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181 allegoria55 D.: Dopo quasi tre decenni dalla pubblicazione di «Il Galateo in Bosco» e dell’ «Iper- sonetto» al suo interno, in che cosa è cambiata, se è cambiata, la sua valutazione del sonetto, della funzione e delle possibilità di questa forma? R.: Le devo dire, molto sinteticamente, che non è cambiato niente. L’approdo a Il Galateo in Bosco e all’Ipersonetto è stato quasi un parto, di cui conosco alcuni aspetti, ma non il perché e il come. Fondamentale era l’idea di contrapporre “bosco” a “galateo”: le istituzioni civili, o in generale ogni forma di civiltà, e l’emersione delle forze naturali, che ir- rompono secondo leggi caotiche o sconosciute. Già il titolo Il Galateo in Bosco è una contraddizione, una forma ossimorica: il pullulare della re- altà spegne tutti i galatei. Questo tema non ha perso di attualità, anzi, si è rafforzato: a dispetto delle molte dichiarazioni di miglioramento e pro- gresso, la realtà va sempre più verso il casuale, il contraddittorio. Il Ga- lateo in Bosco è invece un’opera controllata. La valenza simbolica dell’ac- coppiamento del titolo è rimasta la stessa, anzi, è diventata ancora più impegnativa, per non dire quasi impossibile: oggi una parte della meta- fora, quella del galateo, tende a scomparire, la parte del bosco a preva- lere. Ma se il “galateo” scompare completamente (più si è violenti e più si ottiene, come sempre), anche il bosco scompare nella realtà, perché non c’è più. Non c’è più neanche come punto di riferimento metafori- co. Detto questo, i motivi per cui il libro è stato scritto in quel momen- to, con proiezioni sia verso il passato che verso il futuro, sono immuta- ti; sottoscrivo quanto in quel momento ho scritto, e non trovo nulla che in quel momento non andasse bene così com’era. Non mi sarei deciso a pubblicare se non avessi visto un disegno con un senso generale. Con- tinuo a dare anche la stessa valutazione della forma metrica del sonet- to. Il sonetto è ancora molto vivo; anzi direi che, anche se non tutti lo ammettono, dopo la pubblicazione di Il Galateo in Bosco e dell’Ipersonet- to ha conosciuto un rilancio. Andrea Zanzotto L’«Ipersonetto» oggi (intervista a cura di Guglielma Giuliodori)

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    allegoria55

    D.: Dopo quasi tre decenni dalla pubblicazione di Il Galateo in Bosco e dell Iper-sonetto al suo interno, in che cosa cambiata, se cambiata, la sua valutazionedel sonetto, della funzione e delle possibilit di questa forma?

    R.: Le devo dire, molto sinteticamente, che non cambiato niente.Lapprodo a Il Galateo in Bosco e allIpersonetto stato quasi un parto, dicui conosco alcuni aspetti, ma non il perch e il come. Fondamentaleera lidea di contrapporre bosco a galateo: le istituzioni civili, o ingenerale ogni forma di civilt, e lemersione delle forze naturali, che ir-rompono secondo leggi caotiche o sconosciute. Gi il titolo Il Galateo inBosco una contraddizione, una forma ossimorica: il pullulare della re-alt spegne tutti i galatei. Questo tema non ha perso di attualit, anzi, si rafforzato: a dispetto delle molte dichiarazioni di miglioramento e pro-gresso, la realt va sempre pi verso il casuale, il contraddittorio. Il Ga-lateo in Bosco invece unopera controllata. La valenza simbolica dellac-coppiamento del titolo rimasta la stessa, anzi, diventata ancora piimpegnativa, per non dire quasi impossibile: oggi una parte della meta-fora, quella del galateo, tende a scomparire, la parte del bosco a preva-lere. Ma se il galateo scompare completamente (pi si violenti e pisi ottiene, come sempre), anche il bosco scompare nella realt, perchnon c pi. Non c pi neanche come punto di riferimento metafori-co. Detto questo, i motivi per cui il libro stato scritto in quel momen-to, con proiezioni sia verso il passato che verso il futuro, sono immuta-ti; sottoscrivo quanto in quel momento ho scritto, e non trovo nulla chein quel momento non andasse bene cos comera. Non mi sarei decisoa pubblicare se non avessi visto un disegno con un senso generale. Con-tinuo a dare anche la stessa valutazione della forma metrica del sonet-to. Il sonetto ancora molto vivo; anzi direi che, anche se non tutti loammettono, dopo la pubblicazione di Il Galateo in Bosco e dellIpersonet-to ha conosciuto un rilancio.

    Andrea Zanzotto

    LIpersonetto oggi

    (intervista a cura di Guglielma Giuliodori)

  • D.: Si riferisce anche alla struttura del canzoniere, vero? Non solo del sonettosingolo.

    R.: Senzaltro; ma quella al canzoniere solo unallusione, niente dipi. la proposta di una reminiscenza, che per pu essere proiettatanel futuro. Naturalmente, un ipersonetto come quello che ho fatto io,quattordici sonetti pi due, quindi sedici, spropositato addirittura. Nonche prima nessuno avesse fatto qualcosa di simile: Landolfi aveva scrittouna serie di quattordici sonetti, ma io allora non lo sapevo. Qualche pre-cedente, cercando, si pu trovare, ma non ho ricevuto alcuna spinta inquella direzione. Mi venuta lidea di fare un ipersonetto, un sonettospropositato; con in pi anche un prologo e una conclusione esterni.

    D.: E questo carattere spropositato potrebbe dipendere anche dal fatto che dal-lipersonetto scaturisce la valorizzazione di questa forma metrica e contemporanea-mente unironia di fondo rispetto a certi galatei, a certe forme codificate?

    R.: Certo. Tutto permane, in questo senso. Non si trattava di lanciare,avanguardisticamente, unoperazione da proporre come salvifica: era in-vece un prender nota pieno di interrogativi. Daltra parte, questa esperien-za ha mostrato che il sonetto pu ancora attirare. Montale mi ha detto:Eh, vedrai, ti sei messo su una strada sbagliata. Io i sonetti. Gli ho ri-sposto: Non dirmi che non sai nulla del sonetto, perch c addiritturaun tuo pseudosonetto commentato da DArco Silvio Avalle. (Si ricorda? quello, bellissimo, del nerofumo della spera).1 Montale si messo amugugnare: S, s, ma io non. In un certo senso, con il suo sonetto cheera uno pseudosonetto, Montale ha inventato un sonetto che non cada-vere. Mentre i miei sono proprio prosciugati nella loro simbolicit

    D.: Ma non sono cadaveriR.: No, non lo sono; per si presentano come detrito, rimasuglio che

    ancora pu dire, ma sempre come detrito e rimasuglio. Ho riflettuto pivolte su questo scambio di battute con Montale. Il suo sonetto, bellissimo, una fioritura ancora naturale; i miei no. Hanno una naturalit diversa,un tempo diverso, un tempo in cui si pu dare solo una contraffazione.

    D.: Fra le immagini ricorrenti nel canzoniere-Ipersonetto, serpe-ago-denti-cesu-ra-occhio-talpa-mutazione (per esempio, quella vermi/di), ecc. le immagini so-no tante, ma alcune pi ricorrenti a quali attribuisce il compito di trasmettereil messaggio principale, se ne riconosce uno principale? Quali veicoli sente pi ef-ficaci in termini metapoetici?

    R.: Tutti questi sonetti hanno radici fortemente realistiche. Quan-

    1 E. Montale, Gli orecchini, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1984, p. 202.

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  • do parlo di interminabili lavori dentarii,2 perch sono stato sog-getto a interminabili lavori dentari ancora adesso sto continuando,fino alla tomba andr dal dentista. Anche serpe, ago, spina sonoelementi reali. Per esempio, serpe si riferisce ai tempi in cui il Mon-tello era pieno di serpi. Bisogna che lei tenga presenti anche i ritornia Il Galateo in Bosco. Per esempio in Sovrimpressioni: dopo dieci, quindi-ci anni, se ne pu trovare pi duno. Nel mio allora futuro, cera an-che questa volont di dire: Ma come va il bosco che ho tanto frequen-tato dieci anni fa?. Quanto al messaggio principale, non ce n nes-suno preciso. Il messaggio la forma: un sonetto che un ipersonet-to, che aggrega situazioni reali, proiettandole anche nellimmagina-rio. Prendiamo in considerazione il sonetto dellagopuntura:3 io hodavvero fatto lagopuntura; quindi ho messo, per aggiungere un con-notato di iper-realismo, anche il simbolo cinese dellagopuntura. Nonsolo. In quel sonetto tutti i versi finiscono in -ma, -ma o doppio -mma,perch la sillaba ma ha moltissimi significati, sempre in cinese. Io,per, non vado a indagare; uneco magari di una lettura che ho fat-to. Piuttosto, si pu rilevare la spinta verso quella che chiamerei lomo-nimia dei versi: una struttura che pu variare da una parte, allargan-dosi, e restringersi in unaltra: quindi dramma, ama: doppio m em semplice. Riguardo ai veicoli metapoetici, io non li percepisco ne-anche, perch passo dalla poesia alla metapoesia senza accorgermene.A qualcuno dei lettori questo autoparlarsi pu dare limpressione diun passaggio brusco, per me invece inavvertito, anche nella quoti-dianit. Faccio un esempio. Vado in osteria, ogni mattina; a un certopunto qualcuno bestemmia. Quella bestemmia non affatto una be-stemmia; un intercalare, unespressione fatica, una metabestemmiapriva di contenuto. Cos capita anche in poesia. La poesia che parla dise stessa lo fa senza accorgersi. E ho anche scritto altre volte, ma chis-s quanti lhanno detto, che non c poesia che non parli anche di sestessa.

    D.: Si autoscrive e autoparla.4R.: Appunto. Non sono mai sicuro di aver scritto unimmagine nuo-

    va e originale, perch qualcuno pu averla scritta prima di me. O cipossono essere depositi, nellinconscio, di spezzoni di poesie diverse,gi di altri.

    2 A. Zanzotto, II (Sonetto degli interminabili lavori dentarii), in Le poesie e prose scelte, Mondadori, Mila-no 1999, p. 594.

    3 A. Zanzotto, VII (Sonetto del soma in bosco e agopuntura), ivi, p. 600.4 A. Zanzotto, Qualcosa al di fuori e al di l dello scrivere, in Prospezioni e consuntivi, ivi, p. 1228.

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  • D.: Per, come lei sosteneva in un discorso sulle citazioni o ri-citazioni, alla finerisultano sempre qualcosa di nuovo, di personale, di originale.5

    R.: Gi Poliziano diceva: pereant qui ante nos nostra dixerunt. unvecchio vizio dei poeti temere che qualcuno abbia gi detto quello cheloro stanno dicendo. E comunque ci sono sempre cascami, referenti del-la realt. Per esempio, in Il Galateo in Bosco c addirittura una pagina do-ve metto la formula della struttura dei contraccettivi. Non so se si ricor-da. A met di Il Galateo in Bosco c una pagina che porta il ricordo deiseicentomila morti e poi staccata, sotto, c la formula chimica di un no-to anticoncezionale. Ho qui il Meridiano, meglio che controlliamo,non detto che io ricordi precisamente quello che ho scritto. La verachiusura questa [p. 609]. Sbilanciati, completamente fuori strada; lamacchina arriva, ancora integra, fin qua, e poi si scarica nella brutalitdella storia pi schifosa: qui [in alto a destra nella pagina] di morte, qui[in basso a sinistra] di nascita bloccata. Non sempre viene percepita lim-portanza di questa pagina: avrei dovuto mettere un indizio della sua fun-zione, sia di chiusura che di stacco. Inoltre questa formula, particolar-mente complessa, di chimica organica, allude al potere della chimica nelmondo attuale: si fa la guerra anche attraverso la chimica, che in questocaso usata per un fine discutibile, perch non sempre va bene blocca-re. Il mondo del reale giunge per frammenti.

    D.: Ladozione del plurilinguismo un richiamo alla tradizione dantesca, unesi-genza della contemporaneit, o una scelta che risponde ad entrambe le istanze? Oaltro ancora?

    R.: Mentre nella prima fase della mia poesia, che ora si sta rivalu-tando parecchio, quella post-ermetica di Dietro il paesaggio, cera anco-ra il sogno di ununit del poetico, di una poesia pura, selettiva, quiladozione del plurilinguismo mostra laccentuarsi dellimpuro che en-tra nel puro. Rispetto al dantismo Non credo alle opposizioni trop-po nette. Si dice che Dante sia pi plurilinguista di Petrarca, ma non vero: Petrarca ha scritto pi in latino che in italiano. Del resto, in unpaese come lItalia, tutti gli autori hanno sempre praticato il plurilin-guismo, anche se dallinsieme della loro opera non appare. Possiamotuttavia dire che Dante ha dato la prima grande sistemazione a questapratica. Adottare il plurilinguismo significa dunque rientrare in unatradizione tipicamente italiana. Pi si aperti a varie possibilit lingui-stiche, comprese quelle dialettali, pi si dentro litalianit, che fat-ta anche di dialetti, e di autori che hanno oscillato tra pi opzioniespressive.

    5 Cfr. A. Zanzotto, Su Il Galateo in Bosco, in Prospezioni e consuntivi, ivi, p. 1219.

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  • D.: Io intendevo plurilinguismo come uso di pi codici allinterno della stessaopera. Per esempio con lintroduzione di termini scientifici.

    R.: In un periodo in cui la scienza e la tecnica predominano, inevi-tabile che noi, non da specialisti ma da pubblico, assorbiamo i cascamidel linguaggio scientifico, che sono per molto efficaci nel creare imma-gini. Se per esempio dico a una morosa sei una stella, dico molto; mase le dico sei una nova, presuppongo la conoscenza, almeno approssi-mativa, di che cosa sia una super-nova, per rendere lidea di uno scoppioenorme. Non si tratta certo di una citazione scientifica, una citazionedel dchet scientifico e tecnico. La contemporaneit porta in questa dire-zione. Per, anche se si va verso un linguaggio planetario, linglese, con-temporaneamente si rinvigoriscono i dialetti: non c mai una tensionein un senso che non generi una controtensione. Ovviamente, prevarrquella che la storia vuole di pi, cio quella planetaria. Ma si possono te-ner presenti anche le altre. Non si pu non essere plurilinguistici nondico plurilinguisti perch non si usano mai codici linguistici interi, soloassaggiati. In qualunque momento storico e la cosa vale specialmenteper lItalia si allinterno di un campo plurilinguistico.

    D.: In La lingua dellinfinito. Piccolo discorso sulla musica 6 lei parla della so-norit intrinseca della sua poesia. In tale sonorit intrinseca, quale ruolo haattribuito e attribuisce alle vocali, ai loro incontri e alla loro serialit?

    R.: Nel Piccolo discorso sulla musica ho parlato, come mi stato spesso ri-chiesto, dei miei rapporti con la musica, che sono sempre stati di attrazio-ne ma anche di diffidenza. La parola ha una sua musica intrinseca, chenon ha a che fare direttamente con la musica che conosciamo: la cosid-detta musica intelligibilis, chiamata cos ancora ai tempi dellermetismo.Questa sonorit intrinseca sempre il punto massimo dellattrazione.Penso a quando, da bambino, mi recitavano le strofette del Corriere dei pic-coli e io le imparavo: ero attratto dalle rime e da tutto il controcanto pro-dotto dagli abili creatori di vignette con il commento in rima. (Adesso nonc pi una cosa simile, che sarebbe molto educativa; forse qualcuno la fasperimentalmente). Questa sonorit intrinseca, cio quella che si pote-va esprimere proprio attraverso le parole, era una musica di concetti, diidee, e insieme una musica di gioco, di vocali e consonanti, che riuscivagradevole in s, come timbro. La musica come lingua dellinfinito inve-ce unaltra cosa: i suoni non veicolano mai un senso preciso, a meno chenon si tratti di musica imitativa. La Sonata di Vinteuil di Proust si lega a benquattordici situazioni diverse. Quello musicale un linguaggio di enormecomplessit e plurivocit, la base su cui si erge anche ogni altra forma di

    6 A. Zanzotto, La lingua dellinfinito. Piccolo discorso sulla musica, intervista a cura di P. Cattelan, Pievedi Soligo, 6 agosto 2004.

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  • musicalit. Anche una poesia pu dare questo senso dellinfinito: LInfini-to di Leopardi, per esempio. Nella musica ci sono varie intersezioni; ognu-na di queste intersezioni reca con s un deposito di possibilit espressive,e nello stesso tempo nega la speranza di una musica totale. Per questo du-bito che la sonorit della parola abbia direttamente a che fare con la mu-sica. Non ho mai approfondito molto il discorso sulla musicalit propriadi vocali, consonanti, della loro serialit. A parte le onomatopee, la cui fun-zione si coglie immediatamente, colgo elementi di ricorrenza musicalenon nei singoli fonemi ma in gruppi di consonanti e vocali. Per esempio,nel sonetto di Foscolo A Zacinto il ricorrere di acque-onde, acque-onde, perotto volte, quattro volte onde e quattro volte acque, provoca un effet-to di risacca, impercepito in primo piano. C un potere, in questi incon-tri imprevisti, che pu produrre effetti segreti e non sempre immediata-mente visibili. Per fare un altro esempio: in uno dei piccoli corali di Bach,c un titolo che dice una cosa terribile, bruttissima, mentre la musica gradevole, dolce: wir mssen alle sterben, dobbiamo morir tutti, ma lamusica, anzich essere triste, un canterellare. Come mai un titolo del ge-nere e una musica cos? il versante inafferrabile della musica.

    D.: Sulla sequenzialit delle vocali, pensavo, in particolare, alla costanza di vo-cali toniche in rima (come nelle quartine del sonetto VII), alla catena di /i/ (sem-pre nel sonetto VII), allalternanza di /a-i/ toniche in rima nel sonetto XI, a cer-te /u/ (terzina incipitaria del sonetto XIII), ecc. Ricordo, per esempio, il saggio diOrelli, che parla della /i/ come di una vocale, per cos dire, quasi della penetra-zione o della trafittura per la sua sottigliezza7

    R.: Questo possibile; ma non detto che sempre la i indichi la pe-netrazione.

    D.: La luminosit, anche.R.: S, ma molto dipende dai contesti. Non riusciamo a percepire vo-

    cali e consonanti distintamente; si forma un contesto in cui tutto vienerimescolato. Questo tipo di analisi non mi ha mai molto interessato, per-ch la sorpresa della poesia anche nella impensabilit di certi accosta-menti, che riescono produttivi mentre sembra che non lo siano. Di pinon oserei dire. Ci sar naturalmente chi ha approfondito; ci sono an-che degli ottimi musicisti che fanno studi di questo tipo.

    D.: Fra le sue cifre metrico-ritmiche, mi sembra si possa assegnare una posi-zione di rilievo, nell Ipersonetto, allictus di 1, al contraccento, alle sdruc-

    7 G. Orelli, La lettera della luminosit e della trafittura, Il Piccolo Hans, 12, settembre-dicembre 1976,pp. 140-152.

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  • ciole in clausola.8 Da che cosa dipendono queste scelte se dipendono da qual-cosa?

    R.: Molto viene dettato direttamente dallinconscio: si sente che bi-sogna passare per questo ponte, invece che per un altro. Dopo, solo chilegge pu giudicare se il passaggio riuscito o no. Ma non mi sembrail caso di suggerire. Come fa il compositore musicale a trascrivere innote sul pentagramma la quantit enorme di percezioni confuse cheha? un rischio continuo. A me capitato che abbia preferito lictusdi 1, il contraccento, le sdrucciole in un certo punto; ma poco doponon cera gi pi la stessa spinta. Per saperne di pi, bisogna uscire dal-la retorica e dalla linguistica, e rivolgersi alle neuro-scienze; bisogne-rebbe sapere quello che si produce nelle cellule cerebrali. A Milano cgi, come sapr, una scuola che ha cercato di indagare questo territo-rio: il professor Giampaolo Sasso, un linguista, riesce a seguire i percor-si in un sonetto della /a/, della /i/, della /u/ e tutti gli incroci; d unacrittografia svelata dei percorsi delle singole vocali e consonanti. Suquella strada era anche Agosti quando vedeva lanagramma in Silvia-salivi. Ho avuto una corrispondenza con il professor Sasso, perch laprima volta che ha fatto quel lavoro aveva gi intuito quello che io hodetto ora, la necessit di usare le neuro-scienze, anche se la prima ver-sione delle sue ricerche era molto insoddisfacente. Invece adesso ha co-minciato ad approfondire questo versante, addirittura con dei fotogram-mi, con le macchine elettroniche che evidenziano lattivazione di unaparte o unaltra del cervello. Quella che appare casualit, messa sottoquesta radiografia, rivela una sua necessit, un percorso che non pote-va non esserci. Ma siamo ancora ai primi passi. In altre parole, credopoco alle ricerche, anche se necessarie, che vengono fatte su questi pia-ni minimi, senza che ci sia anche una cultura, ormai obbligata, di neu-ro-scienze. La sdrucciola in clausola, per esempio, per me prima ditutto una piacevole variazione. Significa anche dire ai lettori: Guarda-te, ricordatevi che le sdrucciole valgono diversamente. S, perch caddirittura un istinto pedagogico: in poche parole, fornisco un campio-nario delle possibilit.

    D.: Con quali poeti novecenteschi sente maggiore affinit sul piano tematico e for-male? Eventualmente, se crede, con quali classici del passato? Chi, invece, si av-vicinato di pi a lei?

    R.: Rispondere piuttosto difficile: troppi nomi si addensano in unnecessario riscontro. Posso dire, tuttavia, che per me c un punto di

    8 Da indagini effettuate, risultano 73 ictus di 1, 56 scontri di arsi, 26 parole sdrucciole in rima su untotale di 224 endecasillabi. Cfr. la tesi di dottorato di G. Giuliodori, La norma di Zanzotto nellIPER-SONETTO, Macerata, A.A. 2004-2005, pp. 423-424.

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  • non ritorno: nella poesia pi recente percepisco la tendenza a distrug-gere anche gli ultimi aloni dellincanto. Si vuol fare una poesia di di-sincanto totale. Qualcuno ci riesce, anche; ma allora si tratta di satira.La satira non ha bisogno di incanto e nello stesso tempo ne ha biso-gno, se no non sarebbe grande satira. Un epigramma richiede rime;contemporaneamente, richiede anche un massimo di disincanto, peresempio quando lanciato contro qualcuno. Anche in questo caso, possibile una cosa e anche il suo contrario. E oggi si sta approdando auna specie di disincanto esibito, fatto di giochi di parole: qualche vol-ta, quando si risolve in satira, diventa accettabile; altre volte, incomme-stibile. Non mi piace, semplicemente. Non sto neanche a domandarmiperch. Ci sono stati per me i grandi maestri, nel passato, studiati e ac-cettati tutti con grande piacere. Ho letto molto i classici e poi i classicimoderni, in varie lingue. un giardino talmente ricco che difficileuscire dallincanto della selva, una selva di voci, ognuna delle quali ri-chiama unattenzione massima. Nellinsieme compongono un coro, chesi costituisce interiormente. Ho avuto poeti particolarmente cari, pre-feriti; per esempio Montale, che stato un grande maestro per me, oanche Ungaretti; in seguito sono diventati amici, ma sono rimasti an-che padri, nello stesso tempo. Distinguo i padri dai compagni di corda-ta, invece: Sereni, Gatto Fra i confratelli Sereni stato veramente im-portantissimo per me. E tra gli stranieri ci sono state delle costanti: Goe-the stato sempre pi o meno presente, ancora oggi ricordo parecchiesue poesie. Naturalmente Hlderlin ha contato pi di tutti, anche perla sua figura quasi di santo, per la sua personalit misteriosa, la sua gran-de, enigmatica capacit di riuscire a scrivere poesie bellissime, con ri-me perfette, proprio nei momenti del peggiore ottenebramento men-tale. Qualcuno ha tentato di dire che Hlderlin ha preferito chiudersinel suo silenzio perch i tempi non erano pi quelli rivoluzionari dalui amati. Ma mi pare che si esageri, perch c sempre il senso di unimmane vuoto da attraversare, come attestano ladozione del cognomeScardanelli, le date squinternate, dal Seicento al Novecento, negli ulti-mi due anni. Posso dire che, nelle letterature straniere, Celan senzadubbio il poeta che stimo di gran lunga sopra gli altri, perch quelloche ha fatto, con la cenere di Auschwitz, delle poesie, proprio quandoAdorno diceva che dopo Auschwitz non si potevano pi scrivere poe-sie. E lha pagato con il suicidio: sono piaghe ancora aperte. AncheChar stato molto importante; non parliamo poi dei classici francesi,ne sapevo a memoria una quantit enorme. Baudelaire, per esempio,sul quale, alluniversit di Padova, Diego Valeri ha tenuto il corso di cuiparla anche Meneghello. Qui, per, il mio ricordo personale si confon-de con un quadro generale di cultura, che variato molto nel dopo-guerra.

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  • D.: E i due poli di cui lei ha parlato, Mallarm e Artaud,9 hanno ancora la lorofunzione?

    R.: Riescono a dire abbastanza, anche se, nel tempo, sia Mallarm cheArtaud si sono allontanati da noi. Bisognerebbe forse ritoccare i nomi diquesta polarit, che per, nella sostanza, sempre questa: da una parteMallarm, le astrazioni supreme; dallaltra Artaud, limpossibilit di usci-re dal corpo. Per me, restano due poli antitetici, ma che spesso si com-penetrano: Mallarm morto per uno spasmo della glottide, piombatodentro la fisicit, e il percorso tormentoso di Artaud ha portato anche luiquasi al mutismo per ingolfamento, diremmo.

    Pieve di Soligo, 29 settembre 2005

    9 Zanzotto ne scrive come dei due [] poli, o linee del Novecento poetico che contrastano-con-vivono: Tra ombre di percezioni fondanti, in Prospezioni e consuntivi, cit., pp. 1338-1346: 1341.

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