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Page 1: Delatre - Numero 7

La rivista del Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia.

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N° 0 (in attesa di registrazione) GENNAIO - MARZO 2008

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Numero zero bis Si ricomincia.Ogni volta sembra sia l’ultima e poi, come per magia, torna ad essere la prima.Così siamo a gennaio.Così siamo al numero zero.Ancora?!Ma allora cosa siamo stati fino ad ora?In cima a questa pagina non c’è più il supporto dello stemma della Provincia di Lucca né della Fondazione Banca del Monte di Lucca: finito il finanziamento.Si ricomincia. Ecco appunto.Ripartire da zero. Anzi da zero bis perché da questo numero siamo registrati in tribunale e la legge vuole che questo si chiami “zero”! Occhio quindi alle parole, voi che avrete voglia di scrivere un articolo o di fare proposte.Sì, va beh...potevo risparmiarmela questa: nessuno ha mai fatto “a spintoni” per mandarci materiale.18 allievi. E’ il numero degli iscritti al primo anno del corso di recitazione della Scuola delle Arti della Comunicazione di Corato(Ba) diretta da Francesco Martinelli: che risultato! In una realtà tanto difficile, dove le persone sembrano a volte scomparire nelle sabbie mobili di una civiltà vecchia, ecco affacciarsi con rabbia un operaio-attaccalocandine-tecnicoluci-idraulico-attore-regista-maestro gemellato con noi attori versiliesi che, vivendo nella bambagia di un teatro scaldato tutto l’anno, non possiamo capire. Così come non possiamo capire come per fare delle prove Federico Barsanti e gli attori della compagnia Balagàn di Roma debbano passare dallo squallore di una periferia di Roma ad un’altra, viaggiando per centri sociali e palestre con temperature sotto lo zero e con il rischio di essere buttati fuori dal maestro di Kung Fu appena arrivato dalla Cina.E allora fanculo, perché la poesia di cui tanto si parla nel teatro di Seravezza a volte sembra impazzire sotto i ritmi della vita, sembra assopirsi contro la necessità di sorridere all’assessore di turno e sembra nascondersi quando il teatro si trasforma in lavoro.E se si pensa a questo ci si arena e non si va da nessuna parte: ma siccome da qualcosa si deve pur partire, stavolta io parto da ciò che c’è e non da ciò che NON c’è.Parto dal fatto che Enrico Bonavera e Giovanni Fusetti hanno scritto ancora per noi – e chissà in quale parte del mondo sono ades-so – che lo ha fatto anche Francesco Martinelli (come al solito) e di nuovo Federico (che per sua scelta non è voluto comparire nel numero zero) e il suo compagno dantesco Pietro Conti, ed anche Gabriele Guarino, attore di Roma ormai prossimo al debutto nello spettacolo diretto da Federico, e poi c’è Esisto Ancora che finalmente toccherà posti che ci fanno onore grazie alla visibilità ottenuta con la vincita del Romateatrofestival e alla collaborazione della Provincia di Lucca, dei comuni di Viareggio, Pietrasanta, Massa, Scandicci, un grazie a tutti loro, e poi aggiungo anche che Serena Guardone ha stretto i denti ed ha accettato ancora di collaborare con me pur essendo rimasta gelata dalla poca partecipazione alla rivista da parte degli allievi.Che ci vogliamo fare. Il pubblico ce lo dobbiamo guadagnare! Bello sarebbe poter viaggiare con la propria energia consapevoli che gli altri proveranno a seguirla...Ma c’è da sudare: come i ragazzi della compagnia Balagàn che sono attori e girano il traffico di Roma tra mille appuntamenti e tan-genziali, come Francesco che invece di sedersi a dirigere uno spettacolo si attacca le locandine in tutti i paesi vicino a Corato, come Enrico, premio “Arlecchino d’oro”1 che viene ancora chiamato “il sostituto di Ferruccio Soleri”, come Giovanni che lotta in Italia contro gli scultori di palloncini, considerati alla stregua dei clown teatrali...Ognuno, ogni giorno, ricomincia sempre, a volte con ciò che c’è e a volte con ciò che non c’è.Ma tornando a noi e detto ciò che c’è, cosa è che in questo numero non c’è?Un’infinità di cose…per esempio non c’è uno spazio per i bambini né per i ragazzi.Un enorme peccato: nessuno ha mandato il continuo della favola e nessuno ha proposto niente.Così i ragazzi dovranno aspettare altri tre mesi per potersi leggere su queste pagine. Alcuni di loro dovevano aver scritto un resoconto sui seminari a cui avevano partecipato come uditori. Altro enorme peccato: nessuno ha avuto voglia o tempo di passarmi questi resoconti per farli divenire un articolo.Peccato. Occasione persa.Si ricomincia.

Claudia

1 Con l’istituzione dell’Arlecchino d’oro, avvenuta nel 1999, la Fondazione Mantova Capitale Europea dello Spettacolo rende omaggio a Tristano Martinelli (1557-1630), l’attore mantovano a cui si deve l’invenzione della maschera di Arlecchino.

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DELATRE N° 0 Bis L’ANGOLO DI FEDERICO...

Di me, di voi, di noi...di Federico Barsanti,

direttore artistico del PTSV

“Se la musica fosse cibo avrei di che mangiare da qui all’eternità”. Il 2007 appena terminato ci ha trovati proprio jump. Quanti piccoli, grandi eventi, meraviglie e momenti di sconforto e di timori, quanti favolosi incontri e sorprese sboccianti in tanti momenti! Insomma, mancherebbe soltanto di tirar giù una colonna sonora per il ptsv 07... e in quel caso dovrei metterci dentro certa gente a suonare! E perché non provarci? Vediamo un po’ ... Per gennaio non potrei fare a meno di una tremenda Venus in furs di quel maledetto santo Lou Reed con i suoi sfolgoranti Velluti Sotterranei. Passan-do nel febbraio mi butterei ad occhi chiusi in quel mare di John Coltrane

con la fragorosa e straordinaria Body and soul (provare per credere). Poi arriva marzo e nel cuore gli ci ficco quei ragazzacci dei Glimmer Twins, al secolo Jagger-Richards, con la rabbiosa ed intimissima All about you; quando giunge aprile sono già di ritorno dalla Royal Albert Hall dove assisto ad un concerto dei The Who memorabile...ci vorrebbe una bella intro da La terra desolata di T.S.Eliot, ma devo trovarci il pezzo giusto per questo mese da odore di pinete mediterranee, così ecco una notte di ricordi con On Elvis Presley’s birthday di quel neworkese trapiantato a Parigi, tal Elliot Murphy. A questo punto ci troviamo a cavallo tra i due mesi ed arrivano le notizie del Roma-teatrofestival e delle vincite alla Rassegna Regionale di Teatro per le scuole: improvvisamente tutto si sospende in aria con quel Volfango senza il quale noi tutti saremmo stati diversi, col Concerto n°23 per pianoforte e orchestra. Maggio è un planare per raccogliere le forze: arriva inevitabile il brivido vocale di Nina Simone con Everithing must change e al termine è silenzio prima di esplodere in fragranza di pianto. Via, boys and girls, enfants terrible, andiamocene nella capitale con quella follia da presentare in scena ... ed è subito giugno. Ci pensa lo zio Tom Waits con 16 shells from a dirty blue gun ... e ora son c ... vostri! Tra un concerto e l’altro, un teatro e l’altro, un premio e poi un altro siamo pronti per Mercantia, con Gigli, Seravezzateatro-festival ed altri fiori da campo... è luglio sfolgorante! Vi lascio in compagnia di quel figliodibuonadonna di Frank Zappa con The closer you are che vi getterà a capofitto nella marmellata dei ‘50. Saltello, me la spasso, m’aggroviglio, piango, m’incazzo, rido e mentre indosso muta e bombole m’immergo nell’organizzazio-ne definitiva dell’ A.A. ‘07/‘08: è pieno, debordante agosto. Tanta gente è a godersi le ferie in questo momento italiano senza storia, senza radici, e, in attesa di tempi migliori, tra le altre cose, curo la terra intorno casa. E penso. Tanta gente è a farsi il culo sotto il sole, io mi allungo, mi stringo, mi pseudoriposo e corro a Londra, vado al Globe Theatre, saluto William, passo dal Covent Garden a vedere gli artisti in vetrina, becco due concerti conclusivi del tour europeo delle Pietre e ri-passo da Hide Park a salutare le farfalle di uno Shelley mal recitato, il tutto con nelle orecchie Jig saw puzzle (indovinate un po’ i compo-sitori?). Arriva settembre. Il people continua a crepare di fame, di malattie varie e animali, a ruota, vengono trasportati ogni mattino alla macellazione, il papa parla alla finestra del mondo e ce l’ha ancora con i gay dimenticandosi di porre scuse per i suoi preti pedofili o per le sue suore picchiabambini, i grandi presidenti e sottopresidenti blaterano ovunque senza ritegno e anche io sto nel mio microcosmo di essere viziato senza sapere come vivere, alla meno peggio, in quell’edificio di contraddi-zioni che mi porto appresso. Qualcuno mi aiuti, razza di coglione che non sono altro. Nel mezzo del putiferio acchiappo un LP e metto su quel bastardo di Glenn Gould che suona le Suites Inglesi di J. S. Bach...fanculo le contraddizioni e le guerre che massacrano intere comunità di bambini e vecchi e donne e uomini e animali, fanculo la televisioncina e il resto. Fanculo anche me. Sono un guerrigliero combattente, fanculo al pacifismo edonista e autoindulgente. Riapro la scuola e fuck... non metto in scena niente, tanto poi a chi interessa? Salta fuori dal cilindro una Lectura Dantis con il mio amico Pietro Conti (che goduria!), Pippo del Bono mi fa i complimenti dicendomi che si è commosso, leggo qualche riga di libro qua e là; ripenso alla Szymborska e alla sua poesia e tiro un po’ di somme: la storia non ci insegnerà niente, History will teach us nothing di Sting. E’ una bella scommessa ‘sta scuola: ciao ragazzi! Bentornati.

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DELATRE N° 0 Bis L’ANGOLO DI FEDERICO...

Ottobre: ripenso all’arte come veicolo e rivedo Thomas Richards in quel caldo agostano nella suite del suo centro di ricerca. Fanculo anche il suo e il loro sublime estremismo egoistiano! Anche se ho pianto durante la loro mise en espace... Sweet home Alabama dei favolosi, irraggiungibili Lynyrd Skynyrd. Passano dalla scuola Rolando Macrini (con il suo teatro di Babele, Mostri, Scimmie che ci portano ruscelli di wisky e affluenti vari, tutti si inebriano, si innalzano, si chiedono ... ), Francesco (devastatore di anime mafiose, il grande provocatore, la vittima e il carnefice, il patto di sangue) il Martinelli! Nel contempo si aprono i nuovi corsi e trovo una sorpresa: il corso di Viareggio quest’anno è una vera bomba! Persone che affrontano il corso con il ghigno giusto: complimenti. E così arriva novembre: il giorno del mio compleanno metto sul piatto il doppio in vinile di Exile on main street e alla fine vado alle prove del Teatro comico di C. Goldoni ascoltando Niente è come sembra del guru Franco Battiato. Gli attori mi cantano Tanti Auguri. Yeah. Grazie ragazzi. Ecco dicembre! Tra un Enrico Bonavera che si becca una fortissima bronchite (e tiene due seminari super nonostante le grandi difficoltà) e un Giovanni Fusetti, il buon Giovanni, che tiene, oltre a due seminari, una bellissima lezionspettacolo, mi diverto e mi chiedo dove stiamo andando con questa scuola ... Così dicembre mi arriva di sorpresa, tra le prove a Roma con la Com-pagnia Balàgan, l’incontro a Viterbo con Martinelli e Macrini per progetti futuri, un altro Dante, il corso di formazione che resiste e tiene duro, un incontro a casa mia con quel favoloso musicista di Sandro Verdecchia, le ultime conferme per le date di Esisto Ancora, King il gatto che patrocinia tutto, un caro saluto a voi tutti prima della bagarre natalizia ... davvero mi devo ridestare: l’anno è finito e un altro si presenta pieno di forza. Jumping Jack Flash. In cerca della strada, ancora.

Francesco Martinelli è il direttore della Scuola delle Arti della Comunicazione di Corato, gemellata con il Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia dal 2002. Due volte l’anno avviene lo scambio tra le scuole gemellate: a marzo Federico Barsanti va in Puglia assieme ai propri allievi e tiene un seminario nella scuola di Corato mentre a ottobre Francesco Martinelli viene in Toscana assieme ai propri ragazzi e tiene un seminario a Seravezza nella scuola del Piccolo Teatro della Versilia. Da quest’anno inoltre lo scambio include uno spettacolo portato dagli allievi “ospiti” che, con le entrate della serata, va a contribuire alla trasferta dell’anno successivo dei ragazzi “ospitanti”.

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La “Mafia” se c’è non si vede, ma se si vede c’è. di Francesco Martinelli(direttore della Scuola delle Arti della Comunicazione di Corato (Ba), scuola gemellata con il PTSV dal 2002)

www.teatrodellemolliche.it

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DELATRE N° 0 Bis ...E QUELLO DI FRANCESCO

Il mio scritto inizia riportando fedel-mente il dialogo intercorso tra me e Claudia Sodini, proprietaria del Dela-tre. IO - Questa volta non ho nulla da dire, confermo di non aver nulla da dire. LEI - Come si fa a non dire nulla? IO - Non dicendo qualcosa. LEI - Dunque non hai nulla da dire per-ché non vuoi dire qualcosa? IO - Posso anche dire nulla ma a chi lo dico? A nessuno. LEI - Il nulla si dice a nessuno, qualcosa a qualcuno, tanto a tutti.IO - No, tanto a chi vuole ascoltare. Tanto si può dire o a qualcuno o a nes-suno. LEI - Come si fa a dire tanto a nessu-no?IO - Tacendo. LEI - Ma tu non puoi tacere, devi scri-vere un articolo anche su questo nume-ro, ci aspettiamo che tu dica qualcosa.IO - Perché?LEI - Perché tu sei il nostro maestro di teatro, e le tue idee sul teatro per noi sono apprezzabili o comunque opina-bili. Inoltre, scrivendo dimostri quanto importante sia questo giornale, testimo-ni che ci tieni. Lo so che costa tempo ed energie scrivere qualcosa, ma se tu non scrivessi, a noi mancherebbero gli

stimoli. E poi tu sei una istituzione nel-la Scuola, è il tuo ruolo guidare, dare risposte, prendere delle decisioni e assu-mere la responsabilità di comunicarle. Sei come il Presidente del Consiglio, il Presidente della Regione, il Presiden-te della Provincia, il Sindaco….sei….sei….il “capo mafia” Don Vituccio Straccone. Naturalmente sto scherzan-do!IO - La “mafia” non scherza, picciotta. A proposito, prima di scrivere l’articolo ti racconto una storia. LEI - No! Sono interessata a sapere cosa pensi di Cechov.IO - Non ho nulla da dire.LEI - E di Ionesco?IO - Zittisco.LEI - Su Shakespeare avrai qualcosa da dire? Tutti dicono qualcosa.IO - Muto come un pesce.LEI - Va bene, maestro, raccontami questa storia. Non riesco mai a parlare con te. IO - Circa quattro mesi fa ho fatto per-venire al sindaco codesta lettera. Leggila ad alta voce.LEI - Egr. Sindaco, in qualità di Di-rettore artistico e organizzativo della Rassegna di Teatro Studentesco e con-sapevole del mio ruolo di promotore dell’attività teatrale nelle Scuole, la informo che, dopo sette anni di duro lavoro portato avanti dalla Scuola del-le Arti della Comunicazione, siamo riusciti in accordo con i Presidi delle quattro Scuole Secondarie della nostra città che hanno dimostrato una gran-de sensibilità nei confronti del Teatro e riconosciuto la nostra professionali-

tà, ad istituire due Laboratori teatrali permanenti all’interno di due Scuole e ad ottenere la collaborazione estrema-mente proficua delle altre. Tutti riuniti intorno ad un vero progetto teatrale cit-tadino, quello della Rassegna di Teatro Studentesco che consente alle Scuole di esibire i propri spettacoli in uno spazio attrezzato, curato e ben organizzato. Nell’ultimo anno circa 200 ragazzi sono stati coinvolti attivamente consuman-do tutte le loro energie e non in modo episodico. I genitori hanno espresso la loro gratitudine in diverso modo, a volte improvvisando feste propiziatorie pur di condividere insieme dei momen-ti importanti. Entrambe le Scuole in cui sono stati avviati i nostri laborato-ri teatrali hanno ricevuto importanti gratificazioni: una Scuola ha vinto due premi alla Rassegna Regionale, tra cui il primo premio per il miglior spetta-colo, l’altra ha inserito lo spettacolo in un progetto territoriale che si svolgerà in due castelli federiciani. Insomma, la comunità scolastica, ma forse anche quella cittadina, attende la Rassegna oramai diventata un contenitore salu-tare di idee. Ogni anno lei ha espresso la volontà di voler far crescere la mani-festazione, dichiarazione che, pur nello scetticismo, è stata recepita come un se-gnale positivo e rincuorante. Notiamo, però, che le sue decisioni sembrano andare effettivamente in controten-denza. Il finanziamento alla Rassegna è stato di 4.000 Euro, rispetto ai 12.000 Euro nel 2004, ai 6.000 Euro nel 2005, ai 6.000 Euro nel 2006, nonostante i costi organizzativi siano aumentati.

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DELATRE N° 0 Bis ...E QUELLO DI FRANCESCO

E’ spiacevole ricordare che in un in-contro ufficiale risalente ad Aprile si era impegnato a mantenere costante il contributo dicendo le testuali parole: “Quanto ho dato l’anno scorso, tanto darò questo anno. Stai tranquillo, ti do la mia parola”. La Rassegna è stata svolta a maggio con impegni di spesa equivalenti alla cifra promessa: noleg-gio di sedie e palcoscenico, service au-dio e luci, tipografia, tassa di affissione, assicurazione, targhe di partecipazione, tassa di occupazione del suolo, SIAE, il tutto per sei spettacoli e per sei giorni di lavoro. A giugno abbiamo ricevuto un manda-to di pagamento con la somma di 4.000 Euro anziché 6.000 Euro. Le chiediamo di spiegarci perché non ha mantenuto la sua parola? In che modo intende far crescere la manifestazione? In una so-

POCO PIÙ DI DUE PASSI

Diciotto passi in diagonale e due volte tanti in orizzontale,volli stare lontano

dalle confuse immagini di uomini legati a fili d’aria.

Che succede?Qualcuno lotta,

lacera i fili,si avvicina,

e passa oltre.E’ un bambino,oramai lontano

diciotto passi in diagonale ed una infi-nità in orizzontale.

Questi certi signori di Serena Guardone

Martedì 4 Dicembre 2007 è andato in scena al Teatro Politeama di Viareggio “Un certo Signor G”, un tributo alla grande coppia Gaber-Luporini e al teatro canzone: interprete l’arcinoto attore di schermo e palcoscenico, Neri Marcorè, che poco prima dello spettacolo ha incontrato il pubblico. Le curatrici di tale rivista erano presenti agli eventi e, al fin di parlare di fatti e misfatti teatrali anche cittadini, ecco qui un resoconto assieme alle parole tratte da uno dei testi più noti di Gaber, “La libertà”.

Vorrei essere libero, libero come un uomo. Come un uomo appena nato

che ha di fronte solamente la natura e cammina dentro un bosco

con la gioia di inseguire un’avventura. Sempre libero e vitale

fa l’amore come fosse un animale incosciente come un uomo

compiaciuto della propria libertà.

Il teatro Jenco era pieno per metà di persone un poco in fremito per l’evento: sul proscenio tre sedioline trasparenti incorni-ciate ai lati da due aste con microfoni, lasciavano pregustare quello che tutti avrebbero aspettato per non poco. Il pubblico, arrivato a partire dalle diciassette, ha atteso fuori e poi dentro per un’oretta, ma nessuno era spazientito: come quando l’innamorato tarda e non sappiamo arrabbiarci, similmente gli avventori non se la prendevano per il ritardo del beniamino.

cietà dove si ha l’impressione che a nes-suno interessi più nulla, a noi al contra-rio interessa davvero far esibire in modo sano i giovani, coinvolgerli in progetti ambiziosi, metterci al servizio di chi ha la passione per la vita. Le nostre richie-ste non sono né capziose, né finalizzate alla speculazione. Desideriamo che ci dica qualcosa perché abbiamo l’obbligo morale nei confronti delle Scuole di ri-ferire le sorti future della Rassegna che con un contributo così ridotto non può essere realizzata. Non si può continuare a contare solamente sui nostri sforzi e sacrifici. La ringrazio per l’attenzione e spero in una Sua preziosa risposta.IO - Non ho avuto alcuna risposta. Il sindaco non aveva nulla da dire, ma ta-cendo ha detto tanto a me. LEI - Maestro, scriviamo questo nel prossimo numero!IO - Ma per chi???LEI - Per qualcuno o per nessuno.IO - Va bene. Ma permettimi di aggiun-gere questa riflessione: “Tutti nasciamo mafiosi, solo gli artisti e i santi riescono a combattere questa predisposizione na-turale e a volte, solo a volte, vincono”. Quanto sinceramente scritto è sempre secondo me.

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DELATRE N° 0 Bis NERI MARCORÈ A VIAREGGIO

Allo scadere dell’oretta di attesa, strisciando alla parete, con sguardo di sottecchi e sorriso tra il furbo e l’imbarazzato, fa la sua comparsa l’attore: passo flemmatico, vestiti semplici, un basco in testa, uno zaino in spalla, un uomo dalle lunghe leve e la testa un poco reclinata verso il basso, un’esile figura umile e gentile. La platea si accorge di lui quando è già a metà sala e, solo allora, scroscia l’applauso, mentre lo spilungo già sale sul palco e poggia in un angolo lo zainetto, cappello, sciarpa e cappotto, e si avvia ad occupare la sediolina al centro, assieme all’assessore alla sua destra e al regista dello spettacolo, alla sinistra. Nulla di plateale o strafatto, tutto semplice. Alle domande dell’assessore, attore e regista rispondono con calma, sapendo usare l’uno bene e l’altro meno il microfono, ma tutti e due con voce bassa, parlando lentamente, senza enfasi, ma con visibile partecipazione.

Vorrei essere libero, libero come un uomo. Come l’uomo più evoluto

che si innalza con la propria intelligenza e che sfida la natura

con la forza incontrastata della scienza con addosso l’entusiasmo

di spaziare senza limiti nel cosmo e convinto che la forza del pensiero

sia la sola libertà.

Neri Marcorè ha iniziato la sua carriera per caso, dice, non sapeva di voler fare l’attore. Ha esordito telefonando ad un pro-gramma radio dove, per vincere un disco, doveva cantare una canzone. Poco dopo, alla domanda di un bambino, specifica sorridendo: “A cinque anni, ero Giuseppe nella recita di Natale: tre ore fermo immobile, mi sono anche addormentato”. In verità, spiega, nasce come imitatore, poi una cosa ha tirato l’altra e chi lo conosce sa che la sua carriera è una collezione di esperienze molto variegate, dalla satira al cinema, dal teatro alla canzone, da ruoli pacati e remissivi dello schermo piccolo e grande ai personaggi infuocati del palcoscenico – non ultimo il Dottor Galvan, il protagonista dello spettacolo con cui è andato in tournée lo scorso anno tratto da un monologo di Pennac, per la stessa regia di Un certo Signor G.Questo spettacolo, raccontano attore e regista, nasce dalla voglia di proseguire un sodalizio artistico che aveva funzionato la stagione precedente e dalla passione per i testi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini: l’idea è quella di riproporre lo stile con cui i loro spettacolo erano montati, con la consueta scansione monologo-canzone, creando però un racconto originale, la storia di un uomo che nasce, s’innamora e, fra goffaggine, carnalità e desiderio di provare grandi e veri sentimenti, si volge al mondo, lo osserva, lo giudica, lo critica, arriva ad odiarlo, per finire con lo sperare in qualcosa o qualcuno di migliore. Oltre alla storia, la scenografia “cui io mi appoggio per recitare”, confessa l’attore: un’unica stanza con porte e finestre foderate di giornale e con due pianoforti, di profilo rispetto al pubblico. Quando il sipario si apre, ti si para davanti un’immagine immediatamente bella: un mondo musicale, surreale, popolare, astratto, blues, fra la strada e l’immaginazione.

Vorrei essere libero, libero come un uomo. Come un uomo che ha bisogno

di spaziare con la propria fantasia e che trova questo spazio

solamente nella sua democrazia. Che ha il diritto di votare

e che passa la sua vita a delegare e nel farsi comandare

ha trovato la sua nuova libertà.

L’incontro si è concluso con domande rivolte non tanto all’attore, quanto al cittadino e alla persona: la religione, la politica. E Neri ha risposto, dicendo che separa il suo mestiere -ci tiene a chiamarlo mestiere- dalla sua vita di cittadino: quello che sceglie di fare, quello che sogna come cittadino è altra cosa rispetto a quello che non può fare a meno di vedere con il buffone che è in lui, perché in lui, dice, le due cose convivono, cittadino e pagliaccio, e di nessuna può fare a meno.

La libertà non è star sopra un albero non è neanche il volo di un moscone

la libertà non è uno spazio libero libertà è partecipazione.

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Gaber-Luporini. Fonte: Internet

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DELATRE N° 0 Bis INTERVISTA AD ENRICO BONAVERA

Intervista ad Enrico BonaveraEnrico Bonavera svolge ormai da più di due decenni la sua attività di attore di prosa. È attualmente interprete dei ruoli di Brighella ed Arlecchino nel grande “Servitore di due padroni” per la regia di Giorgio Strehler ed è stato diretto da Strehler, Lassalle, Sciaccaluga, Amelio, Battistoni, Soleri, Bosetti, Conte, Gallione, Crivelli, Kerbrat, Boso, Friedel, Hertnagl, Emiliani, Maifredi. Nel 2007 è vincitore del premio “Arlecchino d’oro” (tra i vincitori delle edizioni precedenti figurano Marcel Marceau, Paolo Poli, Giorgio Albertazzi, Dario Fo, Ferruccio Soleri...).Collabora dal 2006 con il Piccolo Teatro della Versilia. Quest’anno (9-11 novembre) ha tenuto due seminari dal titolo “Il Canovaccio”.

Il Ciarlatano e il Canovaccio sono due modi di giocare all’improvviso. Sono uno propedeutico all’altro? In che modo?

Ho inventato la ‘metodica’ del Ciarla-tano - questo gioco fittizio col pubblico - per trovare una via che ci riconducesse alle tecniche di improvvisazione a Ca-novaccio.Ho praticato un po’ l’improvvisazione con Carlo Boso, al TAG Teatro di Ve-nezia; ma alla fine era lui stesso che, da regista, strutturava le improvvisazioni e noi, secondo la sua guida, alla fine de-terminavamo e scrivevamo un testo.La mia ipotesi di lavoro è stata quella invece di verificare come e se fosse stato possibile che gli attori davvero avessero improvvisato di fronte al pubblico, nel-la Commedia dell’ Arte.E con quali tecniche e strategie. Parten-do dall’osservazione diretta dei vendi-tori di piazza - soprattutto campani -, ho elaborato e verificato, con metodo

direi scientifico, tecniche e metodiche che non starò qui a descrivervi. Dun-que, il lavoro del Ciarlatano è per me propedeutico all’ improvvisazione a ca-novaccio.

Praticando la Commedia dell’Arte, il ruolo del Ciarlatano, ecc...sembra di ritrovare qualcosa o meglio di trovare qualcosa di molto intimo e conosciu-to. Che ne pensi?

Praticando la Commedia dell’ Arte - o chiamando così il lavoro con maschere e sul canovaccio - si riscopre una forma di teatro molto diretto, molto semplice, in grado di farci scoprire il piacere del gioco teatrale, dell’ invenzione, del ‘gio-co di squadra’ e anche la concretezza di un artigianato laddove spesso si pensa il teatro come a un viaggio interiore, una introflessione e una scoperta di sè. La Commedia dell’ Arte ci fa scoprire nuo-vi aspetti di noi stessi e ci fa accettare noi stessi attraverso il gioco, diretta-mente nella pratica. Ecco perché, senza pretendere di riproporla come genere di spettacolo in un mondo così diverso da quello per cui è nata e si è sviluppata, essa è comunque un ottimo ‘banco di lavoro’ per la formazione attoriale nelle scuole.

Dove esiste ancora, se esiste ancora, una commedia all’improvviso? E se si è esaurita perché non esiste più? Po-trebbe rappresentare la via verso una satira contemporanea?

Come afferma la Prof. Sara Mamone1, la Commedia dell’Arte. è morta, non esiste più. Certo, ha gemmato nella farsa dell’ 800, nei clowns del circo, nella farsa napoletana, nei films di Totò e Peppino e nell’ avanspettacolo. Ma come fenomeno teatrale si è conclusa con la Riforma Goldoniana e soprattut-to con la trasformazione della società, con la Rivoluzione Francese, insomma. Sono cambiati i gusti e le problematiche del pubblico. Oggi, riproporla, se non come esercizio di stile o come reinven-zione, laddove ci sia da parte del regista o della compagnia una vera e poetica necessità, mi pare fuori luogo. Non a caso chi rispettabilmente lo fa, e sono diversi amici, trova maggior riscontro all’estero che in Italia.All’ estero la C.d.A. viene vista un po’ come ‘folklore italiano’; e quando Soleri dice che l’ Italia è conosciuta nel mon-do per il Melodramma e la Commedia dell’ Arte, è pur vero che l’Opera non ha avuto soluzione di continuità, men-tre la tradizione della C.d.A. si è inter-rotta per quasi due secoli.I meccanismi della Commedia e l’uso della maschera rimangono comunque qualcosa di affascinante e meriterebbe-ro di essere studiati e di generare spetta-coli e forme contemporanei. Forse è nel lavoro di un gruppo - più che di una compagnia privata o di Teatro Stabile -che si può trovare l’occasione di poter-ne fecondare la parte creativa.

1 Sara Mamone è specialista nello studio del teatro e dello spettacolo di corte in Italia e in Francia. Svolge attività didattica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze dall’anno accademico 1975-76. n.d.r.

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DELATRE N° 0 Bis INTERVISTA AD ENRICO BONAVERA

Che cosa trovi al Piccolo Teatro della Versilia quando vieni a tenere i tuoi seminari?

Al Piccolo Teatro della Versilia ho tro-vato alcune cose assai interessanti, al di là della cordialità e della simpatia delle persone.Ho trovato un bel mix di disciplina e di passione. Federico è una persona che sa interrogarsi per poter far funzionare al meglio la scuola (e spero continui), conoscendone limiti e pregi e soprattut-to la funzione di attivazione culturale in un territorio non prodigo di stimoli in questo senso - pur non essendo Pisa e Pontedera poi così distanti.Gli auguro che continui a trovare le strategie per proseguire con una proget-tazione articolata. Lui sa quanto il tea-tro sia la forma più alta e divertente di educazione alla relazione interpersona-le, alla scoperta delle possibilità creative dell’ individuo e l’ occasione per dare concretezza ai nostri sogni.

Cosa è per te una scuola di teatro?

La Scuola di teatro... occorre differen-ziare. La Scuola che prepara al pro-fessionismo deve avere precisi criteri di selezione. Non parlo soltanto delle audizioni - che hanno il limite di essere scelte ovviamente soggettive -, ma an-che di prove durante il percorso di stu-dio e formazione.Il mondo dello spettacolo e del teatro è purtroppo difficile. Sono tanti i giovani

attori e attrici e poca l’ offerta di lavoro. Sen-za considerare tutti coloro che si improv-visano o che lavorano grazie a qualità extra-professionali - fisico, raccomandazioni...o altro.Ma la Scuola di Teatro che propone un per-corso didattico-peda-gogico offre qualcosa

di prezioso in un mon-do che ha perduto ambiti ed occasioni in cui i giovani imparino ad ascoltare, e ascoltarsi, a lavorare insieme, a conosce-re e a manifestare le proprie emozioni, e ad incontrare la poesia e la letteratura attraverso i suoi personaggi e autori.Un lavoro prezioso che la scuola nor-male non ha il tempo e i mezzi di fare.

a cura di Serena Guardone e Claudia Sodini

Intervista a Giovanni FusettiGiovanni Fusetti da bambino voleva fare nell’ordine: paleontologo, veterinario, esploratore naturalista...ha poi seguito la mas-sima del “conosci te stesso” e trovato nella pedagogia il campo in cui più è felice.Come pedagogo anima seminari teatrali a livello nazionale ed internazionale ed ha avuto il piacere di lavorare in molte scuole, centri di formazione ed università. Tra di esie: la Scuola di Teatro a l’Avogaria di Venezia, The University of London, il Ro-sengarten Theatre House (Norvegia), la Naropa University di Boulder, Colorado (USA), il LISPA (London International School of Performing Arts), Londra, la Dell’arte School of Physical Theatre, Blue lake, USA, il Centre Generation Tao di Parigi...e il Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia, con il quale collabora dal 2004!Quest’anno (7-9 dicembre) ha tenuto al PTSV due seminari dal titolo “Il Clown” e “La Maschera Neutra”.

Il clown e la maschera neutra sono due lavori complementari. Quali sono le caratteristiche di ciascuno?

Vorrei cominciare con alcune tracce storiche. La maschera neutra è uno strumento essenzialmente pedagogico, ed è emerso dal lavoro di Jacques Co-peau che in Francia negli anni ’20 ha cercato nella maschera una via per ri-tornare al corpo dell’attore. Un suo al-lievo e attore, Jean Dasté, fu il primo a utilizzare una maschera inespressiva che

chiamò Maschera Nobile, e trasmise la ricerca a Jacques Lecoq, che, insieme allo scultore padovano Amleto Sartori, creò la maschera neutra che conoscia-mo ed usiamo oggi. Nella pedagogia di Jacques Lecoq la maschera neutra e il clown sono complementari, nel senso che la maschera neutra inizia il viaggio di apprendimento dell’allievo e il clown lo conclude. Un allievo attore inizia la conoscenza del mondo attraverso la maschera neutra e finisce alla maschera più personale che esiste, il naso rosso, rivelatore del proprio clown.

Quindi dal punto di vista del movimen-to sono due maschere complementari. La maschera neutra permette di lavora-re su ciò che c’è di universale in ognuno di noi. È quindi un lavoro sull’uomo e la donna come esseri umani, che, pri-ma di essere portatori di un dramma, una storia, un personaggio, ecc…, sono portatori di una presenza. Pedagogica-mente la maschera neutra permette agli allievi di lavorare sulla propria presenza scenica, prima del racconto. È un lavo-ro sul silenzio, sullo stato, sulla presen-za e, fondamentalmente, sullo spazio.

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Con la maschera neutra guardi e vera-mente vedi ciò che c’è intorno a te, e dopo aver visto diventi. I primi esercizi fondamentali, dopo l’analisi del pro-prio corpo, sono legati al viaggio della maschera neutra nella natura. Si entra in diversi spazi naturali – la foresta, il mare, la pianura – e la Maschera diven-ta quell’elemento.

È un modo di lavorare sul movimento in natura, sul movimento puro delle azioni umane: azioni di movimento come camminare, correre, lanciare, azioni di combattimento come la cac-cia, il duello. Azioni pure che sono mol-to lontane dalla nostra vita quotidiana, ma che si possono ritrovare nello sport, nella danza, nelle attività che coinvol-gono il corpo nello spazio. In definitiva la maschera neutra è uno strumento per sviluppare la presenza scenica e non il personaggio.Il clown è invece l’opposto: è una ma-schera che permette di lavorare su ciò che c’è di più “personaggio”, cioè perso-nale, in sé stessi. E questo è il proprio clown, cioè la propria forma corporea poetica che, con il naso rosso, diventa comica.Se immaginiamo un foglio di carta, la maschera neutra permette di stirare il foglio fino a “calmare” tutte le pieghe, mentre il clown permette di vedere an-cora meglio quelle stesse pieghe. Cia-

scuno di noi è un foglio che è portatore di una serie di pieghe, in parte legate alla propria genetica, alla propria razza, e in parte legate alla propria storia emo-tiva, a come l’ambiente ha influito su di noi, così come il vento può operare su un albero, in modo tale che la stessa specie di albero in diversi luoghi avrà delle forme diverse pur essendo sempre lo stesso albero.Così è proprio la relazione tra il neutro e il clown che ti fa lavorare sulla tua per-sonale forma.In un’estrema sintesi si potrebbe dire che la maschera neutra è la maschera dell’umanità, mentre il naso rosso è l’umanità della maschera.

Domanda “comica”: qual’è la situa-zione del clown in Italia? E negli altri paesi?

Credo che la prima cosa da dire è che in Italia si fa fatica ad individuare una tradizione così forte da poter essere tra-smessa.È esistita una forte tradizione nel pas-sato, nel senso che i clown italiani sono stati grandi protagonisti dell’epoca classica del clown nel circo: pensiamo ai vari Fratellini, Porto, Bario, Rhum, grandi clown italiani che fecero fortuna in Francia negli anni ‘20-’30. I clown italiani erano famosi. Nella tradizione più recente i fratelli Colombaioni sono stati e ancora sono una grande famiglia di clown.Ma in Italia oggi non si può dire che ci sia una scuola, una tradizione.Il clown in Italia non è un genere tea-trale. Non è mai veramente arrivato in teatro.Ci sono dei clown, ma non si può par-lare di uno stile di clown in Italia o delle scuole di clown in Italia o di una forma clownesca che si possa riconoscere come “Ah, questo è il clown all’italiana!”.Ci sono molti che lavorano più verso il clown circense come tipo di personag-gio, molti clown di strada che associano mimo, giocolieria e clown, ecc…Ma a mio avviso non esiste uno stile preciso in Italia.

Negli altri paesi le situazioni variano molto: ci sono paesi in cui esiste una scena del clown.In Francia per esempio c’è una scena di clown nel senso del nez rouge, il clown dal naso rosso, che è considerato un vero stile. Ci sono compagnie che si ri-fanno a questo, spettacoli, riviste, addi-rittura festival, dunque il clown teatrale è considerato un linguaggio così come potrebbe essere da noi la tragedia o Pi-randello o il teatro per ragazzi.C’è uno stile molto diffuso, sicuramen-te legato ai molti decenni di lavoro del naso rosso di Lecoq e delle varie com-pagnie che a lui si sono ispirate, ma è anche legato alla presenza del circo clas-sico in cui il clown è sempre stato l’eroe. La Francia ha dunque una posizione un po’ privilegiata.Altro paese europeo di grande tradizio-ne clownesca è la Svizzera. Pensiamo a Grock, Dimitri e Gardi Hutter, la più famosa clown donna.L’America ha una grande tradizione di clown circense, più clown vagabondo, clown tramp, che è ancora molto le-gato al circo, mentre il clown teatrale non esiste. Ma nel mondo anglosassone ci sono personaggi clowneschi: figure comiche che si rifanno direttamente all’universo clownesco, ma che hanno abbandonato il naso e che non hanno più un riferimento diretto al naso rosso del circo, bensì un riferimento alla co-micità solitaria del clown. C’è un rinascimento del clown in Spa-gna, dove ci sono alcune scuole, a Barcellona e a Ibiza, che si definiscono come scuole di clown.

Poi c’è naturalmente la grande tradi-zione del clown russo, in particolare dell’est, tradizione storica che è nata dal

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clown del circo, molto acrobatico, basa-to su delle grandi abilità tecniche e che è una tradizione molto forte, che con-tinua ad esistere ed è la cosa che più si avvicina al clown classico del circo.

In Scandinavia c’è un un grande inte-resse per il lavoro sul clown, proprio sul clown dal naso rosso.Questi sono i paesi che conosco.Tornando all’Italia, quello che di cer-to da noi manca è un riconoscimento pedagogico del clown: nelle scuole di teatro in molti paesi in cui ho lavora-to il clown viene considerato come un passaggio fondamentale; si lavora sul clown perché si ritiene che sia un lavoro sull’attore. C’è un riconoscimento del valore artistico, poetico e pedagogico del clown nella formazione dell’attore, cosa che da noi in Italia non esiste: il clown è visto come creatura del circo, o per bambini, ma il teatro “è una cosa seria”…quindi il clown non è una roba seria…Questo purtroppo è un grosso proble-ma. Ma il clown come lo vedo e come lo amo io è una cosa seria, molto seria. E’ un lavoro molto serio su come essere stupidi. Credo che il problema sia che non è un lavoro “drammatico”: è molto umile e molto difficile, e richiede una nudità e vulnerabilità molto lontane da quelle dell’attore mattatore/interprete del teatro italiano.Quando con la mia scuola Kiklos nel 2003 abbiamo partecipato al festival di Roma vincendo il premio come miglior spettacolo con uno spettacolo che era puramente nello stile del lavoro clow-nesco tradizionale, per me è stata una grande soddisfazione perché è stato un riconoscimento della validità artistica e poetica di un linguaggio che altrimenti

in Italia è considerato alla stregua degli scultori di palloncini.

Di recente si è parlato di satira: sem-bra che satira e teatro abbiano preso due strade separate. È ancora possibi-le un teatro di “commedia umana”?

C’è una grande premessa a questa do-manda ed è che oggi il luogo dove ac-cade il racconto non è più il teatro, non è più il cinema, ma è la televisione, nel senso che il popolo -gli Ateniesi, che hanno generato col loro sguardo il te-atro, il pubblico dunque –, il pubblico, il grande pubblico, i milioni, il popolo, oggi guarda la televisione, non va a tea-tro, va al cinema, ma soprattutto guarda la televisione. Dunque c’è stata questa curiosa trasformazione di un linguaggio che da mezzo non mediatico, quindi vivente, è diventato un mezzo mediati-co e ha reso passivi gli spettatori. Oggi si parla molto di satira, ma, quando si parla di satira, si parla di televisione o al massimo di giornali, di scrittura: quindi, manca la satira dal vivo. Que-sta è una premessa importante, perché gli unici che fanno satira dal vivo oggi sono i comici che vanno in teatro. Pen-so a Grillo o a Benigni, primi, direi, fra tutti, e poi a tutti i satirici che vanno in scena, Hendel ha elementi di satira, Al-banese, Paolo Rossi, questi personaggi che osano celebrare la satira col pubbli-co. La satira è assolutamente fondamen-tale come linguaggio della società, per-ché è il folle che si beffa del re, dunque ha una funzione politica, sociale, etica assolutamente irrinunciabile, e una so-cietà sana ha molta satira, una società malata non può avere satire. Pensiamo alla difficoltà estrema che hanno i regi-mi totalitari, assolutisti, fondamentali-sti nei riguardi della satira: ci sono regi-mi dove i comici satirici rischiano come minimo la galera e, alla peggio, rischia-no la pelle. Recentissimo è il caso delle vignette satiriche sull’Islam che hanno generato un putiferio perché in una concezione fondamentalista della vita e della società ci sono territori in cui non si può entrare perché è “peccato”, crimi-

ne. Quindi la satira è veramente fonda-mentale: direi che riportare la satira in teatro, o comunque mantenercela il più possibile, è una grande cosa. E alla TV ce n’è. Quello che probabilmente manca è un cinema satirico serio: non a caso, il famoso film “Boràt”, totalmente e gra-vemente satirico, ha avuto un enorme successo come qualcosa di politicamen-te profondamente scorretto che però è entrato in un vuoto di potere. E’ un ci-nema che, invece di celebrare drammi, tragedie, eroi, porta fuori la doppiezza, la meschinità, l’ipocrisia, le bugie che ci raccontiamo tutti. Dunque, la satira ha a che fare con questo: con ciò che in noi è grottesco, parola che viene dal greco e che significa ‘nascosto’.Nella domanda si parla di “commedia umana”. Io distinguo tra satira e com-media umana. Per me la satira ha un peso molto diverso, perché la satira ha a che fare con i grandi temi: la religione, la morale, la politica, la società nei suoi riti di pace, di guerra, di odio, amore e morte. Quindi è legata direttamente alla tragedia: c’è satira solo quando c’è tragedia, la satira è il rovesciamento del-la tragedia. La commedia umana ha in-vece una dimensione orizzontale, cioè è una commedia basata sugli umani, sulle debolezze presentate dagli individui, sulle loro contraddizioni, vigliaccherie, gelosie, superiorità, inferiorità e bla bla bla.

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DELATRE N° 0 Bis INTERVISTA A GIOVANNI FUSETTI

La commedia umana è ciò che ci viene direttamente dalla commedia dell’arte, cioè la commedia dei tipi umani, la co-médie humaine di Balzac, questa molti-tudine di tipi: il vecchio, il giovane, il buono, il geloso, l’avaro, l’ingenuo, la serva, la servetta, il capitano – tutti que-sti archetipi umani che, messi insieme, ci provocano il riso per la loro imper-fezione.E il clown, in ultima analisi, possiamo vederlo come una trasposizione estrema di questa commedia: è cioè una forma unica, individuale, di commedia uma-na…

Che cosa trovi al Piccolo Teatro della Versilia quando vieni a tenere i tuoi seminari?

Prima di tutto, mi diverto molto. Trovo una scuola molto seria, in cui gli allie-vi sono molto motivati, sono contenti, si divertono a fare quello che fanno. Il direttore, Federico, è una persona ma-gnifica a cui voglio molto bene e che, adesso, dopo tanti anni di collabora-zione, considero un amico: è una per-sona molto seria, che lavora col cuore prima ancora che non con qualsiasi

altro obiettivo, cosa che, in generale, nella vita e nel teatro in particolare, non è una virtù molto comune. Spes-so si lavora per fama, per reputazione, per curriculum, per – come dire – per l’ego, per i soldi, per il potere, eccetera eccetera. Mi sento di dire che Federico lavora perché ci crede e lavora in con-dizioni che non sono facili; sta portan-do avanti un lavoro di educazione al teatro che è preziosissimo, molto raro oggi, veramente fondamentale. Lo sti-mo molto per questo. Dunque, io trovo una grande serietà, e poi, tornando agli allievi, trovo un’atmosfera di impegno leggero, nel senso, divertente, ma serio, e un grande desiderio di imparare.Per me è sempre un grande piacere ve-nire qui da voi… senza citare la bellezza dell’accento toscano che mi fa sempre molto ridere… mi fa bene al cuore sen-tir parlare in toscano – questo qui è un dettaglio, ma è un dettaglio buono…

Cosa è per te una scuola di teatro?

Una scuola di teatro per me è una scuo-la di iniziazione, cioè un luogo in cui si fa un percorso di formazione che però

è molto più di una formazione: che è conoscenza di sé, conoscenza della vita, conoscenza del mondo, conoscenza dei proprio limiti e del proprio potere, delle proprie emozioni e infine cono-scenza della poesia. È un luogo in cui si impara ad andare al di là di se stessi e ad affermare ciò che di universale ci unisce: questa è l’arte per me. Dunque, una scuola di teatro è prima di tutto un luogo in cui si percorre un viaggio irre-versibile di iniziazione: uso questa pa-rola antichissima nel senso che quando si entra si è in uno stato di coscienza e quando se ne esce si è in un altro sta-to, si è iniziati a delle nuove conoscen-ze che ci cambiano irreversibilmente. Quindi una scuola è un luogo sacro, antico, archetipico, è un luogo mitico, in cui si fa mitologia, nel senso che si creano miti, e si serve la propria polis, la propria comunità, la propria regione, il proprio paese. È un luogo molto poli-tico, perché quando racconti una storia crei il mondo, e una buona storia crea un buon mondo, e una cattiva storia fa un cattivo mondo.

a cura di Serena Guardone e Claudia Sodini

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DELATRE N° 0 Bis LE AVVENTURE DEL CAPITAN SPACCAMAZZA

La bravura e le bravuredi Gabriele Guarino

Al Romateatrofestival Federico Barsanti ha conosciuto i giovani componenti della Compagnia Balàgan (www.compagniabalagan.it) anch’essi partecipanti al festival (Centro Teatro Ateneo Università La Sapienza di Roma) con “Il Finto Marito” (Premio Migliori Coreografie, Premio Speciale Sofia Amendolea). Da quell’incontro è nata una collaborazione concretizzatasi nella messinscena di “Le bravure del Capitan Spaccamaz-za” per la regia di Federico Barsanti, con Gabriele Guarino e Laura Pece, assistente alla regia Valentina Marino.Lo spettacolo sarà in Prima Nazionale il 20 gennaio al Festival di Ronciglione (Viterbo) e in Anteprima il 9 gennaio al Teatro Delatre di Sera-vezza (Lu).

“Bravo” in questo caso è inteso più come sinonimo di corag-gioso che non di valido… “Bravi” siamo io e le mie “fraternal compagne” Laura e Valentina nel lanciarci in questa avven-tura tortuosa del testo di Francesco Andreini “Le Bravure del Capitan Spavento da Vall’Inferno”. Sentivamo molto forte l’esigenza di raccontare attraverso la maschera l’archetipo del perfetto uomo moderno, che altro non è che la naturale (lo dico con amarezza) evoluzione di quello antico: lo spaccone da una parte e il sottomesso dall’al-tra. Entrambi generati da una paura di fondo e da un’inade-guatezza di fronte alla vita. Volevamo quindi cercare di lavo-rare per una Commedia dell’Arte, uno dei punti cardine del nostro bagaglio tecnico e artistico, che desse sfogo appieno al grottesco, nella sua più mejercholdiana accezione di commi-stione di comico e tragico, ottenendo con tale alternanza una continua variazione e sorpresa. E cercare di ri-dare così uno spessore tragico ad una maschera che di per sé conserva, o meglio rafforza in questo modo anche il suo lato più comico, allontanandosi da quelle sin troppo diffuse e facili accezioni di “caruccio” e “grazioso” che spesso accompagnano e condi-zionano le opinioni sulla Commedia dell’Arte. Si sente dire infatti: “Ah, la Commedia dell’Arte, sì, è tanto caruccia!”, come dire: “Il teatro serio è ben altro!”. No. Non ne possiamo più. Noi vogliamo smuovere emozioni, ma emozioni viscerali, dirette, im-mediate, cioè non-mediate dalla psicologia. La scelta della Commedia dell’Arte quindi è pura-mente dettata dall’esi-genza di caricaturare e portare al massimo gli

e c c e s s i del ri-d i c o l o ,

facendoli nascere sempre da un dramma di fondo, altrettanto

palese: portando in scena maschere quindi che non facciano solo sganasciare dalle risate, ma anche commuovere, intene-rire, atterrire, disorientare. In questo senso l’incontro e l’intesa con Federico Barsanti è stata immediata. A noi serviva un regista folle, e lui lo è, basti pensare a “Esisto ancora…”; un regista che andasse a fondo nelle cose, che non si accontentasse troppo facilmente; e infi-ne un regista che avesse il carisma di affascinarci e infonderci fiducia, e non era facile con noi, provenienti dall’esperien-za con Claudio De Maglio, il regista con il quale ci siamo formati sulla Commedia dell’Arte (Direttore dell’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine, n.d.r.).Federico ci sta insegnando a conoscere la maschera da altre prospettive, e non è sempre un processo indolore; spesso ci si affeziona a comodi meccanismi teatrali collaudati, e questo può rendere difficile la messa in gioco e quindi la crescita. È questa la lotta che stiamo condividendo tutti e

quattro, la reazione natu-rale all’incontro tra questi nostri due modi di lavo-rare: una compagnia che

parte dall’improvvisazione, diretta da un regista che parte dal testo scritto! Ma è proprio la condivisione delle nostre reciproche difficoltà e l’essere sinceri fino in fondo l’un l’altro

che ci dà la forza di andare avanti. Non altro. E se alla fine una maschera di Commedia dell’Arte riuscirà a far piangere, oltre che a far ridere, sarà perché saremo stati bra-vi… non più solo coraggiosi, ma magari anche validi! Bravi, coraggiosi, validi… ecco, io me la sono cantata e io me la sono suonata… proprio come il Capitano!

Le prove de “Le Avventure del Capitan Spaccamazza” a Roma - Foto di Claudia Sodini

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DELATRE N° 0 Bis FEDERICO BARSANTI E PIETRO CONTI: LETTURA DANTE

Dante – Rinascenza?di Pietro Conti

La scorsa estate, nell’ambito del Festival “Sacro e Profano” di Minazzana, fu proposto uno spettacolo in cui la lettura da parte di Federico Barsanti del V Canto della Divina Commedia (Inferno) veniva introdotta e commentata dal Prof. Pietro Conti, insegnante di Lettere all’ ITCG Don Inno-cenzo Lazzeri di Pietrasanta. La collaborazione si è poi ulteriormente sviluppata ed i canti sono divenuti tre (il V, il X ed il XXIII dell’Inferno). A settembre lo spettacolo è stato presentato con grande successo a Manciano (Gr) al Festival “A Veglia” diretto da Elena Guerrini, attrice della compagnia di Pippo Delbono. Il 12 dicembre inoltre, per l’organizzazione di Mario Badiali e l’apporto dell’Assessorato alla Cultura di Forte dei Marmi, è andato in scena presso il cinema “Nuovo Lido” di Forte dei Marmi ed il ricavato è stato in parte utilizzato per costruire il tetto di una scuola in Rwanda.

Se ci volgiamo indietro, ai secoli, al millennio appena trascorso, ci accorgiamo che l’oggetto Dante, come in un caleidoscopio, assume luci, colori, figure differenti. Dante, checché se ne dica, non è sempre stato quello che crediamo, fondatamente, che sia: il Padre della lingua italiana, il Ghibellin fuggiasco, il Fiorentin altero e sdegnoso, la Sorgente della Letteratura Italiana, ecc.Nel tempo ci si è nutriti di Dante in modo diverso e strano. Ognuno ha tirato Dante sempre dalla propria parte, inevitabilmente forse, ma talvolta oscenamente.Il nostro tempo non si comporta diversamente dal passato: anche adesso Dante viene ri-sco-perto, attualizzato, diventa popolare, riempie gli stadi… come, del resto, venti anni fa veniva ignorato, fuor dalle scuole, dove – si riascolti Compagno di scuola di Antonello Venditti, secondo il quale non si capiva se Dante fosse un uomo libero o un servo di partito – diventava sinonimo di noiosità, interrogazioni, terzine incatenate (e noi con loro).Memorabile la Lectura Dantis di Carmelo Bene dall’alto della Garisenda per ricordare la Stra-

ge. Cominciò Vittorio Sermonti, negli anni Ottanta, se non erro, a proporre Dante seguendo Dante. Tout court. Me lo ascol-tavo a Radio Tre, con grande godimento. Una lettura sobria, un’interpretazione intelligente, non saccente. A mio avviso una pietra miliare. Ovvio che non diventò popolare. Sermonti non era un comico!E poi ovviamente Benigni. La televisione, gli stadi, ecc. Un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti. Sul quale sospendo il mio giudizio, per quel che vale.E di noi, di me e Federico? Di questa strana coppia che sul far dell’estate 2007 si è formata sul Colle seravezzino, cosa dire? Innanzi tutto una prima osservazione: delle nostre vite niente si perde. Ciò che importa, cale, ritorna, ritorna sempre.Ad esempio, più di quindici anni fa Federico, agli albori, presentava in un suo corso alcuni canti dell’Inferno. Un mio caris-simo amico rimase folgorato dal Conte Ugolino ed io, di rimando, soffrii di malcelata, bonaria invidia per lui. Che leggeva, rivivendolo, Dante.Le acque carsiche fanno strani scherzi, viaggiano sotterranee e poi esplodono all’aria.Probabilmente è successo qualcosa di simile a noi due, quantomeno a me.Di queste introduzioni che, dallo scolastichese un po’ aspro e chioccio, man a mano diventano scena, interpretazione, parola sonora, son io il primo a meravigliarmi. A scoprire con piacere che ci sono altri modi, più icastici, efficaci di porgere, di invitare.Perché fondamentalmente di questo si tratta, di un invito. Di un Introito, di un adescamento.Termine quanto mai dantesco.Bene, l’avventura, il cammino alto e silvestro è cominciato. Un grazie a tutti, a Federico per la sua intelligenza professionale e umana, a Claudia per le sue osservazioni preziosissime ed ineluttabili, ai ragazzi del corso di formazione per la loro pazienza . Ed infine, last but not least, ad Anat per il suo appoggio discreto e determinante.

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Numero 0 bis - In attesa di Registrazione.Proprietario: Claudia Sodini Direttore Responsabile: Aronne Angelici

Grafica e impaginazione: Claudia Sodini Collaborazione: Serena Guardone

Disegni: Elena BuonoFotografie: Gianni Di Gaddo

Per Informazioni Tel 3281447868 - [email protected] www.piccoloteatroversilia.it

DELATRE N° 0 Bis IL PTSV IN SCENA

Cosa è stato...

• Il12DicembrealCINEMANUOVOLIDO(Fortedeimarmi)alleore21“LecturaDantis”regiadiFedericoBarsan ti, con Federico Barsanti e Pietro Conti.

• Ven7,Sab8eDom9DicembreGIOVANNIFUSETTIhatenutodueseminaripressolascuoladelPTSV: “La Maschera Neutra” Seminario riservato al Corso di Educazione al Teatro. “Il Clown” Seminario riservato al Corso di “Formazione attoriale” e al Corso di “Educazione al Teatro” Avanzato.

• Ven9,Sab10eDom11Novembre2007ENRICOBONAVERAhatenutodueseminaripressoilPTSVdaltitolo “Il Canovaccio”.

• DaMer31OttobreaDom4Novembre2007FRANCESCOMARTINELLIhatenutodueseminaripressoilPTSV “La Coreutica del Dramma” Seminario riservato al Corso di “Educazione al Teatro”. “Tecniche del Monologo” Seminario riservato al Corso di “Formazione attoriale” e al Corso di “Educazione al Teatro” Avanzato.

...e cosa sarà...

Seminari:• Ven22,Sab23eDom24FebbraioRAFFAELLAPANICHIterràdueseminaripressoilPTSV: “La Lettura e la Dizione” Seminario riservato al Corso di Educazione al Teatro. “La Psicologia del Personaggio” Seminario riservato al Corso di Formazione attoriale e al Corso Avanzato.

Raffaella Panichi è attrice formatasi all’Accademia Silvio d’Amico di Roma e fondatrice del Piccolo Teatro Sperimenta-le della Versilia (1982).

• IndatainviadidefinizioneELENAGUERRINIterràunseminariopressoilPTSVdaltitolo“Dalla Scrittura al Testo”.

Elena Guerrini è attrice ed ideatrice di eventi, fa parte della compagnia di Pippo Delbono (“Barboni”, “Guerra”, “Eso-do”, “Gente di plastica”, “Urlo”).

Spettacoli:vedi quarta di copertina

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DELATRE www.piccoloteatroversilia.it

IL PTSV IN TEATRO “...ESISTO ANCORA..per non dimenticare”, regia di Federico Barsanti, Vincitore del RO-

MATEATROFESTIVAL 2007, Manifestazione Internazionale rivolta alle Accademie e Scuole Professionali dello Spettacolo:

Giovedì 17 Gennaio 2008 al Teatro Studio - Scandicci (Fi) (Mattinèe per le scuole)

Sabato 26 Gennaio 2008 al Teatro Jenco - Viareggio (Lu) (Mattinèe per le scuole)

Domenica 27 Gennaio 2008 al Teatro Comunale - Pietrasanta (Lu) (serale Ore 21)

Martedì 29 Gennaio 2008 al Teatro del Giglio - Lucca (Mattinèe per le scuole)

Mercoledì 30 Gennaio 2008 al Teatro Guglielmi - Massa (serale Ore 21)

Giovedì 14 Febbraio 2008 al Teatro Comunale - Pietrasanta (Mattinèe per le scuole)

“La Vita è una Pacchia”, regia di Federico Barsanti

presentato a MERCANTIA 2007:

Domenica 10 Febbraio 2008 al Teatro dei Rassicurati di Montecarlo (Lu)

“Pinocchio” regia di Federico Barsanti

Marzo 2008 presso il Teatro delle Molliche di Corato (Ba)

“Le Bravure del Capitan Spaccamazza” regia di Federico Barsanti,

con Gabriele Guarino e Laura Pece (della Compagnia Balagàn)

Domenica 20 Gennaio 2008 al Carnevale di Ronciglione (Viterbo)

Martedì 11 e Mercoledì 12 Marzo alla Rassegna Teatro Ragazzi di Lamezia Terme (Catanzaro)

Per Informazioni: 3394336687 - [email protected]

N° 0 in attesa di registrazione GENNAIO - MARZO 2008