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Leonardo D’Asaro

Minosse & Cocalo

Mito e storia nella Sicilia occidentale

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Copyright © MMXVAracne editrice int.le S.r.l.

[email protected]

via Quarto Negroni, Ariccia (RM)

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: febbraio

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Ai miei figli

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Indice

Premessa

Introduzione

Capitolo I. Il mito di Eracle

Capitolo II. Il mito di Minosse e Cocalo

Capitolo III. Le varie interpretazioni del mito di Minosse .

Capitolo IV. La Cronaca Lindia

Capitolo V Cenni storici sulla Sicilia occidentale

Capitolo VI Le precedenti ipotesi sul sito di Camico

Capitolo VIIFalaride e i luoghi di Minosse

Capitolo VIII Makara-Minoa e il Lykos

8.1. Prospetto analitico delle fonti su Makara-Minoa-Eraclea, 115 – 8.2. Minoa e la tradizione storica, 120

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Capitolo IX Pentatlo, Dorieo e la fondazione di una nuova colonia

Capitolo X Timoleonte, il Crimiso e la pace del 338 a.C.; il Lykos e l’Halykos

Capitolo XI Ipotesi sulle origini di Partinico e di Alcamo

Capitolo XII Identifi cazione di Inico e Camico; Makara Minoa e monte Cofano

Capitolo XIII Ricerche archeologiche nella piana del golfo di Castellam-mare e nella Sicilia occidentale

Capitolo XIV L’Itinerarium Antonini

Bibliografi a

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8 Indice

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Premessa

Nel 1991 venne pubblicato Minosse e Cocalo, mito e storia nella Sicilia occidentale, ed. Augustinus, Palermo, un lavoro che si pro-poneva di verificare la possibilità che il mitico racconto di Cocalo e Minosse avesse la sua ambientazione geografica nell’ambito della piana del golfo di Castellammare. Il libro conteneva anche una serie di tavole illustrative che offrivano una panoramica del materiale ar-cheologico rinvenuto sul Bonifato ed attestavano la presenza umana nel sito a decorrere dall’età del bronzo.

Da molti lo studio fu considerato serio e valido perché non conte-neva solo le ipotesi di identificazione, ma, con buoni argomenti, va-gliava la compatibilità della nuova posizione geografica data alle lo-calità della saga con le indicazioni delle fonti e con gli eventi storici antichi. Nel libro erano state valutate anche l’attendibilità delle pre-cedenti identificazioni e l’incongruenza di soluzioni che ormai appa-rivano obsolete e assurde.

Ciò avrebbe dovuto indurre gli specialisti del settore a porre un minimo di attenzione alle ipotesi formulate in quel libro, anche per stabilirne la fondatezza ed i possibili apporti alla comprensione di eventi storici assai controversi. È indubitabile, infatti, che, se Cami-co ed Inico erano effettivamente esistite nella piana del golfo di Ca-stellammare, si sarebbe verificata una rivoluzione negli studi della Sicilia antica che avrebbe comportato una seria revisione di tanti eventi che avevano il loro fondamento sul presupposto, aleatorio ed infondato, che Camico ed Inico si trovassero a poca distanza da Agrigento.

Il libro venne presentato dal prof. F. P. Rizzo dell’Università di Palermo e fu donato alla prof.ssa Pietrina Anello, a Giuseppe Nenci,

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10 Premessa

professore della Normale di Pisa che stava dirigendo gli scavi ar-cheologici a Segesta ed ad Entella, al professor Lorenzo Braccesi, uno dei massimi esperti italiani sulla “troianità” di Roma e degli Elimi, ed al prof. Hans Peter Hisler che guidava la missione archeo-logica svizzera che stava effettuando degli scavi archeologici a mon-te Jato .

Al prof. Nenci, qualche tempo dopo, chiesi anche di farmi parte-cipare alle Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima per darmi la possibilità di esporre la mia tesi davanti ai tanti esperti che sarebbero intervenuti. Il prestigioso studioso mi disse che al con-gresso potevano partecipare solo gli addetti ai lavori ed io non avevo alcun titolo per essere inserito fra i relatori. Stranamente, però, qual-che tempo dopo, sfogliando il Giornale di Sicilia appresi che il prof. Nenci aveva chiesto alla Sovrintendenza di Trapani l’autorizzazione a scavare su monte Bonifato, perché da una tegola rinvenutavi aveva capito l’importanza del sito. Evidentemente, il grande studioso, obe-rato dall’immane compito di scavare a Segesta ed ad Entella, inten-deva sobbarcarsi l’onere di un nuovo impegno archeologico che gli avrebbe sicuramente dato ulteriori elementi per poter finalmente de-finire le caratteristiche della cultura materiale elima oggetto della sua attività di archeologo in Sicilia.

Il prof. Lorenzo Braccesi fu l’unico che mi inviò il suo graditis-simo giudizio accompagnato dall’invito a stare attento, perché, se le coincidenze toponomastiche erano dalla mia parte, la toponomastica era una materia infida che poteva giocare brutti scherzi.

Il prof. Hisler, infine, mi disse che non riteneva attendibile il mio lavoro perché secondo un suo assistente il fiume Camico non era af-fatto il fiume Caldo e, pertanto, mancava uno dei suoi presupposti essenziali per collegare le città di Cocalo con la Sicilia nord-occidentale: io – mi disse - ho piena fiducia nel mio collaboratore!

In definitiva, il fatto che nessuno abbia mai preso in considera-zione l’ipotesi che Camico ed Inico si trovassero nella piana del gol-fo di Castellammare e che la dominazione di Akragas, ai tempi di Falaride, comprendesse questi remoti territori sicani, può voler dire tante cose e, principalmente, che era priva di ogni fondamento ed as-surda.

Per nulla condizionato dalla scarsa attenzione del mondo acca-

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Premessa 11

demico, ho continuato i miei studi fermamente convinto che il mito di Minosse fosse alternativo e sovrapponibile al mito dei Troiani con cui Tucidide aveva spiegato l’origine degli Elimi. Tale constatazione offriva la possibilità di valutare la contrapposizione di due versioni diverse sull’etnogenesi elima che rinviavano al mondo egeo. Il risul-tato di quegli studi furono altri due libri: il primo, Elimi, il mito e la storia, pubblicato nel 1995 dal Comune di Corleone, il secondo, Si-cani Siculi ed Elimi, mito, storia ed archeologia, pubblicato, in pro-prio, nel 2012, Ilmiolibro.it.

Dopo aver dato libero sfogo alla mia sete di conoscenza, comin-ciai a disinteressarmi del problema, fino a quando non conobbi Igna-zio Longo, serio e profondo studioso dell’evoluzione urbanistica di Alcamo, ed Elisa Palmeri, assessore alla cultura della stessa città, animata da una enorme e sincera passione che la portava a valorizza-re la cultura alcamese e la ricerca delle sue origini.

Il loro interesse e la loro curiosità mi portarono a cercare il mio primo libro per fargliene dono. Fu allora che mi resi conto che il li-bro non era più reperibile. Nel predisporre la nuova stampa, mi ac-corsi che il libro poteva essere ulteriormente arricchito e migliorato. C’erano stati parecchi congressi e tante nuove pubblicazioni che avevano inevitabilmente stimolato in me serie riflessioni e dato lo spunto per elaborare nuove attività dimostrative che, aggiunte a quelle riportate nel precedente libro, lasciano poco spazio ai dubbi ed alle perplessità.

La profonda revisione del vecchio testo ha dato vita al presente volume. A mio giudizio, oggi, troppe coincidenze storiche, topono-mastiche, geografiche e perfino archeologiche consentono di poter affermare che Camico si trovava proprio sul monte Bonifato ed Ini-co a Calatubo.

Dimostrare la fondatezza delle mie ipotesi di identificazione, sen-za provare l’inattendibilità delle vecchie tesi sull’assetto geografico del mito di Minosse e sulla delimitazione del territorio akragantino, avrebbe lasciato margini a dubbi ed a riserve di ogni tipo. Tale ne-cessità mi ha portato a risalire alle motivazioni che avevano indotto il Cluverio ad ambientare la saga di Minosse e Cocalo alla foce e lungo il corso del Platani. Mi resi, subito, conto che le convinzioni attuali hanno il loro fondamento negli antichi pregiudizi che nessuno

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12 Premessa

si è mai preoccupato di vagliare, accettando come verità assoluta, le superficiali ed opinabili soluzioni offerte, quattro secoli fa, dal Clu-verio che aveva sostenuto che il Lykos coincidesse con l’Halykos e che Camico si trovasse lungo il bacino del Platani.

Lo scenario del mito, gli antichi assetti territoriali, le suddivisioni determinate dai trattati di pace del 374 e del 338 a.C. sono stati rap-presentati in alcune tavole redatte da Antonio Bambina al quale esprimo tutta la mia gratitudine per la passione e la professionalità con cui ha saputo valorizzare le mie modeste indicazioni sovrappo-nendole ad un supporto cartografico oggettivo.

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Introduzione

È utile premettere che il presente lavoro si propone di dare un valido contributo alla soluzione di tre fondamentali questioni: la corretta ambientazione geografica del racconto mitologico su Mi-nosse e Cocalo, un’approssimativa delimitazione del territorio di Agrigento nei secoli VI-V a. C. ed, infine, l’identità dei siti archeo-logici di monte Bonifato e Calatubo che si trovano nella parte oc-cidentale della Piana del golfo di Castellammare.

La possibilità d’identificare Inico e Camico nell’area geografica del golfo di Castellammare, che, a prima vista, appare assurda, vel-leitaria, irragionevole, utopistica o illusoria, risulta, invece, ovvia, se si sgombra il campo da una serie di pregiudizi che hanno impe-dito ed impediscono, ancora oggi, di individuare le località dove esse erano state costruite.

Uno dei presupposti errati che ha reso impossibile la soluzione del problema è stato quello di cercare, seguendo le orme del Cluve-rio, le due antiche città nel territorio dell’attuale provincia di Agri-gento o nelle sue vicinanze per rispettare l’indicazione di Erodoto in base alla quale sappiamo che, nel tempo in cui visse (V secolo a. C.), “Camico ed Inico erano agrigentine”. Ne deriva che si è dato per certo che l’antico territorio agrigentino fosse, approssimativa-mente, identico a quello attuale e nessuno si è mai posto il proble-ma di stabilire la reale dimensione del territorio controllato dall’antica Akragas nei suoi primi secoli di vita.

Altro condizionante impedimento deriva dalla convinzione che Makara-Minoa, località dello sbarco di Minosse in Sicilia, fosse da identificare con Eraclea-Minoa, antica città greca fondata alla foce del Platani dai Selinuntini verso la fine del VI secolo a. C. Tale presupposto non suportato da alcun elemento ha portato inevita-

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14 Introduzione

bilmente ad identificare il fiume Lykos, che secondo Eraclide1 scorreva nelle vicinanze di Makara Minoa, con il fiume Platani, che scorreva nei pressi di Eraclea Minoa. Anzi, per il colmo dei pa-radossi, si è arrivati perfino a ritenere che il fiume Lykos (Lupo) fosse identico al fiume Halykos (oggi fiume Salso) determinando una situazione storico-geografica confusa ed inestricabile: infatti, con tali identificazioni non era più possibile comprendere il trattato di pace del 374 a. C., che assegnava ai Cartaginesi i territori di Se-linunte, Eraclea ed Agrigento, ad ovest del fiume Halykos, ed il trattato del 338 a. C., stipulato da Timoleonte ed in base al quale i territori delle città greche dovevano essere liberi dal dominio car-taginese fino al Lykos.

È incontrovertibile che i due trattati riguardavano lo stesso terri-torio che nel primo caso passava all’epicrazia cartaginese, nel se-condo caso ritornava ad essere libero. Fissare il confine all’Halykos nel primo trattato e al Lykos nel secondo, presuppone inequivocabilmente che i due fiumi si trovassero ai lati esterni, in posizione diametralmente opposta, del territorio assegnato. È, per-tanto, incontrovertibile che né l’Halikos, né il Lykos potevano es-sere il Platani che si trova in mezzo alle città greche, sia quando es-si passavano sotto la dominazione cartaginese, sia quando riacqui-stavano la loro libertà, e non poteva essere un confine.

A tanta confusione si contrapponeva il fatto che nessuno era mai riuscito a dare un’identità agli arcaici insediamenti di monte Boni-fato,2 di Calatubo e di monte Palmeto, anzi per spiegare l’origine del toponimo di Alcamo, insediamento arabo sorto ai piedi del Bo-nifato di cui si ha notizia dal XII secolo in poi, qualcuno si era in-ventato il mitico condottiero Alcamacco, altri aveva ipotizzato la sua derivazione dalle sorgenti termali (hamma=caldo, terma), altri ancora lo avevano fatto derivare dal nome di una pianta, caccamu.

Situazioni del genere non sono rare nel panorama archeologico siciliano, basta ricordare che, solo nel XVI secolo, Fazello riuscì a riconoscere l’antica Selinunte nei ruderi imponenti di una località che, ai suoi tempi, veniva ancora denominata Terra di pulichi (terra delle pulci). Certamente l’enorme cumulo di ruderi e la presenza di

1 Eraclide Lembo nr. 611, 68 Rose – FHG II, p. 223 – nr. 68 Dilts – nr. 37, M. Polito, Dagli scritti di Eraclide sulle costituzioni: un commento storico, Na-poli, 2001.

2 Mentre tanti reperti archeologici rinvenuti sul Bonifato ed esposti in un im-provvisato antiquarium comunale attestano una presenza umana nel sito che perdurò dalla Protostoria fino al periodo arabo.

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Introduzione 15

ben 7 templi hanno facilitato l’identificazione dell’antica città gre-ca, mentre i resti anonimi del Bonifato, fino ad oggi, non hanno of-ferto alcun elemento per raggiungere la sua identificazione. Oltre-tutto l’assenza di effettive indagini archeologiche riduce al minimo la possibilità di delineare la corretta estensione dell’antico inse-diamento, il periodo di fondazione, i presunti abbandoni e tante al-tre informazioni che permetterebbero una conoscenza meno vaga della sua storia.

Mosso dalla curiosità di conoscere l’identità degli antichi inse-diamenti che si trovavano nella terra che mi ha dato i natali, anch’io dovetti arrendermi davanti alla mancanza di informazioni che non permettevano di andare oltre il periodo romano per il to-ponimo di Partinico e quello arabo per la vicina Alcamo, fino a quando la lettura del mito di Minosse e Cocalo non mi offrì lo spunto per compiere una revisione degli studi precedenti finalizzata a stabilire se Inico e Camico fossero compatibili con le due più im-portante aree archeologiche esistenti nella piana del golfo di Ca-stellammare.

Fortunatamente il racconto mitologico imperniato sulle figure di Minosse e Cocalo contiene una dettagliata descrizione geografica che offre l’opportunità di cimentarsi nel tentativo di individuare nell’area del golfo di Castellammare le singole località che vi sono descritte.

È curioso notare, infatti, come nella parte occidentale di essa vi sia un monte, Inici, che ha una denominazione totalmente identica a quella riportata dal mito di Cocalo, relativo alla prima capitale del suo regno, e ancor più singolare che parte della denominazione Partinico contiene lo stesso toponimo. Bisognava, quindi, prelimi-narmente stabilire se la coincidenza fosse accidentale o se poteva essere considerata un prezioso indizio che rendeva possibile la so-luzione di uno dei più grandi misteri della Sicilia arcaica: l’identificazione delle città di Inico e Camico.

Aver constatato che, da più parti ed in tempi diversi, si era cer-cato di dare collocazione geografica alle città di Cocalo con esiti incerti, contrastanti e molto spesso, astrattamente, senza alcun sup-porto archeologico e senza alcun criterio logico, mi ha portato a ve-rificare se l’ubicazione delle due città fosse compatibile con le aree archeologiche esistenti nella parte occidentale della piana di Ca-stellammare.

L’approfondita disamina sull’affascinante questione ha fornito

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16 Introduzione

tante concrete conferme all’ipotesi della nuova collocazione geo-grafica di Camico ed Inico: non solo il toponimo Inici del monte che sovrasta Castellammare indirizzava verso un’ambientazione tirrenica della saga di Minosse, ma nei pressi del Bonifato esistono delle sorgenti termali, quelle dei bagni di Segesta e di Alcamo di-ramazione (Minosse muore per essere stato trattenuto lungamente in un bagno caldo di acqua termale).

Un altro significativo riscontro toponomastico è derivato dalla constatazione che una località nelle vicinanze di S. Vito Lo Capo, Macari, è del tutto identico a Makara, che, secondo il racconto mi-tologico, era stato il luogo di approdo delle navi di Minosse e dei suoi Cretesi.

La presenza dei toponimi di Inici e di Macari e delle sorgenti termali nell’area del golfo di Castellammare meritava un serio ap-profondimento.

Se questi erano veramente i luoghi di Cocalo, dove si trovavano le città di Inico e soprattutto Camico? Nel circondario del monte Inici, almeno nelle immediate vicinanze, non esisteva nessuna trac-cia compatibile con la storia e con l’importanza della città di Coca-lo; unici elementi che lasciavano trasparire tracce di insediamenti veramente antichi erano quelli di monte Bonifato e di Calatubo ma, senza il riscontro archeologico e storico, diventava problematico identificarle con le città del regno di Cocalo.

La lettura di qualche opera storica su Alcamo mi venne in soc-corso e fu utile a fugare ogni dubbio; se era lecito considerare da sempre l’origine del toponimo Alcamo dall’arabo, non era stato fa-cile capirne il significato e la sua formazione. Secondo una con-corde tradizione, Alcamo aveva tratto le sue origini dall’arabo Menzil al-Qamaq (o Qamah), toponimo che era composto da due elementi, al una forma di articolo o preposizione araba, che molto spesso introduceva nomi di persona o di luoghi, e Qamaq o Qamah, che manifestamente conserva la stessa radice di Kamicos ed era il suo corrispondente fonetico.

Esaminando, allora, gli elementi descrittivi contenuti nel rac-conto mitologico di Minosse e Cocalo, mi fu facile individuare la possibile collocazione della leggendaria città di Camico sul monte Bonifato, nascosta nelle segrete viscere di una terra interamente ri-coperta, oggi, di bosco.

La coincidenza di tutti i toponimi e delle caratteristiche geogra-fiche rendeva plausibile l’ubicazione delle città di Cocalo nella

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Introduzione 17

piana del golfo di Castellammare e, pertanto, non restava che va-gliare puntigliosamente il racconto mitologico e le varie ipotesi che, nel corso degli anni, erano state elaborate da studiosi ed ap-passionati.

In una fase avanzata del mio lavoro capii che il mito aveva a che fare con la fondazione di Akragas, 582-3 a. C., ad opera dei Rodio-Cretesi e con gli avvenimenti del suo primo secolo di vita, in parti-colar modo con quelli relativi a Falaride, che fin dai primi anni fu tiranno nella nuova colonia dorica. I riferimenti relativi al tiranno agrigentino avevano generalmente carattere aneddotico, ma attra-verso l’individuazione dei fatti che indubbiamente riportavano, si poteva risalire, con una certa verisimiglianza, agli aspetti reali che essi contengono e che portavano gli autori antichi ad affermare che Falaride dominava tutti i Sicani ed era diventato tiranno di Himera.

In definitiva non solo le coincidenze toponomastiche, ma anche tutti gli aspetti storici e le indicazioni delle fonti confermavano le nuove collocazioni di Inico e Camico nell’area geografica del golfo di Castellammare e risolvevano tanti problemi creati dalle vecchie interpretazioni.

La nuova collocazione permette di conoscere un aspetto fonda-mentale della storia di Akragas nel VI e V secolo a. C., l’estenzione del suo territorio ed i suoi confini.

Infine, resta da sottolineare il fatto che, mentre in passato i rac-conti mitologici erano rimasti quasi sempre ignorati, forse perché ritenuti prodotto di fantasia, impenetrabili e incomprensibili, la col-locazione tirrenica di Camico ed Inico ha permesso di capire che i miti non erano il frutto astratto della pura fantasia, ma elaborazioni narrative che offrono la possibilità di cogliere messaggi, eventi, at-testazioni, giustificazioni secondo abitudini e modalità tipiche dell’antica cultura greca.

Pertanto, il punto di partenza dello studio riportato nel presente volume saranno proprio le narrazioni mitologiche ambientate nella Sicilia nord-occidentale che ci offrono la netta percezione dello scopo e delle finalità dei miti di Eracle e di Minosse.

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18 Introduzione

Fig.1 – Le coincidenze toponomastiche e la ricostruzione dello scenario del racconto mitologico di Minosse e Cocalo

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Capitolo I

Il mito di Eracle

Uno degli aspetti più interessanti della cultura dei Greci che si ri-versarono in Sicilia e fondarono parecchie colonie a partire dall’VIII secolo a.C., fu sicuramente l’uso di un vasto repertorio religioso. La loro complessa concezione del divino venne espressa con varie nar-razioni che avevano come protagonisti divinità ed eroi a cui i Greci legavano ogni fondamentale evento dell’umano divenire.

Miti ed Eroi fornivano motivazioni e coesione alla loro politica espansionistica o alle loro necessità migratorie. In uno scenario così eterogeneo costituito da complessi interessi, la costruzione del mito conferiva sacralità e legittimità ad un’impresa, ad una spedizione o alla fondazione di una nuova colonia. Perciò Miti ed Eroi varcarono i confini della Grecia arcaica, fornendo legittimità di comodo ad ogni tipo di iniziativa in qualsiasi parte del mondo frequentato dai Greci.

Se all’origine la costruzione dei miti ebbe semplicemente caratte-re celebrativo di imprese commerciali, come quello di Giasone, o esplicativo, come quello di Prometeo, nel periodo coloniale il mito servì a creare legami di varia natura nello spazio di interesse elleni-co.1

1 Prima dell’acquisizione di una coscienza storica, difficile anche ai nostri giorni, l’ingenuità e l’astuzia, la fantasia e la religiosità dei popoli antichi si servivano dei miti per ricordare ai posteri ciò che era successo in chiave polivalente, storica, agiografica, epica, re-ligiosa e politica.

La costruzione del mito agiva, quindi, in funzione di interessi complessi, ma di imme-diata comprensione per tutti. La fusione dell’elemento religioso ed eroico serviva ad aggre-gare gruppi etnici, e poteva costituire la consacrazione di una liceità di avvenimenti che trovavano, in questo modo, una giustificazione più o meno sacra, tanto più se conservava

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20 Capitolo I

I miti di Minosse e Cocalo e quello di Eracle non risentono di ge-nealogie, sono narrazioni a sé stanti, utili a poter essere elaborate in età storica con il ricordo di vicende passate e di contatti remoti.

Le varie stirpi del mondo ellenico trovavano coesione nel loro ambito religioso ed i santuari erano al centro di tante imprese colo-niali che venivano sugellate o, addirittura, patrocinate. È noto, infat-ti, che le famiglie nobili nell’antica Grecia affidavano ad un loro esponente il compito di fondare una colonia in una nuova terra, dopo aver consultato un oracolo.

Città, popoli ed etnie molto spesso erano in rapporto privilegiato con le proprie divinità e l’Eroe mitologico diventava il paladino di un gruppo, che lo faceva transitare in qualsiasi angolo del mondo, creando legami culturali e geografici tangibili. La Sicilia, meta di tante imprese conizzatrici, a partire dall’VIII secolo a.C., divenne un’area in cui, con gli uomini, si riversò anche quel ricco e composi-to patrimonio culturale proveniente dal mondo greco.

È indubbio che gli antichi abitanti dell’isola avessero un loro pa-trimonio religioso e mitologico; ciò affiora dagli stessi miti greci, ma i nuovi coloni riuscirono ad amalgamarlo senza distruggerlo.2

Non mancavano elementi religiosi di provenienza orientale ante-cedenti alla colonizzazione greca dell’isola, come il culto di Afrodite ad Erice, dove si trovava un tempio con le hierodule, che esercitava-no la prostituzione sacra, o quello delle Meteres o Madri ad Engio.3 del passato il ricordo di personaggi mitologici indimenticati.

Le masse potevano trovare all’interno del mito quella giustificazione all’agire che for-niva coesione attorno ad una spedizione o ad impresa difficile ed il mito conteneva disposi-tivi che agivano affinché il ricordo di fatti remoti potesse giustificare il presente immediato. Sul problema si rinvia a P. VEYNE, I Greci hanno creduto ai loro miti?, Bologna 1974.

2 Il patrimonio religioso e mitologico indigeno subì, quindi, un ridimensionamento ed, in alcuni casi, scomparve. Soltanto poche divinità riuscirono a conservare le loro connota-zioni originarie, perché erano collegate ad aspetti naturali dell’isola, come Adrano, dio dell’Etna, Erice, eroe dell’omonima località, figlio di Buta e di Afrodite, o la dea Iblea. I Palici erano legati ad un fenomeno vulcanico ed erano ritenuti figli del dio Adrano. Ad essi era dedicato un tempio, costruito accanto a crateri da cui fuoriuscivano violenti getti di ac-qua ed esalazioni sulfuree. Nel XVI secolo il Fazello ne riconobbe le rovine tra Palagonia e Mineo.

3 Insieme a questi vanno ricordati gli eroi sicani, tramandati con nomi greci, Pediocrate, Bufona, Leucaspide, Glicata, Bitea e Critida, che Diodoro ci indica come avversari sconfitti da Eracle.

Non è facile però distinguere nel polimorfo panorama religioso ellenico il substrato in-