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Wilfred R. Bion (1897, Muttra, India - 1979, Oxford, UK) Apprendere dall’esperienza o apprendere intorno alle cose?

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Wilfred R. Bion (1897, Muttra, India - 1979, Oxford, UK)

Apprendere dall’esperienza o apprendere intorno alle cose?

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• In Bion è centrale l’esperienza emotiva.

• Infatti, per Bion, gli individui hanno «bisogno di essere consapevoli di un’esperienza emotiva»; viceversa il non fare esperienza emotiva «implica una carenza di verità, che sembra indispensabile per la salute psichica» (W. Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962, p. 104)

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Il non fare esperienza emotiva produce disastrosi effetti sullo sviluppo della personalità; in tali effetti vanno compresi quei profondi deterioramenti psicotici che possono essere descritti soltanto definendoli morte della personalità.

(Bion, 1962, trad. it 1972, p. 83)

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• La razionalità «segue» l’emotività.

La ragione è schiava dell’emozione ed esiste per razionalizzare l’esperienza emotiva. (W. Bion, Attenzione e interpretazione, 1970, p. 7)

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• Il pensare per Bion non è una facoltà innata, ma una «funzione della personalità» in continuo sviluppo, che Bion chiama «funzione alfa»– Perché si possa apprendere dall’esperienza,

la funzione-alfa deve operare sulla consapevolezza di un’esperienza emotiva

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• Per Bion i sentimenti «fondamentali» sono: amore, odio, conoscenza (love, hate, knowledge = L/H/K)– tali sono i sentimenti «basilari», quelli che

rappresentano il mio coinvolgimento profondo dell’essere al mondo: le cose e le persone sono sempre amate, odiate, conosciute

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• Quando questi sentimenti sono sperimentati in modo autentico, c’è un vero coinvolgimento emotivo e di conseguenza c’è crescita e sviluppo della personalità, c’è «apprendere dall’esperienza»

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• Ma quando questi sentimenti profondi siano negati, allora viene meno l’autenticità del mio «esserci emotivamente» nel fare esperienza della realtà → c’è un falso apprendere, un apprendere «intorno» alle cose

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→ se non sperimento autenticamente i miei stessi sentimenti, non sono veramente coinvolto dall’esperienza, né profondamente «toccato» dalle cose e dalle persone

→ La distruzione della coscienza di avere dei sentimenti depersonalizza l’Io

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È questo, come diceva George Eliot,

il destino penoso di essere ciò che definiamo una persona assai colta e tuttavia non provare alcuna gioia: di assistere a questo grande spettacolo della vita e non liberarsi mai di quella piccola parte di sé affamata e tremante – di non vedere mai la nostra coscienza trasformarsi con entusiasmo nella vivacità di un pensiero, nell’ardore di una passione, nell’energia di un’azione, ma essere sempre dediti allo studio e privi di ispirazione, ambiziosi e timidi, scrupolosi e con la vista offuscata

G. Eliot (Middlemarch, 1872, tr. it. 1983, p. 290)

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• Fingere e dissimulare il rapporto e l’esperienza dei sentimenti, sbarazzarsi del loro vero contenuto, li trasforma:

Amore → cinismo

Odio → bigottismo

Conoscere → ipocrisia

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• Mancando la verità dei sentimenti, il rapporto con l’amore non potrà più essere autentico e trasformativo, perché sarà caratterizzato da una patina di cinismo;

• l’odio dissimulato diventa bigottismo, una sorta di moraleggiare che si insinua nelle emozioni e impedisce di compiere esperienze emotive autentiche;

• anche la sete di conoscenza (che per Bion rappresenta un impulso primario!) si trasformerà in qualcosa di falso: non più desiderio autentico di capire, ma ostilità a comprendere ciò che è nuovo, a controllare, ad «avere» piuttosto che a «essere». Senza fede nella vita, la conoscenza diventa fondamentalmente ipocrita.

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• Per la M. Klein, a cui in parte Bion si rifà, è l’invidia, soprattutto l’invidia distruttiva, quella diretta a distruggere ciò che di buono ha l’altro non in quanto lo si vuole per sé, ma in quanto è buono.

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• Quando si è troppo invidiosi non si «accetta» nulla dall’altro o dalla realtà perché non si vuole essere toccati ciò che di buono il mondo ci può offrire

• Questo ci fa chiudere in un astio risentito e solitario nel quale viene negata ogni «dipendenza dall’oggetto»: «non voglio nulla di ciò che di buono mi puoi offrire», dice l’invidioso, «faccio da solo», «nulla mi può toccare»:

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• Piuttosto che la dipendenza e la gratitudine di ciò che, tutto sommato, ci può venire dal mondo, l’invidioso, risentito, sviluppa i seguenti sentimenti nei confronti dell’ «oggetto» (realtà, altre persone)

–dominio,–trionfo,

–disprezzo.

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• Altri motivi che impediscono l’evoluzione mentale, oltre all’invidia, sono:

– il fallimento della funzione materna di rêverie

– l’intolleranza della separazione e del dolore mentale

– la privazione di un oggetto esterno significativo

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• la rêverie materna è un modo di definire la capacità empatica della madre, il suo riuscire a «fantasticare» assieme al bambino, l’accoglierlo, il comprenderlo, il calmarlo con il semplice stare in relazione con lui → la rêverie materna è un «contenitore», una «pelle psichica» dove il bambino può stare e fare esperienza di essere capito e, a partire da questa esperienza relazionale, iniziare a capire se stesso

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• Ne segue che gli sviluppi della persona non sono autentici e non coinvolgono i nostri veri sentimenti.

• Non c’è in questo caso un formarsi in senso proprio né un interagire con la realtà che modifica il nucleo del nostro essere.

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• Ma come avviene, concretamente, per Bion lo sviluppo e la «formazione» dell’individuo?

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Elementi beta ed elementi alfa

• Per Bion esistono dei sentimenti e delle sensazioni rudimentali e potenziali (elementi beta) che resterebbero indecifrabili se non intervenisse la funzione simbolica dell’Io (funzione alfa) a trasformare e connettere quelle emozioni rendendole pensabili e pertanto a consentire all’Io di possedere i propri sentimenti e ad evolvere

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• I “pensieri non pensati” (elementi Beta) si collocano per Bion nel “protomentale”: questo rappresenta la radice “animale” del pensiero o, meglio, il radicarsi, pur differenziandosene, dello psichico nel fisico, una regione dove attività fisica e attività psichica sono indifferenziate.

Il poeta John Donne ha scritto: ‘ Il sangue parlò alla guancia’ come se il corpo pensasse! Ciò per me esprime esattamente quello stadio […] rappresenta sulla carta come una linea che separa gli elementi beta dagli elementi alfa (Bion)

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• La formazione della persona ha bisogno di «incarnazione», di «embodiment», di psiche-soma!– Ad esempio, anche Winnicott diceva che la

«manipolazione» e l’accarezzare il bambino favoriscono l’insediamento della psiche nel corpo.

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• Se tale trasformazione non avviene, le sensazioni rimangono non elaborate, elementi “indigeriti” dalla mente, sorta di “oggetti bizzari” che non possono avere significazione, pur avendo nuclei di significato.

↓Essi non possono comunicare col mondo esterno se non tramite un’espulsione (acting out).

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Se il paziente non è in grado di trasformare la propria esperienza emotiva in elementi alfa, non può neanche sognare. Difatti la funzione alfa trasforma le impressioni sensoriali in elementi alfa i quali hanno la somiglianza – se addirittura non sono la stessa cosa – con le immagini visive che ci sono familiari nei sogni […] la mancanza di funzione alfa significa che il paziente non può sognare e dunque che non può nemmeno dormire. Poiché la funzione-alfa fa sì che le impressioni sensoriali dell’esperienza emotiva siano approntate per il pensiero conscio e per quello onirico, il paziente, il paziente che non è in grado di sognare non potrà né addormentarsi né svegliarsi: da qui quel singolare stato che si riscontra in clinica quando vediamo uno psicotico che si comporta come se si trovasse proprio così

Bion (1962, tr. it. 1972, pp. 28-29).

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• Il sognare rappresenta per Bion una costante trasformazione delle emozioni potenziali (elementi beta) in emozioni sperimentabili (elementi alfa)

→ per Bion il sognare è pertanto un’attività costante, che opera anche nella veglia.

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↓ elementi beta (elementi psichici mentalmente non trasformabili, ma solo evacuabili)

------------------------ funzione alfa --------------------------

↓ elementi alfa (elementi psichici mentalmente trasformabili)

↓ Pensieri onirici, sogni, miti, allucinazioni

↓ Preconcezioni

↓ Concezioni

↓ Concetti

↓ Sistema deduttivo

Calcolo algebrico

(Bion, 1974, tr. it 1981, p. 40)

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Nel trasformare l’esperienza emotiva in elementi alfa, la funzione alfa adempie ad un compito fondamentale, perché il senso della realtà ha per l’individuo la stessa importanza che hanno il cibo, l’acqua, l'aria e l’eliminazione delle scorie (Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962, trad. it 1972, p. 83).

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• Quindi, senza la funzione alfa l’esperienza emotiva rimarrebbe “incapsulata” in una autoreferenzialità primordiale che impedirebbe qualsiasi forma di interazione con la realtà;

↓Di conseguenza diventa impossibile quella trasformazione delle emozioni sulla base del «fare esperienza» che Bion chiama “apprendere dall’esperienza”

Senza la funzione alfa la personalità è incapace di produrre elementi alfa e perciò incapace di pensieri onirici, di conscio e inconscio, di rimozione e di apprendere dall’esperienza. (Bion)

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• La traduzione di elementi beta in elementi alfa è immaginata da Bion come un compito assai delicato, che comporta il passaggio da un livello psichico originario che non può essere toccato (perché non ha né colore né suono, né spazio né tempo), ad una dimensione, invece, che ha significato in quanto significabile tramite simboli, parole e concetti.

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• Acquisire la capacità di legare cose a nomi, di formarsi immagini, di sognare, di creare quelle che Bion chiama “congiunzioni costanti” diventa un’abilità fondamentale per poter accedere all’emozione contenuta negli elementi beta.

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• Quando la funzione alfa è disturbata dall’odio o dalla paura, nel paziente è distrutta ogni “possibilità di un consapevole contatto con se stesso o con gli altri nella loro qualità vivente”.

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• Bion osserva che tale “traduzione” degli elementi beta in elementi alfa comporta sempre in certo grado un’ambiguità e una non-corrispondenza fra il detto (immagini, parole, sogni, concetti ecc.) e il non-dicibile (elementi beta, mente come «cosa in sé»).

→ Bion introduce pertanto il concetto di «bugia» in quanto vi è sempre una porzione di “bugia” in ogni detto, proprio perché il linguaggio agisce nello spazio-tempo ed è inadatto a significare la mente come cosa in sé

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«Il nome non è la cosa»

Pirandello (Uno, nessuno e centomila)

«Ogni parola è anche una maschera»

Nietzsche (Al di là del bene e del male, par. 289)

«[Le parole sono] strumenti logori che sempre si deteriorano»; «si è imparato a servirsi bene delle parole soltanto per quello che non si ha più da dire»

T.S. Eliot (East Coker)

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• Chi sia capace di tollerare la frustrazione che comporta la perdita di significato connessa alla traduzione di cose a nomi (…le cose sono le emozioni e le angosce primordiali, cioè gli elementi beta), tale capacità di tolleranza gli consente – pur continuando a costituire il nome una non-cosa – di mantenere una «congiunzione costante» tra nome e cosa e di servirsi di questo nome che le è stato imposto per prendere contatto con la cosa.

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• Ci sono individui che non riescono a trasformare la cosa in pensiero. Ma così essi rinunciano al sollievo dalla frustrazione che il pensiero, se egli fosse capace di sopportarlo, gli arrecherebbe (Bion, 1970, tr. it. 1973, p. 20)

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Dare a un oggetto un nome, mettergli un’etichetta, creargli un appiglio; salvarlo dall’anonimato, strapparlo al Dominio del Senza Nome, identificarlo, insomma, è un modo per portarlo in vita (Segal, 1994, p. 63)

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• Chi non riesce a significare un materiale preverbale è nella condizione di chi ha un dolore senza sentirlo, deve comprendere il moto dei pianeti senza avere a disposizione il calcolo differenziale

• Tale persona si trova nella condizione analoga a quella del geometra che dovesse attendere l’invenzione delle coordinate cartesiane per poter elaborare la geometria algebrica

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• Non avendo un “contenitore” entro il quale “contenere” i “contenuti”, egli avverte che la realizzazione dello spazio mentale comporta una proiezione esplosiva.

La realizzazione dello spazio mentale è sentita come un’immensità così grande da non poter essere rappresentata neppure per mezzo dello spazio astronomico in quanto non può essere rappresentata affatto

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– Paura psicotica: è espressa da paziente tramite un improvviso e assoluto silenzio (come per allontanarsi il più possibile da un’emozione devastatrice)

Lo spazio mentale è così vasto in confronto a qualsiasi realizzazione dello spazio tridimensionale che il paziente sente di aver perso la propria capacità di provare emozioni perché sente l’emozione stessa fluire via e perdersi nell’immensità (Bion, 1970, tr. it. 1973, p. 22)

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• No Ice cream → No I scream

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• Aggiunge Bion: i pazienti che mi spingono a formulare queste teorie sperimentano il dolore, ma non lo soffrono.

• Soffrire il dolore comporta rispetto per il dolore, proprio o di un altro. Se così non avviene, il dolore viene sessualizzato; di conseguenza viene inflitto o accettato, ma non sofferto.

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• È utile postulare un regno del non-esistente, dove tornano i significati non elaborati.

• E’ impossibile per tali pazienti “legare” l’esperienza a parole ed emozioni. Alcuni accedono al massimo per alcuni secondi ad uno stadio di “non esistenza”. Ma subito la evacuano e tale “non esistenza” diventa immensamente ostile e riempita di invidia omicida. Lo spazio diventa terrificante, l’essenza stessa del terrore: “Le silence de ces espaces infinies m’effrae” (Bion 1970, pp. 29-32)

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• Quando viene meno la capacità di simbolizzazione, di utilizzare simboli per rapportarsi agli «oggetti», avendo imparato che c’è una «distanza» fra cosa e parola (distanza che si è capaci di tollerare), allora crolla questa distanza e il simbolo non “sta per” la cosa, ma “è” la cosa

→ si parla allora di equazione simbolica

• Per M. Klein l’equazione simbolica rappresenta la tragedia del pensiero psicotico, che resta “attaccato” alle cose senza possibilità di separarsene e quindi neanche di conoscerle come altre da sé.

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• Aggiunge Bion che l’impossibilità di comunicare senza sentirsi frustrati è così familiare che ce se ne dimentica.

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Il problema della psicoanalisi è quello della crescita e della sua soluzione armoniosa nel rapporto tra il contenitore e il contenuto ripetuta nell’individuo, nella coppia e infine nel gruppo (intra ed extra psichicamente). Ogni ipotesi definitoria, si tratti di un’esclamazione, di un nome, di un sistema teoretico o di un discorso esteso come quello di un libro ha – lo si è sempre riconosciuto – una funzione negativa. Essa deve sempre implicare che qualcosa esiste; e per ciò stesso implica che qualcosa non esiste. Resta di conseguenza a chi la recepisce inferirne l’una o l’altra di tali due eventualità a seconda del suo temperamento. Se la persona del recipiente è incapace di tollerare la frustrazione[…] la proposizione può diventare allora una pre-concezione (preconception) e l’elemento non saturo trova la via libera per saturarsi. Ma si supponga che l’incapacità di tollerare la frustrazione sia ‘eccessiva’; in tal caso la personalità può reagire contro la proposizione vedendone solo le implicazioni negative”. In tale caso ogni ipotesi definitoria viene vista nella sua valenza negativa (Bion 1970, p. 26).

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• Le trasformazioni musicale, verbale e artistica sono differenti dalle allucinazioni, sono già elaborazioni di pensiero.

→ Le allucinazioni non sono rappresentazioni, ma sono cose in sé (elementi beta non trasformati), sorte dall’intolleranza per la frustrazione e il desiderio.

→ Il problema delle allucinazioni non è quello della mancanza di rappresentazione, ma quello della mancanza di realtà. Occorre quindi prendere in esame la differenza fra realtà interna e realtà esterna.

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«La possibilità di apprendere dipende dalla capacità di conservare lo sviluppo del contenitore integrato senza renderlo rigido» (Bion, 1962)

→ elasticità mentale ed emotiva

→ creatività

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O• Negli scritti più tardi, Bion tende a presentare la

dimensione protomentale come qualcosa che, essendo non strutturata, contiene anche delle potenzialità rigenerative e profondamente trasformative.

• Usa il segno O per indicare tale realtà, che assume le caratteristiche della realtà ultima, della verità assoluta, della cosa in sé, di Dio, dell’infinito.– O non ricade nel dominio della conoscenza o

dell’apprendimento se non in modo casuale; esso può essere “divenuto”, ma non “conosciuto”.

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• Le informazioni che l’analizzando comunica su di sé sono dannose.

→ Ciò che importa è per l’analista porre la propria attenzione ad O. l’ignoto, l’inconoscibile. “ogni oggetto conosciuto o conoscibile dall’uomo incluso l’uomo stesso, deve essere un’evoluzione in O”.

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• L’analista può conoscere non la realtà ultima, O, ma i suoi sviluppi, in quanto tale ‘O’ non può mai essere in rapporto completo con un contenitore.

• Per questo motivo, ogni trasformazione contiene un certo grado di deformazione di ‘O’.

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La bugia ha bisogno di un pensatore che la pensi. La verità non ha bisogno di un pensatore […] se il pensatore ritiene di essere indispensabile al pensiero che ha pensato, nascono invidia e possessività, che costituiscono le controparti tossiche del parassitismo. Ciò conduce ad una cultura distruttiva perché si basa sulla bugia. Il clima per il quale un pensatore si ritiene indispensabile per il pensiero che esprime genera conflittualità. Il lavoro di altri manca allora di attrazione.

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• Bion sostiene pertanto che al soggetto spetta la «fatica» di significare la realtà interna e per far ciò deve metterla in rapporto con la realtà esterna: egli deve «incarnarsi», diventare «reale» e per far ciò deve vivere nella «realtà» oggettiva «tradendo» qualcosa della sua realtà interna con fatto stesso di tradurla in qualcosa di condivisibile da tutti.– Ad esempio, non è facile «confidarsi»

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• Ma il soggetto sa che questo sforzo è a suo carico e gli eventuali fallimenti pure. Se riesce ad accettare questo rischio, riesce anche a godere dei vantaggi che da tale sforzo gli derivano, cioè potersi sentire reale.

• Egli rimane consapevole, però, che è per il suo bisogno di essere reale e di vivere i propri sentimenti che egli compie questa traduzione di O.

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• Bion, come altri autori (Jung, Fromm, Winnicott) – pensa che sia necessario un costante ritorno alla Realtà Originaria («O») perché la nostra identità va sempre decostruita e ricostruita.→ Bion parla di «evoluzione in O» per alludere alla ricerca della verità in un modo molto simile a cui Jung pensava al contatto rigeneratore con l’inconscio collettivo

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Nel corpo della madre l’uomo conosce l’universo, alla nascita lo dimentica. (proverbio ebraico, cit. in Buber 1937)

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Ps ↔ Pd*• Esiste una costante oscillazione fra Ps e Pd.

– Con Ps e Pd si intende, nel gergo della M. Klein, rispettivamente la posizione schizo-paranoide e la posizione depressiva. Nella posizione schizo-paranoide, che la Klein pensava caratterizzasse i bambini molto piccoli (fino a 6 mesi) i sentimenti contraddittori – come amore/odio, vicinanza/ripulsa, mi piace/non mi piace – non sono integrati, ma rimangono scissi; nella posizione depressiva avviene invece questa integrazione e il bambino vive degli stati psichici via via più integrati che permettono l’evoluzione della personalità

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• Se per la Klein il passaggio era Ps → Pd, per Bion occorre ricordare che durante tutta la vita avviene anche il passaggio inverso: Ps ← Pd

• Un po’ come l’artista, pur dovendo «funzionare» a livello strutturato e integrato, deve consentirsi delle incursioni nella «follia»

→ la «strutturazione psichica» (Pd) deve cedere il passo a momenti di destrutturazione psichica (Ps)

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• Il passaggio Ps ← Pd è potenzialmente terrificante (Bion lo chiama «catastrofico») perché espone il soggetto alla distruzione del proprio apparato per pensare; contemporaneamente, però, lo mette a contatto con la verità (O), da cui il nuovo può prodursi.

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• L’analista deve attendere che la seduta “evolva”. Non deve attendere che l’analizzando, parli o taccia, deve attendere un’evoluzione tramite la quale O si rende manifesto nella conoscenza del soggetto tramite l’emergenza di eventi effettivi.

• Alla stessa maniera il lettore non deve tener conto di ciò che dico finché l’O della sua esperienza di lettura si sia sviluppato fino a un punto in cui gli eventi della lettura sfocino in una interpretazione di esperienze. Una considerazione eccessiva per ciò che è scritto ostacola questo processo che Bion rappresenta con l’espressione: “Egli diventa l’O che è comune a lui ed a me”. Le ragioni di ciò sono le seguenti: nessun esito genuino può essere fondato sulla falsità [nel senso del non comprendere autenticamente].

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• L’analista deve imporsi un’astensione da “desiderio” e “ricordo”, in modo da potersi approssimare ad O.

• Analogamente, l’uomo che pensa di essere indispensabile alla verità che ha pensato diventa possessivo e invidioso.

• Il metodo psicoanalitico diventa un potente stimolo all’invidia quando è angustamente concepito come un accumulo di conoscenze (possessività) registrato sul principio di realtà e divorziato dai processi di maturazione e crescita.

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• L’uomo che balbetta: sta cercando di contenere le emozioni all’interno di parole, senza riuscirci

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“Al fine di pervenire alla condizione mentale essenziale per praticare la psicoanalisi, io evito qualsiasi esercizio della memoria e non prendo nessun appunto. Allorché mi viene la tentazione di ricordarmi degli eventi di una data seduta, vi resisto. Se mi scopro a vagare con la mente nel campo della memoria, ne desisto. In ciò il mio modo di condurre una analisi si discosta dall’opinione secondo la quale bisogna prendere appunti o secondo la quale gli psicoanalisti debbono trovare qualche modo di registrazione meccanica delle sedute o debbono addestrarsi a possedere una buona memoria. Quando scopro che non ho alcun modo di penetrare in ciò che il paziente sta facendo e avverto la tentazione che il segreto giaccia nascosto in qualcosa che ho dimenticato, mi oppongo all’impulso a ricordare ciò che è accaduto. Se scopro che un qualche mezzo ricordo sta facendosi strada, vi resisto, indipendentemente da quanto esso sia insistente o desiderabile. Rispetto ai desideri seguo una procedura simile: evito di intrattenerne e li scaccio dalla mente (Non basta tentare di fare ciò nel corso della seduta perché è troppo tardi: non bisogna permettere che la tendenza a desiderare cresca). Per esempio secondo me costituisce un grave difetto il fatto di permettersi di desiderare la fine della seduta, o di una settimana, o delle vacanze.

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Il fatto di permettere a desideri relativi alla guarigione di un paziente, o al suo benessere, o al suo futuro, di intrudersi nella mente, interferisce con il lavoro analitico. Tali desideri corrodono il potere dell’analista di analizzare e conducono ad un progressivo deteriorarsi dell’intuizione. L’introspezione mostrerà quanto i ricordi e i desideri sono diffusi e frequenti. Essi sono continuamente presenti nella mente e seguire il consiglio che sto dando comporta una difficile disciplina. Esistono però eccezioni semplici e ovvie. Certi dati (ad esempio l’ora delle sedute) possono essere facilmente registrati e non c’è bisogno di appesantire la mente con essi. Sarebbe assurdo se l’analista si dimenticasse di conservarli mentre essi sono facilmente registrabili su un taccuino. La stessa cosa può valere per l’età, per i membri della famiglia, per le passate malattie […] Questi fatti possono essere registrati, come può esserlo l’indirizzo e il numero di telefono, perché essi possono poi venire dimenticati e perché si prestano ad essere registrati […] Di conseguenza, si registrino gli eventi dotati di uno sfondo sensibile […] ma non fenomeni di importanza centrale per l’analista, dal momento che il loro sfondo non è sensibile. Rendendosi ‘artificialmente ciechi’ per mezzo dell’esclusione della memoria e del desiderio, […] il raggio di oscurità che ne deriva può essere diretto sugli aspetti oscuri della situazione analitica”