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Costituzione, globalizzazione e tradizione giuridica europea a cura di B. Andò
e F. Vecchio, Cedam, 2011
Il volume qui recensito esplicita fin dal titolo il suo obiettivo: analizzare il rapporto che
intercorre tra i tre ambiti di ricerca (Costituzione, globalizzazione e tradizione giuridica
europea) mettendo in luce le “ricadute” che la globalizzazione ha avuto (e continua ad avere)
sugli equilibri costituzionali degli Stati e sul processo d’integrazione politica europea.
I processi di globalizzazione, se da un lato determinano un nuovo modo di concepire
l’idea di diritto come fenomeno intimamente legato alla dimensione nazionale (B. Andò) e
modificano “la standardizzazione di regole e best practices” che, soprattutto in campo
economico, possono determinare l’affievolimento delle tradizioni giuridiche dei singoli Stati
(P. Bargiacchi), dall’altro mostrano come la dimensione politica dell’Unione europea sia
ancora una questione che presenta al suo interno una serie di limiti e debolezze.
È il momento costituzionale della globalizzazione (G. Maestro Buelga), ma anche
quello della crisi del diritto come crisi del modello della stato nazione e delle funzioni
storiche delle costituzione (A. Aguilar Calahorro); è una crisi di sistema che richiede di
riconsiderare la prospettiva generale nella quale può evolversi la costruzione europea (G.
Barcellona) e le cui radici risiedono nel deficit di sovranità politica delle istituzioni collettive.
Si dovrebbe tornare a ricostituire il potere: da un lato cercando di recuperare parte del
potere perso per reintegrarlo nello spazio pubblico europeo, dall’altro sarebbe necessario
articolare tale potere in modo tale che porti ad un governo adeguato per un’Europa plurale e
sociale (A. Cantaro).
Confrontarsi con il tema di un’Europa globalizzata significa riflettere sulle sfide che
investono l’UE e gli Stati membri, non solo sul piano economico e politico, ma anche sul
piano dell’identità e della democrazia.
Comprendere oggi cosa sia il costituzionalismo nazionale ed europeo significa, prima di
tutto, indagare i problemi di un’Europa globalizzata ed interrogarsi sull’esistenza di
un’identità europea (G. A. Siino).
Il Trattato di Lisbona, al di là degli istituti introdotti per rafforzare la democrazia
all’interno dell’UE, in concreto non ha rappresentato un passo avanti per colmare il deficit
democratico (E. C. Raffiotta).
Se da un lato l’UE mostra i segni di una grave depressione, dall’altro gli Stati membri
pretendono di agire nel mutato contesto globale secondo schemi incompatibili con i nuovi
scenari ed i nuovi attori (A. L. Valvo).
Resta l’esigenza di riempire di significato il modello democratico europeo (E. C.
Raffiotta); occorre rafforzare la dimensione sociale all’interno dell’Unione europea (S. Andò);
è quanto mai necessario trovare un modello in grado di rispondere allo stesso tempo alle
esigenze di una maggiore integrazione con le esigenze di salvaguardia di sovranità degli Stati
membri.
È indispensabile che all’UE sia conferita quella legittimità sociale che è condizione
essenziale per la sua stessa sopravvivenza e condizione fondamentale perché l’Unione
europea divenga espressione, non solo politica ed economica, ma anche culturale (A. L.
Valvo).
L’unione politica non è più un’alternativa ma è diventata oramai un’esigenza; essa deve
essere il risultato di un consenso popolare più ampio possibile che non può essere realizzato
attraverso scelte verticistiche lontane ed estranee alle necessità del popolo al quale si
indirizzano e sul quale si impongono (A. Sinagra).
La crisi mette anche a nudo, oggi più che mai, l’instabilità politica dell’Europa. È il
caso, ad esempio, della nuova costituzione ungherese che impone un ripensamento
dell’architettura istituzionale su cui reggono gli equilibri europei. (F. Vecchio).
Molti degli scritti raccolti in questo volume offrono delle possibili soluzioni, sia alla
crisi che sta investendo tutta l’Europa, sia agli effetti della globalizzazione.
C’è chi auspica per un modello di public governance euro mediterraneo in grado di
risolvere l’attuale crisi economica, politica e sociale (C. Costantino), chi suggerisce un tipo di
integrazione multilivello capace di mantenere le specificità dei singoli Stati membri (Moccia),
e c’è chi propone di governare la globalizzazione favorendo il formarsi di macroregioni che
riescano ad autogovernarsi (S. Andò).
La globalizzazione può avere un senso, un risultato e i benefici sperati solo se si tratta di
una globalizzazione fra uguali (A. Sinagra) e si sviluppa all’interno di uno spazio pubblico e
democratico, plurale e sociale (A. Cantaro).
In questo scenario l’agenda sociale emerge come il centro del conflitto globale, al quale
il momento costituzionale della globalizzazione (e delle crisi) deve necessariamente
rispondere (G. Maestro Buelga).
Antonella Galletti
Dottoranda di ricerca