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35 CAPITOLO TERZO: Il primo Cinquecento 3.1. Il Frignano nelle mani dei briganti Il XVI secolo rappresenta un momento di svolta per la storia del Frignano e più in generale dell’Appennino. Questo periodo fu caratte- rizzato da un’aspra lotta tra lo stato Pontificio e il ducato di Ferrara, combattuta attraverso armi insolite ed inaspettate. Come due esperti giocatori, il duca e il Papa, spostavano attentamente le proprie pedine per conquistare il predominio di questo territorio. Camera ducale, Confini, busta 68, fasc. XIV, disegno databile verso la metà del sec. XVI.

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CAPITOLO TERZO: Il primo Cinquecento

3.1. Il Frignano nelle mani dei briganti

Il XVI secolo rappresenta un momento di svolta per la storia del

Frignano e più in generale dell’Appennino. Questo periodo fu caratte-

rizzato da un’aspra lotta tra lo stato Pontificio e il ducato di Ferrara,

combattuta attraverso armi insolite ed inaspettate. Come due esperti

giocatori, il duca e il Papa, spostavano attentamente le proprie pedine

per conquistare il predominio di questo territorio.

Camera ducale, Confini, busta 68, fasc. XIV, disegno databile verso la metà del sec.

XVI.

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In questa epoca il bandito non veniva etichettato con i moderni ag-

gettivi di delinquente e criminale, piuttosto si trattava di un individuo

temuto e ricercato dalla gendarmeria ma anche rispettato e stimato in

virtù del prezioso aiuto che poteva offrire in determinate circostanze.

Il comune denominatore presente in ogni banda è la presenza di un

capo estremamente autoritario, in grado di disciplinare ed unire i suoi

uomini in vista del conseguimento di un fine comune che poteva tra-

dursi nei classici assalti alle popolazioni o nel soccorso da porgere ai

propri amici e compagni. Il bandito poteva contare in certi casi sia su

numerose alleanze all’interno della popolazione che in quelle di poli-

tici, ecclesiastici o altre importanti figure istituzionali.

“Per concorso di tali circostanze il brigantaggio aveva potuto met-

ter profonde radici nel paese, e formare, per così dire, un elemento

della vita pubblica. A tal che il rinunziare ad ogni idea di transazione

od accordo coi banditi, l’attaccargli energicamente o far loro guerra ad

oltranza per arrivare a sterminarli completamente, era un’impresa

chimerica secondo la pubblica opinione, era estremamente pericolosa

a giudizio degli uomini di Stato, perché poteva produrre una catastrofe

e diventare il segnale di una conflagrazione generale in Italia, ove si

accumulavano tanti elementi di perturbazione” 1.

Le rarissime milizie inviate contro i briganti apparivano inadeguate

e impreparate nell’affrontare questi ribelli che sfruttavano abilmente il

territorio e le preziose amicizie locali. Buona parte del popolo, infatti,

parteggiava per i briganti, ritenendoli spesso di gran lunga “meno

peggio” della conosciutissima e storica dominazione ducale. Il fattore

della vicinanza tra popolo e brigante era un elemento tutt’altro che tra-

scurabile e i capi che più abilmente erano in grado di cavalcare questa

tolleranza tra la gente comune, diventavano i più ingombranti e peri-

colosi per le pubbliche autorità.

Ogni uomo o donna che viveva nel Frignano durante quest’epoca

tumultuosa doveva inevitabilmente convivere col fenomeno del bri-

gantaggio. Spesso il Duca di Ferrara riceveva simili lettere dai propri

emissari: “In queto paese del Frignano al presente non se tratta altro se

non amazare homini per alcuni che gli sono et de fare el peggio se

1 G.Gozzadini, Giovanni Pepoli e Sisto V., Bologna, Zanichelli, 1879, p. 174.

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può”2. Le esigenze che arrivavano al castello ducale si possono rias-

sumere con richieste di individuazione e punizione dei capibanda re-

sponsabili di questi disordini, ma, come scriveva un commissario,

questi “sono come l’idra, alla quale tagliata una testa ne nasceva un'al-

tra”3. Il Magnani

4 scriveva: “Si viveva come senza signore e governo

per la licenza che i popoli s’eran presa di fare a modo loro e di mettere

la ragione nell’armi: fu dato bando ad ogni discrezione e fede”5.

La famiglia che incarnò maggiormente lo spirito dei briganti nel

Frignano fu quella dei Da Castagneto6. I Da Castagneto abitavano a

Bibone7 e le primissime notizie parlano di criminali tenuti nascosti dal

capofamiglia Gaspare all’interno della sua abitazione. Il Duca in ogni

caso adottò sempre un atteggiamento di protezione nei confronti di

Gaspare, nonostante quest’ultimo fosse da tutti considerato un furfan-

te.

2 Archivio di Stato di Modena. Carteggio dei Rettori del Frignano. Riportato dal

March. Cesare Campori, Notizie storiche del Frignano. Opera postuma. Modena, Tip. Legale, 1886, p. 204.

3 Archivio di Stato di Modena. Carteggio dei Rettori del Frignano. Citata dal Cam-

pori, Notizie storiche del Frignano, pag 59. Opera postuma. Modena, Tip. Legale, 1886, p. 205.

4 Alessio Magnani fu un cronista Frignanese che si occupò della trascrizione delle

gesta di Cato da Castagneto. Cfr. Biblioteca modenese o notizie della vita e delle o-pere degli scrittori natii degli Stati del serenissimo signor Duca di Modena, raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi, Presso la Società Tipografica, Mo-dena, 1784.

5 Alessio Magnani, Notizie storiche del Frignano. Ms. dell’Archivio di Stato di Mo-

dena. Cfr. Campori, Not. Stor., pag 113. 6 Di Cato da Castagneto è possibile raccogliere le testimonianze di Cesare Campori

che trascrisse la cronaca effettuata da Magnani per l’Archivio di Stato di Modena. Domenico d’Amorotto (di cui parleremo abbondantemente in seguito) fu ampia-mente studiato dal prof. Giovanni Livi.

7 Bibone è ora un casale posto a settentrione di Castagneto sopra un’altura che

ancora porta i ruderi del vecchio castello e dell’antica torre. Fino al XVIII secolo era comune. Nel 1197 prestò giuramento al Comune di Modena assieme a quasi tutti gli altri paesi della montagna. Nel secolo XIV passò ai Montecuccoli che lo tennero con qualche interruzione fino al 1630, anno in cui fu affidato ai Bellincini-Bagnesi. Cfr. L’Appennino Modenese, Rocca S. Casciano, 1895 e Tiraboschi, Dizionario top. Stor., Modena, 1824.

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I Da Castagneto non rappresentano certo l’unico esempio di un

malvivente protetto da alte cariche: Domenico d’Amorotto, celeberri-

mo brigante dell’Appennino Emiliano, fu riconfermato più volte dal

Papa come governatore di Carpineti e favorito in diverse circostanze,

tanto che divenne uno dei volti più noti e temuti dell’intero territorio.

Non esiste una data che indichi la morte di Gaspare da Castagneto,

è certo però che ebbe tre figli: Virgilio, Giacomo e Cato.

Dei tre fratelli, fu Cato il più abile nell’intrecciare rapporti con i

potenti di quel tempo e certamente colui che rese famosa la famiglia

da Castagneto. Le prime gesta delinquenziali di Cato risalgono al

1493 ed anche le prime inevitabili pene. Domenico d’Amorotto, figlio

di un oste, fu il nemico per eccellenza di Cato. Già da adolescente si

macchiò di gravi reati, tra cui l’omicidio di un coetaneo durante una

rissa. Ideologicamente vicino alla posizione papale, d’Amorotto si ri-

trovò ben presto a capo della vicina montagna reggiana. Un primo in-

contro-scontro tra i due avvenne nel 1506 in occasione di una disputa

tra fazioni opposte nei paesi della vicina montagna di Reggio Emilia8.

Con l’occupazione di Modena da parte del Pontefice Giulio II, av-

venuta il 18 agosto 1510, si crearono tutte le condizioni per la sotto-

missione del Frignano allo Stato Pontificio9. Sul suolo montano arri-

varono prima avvertimenti, poi minacce ed infine armi e soldati, ma i

valenti feudatari ancora devoti al Duca di Modena e Ferrara difesero il

Frignano dalle scorrerie delle truppe papali.

Nel 1516 Cato da Castagneto si schierò in favore delle fazioni dei

Fogliani e dei Carandini in un’aspra lotta che interessò per un lungo

periodo la città di Modena che gli valse per la prima volta, grazie alla

sua maestria nel combattimento e alla fedeltà ducale, un occhio di ri-

guardo da parte del Duca stesso. L’anno successivo, a testimonianza

di questo fatto, Cato fu visto condurre i soldati del Duca di Ferrara sul

suolo frignanese10

.

8 G. Panciroli, Op. Cit. – C. Campori, Op.cit., pag 83.

9 Tomaso Sandonnini, Modena sotto il governo dei Papi. Modena, tip. Sociale,

1879, p. 217. 10

Questo e molti altri avvenimenti vengono descritti da Tommasino De’ Bianchi (detto De Lancillotti o Lancillotto) nel libro, Cronaca modenese, pubbl. per cura del-

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Un assalto operato dal d’Amorotto a San Pellegrino nel 151711

fu

sventato dai ghibellini solamente grazie ad una “levata di 200 soldati

che, condotti da Nicolò e Giorgio Calcagni e Cato da Castagneto,

marciarono con velocità in aiuto dei Ghibellini. Ed invero così a tem-

po che, prendendo essi vigore all’hor ch’erano in estremo pericolo di

mancare, caricarono il seditoso Morotto e lo costrinsero con gran dan-

no alla ritirata, vedendosi le proprie truppe quasi disfatte”12

.

Successivamente la narrazione delle lotte si fa più fitta, riportando

ai posteri i numerosi assalti perpetuati dall’Amorotto in diverse zone

del Frignano. Il primo paese attaccato dal Guelfo fu Montefiorino.

Accompagnato da 300 uomini, Domenico attaccò Paolo Bebbi ma

venne sorpreso da Anton Maria Fontanelli e da altri due nobili reggia-

ni che erano a capo di 750 unità. Domenico ripiegò soltanto dopo aver

udito che, per ordine di Alfonso d’Este, Cato gli veniva incontro con

duecento Garfagnini. Durante questi scontri il d’Amorotto perse al-

meno otto uomini assieme ad una trentina di feriti13

.

la R. Dep. Di Storia patria delle prov. Modenesi e Parmensi. Parma, Fiaccadori, 1862.

11 Il Campori (Op. cit., pag 102) ci narra di una trama ordita nel 1517 per togliere il

Frignano al Duca, nella quale Cato e Ramazzotto, con soldati pontifici, avrebbero avuto l’incarico di assoggettare la provincia; ma lo stesso Campori avverte la poca attendibilità della notizia, essendo Cato, nell’agosto dello stesso anno, ai servigi del Duca. Inoltre è da tenere a mente che Cato ed il capitano di ventura Ramazzotto erano avversari. Quest’ultimo fu un avversario molto temuto dagli estensi ed una reale minaccia per il Frignano. Nel settembre 1510 il Ramazzotto coadiuvò nella montagna modenese i ribelli al Duca con 7 bandiere di fanti; si ritirò in seguito alla notizia che si stava avvicinando Bersanino Montecuccoli con molte truppe. Alcuni anni dopo (settembre 1521) si unì con Guido Rangoni ed occupò il Frignano obbli-gando gli estensi a ripiegare. Nell’agosto del ’22 giunse con 200 fanti a Rocca Cor-neta nel Frignano per soccorrere Domenico d’Amorotto. Il Ramazzotto morì in po-vertà nel 1539. Successivamente alla sepoltura la salma venne tumulata nella chie-sa di San Michele in Bosco in un monumento fatto costruire (da vivo) a sue spese.

12 Valentino Carli, Storia della Garfagnana antica. Ms. nella Biblioteca Estense di

Modena, tomo I, pag. 344. 13

G. Panciroli, Op. Cit., lib. VII.

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In una lettera del 12 agosto 1517, Guicciardini14

racconta che Do-

menico assediò nella rocca di Medola alcuni frignanesi: “Successe di

questa temerità quello che io stimavo, che in tutta la montagna del

Duca si fece adulazioni grandissime, e si vennono benché sotto altri

colori, uomini proprii del Duca, in modo che Domenico di Morotto

con quelli suoi aderenti furono costretti ritirarsi, e dubitarono che

quella fuga non li seguitasse alle case loro”15

. Tutti questi episodi in-

debolirono sensibilmente la banda dell’Amorotto portandolo inevita-

bilmente verso una graduale disfatta.

Il 29 giugno 1516 Guicciardini divenne governatore di Modena e

una delle sue prime volontà fu quella di occupare il Frignano; il 2 a-

prile 1518 scriveva: “Questo braccio della montagna importa molto,

massime alle cose in Modena e in Reggio, a noi sprovvisti di tutto, sa-

rebbe difficile resistere”16

; aggiungeva inoltre che l’impresa non sa-

rebbe stata delle più semplici poiché il paese era pronto a tutto pur di

difendersi dall’assalto dei pontifici. L’anima della montagna partigia-

na era Cato da Castagneto, tenuto sotto stretta osservazione dal Guic-

ciardini che, in una lettera rivolta al Cardinale de’ Medici scriveva:”

Ieri scrissi a V. S. R.ma quanto mi occorreva; di poi è successo che io

14

Francesco Guicciardini fu un uomo di stato, storico e filosofo del Rinascimento. Nacque a Firenze nel 1483; fu educato agli studi classici e di legge, nel 1509 scrisse una storia di Firenze prima di intraprendere una brillante carriera politica sotto i Medici. Nel 1512 divenne ambasciatore della Repubblica di Firenze presso la corte di Ferdinando II d’Aragona. Nel 1516 Papa Leone X lo nominò governatore di Mo-dena ed in seguito di Reggio e Parma ottenendo poi il titolo di governatore dello Stato Pontificio in Romagna. Nel 1530 favorì il ritorno a Firenze dei Medici, ma poi si ritirò nella sua residenza di campagna ad Arcetri ove si dedicò alla stesura della poderosa opera “Le storie d’Italia”. Scrisse altre numerose opere tra le quali “Con-siderazioni sulla politica e sulla natura umana” nella quale evidenziò un cinismo an-cora superiore al suo contemporaneo Machiavelli; estremamente pessimista nei confronti dell’uomo e disincantato della vita politica avendola conosciuta e vissuta in prima persona. Morì ad Arcetri nel 1540. Cfr. Biblioteca modenese o notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli Stati del serenissimo signor Duca di Mo-dena, raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi, Presso la Società Tipografica, Modena, 1784.

15 Francesco Guicciardini, Opere inedite, pubblicate per cura di G. Canestrini. Vol.

VIII, pag 132. Lettera LVII, 12 agosto 1517. 16

Guicciardini, Op. cit., vol VII, pag. 170. Lett. LXXII, 2 aprile 1518.

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sono certificato per buona via che questa parte Bebia17

, che è fuora per

la morte del Gozzadino18

, è in pratica di tornare qui a fare un’altra no-

vità, e venirci con forze tali che possi riuscire loro il disegno; e secon-

do intendo saranno serviti di gente di Cato da Castagneto, che è capo

della parte Duchesca nella montagna di Modena…”19

.

Ogni volta che capitava un’occasione propizia, Cato ne approfitta-

va, recando danno ai nemici del Duca d’Este. Una lettera del Guic-

ciardini rivolta al Cardinale de’ Medici riportava come “A Marano

luogo della Montagna di Modena che è del signor Alberto20

, entrò il dì

della Ascensione la parte contraria e amazzarono tre di quelli di dren-

to; e perché alcuni di loro si rifugiarono nella rocca, si posono a com-

batterla, e vi si ridussono intorno circa cinquecento uomini tra della

Montagna e de’ luoghi di Madonna Diana de’ Contrari” condotti da

Cato da Castagneto21

. Questa volta il prediletto del Duca non la passò

liscia: il Guicciardini nel luglio di quell’anno (1518) aveva inviato il

figlio del Ramazzotto e molti soldati di Alberto Pio da Carpi a Monte-

tortore, col pretesto di restituire un beneficio ad un parroco di nome

Guidoni. Le truppe inviate da Guicciardini si diressero alla volta di

Castagneto dove avrebbero distrutto l’abitazione e devastato i posse-

dimenti di Cato22

.

Il Duca, irritato a sua volta per lo smacco subito dal suo protetto ed

amico, si mobilitò e mandò Jacopo Alvarotto, suo consigliere, a chie-

dere spiegazioni al Guicciardini. Quest’ultimo si scusò ma precisò che

aveva incaricato i suoi uomini di andare a Montetortore, mentre “quel-

li da Carpi erano andati per trovare Cato da Castagneto, rispetto alla

ingiuria avuta a dì passati da lui a Marano”23

. Pur capendo il piano di

17

Il Guicciardini sottintende qui il tentativo da parte dei Bebbi di entrare a Reggio Emilia.

18 Giovanni Gozzadini: nato a Bologna, fu governatore di Reggio per il Papa. Venne

trucidato in una congiura nella cattedrale il 28 giugno 1517. 19

Guicciardini, Op. cit., vol. VII, pag 182. Lett. LXXVII. 20

Alberto Pio da Carpi. 21

Guicciardini, Op. cit., vol. VII, pag 174. Lett. LXXIV, 17 maggio 1518. 22

Guicciardini, Op. cit., vol. VII, pag 188. Lett. LXXX, 18 luglio 1818. Indirizzata al Cardinale de’ Medici.

23 Guicciardini, Op. cit., Lett. LXXX citata sopra.

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Guicciardini, il Duca dovette quietarsi, in seguito alle accuse e ai rim-

proveri contro Alberto Pio.

Intanto i sudditi dei Montecuccoli creavano scompiglio sul territo-

rio attraverso manifeste ribellioni contro i feudatari. Il Duca, temendo

fortemente l’intromissione papale in questa zona delicata, tolse

l’amministrazione dei feudi dei Montecuccoli e li fece governare fino

al 1518 da un suo commissario che avrebbe dovuto risiedere ora in un

feudo, ora in un altro ed infine stabilmente a Montecuccolo. Questo

provvedimento apportava vantaggi sia ai Montecuccoli sia al Duca,

difendendo entrambe le parti da molti pericoli in cui potevano incorre-

re. Ma i problemi riapparvero quando Cato, vedendosi strappare parte

di un tesoro da egli stesso trovato dal feudatario del luogo, cominciò

ad aizzare i sudditi dei Montecuccoli contro i loro signori. Cato, Virgi-

lio e don Giacomo perpetuarono la loro vendetta e “come famiglia

molto ricca nel paese sì per li beni loro propri, come per molti benefi-

cii che don Giacomo occupava per forza più che in altra maniera, e

dalla spalla che fatta gli era a favore che riceveva Virgilio suddetto dal

Cardinal d’Este, di cui dicono fosse lancia spezzata, cominciarono a

dispregiare non solamente il co. Mario suo signori e gli altri de’ Mon-

tecuccoli, ma a far loro sollevar contro i sudditi sotto pretesto di rice-

vere aggravii intollerabili, ricusando di riconoscergli per signori e di

pagargli le solite castellanze guardie et honoranze, sino la macina soli-

ta de’ lor molini, col pretesto di riceverne aggravii insoliti e intollera-

bili e di fare altre fatture e che son tenuti i sudditi et i vassalli, con al-

legare di non voler più di quanto facevano al tempo d’esso co. Cesare,

et comforme al solito et capitolazioni24

; e a questo maggiormente

s’indussero questi sudditi non solo per esser riscaldati da Acate, Virgi-

lio e D. Giacomo medesimi da Castagneto, Antonio, Claudio, Dario,

Vanino e Castagnino suoi cugini Tanari ca Gaggio Montagna di Bolo-

gna, non meno ricchi di loro et peieni di maltento”25

.

24

Magnani, Ms. cit., loc. cit., pag. 70. 25

È necessario ricordare al lettore che quando il Magnani narra di Cato e dei suoi fratelli, egli (in quanto magnificatore dei Montecuccoli, dei quali era notaio) è sem-pre tendenzioso; perciò dobbiamo accettare questo racconto con le debite riserve. Certamente i da Castagneto ebbero un ruolo in questa vicenda, ma i tumulti della popolazione e gli avvenimenti che questi generarono si possono spiegare con più

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3.2. Una “pace di montagna”

Il 14 Luglio 1519 venne stipulata a Reggio Emilia la pace tra Do-

menico d’Amorotto e Cato da Castagneto26

, o meglio una pace di

montagna come la ribattezzò il Guicciardini, ironizzando sulla stipu-

lazione di un patto che sarebbe risultato ben poco durevole, in quanto i

due contendenti si sarebbero di lì a poco riconfrontati; per questo

“montanaro”, ovvero inaffidabile.

In questo periodo gli affari del Duca volgevano al peggio a causa

della pressione incessante dello Stato Pontificio sul territorio del Fri-

gnano. Guicciardini avvertì il Cardinale de’ Medici dei provvedimenti

che intendeva adottare l’Estense: “Il Duca di Ferrara ha fatto andare a

Ferrara Cato da Castagneto, capo dalla parte sua in Montagna di Mo-

dena; e per quello che io posso ritrarre vuole pigliare qualche ordine

lassù, che quando gli occorresse avere bisogno di qualche numero di

fanti buoni lo possa cavare subito; pure non si mancherà di diligenza

in vigilare li loro andamenti”27

. Le osservazioni del governatore erano

corrette: il Duca aveva ordinato a Cato da Castagneto di arruolare tre-

cento uomini della montagna modenese. In breve tempo furono rac-

colti gli uomini necessari e vennero condotti da Cato prima a Vignola

e poi a Cento.

Nel maggio del 1521 Leone X si alleò con Carlo V; quest’ultimo

ottenne la Sicilia, mentre Parma, Piacenza, Reggio, Modena (compre-

so il Frignano) e Ferrara passavano alla Chiesa, Napoli finiva ad Ales-

sandro, figlio illegittimo di Lorenzo de’ Medici. Si attendeva una

guerra imminente che avrebbe coinvolto tutti questi centri. Il Duca Al-

fonso ebbe sentore della minaccia e richiamò dal Frignano 1500 uo-

mini che attraversavano sotto la guida di Cato il torrente Muzza, an-

realisticamente dall’aumentata fiscalità e dalla cattiva amministrazione dei figli del conte Cesare di Montecuccoli.

26 Questo importante documento è pubblicato nelle Memorie storiche di Reggio di

Lombardia… raccolte dal conte Nicola Taccoli. Carpi 1769, vol III, pag. 457. 27

Guicciardini, Op. cit., vol. VII, pag. 223. Lett. CII.

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dando ad occupare i castelli di S. Felice e del Finale. Modena, temen-

do da questi soldati un assalto, aveva assicurate le porte della città28

.

28

Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag. 198-199.

Questa lettera inviata da Cato al Cardinale Ippolito d’Este ci dimo-

stra come il brigante fosse costantemente in contatto con alcune

delle più alte autorità di allora. (A.S.Mo., Canc. Ducale).

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Leone X, venuto a conoscenza della scarsità di soldati in Appenni-

no, comandò l’invasione della montagna modenese col pretesto di li-

berare il passaggio verso la Toscana, fissando anche un termine per la

resa. “Passato il termine prescritto il Pontefice mosse con molta gente

il Co. Guido Rangoni, capitano della Chiesa in Modena, et il Ramaz-

zotto da Scricalasino suo Capitano in Bologna, alla volta della provin-

cia del Frignano. Il primo si fece vedere colla fanteria spagnuola fino

in Paullo; e l’altro trascorso sino al Vergato, contado del Bolognese, e

nel medesimo tempo fece venire particolarmente a Fanano, con assai

Fiorentini, Francesco Brunozzi da Pistoia, ove giunto, senza molestare

alcuno, né fare menomo atto di ostilità, fece chiamare gl’Uffiziali ed

Uomini del Comune, e mostrando loro l’amplissima autorità che dal

papa e da’ Medici, principali della Repubblica di Firenze, avea come

capo di tale impresa, di trattare i popoli del Frignano quanto più beni-

gnamente volea, prima che giurassero fedeltà disse che chiedessero

ciò che più fosse loro a grado, che tutto sarebbe loro conceduto. A sì

cortesi esibizioni, stimando quei giusto il corrispondere e non irritare

gli animi di coloro che tanto mostravansi inclinati a favorirli, promiso

ubbidienza al Pontefice e ai suoi Luogotenenti, con patto però che la

Provincia fosse libera da ogni sorta d’aggravio, salvo che di pagare gli

Uffiziali che a nome del Papa risiedessero in Sestola. Il Brunozzi non

solo accordò loro quanto chiedevano, ma meglio affezionarli a casa

Medici, li fece anche esenti da tutti i dazi del dominio Fiorentino, sic-

ché potessero i loro pastori passar francamente nelle maremme di Sie-

na senza pagare contribuzione alcuna”29

.

La fanteria papale e quella spagnola occuparono il Frignano il 25

settembre30

.

Riporta Lorenzo Gigli31

nel libro “Vocabolario etimologico topo-

grafico e storico delle Castelle, Rocche, Terre e Ville della Provincia

29

Niccolò Pedrocchi, Notizie istoriche della Terra di Fanano nel Modenese, p. 139. 30

Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag 201. Altri scrittori pongono l’occupazione del Fri-gnano il 30 settembre ma il 15 appare ancora la data più certa. Il conte Guido Ran-goni ebbe dal Papa, come premio per la sua opera, Vignola con la sua giurisdizione.

31 Lorenzo Gigli è considerato uno dei più importanti storici del Frignano, autore di

numerosi studi tra i quali un prezioso Vocabolario Etimologico Topografico e Storico delle Castelle, Rocche, Terre e Ville della Provincia del Frignano. Nato il 6 aprile

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del Frignano”: “Finalmente del 1521 fu duopo al Frignano cedere alla

forza, ed arrendersi all’obbedienza del Papa. Perciocché il Co. Guido

Rangoni suo partigiano per comandamento del Pontefice con una par-

te de’ Fanti, ch’erano già Soldati, e con le Genti che erano appresso a

sé, si mosse contro la Montagna di Modana, la quale Montagna, nel

mentre che Modana era sotto Cesare, né poi quando era stata dominata

dalla Chiesa, haveva riconosciuto altro Sig(no)re che il Duca di Ferra-

ra: ma intesa questa mossa dagli Huomini del Paese, e che nel tempo

medesimo si movevano molti Fanti mandati di Toscana, senza aspetta-

re d’essere assaltati, chiamarono il nome della Chiesa. Da questo testo

del Guicciardini da cui evidentemente risulta che il Frignano s’arrese

al Papa di quest’anno 1521 e non prima, resta specificato, e spiegato il

tempo preciso di tal dedizione, da lui ben espresso di sopra, al Lib. 9°,

car 254, ove sotto l’anno dell’occupazione di Modana 1510 scrive che

alcune Compagnie Papaline, ch’erano al Bagno della Porretta sul Bo-

lognese, condotte da Giovanni da Sassatello, e da Rinieri dalla Sasset-

ta: entrate nella Montagna di Modana (sono le sue parole) che ancora

1685 a Brocco, antico comune dell’alto Frignano, apparteneva a una delle più nobili famiglie di questa parte del modenese. Entrato da fanciullo nel seminario di Mode-na, dimostrò subito un evidente interesse per gli studi di lettere e di grammatica; era dotato di una memoria non comune (si dice che dopo poche letture fosse in grado di ripetere lunghi testi in latino), perciò fu indirizzato a studi approfonditi di retorica ed in seguito, diventato prete, si specializzò in anatomia e astronomia. Giovane laureato fu inviato come maestro e contemporaneamente a svolgere il suo apostolato a Mocogno e a Brocco. Andò in seguito a Ferrara per approfondire gli studi di morale politica e divenne ben presto un famoso esperto di leggi e venne richiesto come istitutore per una delle più importanti famiglie della città ducale. Dopo qualche anno fu colpito da una malattia polmonare che lo costrinse a rientra-re in montagna e, una volta migliorate le sue condizioni di salute, si trasferì a Mo-dena diventando uno dei più conosciuti esperti di diritto legale. Per la salute mal-ferma fu nuovamente costretto a ritirarsi e morì a Castellino del Groppo nel 1756. Tra le sue opere, oltre a quella già citata: Raccolta degli uomini insigni del Frignano; Memorie storiche della nostra Provincia; Diari storico, sagro e profano nel Comune del Brocco; Traduzione dello statuto del Frignano in volgare; Precetti di lettere fami-liari; Discorsi in lode e difesa del Frignano. Cfr. Biblioteca modenese o notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli Stati del serenissimo signor Duca di Mo-dena, raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi, Presso la Società Tipografica, Modena, 1784.

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obediva al Duca di Ferrara, assaltarono la Terra di Fanano, la quale,

benché nel principio non ottenessero, nondimeno alla fine tutta la

Montagna, non sperando essere soccorsa dal Duca, si arrendè loro.

Qui pareva che quel termine alla fine importasse bensì il ritardo di

qualche mese, o al più d’un anno, ma mai di undici anni, massime

scrivendone lui la Dedizione sotto lo stess’anno 1510. Sicché anche in

senso di queste storie dir bisogna che vano riuscisse l’assalto fatto in

quest’anno a Fanano, e alla Provincia (del Frignano), in guisa che ve-

dendo gli aggrassori d’incontrar durezze, ed ostacoli, e i dover com-

battere con perdita di tempo, e con maggior pericolo che vantaggio re-

trocedessero ad altre imprese più agevoli, o più necessarie”32

.

Fortunatamente i papali sostarono poco nelle montagne, ma, come

ricorda il Lancillotto “dove sono stati ghe hano lasato el signale”33

.

Nel periodo del dominio pontificio la popolazione montanara ebbe

qualche sollievo in termini di tassazione ma venne colpita maggior-

mente da episodi di violenza e saccheggi perpetrati da numerose ban-

de.

Il governo papale entrò per ben poco tempo nella storia del Frigna-

no: il primo dicembre dello stesso anno morì Leone X e, appena ap-

presa la notizia, la gente di Fanano “subito si ritrovarono alla Rocca di

Sestola, in cui il Commissario ecclesiastico dimorava, scalano le mu-

ra, alzano l’insegna del Duca, s’impadroniscono della fortezza, e la

mattina seguente, lasciandovi chi a nome di quello la custodisse, con

ogni proprietà ed onorevolezza ne cavano il Commissario, che era fio-

rentino, colla moglie e figlie, e le conducono a Fanano, e quivi prov-

veduti del bisognevole e di cavalcature, proseguiscono il viaggio nello

stesso giorno verso i Bagni della Porretta, sempre accompagnati da’

principali del luogo, che là fecero parimente trasportare tutto il loro

bagaglio e quanto lasciato avevano in Sestola a proprie spese. Tornati

che furono a Fanano, non può ridirsi con quale dimostrazione di giubi-

lo fossero accolti e quante lodi e benedizioni riportassero li autori e

capi di questa impresa, Battista Ottonelli e Andrea Rinaldi, da tutto il

popolo che non sapeva capire in se stesso pel contento di vedersi ri-

32

Lorenzo Gigli, Vocabolario etimologico topografico e storico delle Castelle, Roc-che, Terre e Ville della Provincia del Frignano, “Lo Scoltenna”, Pievepelago 2002.

33 Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag. 202.

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48

tornato sotto il suo naturale signore. Da per tutto s’udiva far eco il

suono festoso di tutte le campane; in ogni angolo sentivansi risuonare

gli evviva, e viva il Duca di Ferrara. Altri correvano a gittare a terra le

armi papali, che in alcuni luoghi erano state alzate, altri a raderle dalle

pareti, su cui erano state dipinte. Chi preparava fuochi di gioia, chi

spari di mortaretti e di spingarde, chi lettere di ragguaglio per ispedire

al Duca , quando videsi comparire in piazza in abito di contadino un

corriere da quell’altezza spedito, che alla presenza del popolo, cavatasi

una scarpa e sdrucita la suola, ne cavò fuori due lettere, una delle quali

scriveva il benignissimo Principe in universale a tutti gli Uomini del

Frignano, e l’altra particolare a quei di Fanano (siccome a coloro in

cui più confidava), e significando loro la morte del Pontefice, gli esor-

tava a mostrarsi quei fedeli vassalli che meritava l’amorevolezza verso

loro de’ Principi d’Este”34

. Dopo Fanano si ribellarono al Papa anche

le altre terre del Frignano, che in breve tempo tornò tutto in possesso

del Duca Alfonso. Cato da Castagneto non fu estraneo a queste lotte e

a Fanano la sua stretta alleanza con gli Ottonelli, che si rivelarono i

principali autori dell’insurrezione, fu molto importante per la buona

riuscita dell’impresa35

.

Nel 1522 la disputa tra Cato e Domenico d’Amorotto si riaccese. A

Carpineti Cato da Castagneto sfidò nuovamente il suo rivale36

, ucci-

dendo nella contesa una trentina di uomini e riuscendo a rapire una

cugina del d’Amorotto (di nome Menguccia) tenendola con sé come

concubina. Questo duplice affronto spinse il d’Amorotto ad approfitta-

34

Pedrocchi, Op. cit., libro I, capitolo 5. 35

Anche il Lancillotto diede molta importanza a Cato nella ribellione del Frignano al governo papale (Op. cit., vol. I, pag. 210).

36 Alessio Magnani asserisce che Cato andò ad assalire il d’Amorotto alle Carpineti

per ordine del Guicciardini, governatore di Modena e Reggio. Similmente narra il Pedrocchi (Op. cit., lib. I, capitolo 5), il quale afferma che insieme a Cato il Guicciar-dini mandò altre compagnie di soldati; notizia che ci viene confermata anche dal Panciroli (Po. Cit., lib. VII, pag. 490) con queste parole: Qui Catus et Guicciardini e-tiam copiis contra se adductis antea auxilo fuerant. Ma questa fu molto probabil-mente una voce corsa a quei tempi e comune alla credenza di tutti, senza però al-cun fondamento di verità. Le lettere pubblicate dal Canestrini ci confermano questa supposizione, inoltre come poteva il da Castagneto, protetto dal Duca, porsi agli ordini del Guicciardini, commissario del Papa?

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49

re dell’assenza del rivale (Cato si trovava a Bologna in aiuto della fa-

miglia dei Bentivoglio), scorrazzando liberamente nel Frignano, bru-

ciando case ed averi del nemico e mantenendo, coi suoi briganti, il

controllo sul territorio. Proprio a Fanano, paese in cui Cato contava

più adepti, il d’Amorotto concentrò la propria rabbia devastatrice, do-

po aver dislocato le proprie truppe. Al suo ritorno Cato, venuto a co-

noscenza delle notizie provenienti dal Frignano, organizzò una spedi-

zione punitiva a Fanano che si concluse con l’assassinio di 40 avver-

sari e con la riconquista del territorio conteso.

Questo drammatico scontro non accennava a placarsi e l’ultimo at-

to, come ci racconta il Rinaldi37

, venne scritto dal d’Amorotto: “Alla

mala intenzione del Morotto non mancarono strumenti per aiutarlo e

istigarlo ad effettuare il mal animo suo; perciocché certo Biaso detto

Biasiuolo di contrada, il quale odiava Cato per cagione di qualche in-

telligenza o tresca con sua consorte, l’animò e stimolò gagliardamente

a privarlo di vita e muoversi a danno di tutti coloro che conosceva per

suoi nemici in Fanano, esibendosi di condurre le sue genti per luoghi

nascosti e sicuri e darli in mano in quell’impresa. Abitava allora Cato

in Fanano nella casa e torre che fu poi de’ fratelli Rinaldi, quivi credo

rifugiatosi dopo che Alberto Pio gli fu abbruciata la casa a Castagneto.

Domenico Morotto indotto parte delle suasioni di Biasiuolo, parte dal

natural desiderio di vendicarsi, raunò fino a 300 uomini del contado di

Reggio, Giovanni Antonio dal Monte ed altri parziali, e sen venne a

Fanano dietro il fiume Leo guidato dal detto Biasiuolo ed entro nella

Vallicella; favoriti dai chiarori della luna si avanzarono per la Badiola

segretamente fino alla piazza. Scalate le mura e vedendo di non poter-

si aprire sì facilmente l’ingresso, con polvere e stipe attaccarono fuoco

alla porta. Cato che avea stimato falso l’avviso recatogli della mossa

37

Benedetto Rinaldi nacque a Fanano il 15 maggio 1528 da Pellegrino e Giulia Ot-tonelli. Nel 1524 si laureò a Ferrara; fu podestà di Castelnuovo parmense nel 1561, poi di Brescello e successivamente di Cotignola. Fu vicario del podestà di Ferrara, giudice, podestà e consultore di Modena, ambasciatore del Duca a Carlo V, ecc. Morì a Fanano il 27 agosto 1588. Cfr. Biblioteca modenese o notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli Stati del serenissimo signor Duca di Modena, raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi, Presso la Società Tipografica, Mo-dena, 1784, p. 374.

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50

del Morotto, si vide miseramente confinato in essa; e cacciato dal fuo-

co, fu astretto portarsi sopra la volta della medesima torre dove niente

di meno pericolò, poiché passando la vampa per un buco dove stavano

certe lance dritte, queste s’accorsero e portarono la fiamma in ogni

parte della stessa volta, talché Cato, come disperato, gittossi da una fi-

nestra nell’orto ove fu da Giovanni Antonio dal Monte ed altri ricevu-

to sopra alcune lance e spiedi, conducendolo a sì infelice fine i suoi

peccati, la sua mala vita, la sua tirannide e parzialità”38

.

Cato morì per mano del d’Amorotto il 15 agosto 1522. Una volta

ucciso il suo rivale, il d’Amorotto assalì e saccheggiò le case dei se-

guaci di Cato a Fanano. “Lo scempio durò dal nascere fino al tramon-

tare del sole” e quando gli abitanti pensarono che i nemici fossero sazi

delle atrocità commesse, arrivò Vitale, fratello di Domenico, con altri

400 uomini che terminarono il lavoro iniziato. Questa strage fu chia-

mata come il fatto di S. Maria, essendo accaduta il 15 agosto39

.

La ritirata del d’Amorotto con i suoi seguaci verso Rocca Corneta

fu molto ardua: dai monti pistoiesi partirono i Panciatichi40

che, ani-

mati dallo spirito vendicativo contro gli assassini del loro amico e

compagno Cato da Castagneto, costrinsero i loro avversari a rinchiu-

dersi nella rocca sotto assedio. In questa occasione la vita del

38

Il Rinaldi prosegue la narrazione enunciando le sorti di alcune altre figure coin-volte nella vicenda: “Fine non meno tragica fece Menguccia (tale era il nome della moglie di Biasiuolo sorella di Biaso Cima) che appunto trovavasi nella torre; poiché attaccata dal fuoco ne’ vestimenti sino alla camicia, e portatasi sopra la cima della torre suddetta, montò sopra il camino, e spiccato un salto sopra la casa vicina già di Gregorio Balugano, giù precipitossi, nel qual istante fu ferita d’archibugiata in un braccio; ma poi tolta e calata dal basso, non molto dopo, in pena del suo nefando commercio, morì soffocata per mano dello stesso fratello. Elena moglie di Cato col-la figlia ed altre donne furono condotte al Morotto che sotto buona guardia, con tutta proprietà senza dar loro alcuna molestia, le fe’ custodire in una cappelletta o maestà (come chiamanla i paesani) ivi vicina detta di Toniazzo.”

39 Benedetto Rinaldi, Compendio delle cose più notabili accadute in Fanano. Il Ve-

driani (Historia in Modena, lib. 18) pone il fatto, errando, sotto l’anno 1519. Quanto al giorno tutti concordano nel 15 agosto, tranne il Lancillotto che pone il 14. Cato fu ucciso veramente la notte del 14, ma il saccheggio di Fanano avvenne il 15.

40 Fazione molto potente che fin dalla metà del XIV secolo operava nel pistoiese.

Gli acerrimi nemici dei Panciatichi erano i Cancellieri.

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51

d’Amorotto fu salva solamente grazie all’intervento del suo alleato

Ramazzotto che, dopo aver mosso da Bologna duecento fanti ed altret-

tanti cavalieri, riuscì a liberarlo. Tornato nel reggiano il d’Amorotto fu

gratificato da Alberto Pio, che più di altri apprezzò l’assassinio del pe-

ricoloso Cato, con il dono della rocca di Carpineti e il comando di tut-

ta la montagna reggiana.

Il Duca di Ferrara che in Cato “a buon diritto fondava gran parte

delle sue speranze”41

mostrò palesemente la propria rabbia, incarican-

do un esercito di 600 unità di entrare nel Frignano e perseguitare il

d’Amorotto “bruciando ed uccidendo chiunque passassero”42

.

“Domenico Morotto figlio di un oste di Carpineto e Cato da Casta-

gneto nel Frignano furono due feroci capi di parte. Ai loro cenni si

armavano ed accorrevano in folla gli abitanti e i banditi del monte e

del piano, della Lombardia e Toscana. Entrambi erano cauti, acuti nel

discoprire gli agguati, esperti nell’arte militare ed atti a qualunque più

arrischiata impresa. Furono nemici irreconciliabili l’uno dell’altro, si

resero famosi per le loro uccisioni, saccheggi ed incendi; il loro aiuto

fu invocato da que’ che volevano disfarsi de’ loro nemici ed anche dai

signori e principi di quel tempo, che a vicenda dovettero eziandio per-

seguitati pe’ loro atroci delitti”43

.

È proprio quest’ultimo l’aspetto più interessante del fenomeno ana-

lizzato in questo capitolo: da una parte troviamo due individualità

molto forti che sotto lo stemma di altrettante forze contrapposte si

combattono, dall’altra emergono figure del tutto nuove che entrano

prepotentemente nella cultura popolare, capaci di ritagliarsi un potere

diretto ed autonomo. I due briganti, uno sotto lo stemma ducale, l’altro

sotto l’effige papale, mantenevano un’inaspettata libertà di azione e,

attraverso le proprie capacità riuscivano a non soccombere di fronte a

forze più numerose e potenti.

3.3. Virgilio da Castagneto

41

Livi, Op. cit., capitolo VII, pag. 81. 42

Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag. 226. 43

Domenico Ferretti, memorie della città di Reggio di Lombardia, raccolte da vari Autori. Ms. nella Biblioteca Estense di Modena. Il passo citato è trascritto anche nell’edizione citata del Lancillotto (I, pag. 210).

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52

L’odio per i da Castagneto, che trovava nel d’Amorotto un sangui-

nario rappresentante, non si esaurì con l’assassinio di Cato. Il fratello

più giovane Virgilio si trovò ad assumere il ruolo del fratello Cato, ma

anche a condividerne il destino.

Non esistono documenti che testimoniano i primi anni di vita di

Virgilio fino al 1522, anno del primo grande faccia a faccia tra i due

briganti. Alcuni scrittori parlarono di un terremoto fortissimo nelle vi-

cinanze di Reggio Emilia come simbolo premonitore dell'enorme cru-

deltà che si abbattè nel novembre a Mocogno44

: il da Castagneto, men-

tre assediava la rocca del paese, si vide accerchiato dalla banda del

d'Amorotto che non risparmiò almeno 80 dei rivali. Virgilio riuscì in

un disperato tentativo di ritirata grazie all'intervento del Moro dal Sili-

co in Garfagnana. Domenico d’Amorotto uscì nettamente45

vincitore

dalla "Guerra dei montanari".

Per questo scontro era corso in aiuto di Virgilio anche il Moro dal

Silico di Garfagnana con i suoi fratelli e uomini. Questi, prima di usci-

re dal Frignano, entrarono nella casa di un tale, “gli spezzarono gli u-

sci e le casse e depredarono roba e valuta di cento lire, non essendo in

casa altri che una vecchia.” Il Commissario di Sestola informò imme-

diatamente il governatore della Garfagnana a proposito di questo fatto

increscioso, pregandolo di punire gli autori. L’allora governatore della

Garfagnana era Lodovico Ariosto46

.

44

L’intero paese di Mocogno era schierato dalla parte di Domenico. Vedi Lancillot-to, Op. cit., vol. I, pag. 239.

45 Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag. 419.

46 Lettera di Lodovico Ariosto al Duca di Ferrara inviata da Castelnuovo di Garfa-

gnana il 19 novembre 1522. Al Duca di Ferrara. Illustrissimo Signor mio. Ieri il Moro dal Silico mi rappresentò la grazia che vo-

stra eccellenzia gli ha fatta per un certo omicidio che meritava più presto clemenzia che severità. Oggi ho avuto lettere e messo a posta da commissario di Frignano, che mi avisa che questo Moro insieme con li fratelli et altri compagni, de li quali es-so Moro era a capo, tornando di Frignano in qua, dove erano iti in soccorso di Virgi-lio, introro in casa d’un suddito di vostra eccellenzia lì da Frignano, e gli spezzaro gli usci e le casse, e depredarono roba per valuta di cento lire, non essendo in casa al-tri che una vecchia; e mi prega ch’io faccia restituire questa roba. Se l’ Moro mi

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53

Il 22 novembre il duca Alfonso inviava questa lettera ad un suo

ambasciatore romano: “Domenico d’Amorotto, uomo facinorosissimo

e scelleratissimo che sta nelle montagne di Reggio, ogni qual dì con

seguito di altri villani sanguinarii con li quali ha fatto mille latrocini e

assassinamenti, va su la montagna nostra del Frignano e commette

omicidi incendi e rubarie; e a dì passati, poiché Reggio è stato gover-

no del signor Alberto47

, in due volte che vi è andato è stato causa della

morte di circa centocinquanta uomini e più.” Raccomandò inoltre di

far querela al Papa sottolineando il fatto che Domenico “è il più san-

guinario e crudele assassino che porti vita, e non è supplizio che meri-

tasse. E supplicate che si dia commissione al Guicciardino, governato-

re di Reggio, che si loevi questa fiera dal paese, ché anco sul Reggia-

no ha fatto infiniti delitti. Credemo che questo effetto si farà più fa-

cilmente quando il detto Governatore s’intendesse con noi per rispetto

della detta nostra montagna”48

.

Poco dopo le parole del duca vennero riferite al Papa che lodò il

duca per i suoi intenti pacifici.

Da ciò notiamo che tanto il Papa quanto il duca estense cercarono

di frenare le lotte tra Virgilio e Domenico anche se molto fiaccamente

e lentamente.

torna più dinanzi, io lo piglierò, e farò che l’ Capitano lo punirà come merita il delit-to, senza guardare a grazia che gli abbia fatto vostra eccellenzia, perche non si e-stende in questo né in altri assassinamenti che mi è stato detto che questo Moro insieme con li fratelli hanno fatto; ma dubito che non ci tornerà, perché questo po-veromo che è stato rubato, prima che sia venuto da me, è stato dal figliolo e dal nipote di Bastiano Coiaio e da ser Evangelista, a provare se per lo mezzo loro potes-se riavere la sua roba (e dice di esser stato consigliato da questi altri di Frignano che sono uniti col Moro in lega), e non avendo potuto aver niente è ricorso a me, sì che dubito che n’avrà preso sospetto, e non tornerà più a me. Se non torna, paren-do a vostra eccellenzia, gli annullerei la grazia; in bona grazia de la quale humillime mi raccomando.

Castelnovi, XIX Novembris 1522. humillimus Servitor Ludovicus Ariostus. 47

Alberto Pio da Carpi, nemico di Alfonso, per molto tempo aveva detenuto le for-tezze di Reggio e Rubbiera.

48 Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; minute. È riportata dal Livi, Op.

cit., Doc. XLIV.

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54

Da una parte il duca avrebbe desiderato l’assassinio del

d’Amorotto, dall’altra parte la curia romana cercava sempre di adotta-

re le mezze misure o di chiudere un occhio davanti alle scorrerie del

loro favorito. Mai, infatti, si registrarono dai documenti emanati da

Roma o da Reggio sanzioni severe nei confronti dei Domenico

d’Amorotto.

L’8 febbraio 1523 (1522 secondo lo stile fiorentino) notiamo un

capovolgimento di una situazione che appariva ferma e radicata. Il

Guicciardini, che fino a quel momento aveva protetto Domenico e la

sua banda, sentendosi accerchiato dalle grida di protesta dei suoi sud-

diti di Reggio e constatando l’impossibilità di qualsiasi tentativo di

armistizio tra i due litiganti, scrisse questa lettera a messer Cesare Co-

lombo: “Ora sono tutti e due in arme e vi fanno infiniti danni con gran

disturbo dell’una montagna e l’altra. Io sono in pratica di farli depone-

re le armi; accioché interim si possa trattare qualche accordo, e n’ho

scritto al Duca, quale mi ha dato speranza di fare che li suoi le depor-

ranno, e lo credo perché si hanno il peggio”. Raccomandò di togliere

di mezzo il d’Amorotto poiché “mai riposerà il paese se non si impic-

ca, anzi alla prima occasione farà qualche disordine grandissimo per-

ché è diventato troppo insolente; e reprimerlo senza spegnerlo sarebbe

peggio, poiché si inimicherebbe e farebbe mille disordini”49

.

Uno degli scontri accennati dal Guicciardini in questa sua lettera

avvenne verso la fine del gennaio 1523. Secondo la testimonianza del

Lancillotto in questa occasione 50 uomini di Virgilio avanzarono con-

tro Domenico e ben 17 vennero uccisi50

.

Il Panciroli e il Magnani narrano di uno scontro avvenuto tra le due

fazioni mentre il d’Amorotto rientrava da Bologna dove aveva appena

fatto uno sgarro ai Tanari, cugini dei da Castagneto. Sulla via del ri-

torno Domenico devastò i beni parrocchiali della chiesa di Maserno

dove era parroco un don Giacomo da Castagneto, zio di Virgilio51

. In-

fine sempre il Panciroli narra di un altro gravissimo scontro tra Virgi-

lio e i fratelli d’Amorotto in un luogo non molto distante da Modena,

49

Guicciardini, Op.cit., vol. VII, pag. 438, lett, CXCIX. 50

Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag. 231 e 430. 51

Questa affermazione viene riportata dal Magnani nella sua cronaca dell’anno 1523. Di don Giacomo, zio di Virgilio, questa è la sola menzione.

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55

terminato con una disfatta dei Virgiliani: di questi ben duecento mori-

rono (secondo alcuni questa cifra appare esagerata), in parte uccisi in

battaglia, in parte affogati nel fiume Panaro52

.

Nel giugno del 1523 il d’Amorotto, accompagnato da un vero e

proprio esercito di 500 unità, assalì il castello di Ligorzano di Diana

de’ Contrari, amica del Duca e dei da Castagneto. Uccise dodici uo-

mini, depredò sette abitazioni e col ricco bottino tornò a Carpineti53

.

Intanto nei pensieri del Guicciardini era tornata in voga una impro-

babile riappacificazione; scriveva il 9 marzo al cardinale de’ Medici:

“In conclusione siamo in grandissimo ozio, se non ci desse un poco di

faccenda queste cose delle montagne, le quali il Governatore di Bolo-

gna ed io tegnamo col duca di Ferrara di pacificare; non so se riuscirà

e riuscendo saranno paci di montagna”54

.

Ma gli avvenimenti non facevano sperare in nulla di buono; il 6 lu-

glio Cesare Colombo riceveva una seconda lettera dal Governatore

reggiano: “La pratica dello accordo tra Virgilio e Domenico menata

per il duca di Ferrara, non ha avuto luogo, anzi sono in più fuoco che

mai; pure il Duca ha ora mandato in montagna un Commissario con

grossissimo braccio55

per reducere il suo paese in buono filo: bisogne-

rà fare il medesimo di qua e distruggere questi villani.” Il Guicciardini

scriveva ancora che il d’Amorotto, essendo avanzato con moltissimi

uomini fino alle porte di Reggio, per la paura che volesse entrare, “tre

quarti della città stette tutta la notte in su le armi, in modo che io in-

tendendolo, venni qui (a Reggio) la mattina seguente, non ostante che

io bene conosca con quanto pericolo mi ci fermi. E per aver lui presa

la via del Frignano, là si sono quietati, ma saremo tuttodì a questi ter-

mini, de’ quali è impossibile non nasca disordine”56

.

Il rumore generato dalla mossa di Domenico, portò Virgilio da Ca-

stagneto a chiedere aiuto agli alleati della Garfagnana; molti proveni-

52

Panciroli, Op. cit., lib. VII, pag. 183 (Edizioni Viani, Reggio Emilia, 1846). 53

Panciroli, Op. cit., lib. VII, pag. 500. 54

Guicciardini, Op. cit., vol. VII. 55

Il Commissario era Girolamo Ziliolo, non Giovanni come erroneamente scrissero il Livi e l’Ariosto nella lettera dell’11 luglio 1523 al Duca. Vedi il Lancillotto, Op. cit., sotto il 10 luglio.

56 Guicciardini, Op. cit., vol. VII, pag. 450, lett. CCVI.

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56

vano da Fanano per vendicarsi col d'Amorotto della trucida notte di

Santa Maria57

. Altri aiuti furono ben accolti da moltissimi paesi sparsi

nel Frignano. Il Duca inviò nella montagna, nel caso in cui il

d’Amorotto fosse uscito vincitore, duecento cavalieri leggeri ed altret-

tanti fanti con artiglierie e munizioni.

Dall’altra parte Domenico, essendo l’invasore, non si era dato me-

no da fare rispetto a Virgilio: aveva radunato compagni, amici e mal-

fattori da Rocca Corneta e Reggio Emilia58

. Inoltre, secondo il Rinal-

di, in aiuto di Domenico il conte Guido Rangoni di Modena aveva in-

viato una truppa di cavalieri capitanata da un soldato spagnolo.

“Aveva distese il Morotto le sue squadre sopra il dorso d'un colle

con bella ordinanza in faccia de' nostri, i quali vedendo che non faceva

motivo alcuno di scender a basso, forse per non perdere il posto av-

vantaggiato, o impedito dalle palle che piovevano incessantemente

dalla rocca della Riva, alla fine attediati, fecero la loro avanguardia di

cavalleria pian piano, la quale giunta a fronte degli squadroni nemici,

calate le visiere, gli fenderono colla punta delle lance bravamente dal-

la prima testa sino alla retroguardia e similmente ancora per fianco

con molta uccisione de’ ghibellini reggiani; e nel medesimo tempo si

combatteva ferocissimamente dall’una e dall’altra parte tra la fanteria;

finché cominciando a riconoscersi perditori i ghibellini si diedero ad

una precipitevolissima fuga.

Fu grandissimo il numero de' loro morti, ma piccolo quello de'

guelfi, benché tra questi si contarono uomini di valore in ispecie D.

Jacopo da Castagneto59

e Virgilio dalla Riva (Virgilio da Castagneto

che il Rinaldi chiama sempre dalla Riva) morti d'archibugiata con altri

15 da Castagneto.

Dall'altra parte morì Domenico Morotto pure d'archibugiata e ave-

57

L. Ariosto, Lettere inedite pubblicate da A. Cappelli. Bologna, Romagnoli, 1866, pag. 64. Lettera dell’11 aprile citata. Vedi anche la lettera del 15 aprile 1523.

58 Secondo Benedetto Rinaldi furono i banditi di Rocca Corneta a condurre Do-

menico alla giornata della Riva, per antichi rancori che avevano con quegli abitanti (Pedrocchi, I, cap. 22). Ciò può considerarsi una causa secondaria, non certo il fat-tore determinante della mossa di Domenico contro Virgilio.

59 Don Giacomo da Castagneto non morì quel giorno. Il Rinaldi è l’unico scrittore

che faccia intervenire don Giacomo in questa giornata.

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57

va in dosso un lastrino coperto di veluto cremisi: la borsa sua, con po-

chi scudi dentro, l'ebbe Ambrosio detto il Granchio da Fanano che era

paggio dell'Alfiere; e partito dalla Riva fu il primo che portasse a Fa-

nano la nuova della vittoria e della morte del Morotto, onde si stava in

grandissimo terrore aspettando il fine di così crudele battaglia"60

.

Lo scontro si era combattuto con spade e con armi da fuoco e le

sorti erano ancora incerte quando Virgilio e Domenico si trovarono

uno di fronte l'altro: "Spettacolo fiero, esclama il Vedriani, nel vedere

due capi di questa sorte combattere a corpo a corpo e tirare colpi da

disperato!". Vedendo che il duello si protraeva, Ugolino Garola, gene-

ro di Domenico, da lontano, con un'archibugiata, uccise Virgilio; a

questo punto don Giovanni, zio del caduto, si scagliò contro il d'Amo-

rotto ferendolo gravemente con una picca. Portato a cavallo lontano

dallo scontro per essere curato, Domenico incrociò sul suo cammino

Antonio Pacchioni e Tebaldo Sessi che, trovandosi incredibilmente

davanti al loro acerrimo nemico lo trafissero con la spada per poi finir-

lo con un colpo d'arma da fuoco. La testa del brigante venne portata

trionfalmente a Spilamberto per poi essere tenuta in custodia ai Ran-

goni, famiglia molto vicina ai da Castagneto; una mano di Domenico

venne esposta nella rocca del paese stesso per incutere timore ad ogni

altro malvivente61

.

L'ultimo atto della guerra avvenne domenica 5 luglio nella zona tra

Riva e Monteforte62

.

Il Lancillotto apprese l'importante notizia il giorno stesso, scriven-

do della morte certa del d'Amorotto ma dell'incertezza riguardo la sor-

te toccata a Virgilio: "ancora lui si dice esser crepato in le arme"63

.

Il giorno seguente il Commissario di Rocca Corneta scriveva: ”e

trovasi che la strage dell’una e dell’altra parte è stata maggiore di

quella che aveva portato l’uomo di stamattina e che sono morti circa

150 persone, e Virgilio da Castagneto e Domenico di Amorotto morti

insieme con altri capi, e che se il sito del luogo dove è stato il conflitto

60

B. Rinaldi, Op. cit., Ms. cit. del Pedrocchi, lib. I, cap. 22. 61

Magnani, Ms. cit., pag. 72 e seguenti. – Panciroli, Op. cit., lib. VII, pag. 501-503. 62

Il Lancillotto lo dice avvenuto tra Riva e Montespecchio. I tre luoghi sono co-munque molto vicini.

63 Lancillotto, Op. cit., vol. I, pag. 238 e 239.

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58

fosse stato più piano (che è aspro e pieno di balzi) pochi ne sarebbero

restati di loro”64

.

A Roma la fine delle ostilità venne definita con queste parole:

“Circa il conflitto un grande signore che si trovò lì presente quando se

ne parlava, disse che la Peste si era scontrata in la Moria, e che essen-

do morti quelli capi che tenevano continuamente in fuoco e in fiamme

quelle parti, potria essere a salute di tutto quel paese”65

.

Solamente il 7 Guicciardini seppe degli avvenimenti accaduti due

giorni prima: "essendo andato Domenico di Morotto in Frignano, si è

attaccato con Virgilio ed è stato rotto. E per molti avvisi che si hanno

conformi da più bande, tengo per certo sia stato ammazzato, ma non

l’ho per ancora in modo che abbia voluto scriverne a Sua Santità: mol-

ti de’ suoi senza dubbio sono stati morti, e si crede etiam Virgilio, che

se è vero è santissima cosa”66

.

Intorno il numero dei caduti troviamo molti scritti contrastanti; tutti

sono concordi nell'assegnare tra le fila di Virgilio pochi morti, mentre

gli amorottiani subirono tra le 150 e 300 perdite.

Grandissima importanza venne riconosciuta alla giornate del 5 lu-

glio, di cui si ebbe notizia quasi contemporaneamente a Modena, a

Reggio, a Bologna, a Roma, sia per la drammaticità dello scontro, sia

per l’eccezionale numero di combattenti presenti quel giorno sul suolo

del Frignano.

La persona che esternò più felicità nei giorni seguenti fu il Guic-

ciardini, il quale però dovette mostrare la propria soddisfazione con

garbo e attenzione per non irritare la Curia che temeva, con la morte di

Domenico, la vittoria del Duca nelle ostilità.

La gioia e il pensiero popolare del Frignano vennero tramandati at-

traverso due versi cantati e ripetuti incessantemente nei giorni seguen-

ti il 5 luglio:

"Allegramente su, più alcun non piagna,

64

Archivio di Stato di Bologna. – Litterarum, vol. 1519-1524, 6 luglio 1523. Portata dal Livi, Op. cit., Doc. LIII.

65 Archivio di Stato di Bologna. – Litterarum, vol. 1519-1524, 6 luglio 1523. Portata

dal Livi, Op. cit., Doc. LIV. 66

Guicciardini, Op. cit., vol. VII, pag. 450, lett. CCVII. Reggio, 7 luglio 1523.

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59

Ch'egli è potato il Moro e la Castagna"67

.

Il Gigli ci riassume questi terribili anni macchiati dalla violenza

con queste parole: “Ma benché la Provincia continuasse a riconoscere

con leale costanza per suo Sig(no)re il Duca Alfonso: per la lontanan-

za però di lui, e per le pericolose persecuzioni, e guerre che pativa da’

Veneziani, e dal Papa, essendosi allontanata col Principe la Giustizia

freno d’ogni licenza, e rallentato ogni vigor delle Leggi, e indebolita

con quella del Principe l’autorità de’ suoi Magistrati, e Pretori, e risor-

te altresì le rabbiose Fazioni anche ne’ Feudatari, vi seguirono in quel

funesto decennio lacrimevoli disordini di oppressioni, rapine, incendi

e violenze; disordini tanto peggiori, perché vi infierirono crudelmente

le Fazioni di Cato Castagneto, e Domenico Morotto, i quali con grosse

Truppe di Uomini facinorosi loro seguaci infestavano non solo vicen-

devolmente l’uno la parte seguace dell’altro, ma ancora tutto il restan-

te del Frignano neutrale. Ambi erano bensì perniziosi al pubblico, ma

Morotto era empio, e crudele. Costui, oriundo dalle Montagne di Reg-

gio, altrettanto rapace, quanto valoroso Soldato, e prode Capitano, do-

vunque scorrea per le Terre nemiche, depredava, uccidea, incendiava,

e desolava, ed arrivò a tal empietà, che ardì il sacrilegio d’uccidere al-

cuni Preti, come scrivono le Cronache de’ Montecuccoli, e di spoglia-

re, e ruinare molte Chiese, e spezialmente S. Margherita da Costrigna-

no, S. Pietro di Pianorso, e S. Maria di Polinago, e molt’altre. Empietà

però così detestevole non tardò molto ad essere punita severamente da

Dio Protettore e Vindicatore delle sue Chiese, e de’ suoi Sacerdoti;

mentre egli in breve restò miseramente ucciso da’ suoi nemici, e la sua

testa, e una mano spiccata dal corpo fu portata in trionfo dagli ucciso-

ri”68

.

Da quel momento il duca di Ferrara, morti i da Castagneto, sui qua-

li chiudeva volentieri un occhio, si dimostrò ben più severo ed energi-

co nell’estirpare dal Frignano i faziosi.

67

Questi versi sono riportati dal Magnani. Come facilmente si intuisce, per il Moro si intende Domenico d’Amorotto, per la Castagna Virgilio da Castagneto.

68

Ivi, L. Gigli, pag. 147.

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60

Sebbene fosse ancora lontano dal poter dominare tutta la provincia

con un solo balestriere (come scriveva Guicciardini), tuttavia il duca

Alfonso ripulì il territorio dal disordine dilagante. Il suo successore,

Ercole, fece un ulteriore passo in avanti, dando luogo ad apposite spe-

dizioni per scovare i banditi dai loro rifugi.

L’estirpazione totale dei banditi sarebbe rimasta un’utopia, ma mai

più si raggiunsero i livelli di anarchia del 1521 e 1522 dei quali fece

un ritratto appropriato Ludovico Ariosto in una satira indirizzata a Si-

gismundo Meleguzzi:

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61

“Dei saper la licenza in che è venuto

Questo paese poi che la Pantera

Indi il Leon69

l’ha fra gli artigli avuto.

Qui vanno gli assassini in sì gran schiera,

Che un’altra che per prenderli ci è posta

Non osa trar dal sacco la bandiera.

Saggio chi del castel poco si scosta!

Ben scrivo a chi più tocca, ma non torna,

Secondo ch’io vorrei, mai la risposta.”

Il brigantaggio che si evidenziò nelle montagne dell'Appennino

modenese nei primi anni del XVI secolo è stato, come abbiamo potuto

notare dalle testimonianze del tempo, un fenomeno estremamente

complesso ed interessante. Le gesta e la faida tra il d'Amorotto e la

famiglia da Castagneto sembra appartenere ad antichi poemi eroici che

avevano come protagonisti valorosi cavalieri. In effetti i tratti in co-

mune con questa epoca ancor più lontana non mancano di certo: si può

dire che i protagonisti combattano in nome di un simbolo e di un idea-

le ben radicato. Il d'Amorotto, fedele allo stato pontificio e al Papa,

rappresenta una pedina importante per Roma e, allo stesso tempo, una

minaccia più che reale per il Duca estense. I da Castagneto appaiono

come una grande famiglia che fonda le proprie radici sulla lotta e sulla

sovversione. Il Duca si dimostrò un attento osservatore quando assol-

dò tra le proprie fila il capofamiglia Gaspare da Castagneto, assicu-

randosi, di conseguenza, i servigi dei tre figli. In effetti la guerra tra

Cato e Domenico appare quasi come quella tra Ettore e Achille: ag-

guati, battaglie in campo aperto, vendette e persino rapimenti di cugi-

ne che diventeranno concubine del nemico. A fianco di questa narra-

zione dai toni quasi romantici e d'altri tempi, emergono elementi che

ci introducono bruscamente in un contesto del tutto nuovo che segnerà

una rottura col passato. Infatti Cato e Domenico possono apparire co-

me antichi eroi che si sfidano per i propri ideali, ma, più realistica-

69

Si allude al dominio che, prima del duca di Ferrara, avevano tenuto della Garfa-gnana le due repubbliche di Lucca e di Firenze; la prima delle quali portò nel suo stemma una pantera.

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62

mente, possono anche apparire come due feroci briganti resi "legitti-

mi" dagli organi di potere superiori. Innanzitutto, per fare chiarezza,

bisogna dire che le amministrazioni locali non avrebbero certo rispar-

miato dalle più pesanti condanne sia il d'Amorotto sia i da Castagneto

qualora li avessero catturati.

Il problema nasce proprio dall'impotenza che i governatori del luo-

go avevano nei confronti di questi temibili capibanda. Non solo non

potevano condannarli, concedendo loro una sorta di grazia illimitata,

ma dovevano assistere all'incentivo della violenza che i diretti superio-

ri impartivano ai briganti per sconfiggere il nemico. Lo scontro tra i

due montanari appariva, se analizzato lucidamente, uno scontro tra

Stato e Chiesa, celato grazie solamente alla natura non civilizzata dove

il sangue delle battaglie scorreva. Il filo diretto tra gli sperduti boschi

del Frignano con i palazzi del suolo pontificio non era mai stato così

attivo: le notizie riguardanti le varie battaglie correvano veloci e tene-

vano in apprensione le autorità di Roma e di Ferrara.

Le parole di disgelo che spesso i regnanti dovevano pronunciare e-

rano, in realtà, frasi di circostanza dettate più dall'autorità che ricopri-

vano piuttosto che da un reale sentimento.

Un altro punto di interesse che questa vicenda suscita nel lettore è

certamente la figura che il brigante ricopre all'interno della società e

della gente locale. Sia Cato sia Domenico rappresentavano, non a ca-

so, due personalità fortissime capaci di seguire ma anche dettare ordi-

ni. Solamente due individui così carismatici sarebbero riusciti nell'im-

presa di unire intere comunità di malviventi, generando un sentimento

di rispetto pari a quello dei subalterni verso i superiori all’interno delle

forze armate. Inoltre le bande apparivano unite ma anche molto etero-

genee, in quanto sia il da Castagneto che il d'Amorotto coinvolsero

uomini che provenivano dalla Toscana alla Romagna, ma anche dalla

Liguria e dall'Emilia più orientale.

Ciò che in questo periodo accomunava tutti i cittadini del Frignano

era la lotta per la sopravvivenza che ognuno cercava di raggiungere

nonostante le carestie e le devastazioni che gli scontri incessanti gene-

ravano. Proprio per questi motivi l’Appennino intero accolse con gioia

la morte dei briganti, principali artefici del lungo calvario che questa

gente dovette accollarsi.