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STAMPATO SU CARTA RICICLATA [email protected] www.passvr.it PASS IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA anno 5 numero 20 marzo/aprile/maggio 2010

#20 march/april/may 2010

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stampato su carta riciclata

[email protected] PASS

IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

anno 5numero 20

marzo/aprile/maggio 2010

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PRODOTTO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

PASSWORLDAMARGIFemminismo turco ...................................................................... 12CHI SI PICCHIA SI AMA?!Violenza sulle donne ................................................................... 13RIABILITAZIONE È UNA PAROLA BRUTTALa storia controversa................................................................... 14INNUENDO Una lettera di Frank Oberon ........................................................... 15SENZA TANTI GIRI DI PAROLEBenzoilmetilecgonina .................................................................. 15NON SI BUTTA VIA NIENTELa storia di Tristram Stuart .......................................................... 16PONTE SULLO STRETTOUn ever green tutto all'italiana ..................................................... 17LA RAZZA INFERIOREIl declino di una coscienza deantropoligizzata .......................... 18/19

PASSATEMPOIN THE GARAGE I FEEL SAFEViaggio nel mondo del Garage Rock ............................................. 20BLUE NOTEMusica Nuda di Lara Magoni ....................................................... 20ROCK ON BABE!Queensryche .............................................................................. 21NUOVI SUONIGrinning Shadows + Dream Of Illusion ......................................... 21ARTEL'enigma di Giorgione ................................................................. 22DIALOGO D'ARTECon Alex Zampini ........................................................................ 23CINEMA VS PIRATERIA + THE HURT LOCKERFilm film film .............................................................................. 24MORGAN + ANOBIILibri libri libri .............................................................................. 25READING IN MEMORIA DI VANNI SOAVE + POESIAIncontri con l'auotre in Frinzi + quattro poesie .............................. 26NERO REVOLVERAmmazza il tempo ...................................................................... 27

PASSATENEOPER UN SAPERE PUBBLICO E DISINTERESSATOUn libro e un'intervista sulla ricerca in Italia .................................4/5ERASMUS CORNERUn americano a Verona .................................................................6CRONACHE DELLO SPRITZMusica per necrofili ......................................................................7BESTIARIOL'università che vogliamo ..............................................................8 4 PER MILLECelebrazione primo grande evento nazionale ..................................9CUSCentro Universitario Sportivo .........................................................9IL CANTO DELLE SIRENEDue voci a confronto .............................................................. 10/11

SOMMARIO

Registrazione Tribunale di Verona N° 1825 R.S. del 27/02/2009Direttore responsabile: Claudio GalloProprietario: Juliette Ferdinand

Redazione chiusa il: 1 Maggio 2010 HANNO SCRITTO: Giuliano Fasoli, Federico Longoni, Francesco Greco, Clara Ramazzotti, Sara Ferri, Anna Pini, Michele Cavejari, Marta Poli, Carolina Pernigo, Antonella Sartori, Federica Rosa, Lorenzo Magnabosco, Federica Prosa, Matteo Bellamoli, Sara Creta, Guendalina Mion. FOTOGRAFIE E ILLUSTRAZIONI (OVE NON INDICATO):Flickr.com, Sxc.hu PROGETTO GRAFICO:Eugenio Belgieri (www.whatgrafica.com) e Giuliano FasoliFOTO DI COPERTINA:"Limbo" (2009) di Matteo Perina (aliblu.buzznet.com) STAMPA: Tipografia CIERRE - Sommacampagna (VR)

Copyright: Le condizioni di utilizzo di testi e immagini, laddove è stato possibile, sono state concordate con gli autori. Tutti i diritti sono riservati, testi, grafiche e fotografie sono coperte da copyright. Ogni copia degli stessi è illecita. Si ricorda che il contenuto del singolo articolo non definisce il pensiero della redazione e dell’editore. Grazie a tutti coloro che hanno collaborato, ma che sono stati dimenticati nei ringraziamenti.

PASSIL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

ED

ITO

RIA

LE Preti pedofili: sdegno della società, ma nemmeno ecces-

sivo stupore; immediata condanna morale da parte della Chiesa, ma nessun effettivo mea culpa. E già tutto tace, restituendoci alla nostra normalità minata.Si è semplicemente aperto uno spiraglio mediatico per sollevare il polverone, ma come sempre qualcuno lo sta ricacciando sotto ai tappeti, invece di spazzarlo per bene.Questa tendenza all'insabbiamento perpetuata dal Vati-cano e da Ratzinger stesso circa i casi di pedofilia, è resa ancor più grave dall'omertà dei fedeli e della società. Fa orrore che le stesse vittime ed i loro familiari, in certi casi, siano inconsciamente spinti a depenalizzare la violenza subita. Vittime due volte.

L'atto di un prete pedofilo è meno esecrabile di quello di un laico pedofilo? Il saio ci preserva dalla condanna, assi-curandoci un'indiscutibile superiorità etica? Ricordiamo infatti che su 3000 casi denunciati alla Congregazione per la dottrina della fede (di cui Ratzinger ne fu il prefetto dal 1981 al 2005), il 60% non è stato sottoposto a nessun processo canonico.

Certo, sarebbe stato interessante se avessero affrontato lo scandalo con la stessa energia con cui combattono l'uso del preservativo, le unioni tra i gay, il divorzio, l'aborto.

Lungi dal voler incorrere nel vizio di prospettiva opposto, dipingendo questi uomini come l'incarnazione del male assoluto, soffermiamoci proprio su questo punto: sono uomini, malati e tormentati, che non sono stati in grado di sublimare la loro sessualità negata, deviandola. E quindi vanno aiutati, ma assolutamente privati dell' ordinazione sacerdotale.

E in casi del genere come possiamo accettare che il Diritto Canonico prevalga su quello Civile e Penale, delegando alla Chiesa responsabilità a cui il più delle volte non ottempera, sfiorando veri e propri occultamenti di reato? La Chiesa ha difeso il proprio potere e la propria presunta irreprensibilità perchè può farlo.

Lo Stato Italiano e i cittadini tutti si convinceranno mai della differenza profonda tra peccato e reato?

Qualcuno dice che siamo tutti figli di dio. Qualcun altro gri-da che siamo tutti persone giuridiche, soggette a responsa-bilità penale e che il giudizio deve svolgersi qui ed ora.

Almeno questo concediamolo a chi non aspira alla vita

eterna.

Marta Poli

[email protected] - www.passvr.it

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PRIMO PIANOIl fatto che la candidatura di Internet a premio Nobel 2010 abbia rianimato dibattiti e tavole rotonde inerenti lo sterminato mondo della rete, dimostra come l'oggetto in questione sia ancora nel pieno delle sue potenzialità, in quanto strumento di influenza cul-turale e sociale. La direzione che verrà presa, sarà determinata solamente dal modo in cui ci si riuscirà a regolamentare global-mente: l'essenza ontologica di Internet è la sua predisposizione alla condivisione, alla partecipazione democratica di informazio-ne e conoscenza. Ma forse, ancora molta strada resta da percor-rere in tal senso, basti pensare al caso cinese.Per il resto le discussioni si fanno caleidoscopiche: da una parte Internet uccide la capacità mnemonica e quella linguistica, Internet disperde l'attenzione parcellizzando la realtà e il modo di comunicarla, ci illude di sapere tanto ( ma la quantità non corri-sponde sempre ad un grado profondo del sapere), ci bombarda di notizie inutili, ci rende schiavi di un nuovo modo un po' malato di rapportarci agli altri e a se stessi tramite chat e social network; dall'altra però, ha messo in contatto tra loro angoli di mondo e cervelli portando a risultati insperati, ha reso l'informazione e la cultura fluide e democraticamente accessibili, ha unito le perso-ne, i popoli, ha combattuto le intolleranze e gli autoritarismi, ha dato voce a chi fatica tutt'oggi a farsi sentire.

Il fatto che nelle riflessioni di ognuno i termini più utilizzati rien-trino nel campo semantico della democrazia e della libertà è sintomatico.

Insomma, ogni epoca ha il suo specchio ed Internet è anche que-sto: è l'uomo all'ennesima potenza, nel male e nel bene. Arrivati a questo punto, qualcuno oserebbe tornare indietro?

Sempre più spesso capita di leggere o sentir dire che la prospet-tiva da applicare per una corretta visione del mondo di Internet è quella del paragone con il mondo reale. Questo esercizio puÚ risultare utile ai fini normativi per una sorta di agevolazione nell'arduo lavoro di regolamentazione, che molto spesso viene fatta da chi non ha un'idea molto delineata della questione. La necessità nel porre dei limiti alla rete viene costantemente vista dagli internauti come un pericolo per la vera e propria essenza, nonchË unico precetto, che sta alla base di Internet: la libertà. Libertà che evidentemente diventa pericolosa quando ha la possibilità di manifestarsi con mezzi troppo potenti, ed Internet Ë un mezzo potentissimo che sta nelle mani di una moltitudine, ed anche le moltitudini a loro volta sono piuttosto potenti se hanno la possibilità di comunicare.Importante è discernere l'esercizio dalla realtà, perchè Internet è una parte del mondo reale che dà la possibilità di gestire una socialità relazionale estesissima, ma questa non può essere altro che l'integrazione di quella fisica, fatta di carne e sudore, altri-menti avremo le strade vuote e sei miliardi di schermi accesi.

Mi ritrovo a fantasticare di un [Non ci resta che piangere] alter-nativo, in cui Benigni e Troisi, incontrando Leonardo, tentano di spiegargli cosa sia Internet e mi convinco che davvero il da Vinci si troverebbe in difficoltà, ben più che con la partita a scopa di Troisi! E mi piace immaginare come Leonardo accoglierebbe

famelico e attonito una tale rivoluzione per la trasmissione del sapere. A me, che la do per scontata, non pare poi cosÏ straor-dinaria, ma provare a pensare da una sua potenziale ottica mi aiuta ad essere più consapevole.Del web apprezzo la velocità con la quale è possibile reperire notizie díogni genere; la gratuità; e soprattutto la democraticità che permette ad ognuno di esprimersi, di accedere alle informa-zioni. Credo davvero possa essere un enorme ausilio per comuni-care e conoscere. Come per ogni mezzo, è poi la consapevolezza individuale a determinare la qualità del fine.

Per quanto mi riguarda, Internet è ciò che più alimenta i miei de-liri d'onnipotenza. Cerchi un'informazione? Ne trovi diecimila, basta solo un po' di oculatezza nella scelta. Ti serve un indirizzo o un numero di telefono? Zac, eccolo. Tempo impiegato 3 secondi, in barba alla privacy. Perchè imparare a memoria il tuo codice fi-scale, quando il Web lo scova per te senza fatica? E poi mi sento un po' il Grande Fratello, che tutto vede, tutto osserva: so cosa succede dall'altra parte del mondo, so persino cosa fanno i miei cugini all'insaputa dei genitori, chi frequentano, dove vanno. Sono potentissima. Posso dire la mia, caricare dati (poco importa se non sono capace, di sicuro posso trovare anche qualche sito che me lo spiega facilmente!), scaricare immagini, fare quasi qua-lunque cosa. Forse è per questo che preferisco non farne grande uso. Permango volentieri nella mia beata ed edenica ignoranza. Sono perfettamente conscia del pericolo.

Sono convinta che Internet sia oltre che uno strumento di comu-nicazione, un potentissimo strumento di democrazia. Solo in rete tutti hanno la possibilità di accedere direttamente alle informa-zioni. Il "cittadino telematico" è libero di trarre le proprie con-clusioni, farsi le proprie idee senza líintervento di istituzioni-terze che corrono spesso il rischio di risultare ideologizzate o addirittu-ra pilotate. Questa libertà comporta per i cittadini, io credo, una sempre maggiore consapevolezza dei propri diritti, e, parados-salmente, un maggiore contatto con la realtà politica del proprio paese. Per quel che riguarda líItalia, oltre al decreto Romani approvato il 1 marzo scorso, che impone líautorizzazione ministe-riale ai servizi di livestreaming e simili, sembra pronto un disegno di legge presentato dall'on. Carlucci con il proposito di "riportare la legalità su Internet". Tale ddl impone il divieto dell'anonimato per gli utenti della rete, al fine di applicare tutti i reati di stampa. Sarebbe fatto divieto di "effettuare o agevolare l'immissione nella rete di contenuti in qualsiasi forma (testuale, sonora, audiovisiva e informatica, ivi comprese le banche dati) in maniera anonima".Nessun paese occidentale prevede una simile legislazione in materia (peraltro di difficile applicazione), solo la Cina . Certo, Internet può essere anche uno strumento molto pericoloso, ma è una materia di tale vastità, da non poter essere stretta troppo dagli organi di governo, senza che questi (pur riconoscendone magari, la buona fede), di fatto limitino le libertà fondamentali degli utenti/cittadini. Per dirla con Alexis de Tocqueville : "Nelle società moderne la li-bertà totale è ancora preferibile alla soppressione totale di questa libertà."

INTERNET: odi et amo

MAR

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PER UN SAPERE PUBBLICO E DISINTERESSATO / Un libro e un'intervista sulla ricerca in Italia

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FEDERICA PROSA

da una classe dirigente accademica “inadeguata e spesso anche corrotta [...] sempre più vecchia e inamovibile” e dallo squilibrio numerico e stipendiario tra generazioni. Le baronie possono essere combattute, ad esempio, favorendo la mobili-tà dei ricercatori e scoraggiando le carriere interne, portando l'età pensionabile agli standard europei, limitando nel tempo i mandati. Senza parlare poi dei concorsi, denunciati per la loro scarsissima trasparenza e definiti addirittura “pantomi-me”, del localismo esasperato, degli eccessi di burocrazia, della dispersione dell'offerta formativa dovuta al 3+2... Vediamo cosa ne pensa Bernini.

secondo lei, quali sono i principali problemi della ricer-ca italiana?"L'università italiana è ricca di paradossi. Uno di questi è che, nel periodo di precariato ma anche quando si diviene ricer-catori, si firmano dei contratti che prevedono che si faccia ricerca e poi, date la mancanza di risorse dell'università e il grande numero di studenti, è giocoforza che ci si ritrovi a svolgere attività didattica, senza avere lo stipendio adeguato e sottraendo tempo allo studio. Anche le leggi che limitano il tempo di precariato rappresentano un paradosso perchè in realtà anzichè garantire i precari creano disoccupati. Quando terminano gli otto anni di precariato non si ha affatto una carriera assicurata poiché mancano le risorse: inoltre la finan-ziaria dell'anno scorso, la legge 133, e poi il decreto Gelmini che applicava la finanziaria hanno tagliato massicciamente il finanziamento all'università e hanno limitato il turnover. Senza parlare del sistema dei concorsi: spesso quelli che ven-gono presentati come concorsi pubblici sono meccanismi di cooptazione in cui si sa già chi è il vincitore, chi è destinato a quel posto. Come le dicevo prima, tutto questo rende la carrie-ra universitaria non solo difficile e tortuosa ma molto pesante psicologicamente."

Di una cosa Sylos Labini e Zapperi sono certi: questo stato di cose non può essere migliorato dalla privatizzazione dell'università: ricadute degli investimenti lontane nel tempo non attraggono i privati che non finanzierebbero adegua-tamente la ricerca di base; inoltre “la ricerca di eccellenza non può esistere senza istituzioni di ricerca indipendenti”. In conclusione la ricerca deve essere pubblica ma riformata seriamente, in modo lungimirante, prendendo ad esempio modelli realistici quali le università europee inglesi, tedesche, francesi e spagnole.

sylos labini e Zapperi sono convinti che la via della pri-vatizzazione non sarebbe una soluzione alle difficoltà della nostra università. lei è d'accordo?"Sì, io sono sostanzialmente d'accordo. Credo che la ricerca e il sapere siano dei beni pubblici e una delle ragioni per cui ho apprezzato il movimento dell'anno scorso (l'onda) è che que-sto principio è stato fortemente affermato da chi protestava. E un bene pubblico non deve essere subordinato a interessi privati di alcun genere. Oltretutto i due autori sono ricercatori in materie scientifiche, quindi parlano comunque di una realtà

"i ricercatori non crescono sugli alberi", di Francesco sylos labini e stefano Zapperi, è un testo pubblicato da Laterza nel gennaio 2010 (pp. 120, euro 12) in cui i due au-tori, entrambi fisici e ricercatori, riflettono sulla situazione del-la ricerca italiana. Prendendo le mosse da questo volumetto, abbiamo pensato (io e la redazione di Pass) di approfondire la questione, che crediamo stia particolarmente a cuore a chiun-que frequenti l'ambiente universitario, intervistando lorenzo Bernini, ricercatore di Filosofia politica presso l'Università di Verona, che voglio ringraziare sentitamente per la disponibili-tà che ha dimostrato!

cominciamo parlando della sua carriera universitaria e dei suoi principali interessi come ricercatore."Per quanto riguarda i miei interessi di ricerca, mi sono occu-pato soprattutto di Foucault, della filosofia della decostruzione francese del '900, delle teorie femministe (Cavarero) e queer (Butler). Attualmente sto lavorando su Hobbes. In generale la mia ricerca ha trattato la critica del modo in cui la modernità ha pensato la politica e del modo in cui nel pensiero politico moderno il soggetto sia stato subordinato al potere. Mi sono laureato in Filosofia a Milano e, dopo quasi otto anni di precariato, ho vinto un concorso pubblico nel dicembre scorso e sono diventato ricercatore a tempo indeterminato presso questa università. Questi otto anni sono stati molto stimolanti, ma anche molto pesanti: il precariato universitario è un susseguirsi di contratti a termine malpagati e ogni volta che si finisce una borsa non si sa se poi se ne avrà un'altra. Io non mi vergogno a dirlo, anzi, lo dico persino con un certo orgoglio ma, per un certo periodo, per mantenermi ho lavora-to anche come impiegato! Inoltre, secondo una legge tuttora in vigore ma in corso di revisione, dopo otto anni di borse non se non possono avere più, quindi se non avessi vinto questo concorso il mio rapporto con l'università italiana si sarebbe interrotto."

Secondo Labini e Zapperi, uno dei principali problemi della ri-cerca italiana è proprio quello del precariato, frutto delle leggi finanziarie successive al 2002, che hanno posto limiti severi nell'assunzione del personale, come, ad esempio, il blocco del [turnover] nella tanto contestata legge 133/2008. Oggi i pre-cari sono circa un terzo del totale dei docenti, ci dicono i nostri autori, e aggiungono: “il problema dell'Italia è la mancanza di prospettive di carriera e di tutele sociali per questi lavoratori”. Conseguenza del precariato, del sotto-finanziamento che grava sulla ricerca, di criteri poco trasparenti nell'assegnazio-ne dei fondi, della mancanza di un'adeguata politica di diritto allo studio è la fuga dei cervelli, ma più ancora la mancanza di reclutamento di stranieri e l'assenza di rientri dall'estero da parte degli italiani. Tra i rimedi indicati da Zapperi e Labini vi sono un sistema di controlli e verifiche che sia trasparente nella valutazione e finanziamenti ad esso conseguenti, gestiti dall'intera comunità scientifica e non dai politici, secondo un criterio meritocratico. L'università e la ricerca devono essere libere da interferenze esterne, siano esse economiche o politi-che. Un'altra spina nel fianco dell'università è rappresentata

PER UN SAPERE PUBBLICO E DISINTERESSATO / Un libro e un'intervista sulla ricerca in Italia

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in cui è più facile che ci siano dei privati che abbiano interessi a finanziare delle ricerche. Questo avviene molto meno nelle università umanistiche. La legge 133 prevedeva la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni private, mentre il nuovo ddl Gelmini propone l'ingresso di privati nel Consiglio di amministrazione. Il fatto è che non si capisce bene quali in-teressi avrebbero dei privati a entrare nel Consiglio di ammi-nistrazione. Legge 133 e ddl Gelmini hanno però un aspetto positivo: introducono il principio della valutazione della ricerca e penso che questo abbia senso se fatto in modo intelligente, cioè la ricerca dovrebbe essere valutata da ricercatori, non da privati che la giudicano a seconda del profitto che può portare: se il sapere è un bene pubblico deve essere disinteressato." Ha mai studiato all'estero? se sì, quali differenze ha riscontrato tra l'italia e il paese in cui è stato?"Non ho avuto borse di studio o contratti all'estero, ma ho trascorso diversi periodi di studio a Parigi e a Berlino e qual-che idea su come funzione l'università all'estero ce l'ho. Mi sembra in generale di poter dire che spesso c'è una maggior trasparenza nei concorsi, un maggior rispetto degli effettivi contenuti dei contratti che si firmano e ci sono meno fenome-ni di clientelismo perchè c'è maggiore mobilità. Sicuramente poi all'estero gli stipendi sono più elevati."

Quale opinione si è fatto delle proteste dell'autunno 2008?"Nel 2008 avevo un assegno di ricerca a Milano e sono stato uno di quelli che hanno coordinato il movimento dei precari. A mio avviso è stato un momento molto stimolante, in cui c'è stato il desiderio di immaginare un'università che non fosse solo un esamificio, in cui gli studenti potessero essere dei

protagonisti della loro formazione. La forma di protesta che abbiamo adottato è stata quella di trovare altri modi di fare didattica come conferenze pubbliche, lezioni nelle piazze cen-trali ma anche nelle periferie di Milano... insomma, abbiamo cercato di aprire l'università e la ricerca alla cittadinanza. Una delle cose che non ha funzionato di questo movimento, secondo me, è il fatto che era molto fresco e anche ingenuo, composto da tanti ricercatori e studenti che non avevano mai fatto politica: per questo alla fine è stato anche un po' pilotato da alcuni gruppi già organizzati da tempo.In realtà le agitazioni non sono finite, proprio in questi giorni il CNRU (Coordinamento Nazionale dei Ricercatori dell'Uni-versità) ha annunciato lo stato di agitazione dei ricercatori in seguito al nuovo disegno di legge Gelmini che, tra le altre cose, cancella la figura del ricercatore a tempo indeterminato (come sono io) sostituendola con contratti di ricerca triennali rinnovabili due volte e allunga di ulteriori cinque anni il perio-do di precariato previsto."

E per concludere, consiglierebbe agli studenti la via del dottorato?"Il mio consiglio è di provare se si ha una reale passione per la ricerca, perchè gli anni di dottorato possono essere un'espe-rienza intellettuale esaltante. Ma di vivere il dottorato come un periodo di studio, guardandosi comunque intorno per cercare altre soluzioni per la propria vita professionale. Quello che sconsiglio è di tentarlo con l'idea che sia il primo gradino della carriera universitaria, perchè si rischia di dover poi af-frontare una forte delusione dato che i posti sono pochi."

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A volte la scelta di studiare all'este-ro ci aiuta a capire quali sono le nostre origini, a recuperare le nostre radici. Anche il suo bisnonno era partito per l'America durante la guerra. Nel periodo in cui gli immigrati erano gli ita-liani, per quelli che an-dava-no

dall'al-tra parte

dell'oce-ano le cose non

erano così facili. Loro venivano discriminati, vivevano in ghetti e non parlavano inglese. Riccardo si è messo in Viaggio; è ar-rivato a Verona, dove vuole imparare l'italiano che nessuno della sua fami-glia gli ha mai insegnato. La lingua si è persa, ma lui è tornato in Italia perché vuole conoscerne la cucina e la cultura. “Quando sono partito – ci racconta – tut-ti mi dicevano che in Italia c'era la Ma-fia, e che avrei dovuto comprare molti vestiti eleganti, sempre camicia e cra-vatta, ma io non credo a queste cose”. L'Italia gli piace molto, anche le ragazze: sono più sensuali e gli danno più confidenza e soprattutto più emozioni, ma non sa ancora se sarà un italiana la fortunata.É molto critico, soprattutto verso la politica italiana ed il sistema mediatico: “io penso che il presidente non pos-sa avere anche le mani nei media. Non è giusto, quando controlli l'informazione con-trolli tutto, però io sto ancora aspettando da Obama”.In Arizona, dove vive oggi, la realtà è un po' diversa; lui studia economia a Tucson, a cinquanta chilometri dal Mè-xico; a Verona frequenta corsi di italiano, spagnolo e storia contemporanea.Con la città Scaligera si sta instaurando un bel rapporto, mi sottolinea, e la prima volta

questa realtà italiana lo soddisfa molto, “Mi piace l'Italia perché

ci sono ancora fruttivendoli,

pescivendo-li, pastic-

cerie,

que-ste cose non esistono più in America, per via del capitali-smo e della grande distribuzione. Anche il gelato è americanizzato, non come qui. È buonissimo!”. Ma sul suo futu-ro non ha ancora le idee chiare, forse vuole vivere in Italia, lavorando per un azienda americana, o per il governo americano a Roma o Milano, anche se è un po' diffidente, “è sempre un rischio lavorare qui ”, “qui funziona molto a conoscenze”, questo non gli piace; “non è giusta questa cosa dei raccomanda-ti” aggiunge. Riccardo ha già iniziato a leggere la “Gazzetta dello sport”: forse qualche gene italiano sta rispuntando.

che ha visto l'Adi-ge è rimasto a

bocca aperta: “in Arizona non ci sono fiumi”.

L'università l'ha vista su Goo-gle Maps, ma era un po' diversa.

“Io pensavo ci fossero più persone. C'è un campo di calcio? Io l'ho visto solo in Google Maps e pensavo ci fossero sempre studenti a giocare a calcio, ma non esiste. Non pensavo che Veronetta fosse così, abitata da immigrati. Perché negli stati Uniti tutti i quartieri vicino all'università hanno case più costose. In Arizona, ci sono i quartieri messicani e tutto è scritto in spagnolo, nei super-mercati trovi cibi messicani autentici e anche nel mio college ci sono tanti messicani. Io abito con uno di loro, tra noi siamo molto uniti”. Ama viaggiare e divertirsi. “Quando parto per i viaggi con i miei amici andiamo spesso nel golfo del Mèxico, al mare. Adesso quattro miei amici sono là in spiaggia, la prima-vera è cominciata. È caldo. Sempre e solo macchina. Se vuoi andare a New York, però, prendi l'aereo: non puoi fare altrimenti, sono sette giorni di viaggio se lo fai via terra”. Ma qui c'è il treno e

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� musica pEr NEcroFili �di Raoul Duke

C'è un posto in città dove nemmeno M. metterebbe piede. È troppo “volgare” persino per uno come lui abituato a rotolare nel fango del gossip quotidiano; una scritta stampata a caratteri cubitali sulle colline veronesi, come lo è per i losangelini quella di Hollywood: vale a dire l'Alterego Club.

Per generazioni di veronesi l'espressione “stasera vado in collina” ha significato una sola cosa: “vado a sballarmi all'Alte”. Ebbene, vista la mia propensione al lato noir della vita, ho deciso di farvi un salto e di raccontare ciò che v'ho scorto. Prima però vorrei ricorda-re a chi mi legge uno degli eventi epocali nella storia della disco-teca: il blitz del 4/10/2008. L'intervento della polizia portò alla chiusura della discoteca per pochi mesi e all'arresto dei due titola-ri, Gigi Andreis e Andrea Oliva, al momento ai domiciliari. Entram-bi furono accusati di aver favorito lo spaccio all'interno del locale. Per Andreis la situazione si complicò con l'accusa di aver abusato di minori, dopo averli fatti sballare con alcool e chissà cos'altro.

Decisi così, una sera, di studiare il caso da vicino. Basti qui una breve descrizione dei personaggi che ho conosciuto. Il primo, il Conte M***a. Verso la fine della serata stavo fumando tranquil-lamente la mia sigaretta, quando mi si avvicinò un tipo alto pres-sappoco un metro e novanta, e largo altrettanto. Mi chiese una sigaretta. Ne approfittai per attaccare bottone e incominciammo a parlare di cose veramente banalissime; una di quelle conversa-zioni che si fanno tanto per occupare il tempo. Tra le altre cose mi disse di essere un conte. Nel frattempo, cominciai a sentire un acre odore; un olezzo inconfondibile, impensabile anche il quel contesto. Puzza di feci! Ispezionando l'asfalto non riuscii a individuarne la fonte, quando m'accorsi che proveniva da un piccolo zaino che il mio nuovo conoscente portava attaccato di sghimbescio alla spalla. Notando il mio sguardo indaga-tore, il nostro Conte si affrettò a darmi una spiegazione: “È che quando mi prendo una pasticca... me la faccio sotto, lette-ralmente! Allora mi porto dietro il cambio!”. Mi dileguai all'istante.

Mentre mi affrettavo verso la macchina, mi accorsi di aver lasciato la giacca dentro. In qualche modo convinsi il buttafuo-ri della mia buona fede, e rientrai. Muovendomi attraverso la folla danzante, con tutta la foga di un nuotatore inesperto che cerca di sfuggire ai marosi, vidi salire un velo di fumo, in direzione del divanetto dove avevo lasciato la mia giacca. Ci misi poco a capire che era fumo di sigaretta: un ciccione, con in testa un borsalino bianco e delle grosse labbra dalle quale spuntava come un'asta la sigaretta, s'era già messo sotto il braccio il mio indumento. Gliela strappai di mano e tornai a “nuotare” tra la folla, verso l'uscita, quando piombai involontariamente contro uno stecco di uomo, dalla faccia butterata, incorniciata da due occhiali da sole bianco latte. Aggrovigliati tra le gambe della gente, sembrava ce le stessimo dando di santa ragione. Così venni agguantato dal buttafuori e scaricato in strada.

Una volta raggiunta la mia vettura, guidando verso le luci della città, mi volsi con la mente agli eventi della serata: tutta quella gente ballava una musica, una cultura amante della morte. Erich Fromm aveva definito magistralmente questo atteggiamento: “L'individuo necrofilo è attirato da tutto quanto è meccanico, perché odia tutto ciò che è vitale e ne è disgu-stato”. Appunto, la cultura della droga, dello sballo in discoteca, non è per niente uno spasmo di estremo vitalismo, come molti di loro inconsciamente pensano, ma è in realtà un'imitazione meccanica della vita. Per intenderci, una moda. La mu-sica che “ascoltano” è una musica per necrofili! Una dance macabre senza nerbo, perché eseguita non sul limitare della morte, ma nello spreco della vita. Infine mi vorticarono in mente le parole di Kurtz in Cuore di Tenebra: “L'orrore! L'orrore!”.

Cronache dello SpritzFRANCESCO GRECO [email protected]

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BESTIARIOrubrica sul_ nostro_ ateneo: _osservazioni_ lamentele_ aneddoti...

Un po' di amarcord: ve le ricorda-te le storie dei nostri nonni,

su quando a scuola sbagliavano la pro-

nuncia di un accento e

il ma-

estro impugnava il righello chiedendo loro di appoggiare le mani sul banco? Oppure gli schiaffi che volavano verso i più discoli di turno dalle mani dei più severi insegnanti? Ver-rebbe da dire che, per fortuna, il sistema educativo ha fatto qualche passo in avanti da allora, anche se ad un'attenta riflessio-ne azzarderei che forse ne ha fatti persino troppi.Tempo fa ho assistito indirettamente (vuol dire da mero spettatore) ad uno spettacolo piuttosto inusuale: uno studente inveiva rabbiosamente contro un professore, colpevole di aver nuovamente rifiutato di valutare positivamente un esame orale. Sono volati insulti, parole pesanti, grida... È passato un po' di tempo, ho riflettuto e ho deciso di buttare giù queste poche righe per vedere se c'è ancora qualcuno, fuori da questo vetro d'emeroteca, che viene all'università per cercare di costruirsi un

futuro e non per scaldare le sedie dell'aula informatica.Su questa università italiana è facile fare tanti cattivi pensieri. La riforma sembra spesso una barzelletta, la ricerca è una pa-rola che riempie la bocca dei politici ma che solo con difficoltà riempie i libri dei ricercatori, la didattica di per sé troppo spesso lascia in bocca a noi stu-denti quel gusto di insoddisfa-zione che nem-me-

no una bella tesi e un bel voto di laurea

riescono a farci passare. Normale avere spesso i

nervi a fior di pelle, per la maggior parte del tempo

abbiamo i pensieri focalizzati sul dopo, non vediamo l'ora di

combinare qualcosa nella vita.Ma il tempo scorre veloce, ci

passa fra le dita talmente di fretta che non riusciamo ad afferrarlo. Ho

iniziato l'università l'altro ieri e mi mancano solo pochi esami per conqui-

stare anche la laurea magistrale, strana la vita, no? Eppure faccio fatica a stare al passo, a seguire la tendenza. E la tendenza che mi sembra di scorgere in questi anni è quella del tutto concesso, dell'io ad ogni costo, dell'egocentrismo forzato in ogni caso, indipendente da contesti o persone esterne. Lo scopo è accumulare crediti in questo esamificio il più in fretta possibile, con qualsiasi mezzo e senza guardare in faccia nessuno: tanto io sono solo un numero, VR123456.Ma tornando ai nostri nonni, che per certi versi ci assomigliavano anche molto, c'è qualcosa che loro avevano e noi stiamo dimenticando: l'educazione e il rispetto. Vi sembra naturale che un docente universi-

tario debba richiamare la sala all'attenzio-ne? E delle grida contro l'insegnante che ne dite? Certo, non banalizziamo, i pro-fessori non sono tutti santi, ci sono quelli che fanno il loro lavoro con il sorriso, che cercano di trasmettere pezzi di vita oltre che pagine di tomi e manuali, ma ci sono quelli che spiegano, salutano, correggono, promuovono o respingono. Fino a qualche settimana fa l'Ateneo era tappezzato di cartelloni dal titolo “Questa è l'università che vogliamo” che campeggiava sopra alla “Scuola di Atene” di Raffaello. Ma se dav-

vero questa è l'università che vogliamo, allora dobbiamo meritarcela, dobbia-

mo conquistarcela, e non certo con insulti e sbeffeggi.

Se non ne possiamo più di stare seduti a lezione, di sudare

sangue sui libri, di rinunciare alla serata con gli amici (o

peggio alla “camporella” con la morosa) per pre-parare un esame... allora

parliamoci chiaro: l'università non fa per noi. Nessuno ci obbliga a stare qui, ci sono montagne di lavori che hanno bisogno di braccia forti e di spalle robuste, basta farsi coraggio, abbandonare le Cronache dello Spritz e proporsi. Ma la verità è che la vita universitaria ci piace, si fa fatica qualche mese all'anno, c'è la rottura di dover venire a lezione, ma poi siamo liberi. Nessuno ci corre dietro, nessuno ci dà orari o straordi-nari, mica male eh?Ma se questa libertà diventa sfrontatezza? Se nemmeno davanti all'insegnate sap-piamo mantenere un minimo di decenza? Chi vogliamo prendere in giro? Possiamo finire il nostro corso di studi in 5, 10, 15, 30 anni, il mondo continuerà a girare, e nessuno verrà a chiederci il perché, ma se siamo qui per studiare, dobbiamo cercare di dimostrare che lo facciamo perché ci serve, perché ci siamo iscritti noi e non è stato il nostro [status quo] che ci ha obbli-gato a fare le file in segreteria per avere una tesserina magnetica con su scritto “Pinco Pallo, Facoltà del Piffero, Università di Verona”. Se fossi stato io quel professore, non lo so se mi sarei sentito fiero del mio lavoro: «Ma chi me lo fa fare di preparare lezioni ed esami per questi cafoni?». Questo è il mio pensiero, ma come al solito forse sono io che sono rintronato.

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FOTO E ARTICOLO DI: CAROLINA PERNIGO

CLARA RAMAZZOTTI

150 anni fa si cominciava a fare l’Italia. Giuseppe Garibaldi, accompagnato da poco più di mille volontari, la notte del 5 Maggio partiva da Quarto alla volta della Sicilia e dava inizio ad un inarrestabile percorso

di unificazione nazionale. In occasione del centocinquantesimo anniversario, dunque, il prof. mario allegri sceglie di organizzare una serie di giornate a tema risorgimentale per rievocare questo

evento di straordinaria portata storica e culturale. Scopo principale dell’iniziativa, ci dice, è “sot-tolineare il valore dell’unità nazionale e ricordare alle generazioni più giovani l’opera di uomini e donne che hanno dedicato ogni loro sforzo e sacrificato in moltissimi casi la propria vita a una causa e un ideale che per noi hanno ancora oggi un significato irrinunciabile”. I quattro giorni di celebrazioni (dal 3 al 6 maggio 2010) comprenderanno la proiezione di una serie di film di argomento risorgimentale, presentati dal prof. Giancarlo Beltrame e corredati da un’esposizione fotografica e una maratona letteraria di circa 30-32 ore con lettura integrale delle [Confessioni di un italiano] di Ippolito Nievo. Durante il giorno avranno luogo diverse conferenze tenute da

esperti nel settore, mentre – durante una delle serate – sarà rappresentato lo spettacolo L’altro mondo del generale. Garibaldi a cent’anni dallo scoglio di Quarto (fra emigrazione, esilio ed oblio) di e con Emilio Franzina. Ma, soprattutto, il 5 Maggio verrà attuata una rievocazione sull’Adige dello sbarco dei Mille, accompagnata da canzoni e poesie garibaldine. Io, personalmente, già mi vedo a marciare in camicia rossa e stivali, intonando (con scarsa pietà per le orecchie altrui) canti

patriottici. Chi volesse imitare il mio esempio, o fosse semplicemente interessato a saperne di più, può contattare il prof. Allegri ([email protected]) per prenotarsi un posto nel novero del 1000.

Vi piace praticare un po’ di sano sport? Siete volenterosi e credete che una buona sudata sia l’antistress migliore? Allora l’Università di Verona può esservi d’aiuto anche in questo. Esiste, fin dal 1947, il cus (Centro Universitario Sportivo), una società polisportiva in cui diverse attività atletiche trovano la loro espressione (solo per citarne alcune, vi sono rugby, pallavolo, hockey su prato, calcio e basket). Si tratta dunque di un’associazione dilettantistica che aderisce ad un progetto nazionale in cui l’obiettivo principale è promuovere e stimolare lo sport negli Atenei. Personalmente non conoscevo l’esistenza di questo organismo finché un’amica non mi disse che desiderava fare dell’attività fisica nelle pause tra una lezione e l’altra. E il giorno dopo Giulia Fustini, rappresentante degli studenti di Scienze Motorie, me ne parla. Così sappiate che il CUS è aperto a tutti gli studenti e può coinvolgere ciascuno di noi. L’edificio che lo ospita, quel palazzetto rotondo in Viale Università (dietro la mensa), è aperto dal lunedì al venerdì, dalle ore 10 alle 14. Nelle attività di tipo ricreativo-amatoriale sono compresi esercizi come fitness, step o tonificazione muscolare, il cui scopo è sbloccare il nostro corpo che l’Università tiene ben ancorato alla sedia durante più sessioni d’esame. Per l'iscrizione è prevista la compilazione di un modulo con tutti i dati anagrafici e due quote da versare, una associativa ed un’altra in base all’attività che s’intende svolgere. È richiesto inoltre un certificato medico basilare per l’attività non agoni-stica ed uno rilasciato da un centro medico autorizzato per l'attività agonistica. Gli studenti e i docenti dell’Ateneo hanno ovviamente un’agevolazione che basterà richiedere in segreteria CUS.

Il sito del CUS è www.cusverona.it, e per qualunque altra informazione potete inviare una mail a [email protected]. Tonifichiamoci!

UN’INIzIATIvA PER CELEBRAREIL PRImO gRANDE EvENTO NAzIONALE

4 PER mILLE

CUSCentroUniversitario Sportivo

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il canto delle sirene: due voci a confronto

1. tre parole per definire l’università italiana.Vecchia, con un grande potenziale e futuribile.

Sfascio, squallore, nepotismo.

2. un difetto dell’univr.Deve ancora trovare la sua identità.

Probabilmente la provincialità. Mio padre è di Treviso, io sono veneziano, ho studiato a Padova e avuto un matrimonio infelice a Vicenza, il Veneto lo conosco bene e ho potuto rendermi conto che Verona non ha ancora raggiunto un’identità culturale profonda. Nonostante questo la nostra università è decisamente al di sopra della media, per la prepa-razione dei docenti (guardate i miei amici Aikema, Olivato, Avezzù, Allegri, Bottari e il giovane Pagliaroli, una mente brillante tutta da conoscere).

3. Ha mai fatto favoritismi?No.

Favoritismi mai, non rientra nei miei costumi; favori invece sì, tanti: io sono qui per gli studenti, mi piace andare incontro alle loro esigenze, se posso.

4. conosce qualcuno che l’ha fatto?No, credo di no, e comunque non verrei certo a dirlo a voi [ride].

Certamente sì. Non necessariamente in questo Ateneo, ma il sistema è marcio.

5. È mai stato insultato da uno studente?No. Non direttamente, almeno! Probabilmente sì. Mi viene in mente un episodio divertente: io con gli studenti ho un rapporto di grande franchezza, tutti conoscono la mia passione per le cravatte (ne ho circa 500). In uno dei test di valutazione, una ragazza nelle ‘osservazioni’ ha scritto: “Ha delle cravatte orrende”.

6. Quali sono le doti che non devono assolutamente mancare allo studente che voglia superare brillantemente il suo esame?La capacità di ragionare. Non aggiungo altro.

Non importa quello che sa, ma quello che mostra di aver capito. Ci sono studenti che sanno tutto ma non hanno capito niente. Il peso dell’erudizione conta, certo, ma non c’è solo quello. È importante la rapidità nei collegamenti.

7. lei che tipo di studente era?Non frequentante. Questo l’ha mai penalizzata? No, come tanti studiavo molto per conto mio, assecondavo le mie passioni, cercavo nelle lezioni soprattutto l’originalità, le idee nuove, che si formavano lì, nell’aula. Non mi piacevano quelli che si attenevano rigorosamente ai libri.

A posteriori mi rendo conto che potevo sembrare ruffiano. Ma questo solo perché adoravo il mio professore, Carlo Diano. Lo stimavo profondamente e mi sarei gettato nel fuoco per lui.

8. È mai successo che una studentessa abbia tentato di sedurla?In che senso? [Finge di non capire, allora gli chiediamo se una qualche ragazza ha mai cercato di sfruttare la seduzione per guadagnarsi un voto o una promozione]. Assoluta-mente no, per guadagnarsi un voto no.

Molte volte. E lei ha resistito? Quasi sempre. Ma erano tutte maggiorenni e avevano già fatto i miei esami. E poi se una giovane donna desidera accostarsi a me, di sicuro lo fa per un’attrazione intellettuale. Io non sono bello come Alberto Scandola, che invece è molto concupito. Una volta una studentessa gli ha lasciato una rosa nella cassetta della posta… io sono andato dal fioraio fingendomi lui per scoprire chi l’avesse comprata!

9. Quale canzone ha preferito del festival di sanremo?Quella di Noemi, che tra l’altro si è laureata con una tesi sul cinema. ah, ma allora è per questo che la preferisce! No, no. Mi piace come personaggio, e poi sembra una persona intelligente.

Io faccio parte di un gruppo su Facebook: “Salvateci da Sanremo”.

10. cosa ne pensa di X-Factor? lo segue?Sì lo seguo, i cantanti mantengono più personalità rispetto ad altre trasmissioni come Amici.

No. Ma l’altro giorno alla Fnac c’era un tale di X Factor, Meniconi, o qualcosa del genere [Mengoni, nda], che rilasciava autografi e c’erano almeno 500 persone che si trovavano là non tanto per sentirlo cantare, ma per avere la sua firma. Che squallore.

11. il suo libro preferito (o un libro da leggere assolutamente).Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.

La morte di Ivan Il'i¢ di Tolstoj, o i racconti di Tomasi di Lampedusa.

Il prof. Alberto Scandola – dal 2006 docente ordinario di “Storia e critica del cinema” presso il nostro Ateneo – oltre che per il suo lavoro accademico e per l’aspetto attraente, è rinomato anche per le sue pubblicazioni (in particolare le monografie su Roman Polanski, Marco Fer-reri e Ingmar Bergman), nonché per le fruttuose collaborazioni con il “Verona Film Festival”. Docente giovane (e non solo anagraficamente), interessante e al passo con i tempi, ha risposto con piacere e un pizzico di ironia alle nostre domande. Alla fine dell’intervista, anzi, con un sorriso ci dice che avremmo dovuto osare di più. Ahinoi, ad averlo saputo prima

Soprannominato dai colleghi “gatto Gedeone”, il prof. Francesco Donadi si mostra subito entusiasta di poter rilasciare un’intervista a Pass. Ci accoglie nel suo studio, “il più bello dell’università”, dove trascorre gran parte del suo tempo: “Mi sono portato persino una chaise longue perché praticamente vivo qui: studio da mattina a sera e sono completamente al servizio degli studenti. La mia casa siete voi”. Filologo classico da sempre, si è oggi ribellato a questo stato e ha creato dei biglietti da visita, azzurro cielo, con una nuova qualifica: *sirenologo*. Di fronte a una cultura ufficiale spesso stanca e ripetitiva, a un mondo tecnologizzato e corrotto, lui desidera infatti riempire la sua aula di sirene, di chimere e di fantasia. Vuole aiutare i giovani a ricominciare a sognare.

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Intervista doppia di CAROLINA PERNIGO e ANTONELLA SARTORI

il canto delle sirene: due voci a confronto12. il suo film preferito.[La domanda lo mette in difficoltà, tanto che ci mette un po’ a rispondere] I quattrocento colpi di Truffaut.

Se ho voglia di piangere Il piccolo Lord, per ridere invece Parenti serpenti di Monicelli.

13. con quale personaggio della storia vorrebbe bere un the pomeridiano?Da dove avete tirato fuori questa domanda? [ride] Mah, prenderei piuttosto un aperitivo… con John Fitzgerald Kennedy, direi.

Con qualche sfigato. Io sono sempre dalla parte degli sconfitti. Con Francesco Giuseppe d’Austria; ma non per intenzioni eversive, solo come esempio di governo pulito.

14. cosa pensa dei libri di testo fotocopiati?Mi dispiace per i diritti d’autore, ma anche gli studenti avrebbero diritto a una cultura che costi meno, quindi non sono contrario. *Neanche se i libri sono suoi?* No, neanche in quel caso.

Cerco di mettere sempre nei miei corsi libri economici, cercando anche di valorizzare gli editori minori. Penso che il libro sia un dono e sia bello possederlo, però non tutti sono in grado di farlo. Questo fatto dei libri fotocopiati è una sorta di esproprio proletario legittimato dalla necessità; bisogna comunque distinguere tra ragioni economiche forti e quei casi dove gli studenti non fanno l’esame per amore di ciò che studiano, ma per levarsi dai piedi qualche cosa. Di conseguenza ci sono queste fotocopie che girano, laide e sbrin-dellate, che dimostrano molto dello studente che le possiede.

15. meglio l’italia o la Francia?Dipende per fare cosa. Per studiare di sicuro la Francia. Le tasse universitarie costano molto meno, inoltre là c’è un senso dello stato, della cosa pubblica, molto più elevato. C’è una maggiore coscienza sociale, sono più avanti per quanto riguarda le rivendicazioni dei diritti. Ma anche l’Italia ha i suoi pregi, di sicuro.

La Francia. In questo momento mi vergogno talmente del nostro governo, che sono molto tentato di prendere una cittadinanza straniera; ma non per gli italiani, solo per il lerciu-me della politica di oggi.

16. meglio Verona o padova?Verona.

Padova, ma dal punto di vista della qualità della vita, non dei monumenti. Verona si farà, ma per ora non è ancora così: per questa città, fatta per le automobili, gli uomini sono quasi un incidente. Io confido nei giovani perché le cose cambino.

17. cosa pensa di Facebook?Io non ho un profilo Facebook e cercherò di non averlo il più a lungo possibile. Godo nell’essere introvabile, anche se mi rendo conto che è un ottimo mezzo di comunicazione, l’e-mail ormai è antica.

All’inizio ero molto scettico. Poi un’allieva mi ha convinto ad iscrivermi; ora sono convinto che sia uno strumento molto importante, un sostituto della famiglia, un luogo dove si baruffa, ci si conosce, si ha la possibilità di accrescere le proprie conoscenze. Facebook è diventato una piazza elettronica che è andata a sostituire le vere piazze – visto che le vere piazze non ce le danno perché sono piene di automobili. E poi in Facebook mi ci diverto, cerco di essere fan di tutto il possibile immaginabile [ci mostra il gruppo che ha creato, gli “Amici dei dadi da brodo. 6 cfu”, polemica non troppo velata a rivelare come oggi siamo giunti alla “parodia del sapere”, nda].

18. Qual è il momento della sua carriera di cui va più orgoglioso?Orgoglioso non saprei… sono stato felice di portare Bruno Dumont a Verona con “Schermi d’amore”, così i veronesi hanno potuto vedere qualcosa di nuovo e perturbante. Ma non si tratta di orgoglio, più che altro soddisfazione.

Ciò che mi rende più felice sono questi anni di Verona, perché ho un magnifico rapporto con studenti e colleghi.

19. Qual è per lei il miglior libro pubblicato dal prof. Donadi/scandola?Quello che mi ha regalato [ci mostra Elena: variazioni sul mito, nda]. È l’unico che ha letto? [Solleva il sopracciglio, poi ride] Ma sì, tanto non si offende...

Marco Ferreri è un libro che amo molto. Sull’ultimo, Ornella Muti, abbiamo avuto da discutere: Alberto è dotato di una capacità di scrittura davvero notevole, che riesce a nobilita-re qualunque cosa, anche un personaggio che di per sé vuol dire poco.

20. tre parole per definire il prof. Donadi/scandola.Versatile, autoironico e… proprio non mi viene. Ah, ecco, trendy. Mettete trendy!

Bello, bravo e un tantino vanesio.

21. legge pass? cosa ne pensa?L’ho sfogliato qualche volta… penso che abbia molte potenzialità per crescere.

Molto carino, fatto bene e soprattutto l’italiano è abbastanza curato. Lo leggo perché sono curioso e così si scopre un po’ di gossip universitario.

22. Qual è l’oggetto che preferisce nello studio del prof. Donadi?La sedia a sdraio.

[Ride]. Faccio fatica a ricordarmeli tutti. I quadri in generale e anche i libri. [A questo punto, incuriosite, chiediamo spiegazioni riguardo al salvagente arancione posto sotto la sua scrivania]. Dovete sapere che molte cose che sono in questo studio sono in realtà “parcheggiate” in attesa di essere collocate nella mia casa, a Vicenza. Bisogna avere il corag-gio di dire che un professore può essere bravo anche se ha un salvagente; in particolare questo l’ho comprato a un mercatino perché ho pensato fosse molto carino metterlo all’interno della doccia. Inoltre ci sono affezionato per il mio lavoro sulle sirene, che mi hanno completamente stregato.

23. per concludere alla marzullo, si faccia una domanda e si dia una risposta.Che cosa risponderà il prof. Donadi? Non saprei, ma non vedo l’ora di leggere la sua intervista. Credo che sarà molto divertente!

Cosa faccio stasera? Niente, mi mangio una pizza. In mensa. Simone è un pizzaiolo straordinario, le signore mi coccolano, mi trattano come uno di famiglia e mi danno doppia porzione di patatine fritte.

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Ho visto cose... Così avrei iniziato questo articolo se avessi voluto dare un taglio drammatico e rab-buiante all’argomento, ma a dire il

vero non prediligo gli incipit con citazione, in più questa è anche piuttosto banale e abusata. E poi, altro che bastioni di Orione e raggi B, io ho visto distinti vecchietti con moglie al seguito tramutarsi in iene rabbiose per accaparrarsi un pandoro vendu-to dal supermercato all’imbattibi-le prezzo di 1€, ho visto com-posti uomini d’affari avventarsi con la bava alla bocca sull’ultima tartina offerta dallo stand di una fiera (dell’elettronica per giunta) - un minuto di silenzio per il ragazzo che reggeva il vasso-io - e, ripensando a questi bei momenti in cui una società si trova compatta a condividere lo stesso obiettivo, potrà sembrare strano, ma l’immagine di un uomo che fruga nel cassonet-to in cerca di cibo mi appare naturale.Quest’uomo si chiama Tristram Stuart, è un giovane ricercatore laureatosi a Cambridge ed ha passato gli ultimi dieci anni in giro per il mondo a racco-gliere dati per studiare il modo in cui il cibo viene utilizzato dalle varie popolazioni. “Certo che gli stipendi da ricercatore devono essere veramente bassi in Inghilterra se questo povero diavolo è costretto a mangiare rifiuti” direte voi. Gentile da parte vostra pensare alle tasche di Mister Stuart, ma in Italia... no no, scusate, volevo dire in Inghilterra, gli stipen-di da ricercatore sono adeguati. La Regina Elisabetta abita adeguatamente il porcellino di terracotta del nostro ricercatore inglese. Il tutto comincia quando il nostro Tristram, poco più che quindicenne, decide di nutrire Gudrun (il suo porcellino in carne ed ossa) con gli scarti del supermercato e della mensa scolastica del paese, giusto per risparmiare qualche sterlina. Grazie alla vo-racità del baldo suino, Tristram si rende conto della ingente quantità di cibo che viene spre-cata ogni giorno. “Il pane biologico scartato che davo al maiale era migliore delle pagnotte del supermercato che io e mio padre mangiavamo a casa!” scrive Stuart.Ed è proprio al suo insaziabile grufolatore rosa che l’attivista inglese, tempo dopo, dedica il libro Sprechi. Il cibo che buttiamo, che distrug-giamo, che potremmo utilizzare, dove docu-

menta con la ricerca sul campo l’estrema irrazionalità nella gestione del cibo su un pianeta, il nostro,di cui è sempre più difficile credere che sia la terra dove latte e miele scor-rono perpetuamente.Un pianeta dove un terzo della superficie è destinata ad agricoltura e allevamento - certo, quasi 7 miliardi di bocche da sfamare

non sono poche -, peccato che il 30 per cento circa del cibo prodotto venga scartato lungo la filiera alimentare mondiale e nello stesso tempo il 13% della popolazione mondiale, 1 miliardo di persone circa, risulti denutrita (dati FAO e ONU Italia 2004-2006).

Mentre la sola Europa continentale butta via 200 milioni di tonnellate di alimenti ogni anno e gli USA gettano il 50% circa del cibo prodotto, gli abitanti della Terra aumentano progressivamente e la previsione delle Nazioni Unite di una riduzione produttiva del 25% nell’arco del XXI secolo a causa dello sfrutta-mento intensivo delle terre coltivate pare non essere molto rincuorante per i nostri stomaci.

Stuart dimostra come questa mala-gestione delle vettovaglie sia balzana anche sotto l’aspetto economico: dove gli sprechi sono stati tagliati i margini di profitto sono aumentati, i contadi-ni hanno raddoppiato il loro reddito vendendo cibi che prima venivano scartati, i produttori sono riusciti a

risparmiare il 20% dei costi eliminando gli sprechi e i rivenditori hanno avuto la meglio sulla concorrenza grazie all’efficienza. La ridu-zione della pressione sulle risorse alimentari mondiali, secondo il ricercatore, porterebbe ad una stabilizzazione dei prezzi, migliorando così la condizione dei poveri che dipendono dalla fluttuazione dei mercati.Ma Tristram non si è limitato nella sua azione

di attivista e ha voluto condividere con migliaia di persone il piacere di mangiare cibo destinato alla discarica. Con l’aiuto di volontari e grazie all’im-pegno dell’associazione Fareshare, il giovane inglese, il 16 dicembre del 2009, ha organizzato “Feeding the 5000”, una manifestazione di sen-

sibilizzazione sullo spreco del cibo; chiunque passasse per Trafalgar Square poteva pran-zare gratuitamente, avvicinandosi agli stand allestiti per l’occasione, trovando un invitante pasto interamente preparato con alimenti che altrimenti sarebbero andati buttati. Alimenti, ad esempio, dalla forma “non adatta agli scaffali” come patate dalle dimensioni irre-

golari o carote storte, oppure sughi contenuti in barattoli ammaccati. Anche qua in Italia si muove qualcosa: un esempio è il progetto di ricerca dell’Università di Bologna chiamato Last Minute Market, il quale ha consentito di recuperare 890 tonnellate di cibo - circa un milione e ottocentomila pasti, per un valore di quasi 3 milioni di Euro - in soli 9 mesi del 2009. Last Minute Market, che è presente anche a Verona, raccoglie le eccedenze da mense e supermercati e le distribuisce a chi ha bisogno con l’aiuto di Caritas e S.Vincenzo. Il sistema è stato studiato e sperimentato e si presenta vantaggioso (anche economicamen-te) per tutte le figure che vi prendono parte riuscendo a trasformare lo scarto in risorsa.Le vie da percorrere esistono quindi, e quando leggo che una fabbrica inglese cestina ogni giorno 13mila fette di pane in cassetta, cioè quelle iniziali e quelle finali di ogni pagnot-ta perchè non sono della dimensione giusta, mi torna alla mente, come un simbolo, il roseo Gudrun mentre si rimpinza sui verdi prati.Si dice che del maiale non si butta via nien-te, e un tempo era proprio vero, fidatevi (evito di scendere nei particolari altrimenti il Pass che reggete potrebbe presto trovarsi a svolge-re l’ingrato compito dei sacchetti airsickness degli aerei e far risultare questo articolo ancor più indigesto di quanto già non sia), ma vien da pensare a cosa potrebbe cambiare se l’essen-za di sostenibilità che traspare da questo famoso detto venisse applicata da ognuno di noi e su vasta scala: forse non ci sarebbe più la necessità di andare a far la spesa nei casso-netti, per nessuno.

NON SI BUTTA VIA NIENTETrISTrAm STUArT dAVA dA mANgIArE glI ScArTI AI SUOI mAIAlI, hA fINITO cOl dAr dA mANgIArE glI ScArTI A 5000 pErSONE. Il SUO mOdESTO INTENTO? SAlVArE Il mONdO.

giuliano fasoli [email protected]

27i Kg di cibo buttati in media

da un italiano ogni anno

10%dei gas serra prodotti dai Paesi

ricchi proviene da prodotti agricoli mai consumati

20%la percentuale delle

emissioni di CO2 dovute alla produzione di cibo

fONTI Corriere della Sera (25.10.09), La Stampa (29.10.09), Avvenire (13.1109), L’Unità (6.11.09), www.feeding5k.org, www.lastminutemarket.org, www.tristramstuart.co.uk

TrISTrAm STUArTNato a Londra nel 1977, laureato a Cambridge, collabora regolar-mente con numerosi giornali e programmi radiofonici parlando di cibo e ambiente. Fa parte del movimento Freegan. È autore di due libri: The Bloodless Revolution: Radical Vegetarians and the Discovery of India (Harper Collins Ltd, 2006) e Waste: Uncovering the Global Food Scandal (Penguin, 2009) - vedi sotto.

Il lIBrOSPRECHI. IL CIBO CHE BUTTIAMO, CHE DISTRUGGIAMO CHE POTREMMO UTILIZZARETristram Stuart368 pagine, € 22,00 Pubblicazione: 2009 Editore: MONDADORI BRUNOISBN: 8861593798

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“Si deve fare il ponte tenendo contenti tutti quelli della Sicilia, la gang… Capisci? Un lato la mafia, la Sicilia… di quell’altro posto c’è la ‘ndrangheta calabrese… E la ‘ndrangheta è più forte della mafia”.Da tempo ormai, il governo nazionale e quello regionale siciliano fanno sapere che il ponte sullo Stretto di Messina si farà.Al progetto di un collegamento stabile tra Calabria e Sicilia si inizia a pensare ai tempi dell’Unità d’Italia, ma occorre un secolo per giungere a qualcosa di concreto.Nel 1969 ANAS (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade) e FS (Ferrovie dello Stato) bandiscono un “Concorso nazionale di idee” per un progetto di attraversamento stabile stradale e ferroviario dello Stretto: c’è chi propone il ponte isola, chi il ponte subac-queo e chi vari tipi di ponte sospeso.Nel 1971 viene approvata la legge n. 1158, che definisce il ponte opera di interesse na-zionale e autorizza la costituzione di una so-cietà di diritto privato a capitale pubblico che si occupi della progettazione, realizzazione e gestione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. Questa si concretizza però, sola-mente nel 1981, con la nascita della Stretto di Messina s.p.a. Nel 1985, sotto il governo Craxi, parte l’operazione ponte: passa defini-tivamente il principio del ponte sospeso a campata unica, valutato come realizzabile ed economicamente conveniente.Nel 1992 viene presentato il progetto preliminare definitivo; da allora passano altri dieci anni di controlli, studi e discussioni varie.Nel 2002 il secondo governo Berlusconi inserisce il ponte tra le opere strategiche, da realizzare con procedura accelerata.Nel 2005 l’Impregilo s.p.a. vince la gara d’appalto come contraente generale per la progettazione e costruzione del ponte. Nel frattempo, il nuovo governo, presieduto da Prodi, è contrario alla realizzazione dell’ope-ra, ma con la vittoria di Berlusconi alle ele-zioni politiche del 2008, il progetto del ponte torna in vigore.L’attuale progetto prevede la realizzazione di un ponte sospeso a campata unica della lunghezza di 3600 m, con 12 corsie auto-stradali e due ferroviarie. L’opera verrebbe a superare di gran lunga tutti i record mondiali per i ponti sospesi… ma a chi giova in realtà un’impresa di tali proporzioni? Quali sono

i reali vantaggi tratti dalla costruzione del ponte?I favorevoli lo considerano un’importante in-frastruttura in grado di rilanciare l’economia del Meridione, velocizzando prima di tutto il trasporto delle merci, che oggi avviene prevalentemente tramite Tir: con il ponte niente più buche per le strade e niente più code ai traghetti e la conseguenza sarebbe un risparmio di tempo nell’attraversamento di auto e Tir. In realtà il traffico su gomma occupa una quota ridotta, quindi il ponte non avrebbe grandi impatti trasportistici: gli automezzi che ne usufruiranno non sono sufficienti a giustificarlo.Un altro aspetto che i fautori del progetto sottolineano è che esso rilancerebbe l’uso delle ferrovie in Sicilia. In questa zona i treni sono in calo: un trend negativo che dura da anni, sia per il trasporto di passeggeri, sia per quello di merci. Secondo la società il ponte potrebbe creare le condizioni per un reale aumento della domanda nella moda-lità ferroviaria. Ma per trasportare cosa? In Sicilia l’economia è legata principalmente al mercato ortofrutticolo e oggi la stragrande maggioranza delle primizie si muove per mezzo di camion. E, se è vero che uno dei maggiori difetti del trasporto via camion resta la lontananza dai mercati europei e nazionali, tuttavia gli importatori hanno bisogno di una ferrovia che garantisca treni controllati dal punto di vista della refrigera-zione, al pari di quanto avviene con i camion, e questa innovazione tecnologica al momen-to non c’è.Inoltre, sulle lunghe distanze è in costante crescita il trasporto aereo e una buona parte del mercato ortofrutticolo siciliano se ne va

con le autostrade del mare, il cui tempo, è stato stimato, è circa lo stesso che via terra.Per cui, per rilanciare il sistema ferroviario, sarebbe sufficiente modernizzare le linee e i treni merci, per poter affrontare la con-correnza degli altri settori.Le critiche mosse al progetto sono moltepli-ci, a partire dall’impatto negativo sull’am-biente. In particolare, il ponte verrebbe costruito in una zona altamente sismica, con tutti i rischi connessi.Un’altra grande critica è legata al costo enorme di quest’opera: lo stesso denaro potrebbe essere utilizzato per modernizzare le infrastrutture del Meridione, dato che sarebbe inutile la realizzazione del ponte senza strutture all’altezza, quali autostrade e ferrovie, per poterlo raggiungere.Ultima, ma non per importanza, resta l’osservazione legata al forte rischio di infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione degli appalti e soprattutto dei subappalti; riguardo ai lavori per il ponte, il governo Amato fece fare una valutazione di impatto criminale: su diecimila miliardi di vecchie lire, la mafia ne potrebbe incame-rare quattromila.Il preventivo presentato dall’Impregilo è troppo basso, a detta di molti, per risultare credibile. Il che sta a significare o che i lavori per il ponte diverranno un altro pozzo senza fondo che divorerà denaro pubblico, come la già nota Salerno-Reggio Calabria, oppure che l’Impregilo ricorrerà al sistema dei su-bappalti che, oltre a non garantire la qualità delle opere, agevolerà le infiltrazioni della malavita organizzata.Una seria analisi costi/benefici non è stata fatta perché vi era il timore che i risultati non fossero buoni. Eppure si va ripetendo da anni che il ponte si pagherà da solo. In realtà non è così: i privati mettono soldi, ma non in-vestono, cioè non rischiano il capitale messo a disposizione, che è di fatto garantito dallo Stato. Chi ci guadagna sono le banche, che facendo da intermediarie a cifre così alte, incasseranno altrettante commissioni.Sta di fatto che il ponte non sembra avere le caratteristiche di un’opera prioritaria: i tempi non sono certi, i costi non sono certi, non si è capito chi lo paga e rimane il rischio che diventi l’ennesima macchina per divorare denaro pubblico, mentre la mafia e la ‘ndran-gheta sentitamente ringraziano.

sara ferri

pONTE SUllO STrETTOUN EVEr grEEN TUTTO All’ ITAlIANA cUI prOdEST?

18PaSS

L’occhio spiritato di una creatura senza futuro spia attraverso le sbarre della sua prigione. È il giorno del giudizio. Rinchiusa per un rea-to che non ha mai commesso, incatenata e

umiliata per la semplice ragione di essere al mondo. La pupilla dilatata respira a fatica attraverso un velo di liquida trasparenza. Nel nero avorio della lente bombata si specchia l’ombra obliqua dell’aguzzino. La gabbia trema, la saracinesca si apre. Poi colpi e strattoni, la tortura comincia. Alla fine non rimane che un piccolo corpo nudo con due sguardi sempre meno espressivi, sempre più distanti. Il tutto si consuma nell’anonima quotidianità del nostro presente. Lontano dalle luci della ribalta e dagli sguardi indiscreti, in una raccapric-ciante apatia che ha dell’incredibile, nella sorda e cieca complicità del mercato e della moda. Centinaia di pellicce grondanti sangue penzola-no da rudimentali cavi sospesi sul fango. Poco distante, in un brodo di sofferenza e morte, viene gettato ciò che resta dei prigionieri. Carcasse rosse e luccican-ti. La realtà delle fabbriche di pellicce è questa. Prevalentemente Nord della Cina, ma non solo. Là, ciascun allevatore annovera tra i cinquanta e i settanta gatti e più di duecento cani, tutti inscatolati in minuscole gabbiet-te all’addiaccio: il freddo garantisce lo sviluppo di un pelo più folto. Quando gli effetti prodotti dall’umidità e

dalla quantità insufficiente di cibo cominciano a manifestarsi visi-bilmente portando gli animali ai

limiti della sopportazione, gli scannatori li prelevano dal loro angolino e li appendono

per il collo. Mentre quelli scal-ciano, agonizzanti, prende for-

ma il calvario delle incisioni e degli strappi fino a che il pelo non è venuto

via del tutto. Ultimo stadio del processo: carne venduta ai ristoranti.

Le barbarie vissute da questi due animali domestici, poco si differenziano dalle sofferen-

ze a cui sono sottoposti procioni, visoni, volpi,

conigli e loro simili. L’informazione riguardante que-ste atroci procedure è scarsa, ma di certo non assente. Il sito che vi pro-pongo è inglese, ma di gran lunga uno dei più validi e impegnati eticamente: www.furisdead.com. Lì gli interessati potranno trovare link e informazioni essen-ziali per una maggiore consapevolezza dell’universo, tutto fuorché balocco sorridente, che ci circonda. Ma l’elenco delle efferatezze senza nome, e a torto relega-te nel silenzio inconcepibile di molti canali informativi, non termina qui. Basti pensare all’immane pratica del-la caccia alle balene (popolazione ridotta ormai all’1% di quella originaria), o ai delfini rapiti per i cosiddetti parchi acquatici ( dove solo il 35% delle ‘reclute’supe-ra i primi tre mesi alla cattura), oppure ancora le oscu-

re fabbriche di bile, in cui gli orsi vengono abbruttiti per estrarre dal loro fegato il presunto unguento miracoloso. E quindi gli allevamenti in cui le oche

vengono ingrassate tramite veri e propri ‘ingozzatori meccanici’ affin-ché il loro fegato (triplicato rispetto al normale) possa poi tradursi nel pregiato paté. E perché non citare gli zoo e il circo? Subdole osten-

tazioni di forza, prestigio e controllo dell’uomo sulla natura, ovvero stomachevoli dimostrazioni di crudeltà, viscerale ignoranza e immoralità. È naturale per una foca giocare con una palla? O per un elefante reggere tonnellate di massa su due sole zampe? O ancora per una tigre saltare nel fuoco –atavico spauracchio-? No, ovviamente. Eppure è con il termine ‘naturale’ che i circensi legittimano il proprio operato e si difendono dalle accuse. Ma al peggio non esiste fine, e dunque eccoci nel ventre più perverso e siderale dell’inferno terreno: lo zoosadismo. Ultima frontiera della por-nografia fetish crush, oasi da cui si dovrebbe trarre eccitazione nel vedere piccoli animaletti schiacciati sotto tacchi a spillo o piedi femminili. Certo, va detto che grazie a petizioni e denuncie della polizia postale molti di questi siti chiudono. Ma è altrettanto vero che come un’idra –che qui però non ha nulla di mitologi-co- mozzata una testa altre buttano fuori sotto nuove

Michele cavejari

lA rAZZA INfErIOrEIl dEclINO dI UNA cOScIENZA dE-ANTrOpOlOgIZZATA

PaSS19

tinte e sembianze.Ecco dunque completata una breve ma terribile pano-ramica di ciò che solo l’uomo ha saputo originare. Già, millenni di evoluzione sembrano non essere bastati per psicologizzarci tutti verso una completa tutela della vita! Al contrario, l’osceno squarcio sulla tela dell’oggi testimonia la presenza di un tumore ancora troppo esteso. E allora, dove termina l’uomo e dove bisogna cominciare a parlare di mostro? Il male vie-ne sempre dipinto in un altrove extra-diegetico che in realtà consta nella porta accanto, siamo costan-temente spiaggiati dal pregiudizio e coccolati in una fragilissima bolla di sapone trasportata dalle correnti… Ma attenzione, niente autocommiserazione. Poiché la disinformazione nell’era dell’Informazione non solo costituisce uno stridente ossimoro, ma non può più essere impugnata nem-meno come alibi! Il punto è che prefe-riamo crogiolarci nella crisalide delle dolci illusioni, piuttosto che affron-tare la scomoda tensione conoscitiva orientata all’oltre-qui e ora. Insomma, è l’ignoranza l’unica, vera, moderna causalità aristotelica che sovrintende la volon-tà di agire. Si, perché i primi oggetti di neutrale indifferenza, molto spesso, sono proprio loro: gli animali. Un esempio? Tanto per cominciare nessuno si interroga nemmeno più sul significato che la società si impegna a garantire dietro al termine ‘animale’. Animale rappresenta forse il passato e il futuro dell’umanità, o rimane l’appellativo senza spes-sore etico attraverso il quale discriminare altri uomini (aggettivo de-antropologizzante)? Serbatoio di vera vita al quale attingere, sinonimo di armonia… o dietro a quella parola non risiede che la volgare messinscena della giungla metropolitana (quella dello zoo), il fulcro dell’ideologia circense, un’immagine artificiale, uno stereotipo danzante, una macchina senza memoria ne

istinto ne parola?La verità, oggi, è questa: Animale =

creatura sempre più fanta-sma di se stessa.

Scandaloso e inammis-sibile, tuttavia inopina-

bile. Perché c’è chi

abbandona gli amici a quattro zampe come se fossero un vecchio cencio inutile, ai bordi dell’autostrada: condan-nandoli al patibolo. C’è chi li prende a palletta-te per puro divertimen-to. C’è chi li colleziona, chi li brutalizza in habitat artificiali dentro casa o peggio ancora nei “parchi per famiglie”. Chi li sodomizza per far sorridere o intenerire negli spetta-coli. C’è chi li usa, chi li regala come se fossero giocat-toli, c’è chi si veste con la pelle del suo migliore amico. Esistono centinaia di forme di maltrattamento. Basta cliccare sulla Rete, basta aver voglia di aprire gli occhi!

E allora, come si fa a rimanersene buoni e tranquilli dopo aver visto un ‘uomo’ donare la morte tra spasmi, dolori inimmaginabili e

improvvisi lampi di coscienza in cui la pupilla nera invoca solamente la morte più rapida e assoluta (A shocking look inside Chinese fur farms)?La violenza sugli animali non è che l’abomine-

vole sublimazione della violenza sull’uomo, perché essi non possono difendersi, non possono sottrarvi-si, e il diritto che dovrebbe tutelarli resta un alone di disarmante indeterminatezza! No, io non voglio essere ‘quella gente’! Nessuno deve essere ‘quella gente’! Basta con il disinteresse! Basta con quei muti consensi dalla brevissima esistenza e quel baluginante senso di colpa pronto a eclissar-si nel giro di un flash! Basta con i ‘no’ scandalizzati rimasti semplici parole, basta con l’indignazione fine a se stessa, basta con i buoni propositi che in breve si ritrovano a penzolare negli antri bui della memoria! E se ancora non credete ne valga la pena: guardate quei video! Facciamo qualcosa di concreto! Il sito degli Animalisti Italiani, ad esempio, permette a chiunque lo voglia di mettere in pratica molti progetti per il bene degli animali (persino di devolvere il 5x1000!). Inutile dire che non esistono scuse! Se vi ritenete superio-ri agli animali soltanto perché credete di avere una coscienza... imparate ad usarla. Fino ad allora, l’unica vera razza inferiore siamo e resteremo noi.

ofederico longoni [email protected]

Mi chiamo Chuck. In realtà questo non è il mio vero nome, ma tutti mi chiamano così. Avere sedici anni come me non è facile come tutti pensano, non è bello come tutti credono. In questo periodo buio della nostra società, dove il futuro per noi giovani

non è affatto roseo, essere mio coetaneo significa non avere ambizioni, non sapere come saremo fra dieci anni, non riuscire a capire perché gli adulti ci puntano subito il dito addosso appena succede qualcosa di sbagliato. Ecco, questo è avere sedici anni. Ma c’è di peggio. Se hai sedici anni e ascolti musica rock, ti vesti con jeans e maglietta consumati e vai in giro in skate da solo allora sei visto dai benpensanti bigotti del mio quartiere come il figlio illegittimo del diavolo.Nessuno capisce che non c’è niente di male nella musica che ascolto, nel modo in cui mi vesto e nelle passioni che coltivo. Io passo i pomeriggi a strimpellare con la mia chitarra, ereditata da uno zio che andò a Woodstock e che visse il periodo più bello della storia recente, gli anni ‘70. La mia unica ambizione, per ora, il mio sogno più grande, è diventare una rockstar. Sì, proprio come quelle che vedi in tv, anche se in realtà al giorno d’oggi di rockstar vere, genuine ne sono rimaste poche, visto che la maggior parte di loro si sono vendute solo per i soldi e per il successo.Sono appena tornato dalla visita consueta al mio negozio di dischi di fiducia, l’unico rimasto aperto nel giro di parecchi chilometri, l’unico che ha resistito all’arrivo dei megastore in centro. Quando entri da Jack, il gestore del piccolo negozio di dischi, sei invaso da un’atmosfera unica, quasi irreale. Senti il pro-fumo dei dischi nuovi, quell’odore inconfondibile di cd freschi di stampa. Jack, quando mi vede arrivare sulla mia bici, mi accoglie sempre con una stretta

di mano, e mi arruffa i capelli amorevolmente. Sono uno dei suoi pochi clienti, ma lui, ormai sessantenne, ha deciso che il suo storico negozio rimarrà aperto fino a quando andrà “in un luogo migliore”, come dice sempre lui.Senza chiedere niente, Jack mi dice subito che sono arrivate delle novità davvero forti. Mi accompagna nel retrobottega, e apre un pacco ancora sigillato. Poi apre un altro scatolone vicino, e un altro ancora dietro la porta. Torniamo di là, e Jack mi dice, con la sua voce roca ma dolce, tieni, portali a casa,

ascoltali bene e poi torna per dirmi cosa te ne pare, ci conto.Saluto e in sella alla mia bici percorro i tre chilometri che mi separano da casa. Nel mio garage, che l’anno scorso ho trasformato nel mio piccolo regno, butto in un angolo lo zaino pieno di libri scolastici quasi mai aperti e inizio ad ascoltare il primo dei tre cd che Jack mi ha consigliato. Ancor prima del titolo mi colpisce la copertina, che raffigura due mani che tengono tra i palmi chiusi una fiamma blu. La band si chiama Blood Red Shoes, e l’album

s’intitola Fire Like This. Il sound mi piace, un garage rock grezzo e potente, che mi ricorda un incrocio tra i Nirvana e i White Stripes. Le canzoni, tutte tiratissime e martellanti, scorrono nelle mie orecchie come una tempesta. Mi è già entrato in testa il ritornello di Light It Up, e quando memorizzo al primo ascolto una canzone significa che mi piace un casino. La melodia di questo pezzo è semplice, lineare ma mi convince e la metto in loop. Dopo averla ascoltata per cinque volte di fila, proseguo con le altre tracce, fino a quando

arrivo in fondo. L’ultima traccia, Colours Fade è la più lunga, ben sette minuti. Mi incuriosisce non poco. La chitarra, suonata da Laura-Mary, una ragazza mora davvero bella, e la batteria, che suona un giovane ragazzo biondo, Steven, irrompono immediate e graffianti. Scorgo delle sonorità noi-se nella seconda parte, riconosco echi dei primi Sonic Youth. Beh Jack, penso, anche stavolta ci hai azzeccato!Tolgo dallo stereo il cd dei Blood Red Shoes e inserisco

subito il secondo consiglio. Anche questi non li conosco, mi sento ignorante in campo musicale, eppure pensavo di saperne parecchio…vabbè, premo play e parte la musica. Sono gli Spoon, e il disco nuovo si chiama Transference. Le prime tracce mi lasciano perplesso, troppo “indie” per i miei gusti. Noto comunque uno stile casalingo, la produzione è scarna, senza troppe elabora-zioni post produzione, e questo sentore di garage rock registrato al momento mi fa cambiare idea. Arrivato a metà ecco la scossa: Written In Reverse è un brano dal ritmo funk, con una tastiera che fa a gara con la batteria. La voce del cantante, a momenti dolce, a momenti rabbiosa, mi affascina. Bello, penso, davvero bello. Subito dopo arriva I Saw The Light, e arriva la sorpresa. Anche in questo pezzo il ritmo è irrefrenabile, la chitarra elettrica sporca che aumenta sempre più di volume fino a sovrastare quasi del tutto gli altri stru-menti e la voce del cantante sono bruscamente interrotte a metà brano dal pianoforte, che prende il potere nei due minuti finali. Sono estasiato, all’inizio questi Spoon non mi dicevano nulla, ma poi queste due canzoni mi hanno fatto cambiare opinione. Il resto dell’album me lo godo di più, e mi convinco sempre di più che questa band spacca davvero.Terzo cd, terza meraviglia. Anche in questo caso non ho la più pallida idea di chi canti. La copertina è tutta gialla, e io odio il giallo. Quando inizia la prima traccia di questo album, The Brutalist Bricks di Ted Leo and The Pharmacists, comincio a ridere di gusto. Penso a Jack, che sarà lì nel suo negozio a immaginare la mia reazione ai suoi consigli musicali. E se sta pensando a me che ballo e mi scateno al ritmo garage punk di questa band, beh, sta pensando bene. Non si riesce a stare fermi sentendo Mourning In America, la seconda traccia. Un punk grezzo e divertente che però contiene dei contenuti importanti nel testo, come noto sfogliando il libretto del cd. Even Heroes Have To Die è un altro brano che mi esalta, mi fa ballare da solo nella mio garage/stanza fino ad avere il fiatone. Dopo quaranta minuti e tredici canzoni, nella mia stanza torna il silenzio, rotto solo dal mio fiato corto. Riprendo lo zaino, ci metto i cd e torno a grandi pedalate da Jack. Il sole sta tramontando, e l’ombra lunga dietro di me sembra inseguirmi ma non rag-giungermi mai. Il mitico Jack è seduto fuori dal negozio, su una vecchia sedia di legno rovinata dagli anni. Il suo sorriso mi dà fiducia, mi fa sentire bene, amato come un padre dovrebbe amare il proprio figlio. Mio padre invece, che è fuori per lavoro quasi tutta la settimana, quando torna a casa è sempre stressato, arrabbiato con tutti senza motivo, e un sorriso da lui sono anni che non lo ricevo. Do una pacca sulla spalla al mio mentore, e dico, grande, anche questa volta hai centrato in pieno i miei gusti! Entriamo nel negozio, pago i cd, e come sempre ho uno sconto, come riconoscimento della fedeltà verso quel negozietto scalcinato ma incredibilmente affascinante che frequento da anni. Una volta a casa, nonostante tutto il malessere e la rabbia che mi porto dentro da troppo tempo, sorrido pensando che fortunatamente esistono per-sone che mi considerano, che mi aiutano ad andare avanti consigliandomi qualcosa sempre nuovo e particolare per tenermi stretta la mia più grande passione, la musica. E quindi, in questo mondo che va a rotoli, che cade in mille pezzetti, che non mi garantisce un futuro felice, spero con tutto il cuore che almeno la musica resista, si aggrappi con le unghie e con i denti e rimanga integra. Pura, sana, potente come il rock’n’roll!

Ascolto sempre volentieri il tentativo di gruppi più o meno famosi di coverizzare i capolavori della musica moderna. È vero, spesso li infamo perché li stravol-

gono senza ritegno, ma mi piace sempre sentire come lo stesso pezzo possa essere percepito in modi tanto diversi. Certo è che oggi la celebrità di molti brani induce alla sottovalutazione, non li si ascolta più con l’attenzione che meritano. Conti-nuiamo a sentirli ma non li ascoltiamo davvero. Ecco allora nascere dalla collaborazione di Ferruccio Spinetti e Petra Magoni,il progetto Musica Nuda. Spogliare, scarnificare alcune delle canzoni più significative della

nostra storia recente, per restituirci in una chiave personalissima, la potenza smarrita. Sotto le dita sapienti di Spinetti il contrabbasso vibra sinuoso, gonfiando l’aria d’un’intensità tutta jazz, in cui si muove istrionica la voce di Petra. Tra i brani scelti Nessuno di Mina, Blackbird dei Beatles, Nature boy di Ahbez( brano rifatto anche da Bowie-Massive Attack ). Impegnativo progetto di svuotamento musicale in cui l’immaginazione regna sovrana: “Spogliando la musica, trovando l’arte” (Jazzitalia.it, ndr).

PaSS 20

BlueNoteanna pini

IN ThE gArAgE I fEEl SAfE

1988. Una giovane formazione di Seattle, Queensryche, s’impone sulla scena mondiale, con l’uscita di uno degli album più complessi della storia del metal; il genitore di moltissimi

gruppi autodefinitisi prog, l’album faro di intere generazioni, quello più

interpretato, quello più reclama-to, l’album che ogni musicista dell’ambiente (e parlo di Bruce Dickinson, mica pizza e fichi) vorrebbe aver partorito: OPE-RATION MINDCRIME. La storia che si dipana canzone dopo canzone è conturbante e malata ab-bastanza perché ognuno vi si trovi suo malgrado rispecchiato. In un’America del futu-ro un giovane tossico, Nikki, sgomento di fronte alla vischiosa

corruzione del suo paese, si lascia abbindolare dal dottor X, perfido manipolatore a capo di un movimento rivoluzionario. L’eroina lo tiene in pugno, e Nikki, diventato un killer, si ritrova incapace di reagire, finché non viene arrestato e portato in manicomio in uno stato di trans. In una veglia forzata gremita di ricordi e incubi, stretto nella camicia di forza, sulle note di un’eterna eyes of a stranger, l’amara scoper-ta di come il suo tentativo di rendere il mondo migliore sia stato solo manipolato: I remember now…. Bando alla mediocrità: questo album non ha un difetto, a partire dai bellissimi testi, cui spesso molti gruppi del genere non attribu-iscono la dovuta impor-tanza. Ogni canzone è co-struita a regola d’arte¸ riff graffianti, assoli che vi sfido a non canticchiare per i prossimi 20 anni, mostruosi tempi di

batteria, il tutto condito da un nostalgico sound anni 80. Ma la pietra d’angolo si chiama Geoff Tate. È lui, con la sua inimitabile voce, con la sua rara capacità interpretativa che ci introdu-ce in questa realtà torbida e affascinante.Corruzione, persuasione, droga, potere, sesso, rivoluzione, guerra. Sullo schermo di un’Ame-rica dai contorni indefiniti DeGarmo, Tate e compagni proiettano il film e la colonna sonora della nostra fantascientifica deriva. Un album sui condizionamenti cui siamo spesso preda inconsapevole, che ci impone delle riflessioni su chi siamo e soprattutto, su chi scegliamo di essere.

I used to thinkThat only America’s way was rightBut now the Holy Dollar rules everybody’s livesGotta make a million doesn’t matter who dies

drEAm Of IllUSION Pensate alla prima band metal italiana che vi viene in mente. Direte, beh, è facile visto che ne esistono così poche che si contano sulle dita di una mano. Oggi vi presento una nuova band metal che vi piacerà, ne sono certo.Il loro nome è Dream Of Illusion, sono cinque giovani musicisti di Legnago e sono pronti per scuotere i vostri timpani.Basta ascoltare il loro primo album Decaden-ce per rimanere positivamente colpiti dal loro sound: grossi riff di chitarra e batteria pestata a dovere come nel più classico heavy metal condito da ottime melodie orecchiabili e che rimangono subito in testa. Spiked Rain, ad esempio, è uno dei brani che più mi ha colpito grazie al suo ritornello egregiamente cantato da Frank, il leader della band, e contornato da poderosi muri sonori degni delle più note band

d’oltreoceano come Alter Bridge e Avenged Sevenfold. Anche Hysteria non è da meno, anzi, ascoltando il pesante intro e immergen-dosi poi nei cinque minuti della canzone, mi convinco del tutto che questi Dream Of Illusion hanno talento da vendere. Vorrei avere tra le mani l’intero album, per po-terlo ascoltare a palla e spaventare la vecchiet-ta del piano di sotto! E allora, se anche voi volete una dose di poten-za, adrenalina a quintali e melodie da brividi andate e sentitevi fino allo sfinimento i Dream Of Illusion. Ne sono certo, un giorno anche loro saranno come i Lacuna Coil, i portabandiera del metal italiano nel mondo. Prossime date: 19 giugno al festival Rockvill di Villabartolomeahttp://www.myspace.com/dreamofillusion

grINNINg ShAdOWSThe New Curse.Dopo tre anni di silenzio, ecco riemergere dall’ombra i mantovani Grinning Shadows, con questa nuova “benefica” maledizione. Benefica prima di tutto perché li ha catapultati nel mon-do della registrazione professionistica (Nadir Music, ndr), con relativi benefici per i novelli ascoltatori, e poi perché ce li restituisce in una veste del tutto nuova rispetto a come li aveva-mo lasciati in Stains of sin. Giunge con il terzo lavoro, l’era della maturità. Questi nuovi Grin-ning hanno oggi una diversa consapevolezza di ciò che sono, come risulta evidente dai brani proposti nell’album. Il sound rivoluzionato, è più corposo, e tratteggia meglio le inclinazioni dei singoli componenti, senza tradire la visione d’ensemble. Pur mantenendo uno stile ricono-scibile rispetto all’album precedente, i Grinning della nuova era virano il proprio timone verso un death metal dalle reminiscenze svedesi, che si apre senza riserve alle armonie sinfoniche di matrice classica. Lo scheletro ritmico poggia sulla violenza della

batteria, rimpolpato dal lavoro della chitarra, e come sempre da quello silenzioso ma impre-scindibile del basso. Soluzioni chiave sono affidate alle tastiere, su cui si spiega la linea vocale giostrata tra scream, cantato femminile e growl. Nei cinque brani contenuti nell’EP che è uscito il 20 Marzo, i Grinning lavorano per sottrazio-ne, perdono molto degli echi black del primo album, per riproporsi in modo piacevolmente nuovo. Un bel lavoro, da non sottovalutare, che consi-glio a tutti gli amanti del genere; un lavoro per chi ama le emozioni forti e non si intimorisce troppo di fronte a un growl e una doppia cassa.

Line-upMario Farina : voceSilvia Rigoni: voceSimone Cirani: chitarra e voceLorenzo Pini: tastiereDaniele Dui: bassoDaniele Roverato: batteria

RoCk On BaBe!anna pini

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anna pini

nuovi suoni

IN ThE gArAgE I fEEl SAfE

dream of illusion

grinning shadows

L’enigma GiorgioneQuando i quadri possono parlare

Chi non ha mai sentito nominare il pittore rinascimentale Giorgione alzi la mano! Benché il suo nome sia en-trato nell’immaginario comune, l’autore della celeberrima Tempesta rimane una delle figure più enigmatiche e dibattute di tutta la Storia dell’arte. Scegliere di organizzare una mostra su questa figura è dunque una sfida, che è stata rilevata da uno dei professori del Dipartimento di discipline storiche, artistiche e geografiche dell’Uni-versità di Verona, Enrico Maria Dal Pozzolo, il quale, insieme agli studiosi Lionello Puppi e Antonio Pao-lucci, ha organizzato un’interessante esposizione a Castelfranco Veneteo (Treviso). Una data di nascita incerta - attorno al 1478 -, un corpus di opere molto discusso, dei temi inconsueti e a volte ancora indeterminati hanno creato attor-no all’artista, morto giovanissimo nel 1510, un vero e proprio mito, alimentatosi lungo i secoli: nell’Ot-tocento diventa addirittura un eroe romantico, celebrato come filosofo e creatore della poetica del pae-saggio veneziano, e centinaia di dipinti gli vengono attribuiti senza nessun prova documentaria, solo secondo la fantasia di chi pensava fosse il vero e proprio iniziatore del-la grande stagione rinascimentale veneziana. Oggi questo mito è (in parte) ridimensionato, e la mostra propone di fare il punto sulla vita e sulle opere certe del pittore, la-sciando allo spettatore il compito di giudicare su tutte, quali attribuzioni siano attendibili. La prima parte, essenziale, descri-ve l’ambiente in cui Giorgione si è formato: nativo di Castelfranco, egli è stato in contatto, diretto o indi-retto, con la corte di Caterina Cornaro che dettava i principi della vita intellettuale e culturale trevigiana. Il visitatore si muove al piano terra della cosiddetta “Casa di Giorgione“ in cui la mostra è stata allestita, attraverso un coinvolgimento dei sensi con oggetti, libri e perfino musica appartenente a questo conte-sto, entrando in questo modo nel mondo dove sono nate le opere chiave della mostra. L’interesse per la natura, l’astrologia, i manoscritti e i reperti antichi sono gli elementi dominanti di questa cultura e si riflettono poi nelle opere del giovane artista. Salen-do le scale e accedendo al primo piano siamo messi di fronte alle fonti documentarie che permettono di ricostruire il percorso dell’artista - Vasari e Ridolfi per citarne solo le più celebri -, e successivamente passiamo nella ‘Sala del fregio’ dove scopriamo le sue opere: quelle giovanili prima, dallo stile minuzio-

so e dove la descrizione del paesaggio assume un ruolo dominante nelle scene rappresentate. Sono il Satur-no in esilio, i due quadri di soggetto ebraico e veterotestamentaro Mosè alla prova del fuoco e Il giudizio di

Salomone. Le opere sono giudiziosa-mente confrontate con incisioni di Albrecht

Durer, già diffuse in Italia e apprezzate dai pittori della Laguna. La sala è divisa in due sezioni, con la seconda che è fondamentale per capire la per-sonalità artistica di Giorgione: capolavori come La lezione di canto della Galleria Pitti, la famosissima e dibattuta Tempesta, dal tema ancora misterioso – a meno che non sia il primo paesaggio indipendente dell’arte italiana? - ed altissimi ritratti, che denotano tuttavia già una differenza di stile notevole fra di loro. Ci dispiace non vedere altri dipinti certamen-te attribuiti all’artista, quali I tre filosofi, o la Laura conservata a Vienna che porta sul retro la preziosa scritta “1506 a dì primo zugno fo fatto questo de

man de maistro Zorzi (Giorgione) de Chastel fr (Castelfranco) cho-lega de maistro Vizenzo Chaena (Catena)”. Infine al secondo piano la mostra ci presenta delle opere attribuite a Giorgione in via non del tutto certa, e delle opere contempora-nee e successive all’artista che presentano un chiaro legame con la sua opera, quali ad esempio le numerose incisioni e disegni del suo coetaneo Giulio Campagno-la. Questa mostra è una sfida interessante che permette anche al visitatore di capire quanto sia difficile per gli studiosi, in man-canza di documenti certi, attribui-

re delle opere ad un artista. Giorgione è certamente esistito, lo attestano i documenti, ma quante opere siano sue, e che influsso abbia potuto esercitare sull’arte successiva è un problema ancora aperto, in particolare perché spesso il suo nome e quello di Tiziano - suo allievo secondo le fonti - si contrappon-gono, come nella Venere di Dresda, purtroppo non presente in mostra. Capire il rapporto tra i due pit-tori è pertanto un problema essenziale per lo studio della pittura veneziana, e rimane un dibattito aperto.Una mostra coraggiosa quindi, che forse avrebbe potuto spiegare meglio i diversi problemi legati alle opere presentate, avendo ciascuna un’appassionan-te storia attributiva, rivelando ai visitatori il com-plesso processo di attribuzione stesso, e i problemi legati alla pittura rinascimentale davanti ai quali si trovano continuamente gli storici dell’arte.

Info: www.giorgione2010.itFino al 11 aprile 2010, tutti i giorni dalle 9 alle 18

ARTE

juliette ferdinand

dialogo d’arte con alex Zampini

PaSS 22

Una definizione di arte in tre parole.Un pagliaccio in cantina.

Cosa pensi sia fondamentale per poter es-sere in grado di creare un’opera che possa definirsi artistica?É una domanda più difficile di quello che appare. Non saprei definire un teorema assoluto. Ognuno cerca di raggiungere “l’illuminazione” seguendo la propria strada; credo che il comu-ne denominatore sia la sincerità verso se stes-si e la consapevolezza su ciò che si produce. E, sottolineo, consapevolezza non è sinonimo di razionalità.

Quanto è importante la poetica di un’ope-ra?Credo che la poetica sia più legata all’individuo nella sua complessità, piuttosto che al pensie-ro di un’opera specifica. L’opera in sé, non è che una manifestazione del suddetto pensiero. Avere una poetica è tanto fondamentale quan-to ardua da sviluppare; si leviga con il tempo, l’esperienza e l’indagine personale.

Alcuni galleristi dichiarano di ricercare ciò che è esteticamente bello. Credi che questa sia una delle problematiche dell’ar-te contemporanea italiana?L’arte nell’ultimo secolo ha assunto un’identi-tà contorta. Ha perso la sua funzione con-templativa e rituale, diventando un bene di consumo di massa. Per essere gradita dal grande pubblico, non è importante che l’opera sia compresa a fondo, ma che un “esperto” la consideri ufficialmente valida.

Parlami della figura del cosiddetto artista contemporaneo.Un abile e diplomatico mercante.

Qual è l’ultima mostra d’arte a cui hai as-sistito e qual è stata la tua reazione?L’ultima è stata a Verona, due settimane fa. Si trattava di un lavoro sulla dissoluzione dell’individuo. Un concetto di partenza molto

stimolante, ma straziato dalla banalità delle opere presenti e violentato dal formalismo che caratterizza questo tipo di ambienti.

Qual è il tuo rapporto con il mercato dell’arte?Non ho un vero e proprio rapporto, e nemme-no mi interessa averlo. Produco quello che mi piace, senza dover scender a spiacevoli compromessi. Un’ovvia controrisposta provo-catoria da parte tua potrebbe essere che “biso-gnerà pur portare la pagnotta a casa”. Giusta obiezione, ma esistono molti modi per farlo senza cadere nella trappola di un gallerista; basta guardarsi intorno, cercare di arrangiarsi e cogliere la giusta occasione. In questi termi-ni, internet è un ottimo canale.

A cosa stai lavorando?Al momento mi sto muovendo su diversi fronti. Musicalmente, sto sviluppando delle at-mosfere sonore per un progetto del fotografo Marco Bertin dal nome “Verona Grottesca”. Parallelamente sto lavorando ad una serie di video-ricette demenziali, che si propongono non tanto di illustrare la realizzazione di piatti, quanto piuttosto di innescare un germe di riflessione attraverso il canale dell’ironia. Infine, attendo la pubblicazione del mio primo libro fotografico, dal titolo Sulla strada di Casa: attraverso fotografie, narrazioni e saggi argomentativi articolo una riflessione sull’es-sere umano legata ai concetti di mobilità e stanzialità.

Ci sono molti dibattiti riguardanti il tema della fotografia digitale: c’è ancora chi so-stiene che l’unica vera arte fotografica si

faccia con le apparecchiature analogiche. Cosa ne pensi?A differenza dell’approccio analogico, in cui la luce si imprime direttamente sulla pelli-cola originando il negativo dell’immagine, la macchina digitale converte in dati virtuali le informazioni ottenute dal sensore. Si tratta di un sistema incredibilmente complesso, non del tutto compreso dalla maggior parte dei fotografi, me incluso. Se l’analogico ci dà l’illu-sione di catturare un frammento di realtà, nel digitale l’inganno è ancor più velato, e dietro la convinzione dell’“alta definizione” si nascon-dono espedienti elettronici che ci allontanano ulteriormente dal fenomeno rispetto alla fotografia tradizionale. Parte della riluttanza di alcuni verso il digitale, nasce, forse, dal fatto che le persone non affrontino riflessioni di questo tipo, ignorando cosa accade all’in-terno dell’apparecchio mentre attendono che l’immagine appena scattata appaia sul piccolo monitor.Da un punto di vista più “terreno”, il digitale sta praticamente cancellando il fotografo come professione: se prima era necessaria una camera oscura, oggi chiunque ha la possi-bilità di scattare e stampare “belle fotografie”. É un’idea democratica, ma rischia di annichili-re l’idea stessa di fotografia.

Il primo artista che ti viene in menteEric Clapton, che stiamo ascoltando in questo momento.

ContattiMail: [email protected]: http://www.youtube.com/carneficioipnoticoFoto: http://www.flickr.com/photos/zampinialex

a cura di Katia Bonini

dialogo d’arte con alex Zampini fotografo, video-maker e musicista bolzanino, diplomato in Design all’Accademia di Belle Arti G.B.Cignaroli.

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titolo: Pe Quadro artista: Alex Zampini dalla serie “incubazioni” della pubblicazione “Sulla Strada di Casa”

titolo: Arles, Francia, 2009 artista: Alex Zampini dalla serie “incubazioni” della pubblicazione “Sulla Strada di Casa”

titolo: Costa più uno spritz che la vita di un pollo artista: Alex Zampini

Lisbon, 2009, from the series “Porktraits”

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Quante volte vi è capitato di andare al cinema e pensare: “Se questo film mi piace lo scarico?”. Oppure vi siete detti:

“Meglio non andare al cinema e scaricare il film direttamente da internet così evito di pagare il biglietto?”.Questi atteggiamenti, ormai diventati abi-tuali, non tengono conto delle conseguen-ze negative che hanno portato alle major cinematografiche. Ma si sa, combattere con sanzioni questi atteggiamenti che incentivano la pirateria è battaglia persa. L’alternativa per le case cinematografiche è cercare un’altra strategia. Cosa c’è di meglio se non investire sull’ef-fetto 3D? A partire dall’ormai famosissimo film “Avatar” di James Cameron, le major pos-sono sperare di aver trovato la soluzione alla pirateria.Se è solo una vittoria temporanea lo si scoprirà in futuro: per il momento il dato certo è quello che ha visto i cinema nuo-vamente pieni e poche, anzi pochissime, versioni pirata girare per la rete o in DVD

taroccati. Oggi non sembra ancora sorta una tecnologia predisposta a visualizza-re, una volta copiati, i film 3D, e quindi di conseguenza non si è ancora creato un mercato per i film pirati di questo tipo. Qualcosa però si sta muovendo all’oriz-zonte, come ad esempio la nascita di televisori per la visualizzazione 3D annunciata per il 2012 dal vicepresidente responsabile della divisione TV di Sony Hiroshi Yoshioka. Questo vuol dire che in poco tempo il 3D potrà entrare nelle case di tutti e probabil-mente nasceranno altri programmi pirati

con cui si potrà scaricare il 3D. Sembra che l’unica difesa per il cinema sia quella di puntare continuamente sulla novità e aumentare la sicurezza sul copy-right, ma l’indiscutibile comodità e varietà di scelta che internet dà è molto più di una novità, e questo peserà sempre sul mercato cinematografico.Riuscirà il cinema a vincere anche “l’abitu-dine” delle persone di scaricare da inter-net? A parere mio, se un’abitudine nasce da una convenienza economica rapporta-ta ad una buona qualità e tempi brevi per avere il prodotto, allora con molta fatica quest’abitudine potrà trasformarsi in un’altra che convenga al cinema o a chiun-que cerchi di battere questa pirateria. Per cominciare ognuno dovrebbe farsi un esame di coscienza e chiedersi più spesso se scaricare da internet non possa rica-dere sulla stessa qualità del film. Meno soldi ai produttori, meno soldi ai registi per girare il film. Da questo punto di partenza, forse anche i prezzi dei DVD e CD scende-ranno?

Su nove nomination all’Oscar, The hurt locker ne ha vinti ben sei, ritagliandosi un posto nella storia del cinema, in particolare per aver

sbaragliato l’acerrima concorrenza del 3D di Avatar & Co.Il film di Kathryn Bigelow (ex moglie di James Cameron, regista di Avatar) non è un film di guerra come siamo abituati a co-noscere, né è propriamente un drammatico, ma resta costantemente in bilico tra i due regalando 130 minuti di vita abbastanza reale. Il film narra le vicende di un gruppo di artificieri dell’esercito americano in Iraq impegnato nel disinnescare i famosi IED (ordigni esplosivi improvvisati) che sono la prima causa di morte tra i soldati USA. La Bigelow sembra sposare in toto la causa del sergente James, il coraggioso artificiere che agisce sempre ai limiti dell’incoscienza, quasi uno stereotipo dell’eroe americano. D’altronde tutta la storia ruota sul fatto che

la guerra sia una droga e che i soldati siano talmente assuefatti ad essa da non potervi rinunciare nemmeno per gli affetti familiari (emblematiche a tal proposito le ultime scene). Non c’è quasi spazio per la critica pacifista sebbene in alcuni momenti alcune feroci espressioni dei protagonisti aprano uno spiraglio verso questa via, ma queste parole sono ben poca cosa rispetto alle azio-ni del sergente James... In definitiva ne esce un film strano, costato poco e che a malapena è riuscito a rientra-re nelle spese dato lo scarso successo ai botteghini, ma capace di andare a toccare punti dolenti nei cuori degli americani dove si mescolano l’onore e il rispetto per chi muore con l’assoluta insensatezza della guerra. D’altronde, il messaggio nascosto è chiaro, se essa è una droga bisognerebbe cessarla per porre fine alla dipendenza dei suoi protagonisti.

cINEmA VS pIrATErIAnadia ZandoMeneghi

paolo perantoni

ThE hUrT lOckErIl pArAdOSSO AmErIcANO

Titolo originale: The Hurt LockerLingua originale: inglesePaese: USAAnno: 2009Durata: 130 minColore: coloreAudio: sonoroGenere: drammatico, guerraRegia: Kathryn BigelowSceneggiatura: Mark BoalAttori principali: Jeremy Renner, Anthony Mackie, Brian Geraghty, Guy Pearce, Ralph Fiennes, David Morse, Evangeline Lilly, Christian CamargoProduttore: Kathryn Bigelow, Mark Boal, Nicolas Chartier, Greg ShapiroCasa di produzione: First Light Production, Kingsgate Films

SCHE

DA

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“Non sono ne uomo d’acqua, ne di monta-gna. Sono nato così, li, a metà strada fra due mondi. Per questo sono destinato a vivere in entrambi. Per questo mi muo-vo in essi e non riesco a trovare fissa dimora”.Poche parole e Morgan ci introduce in una realtà piccola, provinciale, quasi invi-sibile alla luce di tutte le vicende che coin-volgono l’Italia del periodo post-unitario. È in questo scorcio di mondo che si snoda la storia di una vita: è la storia di Morgan,

padre di famiglia, lavoratore instancabile, caparbio, taciturno e astuto, capace d’ispirare soggezione e rispetto, ma persona di infinita onestà e pieno d’amore verso la moglie e gli adorati figli.Sono le vicende che dovrà affrontare man mano lungo il percor-so che lo segnano, lo temprano, gli donano nuova forza: prima l’esperienza del contrabbando, poi la famiglia, la nascita della primogenita Ginevra, a cui seguono Mario, Giacomo e Isabella, il lavoro nella tenuta di un conte come custode, dove Morgan crescerà i suoi figli nel rispetto e nell’amore per la propria ter-ra… e infine il sogno americano: l’America raggiunge anche le realtà più provinciali, bussa impetuosa, allettando con speranze e promesse di nuove ricchezze, di una vita migliore. È la via che sceglieranno di intraprendere molti connazionali, è la via che anche Mario e Giacomo, con la speranza nel cuore, decideranno di seguire. È ciò che costerà a Morgan l’ultima grande vera sfida della sua vita, quando la mancanza di notizie lo spingerà, ormai vecchio e stanco, a partire alla ricerca dei suoi figli.Un libro breve, ma di un’intensità disarmante, semplice, chiaro e diretto nei racconti, quanto nella descrizione dei rapporti tra protagonisti, del legame tra essi e la loro terra.In poco più di una cinquantina di pagine Alessandro, l’autore, riesce a scattare una fotografia precisa dell’Italia di allora, nella storia di un uomo, Morgan, che di quella società ne è, si, parte integrante, ma da cui marca la differenza per il suo anticonformi-smo, la sua purezza, la forza d’animo e la tempra morale che lo porteranno a sorvolare tutte le barriere. Una roccia che nessun vento è riuscito mai a scalfire.

Note biografiche sull’autore

Alessandro Martinelli nato nel 1978 vive a S. Zeno di Montagna sul lago di Garda. Diplomatosi all’I.T.I.S. Grafico “S. Zeno” di Verona prosegue i suoi studi presso la facoltà di Lettere dell’ateneo veronese. Varie le segnalazioni a premi letterari nazionali tra i quali il Premio Internazionale a Licata (Agrigento), il Premio “Terrasanta” dell’Ordine Equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme e il Premio “Lucia Iannucci Mazzoleni” a Bergamo. Le maggiori soddisfazioni giungono dalla poesia dialettale infatti è nell’aprile 2005 che con “Ospedàl de Berlino” vince il 1° premio al Concorso Nazionale “La Carica” a Pastrengo. Nel 2007 è 1° classificato ai premi: “Bruno Tosi” a Legnago (VR) con “L’ultima Dansa” e “Poesie al Muro” di Garda con “El pù antico de i spèci”. A questi fa seguito la pubblicazio-ne di una breve antologia di poesie all’interno della rivista “Quaderni de Il Garda”.Il sentiero di Morgan (ARPANet, prima edizione nov. 2009, pp. 55, euro 8) è il primo romanzo che

pubblica.Il sentiero di Morgan è ordinabile presso Gheduzzi Ghelfi e Barbato e libreria Rinascita.

I libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto, i libri, magari li tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale. (Amos Oz, Una storia d’amore e di tenebra)

E non importa se lo scaffale in questione è di una libreria virtuale, l’importante è che il libro, bello o brutto che sia, venga ricordato. Questo è lo scopo di aNobii, creato nel 2005, da Greg Sung, giovane trentenne di Hong Kong. aNobii è una Libreria versione 2.0 con disponibilità illi-mitata di spazio; una community mondiale con cui poter dialogare tranquillamente delle proprie letture senza la preoccupazione di avere una foto più o meno seducente sul proprio profilo; inoltre, la totale assenza di polvere tra gli scaffali, è una caratteristica particolarmente apprez-zata da tutti gli amanti della pulizia. Attualmente aNobii, che deve il suo nome all’abbreviazione di Anobium Pun-ctatum (tarlo della carta, nda), contiene oltre 18 milioni di titoli e può essere utilizzato in 15 lingue diverse. L’iscrizione è molto semplice e veloce, poche informa-zioni personali sono necessarie per creare una Libreria. Caricare un titolo è altrettanto semplice: basta inserire il codice ISBN International Standard Book Number pre-sente nella quarta di copertina di tutti i libri e immedesi-marsi nel ruolo di critico letterario aggiudicando stelline di preferenza (da una a cinque), improvvisando recensioni, e accumulando libri nella propria lista dei desideri, vera os-sessione di molti iscritti. Ogni Libreria è pubblica; questo significa che è possibile curiosare nelle Librerie di chiun-que e, tramite una compatibilità espressa in percentuale (basata sul numero di libri in comune con gli altri utenti, nda), individuare i lettori con i gusti più affini ai propri. In quest’isola felice, dove non esiste la richiesta di amicizia e dove l’archivio fotografico degli ultimi dieci anni non interessa a nessuno, l’unica caratteristica valida è quella di essere lettore, non conta di cosa, purché appassionato.

mOrgAN SUl SENTIErO dI UNA VITAlA prImA VErA SfIdA pEr AlESSANdrO mArTINEllI

ANOBII, Il TArlO dEllA lETTUrAUNA lIBrErIA VIrTUAlE cON OlTrE 18 mIlIONI dI TITOlI dOVE pOTEr cATAlOgArE grATUITAmENTE lE prOprIE lETTUrE.

sara ferri

antonella sartori

rEAdINg IN mEmOrIA dI VANNI SOAVE

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SCOGLIO (isola d’elba spiaggia di Sansonetto)

Ti ho osservato tutto il giorno,sei condannato all’immobilità,mentre come per offesa tutto muove intorno a te.

Da secoli sopporti le maree,ascolti i latrati delle spumeggianti ondeche senza fine invadono i tuoi più nascosti scrigni.

E cosi, sarà per molto tempo ancora,il tuo urlo disperato viene smorzato dalle acque,non ti arrendi.

Dopo essere scomparso sotto la liquida copertariappari nella tua maestosità, solo più stancoma mai rassegnato.

Come un buon padre accogli e proteggi le creature del mare;a me non resta che osservarti ancora,ed il mio urlo si perde insieme al tuo,assorbito da una muraglia di spruzzi,l’ennesima stoccata di una schermitrice instancabile.

Luigi Schirru

Parigi si svegliaSbadigliano finestre di stanze al femminilecoperte scapigliate e cipria da rifare

i primi ambulanti calpestano i passi di alba dei gatti

l’uomo-sandwich incolla un’ora della sua vitauguale e sottile a tante altre

la ballerina sventola i suoi freschi anninella solitudine bianca del tulle

un violino piange la morte del droghiereche profumava di lavanda le sue magre ore di noia

e le ultime stelle le ruba il pittore per i lampioni dei boulevards

Anonimo

Il 18 marzo scorso, presso l’auletta “Incontri con l’Autore’’ della Biblioteca Frinzi si è svolto un reading in me-moria del giovane poeta Vanni Soave,

scomparso in un incidente stradale nel giu-gno del 2009. Vanni era un ex dottorando in Letteratura Italiana presso la Facoltà di Lettere della nostra Università; per motivi contingenti aveva dovuto lasciare il dotto-rato e ultimamente insegnava Italiano in una scuola del basso veronese. L’idea della lettura è nata quasi spontaneamente, dato che era giusto rendere omaggio a una persona che per la sua sensibilità ed umanità tutti avevano potuto apprezzare e ammirare. Si era laureato nel 2002 con una tesi su Montale con il Professor Lonardi, e proprio questo grande autore è sempre stato un punto di riferimento per lui; aveva infatti prodotto durante il suo la-voro universitario Eupelinos e l’oggetto del

mare,appunti su Montale e valey e Lo sta-gno e il baule, Note sulla presenza di Emily Dickinson negli Xenia di Montale. Il primo è contenuto nalla rivista Resine, il secondo è tratto dagli Studi in onore di Gilberto Lo-nardi. Ma Soave fondamentalmente era uno scrittore di poesie, grande appassio-nato di letteratura. Nello stesso anno della laurea aveva vinto la seconda edizione del premio nazionale Lionello Fiumi (promos-so dal Comune di Roverchiara, dove Vanni viveva) con la sua unica raccolta di liriche Il Rosario nel cassetto, che era riuscito a pubblicare nel 2003 e a ristampare nel 2006 per le Edizioni Progetto e cultura, Collana gli Artigianali. E’ stata questa mi-niantologia poetica ad essere letta il mese scorso dall’attore e autore teatrale vero-nese Francesco Gini, mentre il commento è stato affidato al professore Lonardi, che tramite i versi ha delineato l’io petico, la

vita e i sentimenti di un giovane autore contemporaneo, e lo possiamo affermare senza cadere nella retorica. Un semplice ricordo come semplice e allo stesso tempo profondo era Vanni, anche nello scrivere. Il vicesindaco di Roverchiara ha intenzione di ricordarlo nell’edizione di quest’anno del Fiumi, di cui ricorre il decennale, e il profes-sor Paolo Mariacci del plesso scolastico di Gazzo e Bogara ha indetto un concorso di poesia per ragazzi delle medie intitolato ‘’Vanni Soave’’. Un ringraziamento dovuto all’Assessorato alla Cultura di Monteforte, nella persona di Titta Savio, alla delega-zione FISAR di Verona, particolarmente al sommellier Renzo Tassello , a France-sco Gini che ha offerto i vini della sua azienda., e infine alla dottoressa Brunelli, direttrice della Frinzi che ha prontamente e gentilmente offerto lo spazio.

lorenZo MagnaBosco

IPOCRISIAPace, amore, valori comuni,poco sentiti e male applicati,senza vergogna girate la faccia alla vita degli altri,piangete per convenienza e lottate per rubare.

Luigi Schirru

Gli occhi di Anna MagnaniDue salti dentro una cordaper non sapere che l’amica è mortaaltre gambe magre nei quadrati della campanae c’è chi gioca a fare la donnatra le pieghe rosse di una sottanae poi le madri che portano i pannicome figli da lavare dalla miseria e dai malannie in fondo al grido di una stradellail volto di Nannarella

Anonimo

pOESIA

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a cura di Marta poli

ammazza il tempo

LE REGOLE DELLA CASA DEL SEME di alessio seMenZin(rielaborazione personale di frasi celebri tratte da film, libri e vita reale)

Uomini e Donne : istrUzioni per l’Uso

1) Non ci si parla quando si è sul water ed è assolutamente vietato, quando si è sul water, parlarsi;

2) La donna è di vetro, non bisogna romperla per vedere se è vera ;3) Un uomo tradisce per lo stesso motivo per cui un cane si lecca le palle, perché ci

riesce;4) Una donna non sposerebbe mai un uomo solo per i soldi. Prima se ne innamora;5) Ricordati: se fumi una sigaretta dopo aver fatto sesso, vuol dire che l’ hai fatto

troppo in fretta;6) La Gelosia è un abbaiare di cani che attira i ladri;7) Cosa fanno le donne? Si sciolgono;8) Bisogna partire dal presupposto che ogni uomo ha fondamentalmente 7 anni di

età celebrale;9) Le donne sono come le mosche, o volano sul miele o sulla merda;10) La donna va presa, compresa e sopresa;11) Anche Gesù ha perdonato la donna adultera. Per forza, non era la sua!12) Se una donna piange ci sono due motivi: o ha la vita sconvolta, o sta per

sconvolgere la tua;13) Bisogna sempre scendere a compromessi: se tu vuoi andare in montagna e la tua

ragazza vuole andare al mare, si farà che si andrà al mare, ma puoi portarti gli sci.14) Chi non sa dove va non sa cosa trova;

QUello CHe le Donne …1) Attenzione al tuo uomo quando scoreggia a letto: se ridi, le porte del suo ano

saranno per sempre dischiuse;2) Se il tuo uomo, durante una partita o un evento particolarmente piacevole per lui,

inizia a sbraitare e urlare, non usare quello sguardo da mucca che guarda il treno che passa;

3) Ricorda, un uomo è una donna più razionale;4) Quando un uomo porta dei fiori ad una donna senza motivo, un motivo c’è;5) Da quando hanno inventato il bidet, la pipa non sa più di niente;

QUello CHe Gli Uomini…1) Fai pochi regali, ma incartali bene;2) Quando una donna ti dice: “ Fai come ti pare”…è una sfida e non un permesso;3) Se non la baci la prima sera sei un gentiluomo, se non la baci la seconda sei gay.4) “Mamma posso farti una domanda? Che cosa vogliono le donne?” “Scarpe”;5) Il sesso è come il denaro, non basta mai;

DULCIS IN FUNDOnotizie CUriose avviato un corso ultra rapido di accensione proiettori, sintonizzazione microfoni e accarezzamento mouse per docenti universitari. La scusa “Io di solito uso il Mac” non è plausibile e soprattutto non ha senso.

proposte inDeCentistufi di eserciti di chiodi tutta pelle e trench, ecco alla ribalta lo spolverino!!! Spolverino style: solo per numeri uno.

sArAnno FAmosi Aperto il bando 2010 per il concorso “Quelli che in Frinzi studiano per davvero”. Maggiori quotazioni per la saletta lettura, il soppalco invece marca male: luogo di assoluta perdizione.

ipse DiXit “Non capisco perchè a Lettere si debba studiare il Latino”, frase celebre di una studentessa volenterosa e motivata. Il congiuntivo è stato adottato a discrezione dello scriba, in quanto non contemplato dalla parlante.

inDoVinA CHi sfoggerà la cravatta più improbabile tra i tuoi professori; al momento se la giocano degli aeroplanini arancio fosforescenti e dei fenicotteri fucsia. Frizzanti i primi, sbarazzini i secondi.

pArolA Del mese: CATADIOTTRI

FANTAOROSCOPOAmore: tenete per buone le Istruzioni per l’ uso del

Seme, con qualche dovuto accorgimento. Per il resto, se i vostri fratellini o cuginetti si lamentassero di dover andare a giocare in oratorio, ascoltateli: anche a voi certi giochi non piacerebbero.

Soldi: periodo astrale assai negativo per gli scrocconi. Smettetela di banchettare a spese dei vostri amici. Non sono delle Onlus.

Salute: allergia unica via. I soggetti più rischiosi quest’ anno sono gli affezionati alle graminacee. Il loro starnuto è il più ricco e irradiante. Non sbagliano un colpo. Pollini al ribasso.

Nero revolverdi Michele cavejariLA VIGNETTA

Gli occhi di Anna MagnaniDue salti dentro una cordaper non sapere che l’amica è mortaaltre gambe magre nei quadrati della campanae c’è chi gioca a fare la donnatra le pieghe rosse di una sottanae poi le madri che portano i pannicome figli da lavare dalla miseria e dai malannie in fondo al grido di una stradellail volto di Nannarella

Anonimo

VeroNetta: iN che seNso?

Esposizione opere artistiche. In occasione dell’evento “Come treni paralleli” che si terrà in Università alla fine di maggio,

aspettiamo le tue opere che raccontino il quartiere di Veronetta seguendo i tuoi sensi. Colori, sapori, profumi, rumori e gesti

che catturino l’essenza di un luogo. Cosa creare: Fotografie a colori o b/n formato max 20x30 cm; Opere artistiche (sculture,

quadri, poesie); Opere multimediali (video di durata max di 7 minuti da caricare su Youtube ed inviare entro il 21 maggio il link a

[email protected])

Scadenze: consegna del materiale entro il 21 maggio presso la Presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia – via San

Francesco 22- dalle 9 alle 13. Per informazioni: [email protected] e Facebook “Cometreniparalleli”.

terZa eDiZioNe DeL PreMio Di LetteratUra aVVeNtUrosa “eMiLio saLGari”

Il 12 maggio, alle ore 18,00, in sala Farinati della Biblioteca Civica di Verona i Wu Ming, vincitori insieme a Folco Quilici

dell’edizione 2008, moderati da Beppe Muraro, giornalista Rai, presenteranno il loro ultimo romanzo. Con questo incontro

inizierà la lunga estate culturale che caratterizzerà la terza edizione del Premio. La cerimonia conclusiva si svolgerà il 18

settembre a Negrar.

Per info: www.terradisalgari.it

LUciaNo tarasco NeL seGNo DeLLa stiLo

dal 23 aprile al 9 maggio

Venerdì 23 aprile alle ore 18.00 presso lo Spazioarte Pisanello si inaugura la mostra dell’artista veronese Luciano Tarasco che

presenterà una serie di lavori, in gran parte di recentissima esecuzione, disegnati con penna stilografica e successivamente

dipinti con colori acrilici.

straDe ferrate 1858-1879

Campagne fotografiche dello Studio Lotze al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri

Verona dal 6 marzo al 13 giugno 2010

mostra Strade ferrate 1858-1879. Campagne fotografiche dello Studio Lotze, presso il Centro Internazionale di Fotografia

Scavi Scaligeri di Verona, Fotografia e ferrovia, sin dalla loro apparizione, apparvero agli occhi dei contemporanei come

due delle più vistose e pervasive innovazioni che la modernità aveva introdotto nella vita quotidiana e nell’universo culturale

dell’Ottocento.

Pass PreseNt fUtUreDal 27 febbraio al 3 giugno 2010

Ingresso gratuito, ore 9.00-19.00, lunedì-domenica

fino al 3 giugno Palazzo della Ragione

Quattro secoli di arte europea, 80 opere antiche e

contemporanee.Al centro di tutto il rapporto tra uomo e natura,

la rappresentazione di sé e degli oggetti.

a LeZioNe Di teNDeNZeTeatro Camploy e alla Fnac

dal 02-03-2010 al 22-05-2010

Professione artista è un progetto realizzato nell’ambito della rassegna musicale “Tendenze 2010”. L’università di Verona

propone un ciclo di lezioni con gli artisti dal 2 marzo al 22 maggio al Teatro Camploy e alla Fnac

iNterZoNa MaGaZZiNi 22

Sab 08/05/2010 | MUSICA |

Parenthetical Girls (Tomblab_US)

Ven 14/05/2010 | MUSICA |

Pospaghemme (jazz, El Gallo Rojo_IT)

Sab 15/05/2010 | MUSICA |

Messer Chups (garage surf_RU)

Mar 25/05/2010 | MUSICA |

Arto Lindsay (ex Lounge Lizards_US)

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