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1 NOTIZIARIO PASTORALE - NATALE 2008 la Parola di Dio nella vita della comunità cristiana VOCE per la COMUNITA´ Parrocchie di Botticino Sera, Mattina e San Gallo ...e la Parola si è fatta Carne.

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Bollettino parrocchiale delle parrocchie di Botticino

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NOTIZIARIO PASTORALE - NATALE 2008

la Parola di Dio nella vitadella comunità cristiana

VOCE per la COMUNITA´Parrocchie di Botticino Sera, Mattina e San Gallo

...e la Parola si è fatta Carne.

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RECAPITI TELEFONICI

Licini don Raffaele, parroco Botticino Sera e San Gallo

cell. 3283108944 tel. e fax 0302691105 - e-mail:[email protected]

e-mail parrocchia: [email protected] Capoferri don Mauro tel. 0302691105

e-mail: [email protected] don Bruno tel. 0302199768

Pietro Oprandi, diacono, tel 0302199881Scuola don Orione tel. 0302691141

Suore Operaie tel. 0302691138ORATORIO BOTTICINO SERA

segreteria: 0302692094fax 0302193343

BATTESIMI BOTTICINO SERA E SAN GALLO

domenica 11 gennaio Sabato 11aprile (alla Veglia Pasquale)

Domenica19 aprile

Orari confessioniBotticino Sera

Il sabato e le vigilie di festa dalle ore 15 ,00 alle 17,00

San Gallo prima o dopo le S.Messe

Anche questo notiziario è stato realizzato per le parrocchie di Botticino Sera e Sangallo. Pa-recchie di queste pagine sono an-che per il notiziario di Botticino Mattina. Gli argomenti comuni riguar-dano: don Arcangelo Tadini presto Santo; la lettera pastorale anno 2008/2009 del nostro Vescovo “La Parola di Dio nella vita della comunità cristiana”; abbondanti pagine sulla Parrocchia, Chiesa tra le nostre case,e approfondi-menti sui ministeri in parrocchia (missioni,caritas,cultura);la cate-chesi familiare pre battesimale;le iniziative del Centro famiglia e del don Orione; pagine riguardanti at-tività per ragazzi, adolescenti e fa-miglie nei tre oratori di Botticino e la proposta di un pellegrinaggio -gita ai primi di gennaio. Le altre pagine riguardano sia la comunità di Sera che di Sangallo, iniziative natalizie e il programma delle Celebrazioni per per il tempo di Natale.

pag. 3 Natale del Signore. La svolta della storia. don Raffaele, parroco Dovè oggi Betlemme”la Casa del Pane” dove Gesu’ è nato?pag.4-5 don Arcangelo Tadini, Santo!pag.6 Sul Natale, don Arcangelo Tadinipag.10 Paolo di Tarso, diac.Pietropag.11 La Parola di Dio nella vita della comunità cristiana Lettera pastorale 2008-2009 Mons. Luciano Monari, Vescovo di Bresciapag.29 Parrocchia: la Chiesa tra le nostre casepag.39 Ministeri in parrocchia: missioni.caritas,culturapag.44 Catechesi Battesimale: un nuovo modo per prepararsi al battesimopag.46 Corsi primaverili al don Orione. Scuola parrocchialepag.47 Vivi l’Oratorio.L’oratorio vive!pag.48 Progetto Genitori. Punto famiglia e dintornipag.50 Persone di Parola. Iniziative per adolescenti e giovanipag.52 10 Agosto2008!!Mocodoene(Mozambico) ci attendepag.53 Presepio a San Gallo e Botticino Serapag.54 Con voi nella Chiesa. Don Viatore parroco a Lodrinopag.55 Gita pellegrinaggio -Inizitiva “mattonella per la tua chiesa”pag.56 Calendario liturgico festività natalizie.SOM

MA

RIO

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NATALE DEL SIGNORELa svolta della Storia

E’ Lui! Arriva di nuovo! Nasce ancora una volta per scrivere la nostra storia, per incidere sulla storia di tutta l’umanità, anche se questa continua a non accoglierlo o a non riconoscerlo. Il Signore, assieme a tutte le altre doti, ha anche quella della testardaggine infinita. Nasce ancora una volta povero, non perché Giuseppe e Maria fosse-ro particolarmente poveri, bensì per assumere, Egli, Dio creatore e padrone, la povertà della nostra fragile natura. Nasce povero per stupire, perché da un ricco ci si può aspettare qual-siasi capacità, ma un povero che si fa re continuerà a suscitare incredulità e stupore. Nasce ancora povero affinché siano i poveri per primi a rico-noscerlo e adorarlo, perché i poveri gli stanno sempre a cuore, perché era scritto che il Padre non intendeva rivelare i grandi misteri ai poten-ti e ai sapienti, ma ai poveri, in quanto sempre piccoli nella loro povertà. Nasce povero perché nei poveri si è sempre immedesimato e perché coloro che lo cercheranno lo troveranno sempre nei poveri e negli ultimi, per ciò avranno la salvezza eterna. Nasce povero ed emarginato non perché non c’è posto per i suoi ge-nitori in albergo, ma per riscattare ogni forma di emarginazione. Nasce povero perché deve nascere nel buio più profondo per rischia-rare le tenebre: chi riluce fuori dalle tenebre, non avrà mai la forza di rompere il buio. Nasce povero per togliere a noi poveri il peso del peccato e mostrarci la via della salvezza: la povertà e la malattia erano ritenute dai perbenisti con-seguenze del peccato ed Egli, quando guarirà gli ammalati li sfiderà proprio su questo piano, perdonando, come solo Dio può fare, prima di intervenire sul loro corpo. Nasce povero per predicare la carità, perché il povero potrà anche essere solidale. Nasce povero per portare giustizia agli oppressi, per esaltare gli umi-li, per consolare gli afflitti. Nasce povero per portare la pace in questo mon-do, dove i poveri sono la stragrande maggioranza e quindi unico veicolo per una pace vera, universale e duratura. Nasce povero per farci eredi di tutta la terra. Nasce per renderci puri e vedere quindi Dio attraverso di Lui. E noi, come accogliamo questo grande evento? Come abbiamo pre-parato l’alba di questo giorno santo? Riusciremo a provare lo stupore dei pa-stori all’annuncio dell’angelo o le tenebre dell’indifferenza non accoglieranno la rivelazione? Lo riconosceremo o ci lasceremo solo abbindolare dalle luci fasulle che ci circondano?Correremo ad adorarlo o ci schiereremo con i suoi carnefici, che l’hanno appeso come l’ultimo dei derelitti ritenendolo solo un “povero” illuso? Beh, ricordiamoci che il Natale non si esaurisce nel giorno che ricorda la sua nascita, ma può scoppiare in qualsiasi momento della nostra esistenza.

Non è mai troppo tardi per aprirsi al messaggio che ci proviene da quella grotta e tornare come ci racconta Luca dei pastori: Se ne tor-narono glorificando e lo-dando Dio per tutto quello che avevano udito e visto. Pensiamoci. BUON NATALE A TUT-TI.

don Raffaele

DOV'È OGGI BETLEMME"LA CASA DEL PANE" DOVE GESU’ È NATO

Per te oggi Betlemme è: - la tua Parrocchia, dove Gesù si dona nei Sacra-menti, nella preghiera, nelle opere di bene, quando tutti sono riuniti nel suo nome ... - la tua famiglia, dove Gesù benedice l'amo-re, l'affetto, la gioia, la serenità, la bontà, le difficoltà della vita, l'armonia, la comunio-ne ... - il tuo cuore, dove Gesù abita e porta i doni del suo Spirito ... - la casa del fratello, dove Gesù sconfigge la solitudine e la tristezza ... - il letto del malato, dove Gesù continua a soffrire il suo calvario ... - la dimora del sofferente, dove Gesù porta coraggio, forza e conforto ... - la coscienza del peccatore pentito, dove Gesù offre il perdono, la misericordia, la grazia e il rinnovamento della vita ... - il luogo di lavoro, dove Gesù condivide la fatica quotidiana e il sudore della fronte ... - il povero che incontri, dove Gesù è na-scosto nell'abito dimesso, nella semplicità e nell'umiltà ... - la "casa del pane", dove Gesù sazia chi ha fame di giustizia e di pace ... - ogni uomo di buona volontà, per il quale Gesù è Via, Verità e Vita. - Betlemme è ogni luogo nel quale, con cuore sincero, tu puoi incontrare, conosce-re, testimoniare, adorare Gesù, il Figlio di Dio, nato da Maria per opera dello Spirito Santo, "disceso dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza"...

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Presto la Chiesa avrà un nuovo San-to: don Arcangelo Tadini, sacerdote dioce-sano di Brescia e fondatore della Congrega-zione delle Suore Operaie della S. Casa di Nazareth. La notizia è stata comunicata sa-bato 6 dicembre, in seguito all’avvenuta au-torizzazione alla promulgazione del decreto da parte del Santo Padre Benedetto XVI. La quotidianità salirà sugli altari. Circa dieci anni fa, in occasione della sua Beatificazione, parlavamo di lui come di uno di noi. Oggi ci ritroviamo ancora insieme, noi, gente innamorata di normalità, a rac-contarci e condividere i sentimenti che por-tiamo in cuore in questo momento di grande gioia e commozione. “Se uno di noi ce l’ha fatta”, com-menta un collega di lavoro che ci legge la no-tizia sul volto, “un semplice prete, che viveva accanto alla sua gente, allora sono davvero le cose di tutti giorni che ci fanno santi!”. Ci raggiunge la telefonata di con-gratulazioni di don Raffaele Licini, parro-co di Botticino Sera. Ci contagia con il suo entusiasmo, tanto da farci sentire in diretta le campane della parrocchia che suonano a festa: “Vivo nella casa di un Santo, sono il successore di un Santo! Sento di esserne in-degno, ma ringrazio Dio di questo onore e ne invoco la protezione”. Madre Emma Arrighini, Superiora Generale della Congregazione, commenta così: “Non so cosa dire per la grande emo-zione, ma vi comunico alcuni sentimenti e sensazioni: una gioia grande, attesa da mol-to tempo, ora finalmente vera per noi, per la nostra Chiesa bresciana, per la Chiesa uni-versale; poi la consapevolezza che i passi di un santo continuano ad intrecciare i nostri piccoli e incerti passi e ci ripropongono un impegno serio di santità; infine penso alle splendide occasioni di evangelizzazione, di formazione e di preghiera che ci attendono, nella condivisione di un carisma che rivelerà un nuovo volto della Chiesa”. Sr Virginia, che ha appena festeggiato

don Arcangelo Tadini Santo !SUL MIRACOLO

Il Beato Arcangelo Tadini è nato a Verolanuova nella Diocesi di Brescia il 12 ottobre 1846. Il 19 giugno 1870 è ordinato sacerdote a Trento ed esordisce nel suo ministero dedicando le sue energie e il suo zelo alla pastorale parrocchiale, fecondandolo di iniziative varie e innovative mirate alla crescita umana e spirituale della sua gente, attraverso la predicazione (ricordato come uomo di grande talento oratorio) e le molte-plici realizzazioni caritative, associative e sociali. Egli cercò con tutti i mezzi l’unità e l’autonomia della parrocchia, sentita come organismo in grado di rispondere ai bisogni fondamentali dell’uomo.L’unificazione interiore del Beato si comprende nel completo dono di sé per il Regno di Dio e il bene del suo popolo: Sollecitato dalla “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII del 1891 e, interpretando i segni dei tempi, progetta e costruisce la filanda con annesso convitto per accogliere le giovani lavoratrici e per promuovere la loro dignità, formarle moralmente, fonda, nel 1900, la Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth.Morì in grande fama di santità il 20 maggio 1912.In vista della Canonizzazione, la Postulazione ha sottoposto al giudizio della Congrega-zione delle Cause dei Santi un presunto miracolo avvenuto nel 2004 a Brescia.Il caso preso in esame riguarda la risoluzione spontanea e duratura dell’accertata sterilità dei coniugi Fostini Elisabetta, di anni 29, e di Marazzi Roberto, di anni 35.Dopo quattro anni di matrimonio, celebrato religiosamente nella Parrocchia di S. Filippo Neri di Ciliverghe (BS) il 5 febbraio 2000, la coppia desiderava ardentemente e cercava volutamente di realizzare una grande famiglia con la nascita di figli; ma le condizioni fisiologiche di entrambi non lo permettevano.Si sottopose a lunghi ed umilianti esami senza però mutare l’esito della diagnosi.L’ultima ipotesi prospettata dai medici era quella di sottoporsi al Centro Diagnostico di Montichiari (Presidio dell’Ospedale Civile di Brescia), per ulteriori approfondimenti, tuttavia la diagnosi deponeva sfavorevolmente quale la condizione di grave oligo-aste-noteratospermia giudicata non accettabile per procedure di procreazione medicalmente assistita, quali la FIVET = fecondazione in vitro ed embrio-transfer.La coppia nel frattempo aveva conosciuto e frequentato il gruppo pastorale “Famiglie Beato Tadini”, nella Casa Madre delle Suore Operaie e da qui sono iniziate la cono-scenza del Beato e le invocazioni di preghiera elevate al Beato Tadini dal gruppo, dalla coppia e dalla comunità delle suore per ottenere la guarigione dalla sterilità.Durante le preghiere e gli incontri la coppia ha avuto un colloquio con il sacerdote responsabile diocesano della pastorale familiare, cui hanno palesato la scelta di rinun-ciare al metodo proposto dal Presidio ospedaliero di Montichiari per ragioni di fede e morale cristiana.Le preghiere fatte con fede e con coralità hanno ottenuto il miracolo atteso ed esaudito il desiderio degli sposi di diventare genitori.Infatti l’insorgenza spontanea della gravidanza di una prima figlia Maria, nata a Brescia il 5 agosto 2005 e di un secondo genito maschio Giovanni, nato a Brescia il 3 dicembre 2006, sono da considerarsi “scientificamente inspiegabili e non riscontrabili nella letteratura medica”.L’Inchiesta Diocesana di questo caso si è svolta a Brescia dal 16 giugno al 16 luglio 2006 sotto l’autorità del tribunale diocesano e la Congregazione per le Cause dei Santi ha riconosciuto la validità del Processo con decreto del 24 novembre 2006.Nel Dicastero della Consulta Medica nella sessione del 15 novem-bre 2007 è stato riconosciuto con voto unanime (cinque su cinque), “l’insorgenza inaspettata di una prima e di una seconda gravidanza, senza l’intervento di alcun trattamento specifico atto a modificare la situazione patologica esistente e dichiarando il caso scientificamente inspiegabile”.I Consultori Teologi nel Congresso Peculiare del 22 aprile 2008 e la Congregazione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi, nella sessio-ne ordinaria del 28 aprile 2008, presente il Ponente della Causa S. Eccellenza Monsignor Carlo Maria Erba, Vescovo Emerito di Velletri, hanno riconosciuto la preternaturalità dell’evento prodigioso e la sua attribuzione all’intercessione del Beato Arcangelo Tadini.

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I santi capolavori della Sapienza di Dio Nel libro della Sapienza leggiamo che essa è “una emanazione della potenza di Dio. Pur rimanendo in se stessa tutto rinnova e, at-traverso le età, entrando nelle anime sante, for-ma amici di Dio e profeti” (Sap 7, 25-27).Chi sono questi amici di Dio e profeti? Uno dei tanti, di cui il 6 dicembre scorso il Santo Padre ha approvato il miracolo per la Canonizzazione, è il Beato Arcangelo Tadini, sacerdote bresciano e fondatore della Congre-gazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth. Tadini è stato un vero amico di Dio, per-ché ha confessato con la sua esistenza Cristo e, rimanendo unito a lui, ha fatto del suo sacer-dozio una totale offerta per il Regno. È stato un testimone capace di incarnare la perenne veri-tà del Vangelo nelle circostanze concrete della sua vita, facendone uno strumento di salvezza per l’umanità. Scrive il Beato: “Amiamo Cristo e saremo educati all’amore per l’umanità, ab-biamo una vera compassione dell’umanità e ameremo Cristo”. La santità del Beato Arcangelo, compresa nel suo dinamismo spirituale e contestualizza-ta nella realtà storica della Rerum Novarum, contribuisce a rendere più credibile ed attraen-te il Vangelo e la missione della Chiesa. L’incontro con il Beato Tadini ha aperto la strada a vere risurrezioni spirituali, a con-versioni durature e a ritrovate unità familiari. Il Tadini, per la sua lungimirante ope-ra nel sociale è stato un uomo di Dio sapien-te nell’azione. Un aspetto che affliggeva il suo cuore era lo sfruttamento impietoso delle gio-vani ragazze, costrette a recarsi fuori paese in cerca di lavoro. A tale disagio socio-economico diede una risposta profetica con la fondazione della filanda prima e della Congregazione del-la Suore Operaie poi. Percepiva la particolare importanza di trasmettere nelle giovani una formazione lavo-rativa, morale e spirituale che avrebbe fatto di esse adulte capaci di occuparsi della vita del-le loro famiglie, sapendo apportare il proprio contributo alla Chiesa e alla società. La Suore Operaie danno continuità alla missione intrapresa dal Beato nell’impegno di evangelizzazione del variegato mondo del la-voro in Europa, Africa e America Latina. Ora la gioia delle suore e degli amici è piena e si moltiplica nella condivisione della “bella notizia”. Le Parrocchie di Lodrino, Noce e Botticino, dove il Beato ha operato esultano in modo particolare e programmano la festa… L’attesa e la speranza sono realtà! La santità semina gioia e speranza, ri-sponde alla sete di felicità che gli uomini, an-che oggi, avvertano.

Ssr Mariaregina Biscella

il settantesimo anniversario di professione re-ligiosa e i cui genitori sono stati sposati proprio da don Arcangelo, non riesce a espri-mersi con le pa-role, ma il suo sorriso e le sue lacrime parla-no di attesa, di preghiera, di anni di lavoro e di sogni che si avverano. E potrem-mo continuare a raccontarci, a ricordare e a sognare, ma preferiamo ri-tornare alle ori-gini, alla vita di uno di noi, che si commenta da sé.

Arcangelo Tadini nasce a Verolanuova, diocesi e provincia di Brescia, ultimo di 10 fratelli. Siamo nel 1846, il 12 ottobre. Ordinato sacerdote a 24 anni, esercita il suo ministero a Lodrino, a La Noce e a Botticino Sera, dove muore il 20 maggio 1912, dopo 25 anni di servizio come parroco. Uomo semplice e austero, don Tadini opera so-prattutto in campo sociale nello spirito della Rerum nova-rum. Istituisce per gli operai la Società di Mutuo Soccor-so. Per le ragazze della parrocchia, costrette a lasciare il paese in cerca di lavoro, don Tadini progetta e costruisce una filanda e apre un pensionato. Per accompagnare ed educare le giovani lavoratrici, fonda nel 1900 la Congre-gazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Naza-reth. Attento ai segni dei tempi, don Tadini sa cogliere tra la sua gente il bisogno di un lavoro dignitoso: crea occupazione per le sue giovani e dà un’anima al lavoro, offrendo come modello Gesù, Maria e Giuseppe che lavo-rano a Nazareth. Sempre sostenuto dal suo vescovo, deve affrontare difficoltà finanziarie, incomprensioni e ostilità. Dal 1999, anno in cui Giovanni Paolo II l’ha pro-clamato beato, la Diocesi di Brescia ne fa memoria il 21 maggio.

Sr Raffaella Falco

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Dalle omelie di don Arcangelo Tadini, beato

SUL NATALEIl testo proposto per la riflessione è tratto da una più ampia omelia tenuta dal Beato Arcangelo Tadini in oc-casione di una Novena in preparazione del Natale. Don Arcangelo ricorda che la povertà di Betlemme, l’umiltà del Figlio di Dio non sono altro che esempi per ciascuno di noi, per il nostro cammino di santità e per la nostra salvezza.

1. Gesù nasce nella povertà di Betlemme per essere accessibile a tutti. A differenza di tutti gli altri bambini che non possono de-cidere il luogo della loro nascita, Gesù se lo scelse e molti anni prima lo fece predire dal Profeta Michea (E tu, Bet-lemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Michea 5,1)

Era Betlemme. Questa predizione ci reca grande meraviglia: e come può non essere tale mentre tutti sappiamo che a Nazaret e non a Betlemme fu annunziato il grande mistero dell'Incarnazione, mentre tutti sappiamo che a Nazaret e non a Betlemme abitava la fortunata donna che doveva darlo alla luce. Come poteva dunque avverarsi questa profezia, come compiersi questo vaticinio? Nelle mani del Signore tutto è grande, tutto è sublime. In quel tempo Cesare Augusto, Imperatore romano, aveva emanato un editto (In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registra-re, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. Luca 2,1-7), col quale comandava che tutti i sudditi dell'Imperatore si portassero alla città da dove traevano origine e dare il loro nome. Questo comando riguardava anche i nostri Santi Sposi, Maria e Giuseppe, e siccome discendevano entrambi dalla stirpe di Davide, che era di Betlemme, così dovettero anche loro andare in questa città per darvi il loro nome. Sopraggiunti dalla notte, non essendo ormai più tempo di ritornare a Nazareth, si misero a cercare alloggio per Betlemme; ma mentre per i ricchi e grandi della terra erano preparati grandi palazzi, ricche sale, per la Madre di Dio e per il suo custode non vi era dove posare il capo (Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» Luca 9,57-58). Costernati e dolenti, dovettero mettersi in viaggio, uscire dalla città e ricoverarsi in una stalla. Qui si compì il tempo nel quale Maria doveva dare alla luce il Suo divino infante e in quella notte nacque al mondo Gesù, il Salvatore del mondo. Oh, novello soggetto di ammirazione. Oh, in quale condizione si mostra al suo regno il sovrano dominatore dell'universo. D'intorno a lui non ha che un semplice artigiano, e

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una povera donna occupata a coprirlo con fasce. Il suo pa-lazzo consiste in una stalla sordida ed infetta: ed invece di sedersi sopra un trono, giace sopra una vile mangiatoia (“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina,non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo si-mile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di cro-ce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. Fil. 2,5-11). Ma perché, o Signore, non com-pariste al mondo quale possente monarca, circondato di splendore, rivestito di maestà? E perché non sceglieste a madre una qualche regina della terra, a vostro custode un grande del mondo? O Gesù mio, io vi capisco. Vi siete fatto accessibile a tutti, nascendo in una capanna aperta in tutti i lati e qui, con la più amorosa umiltà, preparaste per le nostre povere anime un'accoglienza degna della misericordia di un Dio venuto proprio tra noi per la salvezza di tutti. Ah, miei cari, corriamo tutti, corriamo a Betlemme (“Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz’indu-gio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” Lc.2,15-20), corriamo alla scuola di Gesù col sincero desiderio di approfittare dei suoi insegnamenti. In queste sere che precedono la sua comparsa soave nel mon-do, affacciamoci assidui alla culla di questo divino infante, animosi di imparare da lui la via che ci conduce sicuri al cielo. E voi, o buon maestro, voi dateci un cuore attento e pieno di fede, affinché vi ascoltiamo; un cuore umile e docile, affinché pronti ai vostri voleri, facciamo qui in terra sempre la vostra volontà, per avervi in cielo quale nostra consolazione e nostro premio.

2. Preghiera per ottenere lo spirito di umiltà e di semplicità. O Gesù caro, noi comprendiamo: l'affetto disordinato alle ricchezze, ai piaceri ed agli onori del mondo è come una siepe che soffoca nel nostro cuore il seme prezioso della tua santa parola (“Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e appena ger-mogliata inaridì per mancanza di umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono. Un’altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per intendere, intenda!».” Lc. 8,4-8). Che faremo noi miserabili, che ci vediamo così pieni d'attacchi terreni? Signore, noi non potremo che istanta-neamente pregare con S. Agostino: «Brucia, taglia tutto ciò che in noi dispiace e mette ostacolo al tuo santo amore, distaccaci dal mondo, amareggiando tutti i suoi diletti. Facci sentire il bisogno di rivolgerci a te, perché sciolti da ogni legame d'amore terreno, siamo disposti e pronti a seguire i tuoi divini insegnamenti».Prostriamoci dunque con la faccia per terra e domandiamo a questo nostro buon maestro una vera umiltà e semplicità di cuore(” In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno

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conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.Venite a me, voi tutti, che siete af-faticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».“Mt.11,25-30) . Baciamo la soglia beata di questo umile presepio, e qui deponiamo ogni pensie-ro di propria stima, ogni desiderio ed ogni amore di lode, di fasto; e preghiamo Gesù che per la sua in-finita misericordia ci renda quali dobbiamo essere, prima d'accostarci alla sua culla: cioè compresi del sentimento del nostro niente, della nostra miseria e del bisogno estremo che abbiamo di essere istruiti da lui. E tu, o caro Gesù, deh!, mandaci per carità un raggio della tua luce, che ci faccia capire bene chi noi siamo e chi sei tu, affinché possiamo amare te e “odiare” noi stessi: in questo consiste la vera scien-za della salvezza, che tu vieni ad insegnarci.

3. La povertà di Gesù a Betlemme diventa un insegnamento per la nostra vita.

O cari, consideriamo attentamente in questa sera la povertà di Gesù. E questa sia la prima lezione che noi impariamo dall'amabile maestro e bambino. Chi direbbe mai al vederlo in così meschino albergo, ricoperto appena di poveri panni, mal difeso contro i rigori della stagione, chi direbbe che Egli è il Re dei re, ed il Signore dei dominanti (“ Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete». Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.“ Mt.17,1-8) . Come riconoscere in questo stato di miseria e di abiezione il sovra-no dominatore dell'universo, il Re della gloria, l'ente supremo al cospetto del quale tutti gli altri esseri s'umiliano, si annientano? Nascendo, non ha quello che hanno anche i più poveri? Un tetto che lo ricoveri; un po' di fuoco che lo riscaldi, una culla su cui adagiarsi. Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli hanno i loro nidi; ed il figliolo dell'uomo non ha dove riposare il capo? Ma perché tutto questo? Vedeva bene Gesù Cristo di quanto ostacolo al conseguimento del paradiso sarebbe stato per le nostre anime lo sregolato amore dei beni presenti: ci volle dare l'esempio di una povertà, di uno spogliamento così universale, affinché almeno imitandolo in parte, arrivassimo a conseguire i beni eterni (“E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni».” Lc.12,15). Oh, quanto ci dobbiamo confon-dere nel vedere l'amoroso Salvatore ridotto in questo stato. La nudità, lo squallore, la miseria che lo circonda ci tuonano al cuore quel “guai” terribile che egli ha minacciato a coloro che vorranno mettere la loro consolazione nelle cose del mondo; quella nudità e quella miseria ci predicano di tenere il cuore distaccato da tutto (“Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due

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e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non in-dossassero due tuniche. E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.“ Mc 6,7-13), perché possiamo liberamente servirlo ad amarlo. Quella miseria ci dice che sono beati i poveri di spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Difatti, che cosa è mai davanti a Dio tutto lo splendore della terra? La ricchezza o la miseria, lo splendore o l'umiliazione, sono un nulla davanti a lui. Egli stima più la povertà che tutte le ricchezze del mondo, come dice S. Paolo: «Ogni cosa di terra io stimo fango e sozzura per guadagnarmi Gesù Cristo» ( Fil 3,7-9). Il S. Profeta Davide, conside-rando con profetico lume la povertà di Gesù Cristo, uscì in questa bella esclamazione: «Beato chi intende sul mendico e sul povero!».

4. Preghiera per ottenere lo spirito di povertà.O amato Gesù bambino, illuminaci affinché capiamo la lezione salutare della tua estrema povertà: e facci capire bene come dobbiamo imitarla nelle circostanze particolari della nostra vita. Senti, o Gesù mio, quel che proponiamo di fare e benedici con la tua grazia questi nostri proponimenti. Per amore alla tua santa povertà noi ci studieremo di servire gli altri come potremo; ci mostreremo sempre contenti di tutto, ricevendo come elemosina dalla benefica mano della vostra Provvidenza, senza desiderare né più né meno di quello che ci darai tu. Non permettere mai che il falso splen-dore delle prosperità terrene ci abbagli e ci faccia perdere di vista la strada che guida al cielo (“ Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo re-stava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le fece questo giuramento: «Qual-siasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista». Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ra-gazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi

un po’». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in dispar-te.Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li pre-cedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” Mc 6,19-34). Imprimi bene nel cuore che i beni del mondo non sono beni per noi, se non in quanto ci possono servire a guadagnare al-tri beni non caduchi, mediante le buone opere di carità. Si, o Divino Infante, noi d'ora innanzi stimeremo e ado-reremo con profonda venerazione la tua Santa povertà, e proponiamo di cercarla più che potremo in noi stessi, e di rispettarla, compatirla e soccorrerla nei poveri che la rappresentano.

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PAOLO DI TARSO Nelle sue lettere l’apostolo chiama se stesso con il nome di Paulus. Negli Atti compare anche il nome di Saulo e solo da At 13,9 in avanti troviamo anche l’altro nome e cioè Paolo: forma greca del noto cognome latino Paulus. E’ probabile che si chiamasse fin dalla nascita con doppio nome. La scelte dei nomi era spesso determi-nata dalla somiglianza dei loro suoni. Non c’è alcuna testimonianza a suffragio della tesi che “ saul” sia stato cambiato in “ Paolo” al momento della sua conversione; in effetti , Saulos è usato negli atti anche dopo questo evento. Paulus, in latino significa “ piccolo”, “poco”, ma non aveva niente a che vedere con la statura o l’umiltà di Paolo. La data di nascita di Paolo è sconosciuta, Luca descrive Saulo come un giovane presente alla lapidazione di Stefano, cioè vale a dire tra i 24 e i 40 anni. Paolo non dice mai dove è nato, ma il suo nome, lo collegherebbe a qualche città romana. Negli Atti, Luca presenta Paolo come Giudeo, come un fariseo nato a Tarso, mentre nelle sue lettere non troviamo alcuna menzione a Tarso. Tale riferimento si deduce dalle lettere, perché a Tarso è presente una colonia ebraica e, nel 66 a. C, diventa capitale della provincia di Cilicia, sotto l’impero romano. Marco Antonio concede agli abitanti di Tarso la cittadinanza romana e questo spiega, da parte di Paolo l’appello a Cesare. Vantava origini giudaiche e faceva risalire la sua discendenza fino alla tribù di Beniamino ( Rm 11,1 ). Paolo si definisce israelita, ebreo e fariseo quanto alla legge, cioè un Giudeo di lingua greca, che conosce l’ara-maico e legge l’antico testamento in lingua originale e cioè in ebraico. Anche nelle sue lettere troviamo un par-ticolare genere letterario che appartiene al greco classico. Questo dimostrerebbe che Paolo ha una cultura di tipo greco, oltre che un’educazione religiosa di tipo ebraico. Quindi il doppio nome è indice di una doppia cultura. Paolo appartiene a tre mondi, ebraico, greco e romano. Anche per questo ha il grande dono di saper rag-

giungere le persone ed annunciare loro Cristo, facilitato da tre fattori: una educazione giudaica che gli permetteva di discutere della fede conoscendo l’Antico Testamento; una cultura greca con il quale raggiungeva il mondo pagano ellenico; la cittadinanza romana che gli dava la possibilità di viag-giare liberamente. La conversione sulla via di Damasco, è il momento più significativo, la svolta della sua vita in Gal 1,16: “ Dio si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani”. Questa rivelazione ven-ne dopo una vita nel giudaismo e la persecuzione della chiesa di Cristo. Per lui fu un incontro con il Signore risorto mai dimenticato. La conseguenza di quella rivelazione, fu che egli divenne servitore di Cristo, con il dovere di predicare il vangelo di Cristo a tutti. Ci sono tanti tentativi di spiegare questa sua esperienza. Il linguaggio che Luca e Paolo usano per parlarne, è lo stesso che è usato per descrivere le apparizioni del Risorto agli apostoli. Quindi una vera e propria apparizione di Gesù Risorto , come quelle vissute dagli apostoli dopo la pasqua e che lo mette in grado di essere al pari loro, un apostolo vero e proprio, anche se questa avviene qualche anno dopo la risurrezione di Gesù.Una rivelazione che egli paragona alla creazione, questa esperienza illumina la mente di Pa-olo e gli fa intuire il mistero di Cristo, spingendolo a confessare che Gesù è il Signore. Paolo conclude la sua vita terrena a Roma, secondo la testimonianza di Eusebio durante la persecuzione di Nerone che durò dal 64 al 68 d.c.. Tertul-liano paragona la morte di Paolo a quella di Giovanni Battista per decapita-zione, si dice sia stato sepolto sulla via Ostiense , presso l’odierna basilica di San Paolo fuori le mura, fatta costruire dall’imperatore Costantino. diacono Pietro

Anno Paolino - dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 . bimillenario della nascita di San Paolo

sui prossimi notiziari verranno dedicate pagine di approfondimento

sulla figura di san Paolo

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1. Perché questa letteraCarissimi figli e fratelli in Cristo, è questa la mia prima lettera pastorale alla Chiesa bresciana e sono davvero contento che riguardi il mistero e la pastorale della parola di Dio nella vita della Chiesa. I motivi della scel-ta possono essere tanti: stiamo vivendo l’anno paolino, che intende approfondire la conoscen-za dell’apostolo Paolo e del suo messaggio; ce-lebreremo in ottobre il Sinodo dei Vescovi, che affronterà il tema della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Il Consiglio Pastorale Diocesano, consultato sulla questione, mi ha offerto una pre-ziosa serie di indicazioni su questo tema. Diversi, dunque, sono i motivi della scelta. Ma, al di là dei motivi contingenti, c’è un motivo di fondo che giustifica la scelta ed è la convinzione che solo da un rapporto approfondito con la parola di Dio può venire un autentico rinnovamento della vita ecclesiale, della pastorale. Nella Costituzione ‘Dei Verbum’ il Concilio ha scritto: “È necessa-rio… che ogni predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e gover-

nata dalla Sacra Scrittura” (DV 21 = EV 904). Pren-do queste parole non come se fossero un omaggio formale alla Sacra Scrittura, ma come un’afferma-zione meditata, pesata, fatta consapevolmente e vorrei farne il fondamento di una scelta che orienti il mio ministero in terra bresciana, che plasmi tutto l’impegno di rinnovamento e di crescita spirituale che la nostra Chiesa sta vivendo.

2. La Sacra Scrittura, luogo del primato di Dio Ma perché è così importante il riferimento alla Sacra Scrittura? Il Concilio risponde. “La Chie-sa ha sempre venerato le Divine Scritture come il corpo stesso del Signore non mancando mai, so-prattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (ibid.). Nella Sacra Scrittura, dunque, così come nell’eucaristia, la Chiesa riconosce, trova, incontra, accoglie e as-simila il Corpo del Signore e quindi si edifica essa stessa come tale. Non siamo quindi di fronte a una scelta libera e facoltativa che qualcuno, spinto da un’esperienza personale significativa, può legitti-mamente fare all’interno della fede cristiana. Siamo di fronte a una struttura portante che decide dell’au-tenticità dell’esperienza cristiana. Il cristianesimo, infatti, non nasce da una ricerca umana di Dio, non

Luciano MonariVescovo di Brescia

La Parola di Dionella vita

della comunità cristiana

lettera pastorale 2008-2009

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IIISCELTE PASTORALI

A questo punto posso indicare alcune scelte pastorali che fa-voriscano l’azione efficace della parola di Dio nella nostra Chiesa.

23. Celebrare la parola Il primo punto, naturalmente, riguarda la liturgia del-la parola; nell’eucaristia, anzitutto, ma anche nella celebrazio-ne degli altri sacramenti. Qui, l’abbiamo ricordato, l’annuncio della parola ha il massimo di efficacia; a noi tocca non ‘fru-strare’ questa energia spirituale con una celebrazione sciatta, che non manifesta la presenza del Signore. Si tratta, anzitutto, di ‘celebrare’; non semplicemente di leggere un brano della Bibbia, ma di accogliere con stupo-re, gioia, riconoscenza, docilità, fede, la parola che al Signore piace inviarci. La liturgia della parola è un evento, qualcosa che succede; vi sono coinvolti tutti: l’assemblea, il celebrante, i diversi ministri (diacono, lettore, salmista, accoliti, coro…). L’essenziale è che appaia quello che avviene: il Signore ha convocato la sua comunità e instaura con essa un dialogo di comunione e di amore.

24. La proclamazione del vangelo Per comprendere partiamo dall’annuncio del vangelo che è il punto culminante di questa liturgia. S’inizia con un piccolo dialogo: “Il Signore sia con voi!” “E con il tuo Spirito.” “Dal vangelo secondo…” “Lode a Te, o Cristo.” Serve, questo dialogo, a ‘svegliare la comunità’ e renderla consapevole di quanto sta avvenendo. Gesù ha promesso che “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Se questa promessa si compie in momenti diversi, si compie anzitutto qui e l’assemblea ne deve essere consapevole. Dun-que: Il Signore sia con voi! Il Signore risorto, vivente, dalla cui bocca esce una spada affilata a doppio taglio (Apc 1,16), che siede sul trono di Dio ma nello stesso tempo cammina in mezzo alle chiese (cfr Apc 2,1). L’assemblea deve prendere coscienza di tutto questo e le parole del diacono glielo ricor-dano. Così come il diacono deve ricordarsi che, in quel mo-

deriva dai desideri che ci portiamo nel cuore e ai quali tentiamo di dare una risposta. Nasce, il cristianesimo, dalla ‘decisione’ libera di Dio di venire in cer-ca dell’uomo, di rivelarsi a lui, di chia-marlo a un’esperienza di comunione con Lui, di renderlo partecipe della vita divina stessa: “Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spi-rito Santo, hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura” (DV 2 = EV 873).

3. Parola di Dio e risposta dell’uomo Insomma, la qualità specifica dell’esperienza cristiana è quella che Giovanni descrive nell’ultimo versetto del Prologo al suo vangelo: “Dio, nes-suno lo ha mai visto; ma l’Unigenito Figlio che esiste rivolto verso il seno (l’amore) del Padre, lui ce lo ha rive-lato” (Gv 1,18). Siamo convinti che il cristianesimo non nasce dalla proie-zione fuori di noi dei nostri desideri o delle nostre paure, ma dall’amorevole, libero venirci incontro di Dio nella sua parola. “Non siamo stati noi ad ama-re Dio, scrive sempre Giovanni nel-la sua prima lettera, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Un’affermazione come questa suppone che non siamo stati noi a cercare Dio, ma è Dio che ha cercato noi; che a noi viene chiesto di ‘lasciarci trovare’, rispondendo alla ri-cerca di Dio con la nostra fede. Parola di Dio che chiama e fede che risponde si saldano insieme in un unico avveni-mento; e solo su questo fondamento può crescere sano l’edificio della vita e dell’esperienza cristiana. L’uomo è fat-to per trascendere se stesso e lo fa at-traverso una conoscenza corretta della realtà, attraverso l’assunzione libera di una responsabilità morale, attraverso l’amore verso se stesso, verso gli altri e verso Dio. In questo movimento illimita-

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to di crescita sta la sua identità più vera. Ebbene, con la sua rivelazione, Dio illumina questo cam-mino e lo dirige verso il suo amore in modo che la nostra ignoranza sia superata dalla sua sapienza, il nostro egoismo e le nostre passioni siano brucia-te dal suo amore e il nostro cammino di ‘umaniz-zazione’ e ‘divinizzazione’ possa procedere ben orientato, lucido, spedito.

4. Struttura della lettera Ecco il perché di questa lettera. Cercherò anzitutto di riflettere sul mistero della parola di Dio e sul modo corretto di comprenderlo e di viverlo. Poi, nella seconda parte, cercherò di offrire alcune indicazioni concrete che possa-no arricchire la nostra azione pastorale. Infine, proporrò la contemplazione di Maria Santissima come modello della Chiesa che ascolta la parola. Vorrei che questa lettera fosse pensata come una lettera ‘aperta’: essa lancia alcune proposte, ma toccherà alle diverse comunità cristiane assu-merle, viverle, verificarle. E l’esperienza ci aiute-rà a formulare meglio le nostre convinzioni, a rilan-ciare altre proposte per crescere verso il Signore con il massimo di desiderio e di fedeltà.

IL’AZIONE DELLA PAROLA DI DIO NELLA STORIA

5. Una traccia dal libro di Isaia Il cap. LV del libro di Isaia termina con queste parole: “Quanto il cielo so-vrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritor-nano senza avere ir-rigato la terra, senza

averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritor-nerà a me senza effetto, senza avere operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11). Queste parole van-no collegate e confrontate con l’inizio del cap. XL dove si legge: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalem-me e ditele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità” (Is 40,1-2). Gli esegeti, infatti, ci dicono che i capp. 40-55 del libro di Isaia costituiscono una sezione coerente, con un suo messaggio specifico. Siamo al tempo dell’esilio in Babilonia e un profeta viene mandato da Dio per annunciare agli esuli la fine della schiavitù, il ritor-no in patria. Se uno legge i capitoli che vanno dal XL al LV, vede svolgersi davanti ai suoi occhi un messaggio di consolazione che intende rincuorare un popolo avvilito e insegnargli a guardare avan-ti, verso l’opera di salvezza che il Signore sta per compiere: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne ac-corgete?” (Is 43,19).

6. Una condizione di povertà: l’esilio Dobbiamo fare uno sforzo per cercare di capire che cosa abbia significato questa esperien-za – l’esilio – per il popolo d’Israele. Non era solo un’esperienza di miseria e di servitù; era una vera e propria catastrofe: la distruzione di tutte le istitu-zioni che garantivano l’identità del popolo, la fine di tutte le speranze e di tutte le attese che ave-vano sostenuto Israele nella sua storia. La con-dizione spirituale degli esiliati, il loro avvilimento, è espresso nel modo più chiaro dalle parole che il profeta Ezechiele ha colto sulla loro bocca: “Le

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mento, è lui a emettere la voce e articolare i suoni, ma la parola è di Cristo e Cristo parla attraverso di lui. Lo Spirito che ha ispirato gli agiografi a scrivere, ispira ora il diacono a leggere così come deve ispirare la comunità a capire e a rispondere. Ascoltiamo, dunque, con stupore, la proclama-zione del vangelo. “A nessuno sfugge che tra tutte le Scrittu-re, anche del Nuovo Testamento, i Vangeli meritamente ec-cellono, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo Incarnato, nostro Salvatore” (DV 18 = EV 899). Dobbiamo amare ciascuna del-le parole del vangelo, ciascuna delle sue immagini perché nascono dall’amore amicale di Dio e ci introducono nel mi-stero della sua stessa vita. Proprio per questo viene data la possibilità di cantare il vangelo; è il modo più solenne per esprimere il valore di quanto si sta leggendo, il dialogo di amore in cui questa lettura si colloca, la gioia che vuole susci-tare nel cuore di chi ascolta. Naturalmente, bisogna che chi canta possa farlo bene, senza distrarre l’assemblea e senza rendere impossibile la comprensione delle parole. Il canto, se lo si sceglie, deve aiutare la comprensione, non renderla più difficile. Non si tratta di un’esibizione da ammirare, ma di una lettura da valorizzare. Al termine della lettura il dia-cono proclama: “Parola del Signore!” e l’assemblea rispon-de: “Lode a Te, o Cristo!” Dobbiamo capire e far capire che il senso di questa espressione non è: “Parola che il Signore ha pronunciato o vissuto duemila anni fa e che oggi viene da noi ripresa”, ma piuttosto: “Parola che il Signore risorto rivolge oggi alla sua comunità qui raccolta per illuminarla e correggerla, purificarla e muoverla all’amore; parola che ci mette in comunicazione con quel Gesù di Nazaret che passò in mezzo a noi facendo del bene e che ora vive alla destra del Padre come Signore in grado di salvare l’uomo.” A questa proclamazione del vangelo si collega tutto il resto della liturgia della parola. Il ‘versetto al vangelo’, anzitutto. Si tratta, infatti, di una breve frase che anticipa il testo evangelico e, in questo modo, prepara gli ascoltatori a comprenderne il senso fondamentale. Questo versetto è in-corniciato da un alleluia proclamato (cantato) dal lettore e poi dall’assemblea. L’alleluia è sempre espressione di gioia e scaturisce necessariamente ovunque ci rendiamo conto che Dio è entrato nello spazio della nostra esistenza e ha agito. La parola di Dio per noi, l’abbiamo ricordato, deve per forza suscitare stupore e riconoscenza; si canti dunque l’alleluia, si accolga la parola con gioia.

nostre ossa sono inaridite – dicono – la nostra speranza è svanita; siamo perdu-ti!” (Ez 37,11). Queste parole corrispon-dono esattamente a una impressionante visione del profeta: una valle immensa – come le interminabili pianure di Babi-lonia – piena di ossa: ossa secche, che non conservano più nessuna traccia del-la vita che hanno vissuto (Ez 37,1-10). Queste ossa, sembra dire la visione, sono gli esuli. Eppure a loro viene man-dato un profeta e, attraverso il profeta, una parola di Dio. È proprio a questa parola che fa riferimento il brano da cui siamo partiti: è parola di consolazione che viene da Dio; Dio l’ha pronunciata e fatta giungere sulla terra; dunque, quello che la parola ha annunciato si verifiche-rà; la storia non potrà che prendere atto della volontà di Dio e darle esecuzione. Gli esuli possono riprendere coraggio; debbono aprirsi alla promessa, debbono prepararsi al ritorno. Non avvenga che il ritorno, quando s’avvierà, li trovi pigri o sfiduciati o inerti.

7. La parola di Dio, pro-messa di salvezza Ecco allora quello che sta succe-dendo. Il popolo d’Israele si trova in esi-lio in Babilonia; Dio dirige agli esuli una parola attraverso il profeta; è una parola di promessa che annuncia il ritorno in patria. Nel cuore di coloro che credono alla parola di Dio si forma un germe di speranza che purifica i loro cuori dalla rassegnazione e dall’avvilimento. Quan-do Ciro di Persia, dopo aver conquistato Babilonia, darà agli esuli il permesso di ritornare, quelli che avranno custodito la speranza si metteranno in cammino. Come i loro antenati avevano marciato attraverso le acque del mar Rosso, essi marceranno illesi attraverso il deserto; si rinnoverà per loro il prodigio della sal-vezza operato da Dio a favore dell’uo-mo, del popolo: “Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi” (Is 43,21). Credo che il testo di Isaia ci possa aiutare a entrare nel mistero del-la parola di Dio, a coglierne il vigore e la forza. La parola di Dio entra nella storia

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e le imprime una direzione nuova, chiude vecchie strade e ne apre di nuove; in ogni modo dirige la storia verso un traguardo che può essere definito come ‘salvezza’. Quando la parola di Dio entra nella storia e trova l’ascolto della fede, l’uomo diventa collaboratore di Dio e attore del suo disegno di vita, la storia si trasforma in storia di salvezza, la speranza diventa dimensione permanente e incancellabile degli avvenimenti. “Come la pioggia e la neve…”. Pioggia e neve scendono dal cielo, irrigano i campi e li rendono fecondi, riforniscono sorgenti sotterranee che garantiranno l’acqua necessaria alla vita. I campi non sono più come prima e l’uomo ha una sicurezza nuova. Esattamente questa è l’opera della parola di Dio: entra nella storia e dà alla storia del mondo una forma nuova. Quale? Le Parole di Dio, che la tradizione di Israele e della Chiesa ci conservano, sono molte e diverse: accanto alle promesse ci sono parole di minaccia che sollecitano alla conversione, parole di consola-zione che rinnovano il coraggio, annunci di perdono che riaprono la speranza; ci sono comandamenti che chiedono l’obbedienza e pongono l’uomo di fronte alla scelta tra il bene e il male, la vita o la morte; ci sono istruzioni che vogliono rendere l’uomo saggio e capace di orientarsi in quella foresta intricata che è la vita. Insomma, la parola di Dio assume tutta la ricchezza della comunicazione interpersonale, pone l’uomo di fronte al volto di Dio e intesse una relazione tra Dio e l’uomo. L’uomo continua a vivere la sua esistenza nel mondo, nel tempo, insieme agli altri; ma ora vive davanti a Dio, in comunione con Lui, in collaborazione con Lui, rispondendo in questo modo alla vocazione iscritta nella sua stessa esi-stenza.

8. La salvezza rivelata in Cristo Abbiamo detto che la parola di Dio vuole condurre verso la salvezza. È questa una parola sin-tetica che riassume tutto; ma che cosa in concreto? Come dobbiamo pensarla? La salvezza è davvero l’obiettivo primario che l’uomo si possa/si debba proporre? Una promessa di salvezza è davvero tale da poter affascinare l’uomo di oggi e da muovere efficacemente il suo desiderio, le sue decisioni? La lettera agli Ebrei inizia così: “Dio, che aveva già parlato molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli, ed è diven-tato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato” (Eb 1,1-4). Questo straordinario prologo contiene in breve una ‘storia’ della parola di Dio; parola molteplice (Dio ha parlato molte volte) e varia (Dio ha parlato in diversi modi); parola che è giunta a noi attraverso una lunga serie di profeti (Mosè, Isaia, Geremia, Ezechiele…). Ora, però, è accaduto qualcosa di nuovo: Dio ci ha parlato attraverso il Figlio: la molteplicità dei profeti culmina in un unico, definitivo rivelatore; la varietà delle parole è condensata nell’esperienza concreta di una persona, nella sua vita e nella sua morte. Questo Figlio sta all’inizio del mondo (il mondo è stato fatto per mezzo di lui e quindi porta il suo sigillo) e sta nello stesso tempo al traguardo della storia (è erede di tutte le cose). Si può dire, perciò, che il Figlio contiene in sé il mistero del mondo e dell’uomo, il senso della creazione e della storia. Da una parte, infatti, egli porta in sé, nella sua umanità, l’impronta di Dio: è glorioso della gloria di Dio; i suoi pensieri e le sue azioni sono plasmati secondo la forma di Dio. Dall’altro canto egli ha compiuto nel mondo un cammino unico ed esemplare: ha realizzato la purificazione dei peccati presentando a Dio una vita perfetta nell’obbedienza e nell’amore; in questo modo egli “si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli” (Eb 1,3). È entrato, cioè, con la sua umanità, nel mistero della vita di Dio; ha portato un frammento del nostro mondo e della storia umana alla pienezza di vita, appunto la vita di Dio.

9. Un’esistenza umana aperta a Dio Questo intendiamo anzitutto col termine ‘salvezza’. Il nostro mondo porta in sé le stigmate del limite e dell’incompletezza; la nostra vita va irrimediabilmente verso la morte e in questo cammino è segnata da esperienze che sono anticipi della morte stessa: malattia, vecchiaia, solitudine, ignoranza, stupidità, cattiveria… sono segni inequivocabili del nostro limite e ci pongono davanti impietosamente la figura della morte come ultimo atto della nostra storia. Eppure, nel caso di Gesù, il cammino verso la morte è diventato in realtà cammino verso la pienezza di vita (“si è assiso alla destra della mae-stà nell’alto dei cieli”). È veramente uomo, il Risorto, ma partecipa della vita di Dio; è ‘sangue e car-

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ne’ come noi ma ha attraversato i cieli per sedere alla destra della gloria di Dio: que-sto, nell’essenza, intendiamo col termine ‘salvezza’. Non un cambiamento di natura, una trasformazione magica in una natura diversa; piuttosto un’esistenza pienamen-te umana, ma proprio per questo vissuta al cospetto di Dio e in comunione con Lui, ri-spondendo a Lui, operando secondo la sua volontà. E perciò un’esistenza che, apren-dosi al mistero di Dio, diventa partecipe di questo stesso mistero fino a partecipare della sua vittoria sulla morte. È sempre la lettera agli Ebrei che c’invita a “correre con perseveranza nella corsa che ci sta davan-ti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore

e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce di-sprezzando l’ignominia e si è assiso alla destra del trono di Dio” (Eb 12, 1-2).

10. Parola di Dio e de-siderio dell’uomo Gesù di Nazaret, nella sua av-ventura storica che culmina nel mi-stero pasquale, riassume in sé tutte le parole di Dio e le porta a pienez-za; assume la condizione umana e la porta a perfezione; è partecipe della realtà del mondo e la conduce fino a Dio. In questo modo ci viene svelato in pienezza il dinamismo della paro-la di Dio: è parola che, provenendo da Dio, vuole incrociare il cammino

del mondo, cerca di trasformarlo perché il mondo assuma la forma di Dio (la forma dell’amore), tende a fare entrare il nostro mondo (limitato, effimero, opaco) dentro al mondo di Dio (completo, duraturo, lumino-so). La parola di Dio ottiene questo non in modo magico, attraverso formule segrete o meccanismi automatici. L’ottiene piuttosto suscitando nell’uomo il desiderio, la fede, la decisione, l’impegno fino al dono di sé nell’amore. In questo modo la parola di Dio non ci allontana da noi stessi, non ci porta a diventare angeli; piuttosto rende operan-te nel modo più profondo quell’apertura al reale (a tutta la realtà) che è iscritta nella nostra condizione umana e che ci porta a conoscere e amare senza limiti.

25. Le altre letture Al vangelo è collegata, naturalmente, la prima let-tura che generalmente è presa dall’Antico Testamento ed è scelta in modo da corrispondere al vangelo. La Chiesa è convinta che tutto l’Antico Testamento rende testimo-nianza a Gesù perché in Gesù viene portata a compi-mento la rivelazione di quell’amore di Dio che è il senso di tutto. Ci vorrà molto tempo e molta educazione bibli-ca prima che le nostre assemblee riescano a gustare que-sti testi. E tuttavia è importante che l’Antico Testamento venga proclamato perché Gesù non appaia un meteorite apparso improvvisamente, ma piuttosto come il compi-mento di un lungo processo di rivelazione: la storia di Israele come storia privilegiata di salvezza. È attraverso questo legame con l’Antico Testamento che si può rico-noscere anche il legame del mistero di Gesù con tutta la storia umana. Elimina-re l’Antico Testamento si-gnificherebbe dimenticare tutti quei legami concreti che uniscono la storia di Gesù con il resto della sto-ria umana, e questo ren-derebbe incomprensibile il mistero di Gesù stesso. La prima lettura termina con la proclamazione: “Pa-rola di Dio!” e l’assemblea risponde: “Rendiamo gra-zie a Dio!” Poi, dopo un attimo di silenzio, segue la proclamazione di un sal-mo sotto forma responso-riale: salmista e assemblea. L’attimo di silenzio serve per renderci conto che non stiamo ammucchiando let-ture diverse, ma ci prepa-riamo a rispondere alla let-tura che abbiamo ascoltato. Che la risposta sia data con un Salmo indica chiaramente l’intenzione della Chiesa: Dio stesso ci mette sulla bocca le parole di una risposta degna. Insomma, ci lasciamo coinvolgere in un dramma che ci è proposto da Dio e noi accettiamo volentieri di ‘entrare in gioco’ nel modo in cui Dio vuole. Poi una seconda lettura presa dall’epistolario del Nuovo Testamento. Il messaggio degli apostoli ci aiuta a comprendere in profondità il mistero di Cristo come rivelatore del Padre, come parola di Dio fatta carne. Ap-punto: “Cristo in voi, speranza della gloria” (Col 1,27). Solo questo ci può permettere di comprendere la pro-fondità del mistero che il vangelo narra: la guarigione di un cieco, il dialogo con una donna, un racconto in parabole… piccoli avvenimenti ma nei quali si delinea il mistero della redenzione dell’uomo. Paolo e gli altri autori del Nuovo Testamento sono necessari per inco-minciare a sondare le insondabili ricchezze di Cristo.

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Lo notava già il Qohelet quando scriveva: “Non si sazia l’occhio di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire” (Qo 1,8). Per lui, saggio che osserva il mondo, questa insoddisfazione incurabile dell’uomo era un segno della sua miseria: l’uomo, dice, non riesce a trovare mai requie; ogni traguardo raggiunto mette in moto altri desideri e altri cammini, senza fine; siamo quindi condannati a desiderare ciò che non potremo mai raggiungere: “Vanità delle vanità, dice Qohelet; vanità delle vanità; tutto è vanità” (Qo 1,2). In realtà, questa inquietudine è segno di un’apertura illimitata alla realtà, di un desi-derio che si placa solo nel tutto, in Dio. Insomma, conducendoci a Dio, la parola di Dio ci conduce al compimento della nostra natura umana, ci conduce alla pienezza cui non riusciamo mai a rinunciare. In questo senso non possiamo rinunciare alla ‘salvezza’ perché questa, paradossalmente, coincide con il compimento del dinamismo che abbiamo in noi, anzi che siamo noi stessi.

11. Gesù, pienezza di umanità

secondo il disegno di Dio Dunque le tante e diverse parole che Dio ha ri-volto all’uomo nella storia trovano in Gesù la loro pienezza: Gesù è il ‘sì’ di Dio a tutte le sue promesse (1Cor 1,20), è la riconciliazione che Dio offre all’uo-mo peccatore (2Cor 5,19), è l’offerta di pace con cui Dio supera tutte le divisioni dell’umanità e crea l’uomo nuovo (Ef 2,14), è la volontà di Dio incarnata in un’esistenza umana concreta anziché scritta su due tavole di pietra… Potremmo continuare a lungo per descrivere come la parola di Dio trova nell’uomo Gesù la sua espressione piena e definitiva. Tutto questo significa una cosa precisa e cioè che l’effet-to che Dio vuole raggiungere con la sua parola, il frutto, il risultato è riassunto in Gesù Cristo. Gesù è un frammento di mondo, fatto di materia del mondo come ogni uomo; è un piccolo frammento della sto-

ria umana che si colloca concretamente al tempo di Augusto e di Tiberio. Ma in Gesù spazio e tempo, pensieri e azioni hanno assunto la forma precisa di Dio, della sua volontà.

12. La forma di Cristo nella vita dell’uomo Siamo partiti dicendo che la parola di Dio è efficace; la sua efficacia si dimostra con la trasfor-mazione del mondo che essa produce. Come diceva Isaia, la parola di Dio non torna a Lui senza avere operato ciò che Dio desidera e senza aver compiuto ciò per cui l’ha mandata. Ma che cos’è che Dio desidera? Gesù Cristo. Per quale obiettivo Dio manda nel mondo la sua parola? Ancora: Gesù Cristo. Gesù Cristo è il mondo che è stato plasmato dalla volontà di Dio, è un uomo che corrisponde in tutto alla volontà di Dio. È così profonda la comunione tra Gesù e Dio che il modo corretto di esprimerla è chiamare Gesù ‘Figlio di Dio’ e chiamare Dio il ‘Padre del Signore nostro Gesù Cristo’. In concreto, dunque, quello che la parola di Dio vuole ottenere è che il mondo prenda la forma di Gesù. Lo diceva san Paolo quando scriveva ai Galati: “Figliolini miei, che io partorisco di nuovo finché non sia formato in voi Cristo!” Il desiderio di Dio è che Gesù sia il primogenito di una moltitudine di fratelli (Rm 8,29) e cioè che la moltitudine degli uomini prenda progressivamente la forma di Gesù. Ma che cos’è questa ‘forma di Gesù’? Detto con un’unica espressione è la forma di ‘figlio’; questo significa un’esistenza vis-suta nella fiducia radicale in Dio, nell’obbedienza piena alla sua volontà, nella somiglianza progressiva con Dio. L’espressione può sembrare esagerata; in realtà è quello che il vangelo chiede esplicitamente quando dice: “Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Il contesto dice chiaramente che questa ‘perfezione’ consiste nell’amore oblativo e cioè nell’amore che si rivolge agli altri non solo rispondendo al loro amore, ma anche vincendo il loro odio. È amore che si dilata fino a raggiungere i nemici: è l’amore con cui Dio ama; è l’amore con cui ha amato e perdonato Gesù, figlio

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26. I ministeri nella liturgia del-la parola Rimane da dire una parola sui protagonisti della liturgia della parola: il diacono, i lettori, il sal-mista, il coro, l’assemblea. Quanto abbiamo detto è di per sé sufficiente a com-prendere l’importanza che ciascuno faccia bene la sua parte. Deve compiersi un dialogo; nessuno è solo ascoltatore, ma nessuno può rubare agli altri la pa-rola. Ciascuno deve inter-venire con umiltà (avviene qualcosa di più grande di noi) e consapevolezza (av-viene attraverso di noi). Il lettore deve dunque an-

nunciare con chiarezza e semplicità. La chiarezza è fondamentale. Chi ascolta deve poter capire bene quanto viene annunciato. Per questo non vanno bene lettori improvvisati; chi legge, se vuole leg-gere bene, dando il senso corretto alle parole e il ritmo corretto alle frasi, deve conoscere bene il testo, averlo letto più volte a voce alta, articolando i suoni. Deve sapere, il lettore, che Dio parla all’assem-blea attraverso la sua voce; ma questo richiede necessariamente che l’assemblea capisca quanto viene letto. Ci vorranno anche buoni im-pianti di diffusione del suono; ma ci vuole, anzitutto, la voce del let-tore stesso. Un’avvertenza. Qualcuno potrebbe pensare che, siccome è Dio stesso che parla attraverso la voce del lettore, la lettura debba avere qualcosa di enfatico che ne sottolinei la forza. È vero il contra-rio. Ogni enfasi attira l’attenzione sul lettore che diventa in qualche modo attore. Ma nella liturgia della parola il lettore è solo strumen-to; quindi deve essere evitata accuratamente ogni drammatizzazione impropria perché appaia in tutto il suo splendore la parola stessa.

27. L’assemblea Una breve osservazione anche sull’assemblea. Non c’è biso-gno che dica l’importanza della sua partecipazione. Il fatto che sia-no solo poche parole quelle che l’assemblea pronuncia non significa che siano parole poco importanti. Basta un ‘sì’ nella celebrazione del matrimonio per impegnare tutta la vita! E quando l’assemblea pro-clama di aver ascoltato il Signore, evidentemente con questa parola si compromette, si lega. Così bisogna insegnare all’assemblea a se-guire la liturgia della parola ascoltando (non leggendo le letture nel foglietto). Il motivo è che la lettura è personale (ciascuno legge sul suo foglietto, col suo ritmo di lettura) mentre l’ascolto è comunitario (tutti ascoltano l’unica parola che viene proclamata. Ora, siccome lo scopo della liturgia della parola (e di tutta la liturgia) è quello di formare un unico popolo, non ha evidentemente senso che ciascuno legga per conto suo. È invece pieno di significato che tutta l’assem-blea, dopo aver ascoltato, esprima la sua adesione unanime alla pa-rola udita.

di Dio, è l’amore con cui tutti gli uomini sono chiamati ad amare per essere realmente figli di Dio in Gesù Cristo. Potremmo conti-nuare con gli esempi, ma non è necessario; si capisce bene che la parola di Dio ha fatto Gesù Figlio di Dio nella storia e vuo-le fare di noi dei figli di Dio nella storia. Questo sarà il compimen-to della nostra vocazione.

13. Gesù, mistero del mondo e della storia Anzi, questo sarà il com-pimento della vocazione del mondo intero. Se Dio ha fatto scaturire la luce dalle tenebre, se ha popolato la terra con pian-te e animali, se ha voluto quel processo straordinario che co-struisce la storia della vita sulla terra, lo scopo finale è che nel mondo nasca una creatura che Dio può considerare suo figlio e alla quale può donare la parteci-pazione alla sua vita e alla sua gioia. Lo esprime meravigliosa-mente san Paolo quando dice che “la creazione stessa atten-de con impazienza la rivelazio-ne dei figli di Dio…[essa] nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della cor-ruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,19-21). Insomma, la trasformazione dell’uomo secondo la forma dei figli di Dio procura, nello stesso tempo, la trasformazione della natura (perché l’uomo è fatto di terra) e la trasformazione della storia (perché l’uomo vive nel tempo) secondo il disegno di Dio. Questa trasformazione è già avvenuta in Gesù, ma deve avvenire in tutti noi. La storia umana diventa ‘Storia di salvez-za’ nella misura in cui avviene

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questa trasformazione, nella misura quindi in cui la parola di Dio trasforma l’uomo e, attraverso l’uo-mo, il cosmo intero.

14. Imitazione di Gesù Ma come avviene questa trasformazione? Come avviene che noi possiamo ricevere e assu-mere la forma di Gesù? Gesù, l’abbiamo detto, è la parola di Dio fatta carne; è l’amore del Padre tradotto in parole e gesti umani, in vita e morte umana. A noi viene chiesto di accogliere quella parola che è Gesù e di lasciare che la nostra vita prenda la sua forma. Come? Attraverso l’imitazione; Gesù è un modello che noi guardiamo e ammiriamo. Se questo sguar-do diventa ricco di desiderio, la contemplazione di Gesù produce pensieri e decisioni nuove che ci portano a imitare Gesù. Non parlo di un’imitazione esterna, secondo il modo esteriore di vivere; ma di un’imitazione interiore, fatta di partecipazione al modo di sentire di Gesù. Esempio: Gesù “è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita come riscatto per la moltitudine.” Imitare Gesù significa non cercare i posti di potere o di prestigio ma farsi servo di tutti (Mc 10). Oppure ascoltia-mo l’esortazione di Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). È evidente che l’imitazione nasce dall’amore, dal ri-conoscimento del valore incomparabile di Gesù e della sua vita. Allarghiamo l’immagine: l’imitazio-ne deve portare a osservare la parola di Gesù, a prenderla sul serio e a cercare di praticarla nella propria vita. Ce lo ricorda san Giovanni: “Da que-sto sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: ‘lo conosco’ e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo e la veri-tà non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di dimorare in Cristo deve comportarsi come lui si è comportato” 1Gv 2,3-6).

15. L’azione del Risorto nel mondo Ma non è tutto. Gesù non è solo uno straordi-nario modello che affascina e muove all’imitazione. Gesù è risorto, è un vivente che continua a parlare e a operare con la sua parola e il suo Spirito. Nella prima lettera ai Corinzi san Paolo parla del Cristo risorto come ultimo Adamo divenuto ‘spirito datore di vita’ (1Cor 15,45). Il significato è che da Cristo risorto scaturisce una fonte di vita (il suo Spirito) capace di rinnovare il mondo. C’è un’umanità che deriva da Adamo e questa umanità è caratterizza-ta dalla debolezza e dal peccato; ma c’è un’umani-tà nuova che deriva dalla forza del Cristo risorto e questa umanità nuova è caratterizzata dallo Spirito di Dio che dirige e conduce verso Dio stesso. Simil-mente la lettera agli Efesini presenta l’immagine di Cristo glorificato alla destra di Dio ‘per riempire tutte le cose’ (Ef 4,10) e cioè per comunicare a ogni crea-tura la sua pienezza di vita. Tutto il senso della sto-ria della Chiesa nel mondo è quello di arrivare “allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13). Un mondo che ‘corrisponda’ al mistero di Cristo, dunque; che sia così profondamente trasformato dall’amore che Cristo appaia in esso non una realtà estranea ma il senso e il compimento di tutto. Ora, questa trasfor-mazione del mondo proviene dall’azione incessan-te ed efficace del Signore risorto stesso: “da lui che è il capo, Cristo… tutto il corpo, ben compagina-to e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef 4,15-16). Insomma il Risorto continua, in un modo nuovo, la sua presenza nel-la storia; anzi, l’efficacia di questa presenza è ora maggiore proprio perché il mistero del Risorto non è localizzato in un unico luogo, ma si fa presente ovunque e sempre attraverso la parola, i sacramen-ti, il ministero, la comunità cristiana stessa. Dunque: Dio ha pronunciato una parola; questa parola è efficace e cambia il mondo e la sto-ria secondo il disegno di amore di Dio. Le diverse parole che Dio ha pronunciato attraverso i profe-ti si riassumono e si compiono in Gesù di Naza-ret. È Lui la parola (il Verbo) fatta carne; è l’amore di Dio tradotto in gesti umani; è un frammento del mondo sul quale Dio esercita il suo potere di libertà e di misericordia; è un segmento della storia che anticipa e compie in pienezza il disegno di Dio di modo che la storia va verso Cristo. Questo cam-

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28. Gli altri elementi della celebrazione Dobbiamo, infine, ricordare il valore di tutti gli elemen-ti materiali che vogliono esprimere l’importanza di quanto sta avvenendo. La cura dell’ambone, anzitutto. Dev’essere in una posizione visibile e deve presentarsi con la bellezza che com-pete alla parola di Dio; il fatto stesso che il lettore o il diacono si rechi all’ambone per annunciare la parola dice che questa non è una parola come le altre; è parola che viene annunciata non in un luogo qualsiasi, ma in un luogo preciso, preparato proprio per il Signore stesso che parla. Secondo: il libro. La tradizione della Chiesa conosce i lezionari e gli evangeliari: libri fatti con particolare cura, che manifestano anche esternamente il valore della parola che contengono. Dobbiamo valorizzare questo elemento, piccolo, esterno, ma prezioso. Mai quindi, si legga da un foglietto vo-lante. La scelta del libro da cui leggere sarebbe irrilevante se si trattasse di trasmettere semplicemente il contenuto intellet-tuale di un testo di letteratura o di filosofia. Ma non è questo che avviene nella liturgia della parola. Quella che viene an-nunciata è la parola di Dio e il lettore che l’annuncia è, in quel momento, ‘bocca di Dio’. La qualità del libro da cui si legge serve a richiamare questa dimensione. L’incenso. Nelle celebrazioni più solenni viene usato anche l’incenso e non per caso. L’incenso nasconde e rivela nello stesso tempo; manifesta che siamo di fronte a un’espe-rienza che ci supera: da una parte vediamo e ascoltiamo, ma nello stesso tempo quello che accade è più di quanto gli occhi possano registrare o gli orecchi percepire. La nube dell’incen-so allude al mistero. Nello stesso tempo l’incenso avvolge di profumo l’ambone e il libro e il lettore. C’è un profumo di vita nella parola di Dio, il profumo che definisce la conoscenza di Dio e del suo Figlio (2Cor 2,14). Naturalmente le cose che abbiamo detto descrivono una celebrazione solenne. Capisco che non tutti i giorni si possa fare una liturgia così. Ma è im-portante anzitutto che ci siano occasioni nelle quali la liturgia viene celebrata col massimo di chiarezza e di forza; e che, ne-gli altri casi, si abbia sempre davanti quel significato pieno che la liturgia contiene. In questo modo anche gli aggiusta-menti saranno fatti saggiamente, in modo cioè da non alterare il senso vero di quanto accade ma di renderlo trasparente.

29. L’omelia Della liturgia della parola fanno parte anche l’omelia del celebrante e la professione di fede. Sottolineo solo che lo scopo dell’omelia è rendere la partecipazione alla liturgia più attiva e consapevole. L’omelia non è un’interruzione del cor-so della Messa per insegnare qualcosa; è invece un elemento integrante della Messa stessa che permette di vivere con mas-simo di attualità quanto viene proclamato. Arte del predica-tore sarebbe riuscire a unire in modo armonico la parola che è stata annunciata con la liturgia che si celebra e con l’assem-blea concreta che è presente. Un’omelia è ‘riuscita’ quando ha aiutato l’assemblea a celebrare bene; e celebrare bene significa lasciare che la propria vita concreta – famiglia, lavoro, amici-zia, pensieri, desideri, decisioni… – venga toccata dal mistero di Cristo e ne esca rinnovata, convertita. L’omelia non è un pretesto per combattere le proprie battaglie personali o per esporre i propri intelligenti punti di vista; è invece il compito

mino dell’umanità non si compie però in modo meccanico, anonimo, fatale; si compie attraverso la fede degli uomini. Dove la parola che Dio pronuncia trova l’accoglienza disponibile della fede, lì la parola s’incarna (come si è incarnata in Maria a motivo della sua fede) e lì il mondo prende la forma di Dio. Tutto sta, quindi, nell’ascolto della parola (di Gesù Cristo) e nella docilità alla parola (l’obbedienza della fede). Ma la paro-la di Dio è entrata nella storia due-tre millenni fa; come incontrarla oggi, in un mondo così diverso, che affronta pro-blemi nuovi, che possiede strumenti inediti, di un’efficacia sorprendente?

16. La missione della Chiesa I vangeli, nei quali è narrato il percorso della parola di Dio (Gesù) nel mondo, terminano tutti con il comando di missione: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura”(Mc 16,15); “Andate e fate discepole tutte le nazioni” (Mt 28,19); “Saranno predicati a tutte le genti la conversione e il per-dono dei peccati” (Lc 24,47); “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). Il significato è che l’av-ventura di Gesù, nella quale la parola di Dio si è fatta carne, non è terminata; la missione deve dilatare quell’espe-rienza fino ai confini della terra in modo che l’umanità intera sia plasmata dalla parola di Dio. È la missione dei disce-poli e, attorno a loro, della Chiesa inte-ra. Ma questa missione suppone, evidentemente, che la parola di Dio non sia scomparsa dalla storia; che sia possibile anche per l’uomo di oggi ascoltarla e viverla. Come dobbiamo pensare questa ‘attualità’ della parola? Ci aiutano anzitutto i vangeli. Quello di Matteo, ad esempio, che termina con la promessa di Gesù: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), o quello di Marco che nota come il Signore risorto operasse insie-me ai discepoli e confermasse la loro

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di far emergere l’attualità di quanto è stato procla-mato e coinvolgere l’assemblea in quanto viene ce-lebrato. Da qui l’importanza della fedeltà alla celebra-zione, alle letture, all’assemblea. Vi chiedo anche, con umiltà, di fare sì che le omelie aprano alla spe-ranza. Deve avvenire quanto sant’Agostino poneva come obiettivo del catechista chiamato ad annun-ciare ai principianti il cuore del vangelo: “Attraverso l’annuncio della salvezza il mondo intero ascoltan-do creda, credendo speri, sperando ami” (de Ca-thechizandis Rudibus 4,8; cfr DV 1 = EV 872). Sono convinto che le ‘tirate’ contro i presenti sono con-troproducenti o perlomeno inutili. E nessuno deve avere l’impressione che stiamo strumentalizzando l’omelia per promuovere e ottenere qualcosa che sta a cuore a noi. Quando questo avviene, l’ombra rica-de non solo sul predicatore ma sulla liturgia stessa che ne esce svilita. Dobbiamo poter dire come san Paolo: “Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo… Vi supplichiamo in nome di Cristo…” (2Cor 5,20). Questo suppo-ne che il pre-dicatore abbia “il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16) e non sia mosso da altri interessi che lui: “Per me, infatti, il vi-vere è Cristo” (Fil 1,21). In con-creto, mi sem-bra sia im-portante che l’omelia venga apprezzata e capita nel suo grande valore. Mi piacerebbe, ad esempio, che una piccola omelia – di tre minu-ti – accompagnasse la celebrazione quotidiana del-la Messa e che l’omelia della domenica – di dodici minuti – fosse preparata accuratamente. Non posso che compiacermi con quei preti – e sono un certo nu-mero – che cominciano il lunedì a leggere le letture della domenica successiva e che poco alla volta du-rante la settimana raccolgono il materiale che deve confluire nell’omelia. Hanno sempre insegnato che per parlare efficacemente bisogna avere qualcosa da dire; poi dirlo con chiarezza; e, una volta detto, tacere. Credo che la regola si adatti benissimo an-che all’omelia: deve avere qualcosa da comunicare, essere chiara, non trascinarsi inutilmente in fiumi di parole. Per raggiungere questo obiettivo hanno valore anche quegli incontri nei quali preti e laici preparano insieme il materiale dell’omelia.

parola con i prodigi che l’accompagnavano” (Mc 16,20). A sua volta il vangelo di Luca termina nel-la promessa dello Spirito Santo – lo Spirito che ha riempito e guidato Gesù – di modo che la con-versione e il perdono dei peccati possano esse-re compiuti “nel nome di Gesù” (Lc 24,49). Infine Giovanni narra l’apparizione di Pasqua come un evento ‘fondante’ che struttura tutta l’esistenza della Chiesa nel tempo: alla paura iniziale dei di-scepoli subentra la loro gioia che nasce dal rico-noscimento che Gesù è presente (Gv 20,19ss). Si compie così la promessa: “Voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22-23). Insomma, tutto il Nuovo Te-stamento è lì per annunciare che Gesù è un vi-vente; che la morte ha solo mutato il modo della sua presenza e, lungi dal cancellare l’umanità di Gesù dal tessuto della storia, ha reso la sua pre-senza ancora più ampia e profonda. Con la sua risurrezione Gesù è diventato ‘Spirito vivificante’ e il raggio della sua azione si è ampliato raggiun-gendo tutta l’umanità.

17. Le parole ‘risorte’ di Gesù Quando diciamo che Gesù è risorto, dob-biamo ricordare che questa risurrezione riguarda la sua umanità in tutta l’integrità e interezza. Nel mistero di Gesù risorto sono presenti tutte le sue parole, tutte le sue azioni (i miracoli), le relazioni umane che ha vissuto, le sofferenze, la passione che ha sopportato, la morte stessa. Nel Signore vivente tutto questo complesso di realtà che ha costituito la vita terrena di Gesù è risorto ed è diventato eternamente presente. Quando ascolto la proclamazione: “Beati i poveri in spirito” non ascolto solo una frase che è stata pronunciata duemila anni fa; ascolto una parola che è pre-sente nel mistero di Gesù risorto; ascolto quindi una parola che oggi Gesù Signore rivolge a me, alla mia comunità, alla Chiesa, a tutti gli uomini. Quando leggo la guarigione del cieco nato, quella parola mi pone in comunicazione con Gesù, luce del mondo, che oggi illumina la nostra vita collo-candola nell’orizzonte della rivelazione dell’amo-re di Dio, ci fa passare dalle tenebre alla luce. Quando leggo la narrazione della passione, posso sì ripercorrere la via dolorosa con le sue diverse stazioni, ma, più profondamente, incontro oggi la forza invincibile dell’amore di Dio che si confronta con il peccato dell’uomo e lo vince con il perdono. E così via. La risurrezione di Gesù rende peren-nemente attuale tutto quello che ha contribuito a ‘dare forma’ all’uomo Gesù, quindi le sue parole e

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30. La catechesi e i catechisti A questo punto andrebbe inserito il riferimento alla catechesi e ai catechisti. Non c’è dubbio, infatti, che tocchi proprio alla catechesi familiarizzare le nuove generazioni con il testo biblico, introdurre alle strutture fondamentali della storia della salvezza cioè del rapporto di Dio con noi, tra-smettere i contenuti essenziali della fede a partire dalla Sacra Scrittura. Di fatto, però, questo lavoro è già descritto e propo-sto egregiamente nel progetto dalla ICFR che la nostra dioce-si si è data come impegno primario. Non posso, dunque, che rimandare ai testi che illustrano e guidano questa proposta invitando tutti i catechisti ad approfondirli e soprattutto ad attuarli nel loro prezioso servizio.

31. Esercizi e ritiri spirituali Desidero solo accostare al lavoro della catechesi in genere la proposta di momenti particolari di approfondi-mento e di preghiera: gli esercizi spirituali e le giornate di preghiera. Di per sé gli ‘Esercizi Spirituali’ così come li ha pensati sant’Ignazio di Loyola sono un periodo prolungato (quattro settimane) di riflessione, preghiera, dialogo spiri-tuale, per giungere a discernere la propria vocazione, quello che il Signore si attende da noi. E avremmo proprio bisogno di riscoprire e offrire di nuovo questa opportunità. È raro, infatti, che un ragazzo abbia il tempo e la tranquillità neces-sari per interrogarsi seriamente sulla sua vocazione e cioè sul modo migliore per lui di realizzare la vocazione al dono di sé, all’amore, al servizio di Dio. Quand’anche nascesse il desi-derio di donarsi al Signore, le mille attrattive e possibilità che il mondo d’oggi offre sono capaci di ‘distrarre’ l’attenzione in modo che il seme non giunge a maturazione. Per questo dob-biamo offrire corsi di esercizi spirituali, momenti prolungati di silenzio, ascolto, preghiera; e non c’è modo migliore di far-lo che accostando alcuni testi biblici. È anzitutto attraverso il testo biblico, infatti, che si struttura il dialogo di Dio con gli uomini: “Nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e discorre con essi; nella parola di Dio, poi, è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale” (DV 21 = EV 904). Proporre la lettura e meditazione di un testo biblico significa proporre una parola autentica di Dio a noi e quindi significa impostare quel dialogo di fede, amicizia e amore in cui consiste l’esi-stenza cristiana stessa. Bisognerà dunque offrire numerosi corsi di esercizi spirituali ai giovani per aiutarli a impostare la loro vita come dialogo amicale con Dio e riconoscere le scelte fondamentali di vita come ‘vocazione’ in senso pieno. Nello stesso modo desidero che, soprattutto in alcuni momenti dell’anno liturgico, siano offerte giornate di rifles-sione e di preghiera (ritiri spirituali), per ritrovare l’equilibrio spirituale della propria vita. Anche in questo caso l’ideale è proporre alcuni testi biblici (o un libro della Bibbia) come ini-zio di un dialogo di fede e di una revisione di vita.

i suoi gesti. Ma, dovremmo continuare, nel Cristo risorto è presente anche tutto l’Antico Testamento perché, come ab-biamo ricordato, Gesù è il compimento di tutte le parole di promessa che co-stituiscono la storia di Israele. Quan-do leggiamo Mosè o Davide, o Isaia o anche il Qohelet cogliamo alcuni linea-menti del volto di Gesù, ne comprendia-mo la ricchezza e la forza, impariamo ad ascoltare con docilità quella parola che è stata seminata in noi e che può salvare le nostre anime (cfr Gc 1,21).

I IL’EVENTO DELLA PAROLA DI DIO

NELLA VITA DELL’UOMO

18. Nell’eucaristia Insomma: la parola di Dio fatta carne in Gesù è diventata eterna nella gloria del Padre; è quindi parola eter-namente presente all’uomo. Questa pa-rola si fa evento nella vita della Chiesa ogni volta che essa viene proclamata, ascoltata, pregata, vissuta. Questo av-viene in tempi e modi diversi che biso-gna comprendere e apprezzare secon-do le caratteristiche di ciascuno. Il massimo di attuazione della parola è, naturalmente, quello che si compie nella celebrazione dell’eucari-stia. Il motivo è evidente. L’eucaristia contiene, nel sacramento del pane e del vino, il gesto supremo di amore con cui Gesù ha donato la sua vita per noi, si è chinato a lavare i nostri piedi, ci ha riconciliato col Padre, ha stabilito la nuova ed eterna alleanza. In questo senso l’eucaristia contiene tutto il senso della Bibbia, anzi tutto il senso del co-smo. Il pane spezzato e il vino versato (che sono frutto della terra ma anche del lavoro dell’uomo), per la potenza dello Spirito Santo, diventano il corpo di Gesù offerto per noi e per l’umanità intera. Non può esserci rivelazione più grande dell’amore di Dio per noi e non

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può esserci svelamento più chiaro del nostro peccato e del bisogno che abbiamo di essere perdonati. La Bibbia non fa altro che esprimere attraverso una lunga narrazione e una molteplicità di parole quel-lo che la croce di Gesù dice in un unico, totale gesto di amore. Per questo, quando la parola di Dio viene annunciata nell’eucaristia, essa possiede il massimo di forza, comunica l’energia dell’amore di Dio, muove alla conversione e rigenera alla vita nuova che è appunto vita in Cristo, nell’amore di Dio. Nell’eucaristia è convocata la Chiesa (in concreto una piccola porzione di Chiesa, ma in comunione col Vescovo, col Papa e quindi con tutta la Chiesa cattolica; per questo in ogni piccola comunità che si raccoglie si attua il mistero della Chiesa intera – una, santa, cattolica, apostolica). Infine nell’eucaristia si invoca lo Spirito Santo perché operi la cristificazione delle offerte (cioè trasformi il pane e il vino nel corpo di Cristo donato, nel suo sangue versato per noi) e operi, nello stesso tempo, la cristificazione dei presenti (cioè la trasformazione delle persone in membra dell’unico corpo di Cristo). È chiaro che, in questo contesto (memoria sacramentale della Pasqua – invocazione dello Spirito – assemblea del-la Chiesa) la forza della parola di Dio è massima; essa si esprime col massimo di attualità. Partendo dall’eucaristia si possono intendere anche le altre forme di attuazione della parola di Dio. Ad esempio, nella celebrazione di tutti i sacramenti. È regola della Tradizione ecclesiastica che non si celebri un sacramento senza annuncio – almeno implicito – della parola di Dio. Questo perché il sacramento non è azione ‘magica’, ma azione reale del Cristo risorto. La parola che sta nella ce-lebrazione, insieme ai gesti che vengono compiuti, costituisce un ‘sacramento’, un’azione di Cristo, richiama il significato di quanto viene compiuto e rende quindi attuale la parola eterna. La differenza tra l’eucaristia e gli altri sacramenti definisce anche la differenza della proclamazione della parola; il lega-me tra gli altri sacramenti e l’eucaristia garantisce il legame tra i diversi momenti e le diverse modalità dell’annuncio. Ma in tutti i sacramenti si compie quello che è lo scopo di tutta l’economia sacramentale: l’inserimento dell’esistenza umana concreta nel mistero vivo di Cristo in modo che la nostra esistenza assuma la forma di Gesù e diventi, perciò, pur con tutti i nostri limiti, incarnazione autentica della parola

di Dio: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto…” (Gv 15,5).

19. Nelle liturgie della parola A un secondo livello possiamo collocare tutte le forme comunitarie di celebrazione della parola, da quelle com-piute in chiesa, ai gruppi di vangelo tenuti nelle case. An-che qui la parola si attua con particolare energia perché è proclamata in un’assemblea, più o meno ampia, ed è ac-compagnata dalla preghiera. La dimensione comunitaria è originaria e quindi essenziale alla parola; la parola di Dio, infatti, intende rivolgersi a ogni persona, fare appello alla sua libertà, chiedere la sua risposta, ma tutto questo in vi-sta dell’edificazione del popolo di Dio e cioè per raccogliere insieme le diverse persone, le diverse culture e farne l’uni-

ca, varia famiglia dei figli di Dio. È evidente, allora, che quando la parola è proclamata davanti a un’as-semblea, essa compie più pienamente la sua ‘via’; il fatto di ascoltare insieme e di rispondere insieme costituisce già un legame autentico tra le persone, le ‘edifica’ come corpo di Cristo. Similmente, quando l’accostamento alla parola è fatto in un contesto di preghiera, si attuano le due dimensioni del dialogo di fede con Dio: l’ascolto (Dio ci dirige una parola e noi l’accogliamo nella fede) e la risposta (noi ci rivolgiamo al Signore e lo preghiamo insieme con altri credenti). Questa du-plice dimensione è tradizionale nella vita spirituale cristiana. San Cipriano scriveva a Donato così: “Sii assiduo ora alla preghiera, ora alla lettura. Ora parla con Dio, ora Dio con te. Egli ti istruisca nei suoi precetti, egli ti formi” (Ad Donatum 15). A sua volta il Concilio, citando sant’Ambrogio, esorta: “La lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché ‘gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini’.” (DV 25 = EV 908). L’importanza della preghiera nell’accostamento della parola di Dio dev’es-sere capita bene. Ascoltare la parola di Dio significa ascoltare Dio che ci parla. Non è in gioco solo un contenuto intellettuale che cerchiamo di capire, ma un Tu col quale entriamo in rapporto; diventa

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32. I gruppi biblici di lettura e di preghiera Grazie a Dio, sono diffusi in diocesi i gruppi di lettura e di preghiera del vangelo; alcune persone si

trovano in una casa privata, leggono un brano di vangelo, lo commentano con libertà e pregano a partire dalla parola ascoltata. Sono una delle nuove forme di evangelizzazione e di catechesi che si stanno diffonden-do. Non posso che riconoscere in que-sti gruppi una gran-de speranza per la Chiesa. Che alcuni cristiani cerchino un contatto regolare con la parola di Dio, che

lo facciano insieme ad altri, che accompagnino que-sto ascolto con una preghiera spontanea è cosa più che buona. Desidero quindi solo che questi gruppi si diffondano e che vengano proposti a tutti. Aggiungo solo qualche osservazione che spero non sia inutile. La prima è che i gruppi di vangelo richiedono il servizio di un animatore, una guida, che sia pre-parato sia dal punto di vista biblico, sia dal punto di vista della dinamica di gruppo. Se non c’è un anima-tore attento e preparato difficilmente i gruppi resisto-no nel tempo. Poco alla volta, infatti, si cominciano a ripetere le stesse osservazioni e si ha l’impressione di non aver niente di nuovo da dire. L’animatore deve essere capace di cogliere e di esprimere le caratteri-stiche proprie di ogni testo; deve sapere rispondere alle domande immediate di tipo letterario e storico che inevitabilmente sorgono; deve saper guidare il gruppo in modo da sollecitare gli interventi, da evi-tare le discussioni inutili, da mantenere un clima di accoglienza reciproca. È importante, infatti, per il buon funzionamento del gruppo, che non ci si lasci prendere dall’impulso di contestare le riflessioni de-gli altri, di affermare le proprie come uniche vere, di ottenere piccoli ‘successi’ e riconoscimenti. Lo sco-po di questi gruppi, infatti, non è quello di definire il significato preciso di un brano (a questo bisogno rispondono meglio le sessioni di studio), ma di illu-minare l’esperienza di fede con la luce della parola. L’unico confine preciso da riconoscere e accettare è quello della fede della Chiesa entro la quale si muo-ve la fede di ciascuno. È proprio questa la funzione del ‘simbolo’ (il ‘credo’, la professione di fede): per-mettere di riconoscere quella fede personale che sta all’interno della fede della Chiesa e quella che invece se ne allontana. Quando questa comunione è garan-

allora evidente che il dialogo io-Tu, uomo-Dio è il vero obiettivo della parola. Solo quando que-sto dialogo si compie la parola raggiunge il suo scopo. La preghiera non è dunque un’aggiunta devozionale, esterna all’ascolto della parola; ne è la continuazione corretta e dovuta. Non per niente, durante l’eucaristia, la Chiesa c’insegna a pregare col ‘salmo responsoriale’: rispondia-mo alla parola che abbiamo ascoltato con una parola orante dell’assemblea.

20. Nella lectio divina Terzo livello: la lectio divina e cioè la let-tura personale della Scrittura accompagnata dalla meditazione e dalla preghiera. Il termine lectio divina si riferisce di per sé a un metodo preciso di accostamento orante alla Bibbia fatto di lettura, meditazione, contemplazione e pre-ghiera; e forse varrebbe la pena tornare a que-sto significato originario. Di fatto, però, l’espres-sione viene oggi usata per indicare approcci diversi al testo biblico, accomunati, però, dal legame con la preghiera. Per questa forma di accostamento vale quindi quello che abbiamo ricordato appena sopra.

21. Nella lettura e studio personale Infine, a un quarto livello, vanno colloca-te tutte le forme di accostamento personale alla Bibbia sotto forma di lettura semplice o di studio accurato. Qui si può pensare che l’attuazione della parola di Dio sia meno intensa perché si tratta di una lettura privata e non pubblica, di un accostamento letterario e storico al testo senza un riferimento esplicito alla preghiera. Questo non significa, però, che questo accostamento sia secondario o trascurabile perché tutte le altre forme di ascolto sono nutrite e arricchite proprio dalla lettura personale e dallo studio.

22. Sintesi Insomma, quello che volevo dire è, in fondo, una cosa semplicissima ma, mi sembra, preziosa da ricordare: le forme di accostamen-to al testo biblico sono molte e varie. In ciascu-na di queste forme la forza spirituale della pa-rola di Dio si attua in modi e intensità diverse. Quanto più immediato è il riferimento al miste-ro di Cristo, quanto più intenso è il senso della

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Chiesa, quanto più ‘orante’ è l’atteggiamento di chi ascolta, tanto più intensa è l’energia spirituale che scaturisce dalla parola. Da questa riflessio-ne, però, lo ripeto, non si deve dedurre che basti l’annuncio della parola nell’eucaristia perché lì la intensità è massima; che le altre forme possano essere omesse perché meno ‘complete’ nella loro realizzazione. L’uomo non vive solo dei ge-sti più intensi dell’amore; anzi, questi stessi gesti, perché siano autentici, debbono essere prece-duti, accompagnati e verificati da mille altri gesti, meno intensi ma che coinvolgono tutte le dimen-sioni dell’esistenza umana. Lo stesso vale esat-tamente per la parola di Dio. Può sembrare, ad esempio, che lo studio abbia meno valore rispet-to a un incontro comune di preghiera (un gruppo di vangelo). Ma è vero che solo lo studio può aiu-tarmi a comprendere correttamente il significato preciso di un testo; e siccome la parola di Dio si attua in testi significativi è essenziale per noi non interpretare i testi secondo quello che ci viene in mente, ma secondo quello che i testi vogliono davvero dire: è questo quello che Dio ‘aveva in

mente’ e voleva comunicarci. Sarebbe arroganza pretendere di capire tutto senza fare lo sforzo di studiare con oggettività; e sarebbe manipolazio-ne della parola di Dio pretendere che sia ‘vera’ la prima interpretazione che mi viene in mente. Cer-to, non tutti possono studiare ebraico e aramaico e greco e fare uno studio scientifico della Bibbia. Proprio per questo ci sono nella Chiesa persone che dedicano la loro vita allo studio. Il loro lavoro è personale, ma è al servizio della Chiesa e aiuta anche chi non ha il tempo o la possibilità di studi approfonditi. Rimane il fatto che non si può pre-

tita, i cammini personali possono essere diversi e dobbiamo imparare ad ascoltarci e apprezzarci a vicenda.

33. L’ospitalità Un’importanza grande ha in questi gruppi il contesto di ospitalità e il clima di fraternità che li accompagnano. Che una casa privata si apra per accogliere quelli che desiderano pregare insieme è già un fatto importante, che rivela lo stile della Chiesa. Ci sono persone che hanno dal Signore il dono della affabilità, che sono capaci di accogliere a cuore aperto, senza riserve. Queste persone con-tribuiscono non poco al buon funzionamento dei gruppi di vangelo perché aiutano le persone a sen-tirsi ‘a casa propria’, in famiglia. E forse questo è uno dei bisogni più sentiti e diffusi oggi. La perso-na che accoglie e quindi dirige il gruppo deve inte-ressarsi anche di mantenere il contatto col parroco, tenendolo al corrente di quanto si fa, invitandolo in qualche occasione particolare. Questo legame di comunione è decisivo perché i gruppi di ascol-to non appaiano gruppi privati che percorrono un cammino autonomo, ma piuttosto siano espressio-ne dell’unica Chiesa. Senza togliere nulla alla spontaneità, che è una delle caratteristiche positive di questi grup-pi, cercheremo di offrire a tutti piste di riflessione che arricchiscano gli incontri e li rendano efficaci anche dal punto di vista della catechesi biblica. L’ideale sarebbe che i gruppi di vangelo si svilup-pino fino a diventare piccole comunità di credenti (comunità di base). È importante che la presenza ecclesiale sul territorio non venga meno a moti-vo della diminuzione dei preti: questa presenza è un obiettivo primario della pastorale; se non la si può raggiungere con la diffusione capillare delle parrocchie, bisogna raggiungerla con la moltipli-cazione di piccole comunità nelle quali le persone possano vivere rapporti di vicinanza e di carità.

34. La lectio divina Da qualche anno va diffondesi un po’ ovunque la prassi della lectio divina, un modo di accostare la parola di Dio facendone sorgente di meditazione e di preghiera. La lectio è, di per sé, un metodo di accostamento della Bibbia proprio della tradizione monastica e codificato nel sec. XII da Guigo II, certosino. A lui risale la articolazione classica della lectio in: lectio, meditatio, oratio, con-templatio. In un suo intervento il card. Martini ave-va aggiunto anche consolatio, discretio, deliberatio, actio: il motivo era quello di creare un ponte tra la parola di Dio e la vita e vedere come tale ponte pos-sa funzionare nel modo migliore. Di fatto, però, il termine lectio è diventato sinonimo di una spiegazione della Bibbia che con-duca alla preghiera e la sostenga, indipendente-

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mente da un metodo preciso. Mi piacerebbe che, almeno in alcune occasioni, si proponesse la lectio anche nella sua modalità monastica. In ogni modo sono favorevo-le a ogni accostamento ‘pregato’ alla parola di Dio. Mi sembra che sia una scuola preziosa di preghiera cristia-na, proprio perché dà consapevolmente alla preghiera la forma di risposta alla parola creativa di Dio. Prendiamo allora l’introduzione alla lectio divina come uno dei compiti, soprattutto in occasione di ritiri o esercizi spirituali.

35. La lettura continua L’accostamento occasionale alla Bibbia è certo da lodarsi. Tuttavia un’autentica familiarità con la Bibbia ri-chiede un accostamento regolare, quotidiano. Non per nulla tutti i sacerdoti, pregando con la liturgia delle ore, sono ‘obbligati’ a leggere un capitolo della Bibbia ogni giorno. Non posso certo sperare che tutti i credenti bre-sciani si impegnino a una lettura quotidiana dalla Bib-bia, ma questa lettura quotidiana posso ben consigliarla e favorirla. Lo faccio con convinzione perché credo che la lettura continua e regolare sia la base che nutre tutte le altre forme di accostamento alla Bibbia stessa. Non igno-ro nemmeno le difficoltà che questo tipo di lettura com-porta. Quando si deve leggere la legislazione levitica sui sacrifici, o quando capitano le liste genealogiche del libro delle Cronache, viene facilmente la voglia di saltare o addirittura di abbandonare la lettura. Non solo: quando si leggono nel libro di Giosuè parole che comandano lo herem (l’anatema; vedi nota della Bibbia di Gerusalem-me a Gs 6,17) potrebbe venire da scandalizzarci, anche se i nostri occhi hanno visto di peggio. Ma l’esperienza dice che chi ha la perseveranza e continua regolarmente la lettura ne avrà anche il premio. La maggior parte delle difficoltà scomparirà da sé, solo attraverso la familiarità col testo; alcune altre difficoltà costringeranno ad appro-fondire il tema e porteranno a una conoscenza migliore della Bibbia. Tutto questo per dire che propongo alla diocesi la lettura continua della Bibbia. Esistono calendari che sug-geriscono la lettura di un capitolo al giorno; in quattro anni si sarà letto tutto l’Antico Testamento e due volte il Nuovo Testamento. Si tratta, in questo caso, di un impe-gno proposto ai singoli. Ciascuno è libero di muoversi

come deside-ra, anche se cercheremo di diffondere un piccolo calen-dario che as-soci i libri letti al tempo litur-gico che vivia-mo. Si tenga però presente: questa lettu-ra è del tutto personale, ma contr ibuisce

scindere dallo studio se si vuole fare un ac-costamento serio alla Bibbia. In modo simile i gruppi di vangelo non sono ‘liturgia’ in senso proprio e quindi hanno un minore spessore ecclesiale; tuttavia essi svolgono un’azione che nella liturgia è più difficile: permettono la creazione di legami di riconoscimento tra tutti i membri del gruppo, favoriscono il co-municarsi a vicenda le proprie esperienze di fede, aiutano a confrontare la parola con esperienze concrete di vita. Infine, la sem-plice lettura della Bibbia, continuata con fe-deltà un giorno dopo l’altro, apparentemente povera nei suoi contenuti, è indispensabile per produrre una familiarità crescente col te-sto; e così via. Abbiamo ricordato questi diversi livelli di ‘attuazione’ della parola non per fare una classifica e svalutare alcune forme rispetto ad altre, ma per cogliere la pluralità degli approcci necessari perché, attraverso diver-se e complementari forme di accostamento, l’ascolto sviluppi al massimo le sue poten-zialità.

IVMARIA SANTISSIMA,

MODELLO DI ACCOGLIENZA

DELLA PAROLA DI DIO38. Maria, modello dell’ascolto di fede Desidero completare questa riflessio-ne sulla parola di Dio nella vita della Chiesa collocandola nel contesto dell’esperienza spirituale di Maria così come ci è presentata nel vangelo secondo Luca. Il Concilio ci ha insegnato che Maria è la figura stessa del-la Chiesa, la Chiesa vissuta in pienezza e perfezione dello Spirito. La Chiesa impara a conoscersi proprio quando contempla Maria e trova in lei, pienamente realizzata, la sua stessa vocazione. Maria, infatti, è la madre del Verbo Incarnato; ha offerto la sua stessa carne al Verbo eterno perché prendesse for-ma umana in lei. E non è forse questo il mi-stero anche della Chiesa? Non è essa il cor-po di Cristo che si edifica attraverso la vita

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di sempre nuovi membri? E come la Chiesa può vivere la sua maternità spirituale se non imparando da Maria? Per questo desidero richiamare i due brani dell’annun-ciazione e della visitazione Lc 1,26-39 e Lc 1,29-55.

39. Il racconto dell’annunciazione Il racconto dell’annunciazione è il rac-conto di come il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Tutto, naturalmente, ha origine nella volontà creati-va, gratuita, immotivata di Dio stesso. È Dio che manda il suo messaggero, l’angelo Ga-briele, a portare la sua parola – il suo Verbo – a Maria. Questo primato della grazia deve essere ricordato sempre: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te.” Sono le parole dell’angelo a Maria ma le possiamo leggere anche come parole di Dio alla Chiesa. Dav-vero la Chiesa è bella, non per i nostri meriti, ma per la grazia incorruttibile di Dio. Di fron-te al turbamento di Maria che non comprende, l’angelo spiega il disegno di Dio: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chia-mato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre; e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,31-33). Come nota la Bibbia di Gerusalemme “le parole dell’an-gelo si ispirano a vari passi messianici dell’A.T.” Proprio così: l’angelo non dice nulla di nuovo; dice a Maria che la parola di Dio, quella annunciata attraverso i secoli dai profeti, si compirà in lei. Dio ha un disegno sul mondo da Lui creato, sulla storia che egli governa. Ebbene, questo disegno è parola negli oracoli dei profeti; questo mede-simo disegno diventerà carne nel seno di Maria. Come ho già ricordato, questo è il senso della missione della Chiesa: che la parola di Dio continui il cammino della sua incarnazione; la Chiesa offre se stessa alla parola di Dio perché la parola assuma ancora forma umana nella storia, nel cosmo. La domanda successiva di Maria riguarda il modo in cui questa incarnazione potrà compiersi e la risposta dell’angelo è chiarissima: non si tratta di fare appello alla potenza di strumenti umani, ma di ricevere nella docili-tà la forza dello Spirito di Dio e diventarne strumento. La verginità di Maria dice la vocazione verginale della Chiesa che non è chiamata a unirsi alle potenze del mondo per diventare forte, ma alla parola di Dio per di-ventare madre. Una volta che la volontà di Dio su di lei è espressa, la risposta di Maria è senza riserve: “Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me secondo la tua parola”: la parola dell’angelo, cioè la parola che Dio

alla crescita della Chiesa bresciana intera; non ci muoviamo nell’ambito del totalmen-te privato.

36. Le missioni popolari Il Codice di Diritto Ca-nonico chiede di indire regolarmente le ‘Missio-ni Popolari’ (can. 770; il codice precedente chie-deva di farle almeno ogni dieci anni; quello attuale recita: “secon-do le disposizioni del vescovo diocesano”). Sono l’occasione per rinnovare l’annuncio del vangelo facendolo giungere a tutte le fa-miglie della parrocchia. Dobbiamo obbedire a questa prescrizione; ma dobbiamo anche trovare il modo perché la Missione sia effica-

ce. Obiettivo imprescindibile è che venga-no raggiunte davvero tutte le persone e a tutte venga trasmesso l’invito a conoscere meglio Gesù Cristo e il vangelo. Per que-sto è necessario che tutta la parrocchia si mobiliti; che i missionari che vengono da fuori possano contare sulla collaborazione dei praticanti; che la responsabilità per la Missione sia sentita e vissuta da tutti. Cer-cheremo per questo di raccogliere i dati sui diversi modi d’impostare le Missioni per offrire suggerimenti precisi. Non siamo in grado di imporre un unico schema a tutti, ma possiamo fare buon uso delle esperien-ze fatte per non ripetere errori e sfruttare invece quelle strade che si sono dimostrate utili.

37. Il ministero dei lettori Nella disciplina della Chiesa esiste un ministero istituito che si lega proprio alla parola di Dio; è il ministero del lettore. Desidero che anche la nostra Chiesa formi e istituisca dei lettori permanenti, che faccia-no della parola di Dio il centro vitale della loro formazione e l’ambito preciso del loro servizio. Mi sembra che il cammino verso questa meta debba partire dal ministero di fatto. Ci sono di fatto alcune persone, nelle comunità parrocchiali, che vivono un’atten-zione particolare alla Bibbia e compiono un servizio riconosciuto; penso ad alcuni cate-chisti, a persone che annunciano la parola nella Messa, agli animatori di gruppi del vangelo. Tutte queste persone possono fare

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le ha comunicato attraverso l’angelo (Lc 1,38). In questo atteggia-mento Maria è il modello perfetto della Chiesa, donna dell’ascolto che accoglie la parola e le offre la sua stessa vita perché la parola giunga a portare frutto in lei. Tutte le domeniche, quando la comuni-tà cristiana si raccoglie per la celebrazione dell’eucaristia, avviene esattamente questo: il Signore parla alla sua comunità, la comunità ascolta, riconosce la parola di Dio (“Gloria a Te, Signore!”), cerca di comprenderla nel modo più pieno e si mette a disposizione della parola perché essa, la parola, prenda carne in lei e operi nella sto-ria.

40. Il racconto della visitazione Al racconto dell’annunciazione segue immediatamente quel-lo della visitazione, anche questo un racconto straordinario e illumi-nante. Maria va a visitare la sua parente Elisabetta, anch’essa in-cinta nonostante la sterilità e l’età avanzata. Di per sé, si tratta di un episodio marginale che si colloca nella semplicità del quotidiano. E invece no. Maria entra in casa di Zaccaria, saluta Elisabetta e nien-te è più come prima. Il bambino di Elisabetta sussulta nel suo seno. Diventerà un profeta, quel bambino, Giovanni Battista; ma già ora, prima ancora di nascere, è profeta, anzi è il più grande dei profeti perché ha il dono di poter riconoscere il Messia che viene a salvare il suo popolo. Di fatto quel sussulto non è un semplice movimento del feto nel seno della madre; è un salto di gioia che esprime lo stu-pore perché le promesse dei profeti si compiono. È Elisabetta stes-sa che interpreta le cose in questo modo: all’udire la voce di Maria, infatti, Elisabetta “fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo… Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi il bam-bino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,41-45). Perché tutto questo sconvolgimento? Naturalmente perché Maria è incinta del Messia e dovunque essa vada porta la benedizione che il Messia rappresenta. Anche qui: si può dire meglio il senso della storia della Chiesa nel mondo? Portare la gioia della salvezza che viene da Dio; ma questa gioia può essere portata solo perché la parola di Dio è stata ascoltata, capita, concepita nella fede e nell’obbedienza. Potremmo allora dire che tutto il senso del nostro program-

ma pastorale è rendere la Chiesa bresciana sempre più mariana, sempre più simile a Maria. Proprio per andare verso questo tra-guardo dobbiamo diventare ascoltatori della parola; dobbiamo ‘concepirla’ accogliendola nella fede; dobbiamo portarla nel mondo at-traverso un’esistenza rinnovata e modificata dall’incontro con la parola. Il Signore ci doni di percorrere con decisione e con gioia que-sta strada

Brescia, 4 luglio 2008Solennità della Dedicazione della Catte-drale

+ Luciano MonariVescovo

dei cammini di approfondimento della Bibbia nei corsi per catechi-sti, nell’Istituto Superiore Scienze Religiose, in corsi biblici offerti in diocesi e fuori diocesi. Quando la comunità riconosce in loro il dono del servizio alla parola, quando si riconoscono le qualità spirituali e umane che sono necessarie per un ministero, quando si vede che il modo di operare edifica la co-munità (e non la divide), allora la comunità insieme col parroco può chiedere che una persona venga istituita lettore permanente. Sarà necessaria una breve preparazio-ne per cogliere il valore del mini-stero, comprenderne gli impegni, gustarne la forza spirituale; poi l’istituzione potrà essere fatta. Insomma, desidero che l’istituzione al ministero sia pre-ceduta (e motivata) da un lungo periodo di servizio nel quale il ministero sia esercitato di fatto; che la comunità riconosca il dono del Signore senza perplessità; che ne senta il bisogno e ne faccia ri-chiesta al Vescovo. Quello che l’istituzione aggiunge al mini-stero di fatto è il riconoscimento ecclesiale e quindi il mandato a svolgere il ministero della paro-la. Naturalmente il ministero del lettorato non è un sacramento, ma si può dire che entra nella logica sacramentale che regge tutta l’esi-stenza della Chiesa.

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“Ciascuno nella sua unicità e irripe-tibilità, con il suo essere e il suo agire, si pone al servizio della crescita della comunione ecclesiale come peraltro singolarmente riceve e fa sua la comu-ne ricchezza di tutta la Chiesa”. (Christifideles laici, n. 28)

Se guardiamo l’acqua di un grande fiume poco prima che si getti nel mare la troveremo in-quinata dagli scarichi, dai rifiuti e dai detriti che ha raccolto durante il suo percorso. Ma quell’ acqua all’inizio del suo cammino non era così: appena sgorgata dalla sorgente appariva pura e cristalli-na, pronta a soddisfare la sete del viandante che si chinava su di essa attratto dalla sua trasparenza e dalla sua freschezza. Risalire il percorso tortuoso dei fiumi fino alla sorgente per riscoprire la limpidezza delle sue acque è una immagine che vogliamo proporre per simboleggiare la riscoperta delle prime comunità cristiane appena “sgorgate dalla sorgente che è Cri-sto”. Sono lontane da noi duemila anni - un perio-do lunghissimo, che ha trasformato e sconvolto il mondo tante e tante volte - ma riferirci al loro en-tusiasmo nel vivere la fede, al loro stile di vita, al loro coraggio nel testimoniare l’adesione a Cristo

ci può aiutare a riflettere sul perché chi le vedeva esclamava “guardate come si amano!” e a prende-re spunto da queste prime comunità cristiane per ridare nuovo vigore e nuovo slancio alle nostre comunità. Ci è di aiuto il libro degli Atti degli Apostoli, che riporta fatti e testimonianze dei primi decenni della storia della Chiesa.

TOGLIAMO UN EQUIVOCO

Quando si parla di “CHIESA” molti pensano subito al Papa, ai vescovi,ai sa-cerdoti, al Vaticano e via dicendo. Pensano cioè a qualche cosa che sta “al di fuori”, che non riguarda direttamente la propria esperienza di vita, “qualcosa d’al-tro” . La “CHIESA”, invece, è l’insieme di tutti i battezzati - dal Papa fino all’ultimo bambino che ha ricevuto il Battesimo - che, uniti nel vincolo della Trinità, costituisco-no una comunità di fede, di speranza e di carità. Come dice il Concilio: “Tutti figli di Dio, tutti fratelli, tutti membri della stes-sa famiglia, tutti chiamati alla pienezza del Regno”. La “Chiesa” quindi è una realtà che mi riguarda direttamente, perché “ANCHE IO, COME BATTEZZATO, SONO CHIESA”, sono una cellula di questo organismo, o, per dirla con le parole di S.Pietro “una pietra vivente di questo edificio spiritua-le”. E’ questo il vero significato della pa-rola “CHIESA” ed è in questo senso che lo utilizzeremo in queste pagine che voglio-no aiutarci a riflettere su questa forma di “CHIESA” che per noi è piu’ “a portata di mano”: la PARROCCHIA.

Parrocchiala Chiesa

tra le nostre case

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GLI ATTI DEGLI APOSTOLI Nella Bibbia, subito dopo i quattro Vangeli, troviamo il Libro degli Atti degli Apostoli, opera dell’evangelista Luca. Questo libro traccia il nascere e il diffondersi delle prime comunità cristiane e può essere diviso in due grandi parti: la prima sezione (capitoli 1-15), partendo dalla Pentecoste, riporta la prima predicazìone di Pietro, la vita della comunità cristiana di Gerusalemme, quindi il diffondersi dell’annuncio del vangelo in Giudea e Samaria. La seconda parte degli Atti degli Apostoli (capitoli 16-28) ha come protagonista Paolo, il persecutore convertito, con i suoi tre viaggi missionari che lo portano a fondare comunità cristiane in tutto il bacino

LA PRIMA COMUNITA CRISTIANA Dl GERUSALEMME C ‘è un avvenimento che fa da “cerniera” tra i Vangeli e gli Atti degli Apostoli: è il racconto dell’Ascen-sione che l’evangelista Luca pone come conclusione del suo Vangelo e come apertura degli Atti. Gesù che torna nella gloria del Padre raccomanda agli Apostoli di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere in questa città - che aveva visto il dramma della passione e morte di Gesù, ma che era stata anche teatro di molte apparizioni del risorto - il dono dello Spirito Santo. Il giorno di Pentecoste, festa ebraica che cadeva sette settimane dopo la Pasqua, sugli Apostoli riuniti con Maria e alcuni discepoli in un unico luogo, si realizza ciò che Gesù aveva promesso: lo Spiri-to Santo scende sui presenti, manifestandosi anche con segni visibili esteriormente quali il rumore di un vento impetuoso e lingue di fuoco che si posano su di loro. Ma questi segni esteriori sono solo un simbolo della forza in-teriore che investe i discepoli di Gesù, che fino a quel momento erano rimasti nascosti e timorosi, e che li spinge ad uscire allo scoperto pro-prio in un giorno in cui Gerusalemme era invasa dai pellegrini giunti da ogni dove per la grande festa nella quale ricordavano il dono della Legge. In mezzo a quella folla multicolore, Pietro prende la parola affidandosi a quello che lo Spirito Santo gli ispira. La parte centrale del suo discorso è questa: “Quel Gesù di Nazaret, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo dei miracoli, prodigi e segni, come voi ben sapete ... voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte” (At. 2, 22-24). Le parole di Pietro - che interpreta anche nella luce della risur-rezione alcuni brani profetici dell’Antico Testamento - non cadono nell’indifferenza ma scuotono l’animo di tanti ascoltatori, molti dei quali provenienti da nazioni diverse, meravigliati anche dal fatto di comprendere nella propria lingua d’origine quello che Pietro diceva. Ma è soprattutto il cuore del messaggio lanciato dall’Apostolo che commuove e che spinge i pre-senti a dire: “Allora, cosa dobbiamo fare?”. E Pietro: “Pentitevi e ciascu-no di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per ottenere il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo ... “. Allora coloro che accolsero la sua Parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone (At. 2, 37-41). Nasce così la prima comunità cri-stiana di Gerusalemme, che si distingue non solo per la fede in Gesù Cristo, figlio di Dio, ma an-che per un originale stile di vita.

UN CUOR SOLO E UN ANIMA SOLA

In ogni autentica esperienza religiosa è sempre insita una forte carica uto-pica, e cioè la tensione a realizzare una comunità ideale, un luogo in cui nel rapporto fra gli uomini emerga so-prattutto il positivo (l’amore, la pace, la condivisione) e venga invece rimos-so o ridotto alle minime proporzioni il negativo (la conflittualità, le contese, gli odi, i rancori ... ). Questa forte tensione utopica è una delle componenti caratteristiche del ritratto ideale che della primitiva co-munità cristiana di Gerusalemme tracciano gli Atti degli Apostoli. Essere «un cuore solo e un’anima sola» (4,32), avere tutto in comune (4,32), pratica-re la fraternità e la solidarietà (2,45), incentrare la propria vita sull’ascolto della parola e sulla celebrazione euca-ristica (2,42): questo era il program-ma religioso, ma anche economico e “politico” dei primi discepoli del Si-gnore, costruttori di una “città idea-le”, che appariva quasi la traduzio-ne operativa delle grandi parole del Discorso della Montagna. Non è un caso, dunque, che, da allora ad oggi, tutti i grandi movimenti riformatori - dalle prime comunità monastiche agli apostoli medievali della “vita comu-ne”, dai quaccheri alle esperienze co-munitarie del nostro tempo - abbiano guardato allo scenario tracciato dagli Atti degli Apostoli come ad un sicuro punto di riferimento.

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UNA COMUNITA’ FONDATA SU QUATTRO PILASTRI

Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà ed i loro beni e ne distribuivano il prezzo fra tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e, spezzando il pane nelle loro case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto, il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati" (At. 2,42-47). Con questo flash Luca è riuscito a dare ai cristiani di tutti i tempi non solo una descrizione di quella che era la prima comunità cristiana di Gerusalemme, ma un progetto ideale di vita con il quale ogni comunità che segue Cristo, in ogni tempo e in ogni luogo, può confrontarsi.

Ecco come vivevano i primi cristiani dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo nella Pentecoste: una chiesa che si pog-giava su quattro colonne basilari: l’ascolto della Parola di Dio, la frazione del pane (eucaristia), la preghiera e la condivisione dei beni.

ASCOLTAVANO L’lNSEGNAMENTO DEGLl APOSTOLI

I dodici che avevano vissuto per anni fianco a fianco con Gesù, che avevano ascoltato i suoi discorsi, ma anche le sue parole con-fidenziali, che erano stati testimoni dei suoi miracoli, avevano molto da raccontare per far conoscere Gesù, a partire dal Kèrig-ma, cioè dal nucleo essenziale dell’annuncio cristiano: “Quel Gesù che voi avete ucciso appendendolo ad una croce, Dio lo ha risuscitato dai morti”. Ma gli Apostoli cercano anche di interpretare l’Antico Testamen-to alla luce della risurrezione di Gesù: grazie a tale insegnamento la comunità approfondisce il senso di quella parte della Bibbia scritta prima della venuta di Gesù e impara a leggerla “in modo cristiano”, secondo quanto Gesù stesso aveva fatto con i discepoli di Emmaus, come è scritto nel Vangelo di Luca: “O stolti e lenti di cuore nel credere nella Parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare

nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui” (Le 24, 25-27). L’insegnamento apostolico è un’opera paziente e impegnativa che aiuta i primi cristiani, a leggere l’Antico Testamento come prepa-razione a Cristo. Ma la fatica degli apostoli veniva ricompensata dal desiderio della comunità di sentir parlare di Gesù da testimoni autorevoli, che presentano la loro esperienza di sequela sulle orme di Cristo, perché anche altri possano entrare in relazione con lui.

SPEZZAVANO IL PANE NELLE LORO CASE L’ espressione “spezzare il pane” indica chiaramente la cele-brazione dell’eucaristia vissuta nel contesto di un pasto, come Gesù l’aveva voluta istituire durante l’ultima cena con i suoi apostoli. Si tratta di un pasto fraterno che dà ai membri più poveri della comu-nità la possibilità di avere la loro razione quotidiana di cibo e, nello stesso tempo, di prendere parte nella memoria di fede al gesto di

“La radice della fede biblica sta nell’ascolto, attività vitale, ma an-che esigente. Perché ascoltare signi-fica lasciarsi trasformare, a poco a poco, fino a essere condotti su strade spesso diverse da quelle che avrem-mo potuto immaginare chiudendoci in noi stessi. Le vie che Gesù indica sono segnate dalla bellezza, perché bella è la vita di comunione, bello lo scambio dei doni e della miseri-cordia; ma sono vie impegnative. Di qui la tentazione di non aprirgli la porta, di lasciarlo fuori dalla nostra esistenza reale.” (Comunicare il Vangelo in un mon-do che cambia, n. 13)

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PREGAVANO INSIEME l primi cristiani di Gerusalemme partecipavano anche alla pre-ghiera che si faceva nel tempio, luogo di culto ebraico, non esistendo ancora ambienti specifici per la celebrazione cristiana, se non le case private chiamate in seguito “chiese domestiche”. La preghiera è qui presentata come “preghiera di lode”, quindi una preghiera che celebra Dio nei suoi attributi e nei suoi interventi nella storia. La preghiera ritma la giornata e la vita del cristiano, come già quella del pio israelita, che apriva e chiudeva la sua giornata con la preghiera dello Shemà Israel - Ascolta Israele. Comunque, già dall’inizio, la preghiera dei primi cristiani assunse un carattere di originalità, quale la recita dci salmi riletti in chiave cristologica e la preghiera del Padre Nostro, la preghiera caratteristica della prima comunità. Senza poterli precisare, possiamo anche pensare ai numerosi inni ecantici, la cui esi-stenza trova eco nelle raccomandazioni di Paolo: “La Parola di Dio dimori in voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitu-dine salmi, inni e cantici spirituali “ (Col.3,16). La Chiesa ci appare quindi già dai primi passi come una comunità che prega.

CONDIVIDEVANO I LORO BENI I cristiani della comunità di Gerusalemme si sentivano profondamente legati a Cristo mediante lo Spirito e in comunio-ne tra di loro. Da questa intesa profonda nasce una condivisione che interessa anche i beni materiali: “Tenevano ogni cosa in comu-ne; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2, 44-45). Si tratta di un’esperienza di comunione globale che, par-tendo da legami spirituali profondi, interessa anche la vita este-riore, compresi i beni materiali. Non sarebbe comprensibile in logica tale disponibilità, senza una previa condivisione dei beni spirituali. Non si tratta di una forma di “comunismo cristiano”, ma con tutta probabilità Luca, autore degli Atti degli Apostoli, ha preso un’esperienza e l’ha additata, con una presentazione sti-lizzata e leggermente idealizzata, perché potesse diventare un modello attrattivo per molti altri.

“Accoglienza della Parola, frazione del pane, in un clima di preghiera, con la pre senza dell’apostolo, sono il fonda-mento della comunità: di lì sgorga l’unione fraterna dei cuori. La fedeltà a questo cammino di fede, che segna l’esistenza della Chiesa, si manifesta con evidenza e si attua nella cele-brazione eucaristica. Essa di-viene così fonte e culmine del-la vita della Chiesa e sorgente perenne da cui si alimenta la

comunione ... Ci sembra pertanto fondamen-tale ribadire che la comuni-tà cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà le centra-lità della domenica “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia” .

(Eucaristia, comunione e comunità, n. 21)

“La carità evangelica poiché si apre alla persona intera e non soltanto ai suoi bisogni coinvolge la nostra stessa persona ed esige la conversione del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo piena-mente. Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città, nelle proprie leggi. La carità è molto più impegnativa di una beneficenza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un gesto” .(Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 39).

amore di Gesù. Solidarie-tà, fraternità e celebrazione della fede sono fuse insieme nell’unico pasto. Facile allo-ra capire perché il contesto fosse quello della letizia, semplicità di cuore e lode a Dio. Con questo atto, di culto e sociale, la comunità cristia-na si distingue nettamente dalla società giudaica e la

celebrazione dell’ eucaristia diventa da subito una delle sue caratteristi-che peculiari.

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Abbiamo visto quale era lo stile di vita che caratterizzava la prima comunità cristiana di Gerusalemme, guidata dagli Apostoli. Oggi i cristiani vivono l’esperienza concreta di Chie-sa nella Parrocchia, che potrebbe essere definita “Chiesa tra le nostre case”, la fontana del villaggio a cui tutti possono attin-gere, come amava dire Papa Giovanni. Il fatto che la Parrocchia abbracci un determinato ter-ritorio non è solo per un motivo organizzativo: sta a significa-re che Dio salva gli uomini non prescindendo dalle loro storie e dalla loro vita, ma dentro e attraverso tutto questo, in forza della incarnazione del Verbo che “pone la sua tenda in mezzo a noi”. Essere “Chiesa tra le case” significa dare nomi e volti concreti alle “gioie e speranze, tristezze angosce degli uomi-ni d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono (Gaudium et spes, 1) e leggere gli avvenimenti della vita alla luce della fede”.

LUOGO DI COMUNIONE NON STAZIONE

DI SERVIZIO

Molte volte si pensa alla Parrocchia come ad una “stazione di servizio” dove recarsi quando si vuole battezzare un bambino, far ricevere la Prima Comunione o la Cresima ad un ragazzo, celebrare il matrimonio o per dare l’ultimo saluto ad un defunto. E una volta ricevuto ciò che richiesto, ringraziato il parro-co e, magari, fatta la propria of-ferta, si ritorna nel privato senza sentire più la necessità di avere contatti con la comunità parroc-chiale fino alla prossima “cerimo-nia”.

LA PARROCCHIA E’. . . Nonostante i profondi mutamenti sociali che hanno rivoluzionato il rapporto tra persona e territorio, anche recen-temente i vescovi nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” sottolineano la necessità di “recuperare la centralità della Parrocchia”. Che ha questi elementi qualificanti • comunità: cioè pluralità di persone impegnate a vivere la comunione in Cristo, con la rete di rapporti in-terpersonali, con la trama di relazioni che diventano segno e strumento delle relazioni trinitarie; • di fedeli: di persone, cioè, che nella fede, nella speranza e nell’amore, vivono della Parola, dell’Eucaristia, della Testimonianza evangelica; • con un pastore: una guida cioè, che al servizio della comunione, della corresponsabilità e che garantisce il legame sacramentale con l’apostolo nella vivente tradizione della Chiesa; • in un territorio: di cui deve assumere i problemi e le responsabilità e nel quale deve diventare “segno e strumento di comunione per tutti coloro che credono nei veri valori dell’uomo”. La parrocchia, è così il punto ordinario di riferimento per la vita cristiana: è esperienza ecclesiale primaria.

LA PARROCCHIA OGGI Occorre ribaltare questo modo di pensare la Par-rocchia che, prima di essere “una agenzia specializzata nell’ offrire servizi religiosi” è una comunità di persone unite dalIa stessa fede, sorrette dalla stessa speranza, impegnate nella stessa testimonianza di carità. Una co-munità alla quale non solo ricorrere “per ricevere” ma alla quale “portare” il nostro contributo fattivo. Nessuno, infatti, può dire di non avere nulla da dare per rendere più attiva e vitale la comunità parroc-chiale: S. Paolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto scriveva che lo Spirito Santo ha dato a ciascuno un ca-risma, un dono, particolare per l’utilità di tutta la co-munità. È compito di ogni battezzato scoprire il dono o i doni che lo Spirito Santo gli ha affidato e metterli a frutto per l’utilità di tutta la comunità parrocchiale Oggi soprattutto nelle grandi parrocchie, l’im-pegno personale a vivere la fede e a testimoniarla, può essere sorretto dalla formazione di piccole comunità “a misura d’uomo” (comunità di base - centri di ascolto). I vescovi italiani in un recente documento sulla parrocchia rivolgono questo appello soprattutto agli adulti e alle famiglie, che condividendo i valori del cristianesimo si impegnano a costruire una comunità locale sulla base di questi valori, come sperimentò la prima comunità di Gerusalemme. Per questo nella parrocchia di oggi i sacerdoti, diaconi, religiosi e laici devono sentirsi uniti nello spirito di co-munione e di corresponsabilità, per realizzare la mis-sione propria della parrocchia: “comunicare e far cre-scere la fede nella storia ... e di essere porta di accesso al Vangelo per tutti” (“Il volto missionario delle parrocchie” n. 4).

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La Parrocchia, quindi,è la Chiesa che si rende presente in un terri-torio, che vive tra le case, i luoghi di lavoro e di incontro della gente. È qui che viviamo concretamente la nostra fede in Cristo, anche se con vocazioni diverse .

I Laici. Chi crede in Gesù Cristo ed è battezzato, fa parte della Chiesa, popolo di Dio: è un “laico”. Questa parola deriva dal termine greco “laòs”, che vuoi dire popolo, ed esprime l’appartenenza al nuovo popolo di Dio che è la Chiesa. l laici: « La missionarietà della parroc-chia esige che gli spazi della pastorale si aprano anche a nuove figure ministeriali, riconoscendo compiti di responsabilità a tutte le forme di vita cristiana e a tutti i carismi che lo Spirito suscita. Figure nuove al

servizio della parrocchia missionaria stanno nascendo e dovranno diffondersi: nell ‘ambito catechistico e in quel-lo liturgico, nell ‘animazione caritativa e nella pastorale familiare, ecc. Non si tratta di fare supplenza ai ministeri ordinati, ma di promuovere la molteplicità dei doni che il Signore offre e la varietà dei servizi di cui la Chiesa ha bisogno. Una comunità con pochi ministeri non può essere attenta a situazioni tanto diverse e complesse. Solo con un laicato corresponsabile, la comunità può diventare effettivamente missionaria» (CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia 12). l religiosi: «Una parrocchia che valorizza i doni del Signore per l’evangelizzazione, non può dimenticare la vita consacrata e il suo ruolo nella testimonianza del Vangelo. Non si tratta di chiedere ai consacrati cose da fare, ma piut-tosto che essi siano ciò che il carisma di ciascun istituto rap-presenta per la Chiesa, con il richiamo alla radice della carità espresso mediante i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Questa forma di vita non si chiude in se stessa,’ ma si apre alla comunicazione con i fratelli. Ogni parrocchia dia spazio alle varie forme di vita consacrata. accogliendo in particolare il dono di cammini di preghiera e di ser-vizio. Ne valorizzi le diverse forme, riconosca la dedizione di tante donne consacrate, che nella catechesi o nella carità hanno costruito un tessuto di relazioni che continua a fare della parrocchia una comunità» (CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia 12). I Presbiteri.: «I sacerdoti dovranno vedersi sempre più all’interno di un presbiterio e dentro una sinfo-nia di ministeri e di iniziative: nella parrocchia, nella diocesi e nelle sue articolazioni. Il parroco sarà meno l’uo-mo del fare e dell ‘intervento diretto e più l’uomo della comunione; e perciò avrà cura di promuovere vocazioni, ministeri e carismi. La sua passione sarà far passare i carismi dalla collaborazione alla corresponsabilità, da figure che danno una mano a presenze che pensano insieme e camminano dentro un comune progetto pastorale. Il suo specifico ministero di guida della comunità parrocchiale va esercitato tessendo la trama delle missioni e dei servi-zi: non è possibile essere parrocchia missionaria da soli»(CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia 12). • II Vescovo. Maestro, sacerdote e pastore responsabile, originario della vita ecclesiale, segno e ministro della crescita nella comunità e nell’unità di una Chiesa particolare, in comunione piena col Romano Pontefice (cfr. LG 18-27).

“Vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi e reli-giose, e laici, tutti insieme, ma ciascuno nel-la specificità della propria testimonianza e del proprio servizio, sono responsabili della crescita della comunione e della missione della Chiesa”. (Comunione e Comunità, n. 66)

NELLA PARROCCHIA IL PARROCO

NON PIÙ DA SOLO Il Consiglio Pastorale Parrocchiale, espressione della effettiva correspon-sabilità di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa, sotto la presi-denza del Parroco, studia, progetta e verifica le attività pastorali della Parrocchia, tenendo presente la co-munione con la zona e la diocesi.

UNO SGUARDO AL DI LÀ DEL PROPRIO CAMPANILE “Per mantenere il carattere popolare della Chiesa in Italia, la rete capillare delle parrocchie costituisce una risorsa importante, decisiva ... Ma ora occorre partire dal radicamento locale per aprirsi ad una visione più ampia ... è finito, infatti, il tempo della parrocchia autosufficiente. In molte diocesi si cerca di mettere le parrocchie “in rete” in uno slancio pa-storale d’insieme ... A questo mirano pure i progetti di “unità pastorale”, con cui si vuole non solo rispondere al problema della sempre più evidente diminuzione del clero, lasciando al sacerdote il compito di guida delle comunità cristiane locali, ma soprattutto superare l’incapacità di tante parrocchie ad attuare da sole la loro proposta pastorale”. (CEI, /I volto missionario delle Parrocchie n1)

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Parrocchia casa e scuola della Parola

"Devo annunziare la buona novella del Regno di Dio" (Le 4,43) dice-va Gesù, "per questo sono stato mandato". E agli Apostoli dava il mandato di andare in tutte le nazioni a predicare la buona novella del Vangelo. Come "la Chiesa nasce dall'azione evangelizzatrice di Gesù e degli Aposto-li" (EN, n. 15) così si tramanda nei secoli grazie all'annuncio della Parola di salvezza.

Oggi, la comunicazione del Vangelo, appare quanto mai importante. I vescovi italiani ne hanno fatto il punto fondamentale del programma della Chiesa italiana per il primo decennio del 2000. E proprio in questi Orientamenti dei Vescovi, si sottolinea la centralità della Parrocchia in fun-zione della trasmissione del Vangelo. La Parrocchia, infatti, è il luogo ordinario e privilegiato di evan-gelizzazione della comunità cristiana; qui, più che altrove, l'evangelizzazione può diventare insegna-mento, educazione ed esperienza di vita. Soprattutto dopo il Concilio le Parrocchie hanno sentito l'urgenza di un impegno più assiduo nel fare conoscere la Parola di Dio attraverso molteplici iniziative e nell'offrire una catechesi che non si limiti ai soli bambini ma che abbracci tutte le varie età della vita. Facendo così proprio il monito di Giovanni Paolo II nella "Catechesi tradendae": "Per essere efficace, la catechesi deve essere permanente, e sarebbe davvero vana se si arrestasse proprio alle soglie dell'età matura". Nelle varie iniziative di catechesi la Parrocchia instaura uno stretto rapporto con le famiglie, non per sostituirsi ad esse per quanto riguarda l'educazione religiosa dei figli, ma per offrire un aiuto speci-fico proprio della comunità ecclesiale. Infatti "la famiglia è l'ambiente educativo e di trasmissione della fede per eccellenza; spetta dunque anzitutto alle famiglie comunicare i primi elementi della fede ai propri figli" (Comunicare il Vangelo ... n. 52). Attraverso testi redatti in tempi lontani, Dio ci rivolge adesso

la sua parola. Ci ricorda le mera-viglie compiute nell’Antico e nel Nuovo Testamento, perché vuole ancora agire nella stessa direzio-ne. Ci ripropone la memoria di Cristo, per ricreare in noi i suoi atteggiamenti e prolungare, in certo modo, la sua incarnazione in virtù dello Spirito. La Parola scuote il nostro torpo-re, risponde alle nostre domande, allarga i nostri orizzonti, ci offre i criteri per interpretare e valutare

i fatti e le situazioni. D’altra parte viene compresa sempre in modo nuovo. È come uno specchio, in cui ciascuno può scegliere la pro-pria immagine e la propria storia. «La Scrittura cresce con chi legge». Il credente, docile all’ascolto, viene assimilato a Cristo nel pensare e nell’agire. (Dal Catechismo CEI per gli adulti)

“La radice della fede biblica sta nell’ascolto, attività vitale, ma anche esigente. Perché ascoltare significa lasciarsi trasformare a poco a poco, fino ad essere condotti su strade spes-so diverse da quelle che avremm po-tuto immaginare chiudendoci in noi stessi”. (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 13).

un incontro che ti cambia

Luca narra nel suo.vangelo che la sera di Pasqua due uomini stanchi e sfiduciati si allontanano da Gerusalemme sulla ·strada di Emmaus . Non hanno voglia di par-lare neanche quando un viandante li affianca e li interroga sul per-ché della tristezza che traspariva sul loro volto, Con poche bat-tute esprimono il loro sconforto nell’aver visto morire su una croce il maestro, Gesù di Nazaret. Anche loro avevano rischiato molto - con i romani non si scherza - a tratte-nersi ancora a Gerusalemme per vedere, avverata la promessa che il maestro “sarebbe risuscitato dai morti”. Ma il terzo giorno” di cuì Gesù aveva parlato stava ormai volgendo al tramonto: loro erano dovuti uscire dal loro nascondi-glio per tornare a riprendere il la-

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Parrocchia casa e scuola

dei Sacramenti Per mezzo dei sacramenti “la Chiesa prima genera i suoi figli alla fede e alla vita nuova, poi ne sostiene la crescita fino alla piena maturità espres-sa dall’Eucarestia” (ECC n. 86). Di norma il cammino di preparazione ai sa-cramenti e la loro ‘ amministrazione avviene all’in-terno della comunità parrocchiale perché è lì che i cristiani viviono la vita di ogni giorno e sperimen-tano la loro fede. In modo particolare è la celebrazione euca-ristica che nutre e plasma la Chiesa, popolo adu-nato “dalla” e “nella” unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per questo la Messa celebrata in Parrocchia, specialmente nel giorno del Signo-re, acquista uno speciale significato perché è un momento in cui il cristiano si trova in comunione con Cristo e con i fratelli con i quali condivide ogni giorno le fatiche e le attese, le gioie e i dolori, le vittorie e le sconfitte. È insieme a loro che offre al Signore - con il pane e il vino - il vissuto di tutta una settimana, pregando Dio di accettare, insieme all’offerta eucaristica, an-che l’offerta della propria vita. Ed a quel poco che portiamo il Signore ri-sponde con generosità, spezzando per noi la Paro-la della Sacra Scrittura che illumina le varie situa-zioni della nostra esistenza e il Pane che diventa forza di grazia per vivere ciò che la Parola ci ha raccomandato. E, infine, il congedo del sacerdote sarà un in-vito a portare nel feriale quello che abbiamo speri-mentato nell’assemblea eucaristica: la presenza di Gesù risorto che dà un senso nuovo alla nostra vita e, insieme ai fratelli nella fede, ci manda nel mon-do a portare il lieto annuncio del vangelo e a dare testimonianza del suo amore.

voro in un villaggio vicino. Il viandante, più che dare una rispo-sta diretta allo sfogo dei due discepoli di Gesù, inizia a richia-mare alla loro men-te brani della Sacra Srittura che parlava-no delle sofferenze e della morte del Cri-sto, ma anche della sua resurrezione.

A quelle parole i due viandanti si sentono ri-nascere nel cuore la speranza e vorrebbero prolungare quel colloquio, magari seduti con lo sconosciuto com-pagno di viaggio attorno a un tavolo di una locanda di Emmaus che avevano ormai raggiunto.“Resta con noi, perché sta calando la sera. Parleremo ancora un po’ insieme , mangeremo qualcosa, ti potrai riposare e domani continuerai il cammino”. L’invito è accolto. Sulla mensa viene deposto un pane e qualcos’altro che le bisacce avevano fino a quel momento costudito. Il misterioso vi andante pren-de quella piccola schiacciata di grano e, dopo aver al-zato gli occhi in alto quasi a cercare un volto conosciu-to, la spezza con un gesto che sembra il culmine di un rito. Lo sguardo dei due discepoli in una frazione di secondo passa dal quel pane che due mani evanescenti depongono sulla tavola al volto del compagno di viag-gio che, nel momento in cui ridiventa loro familiare, si allontana dalla percezione, fino a scomparire del tutto. Ma il contorno di quella faccia, di quelle mani, il tono di quella voce sono stati decodificati dai loro sensi intorpiditi dalla, sfiducia e dallo scoraggiamen-to: “E il Signore!”. “Ma certo. Non ti sei accorto che quando parlava lungo la strada il nostro cuore si apriva alla speranza come quando ascoltavamo i suoi discor-si prima che fosse torturato e ucciso?”. “Torniamo di nuovo a Gerusalemme a raccontare a Pietro, Giacomo, Giovanni e agli altri discepoli che lo abbiamo visto, risorto e vivo!” Ecco cosa dovrebbe essere per noi la Messa della domenica: un incontro atteso per tutta la set-timana durante il quale Gesù, come per i discepoli di Emmaus, ci riscalda il cuore e illumina la nostra mente con la sua Parola, ci dona forza - con il pane benedetto e spezzato - per proseguire con generosi-tà e responsabilità nel cammino della vita, trasfigu-rata e sorretta dalla Sua presenza.

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Parrocchia casa e scuola di carità E necessario subito chiarire che quando parlia-mo di “carità” non intendiamo “elemosina”. Quale sia il senso più vero e profondo della pa-rola carità lo esprimono in maniera inequivocabile i vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e te-stimonianza della carità: “La carità evangelica poiché si apre alla persona intera e non soltanto ai suoi biso-gni coinvolge la nostra stessa persona ed esige la con-versione del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente. Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città, nelle proprie leggi. La carità è molto più impe-gnativa di una beneficenza occasionale: la prima coinvolge e crea legame, la seconda si accontenta di un gesto” (E.T.d.C., n. 39). La Parrocchia deve promuovere ed educare a questo modello di carità evitando di concentrare la sua attenzione solo nel settore dell ‘’’accoglienza dei poveri” e dell”’organizzazione di servizi di ca-rità”. Anche questi aspetti sono importanti ma non devono far dimenticare alla Parrocchia di non rimanere chiusa in se stessa ma di aprirsi anche ai problemi del territorio. 11 compito educativo della Parrocchia sul settore della carità deve essere rivolto soprattutto nella preparazione di laici impegnati che nei servizi pubblici testimonino l’amore cristiano attraverso la competenza, l’onestà, l’attenzione privilegiata alle fasce più deboli. Un ruolo specifico (nella animazione della comunità alla carità) lo svolgano le Caritas Parroc-chiali che non devono essere considerate come “gruppi operativi” ai quali la Parrocchia “delega” ciò

che riguarda l’aspetto caritativo, ma come animatori di tutta la comunità alla carità: portando a conoscenza le situazioni di povertà, suggerendo e promuovendo iniziative di impegno ca-ritativo nelle quali tutta la Parrocchia sia coinvolta; aprendo spazi alla presenza e alla partecipazione dei poveri nelle at-tività della vita parrocchiale; aiutando la comunità, ad essere coscienza critica rispetto alla cultura e alla prassi che troppo spesso emarginano i poveri; individuando le strade attraverso le q uali la carità non si limiti all’ elemosina ma esprima l’ansia di giustizia e diventi impegno sociale.

“Tutti i cristiani, in forza del loro battesimo che li unisce al Verbo diventato uomo per noi e per la nostra salvezza, sono chiamati a farsi prossimi agli uomini e alle donne che vivono situazioni di frontiera: i malati e i sofferenti, i poveri, gli im-migrati, le tante persone che faticano a trovare ragioni per vivere e sono sull’ orlo della disperazione, le famiglie in crisi e in difficoltà materiale e spirituale ... Ai credenti è chiesto di prendere a cuore queste forme, nuove e antiche, di povertà e ad inventare nuove forme di solidarietà e di condivisione: è l’ora di una nuova fantasia della carità”. (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 62)

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LA PARROCCHIA DIVENTA TESTIMONE DELlA CARITÀ-AMORE DI DIO QUANDO:

- ANNUNCIA il Vangelo di Cristo nella sua integrità, consapevole che trasmet-tere la Parola di Dio è il primo e fondarnenta-le atto di carità verso l’uomo (E.T.d.C., n. 1), bisognoso innanzitutto di conoscere la verità sulla vita umana e sul destino dell’uomo. - CELEBRA con gioia la liturgia - in special modo l’Eucarestia domenicale - rico-noscendo un intimo legame tra Sacramenti e vita di carità. Per questo le celebrazioni nelle quali parteci-piamo alla vita di Cristo risorto, che è vita di amore, dovrebbero essere un momento intenso di educazione alla carità. - TESTIMONIA la carità diventando la “casa comune” caratterizzata dall’accoglienza reciproca, dalla valorizzazione di tutti e specialmente delle persone a rischio di emarginazione e di oblio, dall’impegno attivo sui problemi del territorio che creano sofferenze e preoccupazioni nelle famiglie, specialmente in quelle più povere.

Parrocchia casa e scuola della missione

Nella lettera “Nova Millennio Ineunte” Giovanni Paolo Il al termine del Giubileo del 2000 scri-veva: “Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come orizzonte vasto in cui avventurarsi, con-tando sull’aiuto di Cristo ... Ora Cristo, contemplato e amato, ci invita ancora una volta a metterei in cammino: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19). Il mandato missionario ci introduce nel terzo millennio invitandaci allo stesso entu-siasmo che fu proprio dei cristiani della prima ora ... sorretti dalla speranza “che non delude” (Rm 5,5). Il nostro passo, all’inizio del nuovo secolo, deve farsi più spedito nel ripercorrere le strade del mondo. Le vie sulle quali ciascuno di noi, e ciascuna delle nostre Chiese, camminano, sono tante, ma non vi è distanza tra coloro che sono stretti insieme dall’unica comunione che si alimenta alla mensa del Pane eucaristico e della Parola di vita, .. Gesù risorto, che si accompagna a noi sulle strade, lasciandosi riconoscere, come dai discepoli di Emmaus “nello spezzare il pane”, ci trovi vigili e pronti per riconoscere il suo volto e correre dai no-

stri fratelli a portare il grande annuncio: “Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25).

“Una Chiesa che dalla contemplazio-ne del Verbo della vita si apre al desiderio di condividere e comunicare la sua gioia, non leggerà più l’impegno dell’evangelizzazione del mondo come riservato agli “specialisti” (sacerdoti, religiosi ... ) ma lo sentirà proprio di tutta la comunità”. (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 46).

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MINISTERI IN PARROCCHIAPremessa Ogni parrocchia, volto della Chiesa locale sul territorio, è chiamata a concretizzare la propria missione attorno a tre dimensioni fondamentali:1. l’annuncio della Parola di Dio (principalmente attraverso la catechesi),2. la celebrazione dei Sacramenti (principalmente attraverso la liturgia),3. la testimonianza del Vangelo (principalmente mediante le opere di carità). Ogni parrocchia riconosce al suo interno una o più persone che affianca-no il parroco nella cura e nella realizzazione delle tre dimensioni. Sono “opera-tori” pastorali, spesso individuati come membri di specifici “gruppi”. L’operatore pastorale è colui che “fa” (opera) concretamente qualcosa: la lettura della Parola durante la Messa, gli incontri di catechismo ecc. Tutto ciò che ogni giorno consente alla parrocchia di portare avanti la propria attività. Dopo il Concilio Vaticano II la pastorale si arricchisce di una nuova fi-gura: colui che “fa perché altri facciano”, o meglio, “fa per mettere altri nelle condizioni di fare”. È l’animatore pastorale. Sono animatori pastorali coloro che, ad esempio, hanno il compito: di incontrare catechisti e famiglie, più che preparare direttamente i ragazzi alla Cresima; distribuire i testi dei canti e sedere tra i banchi per “trascinare l’assem-blea”, più che cantare tra gli altri membri del coro; aiutare i giovani a realizzare il giornalino parrocchiale, più che realizzare in prima persona interviste o scrivere i pezzi.

La Parrocchia luogo della comunione e della missioneComunione e missione Comunione e missione non si oppongono tra loro. Bib-bia, tradizione, magistero e teologia sono concordi nell’af-fermare che non ci può essere missione se non viene dalla

comunione e che, viceversa, non c’è vera comunione senza un invio destinato ad allargarla e ad appro-fondirla. La prima, fondamentale missione è infatti quella che scaturisce dalla comunione della Trinità di Dio e che trova compimento nell’invio da parte del Padre del Figlio-Verbo e dello Spirito santo. Da essa, la comunione dei credenti in Dio è costituita esattamente in vista di una missione che raggiunga gli estremi confini dello spazio e del tempo. Nati dalla comunione e dalla missione, e inviati a creare comunione, i cristiani sanno da sempre che queste due dimensioni della fede si implicano vicendevol-mente.

1. Qualche punto fermo •La missione dei discepoli del Maestro trova ancora oggi nella parrocchia uno dei suoi luoghi di maturazione e di realizzazione. In ogni caso la parrocchia è il luogo normale del realizzarsi qui e ora della comunione per la maggior parte dei cristiani. Al momento non sembra si possa farne a meno, per quanto da molte parti si parli anche con qualche buona ragione della sua crisi e della necessità di una sua revisione anche radicale. Non si tratta però di non voler rinunciare alla parrocchia solo perché adesso mancherebbe un’alternativa praticabile. Il modo «parrocchia» di vivere la comunione e la mis-sione porta infatti con sé alcuni valori che si dovrebbe avere cura di non smarrire in quanto ne andreb-be della nostra identità cristiana. -La parrocchia, in quanto è di tutti e per tutti, può essere il luogo di una vera corresponsabilità pastorale, dove vocazioni, carismi e ministeri diversi cooperano per la cura della fede e dunque della comunione e della missione. -La parrocchia può essere il luogo di un’azione pastorale che, per essere espressione di attenzio-

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ne e di apertura a tutti, deve sempre più divenire missionaria. La chiesa ravvisa, dunque, il suo compi-to fondamentale nel far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. La missione della chiesa è finalizzata a mettere in evidenza e a porre in atto il legame intrinseco e costitutivo che c’è tra il mistero di Gesù e il destino di ogni uomo. La chiesa è a servizio di Cristo e di tutti gli uomini “predestinati dal Padre ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, così che egli sia il primogenito tra molti fratelli”. •La parrocchia come luogo della comunione ha la possibilità, sperimentando con coraggio an-che modi nuovi, di creare una prossimità concreta, che attraversi tutti i momenti e gli stati della vita. Concreta vuol dire personale. Che coinvolga la vita delle persone vuol dire che sia capace di raggiun-gerle nel loro quotidiano per mostrarlo illuminato dalla grazia. Occorre, più radicalmente, suscitare e coltivare uno sguardo di passione per ciò che la realtà «altra» suggerisce. La comunità cristiana è chiamata ad «andare verso», ma anche a lasciarsi interpellare, provocare, e perfino criticare dal mondo e dalle sue molteplici espressioni. La realtà «diversa, altra, altrove» non è solo da raggiungere, ma ci raggiunge con le sue regole, esigenze, peculiarità. La comunità cristiana è dunque chiamata a creati-vità non solo quando è in crisi, ma perché ha un interlocutore «fuori di sé» che non è soltanto ostile o estraneo bensì anche affascinante, nuovo, dinamico.

2- L’annuncio del vangelo Nella missione della chiesa sempre resterà centrale l’annuncio del vangelo. Perché sia chiaro che la chiesa non annuncia se stessa, e neppure una verità a tutti e comunque disponibile e già nota per altre vie, anche senza che si conosca il Signore Gesù. Perciò l’annuncio della buona notizia e la proclamazione della Parola, insieme alla fede nella sua intrinseca efficacia, costituiscono il cuore della comunione e della missione. Tuttavia molteplici sono i modi di questo annuncio, ed esso è sempre ac-compagnato dalla testimonianza: «testimonianza» può essere un altro nome della missione. •C’è l’annuncio dell’apostolo, fatto di predicazione e di istruzione, di cura della comunità nascente e di celebrazione dei sacramenti. Esso richiede spesso un mettersi in movimento, ma il movimento della missione è fatto di mandato, partenza, annuncio e insieme anche di ritorno alla comunità inviante, con-vocazione dei fratelli e racconto delle «meraviglie che Dio ha compiuto» attraverso il missionario. •C’è l’annuncio, fatto soprattutto di testimonianza nelle condizioni di prossimità della vita quotidiana, che avviene ad opera di discepoli comuni, anonimi, e perfino disagiati. Spinti da una necessità, ne han-no approfittato, e al suo sopraggiungere Barnaba trova una comunità già costituita! •C’è l’annuncio costituito dal fatto che la comunità semplicemente esiste, ed esiste come comunità di fratelli che si amano come Gesù ha amato noi.

3- La fraternità «Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1 Gv 4,19-21). L’amore di Dio rende possibile amare. Presi per misericordia nella comunione di Dio, l’amore diventa lo stile del cristiano. Il suo nome è fraternità, e il suo verbo servire. Il valore della fraternità, non solo come frutto dell’evangelizzazione ma soprattutto come evangelizzazione essa stessa, va riscoper-to, approfondito e custodito con somma cura. In un mondo segnato dalla violenza e dalla divisione, la fraternità rappresenta un miracolo che in se stesso è una formidabile «buona notizia».

La fraternità, vista la sua decisiva importanza in ordine al vivere la chiesa e la sua missione, dovrebbe diventare un criterio fondamentale anche per la verifica dell’attività pa-storale nella comunità. Di fronte alla progettazione, all’attuazione e alla verifica di un’attività ci si dovrebbe chiedere se e quanto essa potrebbe contribuire o ha di fatto contribuito ad aumentare la fraternità.

3- I poveri Un test assai significativo per la reale capacità di universalità della fraternità cristiana e che sempre il cristianesimo ha tenuto in gran con-to dai suoi inizi fino a oggi, è quello costituto dall’attenzione ai poveri, alle ‘vecchie e nuove povertà’. Que-

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ministeri in parrocchia - ministeri in parrocchia - ministeri in parrocchia - ministeri in parrocchia - ministeri in parrocchia - ministeri in parrocchia - ministeri in parrocchia - ministeri in parroc-sto vuol dire: •attraversare uno dei confini più profondi che separano gli esseri umani tra loro; •stabilire una solidarietà capace di relazionarsi all’altro nei suoi bisogni elementari e fondamentali. Questo permette la condivisione, che deri-va dal riconoscere che siamo tutti ‘creature’, e ci fa sperimentare la vera «umiltà», che consiste nel riconoscere come la condizione umana sia fatta di terra (humus, appunto) pur essendo abitata dallo Spirito della vita; •raggiungere davvero tutti. Se si arriva agli ultimi si pongono infatti le premesse per poter arrivare a chiunque; •porre un segno credibile dell’alleanza che Dio vuole stabilire con tutti i suoi figli, superando le esclusioni che gli uomini continuano a mettere al mondo a causa del loro peccato. 4- Parrocchia e missione ad gentes Potremmo a questo punto mettere in relazione l’immagine per molti aspetti ideale tratteggiata fin qui con la nostra reale esperienza di vita par-rocchiale. Individuati elementi critici e risorse disponibili, chiariti obiet-tivi e priorità, potremmo interrogare i nostri missionari per vedere quali analogie vi siano con il vissuto delle parrocchie in altre parti del mondo

ed eventualmente quali suggerimenti possano venire per noi dalla loro esperienza, alla luce dell’indi-cazione offertaci dai vescovi italiani nelle indicazioni pastorali per i primi dieci anni del terzo millennio e che parla della missione - e specificamente della missio ad gentes - come del «paradigma per eccel-lenza» dell’impegno pastorale.In un brano evangelico, precisamente Luca 24, 47, si dice: “... e nel Suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione ed il perdono, cominciando da Gerusalemme...”. Dunque se il Cristo fosse vissuto tra noi avrebbe certamente detto “cominciando da Lodi”. Ecco perciò che il nostro pieno coinvolgi-mento nell’annuncio deve essere fatto a partire dalla comunità parrocchiale nella quale siamo inseriti: “la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie...... nessun credente in Cristo può sottrarsi a questo dovere supremo.” (Redemptoris Missio, 2) Dobbiamo riscoprire la missione a partire dalla nostra parrocchia, riscoprendo e ridisegnando completamente la nostra essenza e la nostra imma-gine di cristiani, l’essenza e l’immagine della nostra comunità cristiana tutta.Essere comunità missionaria significa infatti essere solidali, amici, entrare in un dialogo di vita, condi-videre gioie e sofferenze con tutti: operaio ed impiegato del nostro quartiere o contadino delle nostre campagne, donna africana, bambino indiano o favelado latino-americano, giovane, anziano, malato, disoccupato, affamato, oppresso, prigioniero, drogato, prostituta. Essere comunità missionaria significa vivere un impegno generoso per la giustizia, la libertà e la dignità di ogni persona umana, impegno radicalmente evangelico. Significa fare la opzione prefe-renziale per i poveri vicini e lontani. Significa e implica che la vita e il destino degli altri ci debbano essere tanto preziosi quanto i nostri, e che la solidarietà deve andare ben al di là dei vincoli di sangue o di amicizia. Essere comunità missionaria significa che nessuno può chiudersi nel proprio orticello dicendo: “ho la mia famiglia, mi sono già impegnato per l’educazione cristiana dei miei figli, non ho fatto abba-stanza?”. No, non si è fatto mai abbastanza, anzi si corre il rischio di invecchiare e di fossilizzarsi senza nemmeno accorgersene: “la Chiesa particolare diminuisce il proprio slancio vitale quando si concentra unicamente sui propri problemi, mentre riprende vigore tutte le volte che essa allarga i propri orizzon-ti verso gli altri” (Postquam Apostoli, 14).

E IL GRUPPO MISSIONARIO? Se ciò vale per la comunità parrocchiale, a maggior ragione que-sto vale per il Gruppo Missionario o Commissione Missionaria Parroc-chiale. Il Santo Padre, a conclusione del Convegno di Palermo nel 1995, lanciava un richiamo che era anche un grido: “Non è più il tempo della conservazione questo, è il tempo della missione!”. Un’esigenza fonda-mentale sembra infatti imporsi, oggi: il gruppo missionario non può più essere un “discorso a parte”, riservato ad un’élite di persone, gli “esper-ti” di missione, ma deve “sciogliersi” all’interno della nostra comunità per esserne fermento. Vogliamo dire che è necessario che i componenti del gruppo missionario partecipino sempre più alla vita della comunità e si mettano al servizio di essa per animarla dall’interno, preoccupan-dosi non solo di fare una attività missionaria, ma anche di far diventare missionaria tutta la pastorale e tutta la comunità.Il gruppo missionario è il luogo e lo strumento della animazione mis-sionaria della comunità.

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Caritas parrocchiali

La Caritas parrocchiale La Caritas parrocchiale è un gruppo di persone che aiuta il parroco sul piano dell’animazione alla testi-monianza della carità più che su quello operativo di servizio ai poveri. Questo non significa che i membri di una Caritas parrocchiale non possano visitare i malati o prestare volontariato al Centro di Ascolto. Vuol dire piuttosto che i loro compiti prevalenti non risiedono tanto nel servizio diretto quanto nel:conoscere le povertà del territorio a cui la parrocchia appartiene; farle conoscere alla comunità, sensibilizzando altre persone attraverso occasioni di incontro; coordinare l’attività degli eventuali gruppi caritativi presenti in parrocchia promuovendo il lavoro unitario e la comunicazione tra le diverse realtà e l’intera comunità; richiamare l’attenzione su povertà “scoperte” sensibilizzando alla gratuità e al servizio; collaborare con altri soggetti del territorio (il comune, la Asl, le associazioni di volontariato, le scuole, …); valorizzare le esperienze di animazione e solidarietà presenti in parrocchia; realizzare momenti formativi sulla testimonianza della carità e su aspetti specifici del servizio ai poveri e dell’ani-mazione della comunità.

Tutto ciò fa della Caritas parrocchiale l’organismo pastorale istituito per animare la comunità, con l’obiettivo di aiutarla a vivere la testimonianza non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa.La Caritas parrocchiale è presieduta dal parroco e agisce in stretto riferimento al Consiglio pa-storale parrocchiale, ai cui lavori partecipa con almeno un animatore (in genere il responsabile individuato dal parroco).

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La Caritas parrocchiale Non una cosa in più da fare, ma una fedeltà alla missione di sempre, attraverso uno stru-mento pastorale comunitario di carattere educativo e promozionale. La Caritas parrocchiale non è un gruppo a sé, né un’associazione, né un movimento, ma è l’organismo pastorale che ha l’obiettivo di animare, coordinare e promuovere la testimonianza della carità, con particolare attenzione all’aspetto educativo.

LA PARROCCHIA Il termine parrocchia (paràoikìa) significa letteralmente “casa ac-canto”. Attraverso la parrocchia ogni cristiano si sente Chiesa e diventa corresponsabile. La Chiesa arriva ad ognuno, esprime prossimità ad ogni persona sentendosi debitrice della Parola, del pane dell’Eucaristia, di gesti concreti di carità Ogni parrocchia ha senso per annunciare il Vangelo di sempre e per spezzare l’unico pane eucaristico in quel posto, in quel momento storico, con le attese e i problemi, le fatiche e le speranze, i valori e le contraddizioni di quelle persone.. L’accoglienza è tratto distintivo di ogni comunità: ogni parrocchia deve aiutare chiunque ad essa si rivolga a sentirsi come in casa propria, fa-cendosi porta aperta e luogo di accoglienza e ascolto senza pregiudizi.

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Animatori della culturaLa sollecitudine pastorale nel tempo dei media La comunicazione sociale è una componente essenziale del-la nuova evangelizzazione. È perciò un diritto-dovere della Chiesa adoperarsi affinché la comunicazione sociale sia più autentica, ri-spettosa della verità, attenta alla dignità della persona, nella con-sapevolezza che la comunicazione della fede passa in larga misura anche attraverso di essa. In tutta l’azione della Chiesa è richiesta una maggiore attenzione per un ricorso sapiente e originale ai me-dia, nel quadro di una pastorale organica delle comunicazioni so-ciali. Infatti, per situarsi nel cuore del progresso umano cercando di capirlo ed interpretarlo e per affrontare i problemi della comuni-cazione della fede nella società dominata dai media, non basta affi-nare gli strumenti o affidarsi alle nuove tecnologie; è indispensabile cogliere le sfide culturali lanciate alla società e alla Chiesa dal nuovo orizzonte comunicativo .Servono a poco le iniziative estemporanee ed episodiche. È urgente, piuttosto, sviluppare una proget-tazione pastorale coerente e incisiva.Nell’ottica di una pastorale integrata occorre prevedere un percorso di educazione alla comunicazio-ne, propositiva e critica nei confronti dei media e nello stesso tempo attenta all’evoluzione dei suoi linguaggi. Ogni progetto pastorale deve tener conto dei rapporti tra linguaggio della fede e nuovi lin-

guaggi mediali.Per favorire una piena integrazione della vita parrocchiale con la nuova cultura dei media e promuovere le opportune iniziative, è necessario attivare la figura dell’animatore della cultura e della comunicazione con caratteristiche e competenze adeguate all’impegno che è chiamato ad assumere. La diffusione di questa figura all’interno delle comunità parrocchiali è la condizione per una vera svolta pastorale.Ove possibile, si dovrà costituire un’apposita commissione per lo stu-dio e la programmazione; individuare e promuovere carismi e servizi ministeriali. Cultura e comunicazione, tra loro interdipendenti, spalan-cano nuovi orizzonti all’azione pastorale, chiamando in causa nuovi soggetti. Basta pensare a quale influenza i media esercitano sui modelli di pensiero e di comportamento, per comprendere la necessitàdi speci-fici operatori qualificati. Quanto mai urgente appare quindi individuare nuove figure di ani-matori nell’ambito della cultura e della comunicazione, che affianchino quelle ormai ampiamente riconosciute del catechista, dell’animatore della liturgia e della carità. «In questo campo servono operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze cultura-li, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli»130. La loro azione da un lato dovrà svilupparsi verso chi è già attivamente impegnato nella pastorale, per aiutarlo a meglio inqua-drare il suo operato nel nuovo contesto socio-culturale dominato dai media; dall’altrodovrà aprire nuovi percorsi pastorali, nell’ambito della comunicazione e della cultura, attraverso i quali raggiungere persone e ambiti spesso periferici, se non estranei, alla vita della Chiesa e alla sua missione. L’impegno assunto dalla Chiesa italiana con il progetto culturale orientato in senso cristiano rende ancora più urgente e attuale questo nuovo profilo di animatore. Il progetto culturale non si identifica con la pastorale della cultura. Il suo obiettivo è dare spessore culturale a tutta l’azione pastorale. Non è un settore tra gli altri nella vita della comu-nità, ma un modo nuovo di pensare e realizzare l’azione pastorale. Per questo motivo il progetto culturale non ha tanto bisogno di specialisti della cultura, ma di animatori che nella pastorale ordinaria, intesa in senso ampio, sappiano conferire spessore culturale alle iniziative della comunità ecclesiale.

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RILANCIO INIZIATIVE

sala della comunita’ (cinema) La rinnovata attenzio-ne alla sala della comunità offre nuove occasioni di im-pegno e di coinvolgimento in attività a carattere culturale che possono costituire prezio-si spazi di dialogo e confronto anche con quanti sono meno interessati alla vita ecclesiale.

stampa, arte, centri culturali, musica...

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CATECHESI BATTESIMALE:

un modo “nuovo” per preparare il battesimo“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Matteo 28, 19-20) Le parole del vangelo di Matteo ci ricordano come la Chiesa è stata inviata dal suo Si-gnore Gesù a battezzare tutte le genti, e come il battesimo rappresenti il momento centrale del cammino di ciascun cristiano. Come Chiesa e, dunque, come Parrocchia siamo perciò chiamati a prestare la massima attenzione a questo momento, affinché non si trasformi in una cerimonia familiare, senza nessun coinvolgimento della comunità, che rischia di dimenticare il senso profon-do del gesto che si sta per compiere. Per questo le Parrochie di Botticino dispongono, con l’inizio del nuovo anno, un per-corso di catechesi che aiuti i genitori, ma anche l’intera comunità, a “prepararsi” al battesimo, a riflettere su quanto avviene e a comprendere come il battesimo inizi alla vita cristiana. Un percorso di catechesi che è una forma di nuova evangelizzazione mirata, capillare, che si inserisce nella pastorale ordinaria della parrocchia, che fa parte del progetto pastorale. Il periodo battesimale dei bambini è infatti un tempo privilegiato per rivolgersi alle fa-miglie, sostenendo i genitori in questo periodo di cambiamento e facendo di esso l’occasione per una nuova evangelizzazione. Spesso i genitori che chiedono il battesimo, sanno solo vagamente ciò che chiedono, hanno lasciato spesso la fede ai ricordi dell’infanzia, alcuni non sono nemmeno praticanti, altri vengono da esperienze matrimoniali fallite, altri sono conviventi, coppie per tradi-zione cristiana, ma senza un adeguato cammino; infine coppie che consapevolmente decidono di seguire Gesù.Per tutti sarà l’occasione per annunciare l’amore misericordioso di Dio come Padre che ama e non condanna nessuno.

In concreto il percorso di catechesi sarà costituito da quattro momenti di incontro che precederanno il battesimo, e da alcuni appuntamenti nel periodo successivo alla celebrazione del sacramento. Il primo momento del percorso è l’incontro dei genitori con il Parroco: momento in cui i genitori chiedono il battesimo per il loro figlio e in cui viene presentato il percorso di catechesi. Dopo questo primo incontro la famiglia riceverà la visita di alcuni catechisti della Parrocchia, che accompagneranno i genitori, attraverso la lettura della Parola, a riflettere sul si-

gnificato del sacramento che stanno chiedendo per il loro figli. Il percorso si concluderà poi con un incontro co-munitario, a pochi giorni dalla celebrazione del sacra-mento, con il Parroco, i catechisti e tutti gli altri genitori dei bambini che riceveranno il battesimo. Il percorso di catechesi che vogliamo proporre pre-senta indubbiamente alcune novità rispetto al passato: la presenza di un gruppo di catechisti che affianca il Parroco e la proposta di alcuni incontri “a casa” dei genitori che chiedono il battesimo. Sono due novità im-

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portanti, e non “casuali”, due cambiamenti che vanno nella prospettiva di una “Chiesa che cambia” per essere più vicina ai genitori del nostro tempo.

“I catechisti?” I catechisti sono i collaboratori del parroco e dei pastori che vivono, corresponsabilità pastorali. Non devono essere visti né come sostituti, né come ausiliari, sono persone della comunità che vivono la propria vocazione, che sono chiamati ad essere nella comunità ministri. La presenza dei catechisti permette alla Parrocchia di essere più vicina a tutti i genitori che si stanno preparando al battesimo dei loro figli, di trovare il tempo per “ciascuno”. La presenza dei catechi-sti è un esempio pratico di come la vera comunità ecclesiale è costituita da persone “normali” che portano la loro testimonianza nella vita di tutti i giorni.

“A casa di?”. L’incontro con i catechisti a casa dei genitori potrebbe sembrare un’intrusione nella vita privata di una famiglia, abituati come siamo a immaginare le nostre case come il luogo della “vita privata”, vietato anche ai nostri vicini di casa. Il fatto che l’incontro avvenga fra le mura domestiche è però un modo per dimostrare che è la comunità che si muove, che si fa carico di andare a incontrare, a cercare, chi desidera entrare nella comunità cristiana. I catechisti e le Parrocchie che hanno già sperimentato questo tipo di incontri raccontano che in realtà le famiglie sono sempre molto disponibili ed accoglienti nei confronti dei catechisti e che questi incontri si svolgono in un clima di familiarità e fraternità. Il cammino di preparazione si conclude, ovviamente, con la celebrazione del Battesimo, insieme alla comunità, durante la Celebrazione Eucaristica domenicale.

La celebrazione dei battesimi secondo questa nuova modalità di preparazione sarà durante la Veglia Pasquale del Sabato Santo (11 aprile) e la domenica 19 aprile. Chidesiderabattezzareilpropriofiglioinquestedatedovràcontattarelaparroc-chia già all’inizio di gennaio, per avere il tempo necessario al cammino di preparazio-ne. Dopo il Battesimo, negli anni successivi, i genitori saranno poi accompagnati attraverso in-contri (4 ogni anno) comunitari o attraverso i catechisti nella propria casa.

“da cristiani nella società”incontri di formazione socio-politica

presso sala don tadini - p.za iv novembre botticino sera ore 20,30

mercoledi 21 gennaio (la storia)STORIA DELLA DOTTRINA SOCIALE CRISTIANAdon Mario Benedini , segr.diocesano past. sociale mercoledì 28 gennaio (i principi)

I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA dott. Busi Michele e dott. Roberto Rossini mercoledì 4 febbraio (il futuro) ORIZZONTI NUOVI DELLA DOTTRINA SOCIALE dott. Silvano Corli, sindaco Lumezzane mercoledì 11 febbraio (il nostro futuro)RAPPORTO COMUNITA’ CRISTIANA E POLITICA don Mario Benedini segr.diocesano past. sociale

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Parrocchia S.Maria Assunta - Scuola “don Orione”

Botticino Sera

CORSI PRIMAVERA 2009 continuano i corsi iniziati in autunno: pilates-yoga ginnastica per adulti corso di ballo latino americano verranno introdotti nuovi corsi dal mese di febbraio: cucito base per principianti - fotografia - cucina

Iscrizioni e informazioni presso la segreteria della Scuola “Don Orione” dal lunedì al venerdì ore 9,00 - 11,00 e 14,30 - 17,30 - tel. 0302691141 / 3491345493

Scuola parrocchiale: risorsa per la zona Valverde“...siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”(1Pietro 3,15). L’invito dell’apostolo Pietro evidenzia ancora di più l’urgenza educativa dei nostri giorni inquieti , che unita alla fatica di famiglie oberate da impegni lavorativi, porta a ritenere che la scelta di una scuola di consolidata tra-dizione cattolica, aperta anche alle nuove realtà, possa rappresentare all’interno di una parrocchia una valida risorsa. Al di là di ogni singola opinione, credo che il nostro impegno sia forte, siamo decisamente motivati a continuare quello in cui Don Orione, e penso o qualsiasi cristiano, crede: una scuola capace di creare quel clima di famiglia-rità dove ciascuno stia bene, possa liberamente confrontarsi con i docenti, possa trovare spazi di collaborazione fattiva e, accanto all’attività didattica, ci sia particolare attenzione all’aspetto formativo e umano dei nostri ragazzi. La nostra scuola parrocchiale dunque sta vivendo un periodo di positiva evoluzione; posso infatti con soddisfazione comunicare che i numeri degli iscritti confermano la bontà del nostro progetto: alla primaria il numero degli iscritti che si è più che raddoppiato, abbiamo buone iscrizioni per la scuola media con preiscrizioni fin dalla terza elementare. ( Si fa presente che la maggioranza non proviene da Botticino, ma

dai paesi limitrofi dove la nostra scuola è più apprezzata). Ringraziamo queste famiglie che nonostante tutto, non ultima la crisi economica in atto, continuano ad avere fiducia nel nostro operato e ci affidano con fiducia i loro figli, investendo risorse nell’educazione e for-mazione delle giovani generazioni. Voglio inoltre ringraziare di cuore tutti coloro che con passione, disponi-bilità e professionalità lavorano nella scuola: l’equipe dei docenti, i vo-lontari che che ci aiutano a livello direttivo e amministrativo, in portine-ria, per mantenere pulito l’ambiente e alcuni insegnanti botticinesi che volontariamente danno un validissimo supporto durante il doposcuola. Ringrazio inoltre i genitori che ci sono vicini e collaborano strettamente e proficuamente con la scuola. Accanto agli auguri per le prossime festività, voglio auspicare che sempre più la comunità parrocchiale sia sensibile e presente in questa sua re-altà Domenica Busi, preside

venerdì 19 dicembre

“BABBO NATALE A DIETA”spettacolo divertente

presentato dalla scuola don orione

ore 20,30 presso sala polivalente oratorio botticino sera

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PARROCCHIE DI BOTTICINO

VIVI L’ORATORIO - L’ORATORIO VIVE Nell’ anno pastorale 2008/2009 le tre Parrocchie di Botticino, nel quadro del programma pastorale delle Parrocchie, centrato quest’anno sui Ministeri, avviano un progetto di animazione dei tre Oratori, chiedendo, l’assunzione, da parte di alcuni adolescenti e giovani, del MINISTERO DELL’ANIMATORE.Dopo un anno di formazione (nell’anno2007/2008) si intende attivare queste due inizitive:

1. ORATORIAMOE’ un progetto che ha portato alla formazione di un gruppo misto di animatori delle Tre Parrocchie di Botticino, che operano insieme, a seconda delle loro disponibilità di tempo, nei tre Oratori.L’attività in ogni Oratorio si svolge UNA DOMENICA AL MESE, e prevede giochi a tema, seguendo un progetto annuale.L’attività di animazione viene proposta a tutti i ragazzi di Botticino dai 0 ai 12 anni, invitando gli stessi ragazzi a partecipare ai giochi degli oratori delle altre Parrocchie.Con questo programma 3 domeniche al mese (3 su 4) vede un oratorio animato con giochi, canti e le famiglie possono avere più proposte per i loro figli.Un’altra finalità di Oratoriamo è quella di costituire un gruppo di animatori “continuo” durante l’anno e non solo nei mesi estivi.

2. ACCOGLIENZA,ANIMAZIONI E GIOCHI ORGANIZZATI Questa proposta è indirizzata agli adolescenti (ossia ai ragazzi dalla prima superiore).La finalità principale è quella di coinvolgere alcuni giovani nell’acco-glienza serale dei ragazzi in Oratorio, passando semplicemente del tempo con loro, parlando, giocando, essere presenza positiva e ac-cogliente nel bar.Per riunire i ragazzi dei tre Oratori un sabato ogni tre sono organizzati dei GRANDI GIOCHI SERALI, a tappe nei tre Oratori.

CARNEVALE BOTTICINESE

Carri, maschere e scherzi, sono gli ingredienti necessari per un divertimento assicurato.La gente che aspetta con ansia l’arrivo della festa per trascorrerla con serenità e gioia, co-riandoli a non finire, trasformano le strade in un tappeto multicolore. Come si fa a rinunciare a tutta questa armonia e fantasia che rende i giorni di Carne-vale un sogno? IMPOSSIBILE! E allora… giù a capofitto nel divertimento. Tutti partecipano, dal primo all’ultimo cittadino, ognuno con impegni ed idee diverse ed ognuno con la speranza che il Carnevale possa riuscire alla grande. Ciò sicuramente accadrà poiché quest’anno ci saranno danze, carri e gruppi maschera-ti che rallegreranno e divertiranno la gente. Inoltre quest’anno, i carri, le maschere e gli addobbi carnevaleschi verranno preparati con maggiore impegno e cura e da questo, ne consegue che il Carnevale di Botticino potrà sicu-ramente paragonarsi a quello di Capua e Putignano (o almeno ci proviamo). Nel nostro paese funziona così: Sabato sera inizieranno i festeggiamenti con una festa presso l’oratorio, domenica nel primo pomeriggio la tradizionale sfilata dove ognuno potrà sbizzarrirsi nel travestimento, e alla chiusura della sfilata sempre in oratorio frittelle e chiacchere per tutti. Il Carnevale di Botticino quest’anno sarà speciale e trasformerà il paese in un mondo incantato dove fantasia, divertimento ed allegria saranno gli elementi predominanti. Per tutte le persone che vorranno preparare un gruppo di maschere o, se la voglia e l’impegno lo permetteranno, un carro allegorico sono invitate a farcelo sapere, per voi una grande sfilata.

SABATO 6 DICEMBRE a..a..a..cercasi detectiveLUNEDI’ 22 DICEMBRE

Un modo simpatico per farsi gli auguri…DOMENICA 4-LUNEDì 5 GENNAIO

CiaspolataSABATO 24 GENNAIO

Caccia al tesoroDOMENICA 22 FEBBRAIO

CarnevaleDOMENICA 5 APRILE

GIORNATA DELLA GIOVENTU’SABATO 25 DOMENICA 26 APRILE

uscita

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“Punto famiglia e dintorni”

Percorso di formazione permanente

a cicli per genitori

Percorso di formazione permanen-te per genitori, giovani coppie, papà e mamme di ogni età, singoli genitori che si svolge presso la sede dell’ Associazio-ne Punto Famiglia e Dintorni in Via don Orione, 1 a Botticino. Non è una scuola ma uno spazio per dare valore all’educa-zione ed educare ai valori. La conduzio-ne degli incontri, ispirata ad una visione serena ed incoraggiante dell’educazio-ne, è caratterizzata da una metodologia attiva, che utilizza la riflessione e il con-fronto del gruppo. È previsto un gruppo non superiore a 20 partecipanti. Si è concluso con successo lunedi 24 novembre 2008 il primo ciclo di in-contri formativi, condotti dal dott. Mas-simo Serra, sociologo, della cooperativa il Tornasole.L’iniziativa ha superato le aspettative e le adesioni sono andate oltre i posti a di-sposizione. E’ stato pertanto attivato un secon-do gruppo di genitori partecipanti che concluderà gli incontri lunedì 15 dicem-bre 2008, condotto dalla dott.ssa Nodari Alessandra, psocologa, della cooperati-va il Tornasole.

Chi sono io? Un genitore che cerca di conoscer-si per educare al meglio. E’ partito da qui lo scorso 20 ottobre il Progetto genitori promosso dalla nostra Par-rocchia e dall’Associazione Punto Famiglia e Dintorni. Una partenza assolutamente positiva, tanto che, dato l’alto numero di richieste, si è subito resa necessaria la creazione di un secondo ciclo “parallelo”. Positiva so-prattutto l’intensità della partecipazione, segno che un bisogno del nostro territorio e delle nostre famiglie è stato colto e in parte soddisfatto, questo a detta dei ge-nitori che per 6 lunedì sera consecutivi hanno raggiun-to il Don Orione, sede del corso, e hanno trascorso lì tutta la loro serata, mettendo da parte gli orologi, gli impegni, le corse e la stanchezza della giornata assetati all’inizio di ricette e alla fine di esperienze da portare a casa con sé. Mamme e papà di ogni età (per lo più mamme a dire il vero, ma sono certa che al loro rientro anche i papà siano stati, volenti o no, oggetto di detta-gliati resoconti) al centro di un percorso da fare insieme ad altre persone che si trovano tutte nella stessa condi-zione di genitore imperfetto; genitori fallibili, insom-ma, “accompagnati” dalla sapiente, attenta, sensibile ed efficace conduzione dei formatori della Cooperativa Tornasole, Massimo Serra e Francesca Nodari. La me-todologia attiva con cui si è svolto questo primo ciclo di incontri si basa sul principio che prima sperimento, poi capisco e infine, se voglio, cambio. Chi vi ha parte-cipato (e chi vi scrive è una di quelle mamme) ha così potuto sperimentare e capire – cambiare è un lavoro da fare a casa, e che lavoro! – risorse, emozioni e bisogni di noi genitori, con la consapevolezza che dobbiamo conoscerci per educare, metterci in gioco in prima per-sona. Meritano un plauso in questo percorso non solo i temi proposti dall’Associazione e il metodo attivo utilizza-to dai conduttori, ma anche i partecipanti stessi, che senza pregiudizi e giudizi hanno creato un clima di ascolto sereno e favorevole allo scambio, quanto mai arricchente, di pezzi della propria vita. Come tutti i percorsi, anche questo si svolge a tappe: la prima si è chiusa con successo, per le altre l’appuntamento è per la prossima primavera per approfondire il tema della Vita in coppia, si proseguirà nell’autunno 2009 con le Relazioni familiari, per arrivare alla primavera 2010 al ciclo Prendersi cura dei figli prendendosi cura di sé. Se-guirà poi un biennio di approfondimento su Educare in famiglia. Il progetto, che gode del contributo della Re-gione Lombardia, è impegnativo, nel senso più positi-vo del termine. Sembrano tanti 4 anni, ma ognuno può scegliere a quale ciclo partecipare, inoltre sembravano tante anche 6 serate, eppure sono volate! L’impegno maggiore, quindi, se lo assume la neonata Associazio-ne Punto Famiglia e Dintorni ed è quello di esserci per i prossimi anni e cercare di rispondere ai bisogni delle famiglie, dalla formazione alla spiritualità, dalla am-bito missionario-caritativo a quello psicologico rela-zionale. Che dire…buon lavoro! Roberta Sanzeni

Progetto GENITORI:

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“Punto famiglia e dintorni”

I SAPORI DEL VIVERE IN COPPIA Gli incontri che vi proponiamo hanno l’obiettivo di “cercare insieme” un modo per osservare e conoscere il nostro vivere in coppia, come comunichiamo all’altro i bisogni o i desideri che ci appartengono, come gestiamo il nostro essere diversi o i nostri conflitti… ; la speranza è quella di offrire uno spazio in cui continuare o ri-cominciare a prendersi cura della nostra vita di coppia, dedicarle tempo prezioso e raro… La metafora del cibo e degli ingredienti con cui tracciamo il percorso formativo nasce dalla evidenza che la vita di coppia si gioca in un quotidiano concreto e … da assaporare! Gli appuntamenti sono: lunedì ore 20.30-22.30 in Via don Orione, 1 a Botticino presso la sede dell’ Associazione Punto Famiglia e Dintorni con il seguente calendario :2 febbraio Mescolanze, miscele, creme… Incontrarsi e incontrare, osservarsi e osservare, cre-are mescolanze e alchimie di ingredienti è un’arte quotidiana per vivere in coppia e… so-pravvivere come coppia.9 febbraio In agrodolce…Quale comunicazione efficace in una quotidianità intricata?16 febbraio In pinzimonio…La comunicazione e il conflitto in una quotidianità intima.23 febbraio Il piacere del gusto. Cenare insieme per combinare nel modo migliore gli ingre-dienti a disposizione.2 marzo Il gusto di piacere. Il corpo e il piacere: ritrovare emozioni e prendersi cura della vita di coppia.9 marzo Ricettario. Le nostre radici e i progetti per continuare insieme… Confidiamo nella diffusione dell’informazione alle persone che potrebbero essere interessa-te ad iscriversi. Ricordiamo che per iscriversi è possibile telefonare al cell. 388 3686585 dell’Associazione Punto famiglia e din-torni o rivolgersi il mercoledì dalle ore 14.30 alle ore 16.30 all’Informa Famiglia in Via Don Orione,1. Ringraziamo coloro che hanno contribuito e contribu-iranno alla realizzazione di questo percorso formativo. Associazione Punto Famiglia e Dintorni, Via Don Orione, 1- 25082 Botticino (Brescia), cod. fisc. 98140550173 Cell. 388/3686585 E-mail: [email protected]

L’informa famiglie è un servizio libero e gratuito, aperto settima-nalmente il giorno di mercole-dì dalle ore 14.30 alle ore 16.30 presso il don Orione in Via Don Orione, 1.

Sede:Via Don Orione, 1

25082 Botticino SeraTel. 388/3686585

e-mail [email protected]

Progetto GENITORI: Conoscersi per educare

A febbraio 2009 partirà il secondo ciclo di incontri dedicato al tema:

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persone di Parolai ncont r i per ado lescent i e g iovan i ,

i n par rocch ia , in zona e in diocesi

Le proposte per il 2008 - 2009 sono accompagnate e orientate dalla lettera pastorale del vesco-vo Luciano e dal cammino della Chiesa universale che apre l’anno con il sinodo dei vescovi sulla Parola. Gesù è il Verbo fatto carne per la nostra salvezza.Ci ha amati sino alla fine, per noi è morto e risorto, ci ha liberati dalla morte e dal peccato. Lui ci ha redenti e noi siamo suoi.È Lui ad averci chiamati: alla sua Parola rispondiamo con la nostra vita, nella gioia di sapere che apparteniamo al suo Amore.Uomo di Parola e testimone oltre tutti i confini è san Paolo, di cui ricorre l’anno commemo-rativo.

Sichar diocesi gruppo vocazionale diocesano

aperto alle giovani e ai giovani desiderosi di cercare luceper la propria scelta di vita; aperto a tutte le vocazioni

(vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale...)

così la Parola cresceva (At 19, 20)Incontri presso il Seminario diocesano dalle 9 alle 17

animazione dell’équipe diocesana coordinatada don Alessandro Tuccinardi (030.3722245)

meditazioni del vescovo Lucianoproclamava Gesù Figlio di Dio (At 9,19-31)con i gruppi vocazionali presenti in diocesi

18 gennaio 2009

fu pieno di gioia per aver creduto (At 16,25-40)8 febbraio 2009

in Lui viviamo (At 17,22-34)8 marzo 2009

vi è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,17-37)19 aprile 2009

Pellegrinaggio a Torinoci mettemmo in viaggio (At 21,1-14)

24 maggio 2009

con freschezza e senza impedimento (At 28,16-31)7 giugno 2009

INCONTRI SETTIMANALI IN PARROCCHIA PER ADOLESCENTIBotticino Sera (dai 15 anni ) giovedì 20,30- 21,30 - (14 anni) venerdì 20,30-21,30Botticino Mattina venerdì sera dalle 20,30 alle 21,30San Gallo ogni domenica dalle ore 18,00 alle ore 19,00

incontri spiritualità adolescenti delle tre parrocchie di botticino

presso don orione dalle ore 9 alle 12domenica 18 gennaio domenica 15 febbraio

domenica 8 marzodomenica 16 aprile

domenica 24 maggio

Cammino Adolescenti Parrocchie di Botticino

In collaborazione con il CONSULTORIO DIOCESANO

Sessualità: “Linguaggio di bene e di amore”.

Percorso di educazione alla relazione affettiva e sessua-

le per gruppi di adolescenti

Per ragazzi e ragazze dalla 1 Superioree come vivamente consigliato dal Consul-torio stesso anche per i relativi genitori inizia in gennaio, informazioni presso la segreteria dell’oratorio di Botticino Sera

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giovani di Parola zonaItinerari di spiritualità zonaliConvento Frati Rezzato - ore 20,30

Il ragazzo caduto a terra... (Mc 9,14-27)13 gennaio 2009Il più giovane disse al Padre... (Lc 15,12-32)10 febbraio 2009

diocesi penitenziale per giovani presso il Seminario diocesano4 aprile 2009 - ore 17.30 meditazione di padre Giancarlo Pariscena al sacco, segue veglia delle Palme

Scuola della Parola diocesiper giovani

“gli stessi sentimenti di Cristo”(Fil 2,5)guidata dal vescovo Luciano in Cattedrale

in 5 giovedì di quaresima alle ore 20.30gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,1-11)

26 febbraio 2009la grandezza della carità (1Cor 12,28 - 13,13)

5 marzo 2009il travaglio dell’attesa (Rom 8,14-30)

12 marzo 2009il canto della gratitudine (Col 3,8-17)

19 marzo 2009la forza della vicinanza (2Tim 4,6-18)

2 aprile 2009

dal 29 dicembre 2008 al 2 gennaio 2009 decine di migliaia di giovani

da tutta l’Europa saranno accolti

a Bruxelles

Passare cinque giorni con decine di migliaia di giovani di tutta Europa e non solo……riscoprire la Chiesa come fermento di comunione nella famiglia umana.

Scoprire un popolo e una città attraverso degli incontri personali……preparare un avvenire di pace al di là dei muri che ci separano.

Pregare insieme attraverso il canto e il silenzio……aprirsi alla bellezza di una vita interiore e di una comunione in Dio.

Essere accolti dalle famiglie e dalle parrocchie di Bruxelles e dintorni…cercare un senso alla propria vita e vivere il Vangelo tra le sfide del nostro tempo.

Iniziare un «pellegrinaggio di fiducia»… …nella propria vita

Esercizi Spirituali16-17-18 marzo

con il Vescovo Francesco Beschi

dal 27.12.2008 al 01.01.2009 a CAMALDOLIGiornate di Incontri e Riflessione

per Giovani:“Di ogni albero tu mangerai...”

(Gen 2,16)L’esistenza tra dono e limite nei

racconti della creazione

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10 Agosto2008!!Mocodoene(Mozambico)

ci attende Domenica ore 13, il caldo si fa sentire, ma la voglia di partire è tanta, l’emozione è tangibile; baci e abbracci con mamma e papà, raccomandazioni scontate e via!!!! Si parte con il nostro carico, pesante, questa volta decisamente diverso, niente vestitini, scarpe,

trucchi, ma solo tanti medicinali e cose utili per la missione; da buoni bresciani come si può trascurare un salame, del formaggio e anche una fetta di mortadella per i nostri amici che ci aspettano?! Siamo Silvia e Caterina abitiamo a Botticino e con altri 2 ragazzi di Brescia, abbiamo maturato la scelta di fare un’esperienza estiva di 3 settimane nella missione S.Maria di Mocodoene in Mozambico.Il viaggio è stato lunghissimo 1 giorno di aereo e 9 ore di jeep tra una buca e l’altra e una foresta di alberi da cocco che ci ha accompagnato per tutto il tragitto. Ad attenderci c’è Riccardo, un ragazzo di Roncadelle che per 2 anni vivrà e lavorerà all’interno di questa missione, gestita dai padri Piamartini. Il team Missionario è composto da Padre Tiago Marietti (camuno), 2 semi-naristi Emanuel e Paulo (angolani),fratel Gerardo (brasiliano)e Stefano volontario di Milzano. La missione si trova nello Stato di Inhambane nel sud-est del paese, dista circa 30km dalla città principale ed è collocata sulla vecchia strada che porta alla capiltale, è il centro di riferimento per molte persone, infatti la zona di Mocodoene è composta da 38 comunità sparse nella foresta….la più lontana dista 70 km, da notare che le stra-de non sono come le nostre, anzi spesso sono sentieri, i tempi di percorrenza sono decisamente lenti in quanto l’unico mezzo di trasporto sono le proprie gambe!!! La missione è composta da una scuola primaria e secondaria, dall’asilo, dall’internato che accoglie una set-tantina di ragazzi durante il periodo scolastico e un villaggio dove vivono gli anziani allontanati dalle loro comunità. Tanti sono i cambiamenti che si stanno sviluppando in questo periodo, infatti proprio in questi giorni, sono iniziati i lavori per la realizzazione di tre grandi progetti: La creazione di un centro giovanile, un luogo dove i giovani possono incontrarsi, svolgere attività ed avere un po’ di svago, un centro di aggregazione quindi. Il secondo progetto è la costruzione di pozzi d’acqua da dislocare in zone in cui la raccolta dell’acqua è di difficile realizza-zione. Il problema dell’acqua è sempre di grande attualità anche in questo posto. Spesso ci è capitato di vedere donne in fila indiana con i loro piccoli, ognuno portava sulla testa taniche, bottiglie per trasportare un poco di acqua. Abituati a fare chilometri a piedi di buon mattino per portare l’acqua al proprio villaggio. Acqua,bene così prezioso che apprezzi quando non ce l’hai. Ac-qua così vitale!e così sprecata quando la possiedi senza problema. Il terzo progetto si realizza grazie alla presenza della scuola di agricoltura che è partita quest’anno , l’obiettivo è quello di crea-re un commercio dei prodotti coltivati dai ragazzi che frequentano questa classe, oltre ad insegnare loro un lavoro conoscendo nuove colture. La vendita al mercato di questi prodotti è necessaria come autosostentamento della missione ,anche se naturalmente non basta a coprire le spese!!! Le tre settimane passate con la gente di Mocodoene sono volate, non avevamo un ruolo bene preciso , eravamo come il prezzemolo, dove c’era bisogno noi correvamo, ogni giorno il programma era diverso, solo la sveglia alle 5.20 non cambiava mai!!!!si iniziava la giornata insieme ai ragazzi dell’internato partecipando alla S.messa...ci siamo rimboccati le maniche e improvvisati muratori a spostar mattoni, agricoltori nel raccogliere la verdura, badanti con i nonnini,animatori con i ragazzi e” pagliacci” con i bambini, fisicamente la sera eravamo cotti sia dal sole che dalla stanchezza, ma sempre felici!!!! I bambini nel vederci ci correvano incontro e ci chiamavano, le mamy che lavoravano nei campi si ferma-vano e con un sorriso e un’alzata di mano ci salutavano, i ragazzi oltre a farci proposte bizzarre di matrimonio ci aiutavano nell’animazione con i bambini e nei lavori più pesanti. Abbiamo avuto momenti di incontro con alcuni giovani nostri coetanei, spinti dalla curiosità di conoscere i loro costumi e la loro cultura. Il ruolo della donna in Mozambico è ancora molto legato al ruolo di MADRE, di gran lavoratrice, dipendente dal maschio per quanto riguarda il suo ruolo sociale. Nelle nuove generazioni la voglia di frequentare la scuo-la diventa anche motivo di emancipazione. Spesso ripensiamo al nostro stupore nel vedere le giovanissime madri (14-16 anni), arrivare alla missione con la tanica d’acqua in testa e i loro bimbi aggrappati alla schiena avvolti nella capulana. Queste settimane sono state ricche di emozioni e momenti indimenticabili, non dimenticheremo facilmente i colori del-

la natura, i tramonti, il cielo stellato che ogni sera ci augurava la buona notte, i sorrisi della buona gente che ci ha accompagnato nel nostro viaggio. Non potremo dimenticarci di Padre Tiago che ci ha permesso di poter vivere a pieno quest’esperienza e che con la sua bontà e semplicità ci ha lasciato nel cuore un bellissimo esempio di vita, un grazie a Riccardo che ci ha guidato e aiu-tato nella nostra avventura,ma soprattutto un ricordo speciale a tutto il popolo di Mocodoene.

Caterina Andreoletti e Silvia Bugatti

Caterina e Silvia racconteranno la loro esperienza MERCOLEDI’ 7 GENNAIO alle ore 20,30 presso la Casa delle Suore Operaie a Botticino Sera

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A San Gallo la magia del Natale si rinnova nell ‘intimità del Presepe Con il Natale ormai alle porte e l’aria festante che invade strade e abitazioni, il Gruppo Presepe dell ‘oratorio di San Gallo si prepara ad inaugurare la venti-quattresima edizione del tradizionale presepe. Dopo aver “tenuto le mani in pasta” per oltre due mesi, gli artefici della riproduzione della rinnovata meraviglia della nascita di Gesù stanno disponendo gli ultimi dettagli per consegnare ad abituali e nuovi visita-tori uno scenario magico e rinnovato in ogni suo parte. I volontari giovani e meno giovani, infatti, unen-do gesso, polistirolo e colori a fantasia e tanta voglia di fare, tutti ingredienti irrinunciabili, hanno dato vita ad un ‘ambientazione tradizionale: tra l’aridità del deserto e la durezza della roccia, la venuta del Salvatore si cari-cherà anche quest ‘anno di emozione e suggestività. Grazie al consueto ausilio dei personaggi in mo-vimento, della colonna sonora e dell ‘alternarsi del gior-no e della notte, il mistero che si rivela nell ‘umiltà della mangiatoia potrà essere vissuto da quanti accorreranno in una scenografia quasi reale. Così in questo periodo dove ogni certezza pare lasciata al caso, l’intimità del presepe diventa occasione per fortificare l’unica verità incrollabile e meditare sui piccoli e i grandi misteri della vita. I “presepisti” danno dunque appuntamento a chi vorrà rendere omaggio al loro lavoro nei giorni festivi da Natale fino al 18 gennaio, dalle 11 alle 12 e dalle 14.30 alle 19, e nelle giornate di sabato 27 dicembre e 3 gennaio, dalle 14 alle 17.

Nadia Lonati

LA PARROCCHIA E IL GRUPPO PRESEPIO SAN GALLO organizzano

Diamo luce al Presepio…piccola rassegna di presepi di San Gallo

..Non importa se sei bambino,adulto,o anziano … Se credi ancora che fare il presepio possa essere un momento bello, di fede e tradizione , non farti do-mande costruisci il tuo presepe , non importa con che materiale in quale stile, l’ importante che serva a te, per avvicinarti al vero Natale e possa donare un momento di gioia e serenità a chi lo vedrà…Quest’ anno ti chiediamo di condividere il tuo pre-sepio con tutti noi… come?Basta segnalarlo a Egidio , Renzo o Pietro ,noi pas-seremo a visitarlo e faremo alcune fotografie da esporre all’ ingresso del presepe dell’ oratorio… sarà un modo per condividere le tue idee con i tanti, che ci vengono a trovare…

Le segnalazioni vanno fatte entro domenica 21 dicembre .

Egidio 030 2199982Renzo 030 2199863Pietro 030 2199881

La tradizione cristiana del presepio, i cui elementi A BOTTICINO SERA fondamentali sono Maria, Giuseppe, il Bambino Gesù, la grotta, il bue e l’asinello, è soltanto suffragata dal Vangelo di Luca, il quale afferma che Maria “ diè alla luce il suo figliuolo, e lo fasciò, e lo pose a giacere in una mangiatoia”. Gli Amici del Presepe quest’anno hanno voluto rappresentare una zona del nostro paese, per far capire a voi che il natale è tra di noi se noi lo vogliamo.

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CON VOI NELLA CHIESA

Carissimi amici: sacerdoti, diacono, fedeli laici di Botticino, dopo otto anni di collaborazione anche se parziale da parte mia, hanno lasciato un buon ricordo in me. Mi sorprendono non poco le vostre parole di stima, di riconoscen-za insieme al rammarico per il mio imminente trasferimento. Dalle vostre parole sperimento che avete imparato a co-noscermi, a volermi bene. Se qualcosa ho dato nel servizio pasto-rale in mezzo a voi, è assai inferiore di quanto ho ricevuto da voi: in collaborazione, corrispondenza e accoglienza della PAROLA nei Centri di Ascolto e negli incontri casuali che non sono mai stati banali, ma costruttivi per una crescita e maturazione cristiana. Il Vangelo vivo, vissuto” in diretta” ha la forza e la credi-bilità di trasmettere speranza, umanità e semplicità, apertura al trascendente nonostante le immancabili sofferenze e le quo-tidiane fatiche. In questi anni con voi, ho imparato che, per co-struire una comunità di credenti, non servono grandi progetti, analisi dettagliate, studi specifici. Serve un cuore grande, aperto, attento, sensibile, capace di soffrire con chi soffre e gioire con chi è nella gioia. Un cuore come quello di Cristo. E’ la strada che dobbiamo percorrere noi credenti. L’aspetto più attraente del cristianesimo è la sua totale apertura alla speranza; abbiamo la certezza che le porte cui si accede alla comunione con Dio, non ci verranno mai sbarrate e non ci sarà preclusa una felicità attesa e desiderata. Vi domanderete: ma dove va? Vado dove la Provvidenza mi ha dirottato, sì, dirottata a Padova, poiché, altre erano le mie umane aspirazioni. Con sofferenza ho fatto una brusca inversio-ne di marcia, ma sono certa che il Signore mi viole là dove LUI ha stabilito. Così mi è sempre capitato e il perché dei “dirottamenti” li ho sempre capiti dopo. La ragione è solo questa: come religiosa non mi appartengo, ma appartengo alla Chiesa che amo e voglio servire con le mie fragilità e con i miei doni. Non potremo incar-nare la carità di Dio nel mondo, non potremo portare il Vangelo, se non accettiamo l’incarnazione di questa carità nella Chiesa, nel Corpo mistico di Gesù Cristo. In essa, la Chiesa, ci sono tutte le dimensioni della carità secondo San Paolo che noi ci auguriamo di raggiungere con “tutti i santi”. Con me porterò tanti e tanti ricordi, uniti a non poca nostalgia. Pazienza! Ogni giorno sarete presenti nella mia preghiera, perché il Signore, per l’intercessione del Beato Tadini vi conceda ogni bene e non lasci mancare a nessuno il suo conforto, le sue conso-lazioni e il dono della comunione con i nostri cari sacerdoti. A tutti il mio grazie e la mia amicizia. Con affetto Suor Mariaregina

don VIATORE PARROCO A LODRINO

Il vero protagonista nella storia delle persone e di ogni comu-nità cristiana è il Signore, tutto proviene da Lui. Le Sue vie non sono le nostre vie. E’ la Parola di Gesù che ci aiuta a guardare avanti con cuore fiducioso e occhi rasserenati: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Dio conosce le strade che portano la vita dei suoi sacerdoti ad una nuova fecondità. Ma ora è impossibile non ricordare questi sette anni di per-manenza di don Viatore, parroco a Botticino Mattina, cinque di questi condivisi nell’impegno pastorale nell’erigenda “unità pastorale” delle par-rocchie di Botticino. E’ doveroso raccontarli. Fare un bilancio non è facile, tanto si potrebbe dire, molto si potrebbe sottolineare, la certezza che quanto si è fatto e realizzato è grazia. I volti incontrati, le preoccupazioni condivise, i numerosi impegni negli interventi di ristrutturazione dei beni delle parrocchie, i drammi vissuti insieme...tutto è grazia. Guardarsi indietro e vedere quanto Dio ha ope-rato nella vita delle comunità e nella vita dei suoi sacerdoti, semplici e poveri strumenti nelle mani paterne e materne di Dio, don Viatore ha ma-nifestato la gioia di essere prete con cordialità, serenità e grande fiducia costruttiva di bene e di rapporti benevoli. Nel sacerdote è bello vedere il volto di Cristo, la gioia di essere suo prete per portare avanti quel piano di amore che è di Dio e che Lui ri-serva all’umanità. Rendiamo grazie al Signore! Esprimo una grazie di cuore a don Viatore anche a nome di don Mauro, don Bruno, del diacono Pietro e di tutti gli operatori pastorali delle tre parrocchie di Botticino (che molte volte in questi anni hanno condiviso la stessa passione pastorale in tanti incontri comuni) per la sua presen-za, la sua originalità, la sua disponibilità e il suo crederci fortemente nel cammino unitario pastorale delle tre parrocchie. Per tutto questo, sale a Te o Signore, il nostro Magnificat. Sì, ti lodiamo per quanto hai operato in lui e per mezzo di lui. Ti preghiamo di accompagnarlo: è un nostro amico, è il nostro fratello. Don Viatore, grazie e auguri!

don Raffaele, parroco Botticino Sera e San Gallo

cambio in Casa Madre SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS,SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS,SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS.SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS;SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS. SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS.

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A SAN GALLO E A BOTTICINO SERA CONTINUA LA SOTTOSCRIZIONE“UNA MATTONELLA PER LA NOSTRA CHIESA” “Una mattonella per la nostra chiesa” finalizzata alla raccolta di fondi per far fronte ai lavori di ristrutturazione a seguito dei danni causati dal terremoto del 2004 già terminati per la parrocchiale di Botticino Sera, ancora da iniziare nella parrocchiale di San Gallo e per questo anche dei lavori fatti all’oratorio. Tale sottoscrizione prevede la possibilità di offrire una “mattonella”( o piu’) che può essere sottoscritta alla memoria di persone care, viventi o defunte in occasione di un anniversario (Matrimonio, Battesimo …) in occasione di ricorrenze personali, familiari, di classe, di gruppo (comple-anno, onomastico …)...altro. Le modalità di offerta possono avvenire: in contanti/ con assegno/ con bonifico bancario Le offerte vengono raccolte presso la sacrestia o utilizzando la busta come quella consegnata in occasione del Natale. L’offerta può essere anche anonima; per chi lo desidera, viene se-gnato su apposito scritto sia il nome dell’offerente sia le persone o la cir-costanza per la quale viene fatta. Tale documento verrà conservato copia nell’archivio parrocchiale e copia in apposito luogo della chiesa a peren-ne memoria.

2 –3 GENNAIO 2008 GITA - PELLEGRINAGGIO

Trieste - Grado - Isola di Barbana - Palmanova

Partenza ore 6,30 per Trieste. Visita e cele-brazione al Santuario di Monte Grisa, una costruzione straordinaria che con la sua mole domi-na la città e il meraviglioso golfo. Dopo pranzo, incontro con la guida, visita alla città e alla cattedrale sulla collina di S.Giusto. Cena e pernottamento a Grado. Visita presepi. Il secondo giorno, visita e clebrazione al Santuario Mariano all’isola di Barbana,chiamata “isola della Madonna”. Visita, con guida, alla città di Grado e dopo il pranzo, sulla via del ritor-no sosta per visita libera alla città di Palmanova, città costruita a forma di stella a nove punte.Quota di partecipazione comprendente viaggio,visite con guida, pensione completa dal pranzo del primo giorno al pranzo (compreso bevande ai pasti) del secondo giorno. Pernottamento hotel 3 *Escursione all’isola di Barbana.Euro 185,00Informazioni e iscrizioni presso segreteria oratorio, (tel. 0302692094)don Raffaele e il diacono Pietro.

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GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratellivenerdì 19 a San Gallo e lunedì 22 a Botticino Sera

***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione a San Gallo ore 20.00 a Botticino Sera ore 8,30 –16,30 e 20.00 possibilità Confessioni CON LA PRESENZA DI PIU’ SACERDOTI Villaggio martedì 23 dicembre ore 8,30 Confessioni individuali mercoledì 24 dicembre

a BOTTICINO SERA 9,00-11,00 e 15,00 -19,00 a SAN GALLO dalle 11,00-12,00 e 18,00-20,00

***SOLENNITA' DEL SANTO NATALE giovedì S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia Botticino Sera ore 23,30 Veglia di preghiera SANTA MESSA NELLA NOTTE ore 22 a San Gallo ore 24 a Botticino Sera SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo . Ore 16,00 Vespro e benedizione

*** venerdì 26 DICEMBRE : S.Stefano - a San Gallo ore 10,00 - a Botticino Sera ore 9,00 - 11,00 (villaggio ore 17,00)- 18,30 *** domenica 28 DICEMBRE : SACRA FAMIGLIA (festa) orario festivo ***mercoledì 31 DICEMBRE S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO a San Gallo ore 17,30 e Botticino Sera ore 18,30 (ore 17,00 villaggio)

***giovedì 1 GENNAIO 2009 MARIA SS.MADRE DI DIO - GIORNATA DELLA PACE A BOTTICINO SERA ORE 10,30 - 16,00 - 17,00 (villaggio) –18,30 A SAN GALLO ORE 17,30***martedì 6 GENNAIO EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo ore 16,00 Vespri - bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini

***domenica 11 GENNAIO : BATTESIMO DEL SIGNORE S.Messe come orario festivo

Ultimodell’anno in oratorio Presso gli oratori di San Gallo e di Botticino Sera la possibilità di passare insieme l’ultimo dell’anno in fraternità e semplicità Informazioni e iscrizioni presso gli oratori.

festività natalizie