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1 anno della fede VOCE per la COMUNITA’ NOTIZIARIO PASTORALE UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO QUARESIMA 2013 il segno della salvezza

Voce per la comunità

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Notiziario Pastorale delle Parrocchie di Botticino

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anno della fede

VOCE per la COMUNITA’

N OT I Z I A R I O PA STO R A L E

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“PARROCCHIE DI BOTTICINO

QUARESIMA 2013

il segno della salvezza

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UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI”

PARROCCHIE DI BOTTICINO

ORARI S.MESSE FEsTIvE DEl sABATO E vIgIlIA FEsTE

SERA VILLAGGIO ore 16,00MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 18,45

FEsTIvE DOmENICA E FEsTIvITA’SERA PARROCCHIALE ore 8,00

MATTINA PARROCCHIALE ore 9,30SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00

SERA PARROCCHIALE ore 10,45MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30

SERA PARROCCHIALE ore 18,45

quaranta giorniLa durata della quaresima richiama

numerosi eventi dell’Antico Testamento:• i quaranta giorni del diluvio uni-

versale• i quaranta giorni passati da Mosè

sul monte Sinai• i quaranta giorni che impiegarono

gli ebrei per esplorare la terra in cui sarebbero entrati

• i quaranta giorni percorsi dal pro-feta Elia per giungere al monte Oreb

• i quaranta giorni di tempo che, nella predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla

Anche Nel Nuovo Testamento è pos-sibile trovare simili ana logie, in par-ticolare:

• i quaranta giorni che Gesù passò digiunando nel deserto

• i quaranta giorni in cui Gesù am-maestrò i suoi discepoli tra la resur-rezione e l’Ascensione.

• Un altro riferimento significativo è rappresentato dai “quaranta anni” trascorsi da Israele nel deserto.

Il carattere originario della quaresi-ma fu riposto nella penitenza di tutta la comunità cristiana e dei singoli, pro-tratta per quaranta giorni.

RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTILicini don Raffaele, parroco

cell. 3283108944 e-mail parrocchia:[email protected]

[email protected] segreteria: 0302193343Segreteria tel. 0302692094

Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768

Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881Scuola don Orione tel. 0302691141

sito web : www.parrocchiebotticino.itSuore Operaie abit. villaggio 0302693689Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138

BATTESIMI BOTTICINO SERA

BOTTICINO MATTINA SAN GALLOVeglia Pasquale 30 marzo

sabato 6 e domenica 7 aprileI genitori che intendono chiedere il Battesimo

per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e

sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

lUNEDI’CASA RIPOSO ore 17,00

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 20,00

mARTEDI’MATTINA SAN NICOLA ore 18,00

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 17,30

mERCOlEDI’MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 18,30

gIOvEDI’SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30

MATTINA S.NICOLA ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 20,00

vENERDI’SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 18,30

visita il sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it

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Il 2012 è stato definitivamente archiviato e ci siamo addentrati nel nuovo anno 2013, che ormai procede a passo regolare e veloce, e noi ci auguriamo che esso scorra nella serenità e nella pace. E lo sarà nella misura in cui riconosciamo la possibilità concreta dell’essere visitati da Dio, ogni volta che davanti alla sua Parola, o ogni volta che riceviamo la visita di Gesù, come Zaccheo,,, Ogni giorno può essere il giorno di un possibile ritorno a Lui.

In realtà, tutta la vita è come un lungo giorno, un oggi appunto, che scorre davanti a Dio; un giorno in cui possiamo ascoltare la Parola, accogliere la salvezza ed essere accolti dal Padre. Il tempo che Dio ci dà è sempre un tempo di grazia in cui ci viene annunciato il suo mistero d’amore, come nella notte di Natale: «Vi annuncio una grande gioia: oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,10-11).

L’oggi, l’anno 2013, e ora il tempo presente, il tempo della Quaresima è «tempo favorevole», che Dio ci dona per ascoltarlo, convertirci e diventare sempre più realmente capaci di assumere la responsabilità di credenti in Dio.

Siamo nell’Anno della Fede. Non esiste fede senza conversione. “Convertitevi e credete al Van-gelo!”: questa è la prima parola che Gesù pronuncia in avvio del suo ministero (Mc 1,14 -15). Il cammino della fede è contemporaneamente un cammino di conversione, cioè di orientamento della vita nella direzione che porta a Dio. Questo suppone una profonda purificazione di se stessi, una guarigione interiore, un rinnovamento del pensiero e dei sentimenti.

Ci chiediamo: cosa significa credere da cristiani? Non basta credere; bisogna credere in Gesù. Ma non basta neppure credere in Gesù; bisogna entrare nella sua fede fino a farla nostra. Solo allora la nostra fede diventa cristiana.

Nel cammino quaresimale, seguendo i Vangeli delle domeniche, siamo invitati a porre l’attenzione principalmente sulla fede di Gesù. All’inizio la sua fede provata (cf Lc 4,1-13, prima domenica di Qua-resima), poi la sua fede testimoniata lungo il cammino verso la gloria pasquale, di cui la Trasfigurazione è un anticipo (cf Lc 9,28 b-36, seconda domenica). Con Lc 13,1-9 (terza domenica), Gesù invita i suoi ascoltatori ad una fede sapiente, capace di discernere gli eventi antichi e nuovi della storia. La gran-diosa pagina della parabola del padre misericordioso (cf Lc 15,1-3.11-32, quarta domenica), invece, è un invito a credere nel Padre dei cieli, un Padre tenerissimo verso i propri figli. È la fede di chi crede che Dio è più grande del proprio peccato. Chi crede nel Padre ritorna a Lui (conversione) e sperimenta il suo abbraccio benedicente. La quinta domenica di Quaresima ci offre, infine, un celebre brano evan-gelico, quello della donna adultera (cf Gv 8,1-11). Da questa pagina emerge la fede come forza salvifica, vera caparra della risurrezione futura.

Il cristiano ha,verso questi giorni di Quaresima, un atteggiamento diverso da chi non ha fede. Egli li vive attivamente impegnato per il regno di Dio. Non può «lasciarsi vivere», lasciar cioè pas-sare i giorni come se andassero a sfociare nel nulla. Digiuno, penitenza e carità. Ogni giorno di Quaresima è un impegno. Il cristiano non solo legge i segni del tempi, ma vive positivamente i giorni in compagnia degli altri, per intessere relazioni di armonia e perseguire i progetti di giustizia e di pace, per impedire alla violenza di diffondersi e costruire una casa comune per tutti e per dare corpo a quel futuro che ora non vediamo, ma che Dio sta preparando. La Quaresima, con le sue iniziative di solidarietà, è il tempo di Dio che ci offre insospettate capacità per fronteggiare le emergenze affinchè si affermi la fraternità.

Insieme a questo, è il tempo per vivere e annunciare la misericordia del Signore, che tutti perdona e accoglie nel suo abbraccio d’amore. Buona Quaresima.

don Raffaele

ora, il tempo presente...non basta credere

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Atteggiamenti missionariNell’entusiasmante confronto tra il Vangelo e

le culture che si sussegue nei secoli, e nell’appas-sionata opera di evangelizzazione, la Chiesa ha sempre trovato modalità nuove e adeguate per favorire l’incontro tra il Vangelo e l’uomo di ogni tempo. Anche nel nostro tempo e soprattutto a partire dal grande evento ecclesiale del Concilio Vaticano II, in tutte le parti del mondo sono sorte tante esperienze di annuncio del Vangelo e testi-monianza della fede all’uomo contemporaneo.

Ognuna di esse, pur con stili e metodi propri, ha come unica finalità il risveglio della fede, il confermarla o il favorire il primo incontro delle persone con il Signore risorto. Esperienze diverse tra di loro nel metodo, ma che in comune hanno lo stesso amore per il Risorto e la passione per la salvezza dell’uomo: Caritas Christi urget nos (2Cor 5,14).

Nell’Anno della fede è giusto, allora, interro-garsi su quali possano essere i tratti di una comu-nità parrocchiale che, professando la fede, sente l’urgenza di testimoniarla per condurre tutti a Cristo. Tra le tante, c’è una icona evangelica da cui si possono trarre alcuni atteggiamenti che le comunità parrocchiali dell’Unità pastorale di Botticno fanno propri per incontrare le persone e condurle all’esperienza del Risorto; è l’icona di Emmaus (Lc 24,13-35).

Nell’azione pastorale ci siamo chiesti - più vol-te e in particolare in questo anno della fede, come animatori pastorali - cosa fare nei confronti di chi

si sta allontanando dai nostri ambienti, dai nostri percorsi, dalle nostre proposte. L’atteggiamento di Gesù con i due discepoli di Emmaus ne indica il percorso.

La condizione dei due discepoli, il loro stato d’animo e la loro decisione di andarsene, aiuta a rileggere la scelta di tanti cristiani di oggi che, delusi dalla stessa comunità cristiana, intrapren-dono altre strade.

Gesù anche nei confronti di questi due disce-poli, dimostra di non volerli abbandonare e, inse-rendosi nella loro fuga dal luogo della delusione, ribalta la meta del loro camminare: da Emmaus a Gerusalemme; dalla delusione e dal non senso alla pienezza della vita.

Il cambiamento di direzione avviene su una strada e in una locanda, come a dire che i luoghi profani del vivere comune e quotidiano possono, e oggi devono diventare luoghi privilegiati in cui farci incontro alle persone per condividere con loro il dono della fede.

Nel forestiero che si accosta ai due discepoli delusi e smarriti si può, quindi, identificare la co-munità parrocchiale che, forte della presenza del Risorto, professa e testimonia la fede facendosi compagna nel cammino dell’uomo, illuminando il suo vissuto di cui i due ne sono degni rappre-sentanti.

Quali atteggiamenti le comunità parrocchiali possono fare propri per depositare il piccolo seme della fede nel terreno della vita, nel cuore delle persone a cui sono mandate?

L’Anno della fede è anche un’occasione per promuovere iniziative, nelle parrocchie, per aiu-tare i fedeli a riscoprire il dono della fede battesimale e la responsabilità della sua testimo-nianza, nella consapevolezza che la vocazione cristiana «è per sua natura anche vocazione all’apostolato».

Anche per le parrocchie di Botticino si stanno pensando delle iniziative proprie. Qui di se-guito vengono riportare le riflessioni fatte durante gli incontri settimanali di formazione per tutti gli operatori pastorali, quale fondamento per le iniziative che verranno proposte.

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“usciamo allo scoperto”Iniziative per

l’Anno della Fede

incontro con tutti gli animatori pastorali delle tre Parrocchie di Botticino

approfondimento pastorale riguardante l’Anno della Fede

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«Gesù in persona si accostò e camminava con loro» (Lc 24,15). «Si accostò»: questo verbo descrive l’atteggiamento della comunità

cristiana verso la vita dell’uomo e la riflessione su di essa. L’accostarsi del Risorto fa presente la necessità di prevedere occasioni di

incontro con le persone, nelle loro situazioni esistenziali o nel confronto sulle piccole e grandi questioni della vita.

Tale incontro si realizza attraverso la presenza della comunità, di singoli fedeli laici e di gruppi (animatori pastorali, associazioni...).

La comunità parrocchiale professa e testimonia la fede quando, come il Ri-sorto, si fa prossima a tutte le condizioni di vita. Si può dire che ogni pagina del Vangelo narra di alcuni incontri imprevedibili con Gesù, da parte di uomini e di donne che gli si accostano per ritrovare la serenità, la salute, la fiducia, la vita buona.

Importante, pertanto, è il modo con cui guardiamo e come ci poniamo di fronte alle persone e alle loro situazioni e anche a come ci poniamo davanti a chi, pur definendosi cristiano, non vive da cristiano e non ha più alcun rappor-to con la comunità, o magari confessa un altro Credo religioso.

Se come Gesù impariamo a incontrarli e ascoltarli, ci accorgeremo che in fondo è di Lui che stanno parlando ogni volta che si interrogano sinceramente e sono alla ricerca di un senso compiuto e buono da dare alla loro esistenza.

parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino -

accostare

«Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?” [...]

Domandò: “Che cosa?”» (Lc 24,17.19) Si tratta di provo-care la domanda che il Vangelo e la testimonianza della fede fanno emergere nel confronto con la vita e i problemi di ogni giorno.

In altri termini, ci si propone di risvegliare la passione per la verità, aiutando ad andare al di là della semplice appa-renza. I punti di partenza potranno essere diversi: la nasci-ta di un bambino e la meraviglia dell’essere generati; l’età dell’adolescenza e della giovinezza, nella quale la vita deve passare attraverso il vaglio di una crisi e suscitare il tempo della decisione e della fede; l’incontro di un uomo e di una donna, l’inizio della vita di coppia, le difficoltà specifiche per iniziare a vivere insieme; il tempo della maturità il cui tratto essenziale è quello della perseveranza, della costanza e della speranza; le situazioni di sofferenza e di fragilità che pongo-no profondi interrogativi alla fede. L’importante è aiutare a fare un percorso di lettura e di interpretazione della realtà, alla ricerca di risposte che ne spieghino il senso ultimo.

La comunità parrocchiale nella diversità, ma anche nella convergenza dei diversi ministeri e carismi, deve «indiriz-zare il suo sguardo su alcune esperienze immediate dell’esi-stenza, che ancor oggi possono diventare soglie di accesso alla fede.

Il contatto con molte persone da parte dei credenti racco-manda di essere presenti ai passaggi decisivi dell’esistenza. In essi il mistero della vita ci tocca con la sua mano forte e decisa e pone una domanda alla ricerca di identità di ogni uomo e donna».

domandare

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«Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in pa-role, davanti a Dio e a tutto il popolo”» (Lc 24,19).

Ascoltare senza censure preventive le risposte che comunemente vengono date alle domande del vivere. La comunicazione deve essere vera e profonda. Tante volte l’ascolto viene considerato una perdita di tempo e si cerca di passare subito alla formulazione delle nostre risposte. È un passaggio brusco che dobbiamo evitare perché impedisce alle persone con cui condividiamo il cammino di met-tere in comune ciò che in quella situazione colgono come vero e importante.

Ascoltare il cuore dell’altro, percepire il soffio del pensiero dell’altro, scrutare con occhi amorevoli l’esperienza degli altri per orientare a Dio. C’è tanta gente buona e generosa anche tra quelli che non sono impegnati in qualche gruppo parrocchiale, persino in chi non si fregia del nome cristiano.

È nella capacità di amare, di farsi compagno di strada, aiuto, sostegno a un fratello che è nel bi-sogno, che affiora un cristianesimo inconsapevole, ma non per questo senza valore. La capacità di apprezzare il bene che c’è e si manifesta attorno a noi, il saper valutare in modo positivo l’umanità ove essa si realizza nelle pieghe della vita di ogni giorno, ci dispone a un approccio aperto al dialogo, libero da pregiudizi, da processi alle intenzioni che ci fanno sottolineare prima le differenze rispetto a ciò che abbiamo in comune.

ascoltare

«E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (Lc 24,33).

È questa la speranza più grande che deve animare la comu-nità cristiana: intersecare la vita di tanti fratelli e sorelle facen-do nascere il forte di desiderio di tornare a Gerusalemme, dove la comunità è riunita perché il Risorto le scaldi il cuore con la sua Parola e le doni se stesso come Pane che da sapore e nutre la vita per sempre. Da Gerusalemme la comunità cristiana par-te sempre, non più delusa, perché l’esperienza dell’aver visto e incontrato il Signore non può essere tenuta semplicemente per noi. «Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’an-goscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinchè il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (EN 80).

partire

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«Ed egli disse loro [...] E cominciando da Mosè e da tutti i pro-feti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui»

(Lc 24,25.27). Proporre l’annuncio della verità, di fronte a una libertà che si rac-

conta. Ascoltare, condividere il cammino non significa rinunciare ad annunciare il Vangelo o spegnere la sua carica profetica. Quando c’è la disponibilità a camminare al fianco di qualcuno e ad ascoltarlo con sincerità si creano anche le condizioni per poter dire come stanno veramente le cose, come è avvenuto ai due discepoli di Emrnaus.

Il Vangelo è pieno di racconti che partono da un bisogno e da una situazione della vita, personale o familiare, e approdano all’incontro con Gesù. La comunità cristiana non è solo compagna di strada, ma anche testimone della verità e via maestra dell’uomo per farlo approdare alla fede in Cristo Risor-to: «Rimani con noi perché si fa sera» (Lc 24,29).

proporre

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il pellegrinaggio nell’Anno della Fede parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino -

“La Chiesa cattolica è invitata a vivere l’Anno del-la Fede... Papa Benedetto XVI parla anche della Fede come un cammino d’amicizia con il Signore. Il termione “cammino” evoca subito la nostra realtà di pellegrini. Da qui il senso più vero del vivere momenti straordina-ri di pellegrinaggio per rinnovare o riscoprire il nostro camminare con il Cristo Signore.” ( da “In ‘cammino’ nell’Anno della Fede”, vescovo Luciano Monari )

Nell’Anno della fede occorre incoraggiare i pellegrinaggi dei fedeli alla Sede di Pietro,

per professarvi la fede in Dio Padre, Figlio e Spiri-to Santo, unendosi con colui che oggi è chiamato a confermare nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc. 22,32). Sarà importante favorire anche i pellegrinaggi in Terra Santa, luogo che per primo ha visto la pre-senza di Gesù, il Salvatore, e di Maria, sua madre»

Pellegrinaggio in Terra SantaII pellegrinaggio in Terra Santa, (luogo che per

primo ha visto la presenza di Gesù, il Salvatore, e di Maria, sua madre) è un tornare alle origini, alle radici della fede e della Chiesa: è un celebrare la nostra fede nel Dio della storia che, dopo esservi entrato, non l’abbandona più e attraverso la sua Chiesa vuol rag-giungere l’uomo di ogni epoca e luogo. La Terra San-ta offre l’incontro affascinante con la Terra di Gesù nella quale il granello di senape ha messo le prime radici, estendendosi come albero frondoso, che or-mai ricopre con la sua ombra tutto il mondo (cfr. Mt 13,31-32). È in questo angolo di terra che Gesù Cristo entra in scena nella storia come «la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6) e fin dall’inizio si inserisce nel cammi-no dell’umanità e del suo popolo, per mettersi sulle strade dell’uomo. In quella piccola parte del mondo si realizzano tutte le promesse di Dio che trovano il loro compimento nell’incarnazione e risurrezione di Gesù.

In quella terra inizia un cammino, un pellegrinag-gio, sulle cui orme deve porsi ogni discepolo: «Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). E sempre lì, la comu-nità cristiana, animata dallo Spirito della Pentecoste, esce per le strade del mondo, immergendosi nelle va-

rie nazioni della terra, procedendo da Gerusalemme fino a Roma, attraverso le strade dell’impero percor-se dagli apostoli e dagli annunziatori del Vangelo. In questa terra il kerygma prende forma e sgorga, come acqua zampillante dalla fonte, per raggiungere ogni creatura e vivificarla. Il pellegrinaggio in Terra San-ta, nell’Anno della fede, potrebbe aprire o chiudere l’anno pastorale delle parrocchie ed essere vissuto dalle comunità parrocchiali come occasione di rinno-vo o di verifica del proprio stile pastorale assumendo il metodo di Gesù che percorreva quella terra sanan-do e beneficando tutti (cfr. Mt 5,42), e la forza della testimonianza della fede propria della comunità apo-stolica (At 4,32-35).

Il pellegrinaggio in Terrasanta è un momento unico nella vita di chi ha la grazia di compierlo. Si frequentano i luoghi più alti della nostra fede, si cammina sui passi di Gesù, si respira il profumo della presenza di Dio e del suo mistero. Può diven-tare l’occasione per un nuovo incontro profondo con Gesù, che mette in movimento nuove energie.

II ricordo di Gesù, di ciò che ha detto e fatto, ha trasformato la Terrasanta in un enorme santuario. Da Nazareth a Betlemme, dal lago di Tiberiade a Gerico, fino a Gerusalemme, tutti questi luoghi sono stati fissati a perenne memoria, con il deside-rio profondo di salvare e perpetuare il passaggio del Dio-con-noi.

La passione, morte e risurrezione di Gesù è l’even-to principale che attira ancora oggi molta gente da tutte le parti del mondo.

Che Dio parli poi in questa terra in modo speciale, lo si vede anche dai molteplici modi di pregarlo e di rivolgersi a lui, anche da parte di ebrei e musulmani, che sentono il bisogno di cercarlo, venerarlo, pregarlo

Nel pellegrinaggio in Terrasanta, si percepisce forte non solo il ricordo del Gesù storico e della sua missione, ma anche l’invito urgente di raccontarlo di nuovo oggi, sulle strade del mondo.

“Il nostro essere pellegrini, nell’ascolto della Parola, ci aiuti a riconoscere la gioiosa presenza del Cristo che cammina con noi”. A tutti buon pellegrinaggio”.( da “In ‘cammino’ nell’Anno della Fede”, vescovo Lu-ciano Monari )

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Brescia, 3 gennaio 2013 Ai Revv. Sacerdoti

della Diocesi di Brescia

Oggetto: Chiarimenti circa alcuni aspetti dell’ICFR

Fratelli carissimi,alla luce del confronto con alcuni sacerdoti, mi pare op-

portuno offrire dei chiarimenti circa alcuni aspetti relativi al cammino di iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ra-gazzi.

L'ICFR è una «scelta esemplare», «perché ha imposta-to il cammino di iniziazione dei ragazzi facendo perno sull'impegno responsabile dei genitori», da cui passa in modo decisivo la trasmissione della fede alle nuove gene-razioni (Lettera pastorale "Tutti stano una cosa sola", n. 32). Si tratta quindi anzitutto di una scelta di evangeliz-zazione degli adulti, in un contesto culturale in cui la fede cristiana non può essere presupposta e appare sempre più marginale rispetto alla vita.

All'interno di questa prospettiva di fondo, è da com-prendere anche un'altra scelta fondamentale: il passaggio, cioè, da una catechesi di preparazione ai sacramenti per i ragazzi a un itinerario di tipo catecumenale. Deve essere chiaro che tale scelta non è un capriccio della Chiesa bresciana, ma risponde alle determinazioni del RICA e del Direttorio Generale per la Catechesi (quindi della Chiesa universale), oltre che alle sollecitazioni dei vescovi italiani (in particolare, quelle contenute nella nota pastorale Il vol-to missionario delle parrocchie in un mondo che cambia del 2004 [cfr. n. 7) e negli Orientamenti per l'iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi del 1999).

Quando, perciò, mons. Sanguineti ha promulgato l'ICFR lo ha fatto in piena sintonia col resto della Chiesa italiana, cercando di rispondere a esigenze che più volte sono state richiamate nelle assemblee dei vescovi. Di fatto, esperi-menti diversi sono stati impostati da molte diocesi in Italia; all'interno dì questo decennio dedicato all'educazione, i ve-scovi italiani hanno in programma una verifica delle prassi diverse esistenti in Italia e, a questo fine, l'Ufficio Cate-chistico Nazionale sta raccogliendo la documentazione per una riflessione completa sul tema.

La differenza tra il cammino catechistico tradiziona-le e un cammino catecumenale è profonda, II cammino catechistico intende trasmettere al meglio i contenuti della fede cristiana secondo l'età e la capacità di comprensione delle persone; al termine di un cammino di catechesi, se il cammino è stato fatto bene, si raggiunge il livello di cono-scenza previsto ("che cosa sai della fede cristiana?"). Un cammino catecumenale consiste in un insieme di incontri, celebrazioni ed esperienze dì servizio e di carità allo scopo di introdurre a un'esperienza globale della vita cristiana, in modo da fare comprendere non solo intellettualmente ma in modo vitale che cosa significhi essere cristiano e, in concreto, appartenere a una comunità cristiana.

Proprio per questo un cammino catecumenale è scandito in tappe, ciascuna delle quali ha un obiettivo particolare: non solo di conoscenza, ma di vita. Al termine del cam-mino si ha una decisione di fede ("vuoi essere cristia-no?"). I sacramenti rispondono a questa decisione dì fede, sebbene per un ragazzo non possa ancora essere considera-ta una decisione ultima e definitiva.

Per quanto ho detto, un cammino di tipo catecumenale suppone la presenza significativa della comunità cristia-na; si tratta, infatti, di inserire una persona all'interno della comunità in modo che viva i valori operanti nella comu-nità stessa, stabilisca dei rapporti con altri credenti, possa incontrare figure esemplari. Senza una comunità viva e consapevole dì sé, ogni iniziazione si mostrerà debole.

Ed è questa la nostra difficoltà maggiore. Le comunità cristiane hanno un debole senso di appartenenza e quindi fanno fatica a far sentire a un ragazzo che cosa significhi entrare a pieno titolo nella comunità stessa. Spesso siamo individualisti anche nel modo di pensare e di vìvere la fede.

Naturalmente, di per sé, il catecumenato è pensato per chi non è battezzato e desidera esserlo. I nostri ragazzi sono già battezzati; per questo si parla di itinerario "di tipo catecumenale." Vuol dire un itinerario che assume dal vero e proprio catecumenato gli obiettivi e l'articolazione del cammino, ma che viene proposto a ragazzi che hanno già ricevuto il battesimo e sono quindi a pieno titolo 'cristia-ni’. Viene ripetuta spesso, in questi anni, l’espressione di Tertulliano: “Cristiani non si nasce, ma si diventa”; e viene ripetuta perché la società in cui viviamo la rende di nuovo attuale. Il contesto sociale e culturale in cui viviamo non da per scontato che uno debba essere cristiano e nemmeno

Il Vescovo scrive ai sacerdoti della diocesi sul nuovo cammino di catechesi per i bambini (ICFR) superando ogni contrarietà.

parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino

Botticino 19 gennaio 2013 - Cresime ICFR

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che debba essere credente. È un cambiamento profondo, una vera e propria rivoluzione culturale rispetto a quando ero ragazzo io. Non possiamo pensare che si possa andare avanti ripetendo la logica catechistica di qualche decen-nio fa. Non è possibile perché i ragazzi non fanno più le esperienze che facevamo noi, anche solo qualche anno fa; non hanno più un contesto sociale che li accompagni e li orienti.

Certo, non possiamo nemmeno illuderci che la semplice adozione di questo modello di iniziazione cristiana porti in pochi anni a un profondo cambiamento di mentalità e dì pratica religiosa. Sarebbe davvero un miracolo! Abbia-mo un venti per cento degli adulti (educati con la vecchia scuola dì catechismo) che partecipano regolarmente all’eu-caristia domenicale; possiamo immaginare che i figli del restante ottanta per cento verranno a Messa contro tutte le abitudini familiari, sfidando il modo familiare di organiz-zare la domenica, distinguendosi dal gruppo dominante degli amici?

Fino a poco tempo fa, le donne frequentavano in massa la chiesa; adesso le giovani fanno fatica a riconoscersi nel-la fede e quindi fanno fatica a portare avanti una pratica religiosa regolare. Possiamo pensare che se le mamme non vengono a Messa potranno venire i bambini? Ci vorrebbe un’esperienza dì Dio personale e profonda, di tipo mistico che non appartiene a molti. Né io né gli altri vescovi ci illudiamo di poter raggiungere questo traguardo. Deside-riamo però che l’accesso all’eucaristia sia preparato con un cammino serio, che porti i ragazzi a rendersi conto che essere cristiani chiede una loro scelta, un coinvolgimento personale. Poi molti abbandoneranno la pratica religiosa regolare. Mi dispiace molto, soprattutto per loro, perché questo fatto li renderà più poveri e indifesi di fronte a molte sfide della vita; ma non abbiamo gli strumenti e la possi-bilità per impedirlo. E d’altra parte il Signore vuole che chi crede in lui lo faccia nella libertà, non sotto pressione sociale. Va anche detto che una fase di dubbio e distacco dalla pratica religiosa nel periodo dell’adolescenza non va vista necessariamente come un fallimento totale della for-mazione catechistica precedente; rappresenta talvolta un momento fisiologico, a cui segue, in età più matura, una riappropriazione della fede ricevuta durante l’infanzia. E questo potrà avvenire con maggiore probabilità se esiste uno sforzo rea-le nel curare la qualità del cammino d’iniziazione: perché la proposta di fede appaia credibile e desiderabile, entro prospettive di senso capaci dì intercettare il vissuto, in una logica di libertà e gratuità, in un ambiente che vive ciò che proclama.

Non credo che l’ICFR sia ‘per-fetto’. Sarebbe strano che dovendo rispondere a un problema nuovo e complesso si fosse riusciti a trovare subito la soluzione definitiva. Ci vor-ranno decenni perché impariamo a

rispondere alle durissime sfide di una società ricca e ‘liqui-da’ come quella in cui viviamo. Per ora dobbiamo accon-tentarci dì fare qualche passo nella dirczione giusta. E su questo non ho dubbi: l’ICFR va nella dirczione giusta.

All’interno dell’orientamento catecumenale, è stata fat-ta una scelta ben precisa anche in merito ai sacramenti della cresima e della prima comunione. La cresima ha ritrovato la sua collocazione e la sua funzione tradiziona-le, in quanto sacramento che conferma e rafforza la grazia battesimale e introduce alla partecipazione al banchetto eucaristico, culmine dell’iniziazione e sacramento del-la maturità cristiana. In merito alla celebrazione unitaria dei sacramenti, è stata evidenziata una difficoltà, dovuta al fatto che a conferire la cresima c’è il vescovo (o un suo delegato) e che la figura del vescovo sembra dare maggio-re importanza alla cresima che alla prima comunione. Per questo alcune parrocchie hanno accettato la proposta di celebrare il sabato sera la cresima (col vescovo o con un suo delegato) e la domenica mattina la prima comunio-ne (col parroco); in questo modo i due sacramenti sono celebrati lo stesso giorno (liturgico) e sì capisce bene che il traguardo è l’eucaristia. Anche su questo punto, non dico che la soluzione sia perfetta, ma al momento non ne intravedo di migliori.

Per questo non mi sento di permettere cammini diversi. So bene che vi sono parroci che non ‘obbediscono’. E non ho intenzione di scomunicare o di punire nessuno. Bisogna però che sia chiaro che la scelta della diocesi di Brescia at-torno al vescovo è quella dell’ICFR (cosi come è delineata dal ‘documento’ del 2003), e che chi fa diversamente lo fa disobbedendo e quindi assumendosi la responsabilità di disobbedire con gli effetti che questo fatto inevitabilmente produce.

Spero di essere stato sufficientemente chiaro, pur rima-nendo naturalmente disposto a continuare la riflessione e il dialogo. Dio vi benedica e benedica le vostre comunità cristiane; vi doni di vivere con gioia la fede e l’impegno nel testimoniarla. Con affetto, nel Signore.

parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino

Botticino 19 gennaio 2013 - Cresime ICFR

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Cavazzana IsabellaCazzaniga AliceCivettini DeniseCremonesi LorenzoFilippini ElenaFilippini ElisaFilippini MattiaForti LucaFranchini AndreaFranchini FilippoFrigerio CristianGaffurini ValerioGalizioli SaraGardoni ChiaraGiossi AlessiaGorni AliceGuzzoni PaoloKombi AuroraLazzarini Francesco

Lonati LauraMaccarinelli MichelaMassaro LuanaMiamadin WilliamMongelli FedericoMorandini SaraNoventa EnricoNoventa GiacomoOprandi MattiaOprandi SimoneParenza ErmannoPasetti ErikPasolini PietroPedretti EdoardoPeli SaraPersico EmanuelePersico LetiziaPerugini GuidoPiazza Leonardo

Antonelli AndreaApostoli CristianApostoli PietroArici GiuliaArici GretaArici StefaniaBenuzzi SabinaBertuzzi AliceBiviera Maria TeresaBiviera ValentinaBonelli AlessioBonzi VanessaBotta AndreaBresciani BeatriceBuccelli PaolaBusi AlessandroBusi AlessiaBusi Giada SantaCasali BeatriceCasali Luca

LE CRESIMEsabato 19 gennaio 2013

Basilica/Santuario S.Arcangelo Tadini Botticino Sera

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Stefana EmmaTagliani MicheleTemponi ElenaTemponi IlariaTemponi Veronica

Prati RobertaQuecchia AlessioQuecchia GianlucaQuecchia SofiaQuerenghi PietroRagnoli AngelaScarpari MattiaScarpari NicoleScopo EmanueleScotuzzi MartinaSoldi EmmaSoldi FrancescoSorsoli Alessio

LE PRIME COMUNIONIdomenica 20 gennaio 2013nelle tre chiese parrocchiali di Botticino

Tognazzi SilviaViolini StefanoVitti LucreziaZaffarano SilviaZani Nicolo’

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Vicinanza e libertàEssere vicino a tutti. L'intera comunità cattolica

italiana è poco vicina a tutti. Non è il caso di quantificare - ammesso che

sia possibile - quanti pastori e laici cattolici italiani sono vicini alle donne e agli uomini di questo tem-po e quanti no.

È importante, invece, porci il problema in termini di approfondimento e dialogo: la vicinanza o lonta-nanza. Perché spesso non siamo vicini?

Tutti i profeti di ogni tempo lo furono: riuscirono (e riescono) a farsi carico delle gioie e delle spe-ranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, perché esse siano sempre più le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo (cf. Gaudium et Spes, 1).

Quale fu, e qual è ancora oggi il segreto di que-sta meravigliosa e tanto apprezzata vicinanza?

Il tutto parte dalla libertà personale. Gli autentici cristiani e profeti sono donne e uomini profonda-mente liberi. E sono schiavitù, nella vita personale come nella Chiesa e nel mondo, tutte le dipenden-ze e asservimenti a potere e/o denaro.

Scriveva Giovanni Paolo II che la brama esclu-siva del profitto e la sete del potere sono azioni e atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo. A ciascuno di questi atteggiamenti si

può aggiun-gere, per carat ter iz-zarli meglio, l’espressio-ne: “a qual-siasi prez-zo”. In altre parole, sia-mo di fronte al l ’assolu-t izzaz ione di atteggia-menti uma-ni con tutte le possibili

conseguenze (Sollicitudo rei socialis, 37). La vicinanza si incarna quando ci liberiamo,

sempre più, di queste schiavitù. Del resto nessun profeta è stato schiavo di potere e/o denaro, se lo fosse stato non avrebbe mai potuto essere ricono-sciuto come profeta.

Libertà e obbedienzaÈ importante riflettere anche sul fatto che la li-

bertà di cui parliamo deriva da un atto di consegna, di obbedienza: al Cristo e solo a Lui. «Cristo ci ha liberati - ammonisce l’Apostolo Paolo - perché re-stassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5, 1). Non è un elemento facile da spiegare: sono libero nella misura in cui divento schiavo di Cristo. Ma la vita quotidiana ci da mille conferme dell’autenticità di questa scelta.

Sono liberi i cristiani conservatori rispetto ai po-tentati economici che alcune volte finanziano ini-ziative cattoliche?

Sono liberi quei politici che si ritrovano in schie-ramenti dove il peso economico e le vicende per-sonali dei leader hanno una forte influenza?

«Conosco il partito clericale. - scrive la pen-na sferzante di Bernanos - So quanto sia privo di coraggio e di onore. Non l’ho mai confuso con la Chiesa di Dio. La Chiesa ha la custodia del povero, ed il partito clericale è sempre stato soltanto il sor-nione intermediario del cattivo ricco, l’agente più o meno inconsapevole, ma indispensabile, di tutte le simonie».

Il rispettoII cattolicesimo non è più né religione di Stato,

né religione della maggioranza degli italiani. È una realtà difficile da accettare. Allora più che rimpian-gere i tempi passati ci dovremmo interrogare sulle responsabilità personali ed ecclesiali che hanno portato alla scristianizzazione, sulle colpe e sulle mancate testimonianze della comunità cristiana.

Il Papa lo ha fatto solennemente il 12 marzo 2000. Non è tempo di nuove crociate. È tempo di

Vicinanze e lontananze

Libertà,rispetto,dialogo:queste

le linee guidadell’agire

dei cristiani.

NELLA CHIESA

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imparare ad essere minoranza in un mondo seco-larizzato, contradditorio, che presenta segni posi-tivi e negativi, ed anche ambigui.

È tempo di rispettare e accogliere, come dice il Concilio, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprat-tutto e di tutti coloro che soffrono» perché «sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le ango-sce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuina-mente umano che non trovi eco nel loro cuore»

Certo in politica si devono prendere delle deci-sioni e queste possono essere immorali, secondo la fede cristiana, ma ciò non toglie il rispetto di chi la pensa diversamente in merito a questioni scottanti dal punto di vista morale, psicologico e sociale. Va anche detto che, nel momento in cui le scelte politiche sono contrarie a quanto ispira-to dalla fede, il fedele impegnato è chiamato alla coerenza e ad esprimere la sua obiezione di co-scienza.

Tuttavia nulla di tutto ciò autorizza a nuove cro-ciate e ad ergere steccati, che non giovano né alla comunità cristiana, né ai singoli fedeli, né alle istituzioni politiche e, quindi, al bene dell’intera collettività.

Il dialogoNon finiremo mai di gustare la ricchezza uma-

na e teologica dell’enciclica di Paolo VI, l’Eccle-siam suam, manifesto programmatico di quanto il nuovo pontefice si aspettava dal Concilio in cor-so, insegnamento sublime per comunità e singo-li credenti che, nel lavoro e nell’impegno sociale politico, entrano in contatto con uomini e donne di

altre culture e religioni. Non è la rivendicazione o l’affermazione, a qualsiasi costo, delle nostre idee il fine dell’operato dei cattolici in politica; ma uno stile improntato all’ascolto del mondo, alla stima, alla simpatia e bontà, al rispetto della dignità e libertà altrui e orientato all’esclusione di ogni con-danna aprioristica, polemica, offensiva ed abitua-le, di ogni vanità d’inutile conversazione.

La scaltrezza«I figli di questo mondo - dice Gesù - verso i

loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16, 8).

Il perenne clima elettorale spesso falsa i rap-porti politici. Un profondo dubbio sorge quando si incontrano neo-devoti che si lanciano in dife-sa di valori cristiani, pur provenendo da culture e frequentazioni partitiche che hanno ben poco da spartire con il Vangelo. Senza nulla togliere alle conversioni personali - insindacabili, segrete e sacrosante - è opportuno, forse, esercitare un po’ più di scaltrezza.

Certe dichiarazioni sono accoglienza libera e disinteressata della fede cristiana e dell’operato ecclesiale oppure forme raffinate di “attirarsi la simpatia” in vista di appuntamenti elettorali?

Sono un seguire la Verità evangelica o un ser-virsi di questa per fare l’occhiolino a qualcuno e/o a qualche comunità cristiana?

Libertà, rispetto, dialogo e scaltrezza possono aiutare singoli e comunità a non irretirsi con le verità che fanno l’occhiolino e a seguire la Verità che libera e rende nuovi e forti. Anche in politica.

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Disagi ecclesiali

NELLA CHIESA

La celebrazione del 50° del Vaticano II è accom-pagnata da un sentito disagio presente nella Chiesa cattolica italiana. La discussione, per

quanto riservata o negata possa essere, è sul model-lo di Chiesa nel mondo odierno; sull’essere testimoni del Risorto e del suo Vangelo di giustizia e di pace in Italia, sulla credibilità di pastori e laici nel loro rapporto con i diversi poteri. Si discute di questo? Molto poco. Spesso si ha l’impressione che la discussione sia chiusa da un pezzo perché mancano volontà, luoghi e tempi per farlo; come dire: o si accetta un modello di Chiesa, oppure si resta ai margini o si rischia di essere etichettati squallidamente.

Il modello che va per la maggiore, almeno in certi interventi e scritti ecclesiali, è ben preciso, con pochi dubbi e molte certezze: una Chiesa più incline ad affermarsi che a proporsi, in ricerca pressante di privilegi statali, pronta a censurare ogni dibattito in-terno ed esterno più che a dialogare. Diversi sono già lontani dalla pratica ecclesiale perché fortemente delusi da questa prassi di quantità e non di qualità. Altri sono rimasti con tanto disagio e una domanda pressante: che fare? Chi continua ostinatamente ad approfondire la portata rivoluzionaria del Vaticano II, senza aderire a facili revisionismi o estremismi, che deve fare? Francamente non ho una risposta. La sto-ria bimillenaria della Chiesa insegna che queste divi-sioni l’hanno sempre accompagnata e che, spesso, luce e forza sono giunte non da rinnovamenti imposti dai vertici, ma dal sentire comune dei fedeli, fatto di intuito elementare e profondo, umano e cristiano. Si pensi a Francesco d’Assisi.

Madeleine DelbrelRileggo in questi giorni le pagine di una cre-

dente francese, Madeleine Delbrel, che ha testi-moniato la sua fede di convertita in un’epoca dif-ficile, quale il dopoguerra nelle periferie francesi. Non ci sono nei suoi testi né nostalgia di epoche trionfanti per la Chiesa, né voglia di crociata, né,

tanto meno, ricerca di privilegi e concessioni da parte dei potenti di turno. C’è, invece, il desiderio puro e semplice di servire Dio nel mondo, spe-cie tra gli ultimi, dopo averlo scoperto e gustato nel segreto della propria interiorità. “La Parola di Dio non la si porta in capo al mondo in una valigetta: la si porta in sé, la si porta su di sé”, scriveva Madeleine. Forse ci sono molte valigette e molti commessi. Forse la mentalità dell’impre-sa si sta radicando nelle nostre comunità tanto che potenti, atei devoti e denaro sono troppo di casa, mentre languono formazione permanente e informazione seria sui temi scottanti, specie su povertà, pace e giustizia per il Regno. Forse ab-biamo una Chiesa tanto mondanizzata quanto il mondo che critica, mettendo Dio “alla pari della moda del giorno”. Forse abbiamo diversi soprat-tutto le prassi di pace e di giustizia, i percorsi in cui si ascolta “il grido che sale dal mondo” e ci si impegna perché “si levi una risposta a quel grido, la risposta di cuori che riescano a svellersi dalle proprie abitudini tranquille”. È un terreno di prova quel “grido”: pone in gioco la fedeltà al Vange-lo. E, per recuperarla, credo sinceramente non ci sia altra strada se non quella dell’amore che si fa tenerezza per gli ultimi (Lc. 10) o, come direbbe la Delbrel, di una forte interiorità e di una grande passione nel “ritrovare i petti e le bocche da cui proviene quel grido”.

Il disagio e la percezione dello stile e dei con-tenuti ecclesiali odierni sono molto veicolati dal-la figura del prete. Su di essa c’è ancora tanta attenzione e interesse. Parlerei di vere e proprie aspettative: credenti e non credenti si aspettano dai preti qualcosa e spesso non lo ottengono. Aspettative tradite che andrebbero studiate, ov-viamente, in due direzioni: quello che chiediamo ai pastori, appartiene al loro specifico? Se sì, per-ché spesso non ci è dato?

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Don Primo MazzolariCredo che la riflessione sul pastore oggi, in sintonia

con il Vaticano II, vada ricondotta al binomio “uomo della Parola e dei sacramenti”. Binomio classico, ma spesso trascurato. Il prete non è un laico con una marcia in più (quella del potere nella comunità), né un monaco con una marcia in meno (quella della vita contemplativa). È un uomo della comunità e per la comunità, alla quale deve offrire il servizio della Parola e dei sacramenti, pri-ma di tutto e soprattutto. Da questo punto di vista non interessa molto dove si è preti (diocesi, ordini religiosi, parrocchie, organizzazioni ecclesiali, mondo del lavo-ro, della cultura, della politica e così via), ma quanto si è preti, in una totale, competente e sincera dedizione agli altri, cercando di portarli a Cristo, con “dolcezza e rispetto” (1 Pt 3), con scienza e prudenza. Mazzolari, con il linguaggio dell’epoca, affermava: “Siamo in fun-zione per le anime! Se qualcuno pensa il contrario, non ha vero spirito”.

Personalmente credo ci sia troppa retorica sul ter-mine “pastore”, che forse nasconde il nostro essere poco per la gente e con la gente: “A volte - scriveva ancora don Primo - tra le mani del sacerdote e il popolo c’è troppo distacco perché, prima di salire all’altare, egli non è disceso a comprendere la sua gente”. Lasciamo i titoli di pastore e maestro e quant’altro al Cristo (Mt 23), che è l’unico pastore e maestro. Accontentiamoci di faticare con il nostro popolo, non sentendoci diversi da coloro che guidiamo, ma solo con la grande respon-sabilità di portarli al Cristo e non a noi stessi. E chiedia-mo anche ai laici delle nostre comunità, come anche a chi non crede, ma ci rispetta e fa riferimento a noi, di aiutarci ad essere preti autentici.

Scriveva don Primo per l’ordinazione di un nuovo prete: “Dunque questo sacerdote che sale la prima volta l’altare, è vostro: ha le vostre stesse infermità più qualche cosa che non è neanche suo e che non vi può far paura poiché la sua autorità è segnata da un atto di rinuncia. Vi assicuro che non ve lo troverete vicino a contrastarvi un palmo di terra, un po’ di soldi, ma breve gioia... Prima di salire quell’altare di pietra per offrirvi il Cristo e per ripetervi il suo Vangelo e per perdonarvi in nome di Lui, egli s’è dovuto offrire interamente per amor vostro, come Cristo. Come Cristo! Tremendo confronto che è la sua gloria o la sua infamia, il suo conforto o il suo tormento, la sua salvezza o la sua con-danna. Il sacerdote è già giudicato in questa parola: come Cristo. Cristo è verità ed egli deve essere verità: Cristo è giustizia e misericordia ed egli deve essere giustizia e misericordia per tutti”.

Come restare dentro una Chiesa che mostra segnali di incoerenza rispetto al Vangelo?

Ci rispondono,con l’eloquenza della loro vita,

Madeleine Delbrele don Primo Mazzolari

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Diventa sempre più frequente nelle nostre comu-nità cristiane - grazie a Dio - una particolare attenzione al tema della pace e, relativamente,

ai vari conflitti esistenti nel mondo. Tuttavia molti cre-denti, pur invocando spesso la pace e promuovendo dia-loghi a molti livelli, sembrano non raggiungere quanto promettono. Ci chiediamo: non dipenderà forse da un abuso del termine dialogo e dalla perdita di pregnanza di significato? Non finiremo mai di gustare la ricchezza umana e teologica dell’enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam, enciclica sul dialogo, manifesto programmatico di quanto il nuovo pontefice si aspettava dal Concilio in corso, insegnamento sublime per comunità e singo-li credenti che, nel lavoro e nell’impegno nel mondo, entrano in contatto con uomini e donne di altre culture e religioni. Secondo papa Montini, il dialogo non è la rivendicazione o l’affermazione, a qualsiasi costo, del-le nostre idee; ma è ascolto del mondo, stima, simpatia e bontà, rispetto della dignità e libertà altrui. Il dialogo evita ogni condanna aprioristica, polemica, offensiva ed abituale, ogni vanità d’inutile conversazione (Paolo VI, Ecclesiam suam, 1964, parte III).

Il dialogo, via privilegiataAlla luce della fede cristiana, possiamo ben affermare

che molte occasioni di dialogo tra i popoli e nei popoli in stato di conflitto falliscono perché la volontà di dialoga-re non è autentica e presenta molte riserve mentali e pre-clusioni, se non proprio cattive intenzioni. Non è il vero dialogo che non porta frutti, ma il falso dialogo che non

risolve i conflitti. Ancora Paolo VI esprime la convinzione che il coltivare e perfezionare il dialogo “possa giovare alla causa della pace fra gli uomini; come meto-do, che cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del lin-guaggio ragionevole e sincero; e come contributo, di esperienza e di sapienza, che può in tutti rav-vivare la considerazione dei valori supremi. L’apertura d’un dialogo, come vuol essere il nostro, disinteressato, obbiettivo, leale, decide per se stessa in favore d’una pace libera ed onesta; esclude infingimenti, rivalità, inganni e tradimenti; non può non denunciare, come delitto e come rovina, la guerra di aggressione, di conquista o di predo-minio; e non può non estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle del corpo delle nazioni stesse e alle basi sia sociali, che familiari e individuali, per diffondere in ogni istituzione ed in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace”. Invocare il dialogo e presentarlo come via privilegiata per la pace non esime dall’indicare i sog-getti, a cui spetta, non in maniera esclusiva, il compito di dialogare per la pace. In particolare coloro che hanno la responsabilità della comunità politica. Il Vaticano II dopo aver ricordato che “la comunità politica esiste proprio in funzione del bene comune”, fa riferimento alla pace “che non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro

ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uo-mini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamen-te necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell’amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia” (Gaudium et Spes, nn. 74-78).

Né vincitori né vintiLa politica, infatti, è finalizzata a promuovere il

bene comune e in quest’ambito mira a mediare e a risolvere i conflitti, non perché si abbia da una parte un vincitore e dall’altra un vinto, ma perché si cer-chi un accordo che garantisca, in maniera armoni-ca, il bene di ognuno e quello comune; al contrario la guerra è finalizzata ad avere un vincitore e un

NELLA CHIESA

Tra dialogo e pace

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vinto, cioè a negare il bene a qualcuno e a darlo ad altri.Sappiamo bene che nella tradizione cristiana la pace

è frutto di una ordinata armonia, distribuzione di risorse e soddisfazione dei bisogni fondamentali (Gaudium et Spes, n. 26). Nella misura in cui i responsabili delle na-zioni operano per attuare un modello di ordine e di giusti-zia, superano la ricerca della pace come semplice assen-za della guerra o come unico impegno a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse e ponendosi come promo-trici di giustizia, aspirano a quella pace che è “opera della giustizia” (Isaia 32, 17). L’ha ben sintetizzato Paolo VI: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace» (Paolo VI, Po-pulorum Progressio 1967, n. 76), legge pratica ed etica imprescindibile per tutti coloro che hanno responsabilità politiche, sociali, economiche, culturali e religiose.Pace e giustizia

Se il dialogo è la via maestra per arrivare alla pace, il senso di responsabilità di chi detiene il potere, ad ogni livello e in ogni istituzione, è ciò che prepara al dialogo fruttuoso. Certo, il campo dei bisogni e la necessità di giustizia spesso si presentano in tutta la loro drammati-cità e difficoltà di risoluzione, per cui avviene che i re-sponsabili di tutte le istituzioni non sempre dispongono di competenze per leggere i bisogni, disegnarne delle vere e proprie mappe, studiarne e comprenderne le cause e le interdipendenze. Inoltre non tutte le istituzioni si sentono pronte ad affrontare l’immane opera del ristabilire l’ordi-ne e la giustizia partendo dall’analisi e soddisfazione dei bisogni, dalla comprensione di quanto questi generano

ovunque conflitti e atti di terrorismo, di quanto l’industria delle armi sia determinante nell’alimentare nuove guer-re. Assistiamo, allora, a diverse forme di superficialità ed irresponsabilità. Non si è capaci di cogliere i rapporti tra i piccoli e i grandi conflitti, soprattutto non si posseggo-no strumenti idonei per valutarne il potenziale. Inoltre la risoluzione dei conflitti rischia di fallire se praticata con incompetenza e superficialità. Una mediazione può avere successo e un accordo può essere stabile solo nella misura in cui le parti sono messe a loro agio in un clima di dialogo sincero, si sentono comprese e soddisfatte nei loro biso-gni, altrimenti si crede di avere risolto il conflitto ma non si è fatto altro che inasprirlo, oppure si è risolta solo una parte di esso e si sono trascurate altre sue fonti. Più vol-te Giovanni Paolo II ha espresso, in questa luce, la “pie-na fiducia in tutti gli sforzi umani, che mirano a togliere di mezzo le occasioni di tensioni e di conflitti mediante la via pacifica del dialogo paziente, degli accordi, della comprensione e del rispetto reciproci” (Giovanni Paolo II, Euntes in mundum, 1988). In conclusione il pensiero va a tutte quelle esperienze di dialogo, piccole e grandi, note e sconosciute, in cui è stato evitato o risolto un conflitto. Sono quei casi che ci fanno ancora sperare e gioire con il profeta, dicendo: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messag-gero di bene che annunzia la salvezza” (Isaia 52,7).

La pace: termine complesso

e impegnativo.È preparata dal dialogo.Si fonda sulla giustizia

e sull’amore.

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L’ altare girato verso l’assemblea e la Messa in italiano. Così, per molti, fu il Concilio Vaticano II. C’è ancora chi ricorda che cin-

quant’anni fa si andava ad “assistere” alla Messa. Non era-no pochi coloro che rimanevano sul sagrato della chiesa fino all’offertorio ed entravano per osservare il “precetto” più che per celebrare il giorno del Signore. Non è dunque un caso che i Padri Conciliari maturassero la convinzione che per giungere a una riforma autentica della vita cristia-na e della Chiesa, occorresse dare vita ad un cammino di riforma innanzitutto dal punto di vista liturgico. Era il 4 dicembre 1963 e con votazione plebiscitaria (4 contrari su 2147 favorevoli) la Sacrosanctum Concilium fu appro-vata. Un evento storico di eccezionale importanza, non solo perché per la prima volta un Concilio ecumenico si interessava della liturgia nella sua globalità (nei suoi con-tenuti teologico-celebrativi e nella sua dimensione pasto-rale), ma anche perché, a distanza di quattro secoli esatti dalla chiusura del Concilio di Trento (4 dicembre 1563) - che con l’intento dell’unità disciplinare aveva prodot-to l’uniformità e il fissismo dei riti liturgici -, il Concilio compiva una svolta radicale: quella di dichiarare la litur-gia “culmine e fonte” della vita della Chiesa (SC 10) e di fare “un’accurata riforma generale della liturgia” (SC 21), fino a prevedere un profondo adattamento (una vera inculturazione) alle singole Chiese, pur nell’unità sostan-ziale del rito romano.

Un documento che sorregge l’intero ConcilioI Padri, acutamente, videro nella riforma liturgica l’ar-

chitrave su cui poggiare tutto il resto del magistero conci-liare. Il magistero liturgico del Concilio Vaticano II appare veramente come un grande atto profetico, con cui la Chiesa ha cercato di riprendere il filo della sua tradizione miglio-re, superando la crisi di identità che il XIX e il XX secolo aveva profondamente manifestato. Il Concilio, nel mirare a restituire alla liturgia tutta la ricchezza che la tradizione vi aveva sperimentato, ha dovuto pensare in grande, non sol-tanto secondo le logiche del secondo millennio, ma anche secondo quelle del primo millennio. Ha parlato, per que-sto, nella Sacrosanctum Concilium, un linguaggio molto più biblico e patristico che sistematico; ha ragionato più in termini di esperienza comunitaria che nei termini di “sal-vezza dell’anima”; ha guardato positivamente alla ricchezza delle differenze piuttosto che negativamente all’alterazione della verità; ha scelto la profezia di “ventura” contro i pro-feti di “sventura”. Ha fatto prevalere la riscoperta dell’uso piuttosto che la denuncia dell’abuso. Da questo punto di vista non c’è nel Concilio nessuna tendenza “archeologica”, ma un interesse fondamentale all’arricchimento di una pra-tica rituale che aveva assunto stili troppo autoreferenziali e spesso senza più capacità di comunicazione.

Cinquant’anni fa, l’11 ottobre 1962, si apriva

a Roma il Concilio Vaticano II, che avrebbe cam-biato il volto della Chiesa cattolica. Alcuni ne-gano questo fatto, altri dicono che il mutamen-to non toccò la sostanza delle cose. Altri ancora che il Concilio fu un tradimento della tradizione. Che cosa è stato?

Ognuna di queste opinioni, appena citate, può avere una risposta positiva. Per chi è affezionato alla tradizio-ne intransigente dell’Ottocento e della prima metà del Novecento è vero che il Concilio ha tradito, ad esempio, il Sillabo (elenco di punti di condanna) di Pio IX. Ed è anche vero che il Concilio non ha rinnegato la sostanza

Il Concilio davanti a noi

L’architrave del concilio

Che cosa rappresenta, per il Vaticano II, la Costituzione Sacrosanctum Concilium, sulla Liturgia?

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del Vangelo, anzi l’ha resa più vicina agli uomini di oggi.Anche chi dice che il Concilio ha cambiato il volto

della Chiesa cattolica coglie il vero, ma finisce poi nel ri-cadere in una delle due posizioni precedenti. Ma quando le affermazioni sono tutte vere, vuol dire che rispondo-no a domande sbagliate. Prima di affermare la continu-ità o la rottura bisogna perciò cercare di comprendere che cosa fu effettivamente il Concilio, quale evento che ha scosso l’attenzione dei cristiani, ma non solo di essi, tra il 25 gennaio del 1959, data del suo annuncio, e l’8 dicembre 1965, data della sua conclusione. E allora sco-priamo che la Chiesa cattolica fu in quegli anni qualcosa che non eravamo più abituati a vedere. Nella Basilica di San Pietro partecipavano alle assemblee quegli “ereti-ci” che la II lettera di Giovanni ci esorta a non ricevere nemmeno in casa e a non salutare. Anzi, parecchi di loro influirono in maniera molto discreta nella redazione dei documenti. Erano praticamente presenti personalmente tutti i vescovi della Chiesa cattolica, fatto mai avvenu-to prima. Teologi che prima erano stati messi al bando furono tra i principali redattori dei testi delle decisioni finali. Si respinsero tutti i documenti, (con l’eccezione dello schema sulla liturgia), predisposti dalla Commis-sione teologica preparatoria, perché redatti in linguaggio tecnico, neoscolastico, incapace di tradurre la preoccu-pazione “pastorale” del Concilio. Si decise, accoglien-do il desiderio di Giovanni XXIII, di non condannare nessuno. Ma, al di là di queste note più appariscenti, il Concilio fu un grande evento di Tradizione, di trasmis-sione, cioè, del Vangelo ricompreso in maniera tale da parlare agli uomini del proprio tempo, dove tutti eb-bero la loro parte: l’esperienza spirituale dei cattolici del Novecento, la ricerca dei teologi, anche di quelli “non romani”, il discernimento dei vescovi, l’opinione pubblica. Come evento di Tradizione il Concilio dettò alle generazioni future, prima ancora delle sue deci-sioni finali, quello che la Chiesa deve sempre essere: tradizione viva del Vangelo, sempre protesa a liberare il Vangelo da quei “rivestimenti” che impediscono agli

uomini di comprenderne la ricchezza, per tro-varne di più adatti e di più fedeli. Solo dopo aver assimilato i vari aspetti di quell’evento storico, possiamo chiederci dove è stato il cambiamento e rispetto a che cosa.

La prima Costituzione conciliare fu la “Sacrosanctum Concilium”. Dove stanno le intuizioni più felici e feconde?

Sono due. In primo luogo la presentazione della liturgia come attuazione dell’opera della redenzione, liberandola così dalla concezione societaria, dove essa appare come l’espressione del culto pubblico della Chiesa. Si recupera così la visione misterica. L’esperienza liturgica vie-ne cioè vista come punto di partenza e punto di arrivo di tutta l’azione della Chiesa, e capace di assolvere a questa funzione perché esperienza simbolica dell’unione con Cristo Risorto che si

rende presente nella celebrazione, grazie all’azione dello Spirito. E questo vuol dire soprattutto che trae la sua ra-gion d’essere dal mistero che il Vangelo annuncia e che la celebrazione rende presente.

La seconda grande affermazione della costituzione li-turgica è quella (n.26) che pone tutta l’assemblea dei fe-deli, radunati attorno al vescovo, come soggetto di ogni celebrazione e non solo il vescovo o il prete. Salta qui lo schema clericale.

La Sacrosantum Concilium «cuore del Concilio». La Dei Verbum supera quella che viene chiamata la

concezione teorico-istruttiva della Rivelazione e conce-pisce questa piuttosto come l’azione del Padre mediante il Figlio e nello Spirito, azione con cui gli uomini ven-gono invitati e accolti nell’amicizia trinitaria. Ma que-sto vuole dire che la storia della Rivelazione è la storia concreta delle donne e degli uomini. La liturgia, quale celebrazione simbolica in cui la Chiesa riconosce se stes-sa, dovrebbe diventare allora il luogo in cui la storia degli uomini viene risignificata alla luce dell’azione di Dio nel-la storia vissuta che i credenti sono chiamati a scoprire.

Ma è doveroso chiederci se nelle nostre liturgie que-sto avvenga.

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“Nel paese c’era una casa. Era molto antica e ben costruita. La porta era bella, larga e si apriva sulla strada, dove passava la gen-

te...». Così comincia la «parabola della porta», che un biblista olandese, per molti anni impegnato in Brasile, Carlos Mesters, ha scritto e posto come introduzione ad uno dei suoi libri più belli e conosciuti, Dio dove sei? Bibbia e liberazione umana (Queriniana). È il racconto di una casa, un tempo frequentata da tutti ma che, con l’arrivo di alcuni studiosi specialisti, diventò sempre più inaccessibile, al punto che «il popolo quando entrava ammutoliva». Con il passare degli anni si arrivò perfino a dimenticare la porta. «Un turbine di vento addirittura la chiuse. Nessuno se ne accorse. Ma non la chiuse del tutto. Ci rimase una fessura. L’erba ci crebbe davanti. L’interno si fece sempre più buio perché mancava la luce che veniva dalla strada. Fu necessario accendere le can-dele. Ma la luce artificiale alterava i colori». Finché un giorno un poverello, senza casa né tetto, si rifugiò tra i cespugli che crescevano al margine della strada, in cerca di riparo. Ad un trat-to si accorse che c’era una fenditura, come una por-ta, e vi entrò. Davanti a lui apparve una casa enorme. Una casa così accogliente che si sentì subito a suo agio. Il giorno dopo ci tor-nò. Ci tornò sempre. Altri poveri andarono con lui. Entrarono tutti, in fila in-diana, attraverso la stretta fenditura della porta che dava sulla strada. Per terra si formò un sentiero stret-

to, battuto. Si aprì un nuovo cammino». Questa «para-bola della porta» si riferisce, è evidente, alla parola Dio: per lungo tempo i credenti sono stati espropriati della possibilità di frequentarla. La Costituzione conciliare Dei Verbum l’ha portata al centro della vita cristiana. È importante capire brevemente le novità del testo con-ciliare rispetto ad una lunga storia (che ha inizio con la Riforma protestante).

Una parola mutaCertamente la reazione cattolica alla Riforma pro-

testante portò, tra le altre cose, all’emarginazione della Bibbia. Se dalla parte protestante era stata scelta la «sola Scriptura» come regola suprema della fede, da parte cattolica si pose l’accento sull’importanza del magistero ecclesiastico. La Bibbia diventò di fatto «monopolio del clero», mentre tra il popolo si diffuse l’idea che leggerla fosse pericoloso. Così alla parola della Scrittura si sosti-

tuì il catechismo: dapprima quello del Concilio di Trento (1566), poi di Pio X (1912).In tal modo venne, come nella parabola della porta, sbarrato al popolo l’accesso alla Bibbia che invece venne riservata al clero e alle scuole teologiche. In realtà anche nei libri di teologia che venivano usati nei seminari, la Bibbia non aveva il primo posto: la sua funzione era solo quella di spiegare e puntellare le tesi te-ologiche già proposte. Spesso le citazio-ni erano riprese al di fuori del loro con-testo letterario e storico, al di fuori di un senso globale della storia della salvezza. Nella catechesi, dato che le «verità» cristiane erano già contenute nelle for-mule, la Bibbia aveva più un’utilizzazio-ne episodica, illustrativa e moralistica.

Il Concilio davanti a noi

Porta sbarrataporta spalancata

Ai credenti è stato negato per lungotempo l’accesso alle Scritture.Dopo la costituzione Dei Verbum tutti,anche gli indotti, hanno varcato la sogliae si sono trovati di casa.

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Il risveglio biblicoGià a partire da alcuni decenni prima del Concilio, nei

cattolici si mise in atto un rinnovato interesse per la Bibbia. I fattori di questo rinnovamento furono diversi. Il Magistero si pronunciò in più occasioni sugli studi biblici e all’inizio del secolo venne istituita dal papa la Pontificia Commissio-ne Biblica con il compito di vigilare sugli studi biblici. Venne intensificato, infatti, lo studio sistematico della Bibbia e di tutte le scienze ausiliari. Tra esse vanno ricordate: la Scuo-la Biblica di Gerusalemme, il Pontificio Istituto Bìblico di Roma e lo Studio biblico Francescano che si è distinto per le ricerche archeologiche in Terra Santa. L’influsso di que-ste scuole fu notevole, sia nel campo delle pubblicazioni, ma soprattutto per la traduzione della Bibbia dai testi originali (prima queste erano fatte sempre sulla Vulgata di San Ge-rolamo, del quinto secolo). La versione più famosa, ancora oggi usata per il suo apparato critico, è la cosiddetta Bibbia di Gerusalemme, tradotta in tutte le lingue principali.Un nuovo concetto di Rivelazione

II Concilio Vaticano II, sin dall’inizio, opera una scelta inedita: mette a tema un documento sulla Parola di Dio. La tormentata storia del testo (approvato nella sessione otta-va del 1965 benché la Commissione fosse stata nominata fin dall’estate del 1959) esprime tutta la ricerca dei padri conciliari, tesa a far risaltare, più che gli aspetti difensivi o in opposizione alla visione dei fratelli protestanti, lo splen-dore e l’importanza della Parola di Dio per la fede stessa dei cristiani. Il punto cruciale in discussione è stato la ricom-prensione del concetto di «Rivelazione».

Quali sono state le novità della Costituzione Dei Verbum?

La novità più importante della Dei Verbum sta nell’aver assunto una prospettiva storico - salvifica. La Rivelazione, cioè, non è stata presentata come comunicazione di idee o come insegnamenti di dottrine da parte di Dio, ma in una economia di eventi, accompagnati da parole (DV 2), attraverso

i quali l’uomo è stato condotto a capire il proprio mi-stero in ordine alla salvezza. La verità della Rivelazione riguarda appunto la salvezza dell’uomo (n. 6). Non si legge perciò la Scrittura per sapere come è fatto l’uni-verso, come è strutturata la materia, come è sorta la vita, o come è iniziata l’avventura umana. Anche le notizie storielle contenute nella Scrittura sono spesso molto ap-prossimative e anche contraddittorie. La finalità dei rac-conti è rivelare Dio come salvatore dell’uomo. Conse-guentemente la fede è l’atteggiamento con cui “l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente, prestando-gli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” (n.5) per acquisire la propria identità di figlio di Dio. A tale scopo il Concilio ha insistito sulla necessità di diffon-dere la conoscenza della Scrittura e di praticarne la “pia lettura” con quelle iniziative che “oggi lodevolmente si diffondono ovunque” (DV25, 2).Il rapporto tra Bibbia e Tradizione nella costi-tuzione conciliare.

La recezione di questi suggerimenti pratici è stata ampia nella Chiesa, anche se ancora resta un cammino

da fare. Il rapporto Bibbia e Tradizione è stato descritto in modo molto chiaro. La Scrittura nasce all’interno di una tradizione esperienziale della fede in Dio dei Padri e delle prime comunità dei discepoli di Gesù. Raccoglie le tradizio-ni orali relative alle esperienze del popolo ebraico (Primo Testamento) e delle prime comunità dei discepoli di Gesù (Nuovo Testamento). Ma la redazione della Scrittura non chiude lo sviluppo della conoscenza. “Cresce infatti la com-prensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità” (DV 8, 2). Così la Chiesa “nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengono a com-pimento le parole di Dio”. La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa” (DV 10, 1). In tale modo “la Chie-sa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate con pari sentimento di pietà e riverenza” (DV 9). Non vi è quin-di motivo di tornare a contrapporre Scrittura e Tradizione o di presentare l’una indipendentemente dall’altra come due fonti diverse di conoscenza della Rivelazione salvifica. Unica è la Parola che ci perviene in forme intrecciate fra di loro.L’entrata è diventata più larga

Insomma, la ricomprensione della concezione della Rive-lazione, che portò, dopo faticosi tentativi, alla «Dei Verbum», ha rappresentato per la Chiesa come uno sfondamento di ar-gini. La Scrittura, a lungo tenuta chiusa dentro le scuole, fu come una linfa vitale che rinnovò tutte le espressioni della fede. Da allora, come nella parabola della porta, «l’entrata diventò un po’ più larga di prima e il popolo e la luce inon-darono la casa. La casa si illuminò tutta, diventò anche più bella. Ci si stava meglio. Il popolo ne era felice».

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La recente Legge Regionale 28 novembre 2007 n. 30, “Normativa in materia di orari degli esercizi commerciali”, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 48 del 30 novembre 2007 (1° Suppl. Ord.), porta con sé una serie di novità di rilievo.

In particolare, una forte estensione della possibilità di apertura domenicale di negozi e centri com-merciali, giunta a ridosso delle festività natalizie, ma destinata a permanere.

Tutto ciò non può non suscitare perplessità ed interrogativi cui danno voce le righe che seguono, così che la riflessione su temi che riguardano da vicino ritmi e stili del vissuto dell’intera cittadinanza non venga meno, anzi, si approfondisca e possa avvantaggiarsi di un confronto; il più ampio, sereno e continuativo possibile.

La tradizionale laboriosità delle genti di Lombardia è un tratto caratteristico che da sempre contribuisce a dare forma a quello “stile di vita” lombardo, universalmente riconosciuto ed apprezzato. Il mondo del commercio, in tutte le sue articolazioni, ha concorso non poco a realizzarlo, rendendo possibile la soddisfazione di alcuni bisogni pri-mari e agendo, al tempo stesso, quale fattore di sviluppo per l’intera società. L’attività commerciale, sia nella sua forma più capillare, terri-torialmente diffusa, sia in quella che si svolge nei centri commerciali di vaste dimensioni, rappresenta una realtà molto radicata entro il nostro tessuto sociale, in grado di influire non poco sulla vita delle persone, sul loro relazionarsi reciproco, sui rispettivi ritmi di vita; in una parola, sulla qualità complessiva del vissuto.

A tutto ciò è connessa una grande responsabilità: della cittadinanza, dei titolari delle attività commerciali e delle istituzioni. La normativa recentemente approvata dal Consiglio regionale della Lombardia, che amplia considerevolmente gli orari di apertura degli esercizi commer-ciali nei giorni festivi e domenicali, non può, in questo senso, non susci-tare molteplici interrogativi, che sottoponiamo alla riflessione comune.

Una serie di perplessità riguarda anzitutto lo squilibrio concernen-te i ritmi della temporalità, cioè inerenti alla qualità della vita, da sem-pre fondati sull’alternanza tra tempo del lavoro e tempo del riposo e della festa. Estendere i tempi dedicati al consumo anche a numerose giornate festive comporta, prima di tutto, un aggravio per i dipendenti del settore e ancor più per i titolari dei piccoli esercizi a conduzione familiare che, in caso di apertura domenicale, per una scelta determi-nata dalla necessità di sostenere la concorrenza della rimanente distri-buzione, sarebbero costretti a lavorare sette giorni su sette. Comporta inoltre il sostanziale accantonamento di un sistema di vita in cui la festa era considerata luogo non soltanto di ricupero di energie fisiche, ma di conseguimento di quelle finalità (religiose, relazionali, culturali, edu-cative, di servizio all’altro, sociali…) altrimenti impossibili nel corso dell’ordinaria ferialità. Tanto più oggi, in cui il tempo feriale è ormai quasi del tutto “governato” dalla logica e dai ritmi del lavoro. Altrimen-ti, anche la domenica finirà, prima o poi, per essere dominata dalla lo-gica dello scambio, della contrattazione e del consumo; da che cosa, continuando di questo passo, le persone finirebbero per accorgersi che quel giorno è domenica?

Di qui il primo interrogativo che ci permettiamo di sottoporre

“Dà all’anima la sua Domenica, dà alla Domenica la sua anima” COMUNICATO DEGLI UFFICI DIOCESANI LOMBARDI DI PASTORALE DEL LAVORO

a margine della nuova normativa regionale in merito all’apertura festiva e domenicale degli esercizi commerciali

di GIANCARLO BREGANTINIArcivescovo di Campobasso

e presidente della Commissione per i problemi sociali e il lavoro

dalla Cei Tre sono le ragioni che hanno spinto i commercianti contro la liberalizzazione estrema della domenica. Infatti, è dalla base che è partita l’indigna-zione contro una libertà sfrenata.

I valori in gioco sono, in-nanzitutto, quello antropologi-co: senza il riposo domenicale ogni uomo si fa vuoto, privo di luce, non gusta più le belle cose che fa. Il riposo è cioè antropologicamente necessa-rio.

In secondo luogo, c’è la ragione familiare perché le famiglie, specie le mamme costrette a lavorare di dome-nica, non hanno più la possi-bilità reale di seguire i loro figli. La casa si spegne del calore familiare per un ipotetico van-taggio economicistico.

Terzo: le motivazioni eco-nomiche. Si constata, infatti, che la legge sulle liberalizza-zioni ha di fatto abbassato i ri-cavi del commercio di ben il 2 per cento. I supermercati aper-

ti perdo-no an-che in termini f i n a n -z i a r i . Non è vero che è un rimedio per rilanciare l’economia, anzi la peggiora. A dimostrazione che non basta la libertà, da sola, per dare slancio all’eco-nomia, ma occorre investire soprattutto in etica.

Non si tratta, dunque, di una battaglia “clericale” né di difesa della Messe festiva, È perciò una battaglia umana, sociale ed economica intel-ligente. L’obiettivo è creare un’imponente raccolta di firme per il cambio della legge sulle liberalizzazioni perché la rego-lamentazione del commercio domenicale passi alle Regio-ni, che potranno saggiamente distribuire tale opportunità a seconda della conformazione geografica e turistica delle va-rie località. L’apertura domeni-cale dei negozi diventa, così, un’eccezione, non una regola. Questo è il nocciolo etico e po-litico della proposta.

APERTURA DOMENICALEECCEZIONE NON REGOLA

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all’attenzione di tutti: in che direzione siamo incamminati? Verso ritmi di vita sempre più insostenibili, nella direzione di un vissuto sempre più incapace di esprimere significati che vadano al di là della logica del pro-durre- distribuire-consumare a ritmi e con volumi sempre maggiori? A chi giova questa spirale per cui a tempi di lavoro sempre più dilatati devono corrispondere tempi di consumo ancora più ampi per consen-tire appunto a chi lavora il consumo?

E ancora: di fronte a questo fenomeno, certamente complesso e di vaste proporzioni, è possibile assumere soltanto l’atteggiamento della passiva rassegnazione, che si limita a registrarne gli sviluppi e a gestirne le principali implicanze o è ancora possibile un suo governo?

E non è pensabile proporsi uno stile di vita diverso, che diventi esemplare anche per gli altri?

Biblicamente, il tempo festivo non è soltanto compensazione del tempo speso nella fatica del lavoro, ma pienezza di vita, occasione per sostare e gustare i frutti della ferialità. Questo motivo trova la sua eco in numerosi interventi ecclesiali, anche molto recenti.

Nelle conclusioni del IV Convegno nazionale della Chiesa italia-na, celebratosi nell’ottobre dello scorso anno a Verona, si sottolineava con grande efficacia che “non è soltanto il lavoro a trovare compimen-to nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto quest’ultima il ‘giorno della gratuità e del dono’ che ‘risuscita’ il lavoro a servizio dell’edificazione della comunità”. È la festa la realtà capace di restituire di continuo significato il resto del tempo, dal momento che la vita non è finalizzata al lavoro, ma alla sua pienezza, anche ultima, di cui il ripo-sare è segno storicamente tangibile. Con Benedetto XVI, potremmo dire che “il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione del l’uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell’umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l’uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, preten-dendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita” […] È nel giorno consacrato a Dio che l’uomo comprende il senso della sua esistenza ed anche dell’attività lavorativa” (Sacramentum caritatis, 74). O, riprendendo questa volta il Card. Faulhaber, citato da Benedetto XVI a Vienna il 9 settembre 2007: “Da’ all’anima la sua Domenica, da’ alla Domenica la sua anima”.

Allo stesso modo, non mancano testi autorevoli che contrastano la logica consumistica; per tutti, basti rileggere Giovanni Paolo II in Centesimus annus 36.

Non si tratta, come si noterà, di motivazioni squisitamente religio-se, ma del rispetto di valori antropologici, universalmente riconosci-bili ed apprezzabili. Tra questi, vi è certamente da custodire anche la dimensione relazionale: fondamentale ovunque, ma in particolare nel tempo cosiddetto “libero” da impegni o dal lavoro.

La nostra stessa vita, fin dalle sue radici, è intrinsecamente relazio-nale: proviene da altri, cresce, si sviluppa in continua interazione con l’altro: sia esso genitore, fratello, insegnante, concittadino, collega, e via dicendo. Ma è soprattutto in famiglia che possono svilupparsi relazio-ni intense ed approfondite, che esigono condizioni precise per questo, quali anzitutto il potersi ritrovare il più possibile assieme in uno stesso giorno. Là dove la relazione educativa è compromessa emergono for-me di disgregazione, di violenza, che può estendersi fino al “bullismo”.

Occorre più che mai, secondo noi, andare incontro alla domanda di tempo condiviso che emerge dalle nostre famiglie, che vanno soste-nute nella loro ricerca di dialogo, in coppia e con i propri figli, di con-fronto, di apertura reciproca ben oltre il livello della pura funzionalità, per evitare che anche all’interno della realtà familiare si ripropongano stili di vita legati alla sola divisione dei ruoli.

Chi abbia a cuore il benessere integrale della persona umana non può pertanto non adoperarsi per difendere il significato antropologico, culturale, sociale e per il cristiano anche religioso della domenica e, in ogni caso, del giorno comune a tutti di riposo festivo, nella certezza che “salvare” la domenica non significa soltanto salvare un giorno del-la settimana. “Salvare” la domenica significa piuttosto “salvare” l’uomo stesso, cioè aiutare ogni uomo ad essere “più libero”, ad essere – in definitiva – “più uomo”.

Lo “stile di vita” lombardo, sopra ricordato, impregnato di feconda laboriosità, di cui anche l’attività commerciale è espressione, riteniamo debba essere aiutato a rimanere orientato alle finalità più alte che la cittadinanza lombarda è bene non smarrisca. È da apprezzare, infatti, un lavorare, un agire operoso che rimanga però anzitutto a servizio dell’uomo, della persona, della famiglia, della società; che è come dire, del bene comune e di tutti. E non di altro.

PER FIRMAREVerrà data indicazione del luogo, giorno e orari per la raccolta delle firme e la proposta di una

serata informtativa. È inoltre possibile sottoscrivere la proposta di

legge presso gli uffici dell’anagrafe di tutti i comuni della provincia di Brescia.

E’ necessario il certificato elettorale.

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I giovani in parrocchia stanno diventando, sempre più, presenze evanescenti. Oggi è difficile incontrare un gruppo di giovani al di sopra dei 18 anni che si ri-trovi in parrocchia per un cammino di formazione. Se c’è, nella maggior parte dei casi è semplicemente im-pegnato nell’animazione dei più piccoli. L’assenza dei giovani all’interno della parrocchia è un problema da non sottovalutare, e molte sono le cause di questa de-fezione. Le elencava e spiegava molto bene Armando Matteo nel suo saggio, La prima generazione incredu-la 1, che ha spopolato nelle librerie cattoliche qualche anno fa.

Adulti poco credibiliSicuramente uno dei principali motivi dell’assenza

dei giovani è la mancanza di adulti credibili sul piano della fede. Mancano, cioè, adulti che sappiano raccon-

tare, oltre che con le parole anche con i fatti, il loro cre-do in Gesù, il Vivente. Sono assenti quegli adulti che potrebbero diventare punto di riferimento nell’accom-pagnamento di tanti giovani disorientati, fragili e inca-paci di riconoscere i veri valori di una vita buona. Non ci sono più gli adulti sereni, contenti di sé stessi e della vita, soddisfatti ed appagati, e per questo, dunque, ca-paci di infondere fiducia e speranza nei giovani.

Aumentano, invece, in modo esponenziale, gli adul-ti che vedono nei giovani un problema radicato e irri-solvibile e che, conscguentemente, non sono disposti a perdere del tempo per loro e con loro.

E tuttavia, se ai giovani ci si avvicina con rispetto e sacralità, se li si ama in maniera disinteressata e libe-ra, ci si accorge che essi non sono assolutamente un problema. Caso mai sono solo il riflesso del vero defi-cit che sono gli adulti. Sono una risorsa che, quando è accolta e veramente valorizzata, dà i suoi buoni frutti.

Un’alleanza da costruireCerto i giovani sono uno scrigno prezioso che molto

spesso è chiuso da numerosi lucchetti e che, per essere aperto, richiede, necessariamente, una molteplicità di chiavi. Per dirla con il linguaggio degli internauti, i gio-vani sono come “cartelle piene di file”, un po’ segrete, per aprire le quali sono necessarie molte password2. Per esperienza personale una delle chiavi di accesso al mondo giovanile è senza dubbio rappresentata dalla capacità di costruire alleanze con i giovani.

Anche nella Bibbia, l’alleanza (berit), il legame, ha sempre rappresentato la modalità e lo stile attraverso cui Dio educava il suo popolo. Cosi, nell’educazione delle nuove generazioni, è essenziale costruire allean-ze, legami, cioè instaurare con i giovani relazioni signi-ficative, autentiche, belle, sane e libere, fondate sulla fiducia e sul rispetto, senza alcun timore di eventuali

Scrigno chiuso da numerosi lucchettiI giovani sono come cartellepiene di files.Per “entrare” occorronomolte password.Quali?

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allontanamenti o rifiuti. E’ questo, del resto, anche lo stile di Gesù, il quale ha potuto comunicare vita e spe-ranza alle persone solo dopo aver creato, con ognuna di esse, un rapporto di fiducia e di libertà.

Competenza e disponibilitàE’ così che ad ogni vero educatore oggi si chiede di

costruire legami sulla competenza e disponibilità: egli non deve essere semplicemente capace di gestire un gruppo, ma deve essere in grado di intessere una re-lazione di libertà e fiducia personale con ogni ragazzo che di quel gruppo fa parte.

Per quello che ho compreso frequentando i giovani, l’alleanza parte dall’ascolto profondo, che è uno spa-zio di ospitalità, in cui diventa facile aprirsi, raccontarsi, esporsi. Si tratta di un ascolto che richiede, da parte dell’educatore, un’accoglienza estrema, un’offerta gra-tuita d’attenzione, un rispetto incondizionato dell’al-tro, ma anche una profonda affettività, scevra da pre-concetti e schemi educativi già precostituiti. Il dialogo di un adolescente o di un giovane con un adulto non è un processo spontaneo o scontato. E’, piuttosto, una cauta apertura che può costare tempo e fatica, e che, in ogni caso, si può realizzare solo nella misura in cui l’educatore riesce a trasmettere affidabilità e compe-tenza.

Mi sembra che le parole di Charmet esprimano molto bene l’atteggiamento dei giovani verso l’adul-to: “Una volta deciso che hanno di fronte un adulto com-petente e affidabile, gli adolescenti fragili e spavaldi ne fanno un uso intensivo, dimostrando quanto sia reale e profonda la loro motivazione ad attrezzare una relazione funzionale con il mondo adulto e come sia cruciale per loro sentirsi in relazione.”3

Veridicità di parole intercorsePer un adulto-educatore costruire un’alleanza con

un giovane vuol dire, dunque, creare una relazione so-stenuta non dall’età, o dal ruolo rivestito, ma dalla ve-ridicità delle parole intercorse, nonché dalla fiducia e dalla confidenza che si è stati in grado di generare. Ma per un educatore è poi importante costruire alleanze non solo con i giovani, ma anche con tutti quegli altri soggetti che di giovani si occupano. Intendo dire, che chi è impegnato nel servizio educativo delle nuove ge-nerazioni non può avere uno stile autoreferenziale, ma deve essere capace di costruire alleanze tra tutti colo-ro che svolgono funzioni educative negli ambienti più diversi: in famiglia, a scuola, in parrocchia, ma anche in settori meno istituzionali, come nello sport, nella mu-sica, nella comunicazione mediatica e virtuale e nello svago in genere. Ricordo, per tutti, l’esperienza di un allenatore di una squadra di calcio che era diventato il punto di riferimento di tanti giovani che andavano a chiedergli consigli di ogni tipo, dal lavoro, ai rappor-ti con i genitori, alle questioni affettive. E’ sempre più necessario che tutte le agenzie educative, se hanno a cuore la vita dei giovani, non operino isolatamente, ma si mettano in rete, creino alleanze educative, per proporre modelli di realizzazione positivi, che aiutino i giovani a riconoscere punti fermi, valori sicuri per cre-scere e realizzarsi come persone libere e felici4.

1 A. Matteo, La prima generazione incredula, Ed. Rubbettino, Catanzaro, 2010

2 A. Guglielmi, Accompagnare/testimoniare”la pastorale giovanile” in Crede-re Oggi, Giovani e fede, n. 2 anno XXXII, Ed. Messaggero, Padova 2012

3 G.P. Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratti di un adolescente di oggi, Ed. La-terza, Roma-Bari, 2008, pag.116-118

4 J. Korczak, II diritto del bambino al rispetto, Ed. dell’Asino, Roma, 2011 p. 41

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LA FEDE HA I SUOI GESTI

CONOSCO IL TUO NOMEC’è un gesto che ci qualifica e ci distingue come credenti: l’invocazione del nome del Signore. È come una chiamata in causa. Ha mille variabili: la lode, la richiesta di perdono, la supplica. Questa scheda conclude il ciclo su “I gesti della fede”. In realtà li riepiloga tutti.Ci chiediamo:

Che significa l’espressione “Nome del Signore?” Si può dire che Dio ha un nome?

Che differenza c’è tra il nominare e l’invocare? Questo gesto che senso ha per la Bibbia?

Dove lo troviamo oggi nella vita della Chiesa?

Commento artisticoMANI CHE GRIDANO Dal famosissimo “Orante” delle catacombe ai gesti quasi teatrali della preghiera barocca, ai volti che semplicemente sembrano pregare con il loro stesso esserci dell’età moderna, abbiamo infinite possibilità di guardare insieme il tema dell’invocazione tradotto in pittura. Abbiamo scelto questa Deposizione, perché Caravaggio oggi parla molto al nostro cuore. L’invocazione esplicita è interpretata da Maria di Cleofa e da Maria Maddalena, i cui volti e gesti sono affidati a una stessa modella. L’invocazione e il racco-glimento orante sono due atteggiamenti che vivono in ciascuno di noi. Ma è il complesso del quadro che dà a questa preghiera una profon-dità inattesa. Lì, sotto le mani oranti, c’è il buco nero della morte in cui si sta infilando il corpo morto del Cristo. Tutto sembra essere morto: le folle sulle rive del lago di Tiberiade, le corse nei campi di grano con quei Dodici affamati, quei segni sugli ammalati, quel pane che non venne capito, ma che conteneva una promessa fan-tastica… Tutto morto. Soprattutto la speranza. E le mani di Maria di Cleofa, quelle più in alto, gridano al cielo tutta la nostra disperazione: il più buono è morto, il più promettente non par-la più, la violenza (processo, ferite e chiodi) ha vinto. Vien sù dalla buca il buio che va a spo-sarsi col freddo della pietra tombale. Tutte le paure e tutti i raggelamenti di sangue ci passa-no davanti e dentro: paure infantili, paure degli

I gesti della fede

INVOCARE IL NOME DEL SIGNORE

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Invocare il Nome del Signore - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Invocare il Nome del Signore - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia

Caravaggio, Deposizione dalla croce, 1602-1604, Roma, Pinacoteca vaticana.

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Invocare il Nome del Signore - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Invocare il Nome del Signore - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia

Quando nasce un bambino, la prima cosa che si fa è quel-la di dargli un nome. Così “esiste”, c’è per qualcuno, può essere chiamato. Il nome designa la persona umana nella sua unicità, singolarità, irrepetibilità.Il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe ha un nome (Es 3,14-15). Non si confonde con la totalità, con l’universo. Non è un pezzo di cielo, non è la personificazione di un elemento della natura o di un’energia dell’uomo (aggressività, amo-re). Si parla di lui con i verbi della persona: vede, ascolta, entra in risonanza di fronte alle afflizioni del suo popolo, chiama, invia, interviene (Es 3,1-15). Si specifica eventual-mente che egli:• è luminoso come il sole• è vitale come l’acqua• è libero come il vento…

Nominare, invocareLo stesso atteggiamento che si ha verso la persona, lo si ha verso il nome di Dio. Non si deve nominare invano. Chi lo fa si ritiene sovrano rispetto a lui. Vuole provocare lui un determinato effetto. Pensa di piegare l’Altissimo ai suoi voleri.Yahvé è, per definizione, libero e liberatore. Occorre in-vocarlo. Questo gesto ha mille volti: la lode (Sal 105,1; 2 Sam 22,4), l’appello accorato (Es 15,26; Gdc 16,28; 1 Sam 12,18, 1 Re 17,20), la richiesta di giustizia (2 Macc 12,6), l’appello finale al Dio della vita (2 Mac 14,66/66).Chi invoca sperimenta una pronta risposta (Is 58,9; Ger 33,3) sente la cura divina (Sir 2,10), trova salvezza, sente Dio vicino (Dt 4,7).Quando si invoca Dio? In tutte le varianti del bisogno: nel-la sete (Gdc 15,18), nell’angoscia (2 Sam 22,7; Sal 18,7), nella sventura (Sal 50,15)…

Credere e invocareL’umanità si divide in 2 blocchi:• quelli che invocano il nome del Signore. È la linea che

va da Enoc (Gen 4,26), Abramo (Gen 12,8), Isacco (Gen 26,25), Giosuè (Sir 47,5), Elia (1 Re 17,20), Isaia (2 Re 20,11), a Maria e Gesù.

• La gente che non invoca il nome di Dio (Is 65,1; Ger 10,25). Non è la stessa cosa. Nel primo caso si può sperimentare che l’esistenza è camminare alla presen-za di Dio. Nel secondo caso tutto il peso della storia grava sulle nostre spalle.

Gesù è il nome di DioIl nome di Gesù è oggetto di rivelazione. Solo il Padre cono-sce chi egli sia. Il nome dice la sua identità: quel bimbo è Dio che salva (Mt 1,25). I cristiani sanno questo per il dono della fede. Per questo invocano il nome del Signore (At 9,14.21). Per grazia fanno la stupefa-cente scoperta di un’iden-tità: Gesù, il crocifisso, è il Signore (Rom 10,9; 1Cor 12,3). Chi pronuncia que-sto nome ottiene ogni cosa dal Padre (Gv 15,16). Nel suo nome i discepoli pos-sono scacciare i demoni (Mc 9,38; Lc 10,17), guarire gli storpi (At 3,6), risanare gli infermi (Gc 5,14), rimet-tere i peccati (1 Gv 2,12).

Crediamo in un Dio che ha tre nomi. Nella Bibbia non si parla mai di Trinità. Si raccontano le opere del Pa-dre, di Gesù, dello Spirito. Sono tre persone distinte, ben caratterizzate. Agisco-no in unità. Sono tutte e tre rivolte al mondo. Sono coalizzate per la nostra sal-vezza (Mt 28,19-20).

spiriti cattivi, paure della notte, paura di restar chiusi den-tro qualcosa, paura della colpa, paura dell’atomica, pau-ra del tumore, paura della pazzia… Maria di Cleofa, le cui mani restano ancora rosse di vita, grida pure per tutti noi le nostre paure. Ma è alla Maddalena, una volta calmato il sussulto, che ora guardano i nostri occhi. In questa scena in realtà il corpo di Cristo è luminoso, tanto luminoso che Giovanni sembra intento a spiegare su un altare la tovaglia del santo Sacrificio. È già santa Messa. È già celebrazione della morte-resurrezione di Gesù. La Maddalena vive in questo momento alla sua Presenza e le sue labbra accen-nano a un sorriso. La notte si sta facendo chiara come il giorno. E Maria, la madre, a braccia aperte, ad ali spiega-te, sta radunando tutti i suoi piccoli attorno all’altare del Figlio. Ora la preghiera è veramente liturgica.

DIO HA UN NOME Percorso biblico

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Commento artistico AVVOLTI DALLA LUCE

Quest’opera non è tra i capo-lavori assoluti, ma è senz’altro tra le scene più conosciute nel mondo cristiano occidentale. Al suo nasce-re, ha destato sospetto la sua dol-cezza consolatoria, il suo rifuggire nel mondo contadino (quando in-vece la lotta vera stava nella classe operaia). Ma anche Millet era so-cialista, tanto che il quadro rimase invenduto e poi ceduto per pochi soldi. Ma c’era qualcosa di troppo umanamente vero nella sua opera. Non si può spiegare diversamente l’enorme successo che il quadro ebbe subito dopo la morte del suo autore. Molti pittori l’hanno copia-to. Ma il più grande ammiratore di Millet è stato Van Gogh. Anche Van Gogh ha fatto una copia dell’Ange-lus. Anche Van Gogh era socialista. Ambedue amavano la povera gen-te. Ma, mentre Van Gogh ha avu-to un’avventura pittorica e umana

tutta particolare, Millet è rimasto nel suo quieto realismo incentrato sul mondo contadino. Perché allora questo Angelus ha preso il volo nell’immaginario di milioni di persone? Qui la qualità della pittura non ha la precedenza: è un buon quadro, caldo, immerso nella luce, giocato su un’ampia orizzontalità. Le ombre portano quel tanto di plasticità che rende solide le figure e aiutano a creare il clima di raccoglimento. Il gioco del controluce porta una nota lirica che è la nota dominante dell’opera. Detto questo, dobbiamo annotare come il soggetto abbia conquistato più della forma stessa. Il pregare, l’essere avvolti dalla luce, l’essere uomo di fronte alla donna, lo stare a contatto della terra su cui poggiano gli strumenti del lavoro, l’esplicito riferimento al sacro mediante il campanile che si profila all’orizzonte… tutto questo sa di promessa mantenuta, o almeno, di promessa rilanciata. C’è chi sente istintivo coinvolgere in questa storia un Padre, che, a dir la verità, è stato Lui a coinvolgere noi. Ed ecco la preghiera. Spontanea, naturale come il respiro, avvolgente come chi si sente abbracciato. Sensata come chi non ha dubbi sul senso del tutto, anche se sa che solo Lui lo conosce. Quel geniaccio di Salvador Dalì ha supposto che, in partenza, ai piedi dei due giovani oranti, ci fos-se la bara di un bambino. I raggi x, a cui è stato sottoposto l’Angelus, hanno confermato l’ipotesi… e allora il commento dovrebbe ripartire da capo. O, forse, semplicemente, dovrebbe essere portato alla conclusione?

Vademecum liturgicoDALL’ALBA AL TRAMONTO

La comunità dei credenti è come sposa che veglia.• Può aprire e chiudere la giornata con il segno della croce. Mentre tocchiamo fronte, petto e spalle, sentiamo

che la Trinità ci avvolge. Il Padre manifesta la sua massima cura per noi nella croce, che Gesù ha affrontato in forza dello Spirito. Tre nomi sono qui con noi. Tre persone sono garanzia di vita.

• L’Eucarestia è il cuore della giornata. Sta al centro dell’invocare. Dà il tono a tutto. È il supremo grido che Gesù, a nome dell’umanità intera, fa salire al Padre.

• La preghiera del mattino è rappresentata dalle Lodi. Salutano il Cristo che, come sole nascente, dissipa le te-nebre. La Chiesa ci pone sulle labbra l’alfabeto dei Salmi. Hanno tutte le variabili del volto di Dio (rispettoso, fonte dell’amore, alleato fedele…). Manifestano tutte le variabili della condizione umana (vittoria, dolore, vecchiaia, sconfitta…).

• La preghiera della sera è rappresentata dai Vespri. Sono in sintonia con la Cena celebrata dal Signore. Ma-

Jean-Francois Millet, L’Angelus, 1857-1859. Musée d’Orsay, Parigi

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ria, con il Magnificat, intona per noi il canto di riconoscenza per le meraviglie di Dio.• A conclusione della giornata, recitiamo la Compieta. Ci pre-sta le parole Simeone (Lc 2,25-32). Ci rivela che la gioia suprema è quella di aver visto il Cristo e poterlo poi gustare in eterno.• Nella preghiera liturgica la comunità fa congiungere l’invo-cazione del Signore con le posizioni appropriate (cantare, alzare le mani per la lode, inginocchiarsi per la richiesta di perdono…). Nei pii esercizi tutto è lasciato alla nostra creatività.• Nelle celebrazioni sacramentali l’invocazione del nome del Signore (o della Trinità) è abbinato a gesti: immergere nell’acqua, ungere la fronte con il crisma, spezzare il Pane, far passare il Ca-lice, scambiarsi gli anelli, incensare il corpo del defunto, imporre le mani…• All’interno dell’Eucarestia abbiamo l’alfabeto per tutte le variabili dell’invocazione:- Alleluia, gloria a Dio, Santo… (per la lode)- Signore, pietà, agnello di Dio che togli i peccati del mondo… (per la richiesta di perdono)- Parola di Dio, parola del Signore (per l’accoglienza della rivela-zione).

CelebrareHO INVOCATO

IL NOME DEL SIGNORE 1. Amo il Signore, perché ascoltail grido della mia preghiera.2. Verso di me ha teso l’orecchionel giorno in cui lo invocavo.3. Mi stringevano funi di morte,ero preso nei lacci degli inferi,ero preso da tristezza e angoscia.4. Allora ho invocato il nomedel Signore:«Ti prego, liberami, Signore».5. Pietoso e giusto è il Signore,il nostro Dio è misericordioso.6. Il Signore protegge i piccoli:ero misero ed egli mi ha salvato.7. Ritorna, anima mia, al tuo riposo,perché il Signore ti ha beneficato.8. Sì, hai liberato la mia vitadalla morte,i miei occhi dalle lacrime,i miei piedi dalla caduta.9. Io cammineròalla presenza del Signorenella terra dei viventi.[Sal 116]

Tramate con noi insieme genitori e figli, in famiglia INVOCARE E’ VIVERE● Guardiamo la prima immagine, la Deposizione dalla croce, di Caravaggio. Leggiamo il commento.Chiediamoci: Che cosa esprimono le mani alzate della Maddalena? Che cosa ci rivela il volto di Maria di Cleofa? Perché il corpo di Cristo è luminoso?● Guardiamo la seconda immagine, L’angelus, di J.F. Millet. Leggiamo il commento. Chiediamoci: In quale atmosfera sono immerse le figure? Che cosa dicono le 2 figure con il capo chino e le mani giun-te? Abbiamo momenti, lungo la giornata, in cui noi invochiamo il nome del Signore?● Quando amiamo una persona, la nominiamo spesso. Proviamo a fare un piccolo esercizio: Chi nomi-niamo più spesso durante la giornata? Perché? Ci capita di chiamare qualcuno perché venga in nostro aiuto o anche solo per ricevere forza e sostegno?● Se sentiamo Gesù vicino a noi, lo chiamiamo in nostro aiuto e soccorso!● Proviamo a costruire noi (o a prendere dalla liturgia) espressioni brevi, che arrivino direttamente al cuore di Dio (Signore pietà, Signore, aiutaci; Signore, stai con noi; Vieni, Signore e salvaci; Grazie, Signore!).● Prima di nominare Dio, mettiamo in atto questi atteggiamenti: interrompiamo ciò che stiamo facendo; “chiudiamo la porta”; concentriamoci su ciò che ci sta più a cuore.● Tracciamo con calma, nelle più svariate situazioni, il segno della croce su fronte, petto, spalle. Sen-tiamoci come avvolti dalla Trinità. Pronunciamo con calma i tre nomi. Sentiamoci in compagnia di tre Persone.● Seguiamo il consiglio di Teresa d’Avila: pronunciamo senza stancarci la prima parola (solo quella) della preghiera che Gesù ci ha insegnato: Padre.● Non abbiamo paura di chiedere. In un rapporto filiale non ci devono essere censure. I fatti stessi della vita (crisi) sono l’occasione migliore per chiamare in causa Dio. Il partire dai problemi ci aiuta ad essere più attenti e concentrati.

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UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

Ca ri tas

Mis sio ni

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PER CREDERE, CELEBRARE E VIVERE

ANNO DELLA FEDEinserto

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Unigenito Figlio di Dio

Dio si è fatto uomo in Gesù per svelare defini-tivamente il suo volto.Lo ha fatto perché la prima alleanza fatta

con il popolo di Israele, contrassegnata da mo-menti positivi e da altri piuttosto negativi, non aveva dissipato l’immagine negativa di Dio latente in ciascuno di noi. Alternando momenti di fede au-tentica, grazie all’aiuto di uomini di Dio e profeti, a momenti di scarso interesse o, peggio, di mani-polazione religiosa, la storia di Israele è stata un crescendo di comprensione e di consapevolezza dell’identità di Dio fino a quando, in Gesù, egli ci ha detto e dato tutto.

Gesù ci permette di conoscere Dio in verità e grazia, perché lui e il Padre sono una cosa sola. Ciò che dobbiamo fare, ora, è parlare di Dio a partire da Cristo, rileggendo in lui anche la progressiva ri-velazione che il popolo di Israele ha vissuto.

Dopo duemila anni di cristianesimo dobbiamo ancora fare un grande sforzo per adeguare la no-stra idea di Dio a quella che Gesù ci racconta. In Gesù, grazie al dono dello Spirito, possiamo acco-gliere la verità tutta intera.

Per accedere al Padre, quindi, dobbiamo passa-re attraverso la conoscenza di Gesù, la cui vita è manifestazione di Dio. Possiamo conoscere Gesù grazie alla testimonianza di chi lo ha seguito e ce ne ha parlato in maniera convincente. Gli scritti del

Nuovo Testamento e i vangeli, in maniera par-ticolare, ci raccontano le opere e le parole di Gesù.

I vangeli non sono asettiche biografie ma te-stimonianze di fede fatte da chi lo ha incontrato e ne è rimasto affascinato. La comunità dei suoi discepoli, Chiesa nascente, ha dedicato molta energia e forza per annunciare il suo messag-gio. Attraverso i vangeli, letti e interpretati in compagnia di coloro che lo hanno seguito lun-go i secoli, possiamo accedere a Gesù e al suo messaggio su Dio.

La vita di Gesù è consacrata interamente all’annuncio del Regno: la presenza di Dio in mezzo a noi, il compimento del tempo della sua definitiva alleanza con gli uomini. Dopo una lunga preparazione, vissuta trent’anni nel nascondimento, Gesù inizia la sua pre-dicazione dai confini di Israele, dagli abban-donati e dagli ultimi, per parlare di Dio e per annunciare a tutti gli uomini il tempo

della salvezza. Gesù fa del suo annuncio la sua stessa vita: la sua profonda e unica esperienza del Padre, la sua conoscenza diretta e assoluta del mistero di Dio, emergono nelle sue parole e nei suoi gesti.

Tutto, in Gesù, è rivolto al Padre e al suo de-siderio di farlo conoscere. Per non tradire la sua visione di Dio, Gesù sarà costantemente messo alla prova e pa-tirà la morte.

Anche noi, come i disce-poli, possiamo scoprire pro-gressivamente l’identità pro-fonda di Gesù, leggendo e me-ditando il van-gelo.

Un grande poeta tedesco del passato, Goethe, scrive che Gesù sarà sempre un pro-

Gesù predica, in Galilea. Jean Colombe, XV secolo.

Lione, Biblioteca Comunale.

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L’adorazione dei Magi. Giotto, 1303-1305. Padova, Cappella degli Scrovegni.

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blema per l’uomo che riflette. È la stessa esperienza fatta dai primi discepoli: affascinati dalle parole del fa-legname fattosi Maestro, lo hanno seguito sulle stra-de della Galilea ascoltando avidamente il suo modo inusuale di parlare di Dio.

Senza rinnegare nulla di quanto vissuto da Israele, Gesù riporta alla sua origine ogni precetto e ogni nor-ma, dando di Dio una visione pura e autentica. I gesti prodigiosi che Gesù compie, la guarigione di alcuni malati e de gli indemoniati, accompagnano e certifi-cano le sue parole. Alcuni dei discepoli sono chiamati a lasciare tutto e a vivere giorno e notte col Maestro: sono gli apostoli, chiamati a stare con lui e a formare il nuovo Israele. Sono proprio loro, a un certo punto della vita pubblica di Gesù, a porsi la domanda: chi è veramente quest’uomo? Un profeta? Il Messia?

Anche noi possiamo, ripercorrendo la vita di Gesù, giungere allo stesso interrogativo: chi è veramente Gesù Nazareno, figlio di Giuseppe?

II paradiso (particolare). Giusto de’ Menabuoi, 1370-1380 ca.

Padova, cupola del battistero.

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Nato da Maria VergineIl Natale resta, nel mondo occidentale e in Italia, una

delle feste più importanti della tradizione. Negli ulti-mi decenni, però, stiamo assistendo a un progressivo

svuotamento del significato profondo di tale celebrazio-ne a vantaggio di una più generica (e inutile) festa della

bontà o della famiglia...Natale non è una festa gentile che esalta l’infanzia! È

il mistero profondo della venuta di Dio in mezzo a noi, della presenza dell’assoluto di Dio che si comprime nel grembo di una ragazzina, di un Dio che rinuncia alla

sua divinità per condividere la vita degli uomini senza compromessi!

I racconti dell’infanzia di Gesù, riportati da Matteo e da Luca, integrano la narrazione storica della nascita con indicazioni teologiche, che cercano di interpreta-re tale evento.

II Natale smentisce il luogo comune, oggi molto diffuso, di una presunta assenza di Dio: è l’uomo ad essere il grande assente. La nascita di Gesù smuove l’ambiente a lui circostante e il discepolo che legge i racconti: chi è veramente questo bambino? La venu-ta di Dio nel mondo è segnata, da subito, da profon-de incomprensioni: la luce viene, ma le tenebre non l’hanno accolta.

L’imperatore Cesare Augusto conta i suoi sudditi, senza preoccuparsi affatto di Dio. Erode, l’astuto re idumeo che ha fatto tornare grande Israele, teme la venuta del Messia: per lui Dio è un concorrente. La rinata classe sacerdotale, troppo impegnata a gestire il tempio restaurato per desiderare davvero l’avvento dell’inviato di Dio, resta chiusa nelle proprie convin-zioni teologiche e nella propria cultura e non va a ve-rificare la notizia della nascita di un re. La brava gente di Gerusalemme è assorbita dalla quotidianità e non si pone veramente il problema di cosa stia succedendo.

Altri accolgono con stupore la notizia: Maria e Giuseppe custodiscono l’inaudito di Dio; i pastori, gli zingari dell’epoca, lontani dalla religione tradiziona-

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le, ricevono per primi l’annuncio rivolto agli ultimi; i Magi, curiosi astronomi, cercano la verità e incontrano Dio; Simeone, l’anziano devoto del tempio, vede finalmente realizzata la sua attesa.

Il Natale segna un discrimine, un punto di svolta: chi è veramente questo bambino? Quel bambino è già segno di contraddizione, è colui che ci spinge alla scelta fra la luce e la tenebra.

La festa del Natale porta in sé una forza e una provocazione che, con i secoli, abbiamo colpevolmente attenuato: è pieno di sangue il Natale che abbiamo riempito di zucchero!

La circoncisione di Gesù segna l’obbedien-za di Maria e Giuseppe alla legge data ai loro padri: Gesù si pone in continuità e compimento di quanto sperimentato dal popolo di Israele.

Maria e Giuseppe fuggono dalla loro terra, dopo la stra-ge dei bambini di Betlemme, gli inconsapevoli testimoni della follia omicida di un re, i primi martiri difensori di Cristo. La loro permanenza in Egitto ci ricorda la diffici-le situazione di chi oggi, come loro, si ritrova nella stessa condizione e deve fuggire dalla propria terra a causa della guerra o della miseria.

Gli evangelisti non sono interessati ai particolari della prima parte della vita di Gesù. Dai loro stringati raccon-ti sappiamo che Gesù vive con la sua famiglia a Nord, in Galilea, ai confini di Israele, a Nazaret, un piccolo borgo collinare lontano dalle principali vie di comunicazione.

Solo Luca ci racconta l’episodio del viaggio a Gerusa-lemme di Gesù adolescente, in cui Maria e Giuseppe ri-trovano il proprio figlio a discutere alla pari con i dottori del tempio, e li ammonisce: vuole occuparsi delle cose del Padre.Per il resto, dal ritorno dall’Egitto fino al battesimo sulle rive del Giordano, non sappiamo nulla.Non un particolare, non un dettaglio che soddisfi la nostra curiosità.Un silenzio assordante: non sappiamo nulla del 90% della vita di Gesù. Nulla di nulla.Eppure quel silenzio parla, a chi lo sa ascoltare.Dio diventa uomo e cresce come un uomo: impara a cam-minare, a parlare, a leggere. Segue il padre nella bottega e impara a pialla-re, a tagliare le assi seguendo la vena del legno, a compiere i tanti gesti quotidiani della vita di un ragazzo che vive in un piccolo paese rurale.Dio ha voluto imparare le cose de-gli uomini, ha voluto essere in tutto uguale a noi.Ci emoziona riflettere su questo aspet-to: quanto deve essere bella l’umanità se Dio ha deciso di diventare uomo!

Quanto è importante e feconda la quotidianità se Dio decide di viverla per la maggior parte della sua vita ter-rena!

Maria e Giuseppe vedono crescere il «loro» ragazzo. I vangeli non ci par-

lano di apparizioni o di consigli particolari: sono genitori fino in fondo e anch’essi devono continuamente interro-garsi sull’identità di quel bambino.

L’angelo ha detto a Maria che egli è il Messia, l’Emma-nuele, ma la quotidianità di Gesù è identica a quella degli altri bambini. Maria e Giuseppe vivono il mistero della presenza di Dio in mezzo a loro e crescono continuamente nella fede.

Quegli anni di presenza a Nazaret, lontano dai luoghi decisionali, lontano dal cuore spirituale di Israele, lontano da Roma, la capitale dell’Impero, in un’epoca senza mezzi tecnologici di comunicazione, retrograda rispetto alla no-stra mentalità efficientista, mettono radicalmente in crisi la nostra visione contemporanea: il valore di una persona non si misura dai suoi risultati, né dalla sua produttività.

Con l’incarnazione di Dio il tempo smette di essere di-viso in tempo sacro e tempo profano: Dio abita la casa di Nazaret, non solo il tempio di Gerusalemme. Se ciò è vero, quanto cambia il nostro modo di vedere la vita! Quanto diventa piena di stupore la quotidianità! Che mistero in-sondabile è Nazaret!

Quanti schiavi e sofferenti, in quei trent’anni, hanno invocato giorno e notte l’aiuto di Dio!

E Dio cosa faceva?Sgabelli.

• Natività di Gesù. Girolamo di Benvenuto, 1510. Montepulciano (Siena), Museo civico.

• La Natività. Pinturicchio. Cap-pella Baglioni, Colleggiata di Santa Maria Maggiore. Spello (Perugia).

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L’inizio della vita pubblicaLa prima apparizione pubblica di Gesù av-

viene sulle sponde del Giordano, dove il profeta Giovanni predica un battesimo di

conversione. Le folle accorrono a lui da tutto Israe-le: da secoli manca la predicazione di un vero pro-feta e, nonostante lo sfavillare del ricostituito tem-pio e della sua pomposa liturgia, la gente avverte il bisogno di un autentico e radicale uomo di Dio.

La predicazione del Battista è impregnata di Antico Testamento: come i profeti del passato, non usa mezzi termini, denuncia le ipocrisie, minaccia la punizione divina e l’avvento del Messia.

Gesù, invece, parlerà di conversione e di per-dono: Dio non è pronto a tagliare con l’ascia l’al-bero improduttivo ma a innaffiarlo e a concimarlo perché porti finalmente dei frutti. Giovanni stesso resterà spiazzato dal modo in cui Gesù esercita la sua missione.

Gesù si mette in fila con i penitenti, lui che non ha commesso peccato, che non deve pentirsi di nulla. Con questo gesto, da subito, manifesta la sua vicinanza ai peccatori, la sua umiltà, la sua de-dizione verso i perduti. È solidale fino in fondo, il Signore, non guarda dall’alto coloro che sbagliano ma, diversamente dai devoti del suo tempo, li vuole accanto a sé e li accompagna nel cammino di cam-biamento che essi operano.

Non è l’acqua del Giordano a purificarlo, ma la sua presenza purifica e santifica le acque che usiamo per il nostro Battesimo!

In quell’occasione il Padre indica Gesù come proprio figlio prediletto e invita i discepoli ad ascoltare le sue parole.

Il discepolo è, prima di ogni altra cosa, colui che ascolta, che fa tacere le tante voci che lo circondano e si mette in ascolto delle parole del Maestro, raggiungibile anzitutto nella meditazione delle Scritture.

Il battesimo, per richiesta di Gesù, diventa il segno della nostra appartenenza a Cristo: in esso riceviamo la vita di Dio.

Il giorno del nostro battesimo è stato messo nel nostro cuore il seme della presenza di Dio. Non è stato un rito scaramantico, quindi, ma un seme da coltivare, da accu-dire che, se trascurato, scompare. Dentro: è lì che trovia-mo Dio e tutto ciò che nella vita ci porta «dentro» (arte, musica, silenzio, natura) ci avvicina a Dio, tutto ciò che è «fuori» (caos, apparenza, superficialità) ce ne allontana.

Col battesimo siamo entrati a far parte della Chiesa, quella del sogno di Dio, non lo sgorbio che abbiamo in testa, la Chiesa dei santi e dei martiri, la Chiesa che cam-mina, canta e spera, non quella grottesca dei nostri giu-dizi superficiali.

Con il battesimo siamo salvi, redenti, ci è tolto il pec-cato originale, la fragilità nell’amore: come Cristo, e in lui, siamo resi capace di dare la vita per i fratelli. Passia-mo la vita a cercare di realizzare i nostri sogni: vorremo essere una grande rock-star, un premio Nobel, una ma-dre o un padre esemplari... ma più che figli di Dio bene-amati non potremo mai essere: e già lo siamo.

Gesù, dopo avere ricevuto il battesimo, si ritira nel deserto per quaranta giorni. La sua scelta ha certamen-te un forte valore simbolico; per quarantenni il popolo di Israele aveva vagato nel deserto e per quaranta giorni Gesù, solidale con il popolo che ama e salva, entra nel deserto.

Il deserto, luogo di contraddizioni, esaspera le fragi-lità ma nel contempo esalta la tempra di chi lo affronta. Nel deserto si deve andare necessariamente all’essen-ziale e diventa difficile anche solo sopravvivere. Perciò nella Bibbia il deserto è il luogo della nostalgia di Dio, dell’innamoramento fra Dio e il popolo, e i profeti invi-tano Israele a tornare nel deserto per farsi riconquistare da Dio.

Gesù va nel deserto anche per valutare la sua azione

Il battesimo di Gesù. Giotto, 1303-1305. Padova, Cappella degli Scrovegni.

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evangelizzatrice: vuole decidere come annunciare la buo-na notizia del Regno. Anche noi, come Gesù, come Israele, attraversiamo dei momenti di deserto: a volte spinti dalle difficoltà, a volte per scelta personale. Nel deserto ritrovia-mo noi stessi, torniamo all’essenziale, lasciamo spazio al silenzio e all’interiorità. Ogni anno, durante la Quaresima, la Chiesa ci invita a entrare volontariamente in un deserto che ci prepari alla Pasqua.

Nel deserto Gesù viene tentato dal demonio.Il Male esiste e opera in noi, desiderando sostituirsi a Dio

e offuscando il nostro giudizio. Il peccato, che è male perché ci fa del male, ci viene proposto come soluzione ragionevole. Anche Gesù, pur essendo Dio, è chiamato a fare delle scelte. Le tentazioni di Gesù, in particolare nel vangelo di Matteo, ci aiutano a capire la strategia dell’avversario e a superare ogni nostra tentazione.

Per fare il Messia, dice il diavolo, Gesù deve tenersi in forma, superare la fame, curarsi di sé. È ragionevole, questa prospettiva, e il demonio cita pure la Scrittura. Ma Gesù repli-ca, sempre usando la Parola che conosce bene: la logica degli appetiti e dei bisogni non può colmare l’infinito desiderio di bene che abita il cuore degli uomini. Siamo più delle nostre soddisfazioni materiali. Gesù non si cura di sé, si cura di me.

Per fare il Messia, insinua il diavolo, bisogna fare dei compromessi, accordarsi col potere politico e religioso. Ha ragione, il demonio: se Gesù si fosse alleato con i potentati del tempo non sarebbe certo finito sulla croce. Ma Gesù obietta: il compromesso ci può allontanare da Dio e il potere diventare esso stesso una divinità.

Infine, chiede il diavolo, Gesù deve operare dei miraco-li prodigiosi per essere seguito dalle folle. Ha perfettamen-

te ragione: quanti, ancora oggi, percorrono migliaia di chilometri per inseguire una presunta apparizione o un miracolo! Ma Gesù rifiuta una visione miracolistica della fede: vuole che Dio sia amato per quello che è, non per quello che dà.

Gesù ha vinto la tentazione di un mes-sianismo materialista, politico, miracolista: annuncerà il vero volto di Dio solo con le parole e la coerenza della sua vita. Il de-monio tornerà, al momento opportuno, al Getsemani, quando Gesù constaterà che la sua missione, apparentemente, è fallita.

Anche a noi è dato continuamente sce-gliere che uomini e donne essere e, alla luce del vangelo, operare delle scelte che ci portino verso il Regno. La luce della Parola di Dio e la preghiera ci aiutano a discerne-re. Ma se anche facciamo la scelta sbaglia-ta, se cediamo alla tentazione, il Signore ci raggiunge e ci salva con il perdono.

Gesù tentato dal Demonio nel deserto.Miniatura francese,XV sec. Londra, British Museum.

Gesù tentato dal demonio.Miniatura.

Siena

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Annunciatore del Regno

Gesù inizia la sua missione dai confini di Isra-ele, da quella porzione di territorio che si era storicamente confrontata e adattata ad altre

popolazioni e ad altre visioni religiose. Per i puri di Israele la fedeltà all’alleanza era inversamente propor-zionale alla distanza dalla capitale, Gerusalemme. La Galilea era considerata un luogo religiosamente diffi-cile ed è proprio dai confini della Galilea, da Zabulon e Neftali, che Gesù inizia il suo ministero.

Il suo messaggio è semplice e lineare: il Regno di Dio si è avvicinato, si è reso presente, ac-corgitene e credi al vangelo!

I suoi contemporanei, invece, erano abituati a una visione religiosa comples-sa e selettiva: i farisei, i perushim, i puri di Israele, molto ammirati dal popolo, vivevano l’osservanza della Legge come necessaria per meritarsi la benevolenza di Dio. Ma al decalogo di Mosè, nei secoli si erano aggiunti oltre seicento precetti e per l’uomo comune era difficile anche solo conoscerli, altro che osservarli!

Perciò i farisei disprezzavano il popolo che non conosceva la Legge e, a loro pare-re, viveva nel peccato.

La classe sacerdotale era rinata grazie alla ricostruzione del tempio (dopo sei se-coli!) e si spartiva il servizio al tempio. I sommi sacerdoti gestivano la loro carica con arroganza e poca spiritualità, la gente li temeva ma non li stimava.

La predicazione di Gesù, perciò, è una novità assoluta: pur non avendo titoli o in-carichi, egli parla con autorevolezza, dimostra di cono-scere bene la Parola, interpreta correttamente la Legge. Ma è soprattutto il suo atteggiamento che converte le persone: Gesù accoglie proprio gli esclusi e gli ultimi, frequenta i peccatori e la sua vicinanza li converte.

Dio viene per i malati, non per i sani, e fa festa per ogni peccatore che scopre la misericordia di Dio!

Ancora oggi risuona il vangelo della compassione: Dio ci viene a cercare, non ci giudica con severità, ci invita a scoprire la nostra dignità, a respingere la parte oscura che è presente in noi, ad aderire al suo progetto di luce e di pace.

Chi accoglie la novità del Regno con cuore sempli-ce scopre una nuova dimensione di sé e della vita, im-para ad essere Chiesa, giudica se stesso e gli altri con gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù.

Gesù rifiuta di comportarsi da taumaturgo o da guru, non ricorre ai prodigi per stupire le folle o per mani-polarle, usa i miracoli con prudenza e solo a conferma

delle parole che dice. Nel vangelo di Marco, addirittu-ra, Gesù impone alle persone guarite di tacere, anche per evitare la distorsione del suo messaggio. Proprio questa prudenza è una delle cause dell’insoddisfazione della folla nei suoi riguardi: perché Gesù non inaugura il Regno nuovo guarendo tutti gli ammalati e caccian-do l’invasore romano?

La posizione di Gesù è molto più complessa: sa che la salute è tanto, ma non tutto. Più della salute c’è la salvezza. Davanti al lebbroso samaritano guarito, che

torna a ringraziarlo, diversamente dagli altri nove com-pagni di sventura ebrei, Gesù commenta: dieci sono stati sanati ma uno solo è stato salvato.

È vero: conosciamo tutti persone piene di salute, in-soddisfatte, che giungono a gettare via la loro vita nel vizio e nella droga e ammalati che, nonostante tutto, vivono con serenità il loro percorso...

Gesù non è venuto a risolvere i nostri problemi, ma a illuminarli di una luce nuova, a inserirli in una pro-spettiva diversa.

Ancora oggi, i miracoli che possono accadere nella fede, sono da ricondurre alla stessa logica di un Dio che considera la vita una benedizione, nonostante le sofferenze. E ci invita a godere della salvezza e a vi-vere da salvati, nonostante le inevitabili difficoltà che possiamo incontrare.

Gesù guarisce la suocera di Pietro. Cristoforo De Predis, Miniatura XV sec.

Torino, Biblioteca Reale.

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Fu crocifisso, morì e fu sepoltoPosta lungo il percorso dei discepoli, la trasfi-

gurazione rappresenta un momento impor-tante del cammino di fede. Sul monte Gesù si

mostra per quello che è veramente: non si toglie una maschera svelandosi diverso, ma i discepoli, per la pri-ma volta, lo vedono con uno sguardo nuovo, di fede.

Nuovamente il Padre chiede ai discepoli di ascoltare le sue parole, e la presenza di Mosè e di Elia rimanda

alla conferma da parte della precedente rivelazione (la Legge e i Profeti) di ciò che Gesù è.

È la bellezza che ci converte, che ci porta verso il Dio raccontato da Gesù. Il desiderio di Pietro e dei suoi compagni di restare sul monte ad ammirarne la bellezza è, nella sua ingenuità, la ragione ultima per cui ci avviciniamo a Dio: è bellissimo credere in lui. Non solo una bellezza estetica, ma una bellezza in cui

il bene, il buono e il bel-lo si uniscono in perfetta armonia.

La scoperta della bel-lezza di Dio, però, passa attraverso una fatica, il rendere sacro, questo il significato del termine sacrificio, che Gesù spe-rimenterà sulla croce. Nei racconti del vangelo emerge la determinazio-ne di Gesù: egli è dispo-sto ad andare fino in fon-do, anche a morire, pur di annunciare la verità sull'identità di Dio.

Se il Natale ci apre allo stupore di un Dio che si fa bambino, la pas-sione, morte e risurrezio-ne di Gesù rispondono alla domanda presente nel vangelo circa l'iden-tità di Gesù: abbiamo ce-lebrato la nascita di quel bambino perché con la sua risurrezione abbiamo sperimentato la sua vera identità.

Gesù giunge alla fine del suo mandato pubbli-co consapevole che non tutto è andato secondo i suoi auspici: le folle en-tusiaste non lo hanno se-guito in Giudea, il potere religioso è ostile alla sua predicazione irrituale e

La crocifissione.Giotto, 1303-1305. Padova

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La. deposizione di Gesù. Giotto, 1303-1305.

Padova, Cappella degli Scrovegni.

preoccupato per un possi-bile intervento romano, i suoi stessi discepoli sono perplessi dalle sue richie-ste, specialmente dopo il discorso sul Pane di vita. Gli apostoli, che lo hanno seguito per tre anni, sono scostanti e litigano fra loro, convinti che il Regno di Dio sia una realtà politica imminente.

Cosa può fare Gesù per convincere l’umanità?

Gerusalemme che ucci-de i profeti si sta organizzando per eliminare la sua presenza: Gesù sceglie di andare fino in fondo, di con-segnarsi, di lasciare che gli eventi, apparentemente, lo travolgano, per manifestare in maniera definitiva la sua identità e la sua volontà salvifica.

Gesù è accusato di stravolgere le norme, di di-sprezzare il tempio e la rinata classe sacerdotale, di criticare i devoti suoi contemporanei ma, soprattutto, la sua condanna a morte dipende dalla sua inaudita pretesa di prendersi per Dio.

Davanti alla forza di tanto odio, Gesù sceglie di andare fino in fondo alla sua missione.

Altro è fare dei bei discorsi, altro è pendere dal le-gno! Desideroso di portare a compimento la sua mis-sione, solo e abbandonato dai suoi amici, Gesù non fugge e si affida al Padre. La sua morte esemplare, Gesù muore come è vissuto, in assolu-ta coerenza con le sue parole, sba-l o r d i s c e chi, come il Centurione nel vangelo di Marco, guarda alla sua esecu-zione con a t t e n z i o -ne e senza pregiudizi. Gesù muore donando la

sua vita per la salvezza dell’umanità, perdonando i suoi carnefici, mostrandoci un esempio di vita donata.

Chi è, veramente, quest’uomo?Dopo la sua risurrezione i discepoli capiscono il

valore di quella morte ignominiosa, capiscono il pro-getto di salvezza di Gesù. Morendo per noi Gesù di-mostra il suo amore, un amore li bero, senza condizio-ni, che non ricatta, che non obbliga. Gesù ci ama fino a morirne, Dio muore per amore.

Questo amore ci salva, non il dolore. E l’amore che riceviamo e doniamo, sull’esempio del Maestro, continua a redimere l’umanità, a indirizzarla verso la pienezza del Regno.

L’arresto e il bacio di Giuda. Cristoforo De Predis,

miniatura XV sec.

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Se Gesù non è risorto, vana è la nostra fede!

Tutta la nostra fede è basata sull’assenza di un cadavere, sulla testi-monianza dei suoi discepoli.

Se Gesù è risorto significa che egli era davvero colui che pretendeva di essere.

Se il Padre l’ha risuscitato dai morti, significa che le sue non sono solo paro-le di un uomo saggio e buono, annien-tato dal potere corrotto, come accaduto per altre personalità di spicco. Se Gesù è risorto, la morte è stata sconfitta. Il Dio nudo, appeso, esteso, evidente, il Dio sconfitto e straziato, il Dio deposto sul-la fredda pietra non è più qui, è risorto. Non rianimato, non ripresosi, non vivo nel nostro ricordo e amenità consolatorie di questo genere. Gesù è davvero vivo, risorto, presente per sempre.

La sua nuova condizione sfugge alla nostra percezione: è proprio lui, risorto col suo corpo, mangia e beve, si fa toc-care. Ma vive in una nuova dimensio-ne: non sempre è riconosciuto, compare quando i suoi discepoli sono barricati in una stanza, non ha più confini di tempo e di spazio...

Se Gesù è risorto può essere presente ovunque, può restare con noi discepoli anche se non lo percepiamo più fàsica-mente.

Gesù è veramente risorto e sono mol-ti i «segni» che lo testimoniano, come ricorda san Luca negli Atti e san Paolo nelle sue lettere.

La risurrezione di Gesù e gli eventi che ne seguo-no suscitano grande scalpore in Gerusalemme e sca-tenano una vera e propria persecuzione da parte del Sinedrio nei confronti dei suoi discepoli. Come nota giustamente un articolo del Compendio (n. 127), è

sconcertante accusare gli apostoli di essersi inventati la risurrezione e di avere «fondato» una nuova reli-gione.

Nel paese più radicalmente monoteista della storia è davvero improbabile avere successo propo nendo un uomo come incarnazione divina! In un paese che aspettava la venuta di un Messia vittorioso e combat-

tente, è piuttosto inadatta la predicazione di un Mes-sia dimesso e perdente!

Gli apostoli non erano molto abili nel marketing, inventandosi una dottrina così impopolare!

Da sempre i detrattori del cristianesimo fanno di tutto per negare la veridicità della risurrezione ma, come ci insegna la storia, la soluzione più semplice è probabilmente la più vera: Gesù è davvero risorto!

Il terzo giorno è risuscitatoLa risurrezione di Gesù. Giotto, 1303-1305.

Padova - Cappella degli Scrovegni.

Hans Memling, Il Giudizio Finale (1467-1471)

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E’ salito al cieloI vangeli ci parlano delle apparizioni di Gesù

risorto e del percorso fatto dai discepoli, du-ramente colpiti dai tragici eventi della pas-

sione. La notizia della risurrezione si diffonde e diversi seguaci lo incontrano, risorto.

Gesù fa loro una progressiva catechesi: li aiuta a capire il senso profondo del suo percorso, era ne-cessario che egli dimostrasse la serietà dell’amore di Dio per l’umanità, morendo in croce. Gli aposto-li, progressivamente, entrano nella nuova dimen-sione del Signore risorto, si convertono alla gioia, capiscono la vera natura di Gesù: egli non è solo un grande rabbino, e nemmeno solo un profeta, o il Messia... egli è il Signore, il Figlio di Dio, la pre-senza stessa di Dio.

Questa consapevolezza matura col passare dei giorni e con la riflessione della comunità.

II Signore risorto, dopo un periodo di presen-za con i suoi discepoli, torna presso il Padre con il suo corpo risorto. È un momento difficile per la nascente Chiesa: gli apostoli sono ancora convinti di costruire il Regno con la presenza permanente del Signore.

È presente il Signore, certo, ma attraverso dei segni, dei sacramenti.

Sta alla comunità, ora, assolvere al suo manda-to, annunciare a tutte le nazioni la buona notizia. Se Gesù proclama il vangelo, la buona notizia, ora è lui a diventare la buona notizia. Sospinti dallo Spi-rito, gli apostoli annunciano gli eventi pasquali e ciò che Gesù ha detto e fatto.

Inizia il tempo della Chiesa: in attesa del ritorno glorioso di Gesù nella pienezza dei tempi, i suoi di-scepoli sono chiamati a costruire il Regno dove vivo-no, a renderlo presente con la comunione di intenti, con l’amore all’umanità.

La Chiesa vive per dire Cristo, per celebrarlo, aspettando che egli torni.

E dice di Cristo ciò che ha capito, in un percorso di progressiva illuminazione che durerà secoli.

La consapevolezza, sostenuta dallo Spirito Santo,

si fa largo attraverso diverse interpretazioni riduttive, esagerazioni, semplificazioni. Ma i discepoli che se-guono gli apostoli restano fedeli alla testimonianza di chi lo ha conosciuto e ci consegnano il Gesù «sco-perto» dagli apostoli, tramandato fedelmente lungo la storia.

I primi secoli sono determinanti per definire con precisione l’identità di Gesù.

La professione di fede dei primi testimoni è molto chiara: Gesù è vero uomo e vero Dio.

Vero uomo: ha vissuto come noi, ha gioito e sofferto come noi, è morto come noi. La sua non è una finta umanità. Gesù è totalmen-te uomo, eccetto il peccato che, a pensarci bene, è Fanti-umanità.

Vero Dio: la sua conoscenza di Dio è asso-luta e diretta, non è un uomo particolarmente sensibile all’aspetto spirituale, è in contatto diretto e unico col Padre e afferma di esserne il Figlio. Non è «figlio» come noi siamo «fi-gli di Dio», ma in maniera unica e assoluta.Da questa intuizione derivane molte conse-guenze.

Discesa, dello Spirito Santo. Miniatura del sec. XIV.

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Dio stringe alleanza

con gli uomini

In che modo Gesù è vero uomo e vero Dio? Quando è

successo? Come? E come possono coesistere due na-ture così diverse in un uni-co essere?

Sono domande che i cristiani si sono posti lun-go i primi secoli e, in parte, ancora oggi si pongono. E

facile ritrovare nelle odierne discussioni sull’identità di Gesù una traccia di queste posizioni.

Molti esasperano l’umanità di Gesù, dicendo che egli è stato un grande uomo, sfortunato e coerente, ma nulla di più. La sua presunta divinità sarebbe un’invenzione dei discepoli (sempre nel paese più monoteista del mondo, ricordiamoce-lo!). Gesù, però, ha più volte affermato di essere uguale al Padre, di essere suo Figlio, e proprio questa pretesa è all’ori-gine della sua condanna a morte! È difficile dire che uno che si prende per Dio è un grande uomo...

Altri esasperano la divinità di Gesù, giungendo a negare gli aspetti fondamentali della sua umanità: il Signore sapeva tutto, ha agito con la piena consapevolezza delle conseguenze di ciò che faceva, tutto era stabilito e preordinato. Ma, così facendo, si dimentica che Dio, incarnandosi, ha voluto essere in tutto simile a noi, non ha voluto privilegi, non ha barato.

La Chiesa, da sempre, ha tenuto fede a questa doppia

identità, interrogandosi su come potessero coabitare queste due nature.

Gesù non è un uomo «investito» da una particolare mis-sione il giorno del suo battesimo, ma il Verbo di Dio, preesi-stente col Padre dall’eternità, che si è incarnato nel grembo di Maria.

Due problemi sono sorti col proseguire della riflessione sull’identità profonda di Gesù: che tipo di conoscenza aveva il Signore?

La sua conoscenza dipendeva dal Verbo o dalla sua anima umana?

I successori degli apostoli hanno capito in che modo Gesù esercitasse la sua conoscenza: riguardo allecose di Dio Gesù aveva una conoscenza diretta e immediata, perché lui e il Pa-dre sono una cosa sola. Gesù è consapevole della sua identità profonda e della sua missione. Per quanto riguarda le cose degli uomini, invece, pur manifestando una particolare sensi-bilità nella conoscenza dei sentimenti profondi delle persone, Gesù ha imparato come tutti noi.

Gesù non conosceva l’inglese, né la fissione nucleare, né l’assetto geo-politico dell’Impero romano. Dio ha voluto imparare, assumendo questo limite umano. Gesù ha umana-mente elaborato una strategia di evangelizzazione, ha uma-namente capito che le cose non andavano come previsto, ha esercitato la sua volontà nell’affidarsi al Padre e consegnarsi alla croce.

Questo aspetto non diminuisce la grandezza di Gesù ma, al contrario, la esalta: Gesù non recita una parte quando vive l’angoscia dell’orto degli ulivi, non finge quando è appeso alla croce. Si affida al Padre, confida nella risurrezione: la sua è una fede autentica e totale.

Ci stupisce questo fatto, ci lascia interdetti, ci fermiamo alle soglie del Mistero.

L’amore di Dio per noi giunge a scegliere di entrare in un limite, in un confine, per dimostrarsi amore assoluto e totale verso di noi.

Esiste una profonda unione nell’esercizio della volontà, in Gesù la sua volontà umana si orienta alla sua volontà divina, egli vuole ciò che vuole il Padre. Questa riflessione ci fornisce una indicazione concreta: anche noi possiamo orientare la no-stra volontà a quella divina: desiderare e cercare ciò che Dio desidera, per collaborare alla realizzazione del Regno.

Quando, nella preghiera, chiediamo al Padre di fare la sua volontà, esprimiamo il desiderio di collaborare a realizzare quella volontà.

Non è un abbandono cieco e fideistico: nel linguaggio co-mune, purtroppo, sia fatta la volontà di Dio assume una sottile sfumatura fatalista: chissà che disgrazie stanno per accader-mi?.

La volontà di Dio è sempre un bene per noi! Egli deside-ra il nostro bene, più di quanto noi stessi lo conosciamo e lo desideriamo...

I discepoli indagano sull’identità di Gesù e di pari passo sul suo messaggio. Il Dio che Gesù rivela è il Dio di Israele, certo, ma Gesù sembra conoscerlo in maniera unica e straor-dinaria. Ed emerge, già negli scritti del Nuovo Testamento la visione di un Dio che è Trinità.

Vero Dio e vero uomo

San Paolo, miniatura del sec. XVI,

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Ultima cena.Miniatura francese

del sec. XIV.

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Le elezioni sono alle porte e i cattolici, ancora una volta, sono rincorsi, a destra come a sini-stra. Nonostante le profonde trasformazioni in

atto, rappresentano un bacino consistente di voti. Que-sto pur in presenza di difficoltà, è il segnale di una pre-senza significativa, in termini di lievito, dei cattolici nel-la vita politica del nostro Paese.

In un documento della CEI del 2005 (Fare dì Cristo il cuore del mondo) si ammette, per la prima e forse unica volta, l’in-debolimento del laicato e la sua scomparsa dal proscenio della Chiesa. «Non sempre l’auspica-ta corresponsabilità (dei laici) ha avuto adeguata realizzazione. Non mancano segnali contrad-dittori. Si ha talora la sensazio-ne che lo slancio conciliare si sia attenuato. Sembra di notare, in particolare, una diminuita pas-sione per l’animazione cristia-na del mondo del lavoro e delle professioni, della politica e della cultura ecc. A volte può essere che il laico nella Chiesa si senta ancora poco valorizzato e com-preso. Oppure, all’opposto, può sembrare che anche la ripetuta convocazione dei fedeli laici da parte dei pastori non trovi pron-ta e adeguata risposta, per disat-tenzione o per una certa sfiducia o un larvato disimpe-gno».

Il privilegio concesso ai Movimenti nell’ultimo ven-tennio, la minor presa della forma associativa e della sua democrazia, la progressiva centralizzazione in capo alla Conferenza episcopale, hanno indebolito il laicato organizzato e le sue élites. Non viene intercettato il lai-cato comune delle assemblee liturgiche domenicali e, ancora meno, quello dei frequentanti occasionali, i più secolarizzati. Il processo di normalizzazione dei Movi-menti non ha segnato lina significativa emersione di nuove leadership laicali. Esse sono piuttosto cooptate attraverso la creazione di aggregazioni di seconda spe-cie che cominciano ad apparire dagli anni ‘90 in poi: il Forum delle associazioni familiari dal 1992, Retinope-ra dal 2002, Scienza e fede dal 2005. La scelta operata dalla Chiesa italiana, nata dalla constatazione della fine della Democrazia Cristiana e della dispersione in poli contrapposti dei cattolici impegnati in politica, è stata quella di voler trattare in modo diretto con i poteri po-litici statali e di sostenere un discernimento culturale e politico attraverso quelle aggregazioni. La decisione, nei fatti, ha ridotto considerevolmente lo spazio sia del-le mediazioni delle istanze laicali, sia di un’azione poli-tica autonoma dei laici cristiani. La seconda questione che, a nostro avviso, ha rappresentato uri impasse in

ordine alla presenza è la questione, seria, dei «principi non negoziabili». L’importante Nota dottrinale sull’im-pegno dei cattolici nella vita politica, emanata nel 2002 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, parla-va a questo proposito di «principi morali che non am-mettono deroghe, eccezioni e compromesso alcuno».

Ne offriva un’elencazione ampia: «diritto primario alla vita dal suo concepimento al suo termine naturale», «tutela e promozione della famiglia, fondata sul ma-trimonio monogamico fra persone di sesso diverso», «garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli (come) diritto inalienabile», «tutela sociale del minore», «libertà religiosa», «sviluppo per un’eco-nomia che sia al servizio della persona e del bene co-mune», «pace». La nostra convinzione è che il cristiano può fare politica partendo da «valori non negoziabili» solo se pratica buone mediazioni. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’ineffi-cacia politica. Diremmo perciò che la costruzione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i «valori non negoziabili». An-cora una volta, resta attualissima la lezione di Giusep-pe Lazzati: per agire politicamente occorre «pensare politicamente». La legittima formulazione dei principi da parte dei Pastori non può sostituire il discernimento dei credenti che, in quanto cittadini tra cittadini, sono chiamati a tradurre questi principi, nella città di tutti, in formule giuridico - politiche, tenendo conto di una serie di fattori contingenti e nel rispetto della dialettica democratica con soggetti di diversa ispirazione.

Da cristiani,

nella città di tuttiC'è ancora la passione per l'animazione cristiana del mondo? A quali condizioni la presenza dei cattolici in politica è efficace?

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Da tempo la parola “crisi” è diventata abituale nel no-

stro lessico comune. È una conse-guenza del terribile contraccolpo delle pessime azioni portate avanti da un certo modello di società e da una certa impostazione econo-mico -finanziaria a livello globale. Abbiamo per lungo tempo pensato di poter vivere allegramente al di sopra delle nostre stesse possibilità, permettendoci - soprattutto le popo-lazioni occidentali - uno standard di vita medio per nulla “medio”, grazie però alle pratiche dell’indebitamen-to, sulla scia della filosofia del “pren-do ora e pago domani”. Tutto ciò si è saldato ad un sistema finanziario che, nell’illusione dei soldi che cre-ano soldi, avidamente ha cercato e fino ad un certo punto è riuscito a sfruttare questa inclinazione al debi-to dei cittadini, con investimenti che si sono poi rivelati del tutto infon-dati. Nel momento in cui si è fatto fatica a saldare i troppi debiti accu-mulati, il sistema è rovinosamente precipitato, mandando quasi al col-lasso il sistema bancario globale.

La vicenda, come è noto, non riguarda solo i singoli: molti Pae-si, nella loro interezza, vivono ore drammatiche, proprio perché, per far fronte a progetti folli e a un di-spendio incredibile di risorse econo-miche, hanno accumulato un debito pubblico spaventoso, che ora fatica-no ad onorare senza imponenti aiuti internazionali. Quello dell’Italia si aggira intorno ai 2000 miliardi di euro.

Non più il pellegrino ma il vagabondoNon c’è pertanto nulla da dire: la

crisi c’è e si vede. Quel che resta meno visibile è lo spostamento significativo che la pratica dell’indebitamento se-gnala sulla visione della storia da parte dell’uomo contemporaneo. Come mai ad un certo punto si è iniziato così in-tensivamente a scommettere tutto sul presente, sul qui e sull’ora, e si è persa quella saggezza del buon senso, per cui è meglio avere tanti desideri che non tanti debiti? Da dove nasce questa pas-sione per il presente, che ora sta tanto rovinosamente mettendo in pericolo il futuro? Da dove origina questo pe-ricoloso demone dell’accumulo e della crescita, che non da spazio alle logiche della conquista lenta ma sicura, fatico-sa e non azzardata, di un bene o di un certo quantitativo di denaro? Dietro tutto ciò, ha con convinzione argo-mentato Z. Bauman, il più noto intel-lettuale contemporaneo, si trova una metamorfosi dell’interpretazione della vita da parte dell’uomo postmoderno. Quest’ultimo è passato dal modello dell’uomo moderno, assestato sull’ide-ale della vita come pellegrinaggio, ad un modello di vita come vagabondag-gio, come incessante esperienza turi-stica, come gioco, come azzardo. Non a caso si dice “giocare in borsa”. Il pun-to di rottura è dato dal fatto che oggi l’esperienza del futuro risulta sempre

più sfuocata, quando non totalmente minacciosa e minacciata. Il pellegri-no, infatti, fa assegnamento proprio sul punto d’arrivo del suo cammino, il quale si deve dimostrare solido in modo da poter garantire che il diffe-rimento della soddisfazione, il sacrifi-cio attuale possa essere ricompensato adeguatamente nel momento in cui si raggiungerà la meta. Quando non rie-sce più ad assicurare tutto ciò, il futuro perde la sua capacità di motivazione, di incoraggiamento e di sprone.

Nessuna scommessa sul futuro

Ora,proprio l’evento sommamente tragico della Seconda guer-ra mondiale, la lunga stagione della Guerra fredda, l’attuale costan-te minaccia di una pos-sibile guerra nucleare, i

più recenti fuochi di fondamentalismi religiosi, le sempre più indomabili con-dizioni climatiche, le nuove forme di epidemie globali, hanno minato e con-tinuano a minare la possibilità stessa di fidarsi del futuro, quale patria dei no-stri sogni e progetti, che autorizza un cammino sobrio e impegnato nell’oggi. La crisi è dunque crisi di futuro, in-nanzitutto. La vera povertà è proprio questo rimpiccio-limento della capacità dell’immaginazione umana di proiet-tarsi sul futuro e di scommettere su di esso. Questo rende ragione anche della fatica di molti a sintonizzarsi con le leg-gi della vita cristiana, con i suoi ritmi, con lo stile di sobrietà e di solidarietà che propone: quella che teologicamen-te si definisce “dimensione escatologi-ca”, cioè la tensione rivolta a cogliere la luce per l’oggi nel domani della sto-ria, trova poca corrispondenza in una sensibilità umana tutta concentrata sul presente. Nello stesso tempo, le condizioni attuali della società globale offrono alla comunità cristiana la pos-sibilità di un discorso vero e profetico, che nessuna politica e nessuna teoria economica potrebbero mai permetter-si. Solo accettando tutti di andare più piano, possiamo andare tutti più avan-ti, solo accettando l’eliminazione di privilegi si possono eliminare le quote di indigenza e sofferenza che la crisi ha ingigantito, solo nell’attenzione agli ultimi ci può essere attenzione a tutti.

Progetti folli, illusione che creino soldi. Ed eccoci qua con il collasso del sistema bancario. La concentrazione sul presente vanifica l’attesa del futuro.

Crisi

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Una piccola biblioteca

Pur presentandosi come un unico e compatto volume, la

Bibbia si può definire come una piccola «biblioteca». Il termine stesso, nella sua origine greca, designa infatti un insieme di li-bri (ta biblìa, «i libri»). In que-sto unico volume confluiscono ben 73 libri, che la tradizione da sempre suddivide in due ampie parti, conosciute come Antico Testamento e Nuovo Testamento.

I libri che compongono l’Antico Testamento (oggi chiamato anche Prima alleanza o Primo Testamento) sono 46 e contengono le vicende del popolo di Israe-le, dei suoi personaggi, dei suoi luoghi, della sua storia e della sua fede.

È a questo popolo e alla sua storia, infatti, che Dio ha voluto affidare quella che comunemente viene chiamata «storia della salvezza», nella quale è rac-chiusa la rivelazione di Dio, che culminerà definitiva-mente nella persona di Gesù.

Alla persona di Gesù e alla sua predicazione è dedi-cata la seconda parte della Bibbia, il Nuovo Testamen-to, che si compone di 27 libri.

Il termine «testamento» deriva dal latino testa-mentum. Esso traduce il greco diathèke, che significa «alleanza», termine che evoca uno dei temi centrali della Bibbia: l’alleanza tra Dio e l’uomo, che la lingua ebraica rende con berit. È nelle lettere di san Paolo che troviamo i termini «antica alleanza» (palaià diathèke, 2 Cor 3,14) e «nuova alleanza» (kainè diathèke, 2 Cor 3,6) per designare l’alleanza stretta da Dio con il suo popolo e l’alleanza stretta definitivamente in Gesù (cf Lc 22,20; 1 Cor 11,25; Eb 9,15).

Che cos’è la Bibbia?C ome crescere nella fede?

Come nutrire la fede? Come crescere nella partecipazione alla liturgia della Chiesa entrando nel cuore del Mistero della salvezza che in essa ci raggiunge? Come approfittare bene di un «Anno della Fede»? Bisogna metter giù bene le radici, affondare nel terreno sino a trovare le sorgenti d'acqua che ci permettono una vita sempre rinnovata e fresca. Per questi ed altri motivi ci pare un'urgenza dei nostri tempi nella Chiesa, quella di crescere nella familiarità con le Scritture fino a trovare in esse la Via e la Verità e la Vita, Gesù stesso e perciò le sorgenti della vita.Le Scritture ci spalancheranno i tesori, ci permetteranno di scrutare lo scrigno della Chiesa, della sua liturgia, della sua fede, più e infinitamente oltre il semplice Catechismo.Con paziente tenacia, noi cristiani ci disponiamo a scrutare le Scritture nel tesoro che chia-miamo Bibbia, perché vi è racchiusa una Parola che fa vivere e dona senso al vivere e al morire e fa conoscere Dio che è poi la vita eterna.A partire da questo notiziario pastorale, in maniera semplice e profonda, dedicheremo pa-gine di introduzione alla Bibbia.Sarà un bel percorso: dalla conoscenza esteriore del Libro sino all'ascolto per vivere e per credere.

bibbia XII secolo

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

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I libri dell’Antico TestamentoTre sono le grandi «raccolte» di libri che compongo-

no questa prima parte delja Bibbia:• i libri storici,• i libri profetici,• i libri sapienziali.

I libri storici contengono la nar-razione della storia del popolo di Israele, collocata nel contesto so-ciale, religioso e culturale dei popo-li dell’antico Vicino Oriente. È però una storia interpretata alla luce della fede e degli interventi salvifici di Dio.

Ecco i singoli libri in successione:- Giosuè - Giudici - Rut- Primo e Secondo libro di Samuele- Primo e Secondo libro dei Re- Primo e Secondo libro delle Cronache- Esdra - Neemia - Tobia - Giuditta - Ester- Primo e Secondo libro dei Maccabei.

I libri profetici tramandano (a predicazione dei pro-feti, cioè di quei personaggi carismatici che annuncia-no la Parola di Dio esortando i destinatari della loro predicazione all’ascolto, alla conversione e alla fedeltà a questa Parola.

I profeti, in base all’ampiezza della loro predicazio-ne, sono suddivisi in maggiori e minori.

Profeti maggiori sono:- Isaia - Geremia (con l’aggiunta dei due fascicoli delle La-mentazioni e di Baruc)- Ezechiele - Daniele.

Profeti minori sono i seguenti dodici:- Osea - Giona - Sofonia- Gioele - Michea - Aggeo- Amos - Naum - Zaccaria- Abdia - Abacuc - Malachia.

I libri sapienziali si collocano nel contesto della tra-dizione «educativa» dell’antico mondo orientale (fa-miglia, corte, lavoro, preghiera, rapporti sociali, con-dizione dell’uomo e della donna), ma il loro contenuto si ispira alla presenza e alla provvidenza di Dio nella

storia del mondo e nell’esistenza dell’uomo. Di questi libri fanno parte:- Giobbe - Salmi - Proverbi- Qoèlet (o Ecclesiaste) - Cantico dei cantici- Sapienza - Siracide (o Ecclesiastico).

Nella cornice di questa triplice suddivisione dei libri bi-blici merita una trattazione particolare l’insieme dei primi cinque libri con cui si apre la Bibbia. Gli ebrei li chiamano Toràh, cioè «Legge» (o «Insegnamento»), mentre nelle nostre Bibbie vengono chiamati con il nome di Pentateu-

co, termine greco che significa «cinque» (pente) «astucci» o «rotoli» (téuchos). Sono libri, questi, che occupano un po-sto di rilievo nella Bibbia ebraica, perché il loro contenuto regola ogni ambito del-la vita del popolo di Israele (legislazione, amministrazione della giustizia, istituzio-ni, proprietà, salute, malattia) e deter-mina ciò che è normativo per il culto, la

fede e la preghiera del credente israelita.I cinque libri che compongono il Pentateuco sono:

- Genesi - Esodo - Levitico - Numeri - Deuteronomio.Questi titoli derivano dalla traduzione greca della Bibbia,

che condensava in essi il contenuto di ogni singolo libro:- le origini («Genesi», dal greco ghènesis);- l’uscita dall’Egitto o esodo («Esodo», dal greco èxodos);- il sacerdozio levitico e il culto («Levitico», dal greco leuìtikon);- la rassegna/numerazione delle tribù di Israele («Nume-ri», dal greco àrithmoi);- la «seconda legge» («Deuteronomio», dal greco dèute-ros, «seconda», e nòmos, «legge»).

Gli Ebrei, invece, chiamano questi libri con le parole ini-ziali di ciascuno di essi:- Bereshìt («In principio» Genesi);- Shemòt («I nomi», Esodo);- Wayyiqrà («Egli chiamò», Levitico);- Bemidbàr («Nel deserto», Numeri);- Debarìm («Le parole», Deuteronomio).

La Bibbia ebraica, inoltre, suole raggruppare i libri dell’An-tico Testamento nel numero di 22 (oppure 24), quante sono le lettere dell’alfabeto della lingua ebraica che, per gli Ebrei, è la sola lingua degna dell’ispirazione divina.

La tradizione religiosa di Israele ama sintetizzare la rac-colta dei libri che compongono l’Antico Testamento nella sigla acronima TaNaK, le cui tre consonanti evidenziate - T, N, K - indicano in successione:- Toràh: i libri della Legge o Pentateuco;- Nebiìm: i libri profetici (da nabì, «profeta») e i libri storici (chiamati «profeti anteriori»);- Ketubìm; i libri sapienziali (chiamati «gli scritti», come significa questo termine ebraico).

L’arco di tempo racchiuso nei libri dell’Antico Testamen-to si estende dal 2000 a.C. circa fino alle soglie del Nuovo Testamento (all’anno 50 a.C. circa, epoca della fissazione nello scritto del libro della Sapienza).

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I libri contenuti in questa seconda parte della Bibbia racchiudono la predicazione di Gesù, la sua morte e

risurrezione, la vita delle prime comunità cristiane e l’attività missionaria/evangelizzatrice degli apostoli. In ordine sono: Vangeli, Atti degli apostoli, Lettere, Apo-calisse.

• I Vangeli sono quattro:- Vangelo secondo Matteo- Vangelo secondo Marco- Vangelo secondo Luca- Vangelo secondo Giovanni. I primi tre Vangeli sono chiamati anche «sinottici»

(dal greco syn, «insieme», òpsis, «sguardo») perche, confrontati tra loro in uno sguardo di insieme, fanno risaltare sia gli elementi che hanno in comune sia le di-verse sfumature, che li contraddistinguono.

• Gli Atti degli apostoli: questo libro nasce nel con-testo della formazione e della vita delle prime comuni-tà cristiane e della predicazione/evangelizzazione degli apostoli.

• Le Lettere sono conosciute con il nome del loro auto-re e dei loro destinatari e sono così suddivise:

a) Lettere di PaoloAll’apostolo Paolo vengono attribuite tredici Lettere:- Lettera ai Romani- Prima e Seconda Lettera ai Corinzi- Lettera ai Calati- Lettera agli Efesini- Lettera ai Filippesi- Lettera ai Colossesi- Prima e Seconda Lettera ai Tessalonicesi- Prima e Seconda Lettera a Timoteo- Lettera a Tito- Lettera a Filèmone.La Lettera agii Ebrei è ritenuta un’omelia e nonse ne conosce l’autore.

b) Lettere cattoliche (indirizzate cioè a più de-stinatari)- Lettera di Giacomo- Prima Lettera di Pietro- Seconda Lettera di Pietro- Lettera di Giuda- Prima Lettera di Giovanni- Seconda Lettera di Giovanni- Terza Lettera di Giovanni.

• II Libro dell’Apocalisse, attribuito all’apostolo Giovan-ni, chiude il Nuovo Testamento.

L’arco di tempo di composizione del Nuovo Testamento si estende circa dall’anno 50 d.C. all’anno 100 d.C. I primi scritti sono quelli di Paolo (la prima Lettera ai Tessalonicesi è considerata il primo scritto neotestamentario e segna il passaggio dalla predicazione orale alla predicazione scrit-ta).

Rapporto tra Antico e Nuovo TestamentoBisogna subito dire che l’Antico Testamento ha una sua

propria configurazione che per la tradizione religiosa del popolo ebraico mantiene ancora oggi il suo grande valore e nulla ha perso della sua normatività e delle sue promesse (cf anche Rm 9-11). Per questo gli Ebrei riconoscono solo i libri dell’Antico Testamento come Parola di Dio e come libri ispirati, escludendo il Nuovo Testamento.

La tradizione cristiana, illuminata dalla Parola e dalla Pasqua di Gesù, ha invece letto e accolto l’Antico Testa-mento come graduale preparazione alla rivelazione defi-nitiva di Dio in Gesù, riconosciuto e creduto come Figlio di Dio e Messia.

È nel Nuovo Testamento, perciò lo sbocco naturale di quanto l’Antico Testamento contiene e promette. È nata così quella lettura cristiana della Bibbia che, a partire dai Padri della Chiesa, ha visto nell’Antico Testamento la pista

Particolare all’interno dell’Abbazia di Viboldone: i simboli dei quattro evangelisti

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Che cos’è la Bibbia?I libri del Nuovo Testamento

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privilegiata per poter giungere alla comprensione «piena» del Nuovo Testamento. Al riguardo è significativa l’affer-mazione di sant’Agostino, secondo il quale «Il Nuovo Testa-mento è nascosto nell’Antico e l’Antico Testamento diventa chiaro nel Nuovo». A lui fa eco san Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». Entrambe le affer-mazioni sono racchiuse nella Costituzione conciliare sulla divina rivelazione Dei Verbum (nn 16 e 25).

La liturgia della Chiesa da sempre ha motivato la lettura dell’Antico Testamento nella celebrazione eucaristica, per-ché il suo contenuto - soprattutto nella lettura che se ne fa in ogni Eucaristia domenicale - confluisce nella pagina evangelica proclamata e in essa trova illumi-nazione e compimento.

Questo spiega perché l’omelia dev’essere sem-pre ancorata alla Parola di Dio che, in ogni celebra-zione eucaristica, si rivela nella sua unitarietà, nel suo sviluppo e nel suo compimento in Cristo. Ma spiega anche perché ogni omileta e ogni lettore del-la Parola di Dio, ancor prima di diventare un esperto della proclamazione o delle tecniche della comuni-cazione, debba essere un profondo conoscitore di tutta la Bibbia e dell’armonioso intreccio tra Antico e Nuovo Testamento.

Al riguardo, sia per l’omileta sia per il lettore del-la Parola di Dio - ma anche per tutti i cristiani - do-vrebbe essere un punto di riferimento importante il documento della Pontificia Commissione Biblica dal titolo Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (2001). In esso appare l’unità intcrio-re dell’unica Bibbia della Chiesa, comprendente l’Antico e il Nuovo Testamento, nel loro intreccio di promessa e compimento, di attesa e venuta: «Senza l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi».

Come si cita un testo biblicoI diversi libri della Bibbia, originariamen-

te scritti tutti di seguito, in un secondo mo-mento sono stati suddivisi in ampie sezioni, chiamate capitoli (ad opera di Stefano Lang-ton, nel 1214 circa) e in brevi frasi, chiamate versetti (questi compaiono per la prima volta nella Bibbia stampata da Robert Estien-ne, nel 1551), per facilitare l’individuazione di un testo biblico.

Ogni edizione della Bibbia presenta anche l’abbreviazione dei singoli libri biblici, e ciò rende più facile la citazione. Infatti, per citare un testo biblico, sia dell’Antico come del Nuo-vo Testamento, si indica il libro che lo contie-ne (ad esempio, Isaia, abbreviato in Is, oppure Matteo, abbreviato in Mt), poi si indicano il capitolo del libro e il versetto (o i versetti) che interessano:

- Is 5,2 (= libro di Isaia, capitolo 5, versetto 2)- Es 6,1-8 (= libro dell’Esodo, capitolo 6, dal versetto 1 al

versetto 8 incluso)- Mt 5,13 (= Vangelo secondo Matteo, capitolo 5, ver-

setto 13)-1 Ts 2,5 (= prima Lettera di san Paolo ai Tessaloni-cesi,

capitolo 2, versetto 5)I testi biblici perciò non si citano indicando la pagina

della Bibbia, come si fa normalmente con gli altri libri, ma con questo particolare procedimento.

Paolo consegna i suoi scritti agli apostoli. Mosaico bizantino del XIII secolo, abside della cattedrale di Monreale (Palermo).

Anche ai bambini

bisogna far conoscere il «miele»

della Parola di Dio,

luce per tutta una vita.

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

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La Bibbia non è un’opera scritta di getto

Oggi la Bibbia si presenta come un libro stampa-to con cura, a volte riccamente illustrato e tra-

dotto in quasi tutte le lingue. Ma non è sempre stato così. La Bibbia, infatti, è giunta a noi dopo un lungo e complesso cammino. In un primo tempo le vicende in essa narrate venivano tramandate a voce, anche per-ché non c’era ancora la scrittura. Solo in un secondo momento si è cominciato a fissare nello scritto i testi più antichi della storia biblica. Da allora i libri della Bibbia procedono di pari passo con gli avvenimenti in essa descritti (= i libri storici), con la predicazione dei profeti (= i libri profetici) e con la riflessione dei sapienti di Israele (= i libri sapienziali).

Anche per la formazione del Nuovo Testamento il punto di partenza non è lo scritto, ma la predicazione a viva voce di Gesù, ascoltata e riproposta nella pre-dicazione degli apostoli e riportata fedelmente dagli evangelisti, alcuni anni dopo la risurrezione di Gesù.

Antico e Nuovo Testamento abbracciano, così, un arco di tempo di circa duemila anni, che essi docu-mentano non con la precisione della ricerca storica moderna - tanto perfetta e precisa - ma attraverso ampie sintesi e racconti edificanti e popolari, privile-giando personaggi e vicende non tanto dal punto di vista della storia umana, ma interpretandoli alla luce della fede in Dio e della storia della salvezza.

La Bibbia è il libro della fede

La Bibbia perciò va accolta innanzi tutto come libro della fede, vedendo in questa definizione la ragione della sua esistenza e lo scopo della sua lettura (perso-nale e comunitaria, in casa e in chiesa). Essendo poi un testo molto antico, es-

sa necessita di una guida alla lettura, che ne favo-risca la comprensione dell’ambiente storico, religio-so, culturale e sociale in cui è sorta. Infatti, una cosa è il nostro modo di comunicare e di raccontare oggi - essenziale e preciso - e altro è quello degli antichi orientali, ricco di simboli e di immagini, di colori e di forti contrasti.

Nella lettura della Bibbia quindi il credente dovreb-be procedere come su due binari. Il primo è quello della fede, che aiuta a vedere in questi 73 libri l’invo-lucro che racchiude la Parola di Dio, il suo progetto di salvezza, il suo chinarsi sull’uomo e il dialogare con lui. È il bina rio accessibile a tutti i credenti, che si ac-costano alla Bibbia attraverso il metodo della lectio

divina, oggi tanto praticato e diffuso.Il secondo binario è quello dell’approfondimento

e della riflessione, favorito dalla predicazione della Chiesa, dall’omelia, dallo studio e dalla catechesi. Chi s’impegna a percorrerlo acquista gradualmente gli strumenti per conoscere meglio la Parola di Dio e il suo messaggio. A questo scopo sono di grande aiuto anche le introduzioni e le note della Bibbia che abbia-mo tra le mani.

Veduta aerea del sito archeologico di Qumran, insediamento essenico nel deserto di Giuda presso il Mar Morto. Nel 1947 vi furono scoperti, in alcune grotte, importanti testi biblici in papiri.

La Bibbia nella celebrazione domenicaleUn valido aiuto alla comprensione della Bibbia e

del suo progetto unitario racchiuso nell’Antico e nel Nuovo Testamento, è offerto al credente anche dalla celebrazione eucaristica domenicale. In essa la prima

Come è giunta a noi la Bibbia

Tavola dei canoni di concordanza dei Vangeli. I canoni di concordanza mettono in relazione i passi paralleli dei diversi evangelisti. Evange-liario di Berchtold di Salisburgo, 1070-1080.

Abbazia di Admont (Austria).

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lettura, tratta generalmente dall’Antico Testamento, è posta in stretto rapporto con il brano evangelico. Queste due letture, come abbiamo detto preceden-temente, si illuminano a vicenda e vanno interpretate l’una con l’altra. Il brano dell’Antico Testamento viene compreso in pienezza nel Vangelo di Gesù. Il brano evangelico, a sua volta, trova lo sfondo nel mondo, nel linguaggio, nei personaggi e nelle

attese presenti nell’Antico Testa-mento. S. Gregorio Magno diceva giu-stamente: «L’ Antico Testamento è pro-fezia del Nuovo Testamento e il miglior commento dell’Antico Testamento è il Nuovo Testamento» (In Ezechielem I, 6,15; CCL 142).

Non era invece in sintonia con una lettura unitaria della Bibbia l’eretico Marcione (11 secolo d.C.) che scarta-va in pieno l’Antico Testamento, per privilegiare solo alcuni libri del Nuovo Testamento (il Vangelo secondo Luca e alcune Lettere di Paolo). Egli spezza-va così l’unico progetto di Dio a favore dell’uomo rifiutando il Dio dell’Anti-co Testamento, considerato violento e vendicativo, ormai superato dal Dio rivelato da Gesù come Padre buono e misericordioso.

I manoscritti della BibbiaDobbiamo subito dire che non possediamo il testo

«originale» della Bibbia né dei Vangeli. In un primo tempo, come abbiamo già detto, predominavano il racconto vivo, la parola e la predicazione. Si deve poi all’opera diligente di alcuni raccoglitori la fissazione nello scritto, che sfocerà nell’attuale testo della Bib-bia.

Essa, così come la leggiamo noi oggi, si è andata formando lungo l’arco di circa mille anni: la compo-sizione delle tradizioni più antiche può essere datata verso il 900 a.C. e la conclusione può essere collocata verso l’anno 100 d.C. (con la composizione del Vange-lo secondo Giovanni).

Possediamo invece diversi manoscritti di questo

splendido libro, i quali testimoniano la fedeltà della trasmissione dei testi narrati a viva voce ai testi fissati nello scritto.

I più antichi manoscritti dell’Antico Testamento, scritto in ebraico, sono quelli della comunità di Qu-mran (una località situata sulle alture del Mar Mor-to, nella Giudea). Essi sono stati scoperti nel 1947 in alcune grotte-deposito, risalgono al II secolo a.C.

e contengono, o in forma frammentaria o in forma completa (del libro di Isaia sono stati rinvenuti due manoscritti) tutti i libri biblici (eccetto il libro di Ester). Prima di questa scoperta i manoscritti più antichi del-la Bibbia ebraica erano il Codice di Aleppo (che risa-le al 910 d.C. circa) e il Codice di Leningrado (o San Pietro-burgo, risalente al 1008 circa d.C.): entrambi costituiscono la base delle attuali edizioni della Bibbia in lingua ebraica, ora però integrati dai manoscritti (chiamati anche «rotoli») di Qumran.

Sebbene l’arco di tempo di un millennio separi questi due codici dai manoscritti di Qumran, bisogna tuttavia dire che il testo biblico trasmesso è sostan-zialmente lo stesso, a testimonianza della scrupolosa fedeltà con cui è stata prima conservata e poi tra-smessa la Parola di Dio nella comunità di fede.

Insieme con i manoscritti biblici, a Qumran sono stati ritrovati anche i testi che regolavano la vita e la spiritualità della comunità che si era ritirata in que-sta località. Manoscritti biblici e testi della comunità vengono citati riportando il numero della grotta in cui sono stati rinvenuti (da 1 a 11) e il titolo abbre-viato del contenuto del manoscritto o «rotolo». Ecco un esempio:

lQlsa = 1 indica il numero della grotta, Q è la sigla

Veduta aerea del sito archeologico di Qumran, inse-diamento essenico nel deserto di Giuda presso il Mar Morto. Nel 1947 vi furono scoperti, in alcune grotte,

importanti testi biblici in papiri.

Giara in terracotta ove sono stati rinvenuti i rotoli di Qumran. Tali custodie e il clima secco hanno permesso una buona conservazione

per circa 21 secoli.

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di Qumran, lsa è il contenuto (cioè primo ma-noscritto di Isaia, il secondo manoscritto ritro-vato viene abbreviato in lsb)

1QM = Prima grotta (1) di Qumran (Q), Ro-tolo della guerra (M, dall’ebraico Milkamàh, «guerra»). È un testo della comunità che de-scrive la battaglia tra i figli della luce e i figli delle tenebre (cioè tra il bene e il male).

Tra i più antichi manoscritti del Nuovo Te-stamento, scritto in greco, ricordiamo il Papi-ro di Rylands (abbreviato in P52), che contiene un frammento del Vangelo secondo Giovanni (8,31-33.37-38). Esso è databile tra il 95 e il 125 d.C, quindi a soli 20/25 anni dalla fissazio-ne nello scritto di questo vangelo. Nessun’altra opera antica è così ben documentata.

Tra i codici più importanti che trasmettono il te-sto greco dell’Antico e del Nuovo Testamento vanno ricordati il Codice Sinaitico (trovato nella zona del monte Sinai) e il Codice Vaticano (così chiamato per-ché conservato nella Biblioteca vaticana). Entrambi risalgono al secolo IV e contengono il testo dell’Antico Testamento in greco e del Nuovo Testamento. Al se-colo V appartiene il Codice Alessandrino, che contie-ne il testo greco dell’Antico e del Nuovo Testamento, con altri scritti cristiani antichi.

Le lingue della BibbiaL’Antico Testamento è stato scritto nella lingua

ebraica, ritenuta dal popolo di Israele come l’unica lin-gua sacra (solo brevissimi testi sono stati scritti in ara-maico, una lingua simile all’ebraico). La lingua greca comparirà in un secondo momento con la traduzione della Bibbia ebraica in questa lingua, avvenu-ta in Egitto nel II secolo a.C. e conosciuta con il nome di «Settanta» (forse un’allusione al numero dei traduttori).

Alcuni libri biblici non scritti in ebraico, ma scritti direttamente in greco, non sono sta-ti perciò accolti dagli ebrei nel loro canone, cioè nell’elenco dei li-bri ispirati. Si tratta di sette libri:

- Tobia- Barite- Giuditta- Siradde- Sapienza- Primo e Secondo

libro dei Maccabei.

A questi testi bisogna aggiungere alcuni passi che nel libro di Daniele (3,14-90; 13,1-14,42) e nel libro di Ester (10,4-16,24) sono stati trasmessi in lingua greca.

Anche le Chiese protestanti non accolgono questi sette libri nel loro canone, mentre la Chiesa cattolica li ha accolti chiamandoli deuterocanonici, cioè inseri-ti nel canone dei libri ispirati in un secondo momento (dal greco dèuteros, «secondo»).

Il Nuovo Testamento è scritto in greco, nella for-ma conosciuta come koinè («comune»), cioè la lingua greca parlata dai diversi popoli del bacino mediter-raneo, che in essa trovavano il mezzo più idoneo di comunicazione e la lingua franca per il commercio e la diffusione della cultura.

(continua sul prossimo notiziario)

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINOCommissione pastorale familiare e coppia

Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

Il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto l’anno della fede con un documento dal titolo molto evocativo: “La porta della fede”. Subito, in apertura, si legge che “attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita.

Esso inizia con il Battesimo...”. All’interno della metafora che stiamo percorrendo, che vede il felice parallelo tra casa e vita familiare, la porta d’ingresso è un elemento fondamen-tale, curato nel momento iniziale del prendere abitazione, poi necessariamente usato e forse dato un po’ per scontato. Si sceglie il colore e l’estetica, la tipologia di materiale e il gra-do di sicurezza, sapendo che ad un tempo deve far entrare solo chi è di casa o vi è invitato, mentre col piglio della custo-dia sicura deve tenere fuori tutto il resto.

La chiave è in possesso a pochi e normalmente sono quelli che hanno responsabilità in famiglia: prima solo gli sposige-nitori, per poi riconoscere la crescita dei figli e un loro diven-tare adulti. Quante volte nella vita si apre e si chiude questa porta, varcando l’ingresso di casa... E tutto questo moltipli-carsi di occasioni porta ad una inevitabile abitudinarietà, fatta di consuetudine e utilità. Tra le tante suggestioni che questa metafora potrebbe legittimamente far emeregere, ne vorrei cogliere solo alcune, quelle che rappresentano il fondamento del fare casa per i cristiani.

Così è dell’ingresso nella vita matrimoniale, sapendo che ci possono essere oggi diversi modi di arrivare alle nozze, ma un solo passaggio ti porta al sacramento. Su esplicita domanda degli innamorati, la Chiesa con loro apre la porta della fede, nella celebrazione dell’amore coniugale all’inter-no dell’amore di Cristo: nel suo dono fedele e indissolubile, totale e fecondo. Agli sposi si consegna anche un segno della chiave, l’anello nuziale, pur sapendo che il vero simbolo che può aprire questa porta sono le loro vite unite per sempre nella strada del matrimonio sacramento. Questa porta co-niugale viene aperta e chiusa innumerevoli volte, quando si iniziano e si concludono i molti capitoli della storia di vita ma-trimoniale, ma una sola volta si varca la soglia del coniugale accompagnati da Cristo e da lì in avanti la porta, nel segno dell’indissolubilità, viene chiusa per sempre. E’ curioso che anche nella vita monastica, soprattutto nel ramo femmini-

le, si mantenga questo significato nell’immagine della porta d’ingresso del monstero che custodisce il dono esclusivo a Dio nella vita verginale e nella vita comune.

Ovviamente, la porta d’ingresso non solo consente di en-trare la prima volta in casa, ma tutte le volte che ce n’è biso-gno, normalmente in più occasioni al giorno. Oltre quindi a segnare l’avvio del matrimonio e il signifi cato specifi co di essere sposati in Cristo, essa rimanda anche all’apertura agli altri che entrano nella vita familiare.

Primi fra tutti i familiari di origine, verso i quali grande dev’essere il ringraziamento per tutto quello che hanno dato e alimentato, ma ugualmente per i quali la porta d’ingresso deve segnare e signifi care un giusto confi ne, capace di deli-mitare storie diverse, offrire libertà e riservatezza. La nuova famiglia evidenzia la sua indipendenza nel distinguere i di-versi legami e assumere responsabilità, emanciparsi e fuggi-re ogni ambiguità. Altro discorso, invece, è quello relativo ai fi gli: con loro la casa si allarga e prende prospettive di futuro. La porta degli sposi è stata costituita anche per loro, capace di aprirsi automaticamente al loro passaggio, perché frutto dell’amore coniugale. La fecondità ha sempre avuto una no-bile compagna di viaggio, la speranza; oggi, tuttavia, le due amiche sembra si siano un po’ perse di vista, anche nelle case dei cristiani. Se da un lato è vero che molte sono le diffi coltà nell’accogliere e crescere dei fi gli, dall’altro, rimane an-cor più vero che non possiamo rinunciare alla loro presenza benedetta, al futuro e alla speranza di un’umanità rinnovata con la presenza della testimonianza cristiana.

Ricordiamo che il santo Natale rappresenta proprio la na-scita del Redentore e l’apertura infi nita di speranza di Dio verso ogni essere umano. “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”, dice il Signore nel Libro dell’Apocalisse (Ap 3,20). Apriamo, allora, con rinnovata fi ducia la porta delle nelle nostre case a Cristo che viene! don Giorgio Comini

segretariato diocesano pastorale familiare

pagine per lafamiglia e... dintorni

La casa sulla roccia: la porta d’ingresso

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«Al sopravvenire dell’at-tuale gravissima crisi

economica, i clienti della nostra piccola azienda sono drastica-mente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i paga-menti.

Ci sono giorni e notti nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza».

In molti, nell’ascoltare la drammati-ca testimonianza presentata da due co-niugi al Papa in occasione del VII In-contro Mondiale delle famiglie (Milano, 1-3 giugno 2012), non abbiamo faticato a riconoscervi la situazione di tante per-sone conosciute e a noi care, prova-te dall’assenza di prospettive sicure di lavoro e dal persistere di un forte senso di incertezza.

«In città la gente gira a testa bas-sa – confidavano ancora i due –; nessuno ha più fiducia di nessuno, manca la speranza».

Non ne è forse segno la grave difficoltà nel “fare famiglia”, a cau-sa di condizioni di precarietà che influenzano la visione della vita e i rapporti interpersonali, suscitano inquietudine e portano a rimandare le scelte definitive e, quindi, la tra-smissione della vita all’interno della coppia coniugale e della famiglia?

La crisi del lavoro aggrava così la crisi della natalità e accresce il preoc-cupante squilibrio demografico che sta toccando il nostro Paese: il progressi-vo invecchiamento della popolazione priva la società dell’insostituibile pa-trimonio che i figli rappresentano, crea difficoltà relative al mantenimento di attività lavorative e imprenditoriali im-portanti per il territorio e paralizza il sorgere di nuove iniziative.

A fronte di questa difficile situazio-ne, avvertiamo che non è né giusto né sufficiente richiedere ulteriori sacrifici alle famiglie che, al contrario, neces-sitano di politiche di sostegno, anche nella direzione di un deciso alleggeri-mento fiscale.

Il momento che stiamo vivendo pone domande serie sullo stile di vita e sulla gerarchia di valori che emerge

nella cultura diffusa. Abbiamo bisogno di riconfermare il valore fondamen-tale della vita, di riscoprire e tutelare le primarie relazioni tra le persone, in particolare quelle familiari, che hanno nella dinamica del dono il loro caratte-re peculiare e insostituibile per la cre-scita della persona e lo sviluppo della società: «Solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso» (BE-NEDETTO XVI, Discorso alla 61a Assemblea Generale della CEI, 27 maggio 2010).

Quest’esperienza è alla radice del-la vita e porta a “essere prossimo”, a vivere la gratuità, a far festa insieme, educandosi a offrire qualcosa di noi stessi, il nostro tempo, la nostra com-pagnia e il nostro aiuto. Non per nulla San Giovanni può affermare che «noi sappiamo che siamo passati dalla mor-te alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14).

Troviamo traccia di tale amore vi-vificante sia nel contesto quotidiano che nelle situazioni straordinarie di bisogno, come è accaduto anche in oc-casione del terremoto che ha colpito le regioni del Nord Italia. Accanto al di-spiegamento di sostegni e soccorsi, ha riscosso stupore e gratitudine la grande generosità e il cuore degli italiani che hanno saputo farsi vicini a chi soffriva. Molte persone sono state capaci di dare se stesse testimoniando, in forme di-verse, «un Dio che non troneggia a di-

stanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza» (BENE-DETTO XVI, Discorso nel Teatro alla Scala di Milano, 1° giugno 2012).

In questa, come in tante altre circostanze, si riconferma il valo-re della persona e della vita uma-

na, intangibile fin dal concepimento; il primato della persona, infatti, non è stato avvilito dalla crisi e dalla stretta economica. Al contrario, la fattiva so-lidarietà manifestata da tanti volontari ha mostrato una forza inimmaginabile. Tutto questo ci sprona a promuove-re una cultura della vita accogliente e solidale. Al riguardo, ci sono rimaste nel cuore le puntuali indicazioni con cui Benedetto XVI rispondeva alla coppia provata dalla crisi economica: «Le parole sono insufficienti… Che cosa possiamo fare noi? Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie potrebbero aiutare. Che realmente una famiglia assuma la responsabilità di aiutare un’al-tra famiglia» (Intervento alla Festa delle testimonianze al Parco di Bresso, 2 giugno 2012).

La logica del dono è la strada sulla quale si innesta il deside-rio di generare la vita, l’anelito a fare famiglia in una prospettiva feconda, capace di andare all’origine – in con-trasto con tendenze fuorvianti e de-magogiche – della verità dell’esistere, dell’amare e del generare. La disponi-bilità a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo: non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, bensì facendo forza sulla verità del-la persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in un una si-tuazione di crisi. Donare e generare la vita significa scegliere la via di un futu-ro sostenibile per un’Italia che si rinno-va: è questa una scelta impegnativa ma possibile, che richiede alla politica una gerarchia di interventi e la decisione chiara di investire risorse sulla persona e sulla famiglia, credendo ancora che la vita vince, anche la crisi.

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3 Febbraio 2013 - Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 35a Giornata Nazionale per la Vita

Generare la vita vince la crisi

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uno di noiraccolta firme della iniziativa europea

Dalla lettera del nostro vescovo, Luciano Monari, del 2 gennaio 2013: “...oltre trenta Organizzazioni pro-life europee (per l’Italia il Movimento per la Vita) si sono

grandemente impegnate in un lavoro di concerto molto ben svolto, che ha dato vita all’iniziativa eu-ropea “Uno di Noi”(1). Con questa iniziativa si chiede alle Istituzioni europee di tutelare il diritto alla vita degli esseri umani concepiti ma non ancora nati(2).

Mi sta a cuore attirare la vostra attenzione sull’importanza dì questa iniziativa. Non si tratta infatti solo di affermare a livello civile un caposaldo della democrazia: il riconoscimento dell’uguaglian-za di diritti di tutti gli uomini. È qui in gioco anche un punto centrale fra i principi dell’antropologia e dell’etica cattolica: il valore della vita umana fin dal suo concepimento. Oltre i principi, concretamente, qui si tratta di tutelare la vita di tanti nostri fratel-li in umanità. Il compito è particolarmente urgente nel contesto culturale attuale nel quale, come ci ha ricordato il Santo Padre nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2013(3), è sempre più pressante la spinta a livello mondiale perché dei delitti contro la vita umana non nata vengano dichiarati come diritti soggettivi ed inalienabili.

Per questo, mentre mi auguro che vorrete fir-mare voi stesse/i a favore di questa proposta, desidero invitarvi a diffondere la conoscenza di “Uno di Noi”, stimolando in particolare i fedeli lai-ci all’impegno per la sua riuscita.

Vi esorto, al medesimo modo, ad offrire il vo-stro sostegno a chi, singoli laici o aggre-gazioni laicali, vi proponesse di promuove-re l’adesione al l ’ iniz iat iva coinvolgendo in vario modo i fedeli delle vostre Parroc-chie, attraver-so banchetti di raccolta firme o eventi organiz-zati ad hoc....”

IN CONFORMITÀ ALLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’ UOMO

Noi crediamo che la dignità sempre egualmente grande di ogni essere umano sia il fondamento della giustizia, della libertà, della democrazia e della pace.Noi crediamo perciò, che tale dignità, con i diritti che ne derivano, debba essere riconosciuta senza alcuna discriminazione dal primo inizio della vita umana nel concepimento fino alla morte naturale.Noi crediamo che l’unità europea debba ritrovare motivazioni e slancio recuperando la sua anima che affonda le radici nell’ umanesimo che, fecon-dato dal cristianesimo, ha gradualmente costruito una visione della società che pone al centro la per-sona umana: ogni persona nella sua incomparabile dignità.Noi crediamo che questo moto storico, che ha già vinto ogni dottrina di oppressione sull’ uomo, che ha già liberato intere categorie di uomini dal-la discriminazione, debba ora raggiungere la sua perfezione riconoscendo come “uno di noi” anche ogni singolo essere umano all’ inizio della sua vita, quando, appena concepito, attraversa la condizio-ne della più estrema fragilità umana.Noi crediamo che un vero unitario popolo europeo possa emergere nell’ aderire ampiamente a questa visione.Noi crediamo che I’ Unione europea, nelle azioni che essa attua nel suo interno e nel mondo, appli-chi coerentemente questo principio.Per questo chiediamo a tutti i cittadini dell’ Unio-ne europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polo-nia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Re-gno Unito e Ungheria) di esprimere la loro adesione alla iniziativa denominata, “UNO DI NOI” promossa in applicazione del Trattato di Lisbona che ha in-teso mettere a disposizione dei popoli una nuova forma di democrazia partecipata.

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Il Gruppo Galilea è un cammino di fede per persone che vivono situazioni ma-trimoniali difficili o irregolari (es. divorziati -risposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi

spazi di ascolto, riflessione e condivisione.Ogni primo sabato del mese.

Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Cen-tro Pastorale “Paolo VI”, in via Gezio Calini, 30 -Bs)

dalle ore 17.00 alle ore 19.00.Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comi-ni, direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare.

(1) Nel maggio 2012 è entrato in vigore nell’Unione Europea un nuovo strumento di democrazia diretta (previsto dal Trattato di Lisbona) che riconosce ai cittadini la possibilità di presen-tare proposte di legge di iniziativa popolare. Questo processo, che prende il nome di “iniziativa europea”, stabilisce che se un milione di cittadini di almeno 7 nazioni europee firmano a so-stegno di una particolare proposta, il Parlamento comunitario debba poi prendere in esame tale proposta di legge.(2) L’obiettivo del Comitato promotore può essere sintetizza-to nella richiesta che in ogni documento di diritto o Trattato europeo dove si parli di tutela della vita umana o del diritto alla vita, si aggiunga la specificazione «dal concepimento», ri-conoscendo così la dignità dei nascituro e il suo diritto in Eu-ropa a ricevere tutela legale. In particolare, si chiede alla UÈ di porre fine al finanziamento di attività che presuppongono la distruzione di embrioni umani in ambito di ricerca, aiuto allo sviluppo e nella pratiche di sanità pubblica che presuppongono la violazione del diritto alla vita.(3) «Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità. 4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilup-parsi, e sino alla sua fine naturale. (...).Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo svilup-po integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambien-te, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una vi-sione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile uti-lizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita».

PER FIRMARE:

“La casa sulla roccia”Costruiamo la nostra famiglia

sulla roccia di CristoTRE GIORNI PER GIOVANI COPPIE DI SPOSIPasso del Maniva (Collio Valtrompia)da venerdì 26 aprile ore 20,00a domenica 28 aprile ore 17,00Accompagna don Giorgio Comini

Tenendo conto dei tempi familiari, le giornate prevedono: preghiera,

formazione, condivisione, momenti di fraternità.

Costi (dalla cena del 26 alla merenda del 28)Per adulto: 80 euro (40 euro al giorno)

Bambini fino a 1 anno non compiuto: gratisBambini fino a 5 anni compiuti: 40 euro (20 al giorno)

Bambini - ragazzi fino ai 15 anni compiuti: 60 euro (30 al giorno).Il pagamento si effettua direttamen-

te sul luogo.I figli avranno a disposizione tempi e luoghi

appropriati per vivere una bella esperienza di comunione, di gioco e di attività educative,

accompagnati da personale qualificato.

Note utili-Il luogo si trova a 1700 metri di altitudine e richiede abbigliamento adatto.-Portare la Bibbia; per chi ha bambini piccoli, ricordarsi il seggiolino per il tavolo e il lettino da campeggio.

ISCRIZIONI e INFO ENTRO il 12 APRILE 2013

c/o Uff. Famiglia tel. 030/3722 232-245 dal martedì al venerdì 8.30-12.30e-mail [email protected]

(specificare: nome e cognome, numero di tel., email, nome ed età dei figli)

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia

informazioni sul sito www.unodinoi.mpv.org;“Retrouvaille” propone we-ekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separa-ti ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di cop-pia chiara e stabile. Per info: [email protected] e www.retrouvaille.it.

numero verde da fisso800-123958 da cellulare

3462225896

Per sostenere questa iniziativa è possibile mettere la propria fima

sul modulo predispostodomenica 3 febbraio “Giornata della Vita”,

fuori dalle chiese o tutti i giorni presso

la segreteria, le sacrestie.

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Con «In alto i nostri cuori!»

Il movimento ascensionale, parti-to con l’of-fertorio, giunge al suo culmine nell’invito a lasciarci sor-

prendere e comprendere in dimen-sione nuova, che va oltre il tempo e lo spazio, donandoci di vivere un tratto del paradiso. Il prefazio, infat-ti, è una porta spalancata sul ciclo. Tutta la preghiera allude al mondo che verrà, ma anche annuncia che il futuro è già presente, perché il Re-gno lo possediamo in anticipo, come dono avuto in eredità. Attraverso la morte e risurrezione di Cristo, di cui l’Eucaristia è memoria viva, l’assem-blea sa di essere pienamente riconci-liata con Dio. Esplode così il grazie al Padre per averci donato la pienezza della Grazia e per averci concesso un anticipo della vera patria.

«Rendiamo grazie al Signore nostro Dio!».

È la sola risposta vera e saggia che il credente possa rivolgere all’Al-tissimo, riconoscendo i suoi doni: la creazione opera del Padre, la reden-

zione dono di Cristo, lo Spirito San-to che, nel tempo presente, è caparra del Cielo (2 Cor 5,5).

Comincia così la grande preghiera eucaristica, espressione e contenuto della vita nuova che Dio rende possi-bile, fonte e culmine della lode e del ringraziamento.

Invocazione e riconoscenza assu-mono, nella solennità delle parole e del canto, una dimensione cosmica, poiché l’assemblea liturgica terrena si unisce a quella del Cielo. Lo ricor-dano ogni volta le parole che, in for-me diverse, introducono il canto del-la dossologia al «tre volte Santo». La voce umana si unisce a quella degli angeli e dei santi del cielo per ricono-scere in Lui il motivo misterioso di tutto ciò che esiste: «Il cielo e la terra sono pieni della tua gloria». Il Signore è la ragion d’essere, l’inizio, lo sco-po e il compimento della creazione. In quel canto solenne la comunità cristiana si riconosce come un’uni-ca Chiesa, quella che abita la terra e quella che già partecipa del Cielo e vive il passaggio alla comunione dei santi. Nella preghiera eucaristi-ca si prega, infatti, anche per i de-

funti, e, in un certo senso, si prega con loro. Si offre anche la pro-pria morte, si alimenta il desiderio del cielo, si esalta l’aspirazione a essere final-mente con il Signore.

Come si potrebbe fare m e m o r i a d e l l ’ U l t i m a Cena, senza

prima essere portati di fronte e im-mersi dentro all’invisibile presenza di Dio? Come non provare un’intima e incontenibile emozione per tutto quello che il Signore ha fatto e dirgli il grazie più sincero e commosso? Il canto del «Santo» ci prepara quindi a riconoscere che l’origine di ogni dono è il sacrificio di Cristo, attua-lizzato nel racconto vivo della Cena.

Il ringraziamento diventa così adorazione: la voce tace e il corpo si mette in ginocchio. All’esplosione del canto succede il silenzio: siamo davanti alla tavola pasquale del Re-gno dei cieli!

La santità del quotidianoII movimento ascensionale cul-

mina nel Mistero dove è donata la Grazia eucaristica. Questo percorso i cristiani non lo compiono soltanto ritualmente nella liturgia, ma lo vi-vono nello svolgersi della loro quo-tidianità. Fede e vita, sacramento e comportamento etico fanno tut-t’uno. Questo cammino ascendente (la quotidianità) e discendente (la Grazia) si chiama santità. A immagi-ne e somiglianzà del «tre volte san-to» anche la carne (supporto base della quotidianità) diventa via di sal-vezza: «Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). La vocazione alla santità per-sonale è presentata come realizzabi-le nonostante gli impegni della fami-glia, della scuola, del lavoro e della professione, della cittadinanza, ma, precisamente, nella fedeltà a queste prime esperienze di vita. In questo modo si compie pienamente l’indi-cazione di san Paolo secondo cui: «il corpo è tempio dello Spinto Santo» (1 Cor 7,19), così che l’apostolo può af-fermare: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio

Ritualità e famiglia

L’esplosione del canto del Santo,Santo. Santo.... con gli angeli e i santi, al termine del prefazio.

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di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).

Vera via di santificazione della carne è la vocazione matrimoniale e familiare, dove la decisione di ama-re, accettando che la morte soltanto possa rompere l’alleanza (che ripo-sa sulla «nuova ed eterna alleanza» del sangue versato), ha in sé i tratti di una decisione eroica, da prende-re a partire dalla fede. La poesia del prefazio risplende nel canto d’amo-re dell’uomo e della donna che con-tinuano l’opera creativa del Padre e ricordano come, nella loro fecondità: «tutto è stato fatto per mezzo di lui - il Figlio redentore -, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3). I coniugi cristiani, inoltre, san-no che il loro reciproco desiderio e la relazione genitoriale che eventual-mente vivono, se rimangono chiusi in se stessi diventano, inevitabil-mente, idolatria. In virtù della Gra-zia Eucaristica dello Spirito santifi-catore, (effuso anche nel sacramento del Matrimonio) essi «si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, nell’accettazione e nell’educazione della prole» (Lumen Gentium, 11).

I legami familiari (essere sposi, genitori, figli, fratelli) e, più in ge-nerale, le esperienze affettive, sono dunque luoghi imprescindibili per formulare l’atto di fede e per prepa-rare l’incontro con la santità di Dio. Obiettivo della catechesi familiare è aiutare le persone (i piccoli come i grandi) a riconoscere la sacramen-talità dei legami familiari e a viver-li come segno dell’amore di Cristo per l’umanità, così come si esprime nell’Eucaristia. La grazia del matri-monio è donata infatti per la santifi-cazione degli altri, nel difficile e mai compiuto percorso educativo del ri-conoscersi figli, dell’essere coniugi, del divenire genitori. La parrocchia centrata sull’Eucaristia compone i tratti mistici e profetici della rive-lazione di Dio in una concezione e pratica del culto che si ispira all’in-dicazione di Paolo: «Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Il Signore Gesù ci ha amati nell’ora della croce, con un amore che ha le caratteristi-che della passione umana: un amo-re unico («per me»), totale («ha dato se stesso»), fedele («ha sacrificato la sua vita»). Questo amore sponsale di Cristo è comunicato in ogni memo-

riale eucaristico, perché coloro che si nutrono di Lui possano «risplendere come astri nel mondo» (FiI 2,15), pos-sano unire insieme Cielo e terra, se-condo le parole del «Santo».

Quando la terra è senza CieloLà dove le tracce della trascenden-

za non sono riconosciute, l’esistenza si chiude in se stessa, non rinvia più alla speranza del Cielo. La liturgia ce-lebra e santifica l’amore più forte del-la morte, la società sogna, invece, la religione dell’affetto: «Mentre la fede, che non viene più insegnata, tramonta, l’amore è una “religione” senza Chiesa e senza sacerdoti, la cui stabilità è tanto sicura quanto la forza di gravita di una sessualità liberata dalla tradizione» (U. Beck, E. Beck-Gernsheim Il nor-male caos dell’amore, p 227). Nulla è più ambiguo dell’amore inteso come realizzazione di sé; nulla più idolatra della «religione dell’amore».

Oggi siamo immersi in una crisi semantica senza precedenti. L’amore è diventata una parola inaffidabile, un termine che non si sa più che cosa significhi. Ha perso il suo Miste-ro. Ogni segno trascendente (ogni squarcio di Cielo) provoca un irresi-stibile bisogno di essere «spiegato» e smascherato come un comune pro-cesso empirico. La cultura moderna ha pochi strumenti per esprimere la dimensione del mistero, al di là di un’indefinita fede nel «progresso» o di un’alterna euforia per la novità. L’ideologia (o l’integralismo religio-so), da parte sua, sfrutta la «verità» del Mistero come forza di identifica-zione e contrapposizione. Il linguag-gio della fede coltiva, invece, il senso alto del Mistero che ha il volto lu-minoso dell’amore, da custodire nei confini della purezza e della santità, da difendere dall’immoralità e dalla dissacrazione.

Nella liturgia la vita si trasforma e l’amore ritorna Mistero, perché i riti religiosi santificano: Dio che prende Parola e diventa Corpo. Per questo, i riti ben celebrati sono mo-vimento, musica, festa, energia, po-tenza, dispiegamento delle emozioni e dei sentimenti, in un’esperienza in cui le categorie estetiche e morali s’intrecciano fino a fondersi, in una sublime combinazione di impegno etico e di beatitudine. La santità che scaturisce dall’Eucaristia non proce-de però dalla moralità della vita ma dall’accoglienza della grazia (la cui verifica consiste certo nella virtù della carità).

La liturgia è bella nella misura in cui, in una completa spogliazione, in un totale sacrificio del superfluo, lascia apparire i gesti fondamentali e le parole essenziali di Cristo. Per questo il linguaggio della festa (il canto del «Santo») diventa adorazio-ne commossa e silente.

Riconoscere il Signore è trovare, infatti, il senso di sé, vedere la pro-pria vita trasformata. I fatti quoti-diani della vita familiare vengono riscattati dalla loro necessità e rou-tine, e diventano «atti di culto» nella «chiesa domestica». La famiglia vie-ne in questo modo compresa e vis-suta come «spazio sacro» (reso tale dalle ritualità familiari dell’amore e del dono) dove i gesti della quoti-dianità diventano segni («sacramen-ti») di vita vissuta in tensione verso l’amore (e la santità). Si scopre così, con uno stupore ogni volta nuovo, che il Signore, che genitori e figli cer-cano nelle pieghe della loro famiglia, di fatto già da tempo «si trova là». Tutta la vita può diventare, così, sa-crificio spirituale e culto a Dio, via di santificazione, ferialità che è degna preparazione alla festa domenicale.

La famiglia:spazio sacroove i fattidella vitaquotidianadiventano«atti di culto»nella liturgiadella vita.

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Ritualità e famiglia

l l pane e il vino sono stati portati processionalmente all’altare, elevati in alto per presentarli al Dio che riem-pie la terra e il cielo della sua invisibile presenza. Alla

tavola del Regno dei cieli ciò che abbiamo offerto, il nostro cibo, ma anche il nostro lavoro, la nostra stessa vita, ci viene ora restituito come dono di una nuova vita, come grazia di Dio verso l’umanità nella sua miseria.

Senza la presenza reale del Signore, però, si rimane nel-la cecità e il mistero della vita resta ancora oscuro. Si rimane ancora chiusi nella scena di questo mondo. L’evento culmine della celebrazione eucaristica apre finalmente gli occhi e illu-mina di luce penetrante quanto prima si è ascoltato e compiu-to. Fino a questo momento, l’Eucaristia è stata la nostra salita in Cristo. Ora, alla tavola della Pasqua, liberati dai vincoli della nostra carne e redenti dal peccato che ha messo a morte il Figlio di Dio, attendiamo il «mondo che verrà»: «annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, in attesa della tua ve-nuta».

Non rimaniamo più rinchiusi nel tempo e nello spazio del mondo presente. Esiste un futuro: è donato un senso al nostro vivere e morire (movimento discendente).

«Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue. Prendete e mangiate, bevete...».

La sua «carne è vero cibo e il [suo] sangue vera bevanda» (Gv 6,55).

Il cibo per la vita nuova è il Corpo stesso di Cristo. È il nostro pane, perché è Eui che ci è necessario per vivere; è il nostro vino, perché è Eui la nostra ebbrezza. Da quando lo abbiamo incontrato, il Signore è diventato il senso di tutto il nostro essere, il nostro nutrimento essenziale. Eo Spirito San-to invocato sul pane e sul vino «è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria» (Ef 1,14). Essere nello Spirito significa così vivere la

liturgia terrena come anticipo e partecipazione alla liturgia del cielo.

Il racconto dell’istituzione (il Canone) offre la sintesi di tut-ta la vita di Gesù attraverso la sua gestualità: amore che dona la vita. «I gesti di Gesù Cristo: ecco quello che deve trasparire dalla nostra liturgia (...) Cristo ci fa dono della bellezza dei gesti da lui compiuti (...) La bellezza di una celebrazione eucaristica dipende solo in minima parte e in modo secondario dai canti, dagli elementi deco-rativi, dalle architetture: non bisogna mai dimenticare che in primo luogo essa risiede nella frazione del pane propriamente detta, per quel-lo che Gesù ha fatto di tale gesto. Su questo punto ci è necessaria una lucidità, una purificazione del senso estetico che solo la fede teologale rende possibile» (F. Cassingena-Trèvedy, La bellezza della liturgia, Qiqajon, p 45).

Tutta la vita di Gesù è stata un’esistenza donata, fino all’estremo, quando il suo sangue è stato versato per l’umani-tà. Come potrebbe il cristiano dimenticarlo, proprio quando fa memoria viva di quell’inestimabile dono? Il punto più alto, quello che si eleva fino a toccare il cielo, riporta così subito alla terra.

Il movimento ascendente raggiunge qui il suo apice non di-stinguendosi più da quello discendente. «E ora o Padre ricordati di tutti quelli per i quali ti offriamo questo sacrificio (...) del tuo po-polo e di tutti gli uomini...» (Preghiera Eucaristica IV).

Sentirsi in paradiso, godere la gioia e pace nello Spirito San-to, non ci distoglie dalla terra che Dio ha amato così appas-sionatamente da «donare il suo unigenito Figlio, affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3,16).

Il pane diventa la carne di Cristo «per la vita del mondo» (Gv 6,51).

Incarnazione del Figlio di Dio, passione e morte in croce, sono dono di Dio per l’umanità. La comunione nello Spirito Santo non opera solo l’unità dei credenti, rendendoli «un solo corpo e un solo spirito», ma rende la comunità sacrificio per il

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

mondo, secondo la figura di quello di Cristo, cioè vocazione alla solidarietà disinteressata con il mondo (Preghiera eucari-stica III).

Il codice dell’amore familiareNon solo la liturgia è sacramentale, compiendo gesti che

fanno riferimento al Mistero, ma lo è anche la vita familiare. Essa contiene tutti gli elementi che rendono possibile l’incon-tro ravvicinato al Mistero eucaristico.

Eucaristia e famiglia condividono infatti il medesimo co-dice: l’amore, nella sua forma più pura, cioè quello del dono gratuito. Costitutiva dell’amore, infatti, è la gratuità che si svi-luppa nel dono. L’amore esclude il calcolo e non è compatibile con la forma dello scambio economico: «ti do per avere». Chi ama può nutrire delle attese dalla persona amata, ma sa che non può avere «pretese».

Non compie il dono in vista del controdono. Rinuncia al tornaconto. Dove c’è interesse l’amore si eclissa.

L’amore sponsale, come quello genitoriale, amicale, solida-le, genera continue esperienze vitali di gratuità e di dono. Per la mente calcolatrice, per chi vede solo le cose per il loro pro-fitto, l’amore è puro spreco. Non lo si offre, infatti, in quanto serve. In amore non si calcola neppure il tempo: non si può amare a tempo. Si ama e basta.

Cifra estrema del dono come «spreco» è, con ogni eviden-za, l’amore di Dio. Un semplice sguardo ammirato al cielo stellato, trasmette immediatamente al credente la grandiosi-tà dell’amore divino: l’universo, specchio di Dio, espressione della sua tenerezza (più che della sua potenza), è uno «smisu-rato» sperpero di energia, un «insensato» consumo di risorse, uno «sregolato» dispiegamento di forza, senza scopi di utilità. Il credente lo chiama «gloria» («I cieli e la terra sono pieni della tua gloria»).

Anche la croce parve uno spreco. Per chi la inflisse come pena: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo» (Gv 18,14). Per chi la scherniva: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso» (Lc 23,35). Finché durerà l’amore, fino a quando esisteranno an-cora famiglie e ci saranno ancora amici, la massimizzazione del dono si opporrà sempre alla massimizzazione del profitto, tipi-ca dell’attuale economia.

Insieme alle persone l’amore trasfigura anche le cose. Esse non sono più cercate per sé (come nel consumismo), ma di-ventano degli «intermediari», segni efficaci dell’incontro con l’altro: i partner provvedono gli uni alle necessità materiali de-gli altri, i genitori si premurano di dare risposta ai bisogni dei figli, gli amici si donano tempo, le donne e gli uomini, nella cittadinanza attiva come nel servizio volontario, creano pro-getti, inventano imprese.

Chi ama non si ferma alle persone, estende il suo affetto e la sua premura anche alle cose. Lo insegna la liturgia, massima espressione d’amore. Chi prega s’inchina davanti alle cose e le tratta come «sorelle». Anche le cose partecipano del Mistero. Non sono meri oggetti, non si riducono a «possesso». Sono preziose e indispensabili perché non si può vivere senza di esse. La nostra epoca ha conosciuto la forza disumanizzante della ricchezza, l’avere che spegne l’essere, il benessere dove l’inu-

tile diventa il tutto, il profitto come criterio di vita e mentalità che tutti accomuna con il suo carico di violenza, di arroganza, sperpero e disprezzo delle persone e della natura.

L’amore sponsale genera la gratuità e il dono; non calcola, solo ama.

Per chi vive l’Eucaristia, come chi vive nell’amore, nulla è banale, tutto vale, tutto è grazia. Le cose sono piene di senso. Dall’Eucaristia non deriva quindi il disprezzo, ma l’amore ap-passionato per il valore e la bellezza di tutte le cose, coscien-za piena della loro preziosità ed essenzialità. Se si richiede un certo distacco, non è per disistima o, peggio, per sentimento di sufficienza, ma per ritrovarne il senso, per recuperarne il rispetto e la riverenza, come davanti a un’esperienza del sacro. È quanto indicato nel significato autentico ed originale del «sa-crificio», inteso come «sacrum facere» (rendere sacro).

Se le cose, allo sguardo della persona di fede, sono «sacre», lo è anche il denaro (in senso ovviamente opposto all’idola-tria), per la responsabilità che la sua gestione (nel lavoro e nel consumo) richiede. Le famiglie tutti i giorni si misurano con il denaro. I genitori educano i figli al suo valore. I figli imparano a considerare la fatica che il denaro comporta e l’onestà che rende dignitosa la vita.

Il denaro è poca cosa, messo a confronto con l’amore, la pace, la fedeltà (tutti valori che non si possono comperare, ma dal cui possesso dipende la qualità della vita). Gesù tuttavia

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- pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - insegnava che «Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi» (Lc 16,10). C’è una superficialità nello spendere che è sacrilega, c’è un’insipienza nell’amministrare il denaro che è disprezzo del valore delle cose. Chi si propone di vivere nella sobrietà sa di doversi occupare con intelligenza del denaro. La sobrietà la si impara in famiglia. Ma anche la liturgia, nella ritualità suggerita dalla fede, è scuola di «nobile semplicità».

L’Eucaristia insegna che la persona è fatta per il dono e vive di dono. Si viene al mondo da un atto d’amore e si cresce a statura umana dalla gratuità che si riceve e si ricambia. In famiglia come nell’Eucaristia, i movimenti ascendenti e quel-li discendenti s’intrecciano e si fondono. La vita quotidiana familiare è quindi la più efficace preparazione all’Eucaristia domenicale, la quale, a sua volta, è grazia che rigenera l’amore familiare.

Non solo. Come nel Canone eucaristico, quando la pre-ghiera, al suo culmine, sembra introdurci in paradiso, si torna alla terra e s’intercede per il mondo, così la gratuità e la co-munione familiare sono riconosciute dalla fede come i doni essenziali che la famiglia ha da fare all’economia globalizzata. «Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuo-le essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità (...) Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave». (Caritas in veritate, nn 34 e 35).

Le famiglie senza economia non possono sopravvivere. L’economia ritiene invece di non avere alcun bisogno del codice dell’amore e lo relega alle scelte individuali o, al più, al mondo del privato. Il crollo che ha originato l’attuale crisi economica nasce esattamente da questa drammatica dimen-ticanza.

Figlio sperato, dono atteso, offerta consacrata a Dio, sacerdote, profeta. La storia di Samuele si

colloca a cavallo tra due epoche: la fine del periodo dei Giudici e gli albori della monarchia.

Samuele nasce dall’efraimita Elkana («Dio ha ac-quistato») il quale ha due mogli: Peninna e Anna. Peninna («perla», «feconda» o, secondo altri, «vol-to»), avendo già dato figli a suo marito, disprezza e umilia la rivale, il cui nome, dalla radice hen («gra-zia»), all’inizio del racconto tradisce la sua etimo-logia: anziché «graziata» del dono della maternità, Anna sembra una «senza-grazia»: Anna è sterile! Fecondità e sterilità si fronteggiano.

Dualità simili sono frequenti nella Bibbia, come la storia di Sara e Agar (cf Gen 18); Rachele, la pre-diletta, ma sterile e Lia, «la ricca di figli» (cf Gen 29-30) e altre ancora. Ciò che accomuna queste storie è l’intervento straordinario di Dio in favore della donna afflitta. Sicché anche Anna, la sterile, diventerà strumento della Provvidenza. La sua ste-rilità sembra quasi rispecchiare quella spirituale d’Israele, della sua epoca: «Le visioni di Dio era-no rare» - avverte il testo - perché i sacerdoti del tempo vivevano nella dissolutezza. E qui la svolta

decisiva: Anna reagisce nell’unico modo che cono-sce, attraverso la preghiera di domanda insistente a Dio: «Nell’amarezza della sua anima pregava da-vanti al Signore piangendo accoratamente; e fece voto dicendo: “O Signore degli eserciti, se guarderai benignamente all’afflizione della tua serva, se ti ri-corderai di me e non dimenticherai la tua serva, ma concederai alla tua serva prole maschile, io la darò al Signore per tutti i giorni della sua vita e rasoio non sfiorerà la sua testa”».

Anna sa che solo Dio può esaudirla: la sua pre-ghiera perforerà i cieli; il suo cantico, come vedre-mo più avanti nel racconto, diverrà profezia contro gli empi: «Così al compiersi del tempo, Anna concepì e dette alla luce un figlio cui pose nome Samuele, di-

Anna conduce Samuele a Silo da Eliper offrirlo al Signore.Miniatura di scuola francese. 1240 circa. Pierpont Morgan Library (New York).

Samuelesacerdote,

profeta e re

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- pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

VIAGGIO ATTRAVERSO LA BIBBIAcendo: “L’ho domandato al Signore”».

Esaminando poi etimologicamente, «Samuele» non è un nome proprio, esso è composto di due ter-mini: il sostantivo ebraico shem («nome») al quale viene aggiunto il nome generico della divinità, cioè ‘El. «Samuele», quindi, sta per «nome di Dio», «nome suo (è) Dio».

Intanto, in cuor suo, Anna ha già deciso: il figlio tan-to desiderato sarà nazir, cioè offerto interamente al servizio di Dio. Scelta non facile per una madre, ma sicuramente dettata da un amore più grande, quello dovuto a Dio, il Quale le ha usato misericordia, aven-dola resa feconda. Infatti, dopo lo svezzamento, ella ritorna al santuario di Silo (luogo in cui si custodiva l’arca dell’alleanza) portando con sé il bambino, che affida alla cura del sacerdote Eli. Questi amministrava il culto, con i suoi due figli, Cofni e Pinchas (il narratore biblico li descrive come due degenerati che, con sprez-zante avidità, profanavano l’ufficio sacro, depredando le offerte del tempio). Per contro, spicca più luminosa la figura del giovane e innocente Samuele che, rivesti-to di efod (paramento liturgico), serviva all’altare pie-no di zelo (1 Sam 2,26), tutt’altra condotta rispetto a quella dei figli di Eli: «Così il peccato di quei giovani era molto grande davanti al Signore perché disonoravano l’offerta dei Signore» (1 Sam 2,17) - inevitabile sarà il castigo divino che ne conseguirà.La chiamata

Mentre Eli e la sua casa si avviano al doloroso decli-no, il piccolo Samuele «cresceva presso il Signore» (v 21). La sua chiamata cela il rovinoso epilogo per quel-la famiglia: i rimproveri paterni di Eli nulla possono di fronte all’empietà dei suoi figli: essi non hanno ascol-tato! Dio, prima di mettere in atto la punizione, invia ad Eli un uomo misterioso allo scopo di ammonirlo (1 Sam 2,27-36), ma senza successo. Perciò Dio annul-lò l’autorità spirituale di Eli in favore del giovane Sa-muele. Nel cuore della notte il Signore lo chiama, ma Samuele fraintende, perché, come sottolinea il testo, «non aveva ancora conosciuto il Signore» (nel senso che non ne aveva fatto ancora intima esperienza, se non in quella di servirlo liturgicamente). La scena si ripetè ben tre volte, neanche Eli vi percepiva la pre-senza di Dio. Solo alla terza volta Eli realizza che è Dio a chiamare il giovane: «Se ancora ti chiama rispon-digli: ecco il tuo servo ti ascolta». Così avvenne: alla quarta chiamata Dio rivela a Samuele il suo sdegno nei confronti dei figli degeneri del sacerdote e la Sua intenzione di voler mettere fine alla corruzione che si perpetrava nel tempio.

In una sola notte il destino di Samuele prende for-ma: da ragazzo ad adulto, a profeta, a giudice. Samue-le ha ascoltato! Al mattino seguente, Samuele comu-nicò al vecchio sacerdote, in ansiosa attesa, l’oracolo divino, compito «ingrato», benché necessario, per un

fanciullo che proprio in quella casa è cresciuto ed è stato indottrinato.

Da qui i ruoli s’invertono: Samuele ora è latore del-la parola divina, non solo come sacerdote ma anche come profeta. Eli è ormai esautorato, il sacerdote è muto. Così Samuele divenne il capo spirituale delle tri-bù israelitiche e, più tardi, in qualità di giudice, anche la loro guida politica.

Sotto questo profilo, fu un secondo Mosè, poiché avocò a sé i ruoli di profeta, re e giudice. A ragion di ciò, l’evangelista Luca lo accosta alla figura di Gesù Cristo (Paul Maiberger, Le grandi figure dell’Antico Te-stamento, 181), paragone forse avvalorato dalla radi-ce altrettanto comune che lega il cantico di Anna a quel meraviglioso poema d’amore di Maria giunto fino a noi e noto come Magnificat.

Samuele versò l’olio del corno su Davidee unse re di Israele il figlio di lesse

da Betlemme.Miniatura bizantina, del X secolo.

biblioteca Marciano (Venezia).

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Scuola don OrioneSCUOLA PRIMARIA

E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie via Don Orione 1 Botticino Sera

Parrocchie di Botticino

Secondo Dante una persona può vivere un’unica vita, la propria, da protagonista, quindi sta a noi decidere se vivere una vita monotona

o una ricca di emozioni e di nuove esperienze. Dobbiamo capire cosa vogliamo diventare e chi siamo,dobbiamo schierarci e dire quello che pensiamo confrontandoci con gli altri.

Per noi vivere significa sorridere in ogni momento, combattere per i propri sogni, essere ottimisti ogni giorno, ogni minuto,godersi ogni momento e abbattersi davanti alle difficoltà, rischiare

per arrivare in alto, aiutare gli altri, avere un obiettivo e raggiungerlo, sfruttare ogni possibilità e non tirarsi indietro per paura di non farcela.

Vivere è pensare che tutto è possibile, basta volerlo. Vivere è imparare, conoscere, aiutare, apprezzare.

Non dobbiamo pensare al passato perché non si torna indietro,ma al presente e al futuro,perché il futuro siamo noi e dobbiamo fare tesoro delle nostre esperienze,belle o brutte,imparando da queste.

Nella vita le cose cambiano, maturano , la vita è una prova continua e dobbiamo quindi saper cambiare e crescere.La vita è una sola e dobbiamo costruire il nostro futuro giorno dopo giorno assaporando i momenti belli e non soffer-

mandoci su quelli brutti. Ognuno di noi ha ricevuto in dono da Dio la vita,una missione,da portare a termine nel modo migliore,senza avere

paura,ma affrontandola con coraggio e ottimismo.Sofia Elisa Carlotta Stefano Classe II media scuola Don Orione

Lettera aperta ai genitori delle scuole cattoliche brescianeL’unione fa la forza.... Morale di cambiare le coseCari genitori, siamo un gruppo di papà e mamme che hanno scelto come voi di iscrivere i figli alla scuola cattolica. Gli inse-gnanti e i religiosi ci aiutano ogni giorno a equilibrare l’impegno scolastico, la costruzione del sapere per il futuro lavorativo, ma anche la crescita della coscienza e della fede.Abbiamo deciso di compiere questo cammino educativo aggregandoci agli altri genitori attraverso l’AGESC (associazione genitori scuole cattoliche) che dal 1975 si impegna nella formazione dei genitori e nella scoperta della bellezza della libertà educativa.Libertà educativa significa possibilità di scegliete quale sia la scuola migliore per i nostri figli e quali principi fondanti e ispi-ratori desideriamo ne siano alla base.La nostra associazione, fatta di volontari, senza fini di lucro, apartitica , nella nostra provincia e regione era in passato nu-mericamente molto presente; da anni vive anch’essa la crisi dell’associazionismo. Poiché i numeri sono fondamentali in democrazia, pensiamo che solo facendo numero possiamo aumentare il nostro “peso” politico e perseguire uno dei nostri prioritari obiettivi : la parità di trattamento economico nelle scuole paritarie e statali.Anche gli ordinamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010/20 sostengono in modo chiaro che “ la scuola cattolica costituisce una grande risorsa per il paese. In quanto parte della missione ecclesiale, essa va promossa e sostenuta. In quanto scuola paritaria e perciò riconosciuta nel suo carattere di servizio pubblico , essa rende effettivamente possibile la

scelta educativa delle famiglie, offrendo un ricco patrimonio culturale a servizio delle nuove generazioni.Desideriamo che le scuole cattoliche non siano scuole d’élite, ma veri am-bienti educativi di apprendimento, promotrice della fede cristiana e dei suoi valori fondanti, quei valori che sono lievitnella nostra società e ric-chezza delle nostre vite. Come insegna Benedetto XVI “la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globa-le della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita”.

Il comitato Agesc della provincia di Brescia ( 0307270165- elisabetta_ [email protected])

SABATO 23 FEBBRAIO

Da Dante ai giorni nostri:la scuola ci insegna a vivere

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“...Ciascuno sappia riconoscere il valore ed apprezzare il servizio svolto dalla Scuola Cattolica... luogo di accoglienza, di condivisione

e di comunione, nel quale la persona è aiutata a crescere nell’unità integrale del suo essere...

...La nostra Scuola Cattolica bresciana si proponga sempre più come un servizio reso alla Chiesa e alla società,

un servizio che ognuno di noi deve conoscere e valorizzare, un servizio

da sostenere e da promuovere.” Luciano Monari,

vescovo di Brescia

Si discute, in questi tempi, della scuole paritarie. Sembra che la scure dell’Imu debba calare anche su di loro, con effetti

devastanti. L’argomentazione dei contrari è semplice: le scuole paritarie, che offrono un servizio pubblico, fanno risparmiare allo Stato sei miliardi di euro l’anno. E’ giusto ricordarlo, a tutti coloro che, mentendo, affermano che le scuole paritarie toglierebbero soldi all’istruzione pubblica. Giusto, dicevo, ma troppo poco. Se ormai non apparisse polemico sostenere che la neve è bianca, si dovrebbe ricordare una verità storica evidente: è la Chiesa, da cui ancora oggi originano la gran parte del-le paritarie, che ha educato e alfabetizzato l’Europa. Negarle oggi il diritto di continuare a lavorare nel campo dell’educazione signifi-ca compiere un delitto, quantomeno di irrico-noscenza, contro la propria storia.Vediamo, brevemente, i fatti.

Con il crollo dell’impero romano, l’istru-zione viene a mancare. Solo i monaci, inde-fessi lavoratori vivificati dalla virtù teologale della speranza, dopo aver arato e coltivato i campi, leggono, studiano e copiano nei loro scriptoria le opere antiche e moderne.

Il monaco Cassiodoro, cui dobbiamo la sopravvivenza di gran parte della cultura medica pagana, verrà giustamente definito “il salvatore della civiltà occidentale”. Analogo lavoro svolgono i mo-naci benedettini e quelli irlandesi, che Luigi Alfonsi ricorda essere stati “missionari, asceti, riformatori e poeti nello stesso tempo”.

“Conoscitori del latino”, con cui erano entrati in contatto tra-mite il latino ecclesiastico, gli irlandesi “educarono agli studi gli Angli”, consigliarono ed istruirono alcuni sovrani, insegnarono a leggere le sacre scritture e i poeti antichi ai loro contemporanei.

I monaci non solo copiavano i testi, ma civilizzavano le popo-lazioni barbariche, scrivendo per loro poesie, preghiere, gramma-tiche e dotando quei popoli di un senso della storia. Il venerabile Beda è riconosciuto come il “padre della storia inglese”, mentre Gregorio vescovo di Tours scrisse l’Historia Francorum e il mona-co Paolo Diacono la celebre Historia Langobardorum.

Chi educò i germani alla civiltà latina? San Bonifacio del Wes-sex, noto come “grammaticus germanicus” e Rabano Mauro, il praeceptor Germaniae. Il grande consigliere e ministro dell’istru-zione di Carlo Magno? Il monaco Alcuino, organizzatore delle Schole palatine di Aquisgrana e Tours, e delle scuole dell’impero.

Durante i secoli dell’alto medioevo l’istruzione è impartita dalle scuole monastiche e dalle scuole cattedrali, nelle quali si insegna il principio della fides quaerens in-tellectum, e che costituiscono l’an-tefatto delle Università.

In quelle stesse scuole si in-segnano la teologia, la filosofia, la

musica: dobbiamo al monaco Guido d’Arezzo l’invenzione del pentagramma e delle note, che rese lo studio della musica enor-memente più rapido ed efficace.

Quanto alle università, come racconta bene Leo Moulin, la Chiesa fornirà molti degli insegnanti più eccelsi, privilegi, soste-gno economico e politico, collegi per i poveri e borse di studio.

E la nascita del volgare italiano? La prima opera della nostra letteratura è una preghiera, il Cantico delle Creature di San Fran-cesco; quanto a Dante, è la dimostrazione del fatto che la Chiesa

e la fede sono all’origine della nostra tradizio-ne letteraria.

Dante si forma alla scuola del guelfo Bru-netto Latini, ma ancor più presso gli studi teologici dei domenicani e dei francescani di Firenze; quanto ai libri, è la capitolare di Vero-na, una biblioteca ecclesiastica, a permettergli l’accesso ad una immensa quantità di testi al-trimenti irreperibili.

Anche Petrarca e Boccaccio, desiderosi di attingere alla classicità, potranno farlo solo recandosi nelle librerie dei monasteri (dalle quali, qualche volta, trafugheranno qualche

testo raro e prezioso).Se ci spostiamo più avanti nel tempo, è con il Concilio di

Trento che nascono numerosi ordini religiosi dediti all’istruzione dei poveri, altrimenti destinati all’analfabetismo. Ricordo l’opera dei padri Somaschi e dei Barnabiti; quella degli Oratoriani e de-gli Scolopi di san Giuseppe Calasanzio, considerato il fondatore della scuola elementare popolare e gratuita (la prima nel 1597, a Trastevere); le scuole cristiane di Jean Baptiste de la Salle (XVII secolo), un altro pioniere dell’istruzione popolare e professionale in Europa. Per secoli sono quasi solo i religiosi a dedicare vita, energie, beni, per andare incontro alle esigenze intellettuali, reli-giose, lavorative del popolo.

Sono loro a istruire i ciechi e i sordomuti, a prendersi in ca-rico orfani e disadattati. Ma non solo: i barnabiti avranno, tra i loro alunni, Alessandro Manzoni; gli Scolopi Giouse Carducci e Giovanni Pascoli; i Gesuiti Cartesio, Torricelli, Volta, Galvani, Spallanzani...

Anche Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi avranno come pre-cettori dei sacerdoti, mentre, dopo di loro, non lo Stato, ma Teresa Verzeri, Maddalena di Canossa, don Ludovico Pavoni, don Gio-vanni Bosco... si occuperanno, delle ragazze e dei ragazzi orfani, abbandonati, dei vinti e degli sconfitti dell’età industriale.

PRIVILEGIARE LA SCUOLA STATALE LASCIANDO SENZA TUTELE LA SCUOLA LIBERA? UN GRAVE ERRORE Eppure è stata la Chiesa ad alfabetizzare l’Europa ed inoltre la scuola paritaria fa risparmiare allo Stato 6 miliardi all’anno

di Francesco Agnoli

Sono aperte le iscrizioni alla scuola primaria e secondaria

di primo grado per l’anno scolastico 2013/14 presso la segreteria della scuola, aperta da lunedì a venerdì dalle

8,15 alle 12,00 o in altri orari su appuntamento. Termine ultimo per l’iscrizione 28 febbraio.

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Quaresima: anche nei nostri oratori facciamo i conti con le difficoltà,

le delusioni, la sofferenza.La quaresima ci ricorda insieme,

che se da una parte non è possibile la Pasqua

senza la croce, dell’altra l’uomo è stato creato

per un fine di felicità che supera i confini

delle miserie terrene (cfr. GS 19).

Facciamo davvero fatica a confrontarci con la sofferenza: ci sembra che conti solo essere forti, vincenti, potenti e la sofferenza è lontanissima da queste dimensioni. Eppure ci sono occasioni che ci gettano in faccia tutto lo scandalo del peccato, del dolore, del male. Anche Gesù, il figlio di Dio, ha attraversato questa dimensione umana e l’itinera-rio quaresimale è un’occasione che ci offre l’anno liturgico per comprenderne a pieno il valore, la necessità e poter gustare con consapevolezza il dono della risurrezione.

Fa piaga nel Tuo cuorela somma del doloreche va spargendo sulla terra l’uomo;il Tuo cuore è la sede appassionatadell’amore non vano.Cristo, pensoso palpito,astro incarnato nell’umane tenebre,fratello che t’immoliperennemente per riedificareumanamente l’uomo,Santo, Santo che soffri,Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,Santo, Santo che soffriper liberare dalla morte i mortie sorreggere noi infelici vivi,d’un pianto solo mio non piango più,Ecco, Ti chiamo, Santo,Santo, Santo che soffri.(Giuseppe Ungaretti - Mio Fiume anche tu)

In faccia alla morte l’enigma della condizione umana rag-giunge il culmine.L’uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla deca-denza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.Ma l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annien-tamento definitivo della sua persona.Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi del-la tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore. Se qualsiasi imma-ginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato

creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corpo-rale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non aves-se peccato, sarà vinta un giorno, quando l’onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all’uomo la salvezza perduta per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama l’uo-mo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l’uomo dalla morte mediante la sua morte.Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti a chiunque vogliariflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cri-sto con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la spe-ranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.

Riscopriamo i testi del Concilio Da Gaudium et Spes˜19, ``Il mistero della morte”

IL SEGNO SUL VOLTO4° tappa - quaresima

il volto trafitto

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proposte di qualità adolescenti e giovani

ZONA PASTORALEGRANDE LA FEDE DEI PICCOLI

itinerario di spiritualità per giovaniMARTEDI’ 16 APRILE

ore 20,30 al Convento Francescani Rezzato

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

La fede è vitameditazioni del Vescovo Luciano 3-5 maggio 2013

PellegrinaggiTi seguo… a ruota (quarta edizione)Pellegrinaggio in bicicletta28-30 giugno 2013

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINOdurante la settimana varie opportunità di incontro

di formazione per adolescenti e giovani nelle rispettive parrocchie

presso i locali dell’oratorio

Celebrazione penitenzialesabato 23 marzo 2012 ore 18.00

presso il Centro Pastorale Paolo VIsegue Veglia delle Palme

GIORNATA DELLA GIOVENTU’

Emmausper chi non esclude la vocazione sacerdotale, presso il Seminario diocesano in via Razziche n. 4 dalle ore 12.30 alle 18.00nelle seguenti domeniche:24 febbraio 201317 marzo 201328 aprile 201326 maggio 201323 giugno 2013

x credere x cercare x condividere

piccola grande fede

gruppo vocazionale diocesanoper le giovani e i giovani dai 18 anni aperto al discernimento

di tutte le vocazioni(vita matrimoniale, consacrata,

missionaria,diaconale, presbiterale… )presso le Ancelle della Carità in via Moretto 33

seconda domenica del mese dalle 14 alle 19

nella fede, strade di luce10 febbraio 2013 per i dieci servi (Lc 19,11-27)

10 marzo 2013per gli abitanti di Gerusalemme (Lc 19,28-40)

14 aprile 2013 per Pietro (Lc 5,1-11)12 maggio 2013 per Maria (Lc 1,46-56)

Scuola di Preghiera in Cattedrale

LA PREGHIERA E IL RICORDO DELLA FEDE

presieduta dal Vescovoquattro giovedì di Quaresima - ore 20.30

21 febbraio 2013ho pregato perché non venga meno

la tua fede (Lc 22,21-38)28 febbraio 2013

pregate per non entrare in tentazione (Lc 22,39-46)7 marzo 2013

Pietro si ricordò delle parole del Signore (Lc 22,47-62)

14 marzo 2013ricordati di me (Lc 23,26-43)

vegliando per i missionari martiri

Sichar

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ad Assisiin visita ai luoghi

di San Francesco e Santa ChiaraNei giorni del due e del tre gennaio, noi ragazzi cresi-

mati di Botticino, siamo andati in visita ad Assisi.La partenza è stata alle ore sette in pullman e, dopo il lungo -ma divertente- viaggio, siamo “sbarcati” ad Assi-si. Il primo luogo che abbiamo visitato è stata la chiesa di San Damiano, dove Francesco passava per andare a commerciare al mercato: un giorno vi è entrato e il

Crocifisso gli ha parlato. Lì un frate ci ha insegnato, per mezzo di una metafora con la corda del suo saio, che per raggiungere un obbiettivo (in questo caso annodare la corda senza lasciarla) non bisogna mai essere soli.

Sempre lo stesso pomeriggio, andammo a visitare la Basilica di Santa Chiara e la Basilica di San Francesco. Nella Basilica di Santa Chiara sono ospitate le spoglie della santa e nella Basilica di San Francesco, divisa in superiore ed inferiore, sono ospitate quelle di San Francesco.

Finite le visite a questi importanti ed affascinanti luoghi religiosi, siamo andati a vedere i nostri alloggi, in un al-bergo posto nella parte bassa di Assisi. Lì, riposti nostri bagagli, abbiamo cenato e fatto una serata di animazione.

Il giorno dopo, una volta svegliati, abbiamo fatto colazione e, subito dopo, siamo partiti per l’Eremo delle Carceri. L’Eremo è il luogo tranquillo dove San Francesco si recava solitario in preghiera. Lì, abbiamo partecipato alla S. Messa celebrata dal nostro prete don Raffaele col nostro diacono, Pietro. Dopo essere tornati al centro di Assisi a piedi, abbiamo visitato anche il Duomo di Assisi, dove è posta il fonte battesimale dove è stato battez-zato San Francesco. Una volta tornati all’albergo abbia-mo pranzato, dopodiché siamo partiti verso la vicina ed imponente Basilica di Santa Maria degli Angeli, dentro alla quale è posta la Porziuncola, la terza chiesa che San Francesco “riparò” e il luogo dove Santa Chiara si fece seguace di Francesco e dove lui morì.

Finita la visita alla Basilica, dove ricevemmo da un frate il Tau, la croce commissa simbolo di San Francesco, partimmo (a malincuore) verso Botticino.

E’ stata un esperienza molto bella per tutti noi, che ci ha cambiato ed insegnato valori prima trascurati. Ringra-ziamo il don, il diacono e tutti gli animatori per averci per-messo di fare questa nuova bella esperienza.

Paolo Apostoli

A San Damiano

All’Eremo delle Carceri

per genitori : “ACCOMPAGNARE LA MATURAZIONE PSICO-SESSUALE DEI FIGLI

NELL’OTTICA DELL’AMORE CRISTIANO” Una serie di incontri con l’intento di fornire alcuni stimoli sull’impor-

tante compito di educare i figli all’amore e alla sessualità. Occasione quindi per il dialogo e per poter condividere con altri l’impegnativa e arricchen-

te arte del vivere in relazione con i propri figli e altre figure educative.Prossimi incontri ore 20,00 presso Oratorio Sera:

venerdì 8 febbraio, venerdì 5 aprile, venerdì 3 maggio

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a CarvannoTre giorni trascorsi a Carvanno, una frazione di Vobarno in Val Sab-

bia, per salutare il 2013.La canonica, ora utilizzata per accogliere gruppi scout, ci ha ospi-

tato dal pomeriggio del 30 dicembre 2012 fino al pomeriggio del 1 gennaio 2013.

Lì abbiamo incontrato persone ospitali, per nulla turbate dal fatto che una trentina di ragazzi si muovevano tra i vicoli del piccolo paese. Per fare ambientare i ra-gazzi, infatti, appena giunti sul posto, è stata organizzata una caccia al tesoro che li ha portati per le vie e le stradine di Carvanno.

L’esperienza è stata all’insegna del “fai da te”. Il fatto che mancassero le cuoche ha obbligato tutti noi (ragazzi compresi) a stare ai fornelli, oltre che a sistemare gli ambienti.

Anche questo è stato motivo di aggregazione per tutti e nessuno si è tirato in dietro nello svolgere i compiti. L’entusiasmo maggiore nei servizi svolti si è manifestato nello spiedo; alcuni ragazzi si sono resi protagonisti nella preparazione e anche nella cottura.

Nella semplicità non ci siamo fatti mancare nulla.Una passeggiata era d’obbligo. La mattina del 31 dicembre, baciati dal sole, in

circa 2 ore abbiamo raggiunto il monte Besum.Non potevano mancare nemmeno alcuni momenti di riflessione. I nostri ragazzi non

solo se li aspettano nelle attività che organizziamo per loro, ma li apprezzano. Alcuni pen- s ier i semplici sulle cose belle vissute nel 2012, sulle cose negative che non vorremmo fossero accadute, ma che a volte sono quelle che ci rendono umani, che ci fanno stare con i piedi per terra; e poi anche su quelle in sospeso, che per qualche motivo devono essere ancora completate o risolte.

Il pomeriggio del 31 dicembre, accompagnati da don Raffaele c’è stato un momento di ringraziamento e di condivisio-ne per le esperienze vissute.

E’ stato suggestivo il lancio delle lanterne cinesi che, verso mezzanotte abbiamo fatto alzare in aria da un campo lì vicino.Poi non è restato che accogliere il 2013 con un brindisi sotto le stelle …e buon 2013 anche a tutti coloro che sono rima-

sti a Botticino. gli animatori

giovedì 24 e giovedì 31 gennaio, giovedì 14 e giovedì 21 febbraio

Oratorio Sera ore 20,30ADOLESCENTI IN ETA’ 1 SUPERIOREIl mio corpo che cambia: educazione alla relazione sessuata. I cambiamenti corporei , la sfera affettiva, la relazione tra pari e la comunicazione non verbale, la fatica e la ricchezza dello stare in gruppo

ADOLESCENTI IN ETA’ 2-3 SUPERIOREL’affettività in adolescenza: io e gli altri L’adolescenza è un periodo particolare ed unico nel percorso di crescita di ogni uomo e donna. Si differen-zia dalla fanciullezza non solo per aspetti corporei e cognitivi, ma anche per una nuova dimensione emo-tiva e relazionale. I quattro incontri vogliono essere momenti per entrare nel mondo dell’affettività e sco-prirne caratteristiche e difficoltà. Particolare atten-zione sarà data alla fera emotiva, alle dinamiche di gruppo e delle prime relazioni di coppia.

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BATT E S I M I SAN GALLO RAGNOLI DAVIDE di Massimiliano e Simona PELIZZARI MARTINA di Andrea e Laura GOBBI BIANCA di Armando e Barbara BODEI MANUEL di Stefano e Elisabetta BUSI PENELOPE di Cesare e Elisa

BOTTICINO MATTINAMONDA ALESSANDRO di Dario e Claudia

SANNA FEDERICO di Matteo e RominaRICCI VALENTINA di Michele e Daniela

SODDU DAFNE di Mirko e LauraARRIGHETTI LETIZIA di Massimo e Chiara

FERRARI VANESSA di Nicola e MichelaLANZINI LUCA di Juri e Paola

ZAMBONI FEDERICO di Massimo e FrancescaD’ALESSANDRO ANITA di Antonio e Marta

MANERBA STEFANO GIOVANNI di Matteo e PaolaGRITTI ALICE di Marco e Michela

BOTTICINO SERA LONATI ALESSANDRO di Federico e ElenaTOGNAZZI ALESSIO di Attilio e StefaniaTOGNAZZI INGRIDA di Renato e MonicaFRANZONI GIULIA di Ilario e DanielaZANETTI ALESSANDRO di Giordano e ClaudiaCORINI AMANDA di Roberto e SilviaMASSERDOTTI SOFIA di Fabrizio e MargheritaQUECCHIA LUCA di Roberto e Lorenza SALA MATTEO di Dario e AnnaOFORI BRIDGET di Erik e LidiaOFORI AKWASI di Eric e LidiaOFORI KENNETH di Eric e LidiaTOGNAZZI GIORGIA di Alessandro e FedericaMASSARDI FRANCESCO di Ferdinando e RaffaellaZANI SAMANTHA di Nicola e PamelaTORNELLO MATTEO di Massimo e LauraDORA LUDOVICO di Matteo e EricaPERGER CLAUDIA di Marco e SiriaPEDUTI GIULIA di Massimo e LarissaZANOLA DANIELE di Stefano e MariagraziaBUCCARO AURORA NICOLE di Andrea e ElisaBORLINI EDOARDO di Gastone e GessicaCARINI GRETA di Corrado e AntonellaCALOVINI GIULIA di Massimo e LeiTREBESCHI GINEVRA INDRA di Matteo e Sandra

MONTAGNOLI ELENA di Nicola e KettiBIANCHI VALENTINA di Giovanni e StefaniaRIZZA CATERINA di Daniele e CinziaPAVAN OTTAVIA di Pietro e IlariaBENETTI FEDERICO di Marco e ChiaraTIRANTI MARTINA di Mirko e MichelaTRECCANI ALICE MARIA di Massimiliano e FiorenzaPOMPILI RICCARDO di Gianluigi e NadiaTORNELLO ALESSANDRO di Roberto e LoredanaVALOTTI FRANCESCO di Marco e AlessandraFILIPPINI LORENZO di Fabrizio e AgataFOLGHERA VIOLA di Alessandro e Daicy Susana

A N A G R A F E PA R R O CC H I A L E

2 0 1 2

UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

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A N A G R A F E PA R R O CC H I A L E

San GalloGUERRINI CARLO E BUSI CHIARA

TOGNAZZI VITTORIABEDUSSI ROSA

PELIZZARI FRANCAFURRI VALENTINOMANFREDINI LUIGI

FRATTINI EMILIAVERGANI TERESA

TOGNETTI GIACOMOGNUTTI SERAFINALONATI CAROLINA

CAPRA PIERINASABBADINI NATALE

GALIZIOLI GIUSEPPEZANARDI LUCIANO

FRANZONI DOMENICABOIFAVA FRANCO

ANDERLONI ROBERTOAPOSTOKLI CATTERINA

SILVESTRI MARIASCARONI ANGELAVECCHI GIULIANOPRANDELLI PAOLO

ZENI MARCOCOCCOLI ELISABETTADAMONTI FRANCESCOBERNARDELLI ANGELA

SAN GALLOLONATI GIULIA

LONATI GIUSEPPINABUSI GIUSEPPEBUSI ANGELO

TAMENI AGOSTINA

BOTTICINO MATTINA QUAINI GIOVANNI

FERRARI GIUSEPPEMACCABONI GIANNICOLA

PREVICINI PAOLOPREVICINI MARIA

MARTINELLI SANTINALUCCHINI PIERINO

GORNI LORISMACCARINELLI DANTE

MENASIO ANGELOALBINI IDA

BODEI IOLANDANOVENTA GIOVANNIRISOTELLI MIRTEOCASALI NATALINA

MARCHETTI FAUSTINAQUECCHIA ANNAGIRELLI ADELE

VERGINE CATERINABOSSONI PIERINO

NOVENTA ANCILLADAMONTI PARIDECOLOSIO MARIACOMINI MARIO

NOVENTA TULLIAVIVIANI LINO

MARTINELLI GIOVANNILONATI SANTINA

SPAGNOLI TERESINACOMINOTTI FRANCESCA

BEDUSSI VINCENZOFIRMO LUIGI

CALEGARI GIULIA

D E F U N T I

BOTTICINO SERAFAPPANI GIUSEPPEFONTANA PIERINA

RUMI LUIGIGALEANO ANGELO

CORNACCHIARI LUIGIAMICHELI MARIAGRITTI IDELMA

DAMONTI ANGELACORNACCHIARI VINCENZO

TRIVILLIN MARIAPICCINI ELISA

SAVOLLDI FRANCODAMONTI SANTINA

BOIFAVA LUIGIBERTULLI FABIO

MONTINI VITTORIOLONATI GUIDO

MAFIZZOLI ENRICOFORA GIUSEPPE

GOFFRINI ERMELLINACOLOSIO GIOVANNA

BUSI LUCIA

Botticino Sera GALLUZZO VINCENZO e ZILIANI CLAUDIACOLOSIO STEFANO e PERLOTTI FRANCESCARONCHI MAURO e TAVELLI IRENEROSSETTI GIANLUCA e DORA VERUSKAGORNI SERGIO e PIACENTINI STEFANIA

Botticino Mattina SPADA ANDREA e CASTELLINI FRANCESCA

M AT R I M O N I

BEDUSSI FEDERICO e BUSI LINDARINALDI DIEGO e CAPRA CONSUELOBUSI VINCENZO e LONATI ELISACOCCOLI OMARA e SALVADORI LAURAPASOTTI MARCO e BARRETTA LUCIA

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Carnevale Botticinese

SFILATA DELLE MASCHERE E CARRI ore 14,30 partenza dal villaggio marcolini (Botticino Sera)

arrivo in oratorio a botticino serafesta in piazza con giochi, musica e frittellepremiazione delle maschere e carri

Informazioni presso segreteria tel. 030 2692094

Tema

FANTASIA

PARROCCHIE DI BOTTICINO

DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

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1° giorno: BOTTICINO - GRAZ (km 576)Partenza da Botticino alle ore 6:00. Sosta per il pranzo in ristorante a Klagen-furt. Arrivo a Graz, nel primo pomeriggio. Visita della cittadina con guida, il cui centro storico, gotico, rinascimentale e barocco che si susseguono di pari passo, è annoverato nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO. Al termine sistemazione in hotel nelle camere riservate, cena e pernottamento. 2° giorno: GRAZ - BUDAPEST (km 353)Prima colazione in hotel, e partenza in direzione di Budapest, capitale unghe-rese nata nel 1873 dall’unione di tre città, fino ad allora distinte: Buda, Obuda e Pest. All’arrivo sistemazione nelle camere riservate e pranzo. Al termine incontro con la guida ed inizio delle visite, partendo dalle colline di Buda, l’ antica parte medioevale della città, sulla riva destra del Danubio, dove si potrà ammirare: il quartiere del Palazzo Reale, di cui visiteremo gli esterni e la Cittadella, l’antica chiesa gotica di Re Mattia, la piazza della Santissima Trinità ed il panoramico Bastione dei Pescatori con vista sul Danubio e su Pest. Rientro in hotel per la cena ed il pernottamento. 3° giorno: BUDAPEST Trattamento di pensione completa in hotel. Giornata interamente dedicata

alle visite guidate della città, della riva sinistra del Danubio, ossia Pest. Tra i punti di mag-giore interesse: l'Accademia delle Scienze, Palazzo del Parlamento, la Basilica di S. Stefano, Piazza Roosevelt, Viale Andrassy, la famosa Via Vaci, Piazza degli Eroi, il Ca-stello Vajdahunyad, il Teatro dell 'Opera ed il Ponte delle Catene, simbolo della città.

4° giorno: BUDAPEST – PRAGA (km 525) Dopo la prima colazione partenza per Praga. Pranzo in ristorante lungo il per-corso. All’arrivo giro orientativo con guida di Praga, romantica capitale della Repubblica Ceca, una delle più belle città del mondo, descritta da secoli come la ''città d'oro ''. Hradcany è il quartiere del Castello Reale di Boemia, simbolo della storia praghese e splendido insieme monumentale. Nel vasto complesso si trovano la Cattedrale gotica di S. Vito, la Basilica di S. Giorgio ed il Vicolo d’ Oro. Al termine sistemazione in hotel nelle camere riservate, cena e pernottamento. 5° giorno: PRAGA Trattamento di pensione completa in hotel. Intera giornata dedicata alla visita con guida della città adagiata su sette colli. Sotto il Castello Reale di Boemia e lungo la sponda sinistra della Moldava si sviluppa il quartiere Mala Strana, la cit-tà piccola, cuore del barocco praghese: gli splendidi palazzi si susseguono lun-go la via Nerudova; le visite proseguiranno con la Chiesa barocca di S.Nicola e del Bambin Gesù di Praga, la statuetta Miracolosa, l’isola di Kampa ed il caratteristico Ponte Carlo. Nel pomeriggio proseguimento verso il quartiere di Nove Mesto, dov’è racchiuso il cuore di Praga, piazza Venceslao. Si raggiun-

gerà poi il quartiere di Stare Mesto, la Città Vecchia, con la Piaz-za della Città Vec-chia ed i suoi edifici gotici, rinascimentali e barocchi: il Munici-pio, la celebre Torre dell’Orologio Astrono-mico, la Chiesa Tyn ed il palazzo Kinsky con l’ arrivo infine nell’antico quartiere Ebraico.

6° giorno: PRAGA – BERLINO (km 360) Dopo la prima colazione partenza per Berlino. All’arrivo pranzo in ristorante. Nel pomeriggio inizio della visita guidata a questa città classica ed alternativa, cosmopolita e provocatrice, che unisce in un sorprendente equilibrio moderni-tà e tradizione. Dopo la caduta del muro i più illustri architetti l’hanno abbellita realizzando edifici e quartieri all’avanguardia che convivono con palazzi storici. Da visitare: Colonna della Vittoria, Palazzo di Bellevue, Parco di Tiergarten, Reichstag, Porta di Brandeburgo, sovrastata dalla Quadriga della Vittoria, da cui partiva il celebre Muro che divideva la città (e simbolicamente il mondo) nelle parti est ed ovest, Viale Unterden Linden, Forum Friedericianum, Università Von Humboldt, Cattedrale Cattolica, Opera, Duomo e Muni-cipio Rosso. In serata si-stemazione in hotel nelle camere riservate, cena e pernottamento. 7° giorno: BERLINO Pensione completa in hotel. Giornata interamente dedicata alla visita guidata della città: Alexanderplatz, i resti del Muro, il quartiere Kreuzberg, il Museo Ebraico, il quartiere Nikolai, Gendarmenmarkt, con il duomo francese e quello tedesco, il quartiere del Governo, Potsdamer Platz, Kurfuerstendamm, con la simbolica chiesa della Rimembranza ed infine Charlottenburg per contempla-re la facciata della residenza prussiana. 8° giorno:BERLINO - NORIMBERGA -RATISBONA(km 555)Dopo la prima colazione partenza per Ratisbona con sosta per il pranzo ed una breve visita guidata di Norimberga, antica città imperiale della Franco-nia, racchiusa nelle cinte murarie medioevali con un ricco centro storico. Da vedere la Frauenkirche, la fontana “Schoner Brunnen” nella Hauptmarkt ed il Municipio e la Fortezza Imperiale, uno dei Palazzi Imperiali più importanti del medioevo. Al termine proseguimento del viaggio in direzione Ratisbona, città di origine medioevale, iscritta dall’UNESCO nel Patrimonio Mondiale dell’Uma-nità. Arrivo nella serata E sistemazione in hotel nelle camere riservate, cena. 9° giorno: RATISBONA - BOTTICINO (km 587)Dopo la prima colazione incontro con la guida per la visita di questa cittadina lambita dal Danubio e raccolta intorno ad uno splendido centro storico. La pas-seggiata vi porterà al Duomo e al Ponte di pietra, alla Porta Pretoria e all’An-tico palazzo municipale, alle case della nobiltà ed alle torri patrizie. Pranzo in ristorante. Nel primo pomeriggio partenza per il viaggio di rientro con arrivo a Botticino in tarda serata. Fine dei servizi. Quota individuale di partecipazione € 1.250,00Supp. camera singola € 250,00La quota comprende:- Sistemazione in hotel 3* e 4* in camere doppie con servizi- Trattamento di pensione completa dal pranzo del primo giorno al pranzo dell’ultimo giorno - Bevande ai pasti ( ½ acqua minerale e 1 birra) - Guida locale per le visite come da programma - Assicurazione medico/bagaglio“Fondo cassa comune” € 50,00 - Org tec. Vadus Viaggi srlLa quota non comprende:- Eventuali ingressi durante le visite - Gli extra e quanto non espressamente indicato alla voce “la quota comprende”. DOCUMENTO Carta d’ Identità valida per l’espatrio, senza timbro di rinnovo sul retro o Pas-saporto in corso di validità

ISCRIZIONI PRESSO:- Segreteria Parrocchie Botticino Tel. 030 2692094- Sig. Benetti Battista Tel. 030 2190738Acconto richiesto € 250,00 a persona al momento dell’iscrizione

PARROCCHIE DI BOTTICINO VADUS AGENZIA VIAGGI

BUDAPEST-PRAGA-BERLINO 10 – 18 giugno 2013 (9 giorni)

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***13 febbraio: MERCOLEDI DELLE CENERI INIZIO QUARESIMA

S.MESSA E L’IMPOSIZIONE DELLE CENERI Botticino Mattina: ore 17,30 San Gallo: ore 19,00 Botticino Sera: ore 16,00 - 20,30 Durante la Quaresima ogni giorno può essere caratterizzato da momenti propri di vita cristiana facendoci aiutare dai vari sussidi. La domenica in particolare è importante riscoprire il valore della S.Messa e seguendo il cammino proposto dalla Parola di Dio. I mercoledì (o altra sera) a partire dal 20 febbraio: CENTRI DI ASCOLTO nelle famiglie I venerdì ore 20,00 ADORAZIONE DELLA CROCE nella propria chiesa parrocchiale (dal 22 febbraio)Al centro della chiesa una grande croce sulla quale depositiamo simbolicamente i nostri pesi, le nostre fatiche, ma anche le nostre gioie e le nostre speranze.*La giornata potrebbe poi essere caratterizzata da momenti quali la visita a una persona ammalata, o sola, o anziana; il dedicare del tempo nell’aiu-tare persone bisognose anche di cose concrete... ecc. Inoltre il venerdì di quaresima è giorno di digiuno secondo le varie modalità (dalla televisione, dal cibo...) con l’impegno di mettere nel salvadanaio per i poveri il corrispettivo secondo le indicazioni del Centro Missionario diocesano. Caritas: Raccolta alimentare per le famiglie bisognose presso i negozi che aderiscono all’inziativa

SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE (CONFESSIONE) Botticino Mattina e Sera il sabato: ore 15-17 San Gallo : prima o dopo la S.Messa ***Domenica 17 marzo: PELLEGRINAGGIO DELLE TRE PARROCCHIE DI BOTTICINO AL SANTUARIO DI REZZATO

*** IN OGNI FAMIGLIA

PER VIVERE MEGLIO LA QUARESIMA“Il segno della salvezza ”

“Piacque a Dio di fare abitare in [Gesù Cristo] ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 20). L’anno della fede è un’occasione per riflettere in famiglia sui fondamenti della propria fiducia in Gesù Cristo. La nostra vita è ricca di incontri, di gesti, di volti che ci guidano come segni verso una fede più matura e più capace di calarsi nella concretezza delle nostre storie. Questo sussidio, costruito da una colla-borazione tra le equipe degli uffici per le Missioni e per gli Oratori, vuole offrire un’occasione quotidiana di riflessione e preghiera, a partire dalla parola di Dio e dalle testimonianza raccolte dai nostri missionari. Attraverso i racconti che riportiamo possiamo leggere dei segni, la nostra preghiera diventa azione nel mondo e lascia dei segni nella nostra vita e in quella dei nostri fratelli.È la croce il segno decisivo, il grande segno della salvezza, è la croce il segno che orienta il nostro cammino: la quaresima ci aiuta a metterla al centro della nostra vita, a scoprirne il suo valore liberatore. “Cassettina-salvadanaio” - progetti di solidarietàper il proprio contributo finanziario, il corrispettivo dei digiuni e rinunce di ogni giorno. Le offerte raccolte verranno destinate, secondo le intenzioni diocesane illustrate nella parte centrale del sussidio . Da consegnare alla celebrazione del Giovedì Santo o alle persone incaricate. Buon cammino!

QUA RESI MA

LUNEDI’

CHIESA SAN GALLO ORE 14,30 CHIESA BOTTICINO SERA ORE 16,00 CHIESA BOTTICINO MATTINA ORE 17,30

CELEBRAZIONE S.MESSA E UNZIONE DEGLI INFERMI CON E PER GLI AMMALATI

SS. FAUSTINO E GIOVITAvenerdì 15 febbraio 2013

festa patronale Botticino Mattina

ore 15,00 Vespri e Benedizioneore 20,00 S. Messa

segue concerto Coro Parrocchiale e Banda “G.Forti” In questa giornata vengono sospese le celebrazioni delle SS.Messe

nelle parrocchie di Botticino Sera e di San Gallo favorendo la partecipazione alle celebrazioni nella chiesa di Botticino Mattina