFRONTARE: suggerimenti per sviluppare gli argomenti nelle diverse unità

Queste sono attività per aiutare i giovanissimi ad accostarsi al testo biblico andando a fon-do ed evitando il moralismo, sono preparatorie alla lectio

1. BIBBIA GAME Scopo: aiutare i giovanissimi ad immedesimarsi nel testo, e far emergere le proprie “riletture”

del brano, il proprio modo di intendere Dio, il suo perdono, etc, per poi scoprire invece la versione reale, e quindi la rivelazione.

Svolgimento: si ferma il testo ad un certo punto e quindi ognuno si sceglie un personaggio e lo fa. Poi si confronta come è andata la storia “fatta da noi” e quella della Bibbia. Vedere le differenze riguardo a come è Dio e come agisce per noi e come invece

ci viene rivelato dalla Scrittura. E’ anche possibile, come variazione, fermato il testo a un certo punto, ipotizzare in gruppo come sarebbe andata avanti la storia.(questo si può ri

petere anche diverse volte all’interno della stessa vicenda). Poi si confronta col testo originale.

2. VITE AL BIVIO Scopo: far comprendere ai ragazzi la novità portata da Gesù. Cosa sarebbe successo a un personaggio che ha incontrato Gesù se questo non fosse

successo. Es. di personaggi 1) Simeone e Anna 2) I re magi 3) Il cieco Timeo 4) Il ladrone in croce (dal Paradiso) 5) Maria Maddalena 6) Pietro e tutti gli apostoli 7) .....Se non avessero incontrato Gesù. Inventarsi per un personaggio o due che cosa sarebbe

successo facendo notare cosa NON sarebbe successo delle cosa fatte da Gesù, tipo Timeo non ci avrebbe visto, il ladrone non sarebbe andato in paradiso, l’adultera sarebbe stata lapidata, etc, e poi confrontare con il testo reale per far vedere qual è la novità portata da Gesù e che novità è Lui.

Tre livelli di cfr. 1) Cosa succede di diverso negli avvenimenti 2) cosa succede di diverso nel cuore delle persone e nei loro atteggiamenti e cosa c’entra Gesù con questo 3) In che modo Gesù è nuovo. (Es con l’adultera, quello che Lui fa e dice, non la

condanna ma la perdona e così dice qualcosa di assolutamente nuovo di Dio) 4) A noi è successo qualcosa del genere? 1 situazione in cui abbiamo incontrato Gesù

ed è successo qualcosa di nuovo, di diverso. oppure chiederci per la nostra vita.

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STRUMENTI

Cosa non ci sarebbe se non ci fosse Gesù? Chi non conosceremmo? Che cose nuove porta Lui a noi? Che modi diversi di fare e vivere?

Nel momento comune si porta una delle storie e le differenze, e le riflessioni fatte anche su di noi.

3. INTERVISTA IMPOSSIBILE Scopo: lavorare sul testo biblico (o sulle vite dei santi) e cercare di incontrare coloro che hanno

incontrato Dio e di scoprirli nel loro essere uomini (e donne) e credenti. Svolgimento: preparare un’intervista ad Abramo, Mosè, S.Giovanni Bosco, ecc e trovare le risposte dai testi biblici o dalle vite e dagli scritti dei santi. Si può fare per un personaggio solo, o anche come “intervista doppia” a diversi insieme. 4. SCRITTURA CREATIVA Scopo: Far emergere le differenze tra il nostro modo di vedere e quello di Dio. Fare scoprirre agli adolescenti la novità e il mistero del testo biblico. Svolgimento: dare solo l’inizio di un brano (meglio se poco noto) e farlo continuare dai ragazzi scrivendolo su un cartellone poi confrontarlo col testo originale.

5. FACCIAMO PARLARE LE IMMAGINI Scopo: Comprendere il significato del testo attraverso il messaggio simbolico non solo letto, ma visto e ascoltato. Svolgimento: con i testi poetici e simbolici realizzare una drammatizzazione che faccia vedere ciò che il testo dice. Mentre ciò avviene leggere il brano. Poi decodificare insieme i simboli e quindi il senso del testo visto.

6. CERCA GLI ATTEGGIAMENTI Scopo: aiutare gli adolescenti ad incontrarsi con la persone presenti nel testo, soprattutto con la persona di Gesù. Svolgimento: (dopo aver spiegato che cosa si intende per atteggiamento), cercare nel testo gli indicatori degli atteggiamenti ( i verbi, gli avverbi di modo, le indicazioni circa il modo con cui i soggetti fanno le azioni, la postura, l’espressione del volto, etc il tono della voce, etc): quindi provare a descrivere l’atteggiamento e confrontarsi su quanto trovato. Fare di questo una verifica per i propri atteggiamenti.

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7. ANALISI TESTO Scopo: introdurre gli adolescenti all’analisi del testo della lectio. Svolgimento: Prima personalmente, poi in gruppo, si analizza il testo, (anche sottolineandolo):

Chi sono i soggetti, cosa dicono, cosa fanno, che sentimenti hanno, che pregiudizi hanno; guardando i verbi, gli aggettivi, gli avverbi di modo e di tempo ecc….

8. CONFRONTO VANGELO E VITA Svolgimento: Dopo aver analizzato un brano anche con l’aiuto delle tecniche precedenti, chiedersi

“quando anche a noi è successo qualcosa del genere?” Aiutare i giovanissimi ad usare l’analogia nella propria vita nei propri fatti reali. Es. A noi sono stati mai mandati “angeli” ad annunciarci che il Signore è nato per noi? Chi? Quando? Come è successo? Ecc.

9. DOMANDE ALLA BIBBIA Scopo: imparare ad interrogare la scrittura, così che possa diventare un interlocutore “normale” per gli adolescenti, e non un libro vecchio. Svolgimento: partire da una domanda dei ragazzi ed attraversare un testo, o diversi testi, con quella domanda, oppure si può partire dal testo (e dai suoi paralleli o da altri correlati) e attraversarlo con una domanda suscitata da esso.

10. LECTIO DIVINA

11. STUDIO SUL VANGELO Scopo: interrogare il vangelo in modo approfondito per conoscere sempre meglio il Signore. Svolgimento: a partire da una domanda si prende il testo di un vangelo (o di più vangeli, oppure alcuni brani dello stesso vangelo) e li si attraversa scrivendo ciò che si è trovato.

12. LEZIONE DI ESPERTO

13. INCONTRO CON LA “PAROLA DI DIO VIVA” Scopo: Aiutare ad avere uno sguardo contemplativo sulla vita, che permetta di vedere come la parola di Dio sia realmente operante anche oggi. Svolgimento: si prende un brano biblico e un santo che ha vissuto realmente quel brano, e si cerca di mostrare come il vangelo sia vita vissuta anche oggi.

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14. COGLI GLI STESSI PARTICOLARI Scopo: Aiutare ad avere uno sguardo contemplativo sulla vita, che permetta di vedere come la parola di Dio sia realmente operante anche oggi. Svolgimento: mettere come in sinossi un brano della Bibbia e un fatto della vita e trovare le analogie Es. Is. 2 e funerali di papa Giovanni Paolo II; Mt 5 “non preoccupatevi di cosa mangerete” e Madre Teresa

AGIRE: suggerimenti per sviluppare gli argomenti nelle diverse unità

Confronto con le figure dei testimoni. All’interno di questo:

1) LA “GALLERIA” DEI CHIAMATI

1. Prendere alcuni testi di vite di testimoni moderni e possibilmente giovani, ed esaminare cosa è successo a loro:

• Quando si sono accorti che Il Signore li ha chiamati, e come hanno fatto ad accorgersene• Attraverso chi o quali situazioni• Cosa hanno compreso di Dio da questi fatti• Cosa hanno capito di loro stessi da questi fatti• Trovare uno “slogan” per il loro rapporto con Dio.

2. Interrogare gli educatori e chiedere loro• In che modo il Signore li ha chiamati ; come hanno fatto ad accorgersene.• In che modo questa chiamata li aiuta nella loro fede e nel loro rapporto con Gesù

3. I ragazzi:• si sono mai accorti di Gesù che li chiama e parla loro?• Attraverso chi o cosa?• Se non se ne sono mai accorti, pensandoci ora e guardandosi intorno, dove potrebbero

dire di sentire Gesù che sta parlando loro? E cosa sta dicendo?• Qualcuno che se ne è accorto, riesce a raccontare cosa gli è successo?

Nel momento insieme fare una “Via Lucis” con le “luci” che sono diventate queste perso-ne raccontando un po’ la loro vicenda per come l’abbiamo vista e capita, e dopo la testimo-nianza proporre una preghiera.

2) TU SEI IL SOGNO DEL TUO DIO

Prendere alcuni testi di vite di testimoni moderni e possibilmente giovani, ed esaminare LORO COME SI VEDEVANO QUANDO Il Signore li ha chiamati e come invece li vedeva Dio per quello che voleva fare con loro (e di loro). Fare lo stesso anche per i brani biblici (tipo la chiamata di pt, o anche Zaccheo, o Davide. Poi cfr. come ci vediamo noi e per quale motivo e chiediamoci “Come ci vede Dio?” trovando degli indicatori che ci possono aiutare

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STRUMENTI

a rispondere. Provare a comporre una preghiera tipo il salmo 139 da dire poi al momento comune.

• Un santo per amico. Scopo: conoscere le figure di alcuni grandi santi attraverso la loro vita e i loro scritti. Imparare a

mettersi in relazione con loro nella preghiera esperimentare così la “comunione dei santi”. Svolgimento:

all’inizio dell’anno si consegna il materiale ai giovanissimi e li si invita a sceglierne almeno uno come “compagno di strada” per tutto l’anno: i giovanissimi dovranno quindi leggere i documenti e la vita e, unità per unità, “far parlare” il loro amico santo nei vari momenti, compresi quelli di preghiera.(Scopo di questo è anche invogliarli a cercare qualcosa di più sul santo, preghiere, testi etc che possono trovare su internet, avere letto a scuola…etc)

• DATTI UNA MOSSA: Scopo: concretizzare in un impegno (personale, di gruppo e di parrocchia) i passi del cammino

(anche quello di preghiera) fatti fino a quel momento. E’ fondamentale che l’impegno sia possibile, concreto, che duri nel tempo e che sia il passo ulteriore rispetto a dove il giova-nissimo (o il gruppo) si trova.

Svolgimento: in un cartellone scrivere, di volta in volta i vari impegni presi dal gruppo in modo da

costruire quasi “una strada” ( o altra metafora analoga) e poter sia vedere il cammino fatto che essere un elemento di verifica rispetto ad esso. A livello personale si invita ogni ragaz-zo a compilare una sorta di “diario” rispetto al quale si confronterà con l’educatore e con il confessore.

Come ci vediamo noiE come mai

ci vediamo così

Come ci vedono gli altri Quali sono

i loro criteri di giudizio

Come ci vede il mondo Quali sono

i suoi criteri

Come ci vede DioQuali sono i suoi criteri

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2. FIGURE DI FEDE DELLA CHIESA BOLOGNESE

TESTIMONE LUOGO

Fanin San Giovanni in Persiceto

Don Mario Campidori Villaggio

Clelia Le Budrie

S. Caterina Monastero s. Caterina

S. Domenico Convento/basilica

Padre Marella Villaggio giovani

Acquaderni Castel San Pietro

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3. LUOGHI DI FEDE DELLA CHIESA BOLOGNESE

I cinque capisaldi della nostra Città

«Questa è una città che - a saperla leggere - da ogni suo angolo rimanda alla verità e al pri-mato del mondo invisibile. Tutto ciò si fa ancora più evidente in alcune sedi imponenti e mira-bili di preghiera e di vita liturgica, che sono anche più ricercate dai forestieri, i quali intuiscono che proprio da questi monumenti, più che da altri, traluce la bellezza e la grandezza propria di questa città». (G.Biffi, La città di San Petronio nel terzo millenio, - Nota pastorale, Bologna, 12 settembre 2000 - EDB, Bologna 2000, p.8).

«La nostra città presenta un suo tipico “policentrismo religioso”, che non va disatteso. Sono diversi i luoghi “forti” della fede, dove i credenti possono attingere quei “supplementi” di energia soprannaturale di cui ritengono di avere bisogno. Mi sembrerebbe utile - pur renden-domi conto di una certa opinabilità di questa scelta - indicare e proporre ai pastori d’anime e ai fedeli cinque capisaldi spirituali (per così dire): la cattedrale, la basilica di San Petronio, il santuario della Madonna di San Luca, il complesso di Santo Stefano, il seminario di Villa Revedin”. (Ibidem, p. 28).

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METROPOLITANA DI S. PIETRO via Indipendenza, 9

È la cattedrale della città, elevata al titolo di ‘Metropolitana’ nel 1582 da Papa Gregorio XIII che conferì alla diocesi di Bologna la dignità arcivescovile. Le origini dell’edificio, in antico dotato di un battistero davanti alla facciata, affondano negli albori dell’era cristiana anche se le prime testimonianze risalgono al secolo X.

Fiancheggiata da un campanile cilindrico di tipo ravennate, oggi racchiuso dalla possente torre campanaria romanica innalzata nei secoli XII - XIII, la cattedrale venne ricostruita dopo un furioso incendio scoppiato nel 1141 e consacrata nel 1184 da papa Lucio III. Abbellita nel sec. XIII con un ricco protiro marmoreo laterale (la porta dei leoni) e con un rosone sul frontale, nel 1396 fu munita di un portico, ricostruito nella seconda metà del ‘400.

Tra la fine del secolo XVI e gli inizi del XVII la chiesa subì una radicale ristrutturazione affidata a vari architetti, che causò la perdita di ogni traccia del primitivo impianto romano-gotico. La posa della prima pietra avvenne il 26 marzo 1605. Per iniziativa del papa bolognese Benedetto XIV, tra il 1743 e il 1754 la cattedrale venne impreziosita con una nuova facciata su disegno di Alfonso Torreggiani. All’interno sono degni di nota: l’Annunciazione di Lodovico Carracci nel lunettone dell’altare maggiore (1619), gli affreschi della volta del presbiterio e del catino absidale (1579), una Crocifissione in legno di cedro policromato del sec. XII, già nella cat-tedrale romanica, e il gruppo scultoreo in terracotta col Compianto sul Cristo morto di Alfonso Lombardi (1522-26).

Scrive il Card. Giacomo Biffi nella Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millen-nio (EDB, Bologna 2000, p. 28) che questa «è la chiesa del vescovo, dove egli celebra solenne-mente i divini misteri, esercita il suo magistero autentico, guida sulle vie del Regno l’intera famiglia diocesana. Essa è un appello concreto e visibile alla successione apostolica per mezzo della quale ci connettiamo storicamente e ontologicamente al Signore Gesù, siamo raggiunti dalla missione salvifica avviata dal Risorto (cf. Mt 28, 16-20), veniamo compaginati in un’unica Chiesa. Nella cattedrale - dove al servizio della vita sacramentale diocesana vengono benedet-ti gli oli e dove avvengono le ordinazioni diaconali, presbiteriali ed episcopali - ravvisiamo la fonte della vita ecclesiale e percepiamo l’invito a non consentire che s’illanguidisca l’atteg-giamento di sincera comunione e di amore verso la nostra Chiesa. La presenza nel presbiterio del corpo di san Zama, nostro primo vescovo, e delle reliquie dei nostri protomartiri Vitale e Agricola nella cripta ci aiuta a capire la primaria rilevanza teologica di questo tempio, che oggi abbiamo la gioia di contemplare totalmente rinnovato. Nell’itinerario dell’iniziazione cristia-na e della professione di fede non manchi mai il pellegrinaggio a questa autorevole “scuola di ecclesialità”».

S. PETRONIO Piazza Maggiore

Dedicata al Santo Patrono di Bologna, con la sua fronte possente, ma incompiuta nelle de-corazioni, domina il lato meridionale di Piazza Maggiore. Iniziata nel 1390, per volontà del risorto Comune “popolare”, su disegno di Antonio di Vincenzo, è uno dei più vigorosi esempi del gotico italiano. La fabbrica proseguì durante i secoli XV e XVI mentre le volte e l’abside

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furono ultimate intorno alla metà del ‘600 sotto la direzione di Girolamo Rainaldi. Anche nelle dimensioni attuali la chiesa è per vastità la quinta del mondo cattolico. La facciata accoglie nel portale maggiore uno dei più preziosi cicli scultorei italiani del Rinascimento, le Storie del Vec-chio e Nuovo Testamento, scolpite fra il 1425 e il 1438 dal senese Jacopo della Quercia che eseguì pure nella lunetta la Madonna col bambino fra S.Ambrogio e S.Petronio, patroni di Bologna. Le sculture delle porte minori sono opere di artisti del XVI secolo.

Il suggestivo interno - che vide nel 1530 l’incoronazione imperiale di Carlo V per mano di papa Clemente VII e ospitò nel 1547 la IX? e X? sessione del Concilio di Trento - è ravvivato dal gioco di colori degli intonaci, su cui si riverberano i riflessi policromi delle vetrate istoriate che impreziosiscono le polifore gotiche. Nelle cappelle laterali si conservano superbe opere d’arte dei secoli XV, XVI, XVII e XVIII. Il ciborio dell’altare maggiore venne eretto nel 1547 dal Vignola. Degni di nota anche il grandioso coro ligneo quattrocentesco di Agostino de’ Marchi e i due organi monumentali, uno del 1471-75 di Lorenzo da Prato, fra i più antichi e preziosi giunti fino ai giorni nostri, e l’altro del 1596 di B. Malamini. Il tempio accoglie anche le spoglie di Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone, e una grande meridiana di Gian Domenico Cassini, una delle più perfette fra quelle oggi esistenti, la cui lunghezza corrisponde alla 600 millesima parte del meridiano terrestre. Di grande interesse anche il Museo della Basilica.

Scrive il Card. Giacomo Biffi nella Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio (EDB, Bologna 2000, pp. 28 e 29) che «edificando nel cuore della città in onore di san Petronio un tempio così grandioso e meritevole di ammirazione, i nostri padri ci hanno provveduto di uno spazio sacro particolarmente deputato ad accogliere la preghiera e la meditazione dei bolognesi che vengono a riconfermare la loro identità umana e cristiana. Questa casa di Dio rappresenta da sempre l’espressione del sentimento religioso e insieme del sentimento civico della nostra gente. In nessun luogo come questo diventa spontaneo implorare dal Signore per Bologna prosperità, concordia, accrescimento e maturazione della sua inconfondibile “cultu-ra”: una cultura che può ben chiamarsi “petroniana”; e si sostanzia in pari tempo di fedeltà ai tesori spirituali e morali della nostra storia e di adesione mai revocata al messaggio evange-lico. Entro questa basilica dalla fine del XVIII secolo sono raccolte e custodite le quattro croci che - per iniziativa dello stesso san Petronio, dice la tradizione - segnavano il perimetro della città e la mettevano sotto la protezione dei santi. La “antiqua bononia rupta” esprimeva così il suo anelito a risorgere nel nome del Signore. Rimosse dalle sedi originarie dalla prepotenza degli invasori francesi, adesso arricchiscono questo tempio di un ulteriore simbolo della città (con tutta la sua lunga vicenda), che si offre al nostro santo Patrono e si pone sotto la sua pro-tezione».

BASILICA DI S. LUCAMonte della Guardia

Il santuario, da otto secoli fulcro della pietà popolare dei bolognesi e meta continua di pel-legrinaggi, si eleva con la sua sagoma poderosa sul Monte della Guardia a ponente del nucleo urbano ed è collegato alla città da un portico di 666 arcate, il più lungo del mondo - eretto fra il 1674 e il 1739 con le offerte di privati cittadini - che dalla Porta Saragozza si inerpica fino in cima al colle con un percorso di quasi 4 km.

A dare origine alla chiesa fu, alla fine del sec. XII, una piccola comunità di pie donne riti-

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ratesi a vita cenobitica attorno ad un’antica icona di influsso bizantino, raffigurante la B.V. col Bambino, attribuita dalla tradizione all’evangelista san Luca. Ristrutturato in forme più ampie e dignitose nel 1481, l’edificio venne completamente ricostruito tra il 1723 e il 1757 dall’archi-tetto Carlo Francesco Dotti.

Nel maestoso interno a pianta centrale si conservano preziose opere d’arte tra cui dipinti di Guido Reni, Donato Creti e Vittorio Bigari. Di particolare suggestione l’altare della Madonna di S.Luca, racchiusa da un ricco frontale finemente decorato.

Scrive il Card. Giacomo Biffi nella Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio (EDB, Bologna 2000, p. 29) che «sono ormai otto secoli che dal suo monte la Madonna di San Luca veglia sulle nostre case e sono ormai otto secoli che al suo santuario si leva confidente lo sguardo dei bolognesi. Anche questa è una grazia singolare: se c’è un popolo che non può di-menticarsi della Madre di Dio ed è quasi costretto a rivolgerle la sua filiale attenzione, questo è il popolo petroniano. E così la nostra vita religiosa ha una garanzia in più di serbarsi nella sua pienezza e nella sua autenticità: l’amore per la Vergine Maria è infatti uno degli indizi più sicuri di un assenso a Cristo e al suo Vangelo non inquinato dall’errore, né inaridito negli intellettualismi. L’icona che veneriamo rappresenta la Madre di Gesù nell’atteggiamento della “Odighitria” (come dicono i bizantini), cioè di colei che indica la giusta via. Nelle ore nebbiose o disorientate noi sappiamo dunque a chi rivolgerci: così ha sempre fatto la nostra gente, che perciò si sente legata alla Madonna di San Luca da una gratitudine immensa. Questa affettuo-sa attinenza non è solo dei fedeli praticanti: è di tutti. Per questo Giovanni Paolo II ha potuto osservare: “Antica e profonda è la devozione dei bolognesi verso la loro celeste Patrona; essa fa parte della loro stessa identità civica e culturale”».

SANTO STEFANOvia S. Stefano, 22

È il complesso più singolare di Bologna, vero santuario cittadino e culla della fede dei padri. Sorto attorno ad un primo nucleo del V secolo - voluto dal vescovo Petronio - cui più tardi si affiancò una riproduzione del Santo Sepolcro di Gerusalemme - e accanto al sacello con le spo-glie dei protomartiri bolognesi Vitale e Agricola, riesumate da sant’Ambrogio nel 392, accoglie edifici eretti fra il X e il XIII secolo dai Benedettini. Nel loro insieme formano una ricostruzione simbolica dei luoghi della Passione di Cristo, come attesta l’antica denominazione del com-plesso: ‘Sacra Hierusalem’.

Sulla splendida piazza si affacciano i prospetti delle chiese del Crocifisso (a ds.), del Cal-vario (al centro) e dei Ss. Vitale e Agricola (a sin.). La prima racchiude una cripta del 1019 e preziose opere d’arte; la seconda, di forma rotonda, è dominata dalla riproduzione del Se-polcro di Cristo (secoli XII-XIV) entro cui è custodita l’urna con le reliquie di san Petronio, protettore di Bologna; la terza, di grande attrattiva per la sua struttura basilicale disadorna, racchiude gli antichi sarcofagi dei santi Vitale e Agricola (interessanti i capitelli di varie fogge, provenienti da precedenti costruzioni di età romana e bizantina, e i resti di pavimenti musivi del VI secolo). Degno di attenzione anche il cortile di Pilato con un bacile marmoreo donato da Liutprando e Ilprando, re dei Longobardi - che avevano in Santo Stefano il loro principale centro religioso - e la chiesa della Trinità, ristrutturata fra il sec. XII e il XIII, ove si ammira un pregevole Presepe in legno dipinto e dorato di Simone dei Crocifissi (sec. XIV). Di grande sug-

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gestione il chiostro benedettino a duplice loggiato (sec. X-XIII), una delle più superbe creazioni del romanico emiliano. Da visitare infine il Museo che conserva dipinti, sculture e altre opere d’arte di varie epoche.

Scrive il Card. Giacomo Biffi nella Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio (EDB, Bologna 2000, pp. 29 e 30) che «è una fortuna singolare del cristianesimo petroniano quella di possedere nel complesso stefaniano un forte richiamo agli avvenimenti che ci hanno redenti e rinnovati: alla passione, alla morte, alla risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo. Attraverso una costruzione ispirata ai luoghi segnati dalla vicenda salvifica, Santo Stefano è sempre stato visto - e deve essere ancora valorizzato - come la Jerusalem bononiensis: qui è bello ed edificante convenire a meditare soprattutto sul “costo” che ha avuto il riscatto dell’uomo e la sua vocazione alla divina familiarità. Tra queste mura par di udire la voce dei primi maestri della fede; dell’apostolo Paolo che ci dice: “Siete stati comprati a caro prezzo” (1Cor 6,20) e dell’apostolo Pietro nell’atto di ammonirci: “Non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1Pt 1,18-19). La rappre-sentazione è adesso arricchita e, si può dire, completata nell’immagine di bronzo del Cristo addormentato nel sonno della morte. Magistralmente modellata con i tratti che sono suggeriti dall’impronta misteriosa della Sacra Sindone, possiede una potenza evocatrice di rara intensi-tà. Tutto il mirabile contesto ci invita quindi a ricercare la nostra professione cristiana - come è doveroso - sul Signore Gesù e sul mistero di dolore e di gioia, di morte e di risurrezione, di avvilimento e di gloria della sua Pasqua».

SEMINARIO DI VILLA REVEDINpiazzale Bacchelli, 4

In luogo del convento di Cappuccini soppresso nel 1798, il cardinal Nasali Rocca nel 1932 fece costruire dall’ing. C. Ballarini il Seminario Arcivescovile.

L’edificio, gravemente danneggiato dai bombardamenti aerei durante l’ultima guerra, è stato ricostruito negli anni cinquanta. E’ circondato da un vasto parco in cui si trova una cap-pellina edificata nel 1524 e che apparteneva al vicino convento degli Olivetani di S. Michele in Bosco.

Scrive il Card. Giacomo Biffi nella Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio (EDB, Bologna 2000, p. 30) che “la lungimiranza del cardinal Nasali Rocca, che ha dotato la Diocesi di una preziosa sede di preparazione dei futuri presbiteri, ci ha offerto un ultimo ca-posaldo della nostra vita ecclesiale. “In spem Ecclesiae” sta scritto sul frontone del Seminario di Villa Revedin. E vuol dire: questo edificio nobile e solenne è stato edificato perché la Chiesa petroniana potesse continuare a sperare; qui la comunità cristiana

possiede le premesse necessarie del suo avvenire; qui l’attesa del popolo credente, che vuol restare radicato nella fede dei padri, trova le ragioni precipue della sua fiducia. Il Seminario è davvero la casa della nostra speranza: finché questa casa sarà fiorente della giovinezza di chi la colma e la anima della sua esuberanza e della sua animosa tensione verso l’ideale del sacerdozio, noi abbiamo la garanzia (contro ogni rinascente pessimismo) che il Signore non ci abbandona, anche di fronte alle sfide del Terzo Millennio.

Certo, la sollecitudine prima e la responsabilità inalienabile nei confronti dell’istituto di for-

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mazione al sacerdozio diocesano è del vescovo. Nondimeno ogni comunità parrocchiale, ogni aggregazione, ogni credente, deve sentirsi coinvolto in quest’opera e guardare a Villa Reve-din con una simpatia che nasce dalla fede e con una generosità che è la prova dell’autenticità dell’amore per la Chiesa di Bologna e il vero bene del popolo petroniano”.

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INTRODUZIONE pag. 3

La fede come donazione di senso ................................................................................................................. “ 3 Dal punto di vista del Dio di Gesù Cristo.................................................................................................... “ 3 Un itinerario possibile sui sentieri della Tradizione ................................................................................... “ 5 Le formule ........................................................................................................................................................ “ 6 Un primo orizzonte ......................................................................................................................................... “ 7 La fede dono da accogliere ............................................................................................................................. “ 8 Per crescere nella fede ..................................................................................................................................... “ 8 Destinatari ........................................................................................................................................................ “ 11 Articolazione dell’itinerario e obiettivi educativi ....................................................................................... “ 11 La metodologia proposta ............................................................................................................................... “ 12 Conclusione ...................................................................................................................................................... “ 14

ITINERARIO - 1 anno Chiamati ................................................................................................... pag. 15

1.1 Credere e come credere: questo è il problema! Opinioni circa la fede, dilemmi esistenziali ....................................................................................... “ 16

1.2 Credere in chi ci ha amati per primo Siamo tutti figli di un unico Dio Padre .............................................................................................. “ 22

1.3 Credere in chi ci ha amati per primo Gesù nato da una vergine: l’incarnazione passa attraverso il sì di Maria .................................... “ 27

1.4 Credere per vedere cosa è realmente accaduto Gesù un uomo come noi........................................................................................................................ “ 35

1.5 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La passione e morte mi salva dal peccato .......................................................................................... “ 42

1.6 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La risurrezione: Gesù vivo mi dona una vita da figlio Battesimo (relazione Dio uomini) ....................................................................................................... “ 49

1.7 Credere per vivere un amore che ci cambia I frutti dello spirito (Gal 5,22) ............................................................................................................... “ 54

1.8 Credere per vivere un amore che ci cambia La Chiesa una e cattolica, popolo e parola di Dio in cammino ....................................................... “ 60

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ITINERARIO - 2 anno Convocati ............................................................................................... pag. 67

2.1 Credere e come credere: questo è il problema! atto di fede, fede e ragione, fede “ragionata” .................................................................................... “ 68

2.2 Credere in chi ci ha amati per primo Dio creatore ............................................................................................................................................. “ 74

2.3 Credere in chi ci ha amati per primo Cristo Figlio ............................................................................................................................................. “ 81

2.4 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La vita pubblica di Gesù........................................................................................................................ “ 88

2.5 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La passione e morte: amore che accetta anche di soffrire e salv ..................................................... “ 97

2.6 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La risurrezione: Gesù vivo mi dona una vita di comunione con Lui e con la Chiesa Eucaristia (comunione nella Chiesa) ................................................................................................... “ 103

2.7 Credere per vivere un amore che ci cambia Il dono dello Spirito Santo: la pentecoste ........................................................................................... “ 109

2.8 Credere per vivere un amore che ci cambia La Chiesa santa ....................................................................................................................................... “ 115

ITINERARIO - 1 anno Mandati ................................................................................................... pag. 123

3.1 Credere e come credere: questo è il problema! fede storica, fatto storico, risurrezione al centro, fede sulla parola dei testimoni ........................ “ 124

3.2 Credere in chi ci ha amati per primo Dio onnipotente ...................................................................................................................................... “ 131

3.3 Credere in chi ci ha amati per primi Cristo Signore il Salvatore, il Messia ................................................................................................... “ 136

3.4 Credere per vedere cosa è realmente accaduto credo in un disegno: la vita eterna, la vita nuova .............................................................................. “ 141

3.5 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La passione e morte: l’amore che rinnova e porta alla vita eterna .................................................. “ 147

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3.6 Credere per vedere cosa è realmente accaduto La risurrezione: Gesù vivo non ci lascerà mai soli La cresima (consapevolezza di credere/amare il Signore perché Lui ci viene incontro, ci dona il suo Spirito e ci dona un posto nella chiesa) ..................................................................... pag. 153

3.7 Credere per vivere un amore che ci cambia La Vita nuova nello Spirito: le beatitudini e l’ inno alla carità ........................................................ “ 161

3.8 Credere per vivere un amore che ci cambia La chiesa apostolica: testimoni della lieta novella ............................................................................. “ 169

STRUMENTI pag. 175

1. ATTIVITA’ .............................................................................................................................................. “ 176 VEDERE: suggerimenti per sviluppare gli argomenti nelle diverse unità ................................... “ 176 CONFRONTARE: suggerimenti per sviluppare gli argomenti nelle diverse unità .................. “ 177 AGIRE: suggerimenti per sviluppare gli argomenti nelle diverse unità ...................................... “ 180

2. FIGURE DI FEDE DELLA CHIESA BOLOGNESE .......................................................... “ 182

3. LUOGHI DI FEDE DELLA CHIESA BOLOGNESE ........................................................ “ 183 METROPOLITANA DI S. PIETRO ..................................................................................................... “ 184 S. PETRONIO .......................................................................................................................................... “ 184 BASILICA DI S. LUCA .......................................................................................................................... “ 185 SANTO STEFANO ................................................................................................................................. “ 186 SEMINARIO DI VILLA REVEDIN ...................................................................................................... “ 187

INDICE ............................................................................................................................................................... “ 189