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Centro Milanese di Terapia della Famiglia Massimo Giuliani Massimo Giuliani TERAPIA SISTEMICA TERAPIA SISTEMICA E LINGUAGGIO E LINGUAGGIO web: www.massimogiuliani.it blog: www.massimogiuliani.it/blog e-mail: [email protected]

Terapia e Linguaggio

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Page 1: Terapia e Linguaggio

Centro Milanese di Terapia della Famiglia

Massimo GiulianiMassimo GiulianiTERAPIA SISTEMICATERAPIA SISTEMICAE LINGUAGGIOE LINGUAGGIO

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I sistemi possiedono struttura, confini, gerarchie, regole.

L'occhio dell'esperto è in grado di riconoscere pattern di relazione,

ridondanze, disfunzionalità.

Possono produrre problemi e sintomi.

La terapia consiste nel rimuovere le

disfunzionalità per restituire al sistema il suo

funzionamento sano.

La realtà è frutto di un consenso ed è costruita nel linguaggio.“Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze” (Thomas).I sistemi non determinano problemi, ma sono determinati dalle descrizioni che danno dei problemi.La terapia consiste nel far evolvere descrizioni.Il terapeuta fa domande da una posizione di “non esperto”.

2 modi di pensare la terapia2 modi di pensare la terapia

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Le “cinque vacche sacre della psicologia”:

1. L'oggettività nella ricerca sociale2. Il Sé 3. La psicologia dello sviluppo4. Le emozioni5. I livelli

(Hoffman, 1992)

Lynn Hoffman critica il “colonialismo della salute mentale”:“Una volta che si aderisce a un determinato discorso (religioso, psicologico o sulle differenze di genere) si promuovono anche certe definizioni su quali persone o temi siano importanti o legittimi: spesso all'insaputa di chi si fa portatore dei discorsi in questione.

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Approccio narrativo e questioni etiche

John Shotter (1984):pratiche di accountabilityI. Responsibility: knowing thatII. Reliability: knowing howIII. Accountability: knowing of the third kind

Vernon Cronen (1991):narrazioni e “moral agency” Bianciardi e Bertrando (2002):se la pratica clinica non ha un fondamento “forte”è esplicita la responsabilità del clinico

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J.-F. Lyotard:“Possiamo considerare postmoderna l'incredulità nei confronti delle metanarrazioni” (1979)

(

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“La comprensione che ognuno ha di se stesso è narrativa: non posso cogliere me stesso al di fuori del tempo e dunque al di fuori del racconto” (Paul Ricoeur, 1988) “Questo mi fa venire in mente una storia...” (Gregory Bateson) Accanto al pensiero paradigmatico che persegue l’ideale di un sistema descrittivo ed esplicativo formale e matematico, esiste un pensiero narrativo. (v. J. Bruner, 1996)

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“Versare dell'acqua in un becker tramite spruzzetta.Aggiungere al becker contenente

l'acqua del cloruro di sodio (NaCl).Mescolare con l'agitatore.

Dopo aver mescolato bene rilevare il pH della soluzione tramite la cartina al tornasole.

Ripetere il procedimento per gli altri sali.”

“Vedo mio padre come un veleno. Da alcuni anni ci sentiamo due o tre volte all'anno, solo per telefono. Sento che tenendo le distanze riesco a stare meglio. Non so se dipenda da lui, ma da qualche tempo ho la grande paura che non riuscirei ad essere un buon padre... Ho paura di aver ereditato la sua incapacità di amare.” (Luigi)

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Pensiero paradigmatico e pensiero narrativoPensiero paradigmatico e pensiero narrativo

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Nella terapia sistemicaNella terapia sistemica

Un approccio “strutturale” (cambiano strutture e

pattern)

Un approccio “story-telling” (cambiano descrizioni e narrazioni)

Una narrativa “riparativa”

(tecnologia della coerenza)

Una narrativa “moltiplicativa”(tecnologia del coordinamento)

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Postmodernità ePostmodernità emoltiplicazione di narrazionimoltiplicazione di narrazioni

Nell'intercultura: coordinamento

vs. coerenza

In letteratura:narrativa multilineare

In terapia: il Milan Approach

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Michael White:

Le persone arrivano con una descrizione saturata dal problema.La storia saturata è una storia dominante della vita familiare.White non trasforma le storie, né propone connessioni inesplorate: identifica aspetti negativi o trascurati dell’esperienza e li inserisce in una nuova storia.

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Da M. White, D. Epston:“Narrative Means to Therapeutic Ends”

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Da M. White, D. Epston:“Narrative Means to Therapeutic Ends”

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Da M. White, D. Epston:“Narrative Means to Therapeutic Ends”

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Umberto Eco: Umberto Eco: testo aperto, testo chiusotesto aperto, testo chiuso

“Testi chiusi cercano di indirizzare in modo stringente l’interpretazione del

lettore, in modo che ogni termine, ogni modo di dire e ogni riferimento enciclopedico sia quello che

prevedibilmente il lettore può capire.”“Non solo i testi a funzione estetica, ma qualunque altro atto comunicativo è in

qualche misura ‘aperto’, cioè richiede la collaborazione del destinatario.

Ambiguità e incompletezza sono insite in ogni testo: ogni testo è strutturato in

modo tale da lasciare un certo margine (variabile) di manovra interpretativa.I testi aperti sono quelli che sfruttano questa situazione pragmatica come

ipotesi regolativa della propria strategia.”

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Il PartenoneIl Partenonead Atenead Atene

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John Portman:Horton Plaza, San Diego

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John Portman:Hotel Bonaventure, Los Angeles

John Portman:Hotel Bonaventure, Los Angeles

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Oltre al pensiero paradigmatico e al Oltre al pensiero paradigmatico e al pensiero narrativopensiero narrativo

è possibile parlare di unè possibile parlare di unpensiero ipertestuale?pensiero ipertestuale?

Come nella narrativa multilineare,Come nella narrativa multilineare,il pensiero ipertestuale non afferma il pensiero ipertestuale non afferma qualche genere di verità di un testo:qualche genere di verità di un testo:

ne afferma la narrabilitàne afferma la narrabilità

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Contributi della scrittura Contributi della scrittura ipertestuale alla terapiaipertestuale alla terapia

1. La riconfigurazione dell'Autore

2. L'ipotizzazione multilineare

3. La virtualizzazione della realtà

4. Il disorientamento

5. I link fra testi (connettere storie e personaggi)

6. Multimedialità e tecniche non verbali

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“Quanto ai caratteri, quattro sono le cose a cui si deve mirare, di cui una, e la prima, è che siano buoni. Il personaggio avrà poi un carattere se, come si è detto, il suo discorso e la sua azione rendono manifesta una qualche risoluzione e, se questa è buona, buono sarà il carattere. E ciò è possibile in ciascuna condizione, perché buona lo è anche la donna e buono lo schiavo, benché di questi l’una sia inferiore e l’altro di infimo rango.

Una “buona storia”Secondo Aristotele (“Poetica”): linearità e unitarietà, coerenza formale, nodo e scioglimento, preparazione a un finale:

“In questa differenza sta anche il divario tra la tragedia e la commedia, giacché l’una tende ad imitare persone migliori, l’altra peggiori di quelle esistenti.”

La seconda cosa a cui si deve mirare è la convenienza, perché è anche possibile che una donna sia di carattere coraggioso, ma non è conveniente per una donna essere fino a questo punto coraggiosa o fiera.

La terza è la somiglianza, e questa è cosa diversa dal fare il carattere buono e conveniente come si è detto. Quarta è la coerenza, giacché anche se il modello dell’imitazione sia una persona incoerente e si sia supposto un tale carattere, deve essere coerentemente incoerente.”

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Ian McEwan analizza le narrazioni ricorrenti sulla fine del mondo.

Le persone hanno bisogno di pensare che le storie abbiano una fine?

Ma le storie hanno una fine? Hanno un inizio?

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Femminismo e approccio narrativoFemminismo e approccio narrativo

Mary Olson:il ricercatore come “testimone esterno”

La sua ricerca “analizza i temi dell'avere voce in

capitolo e della comunicazione e sviluppa pratiche di ricerca relazionale che consentono al singolo di fare esperienza di sé stesso nella sua intierezza. Le idee narrative e riflessive e le pratiche conversazionali

provenienti dalla terapia familiare sono qui incorporate in un metodo di studio.”

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La ricerca di Bergamo, ispirata La ricerca di Bergamo, ispirata al lavoro di Mary Olsonal lavoro di Mary Olson(v. Connessioni, n. 21):(v. Connessioni, n. 21):

Follow up nell'anoressiaFollow up nell'anoressiaLe narrazioni delle ex pazientiLe narrazioni delle ex pazientiv. anche v. anche ““Rashomon, Manuela e l'anoressia”:Rashomon, Manuela e l'anoressia”:http://www.massimogiuliani.it/blog/?p=70http://www.massimogiuliani.it/blog/?p=70

““La terapia raccontata dalle anoressiche”:La terapia raccontata dalle anoressiche”:http://www.ibridamenti.com/costruzioni-identitarie/2008/11/la-terapia-raccontata-dalle-anoressiche/http://www.ibridamenti.com/costruzioni-identitarie/2008/11/la-terapia-raccontata-dalle-anoressiche/

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“Dott. C. Casati:

Su 27 casi seguiti [...] in 25 era scattata nella paziente la molla: “Non è vero, se io voglio, posso mangiare”. A questo punto sfidavo la paziente dicendo che non le credevo: “Le do una settimana, non m’interessa se mangia pane piuttosto che carne, faccia quello che vuole. Io la peso adesso, se lei fra una settimana è aumentata di peso, mi scuserò, perché vorrà dire che ho sbagliato la mia diagnosi”. Queste ragazze riprendevano a mangiare e io suggerivo loro, all’inizio, di mangiare alimenti facilmente digeribili come il gelato.Penso che la maggior parte delle pazienti abbia ripreso a mangiare entro la prima settimana. In seguito però, mi sono accorto che qualcuna diventava bulimica, mettendomi così in un’impasse incredibile; per questo, dal terzo caso in poi, abbiamo arricchito il nostro intervento con il messaggio: “Lei non può mangiare e poi anche se si mettesse a mangiare diventerebbe bulimica”. Da quel momento in poi, non abbiamo avuto più casi di bulimia. ”

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“Dott. G. Covelli:

L’intervento adottato da me e dal dott. C. Casati era piuttosto duro e quindi c’era un netto rifiuto da parte dei genitori anche se poi questi erano i casi con un esito migliore. La reazione di shock permetteva alla ragazza di stringere un’alleanza con i genitori contro di noi. Questo era uno dei meccanismi psicologici che aiutava a superare la situazione. Al contrario, se la reazione era scarsa sia da parte della paziente che dei genitori, le probabilità di successo erano minori.

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“Dott. G. Covelli:

In pochi abbiamo adottato tale metodo, con il quale è previsto un “non intervento”, nel senso che si dice alla paziente che non c’è niente da fare e si aspetta che sia lei a fare qualcosa. È un metodo ben lontano da un tipico intervento medico e accettare un ruolo simile non è facile, implica un’assunzione di responsabilità importante. All’inizio temevamo tentati suicidi, ma non è mai accaduto, anche perché, in un certo senso lo anticipavamo esplicitandolo e, in tal modo, la paziente, agendo con un acting out mi avrebbe dato ragione e non se lo poteva permettere. Era messa all’angolo: “O mangi o ti devi dichiarare pazza scatenata”.”

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Manuela:Io metto il dott. Covelli su un piedistallo, per me è in gambissima. Anche il mio ragazzo mi ha aiutata tanto ed anch’io ho fatto la mia parte. Il perché mi sia capitato questo non lo so. Adesso, da persona lucida, dico che ho un carattere forte e parte del merito va anche a me. Il dott. Covelli diceva sempre che la bravura del medico è relativa, chi deve guarire è la persona che soffre. Mi è rimasta impressa una sua frase: “Devo dare atto alla tua volontà perché pensavo che tu non ce la facessi”. Ora mi ripeto quella frase anche quando ho delle difficoltà al lavoro o da qualche altra parte. Penso che se sono guarita da quella malattia, ce la posso fare anche in altre situazioni difficili. […] Per me le terapie, ripeto, sono state la manna. Non ne ho mai saltata neanche una, era una sofferenza andarci, ma non ne ho mai saltate.

”“

Terapeuta:Devo dire che questo mio modo di intervenire sulle pazienti era molto pesante, carico di tensione anche per chi lo attuava. Ogni volta era una sfida, ci chiedevamo: “Funzionerà ancora? È così meravigliosamente funzionante!”. Così ho deciso di non operare più con questo metodo.”

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Per i terapeutiPer i terapeuti Per ManuelaPer Manuela

Parole chiaveParole chiave

Ricorrono elementi di un linguaggio bellicoso o competitivo:“mettere in scacco”; “strategia”; “manovrare”; “attacco”; “difesa”; “ricompattarsi”; “alleanze”; “avere il controllo”; “sfida”; l'intervento come uno “shock”; “la paziente, agendo con un acting out mi avrebbe dato ragione e non se lo poteva permettere”; “era messa all’angolo”.

La storia appare quella di un percorso duro con un compagno di strada fidato:“stare bene”; “bisogno di coccole”; “essere d'aiuto”; “carattere forte”; “volontà”; “sofferenza”;“tenacia”;“fiducia nel medico”;“accettazione”;Il terapeuta è “in gamba”, è “su un piedistallo”.

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Per il terapeutaPer il terapeuta

Per ManuelaPer Manuela

“Terapia” “Colloqui di controllo”

“Ricovero” “Terapia”6 settimane alcuni anni di colloqui molto radi

Il tempo della terapiaIl tempo della terapia

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Manuela: Alcune persone dicevano: “Voi ragazze volete fare la dieta, volete fare le modelle…”, ma io non ho mai guardato le modelle, non mi sono mai detta: “Mi piacerebbe essere come quella ragazza”. Avevo il fidanzato, non era che non mi guardava nessuno. Mi ricordo, invece, che quando stavo male tutti mi coccolavano di più; più mi coccolavano più io stavo male perché se stavo male di meno ero coccolata di meno. Queste sono però riflessioni che faccio adesso… ”

“Manuela e il senso comuneManuela e il senso comune

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Manuela: C’è anche qualcosa di positivo che ho preso dalla malattia: mi sono fatta una cultura sugli alimenti e sui componenti degli alimenti. Io sono partita con l’idea di un’alimentazione salutare, magari in modo sbagliato, ad esempio dicevo che il burro fa alzare il colesterolo, la combinazione di due alimenti altamente proteici non va bene…Intervistatore: Per cui si è fatta una cultura sugli alimenti, una conoscenza seppur “fai-da-te”?Manuela: Sì, “cultura” tra virgolette.Intervistatore: Leggeva molto sull’argomento?Manuela: Sì, molto. Per assurdo, nel periodo in cui ero a digiuno, mi ero fatta un’enciclopedia di ricette. Ancora adesso la uso per cucinare; avevo rilegato tutti i fogli, ero proprio dentro all’argomento, l’unico problema era che non mangiavo. ”

“Manuela e la competenza...Manuela e la competenza...

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Intervistatore: Quindi tra le cose che le ha lasciato quel periodo c’è una bella collezione di ricette?Manuela: Sì, e ogni volta che ne preparo una che non mi piace la strappo così rimane posto per un’altra. Non è che ho dimenticato tutto; questo, per esempio, anche se potrei dimenticarlo perché una volta passata la malattia potrei non volerne più sapere, non lo dimentico. Che vada la malattia, ma ciò che ho imparato perché non metterlo in atto, magari anche con un po’ di “fissazione” per queste cose. Penso: “Chi è che non ha un pallino per qualche cosa? Io ho questo”. Se comunque mi permette di vivere normalmente perché non averlo? Se per eliminarlo devo fare un altro lavoro interiore allora me lo tengo. Succede anche con la bambina, per esempio non le faccio i piselli con la carne, ma i piselli con il pesce, è una questione di proteine. ”

“...Manuela e la competenza...Manuela e la competenza

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Alcuni approfondimenti utili...

- Harlene Anderson, Harold A. Goolishian (1992), “I sistemi umani come sistemi linguistici. Implicazioni per una teoria della clinica”. In Connessioni, 2.- Lynne E. Angus, John McLeod (eds.) (2004), The Handbook of Narrative and Psychotherapy. Practice, Theory and Research. Sage Pub., California.- Paolo Bertrando () “Testo e contesto. Narrativa, postmoderno e cibernetica”. In Connessioni, - Marco Bianciardi e Paolo Bertrando (2002), “Terapia etica: una proposta per l’epoca postmoderna”. In Terapia Familiare, 69.- Luigi Boscolo e Paolo Bertrando (1993), I tempi del tempo. Bollati Boringhieri, Milano.- Luigi Boscolo e Paolo Bertrando (1996), Terapia sistemica individuale. Raffaello Cortina, Milano.- Jerome Bruner (1992), La ricerca del significato. Per una psicologia culturale. Bollati Boringhieri, Torino.- Jerome Bruner (1993), La mente a più dimensioni. Laterza, Roma - Bari.- Gianfranco Cecchin (1988), “Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità, neutralità: un invito alla curiosità“. Ecologia della Mente n. 5.- Vernon Cronen (1991), “Coordinated Management of Meaning Theory and Postenlightenment Ethics”. In Greenberg, K. J. (1991), Conversations on Communication Ethic. Ablex, New Jersey.- Massimo Giuliani (2006), “Terapia ipertestuale: nuove metafore postmoderne per la clinica sistemica”. Terapia Familiare, 82.- Massimo Giuliani e Flavio Nascimbene (2009), La terapia come Ipertesto. Antigone, Torino.- Rom Harré, G. Gillet (1996), La mente discorsiva. Raffaello Cortina, Milano.- James Hillman (1984), Le storie che curano. Raffaello Cortina, Milano.- Lynn Hoffman (1990), “Constructing realities. An Art of Lenses”. Family Process, 29. Trad. it. sul sito Terapiasistemica.info.- Lynn Hoffman (1998), “Un'ottica riflessiva per la terapia della famiglia”, in McNamee, S., e Gergen, K., La terapia come costruzione sociale, Franco Angeli, Milano.- Mary Olson (2003), “Ascoltando le voci dell’anoressia: il ricercatore come testimone esterno”, in P. Barbetta, P. Benini, R. Naclerio (a cura di) Diagnosi della diagnosi. Guerini Editore.- John Shotter (1984), Social Accountability and Selfhood. Blackwell Pub.- Michael White (1992), La terapia come narrazione. Proposte cliniche. a cura di Umberta Telfener, Astrolabio, Roma.