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Appunti di Fisica I per il Corso di Laurea in Chimica Prof. G. Carboni III.1 Edizione - Marzo 2004

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Appunti di Fisica Iper il Corso di Laurea in Chimica

Prof. G. Carboni

III.1 Edizione - Marzo 2004

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Indice

I Grandezze Fisiche e Misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3II Cinematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15III Dinamica del punto materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22IV Moto oscillatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39V Trasformazioni di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44VI Lavoro di una forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48VII Dinamica dei sistemi di punti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58VIII Urti fra particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61IX Momento angolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65X Dinamica dei corpi rigidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70XI Dinamica dei fluidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78

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Capitolo I

Grandezze Fisiche e Misure

1 Grandezze fisiche La Fisica e una scienza che studia i fenomeni naturali applicando ilmetodo sperimentale. Il cuore di questo metodo consiste nell’individuare le grandezze che pos-sono individuare in maniera completa il fenomeno stesso e assicurarne quindi una descrizioneil piu possibile oggettiva e quantitativa.

Prendendo come esempio la caduta di un oggetto pensiamo naturalmente alla sua posizioneche varia nel tempo e intuitivamente siamo portati a mettere in relazione la posizione nellospazio con il tempo che trascorre. Posizione e tempo sono un esempio di grandezze fisiche.La misura di queste grandezze richiede in generale degli appositi strumenti: in questo caso ilminimo e un metro per la misura della posizione e un orologio per la misura del tempo.

2 Dimensioni Nella Fisica che studieremo in questo corso, avremo a che fare con tredifferenti tipi di grandezze fondamentali, a ciascuna delle quali associamo una dimensione cheviene indicata fra parentesi quadre:

1. lunghezze,�L�2. tempi, �T �

3. masse, �M�

3 Unita di misura Ciascuno di questi tipi di grandezza richiede un differente tipo distrumento per la misura: il metro per le lunghezze, l’orologio per i tempi e la bilancia per lemasse. Per ogni grandezza fondamentale esiste un campione e l’unita di misura e riferita alcampione. Nel sistema internazionale (SI) le unita di misura sono

� per le lunghezze il metro (m)� per i tempi il secondo (s)� per le masse il chilogrammo (kg)

Il sistema cgs utilizza invece il centimetro (cm) e il grammo (g) per le lunghezze e le masse.Il centimetro e la centesima parte del metro e il grammo la millesima parte del chilogrammo.

4 Grandezze derivate Un’area si misura in metri quadri ( m2) e le sue dimensioni sono�L�2. Il volume in metri cubi ( m3) e le sue dimensioni sono �L�3. La densita si misura in kg/ m3

e le sue dimensioni sono �M��L��3. E’ importante ricordare che si possono paragonare, som-mare e sottrarre solo grandezze della stessa dimensione (omologhe). Il controllo dimensionaledi una formula e fondamentale per evitare errori.

Vi sono altre unita di uso corrente. Per esempio il volume si misura anche in litri. 1 litro =0.001 m3. Ma le sue dimensioni sono naturalmente sempre �L�3.

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

I rapporti di grandezze omologhe non hanno dimensioni e sono semplici numeri.Gli argomenti delle funzioni trigonometriche, logaritmi, esponenziali devono sempre esse-

re numeri. Non ha senso calcolare il seno di una lunghezza o di una massa.

5 Multipli e sottomultipli

� centi (10�2), abbreviato con c: cm� milli (10�3), abbreviato con m: mm, mg, ms� kilo (103), abbreviato con k: km, kg� micro (10�6), abbreviato con µ: µm, µs� mega (106), abbreviato con M� nano (10�9), abbreviato con n: nm, ns� giga (109), abbreviato con G� pico (10�12), abbreviato con p: ps� tera (1012), abbreviato con T

Accanto a questi multipli e sottomultipli ne esistono molti altri di uso corrente: il minuto(60 s), l’ora (60 min=3600 s), la tonnellata (1000 kg, usata al posto del Mg), ecc.

6 Leggi fisiche Quando la fisica studia un fenomeno essa si propone di ottenere delleleggi a partire dalla misura delle grandezze fisiche che lo descrivono. Queste leggi servono poia predire come avverranno dei fenomeni similari. La procedura per ottenere una legge e grossomodo la seguente. Restando sull’esempio della caduta dei corpi, studiandone la caduta da variealtezze misurando i dati sperimentali, si passa a scrivere una formula che descrive bene tuttela cadute osservate, permettendoci di sapere quanto tempo il corpo impiega per cadere da unadeterminata altezza. Tuttavia la formula a questo punto di per se non ha alcuna utilita praticadato che noi abbiamo gia misurato i tempi di caduta dalle varie altezze e quindi li conosciamoin partenza senza bisogno della formula. Il passo successivo e di promuovere la nostra formulaa legge fisica, ossia di ipotizzare che abbia valore anche per tutte la cadute da altezze che nonabbiamo misurato.

Evidentemente questa ipotesi deve essere verificata. Dovremo quindi andare a vedere secompiendo successive misure essa rimane valida, ossia se c’e accordo fra i nuovi valori dellegrandezze misurate e quelli predetti dalla formula. Se l’accordo non esiste la legge non e validae la nostra formula non avra lo status di legge fisica. Questo in genere non inficia le misureprecedenti e la validita della formula, che pero rimane applicabile solo a un sottoinsieme delfenomeno. Diciamo “in genere” dato che qualche volta capita che ripetendo una misura siscopra che sono stati fatti degli sbagli nelle misure precedenti.

Si vede subito che non e mai possibile pretendere che una legge fisica sia esatta dato cheuna sola misura potrebbe invalidarla. Si vede anche intuitivamente che possiamo definire unalegge tanto piu “solida” quanto e maggiore il numero di verifiche a cui e stata sottoposta consuccesso. Occorre anche dire che questa procedura, nata con la Fisica, e da tempo alla base diqualunque scienza quantitativa, naturale e non.

Se un esperimento e in contraddizione con una legge fisica consolidata, prima di grida-re alla scoperta e doverosa un’accurata verifica dei dati raccolti e della procedura di misuraseguita. Nonostante il pubblico sia portato a pensare l’opposto, il fisico e molto spesso piuinteressato a smontare una legge o una teoria fisica che alla “conservazione” della stessa. Maspessissimo quella che si pensa essere la scoperta dei limiti di validita di una legge e solo un

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

errore sperimentale. Ci sono molti esempi recenti di questo fatto (ricordate per esempio la“Fusione fredda”?)

7 Accuratezza di misura Da quel che si e detto sopra l’accuratezza delle misure speri-mentali e d’importanza capitale in Fisica. Si capisce intuitivamente che da un lato una grandeaccuratezza permettera delle predizioni piu precise; se poi fossimo in dubbio quale fra diffe-renti leggi fisiche meglio descrive un certo fenomeno, quanto migliore sara l’accuratezza dellemisure, tanto piu facile sara la scelta. Purtroppo tuttavia sappiamo dalla nostra esperienza cheogni misura e affetta da incertezze ed errori che la rendono inaccurata.

E’ importante quindi dare una definizione quantitativa dell’incertezza allo scopo, ed esem-pio, di paragonare la bonta di due diverse misure, per poter cercare di minimizzarla conun’adeguata procedura sperimentale e anche per sviluppare migliori strumenti.

8 Importanza degli strumenti Se vogliamo misurare la lunghezza di un oggetto o ladistanza fra due punti non troppo lontanti e non troppo vicini utilizzeremo un metro. Uncomune metro da sarto ha graduazioni ogni 1�2 centimetro (Fig. 1). Sara difficile misurarequalcosa con una precisione migliore di 1�2 cm a meno che, ed esempio, l’oggetto da misurarenon corrisponda esattamente a una tacca del metro. Anche in questo caso puo sorgere il dubbioche il metro da sarto possa cambiare di lunghezza se viene piu o meno teso. Chiaramente ilmetro a nastro metallico mostrato nella stessa figura sembra di migliore accuratezza dato cheha graduazioni ogni millimetro ed e meno deformabile del metro da sarto.

Fig. 1

Se vogliamo una precisione migliore del mm occorre uno strumento come il calibro (Fig.2) con il quale possiamo misurare le frazioni del mm. Il calibro tuttavia ha la limitazione chesi adatta a misurare solo oggetti piccoli, come appunto le monete.

E’ quindi importante tenere a mente che la prima regola e di scegliere lo strumento adatto.

9 Errori di misura Introduciamo a questo punto l’errore di misura, che e semplicementela differenza fra il valore vero di una grandezza e il valore misurato. Questa grandezza nonpuo essere conosciuta nel senso usuale del termine, dato che occorerebbe sapere il valore vero,ma questo e ignoto. L’errore puo quindi essere solo stimato, e uno dei punti fondamentali dellacosiddetta teoria degli errori sta appunto nell’ottenere tale stima.

Indicheremo con δx l’errore sulla grandezza x. Per esplicitare brevemente sia il valoremisurato x0 che l’errore, scriveremo

x0�δx

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

Fig. 2

Il significato di questa notazione e che il valore vero della grandezza x e compreso nell’inter-vallo

x0�δx � x � x0 �δx� �� �intervallo di confidenza

con “ragionevole certezza”. Una certezza ragionevole pup significare ad esempio il 95%.E’ naturale che ingrandire l’intervallo significa anche aumentare la certezza che il valorevero cadra al suo interno. Tuttavia un intervallo eccessivamente grande non da una buoninformazione.

10 Errore relativo Dividendo l’errore (preso positivo) per il modulo della grandezzamisurata abbiamo l’errore relativo. Consideriamo ad esempio

x � 9�81�0�3 y ��3�14�0�5

Gli errori relativi sonoδx�x� � 0�03 � 3%

δy�y� � 0�16 � 16%

L’errore relativo permette di paragonare la qualita delle misure di grandezze differenti. Invecedi dare l’errore relativo in percento, nel caso di misure di alta precisione si usa darlo in ppm:parti per milione. Per esempio il numero di Avogadro e noto con una precisione relativa di 0.6ppm. La massa dell’elettrone con 0.3 ppm. La costante di gravitazione con solo il 0.013 %.

Per molti scopi correnti, una misura con precisione relativa dell’1 % e da considerarsibuona.

11 Cifre significative E’ chiaro che non ha molto significato scrivere

(1) m � 12�245�0�3 kg

Essendo l’errore stimato di 0.3 kg, le cifre significative per la massa sono in numero eccessivo.Infatti esse specificano il valore della massa fino al grammo mentre l’errore e di ben 300grammi. E’ quindi piu corretto scrivere 12�2� 0�3 kg, o al massimo 12�24� 0�30 kg. Per lostesso motivo non ha senso scrivere un errore con piu di due cifre significative.

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

12 Misure consistenti e non Supponiamo di avere due misure distinte della stessa gran-dezza

40�5

42�8

Dato che i due intervalli di confidenza si sovrappongono, il valore vero puo essere contenutoin entrambi e quindi diciamo che non vi e discrepanza fra le due misure. Viceversa

35�3

44�2

sono inconsistenti. In tal caso almeno una delle due misure e sbagliata oppure gli errori sonostati sottostimati.

13 Tipi di errori Dividiamo gli errori di misura in casuali o statistici e sistematici.

14 Errori casuali o statistici Immaginiamo di far ripetere la stessa misura di lunghezzacon lo stesso strumento a dieci sperimentatori distinti, chiedendo a ciascuno di darne la suamigliore stima. Avremo dieci valori che non saranno tutti uguali. La diversita traduce il fattoche ciascuno ha commesso un errore differente nello stimare la lunghezza. Se facciamo ripete-re la misura troveremo che spesso lo stesso sperimentatore non ritrovera il valore precedente:gli errori sono casuali. A volte si trovera un valore inferiore a quello vero, a volte superiore:gli errori possono quindi essere positivi o negativi. Il valore medio degli errori casuali su unnumero N molto grande di misure sara quindi zero:

(2) δx �1N

N

∑i�1

δxi � 0 N molto grande

15 Errori sistematici Abbiamo un errore sistematico tutte le volte che misuriamo qual-cosa con uno strumento di costruzione imprecisa o di funzionamento difettoso. Ad esem-pio, utilizzando un metro “lungo” le nostre misure saranno sistematicamente piu piccole dellarealta. Una bilancia difettosa fornira pesi sistematicamente maggiori del vero. In altri casi saral’uso improprio dello strumento a falsare le misure. Ne consegue che se facciamo la mediadegli errori sistematici di molte misure N il risultato non sara zero:

δx �1N

N

∑i�1

δxi �� 0

L’errore sistematico si riduce con una verifica accurata degli strumenti e delle tecniche dimisura.

16 Un buon esempio per illustrare gli errori casuali e sistematici e mostrato nella Fig. 3in cui vediamo i risultati di 20 tiri su un bersaglio. A sinistra, benche il tiratore mirasse esat-tamente al centro, errori casuali hanno reso il tiro impreciso. Si vede che i colpi si addensanoverso il centro del bersaglio, ma tuttavia ne possiamo trovare anche alcuni piuttosto lontani dalcentro.

La situazione e diversa nel disegno a destra. Ci rendiamo subito conto che i tiri sonosistematicamente spostati verso destra e verso l’alto. In questo caso il fucile o il mirino ha un

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

difetto di regolazione. Oltre a questo errore sistematico abbiamo gli errori casuali come prima,che provocano la dipersione dei colpi. La dispersione non e piu attorno al centro ma attornoalla direzione “sbagliata” dovuta all’errore sistematico.

Fig. 3

17 Errori su somma e differenza di grandezze Supponiamo che la grandezza z sia lasomma di due grandezze x e y. Chiamiamo δx e δy gli errori sui valori misurati x e y. Qualesara l’errore su z � x� y?

Un caso estremo lo abbiamo quando le misure di X e Y assumono i valori x�δx e y�δy.L’altro caso estremo si ha per x� δx e y� δy. Si vede quindi che z e certamente compresonell’intervallo x� y� �δx� δy�. Possiamo quindi dire che l’errore sulla somma e la sommadegli errori.

Se consideriamo z � x� y i casi estremi si hanno questa volta per x� δx e y� δy e perx� δx e y� δy. Cosı anche per la differenza di due grandezze l’errore e sempre dato dallasomma degli errori.

18 Somma quadratica degli errori La regola di somma semplice degli errori e pessi-mistica se abbiamo a che fare con errori casuali. Una spiegazione intuitiva e che sara pocoprobabile che le due misure abbiano fluttuato contemporanemante dalla stessa parte. Si puodimostrare che la formula corretta e quella della somma quadratica degli errori:

δ�x� y� ��

δx2 �δy2

δ�x� y� ��

δx2 �δy2 e, in generale

δ�x1 � x2 � � � �� xN� ��

δx21 �δx2

2 � � � �δx2N

(3)

Per quanto possa sembrare paradossale, la somma quadratica porta a delle semplificazionirispetto alla somma semplice. La somma quadratica degli errori e sempre inferiore alla sommasemplice.

Per indicare la somma quadratica degli errori useremo la notazione seguente:

(4) δz � δx�δy��� ��δw

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

19 Propagazione degli errori Supponiamo di misurare un tempo t ma di essere interes-sati a conoscere lo spazio s che si ottiene dal tempo attraverso la formula (g e una costantenota):

(5) s �12

gt2

Come si ripercuote sullo spazio l’errore sul tempo?Se invece di t misuriamo t �δt avremo

s�δs �12

g�t �δt�2 � 12

gt2�gtδt da cui l’errore

δs � gtδt(6)

Abbiamo trascurato la parte in δt2 perche piu piccola del resto. In pratica abbiamo trattato δtcome un differenziale. La formula quindi equivale a δs � �ds�dt�δt (dove il modulo serve arendere l’errore positivo).

Notare che, anche se l’errore su t e costante, l’errore su s cresce al passare del tempo.Tuttavia l’errore relativo rimane costante, infatti da (5) e (6)

δss� 2

δtt

Abbiamo quindi le regole di validita generale:

se y � f �x�

δy �

����d fdx

����δx

δy�y� �

���� xf d fdx

���� δx�x�

(7)

A proposito dell’errore relativo, e interessante notare che, ponendo y � lnx,

(8) δy � δ�lnx� �δxx

per cui l’errore relativo su una grandezza e uguale all’errore sul suo logaritmo. Da qui ottenia-mo anche:

se y � axn

lny � n lnx

δy�y� � n

δx�x�

(9)

che vale per qualunque n, anche frazionario. Ad esempio se δv��

2gs allora δv�v�1�2 �δs�s�

20 Funzioni di piu variabili Se la grandezza da misurare y e ottenuta come funzione dipiu variabili misurate xi, la regola dell’errore si generalizza nel modo seguente. Si fa variareciascuna delle variabili del suo errore tenendo fisse tutte le altre. Matematicamente equivale a

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

calcolare le derivate parziali rispetto a tutte le variabili ottnendo il contributo all’errore di y diciascuna:

δyi �

���� ∂ f∂xi

����δxi

Abbiamo quindi N errori su y che sono fra loro indipendenti. L’errore totale si ottiene som-mando (in genere quadraticamente) gli errori parziali:

δy �

���� ∂ f∂x1

����δx1����� ∂ f∂x2

����δx2��� ������ ∂ f∂xN

����δxN

21 Casi particolari Spesso capita che y sia una funzione particolarmente semplice dellegrandezze direttamente misurabili. Ad esempio una densita si ottiene faccendo il rapporto dimassa e volume: ρ � M�V . Applicando l’Eq. (8) abbiamo

lnρ � lnM� lnV

δρρ

�δMM� δV

V

Qundi in questo caso l’errore relativo e semplicemente la somma (quadratica) degli errorirelativi dovuti alle varie misure. In generale:

se y � xa1 � xb

2 � xc3 � � �

alloraδyy

� �a�δx1

x1��b�δx2

x2��c�δx3

x3��� �

I valori assoluti servono a fare in modo che tutti gli addendi della somma siano positivi, datoche la formula vale anche per a�b�c� � � � negativi (come nel caso della densita ρ � MV�1).

22 Distribuzione degli errori casuali Torniamo all’esempio del tiro al bersaglio, e ri-portiamo in un grafico gli errori osservati orizzontalmente lungo x in 20 tiri. Nella Fig. 4 inalto ogni errore e riportato con un tratto verticale. Vediamo che gli errori si addensano intornoallo zero. Il grafico di mezzo e un istogramma: l’intervallo di x e stato diviso in 20 segmenti(ciascuno e quindi largo 0.5) e sull’asse y riportiamo quante volte un errore e caduto all’internodi ogni segmento. Vediamo che per 6 volte gli errori sono fra -0.5 e 0, e per altre 6 volte fra0 e 0.5, a conferma dell’addensamento attorno allo zero. Questo istogramma si chiama anchedistribuzione degli errori.

Infine nel grafico in basso e riportata la distribuzione nel caso di 10000 tiri: l’istrogram-ma ha una forma caratteristica e molto regolare, approssimato bene dalla funzione gaussianatratteggiata. In effetti quasi tutti gli errori casuali seguono questa distribuzione. essa e carat-terizzata da un valore medio (la posizione del picco) e dalla cosiddetta deviazione standard,indicata spesso con la lettera σ. Dato che l’errore medio della distribuzione e nullo (vedi Eq.(2)) esso non contiene informazioni utili. La deviazione standard, e la media dei quadrati deglierrori. In questo modo tutti gli errori positivi o negativi contribuiscono nello stesso senso:

(10) σ2 �1N

N

∑i�1

δx2i per N ∞

Se N non e molto grande la formula da un risultato approssimato, ma comunque e assai utileper valutare l’entita degli errori in una serie di misure. Nella figura la distribuzione ha esatta-mente σ � 1, mentre se la calcoliamo sui primi 20 tiri troviamo σ � 0�7628. Con 10000 tiril’approssimazione e ottima: σ � 1�011.

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

Fig. 4

23 Dostribuzione normale degli errori La distribuzione normale degli errori (o distri-buzione di Gauss) e mostrata in Fig. 5 per il caso di σ � 1. Per σ maggiori o minori di 1 lacurva rispettivamente si allarga o si restringe, mantenendo pero la stessa forma se l’asse x eespresso in unita di σ. L’area sotto la curva rappresenta il numero di misure (o di eventi), inquesto caso pari a 100. Nella zona compresa tra -1 e 1 ci sono 68 misure ossia il 68 % del to-tale. Questo vuol dire che compiendo una misura abbiamo la probabilita del 68 % di compiereun errore inferiore a σ in valore assoluto, e quindi del 32 % di trovare un errore maggiore. Laprobabilita di trovare un errore superiore in valore assoluto a 2σ e invece del 100� 95 � 5%.Ma cosa utilizzare per definire in modo non ambiguo l’incertezza di una misura? Una praticae quella di citare il “livello di confidenza”, dicendo ad esempio che x � 137� 6 con la con-fidenza del 95 %. Questo corriponde a dire che 6 � 2σ e quindi σ � 3. Ma la convenzionecorrente e di dare come errore proprio σ, senza citare il livello di confidenza (che in tal casoe il 68%): x � 137� 3. E’ chiaro che se conosciamo σ e gli errori sono normali (gaussiani)possiamo calcolarci sempre il livello di confidenza partendo dalla curva di Fig. 5 o usandoapposite tabelle.

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

68%

95%

0

10

20

30

40

-5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5

Fig. 5

24 Valor medio Si dimostra che, avendo effettuato N misure di una grandezza X e sequeste sono affette da errori casuali, la migliore stima del valore vero si ottiene facendo lamedia:

(11) x �1N

N

∑i�1

xi

Da quale errore e affetto il valor medio? Applichiamo la regola della somma quadraticadegli errori al valor medio. Teniamo conto del fatto che l’errore sara verosimilmente uguale(δx) per tutte le misure per cui l’errore sulla somma sara ∑N

i�1 xi sara�

N δx. Allora:

δx �1�N

δx o, spesso

δx �1�N

σ(12)

Si vede quindi che ripetendo la misura possiamo ridurre l’errore casuale a piacimento finoa renderlo trascurabile. A questo punto l’incertezza sara dominata dagli errori sistematici.

25 Stimare l’errore dai dati Possiamo utilizzare la media quadratica (10) degli erroriper stimare la deviazione standard se non e nota a priori o per fare una verifica. Tuttaviaper calcolare gli errori occorerebbe conoscere il valore vero della grandezza (che e ignoto).Assumiamo quindi di poter sostituire al valore vero il valor medio delle misure:

δxi � xi� xvero xi� x

In tal caso si dimostra che la migliore stima di σ2 e data da

(13) σ2 s2 �1

N�1

N�1

∑i�1

�xi� x�2

dove notiamo che la media viene fatta non sulle N misure ma su N� 1. Se N e abbastanzagrande la differenza non e importante.

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26 Errori sui conteggi Un caso particolare di misura e quella di conteggio di eventi tuttiindipendenti fra loro. Questo significa che un evento non condiziona nessun altro. Un esempiopuo essere il lancio ripetuto di una moneta. Su 100 lanci ci attendiamo che 50 diano testa e 50croce. Tuttavia se avessimo 52 e 48 non ci stupiremmo piu di tanto. Se chiamiamo errore δNla differenza fra le teste osservate e quelle aspettate, che errore possiamo aspettarci? Qual e laσ della distribuzione?

La risposta e che σ ��

N dove N e il numero di teste attese. Nel caso nostro N � 50 equindi σ � 7. Non c’e da stupirsi se quindi invece di 50 troveremo 43 o anche 60. Questorisultato e generale: se ci attendiamo N eventi di qualcosa allora la deviazione standard e

�N.

Notiamo che al crescere di N l’errore relativo diminuisce:

δNN

�1�N

Ma qual e la distribuzione dei conteggi? Se µ e il numero atteso di conteggi (che puo ancheessere non intero: pensiamo a un numero medio ossevato in un certo tempo) la probabilita diosservarne n segue la distribuzione di Poisson:

(14) Pn � µn e�µ

n!

Notiamo in particolare che la probabilita di non osservare niente (zero conteggi) e P0 � exp��µ�.Per µ � 5 la distribuzione di Poisson si approssima a quella normale con valore medio µ eσ �

�µ. Per gli intervalli di confidenza quindi possiamo basarci sulla distribuzione normale.

Trovare 65 invece di 50 (oltre le due deviazioni standard) e un evento poco probabile (5 %) manon impossibile. Ma se ripetendo la serie dei lanci dovessimo continuare a trovare valori fuoridell’intervallo�2σ faremmo bene a dubitare della nostra moneta.

27 Significato dei dati Supponiamo che in una fascia intorno a un’antenna radio trasmit-tente si osservino in 5 anni 2 casi di leucemia, mentre dall’incidenza normale della malattiaci saremmo aspettati 0.3 casi. Potremmo quindi ipotizzare che l’antenna aumenta il rischiodi leucemia di ben 6.7 volte (=2/0.3). Ma abbiamo a che fare con numeri molto piccoli. Seapplichiamo la distribuzione di Poisson con µ � 0�3 troviamo che la probabilita di osservare 2o piu casi “naturali” e del 4 %, un numero non trascurabile. Non possiamo quindi escludereche i casi osservati siano una fluttuazione fortuita.

Diverso sarebbe se in 10 anni avessimo osservato 4 casi, rispetto a un valore atteso di 0.6.In tal caso la probabilita di osservare 4 o piu casi mentre ne sono attesi 0.6 e solo dello 0.3 %.Si vede quindi che raccogliere piu dati e importante.

28 Calcolo Le calcolatrici scientifiche e i fogli di calcolo come Microsoft EXCEL oWORKS permettono di calcolare rapidamente valori medi e deviazioni standard (Fig. 6).Spesso hanno anche funzioni piu sofisticate che permettono di verificare, ad esempio, se duevariabili sono fra loro legate.

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CAPITOLO I. GRANDEZZE FISICHE E MISURE

Fig. 6

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Capitolo II

Cinematica

29 La cinematica e quella branca della meccanica che studia il movimento dei corpi sen-za domandarsi quali sono le cause che lo producono. Nella cinematica vengono definite levariabili necessarie per descrivere il moto dei corpi.

30 Sistema di riferimento Per descrivere il moto occorre servirsi di un sistema di riferi-mento. Un sistema di riferimento e costituito da un insieme di corpi, fissi relativamente l’unoall’altro, rispetto ai quali definiamo la posizione del corpo studiato e il suo movimento. Unesempio semplice potrebbe essere la stanza nella quale ci troviamo. In tal caso la posizionedel corpo che studiamo puo essere definita misurandone le distanze dalle pareti.

31 La scelta del sistema di riferimento e del tutto arbitraria. Una mosca che vola all’in-terno di un vagone ferroviario in movimento puo essere studiata sia rispetto a un riferimentosolidale con lo scompartimento del vagone sia rispetto a un riferimento fisso rispetto al suo-lo. Tuttavia spesso la scelta di un determinato sistema permette delle notevoli semplificazioninella soluzione di un problema.

32 Sistema di coordinate Il sistema di coordinate viene utilizzato per permettere la de-scrizione matematica del movimento rispetto al sistema di riferimento. In pratica il sistemadi coordinate puo essere pensato come ancorato al sistema di riferimento. E importante nonconfondere il sistema di coordinate con il sistema di riferimento, anche se a volte perfino ilibri di testo confondono le due cose. Mentre il sistema di riferimento e qualcosa di fisico, ilsistema di coordinate e qualcosa di geometrico. Possiamo sempre scegliere fra infiniti sistemidi coordinate quello che meglio si presta alla descrizione del problema.

33 Sistema di coordinate cartesiane ortogonali Un sistema di coordinate molto usatoe quello cartesiano ortogonale. Sempre allo scopo di ribadire la differenza fra sistema dicoordinate e sistema di riferimento, notiamo che nell’esempio della mosca sul treno possiamousare un sistema di coordinate cartesiane ortogonali sia (a) nel sistema di riferimento solidalecol vagone che (b) nel sistema di riferimento solidale col suolo. Nel caso (a) gli assi possonoessere gli spigoli delle pareti dello scompartimento, nel caso (b) gli spigoli delle pareti dellasala d’aspetto nella stazione piu vicina.

34 Sistema di coordinate polari In certi casi il sistema di coordinate cartesiane ortogo-nali non e il piu adatto a formulare o risolvere un certo problema. Ad esempio, per studiareil moto di una pallina che ruota attorno a un centro su una traiettoria circolare e consigliabileutilizzare un sistema di coordinate polari r�θ. Perche tale sistema e vantaggioso rispetto al

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CAPITOLO II. CINEMATICA

sistema cartesiano? Il motivo e semplice: per descrivere il moto della pallina e sufficiente lasola variabile angolare θ dato che la distanza r della pallina dal centro non varia. Con le coor-dinate cartesiane avremmo dovuto utilizzare le due variabili x e y. In altri casi, che vedremo inseguito, converra continuare ad usare le coordinate polari, pur se r dovesse variare.

35 Unita di misura Le lunghezze (dimensioni �L�) si misurano in metri (m) nel sistemaMKS, in centimetri (cm) nel sistema cgs. 1 cm = 0.01 m. Gli angoli non hanno dimensionie si misurano generalmente in radianti (rad); i gradi si possono convertire in radianti tenendopresente che 360o � 2π rad.

36 Trasformazioni di coordinate Il fatto che la scelta del sistema di coordinate sia arbi-traria implica che e sempre possibile esprimere le coordinate di un sistema tramite le coordinatedi un altro sistema. Si usa per questo il termine di trasformazione di coordinate. Ad esempio:

x � rcosθy � r sinθ

esprime la trasformazione da coordinate polari nel piano a coordinate cartesiane ortogonali:date r e θ si ottengono x e y. La trasformazione e ovviamente invertibile:

r ��

x2 � y2

θ � arctan�y�x�

37 Traslazione di un sistema di coordinate cartesiane Traslare un sistema di coordi-nate cartesiane significa spostarne l’origine mantenendo pero invariate le direzioni degli assi.Supponiamo ad esempio di traslare l’origine di a lungo x, di b lungo y e di c lungo z. Chiamia-mo �x��y��z�� le coordinate di un punto P nel sistema traslato. Allora le coordinate nel vecchiosistema e nel nuovo saranno legate in maniera molto semplice:

x � x��a

y � y��b

z � z�� c

(15)

38 Rotazioni Supponiamo di voler ruotare il nostro sistema di coordinate cartesiane. Pos-siamo riferirci alla Fig. 7 per visualizzare il problema nel caso semplice

x

y

x’

y’

θ

P

Fig. 7

ma abbastanza frequente di una rotazione attorno a unasse (z in questo caso). L’angolo di rotazione e θ. Os-serviamo prima di tutto che la coordinata z non cam-bia. Per le altre due, con un poco di trigonometria siottiene:

x� � xcosθ� ysinθy� � ycosθ� xsinθz� � z

(16)

Come si vede ciascuna delle nuove coordinate influen-zate dalla rotazione (quindi non z) e funzione di en-trambe le due vecchie. La trasformazione lascia giu-stamente inalterata la distanza di P dall’origine:

16

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CAPITOLO II. CINEMATICA

x2 � y2 � z2 � x� 2 � y� 2 � z� 2 (verificatelo direttamente). Tenete presente che la formulava bene anche in caso di rotazioni in senso opposto (cioe orario) purche si cambi il segnodell’angolo di rotazione.

Se la rotazione non avviene lungo uno degli assi coordinati abbiamo comunque sempredelle trasformazioni lineari che coinvolgono le tre coordinate insieme, con delle formule unpoco piu complicate, ma la sostanza non cambia.

39 Punto materiale Descrivere il moto di un corpo di forma arbitraria puo essere moltocomplicato. Il caso piu semplice che puo presentarsi e quello del cosiddetto punto materiale,per descrivere il quale sono sufficienti 3 coordinate cartesiane ortogonali per il moto nellospazio, mentre ne bastano 2 nel piano e 1 sola se il moto avviene lungo una retta.

40 Traiettoria Un punto materiale muovendosi nello spazio occupa successivamenteun’infinita di posizioni successive. Si chiama traiettoria il luogo dei punti occupati successi-vamente dal punto materiale nel suo moto. Si tratta in genere di una linea curva. Se la linea echiusa il moto e limitato e il punto percorre continuamente la medesima traiettoria, come nelcaso delle orbite planetarie.

41 Gradi di liberta Un punto materiale nello spazio puo venire identificato da 3 coordi-nate cartesiane ortogonali. Il numero di coordinate indipendenti non cambia se usiamo coordi-nate polari o cilindriche o ellittiche o altre. Diciamo quindi che il punto materiale nello spazioha 3 gradi di liberta. Analogamente i gradi di liberta sono 2 se il punto si muove nel piano ecc.Il numero dei gradi di liberta non puo essere modificato dalla scelta del sistema di coordinate.

42 Vettori Le tre coordinate cartesiane che identificano la posizione di un punto P nellospazio ci dicono come dobbiamo spostarci dall’origine delle coordinate per arrivare in P. Adesempio possiamo spostarci successivamente lungo x�y e z di distanze pari alle coordinatedel punto. Non e necessario che ci spostiamo in quest’ordine: va benissimo anche muoversiprima lungo z, poi lungo y e poi lungo x. Oppure possiamo puntare direttamente verso P. Lospostamento da O verso P e quindi associato a una direzione, a un verso, ed infine al valoredella distanza di cui dobbiamo spostarci. Lo spostamento e una grandezza che si chiamavettore e lo indichiamo con una notazione speciale: �r, o anche, se vogliamo evidenziare lapartenza e l’arrivo, con �OP. La freccia serve a ricordarci che ogni vettore e caratterizzatoda una direzione. La lunghezza dello spostamento non e altro che la distanza fra l’origine Oe P, ossia

�x2 � y2 � z2, e costituisce il modulo del vettore che si indica con ��r� x o anche

semplicemente con r.

Segue da tutto questo che il vettore�r e intrinsecamente legato alle coordinate �x�y�z� diP e quindi �x�y�z� sono qualcosa di piu di tre semplici numeri. Il numero di caramelle in unsacchetto, il numero di atomi in una molecola di DNA, la temperatura a cui l’acqua bolle nondipendono dalla scelta del sistema di coordinate. Sono grandezze scalari. Le tre coordinate diun punto invece mutano se cambiamo sistema di coordinate; non solo, ma lo fanno in manieradipendente l’una dall’altra, come abbiamo visto prima. Chiamiamo la terna di numeri �x�y�z�le componenti del vettore�r.

43 Vettore spostamento Abbiamo definito il nostro vettore posizione riferendoci all’ori-gine O del nostro sistema di coordinate. Se cambiamo l’origine del sistema di coordinate e noi

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CAPITOLO II. CINEMATICA

ci spostiamo nella nuova origine, O�, e chiaro che in genere dovremo guardare in una direzionediversa per vedere il punto P. Il nuovo vettore posizione,�r� sara quindi diverso da�r.

Consideriamo ora non piu il vettore posizione ma il vettore spostamento �w dal punto Pa un altro punto Q. Si usa indicare questo vettore a volte anche con la notazione �PQ: la suadirezione indica da che parte ci si deve spostare per andare da P a Q e il suo modulo e al solitola distanza fra questi due punti:

(17) � �PQ�� ��w���

�xp� xq�2 ��yp� yq�2 ��zp� zq�2

Questo vettore spostamento ha una sua realta autonoma totalmente svincolata dal sistema dicoordinate, perche legata solo all’esistenza dei punti P e Q. Il vettore e un oggetto che non cam-bia quindi col sistema di coordinate. Quel che cambia saranno solamente le sue componenti,che passeranno dalla terna di numeri �wx�wy�wz� a una terna �w�

x�w�y�w

�z�. Quindi stavolta il

vettore �w potra indicare di volta il volta i tre numeri �wx�wy�wz� o �w�x�w

�y�w

�z� a seconda delle

coordinate che abbiamo scelto.Il vantaggio della notazione vettoriale sta nel fatto che e indipendente dal sistema di coor-

dinate, e quindi ci permettera in seguito di scrivere in maniera semplice le equazioni senzapreoccuparci di definire un sistema di coordinate. Scrivendo l’equazione�a ��b intendiamo cheessa ha valore indipendentemente dalle coordinate, ossia che se due vettori sono uguali in uncerto sistema di coordinate allora sono uguali sempre. La conseguenza che, una volta scelte lecoordinate, avremo ax � bx�ay � by�az � bz, qualunque sia la scelta.

44 Coordinate del vettore spostamento Resta da vedere come ottenere le coordinate delvettore spostamento. La prima cosa da tenere a mente e di non pensare a questo vettore comea qualcosa fissato in un punto dello spazio: non e una freccia con la coda in P e la punta in Q.Sebbene abbiamo introdotto il vettore basandoci sulla direzione e la distanza per spostarsi daP a Q, tuttavia tutti i vettori paralleli ad esso e con lo stesso modulo rappresentano la stessacosa. E’ piu appropriato pensare al vettore come all’ago di una bussola: dovunque lo portiamoindica sempre la stessa direzione. Se diamo a tante persone sparse nella citta di Roma dellebussole e a ciascuna diciamo di spostarsi di 2 metri in direzione Nord-Est tutte queste personefaranno lo stesso spostamento. Il che non vuol dire ovviamente che finiranno nello stesso postodato che ognuna e partita da una posizione diversa.

A questo punto si vede subito che le tre componenti dello spostamento sono�xq� xp�yq� yp�zq� zp�, ossia le differenze delle coordinate fra il punto d’arrivo e quello dipartenza. Il fatto che compaia la differenza ci assicura che le componenti non cambiano nelletraslazioni: infatti nella traslazione le nuove coordinate differiscono dalle vecchie per dellecostanti che spariscono nella sottrazione.

Per quanto riguarda le rotazioni, dato che le componenti dei vettori posizione P e Q sitrasformano secondo la (16), questo vale anche per le loro differenze ossia per le componentidi �w, che costituscono quindi un vettore a tutti gli effetti.

45 Moto nello spazio Cominciamo a studiare il moto di un punto materiale nello spaziomisurando la sua posizione rispetto a una terna di coordinate cartesiane ortogonali:

P �x�y�z�

Se O e l’origine degli assi�

x2 � y2 � z2 rappresenta la distanza di P dall’origine. Le coordi-nate �x�y�z� sono le componenti del vettore �OP ��r che e orientato da O verso P e che si chiama

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CAPITOLO II. CINEMATICA

raggio vettore. Il raggio vettore ha una sua realta autonoma rispetto al sistema di coordinate,per cui cercheremo in genere di basare i ragionamenti sul vettore stesso. A volte tuttavia puoconvenire riferirsi esplicitamente alle coordinate: in questo caso utilizzando i versori degli assipossiamo scrivere:

�OP ��r � x�ex � y�ey � z�ez

46 Legge oraria Nel caso del moto nello spazio la conoscenza del vettore�r in funzionedel tempo ci da in ogni istante t la posizione del punto materiale e prende il nome di leggeoraria del moto. Conoscere�r ��r�t� equivale conoscere tre leggi orarie per le tre coordinate delmoto: x�t��y�t��z�t�. Si parla a volte di composizione di moti quando si studiano separatamentele leggi orarie delle tre coordinate. Questo puo in certi casi aiutare a schematizzare meglio ilproblema fisico: ad esempio, il moto di un sasso lanciato puo vedersi come la composizionedi un moto rettilineo uniforme nel piano orizzontale e di un moto uniformemente acceleratoverso il basso.

Similmente a quanto fa un orario ferroviario, la legge oraria ci permette di conoscere ilmoto in maniera completa. La legge oraria puo esser data in forma puramente numerica odi tabella che fa corrispondere�r a t, e questa e la forma in genere in cui vengono riportatii risultati di una misura sperimentale. Oppure puo venir data la funzione matematica �r�t�,e in questa forma vengono scritte le soluzioni delle equazioni del moto se ammettono unasoluzione matematica semplice. Se la soluzione delle equazioni e molto complicata (in realtaquesto avviene nella maggior parte dei casi pratici) allora �r�t� e il risultato di una soluzionenumerica (in genere ottenuta al calcolatore) delle equazioni stesse.

47 Moto rettilineo uniforme in tre dimensioni La legge oraria piu semplice e quella delmoto rettilineo uniforme, che si scrive in coordinate cartesiane:

x�t� � x0 � vxt

y�t� � y0 � vyt

z�t� � z0 � vzt

(18)

che non e altro che l’equazione parametrica di una retta.Il vettore costante�r0 � �x0�y0�z0� rappresenta il raggio vettore della posizione del punto a

t � 0. Le costanti vx�vy�vz sono le componenti di un altro vettore�v che si chiama velocita delpunto. Vettorialmente quindi il moto si scrive come:

�r ��r0 ��v t

Essendo costante gli spazi percorsi in tempi uguali lungo gli assi coordinati sono uguali,da cui il nome di uniforme dato al moto. La velocita non e altro che la variazione del vettorespostamento nell’unita di tempo:

�v ��r�t2���r�t1�

t2� t1

48 Unita di misura La velocita ha dimensioni �L��T ��1. L’unita di velocita nel sistemaMKS e il metro al secondo che si abbrevia: m/s. Nel sistema cgs e il centimetro al secondoche si abbrevia: cm/s. Altre unita di uso pratico, come il km all’ora (abbreviato km/h) possonoridursi all’unita MKS o cgs per semplici conversioni (esempio: 1 km/h = 1000 m/h = (1000m)/(3600 s) = 0.27777... m/s).

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CAPITOLO II. CINEMATICA

49 Moto vario - Velocita istantanea Possiamo definire una velocita anche se il moto none semplicemente quello rettilineo uniforme (47), ossia se a secondo membro della legge oraria(18) abbiamo delle generiche funzioni del tempo x�t��y�t��z�t�? La risposta e chiaramenteaffermativa, ma in tal caso la velocita varia da un istante all’altro e parleremo di velocitaistantanea.

Cominciamo a calcolarci la velocita del punto su un intervallo di tempo ∆t molto piccolo.Consideriamo che all’interno di questo intervallo di tempo il moto sia rettilineo uniforme.Allora la velocita lungo x fra gli istanti t e t �∆t e:

vx�t� t�∆t� �x�t �∆t�� x�t�

∆t

Se ∆t e infinitesimo vx rappresenta la velocita media su un tratto infinitesimo del percorso, eal limite ∆t 0 essa e la velocita lungo x del punto nell’istante t o velocita istantanea. Madetto limite non e altro che la derivata rispetto al tempo della legge oraria. Per cui otteniamoil risultato che la velocita del punto materiale a un istante dato e la derivata della legge orariadel moto in quello stesso istante:

(19) vx�t� �dx�t�

dtvy�t� �

dy�t�dt

vz�t� �dz�t�

dt

che in forma vettoriale e la derivata del vettore spostamento rispetto al tempo:

(20) �v�t� �d�r�t�dt

50 Costruzione grafica della Velocita Il vettore spostamento del punto da�r�t� a�r�t�∆t�corrisponde alla differenza di questi due vettori come mostrato nella figura 8. La velocita siottiene dividendo lo spostamento per ∆t e passando al limite per ∆t 0. La direzione di talevettore e quindi tangente alla traiettoria. Introducendo il versore�eT, la velocita si puo scrivere:

d�rdt

� �eTdsdt

��eT v

v �dsdt

��dxdt

2

�dydt

2

�dzdt

2

P

P’r(t)

r(t+ ∆ t)

∆ r(t)

tangente

P

P’r(t)

tangente∆r(t)

r(t+∆t)

Fig. 8

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CAPITOLO II. CINEMATICA

51 Trovare lo spostamento conoscendo la velocita Abbiamo visto che, nota la leggeoraria s�t� di un moto (s�t� puo riferirsi a x�t��y�t� o z�t�), e possibile per semplice derivazioneottenere la velocita istantanea v�t�. Con l’operazione inversa, l’integrazione, possiamo ottenerela legge oraria partendo dalla conoscenza della funzione v�t�:

s�t� � s0 �� t

0v�t ��dt �

Come noto dall’analisi matematica, l’operazione di integrazione rende necessaria l’introdu-zione di una costante di integrazione s0. In questo caso la costante ha un preciso significatofisico: essa rappresenta il valore dell’ascissa s all’istante t � 0 che abbiamo preso come ori-gine dei tempi (estremo inferiore dell’integrale) per studiare il moto. Se la velocita e costanteritroviamo le leggi orarie del moto rettilineo uniforme (47).

52 Se la velocita v�t� e esprimibile tramite una funzione matematica che non puo essereintegrata analiticamente, si puo sempre ottenere una soluzione tramite l’integrazione grafica onumerica.

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Capitolo III

Dinamica del punto materiale

53 La dinamica studia il movimento in relazione alle cause che lo producono. La dinamicae basata su tre principi, detti principi fondamentali della dinamica. Essi sono:

I. Il Principio d’inerzia

II. La Legge di Newton

III. Il Principio di azione e reazione.

54 Primo principio o principio d’inerzia Fu formulato da Galileo Galilei (1567–1642)estrapolando il risultato di prove sperimentali:

“un corpo non soggetto a forze permane nel suo stato di moto rettilineo uniforme”, o anche:“un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto (rettilineo uniforme) finche non

interviene una causa esterna a modificare tale stato”.Se il corpo e in moto, cioe ha una velocita�v, questa rimane costante. Se e in quiete (�v � 0)

rimane in quiete.

55 Un corpo, ad esempio, che cade non segue il principio d’inerzia in quanto lo vediamomuoversi con velocita crescente verso il basso. Attribuiamo tale comportamento al fatto che ilcorpo e soggetto a una forza che chiamiamo gravita.

56 Nello stesso modo, dev’essere necessariamente soggetto a forze un corpo che si muovedi moto circolare (sia pure uniforme). Se la forza (detta centripeta) venisse a mancare il corpoinizierebbe a muoversi di moto rettilineo uniforme lungo la tangente alla circonferenza nellaposizione in cui e cessata l’azione della forza.

57 Il primo principio non specifica cosa siano le “forze”. Intuitivamente ci aspettiamo chesiano pero connesse alla presenza di altri corpi estranei a quello di cui studiamo il moto: adesempio la terra (che attrae verso di se il corpo che cade) o il filo che tiene il corpo in rotazionelungo la circonferenza.

58 Le forze sono anche collegabili allo sforzo muscolare. E noto infatti che per metterein movimento un qualsiasi oggetto dobbiamo esercitare un sforzo (fare “fatica”). E noto ancheche esistono oggetti “leggeri” (per i quali facciamo poco sforzo) e “pesanti” (difficili da metterein moto),

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

�F

F

�F

Fig. 9

59 Da Aristotele fino all’epoca di Galileo era comunemente accettato che per muovere avelocita costante un oggetto occorresse una forza costante. E che in mancanza di forza il motovenisse a cessare. Cio e quello che osserviamo sulla base della nostra esperienza. Galileo intuıche l’arresto del moto non era dovuto a un’assenza di forze ma alla presenza di una forza difrenamento (come l’attrito). Il moto uniforme e possibile in quanto la forza motrice applicataal corpo controbilancia esattamente la forza resistente. In tale situazione il corpo, soggettoa due forze eguali e contrarie, e come se fosse libero e pertanto si muove di moto rettilineouniforme. Se la forza motrice manca perche smettiamo di spingere il corpo rimane pur semprela forza resistente che ne provoca la diminuzione di velocita e quindi l’arresto.

60 Una forza puo esercitarsi sia compiendo uno sforzo muscolare che tramite sistemimeccanici semplici, come le molle. Entrambi i tipi di forze citati per essere efficienti richiedonoun contatto fra l’agente che esercita la forza e il corpo su cui essa agisce. Altre forze, comela gravita e le forze dell’elettromagnetismo, si trasmettono da un corpo a un altro senza che visia un contatto diretto, sono cioe “azioni a distanza”.

61 Per meglio specificare una forza, vorremmo associarle una grandezza fisica che neesprima sia l’intensita sia la direzione. Infatti una forza puo avere effetti assai diversi in basealla direzione (vedi fig. 9). E naturale pensare a un vettore per caratterizzare la forza :�F.

62 Come abbiamo accennato prima, un concetto base e quello che le forze si possanoequilibrare fra loro. Ad esempio, se io sto spingendo una cassa che scivola sul pavimento, unapersona dall’altro lato spingendo in senso opposto al mio puo provocare l’arresto della cassa.In tal caso stiamo applicando alla cassa due forze eguali e contrarie che si annullano (o siequilibrano). Per controbilanciare la forza da me applicata si e dovuta introdurre esplicitamenteuna seconda forza.

63 Meno evidente e il caso, ad esempio, di una cassa poggiata sul pavimento: essa nonsi muove (non cade attraverso il pavimento) pur essendo soggetta alla forza di gravita �FG.L’apparente contraddizione e risolta ipotizzando che il piano reagisca con una forza�FN ���FGin modo che alla cassa risulta applicata la forza risultante�FN ��FG � 0.

Anche in questo caso quindi abbiamo una seconda forza in gioco. Questa forza fa partedi una categoria di forze dette reazioni vincolari che saranno esaminate piu in dettaglio nelseguito.

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

64 Secondo principio o Legge di Newton Esso si formula cosı:

�F � md�vdt

dove m e una costante che si chiama massa inerziale ed e una caratteristica del corpo al qualela forza e applicata. La legge di Newton ci dice quindi che

� la velocita di un corpo varia tanto piu rapidamente quanto maggiore e la forza impressa;

� la variazione di velocita avviene sempre nella direzione della forza;

� se la forza e nulla non vi e variazione di velocita e quindi il moto e rettilineo e unifor-me (47);

La derivata d�v�dt si calcola in maniera analoga a come si e fatto per calcolarsi la velocitapartendo dallo spostamento. Essa prende il nome di accelerazione:

�a �d�vdt

Mentre �F e �a sono due vettori, la massa e uno scalare, additivo che a parita di materialee proporzionale al volume del corpo. Data una stessa �F, corpi di masse diverse assumonoaccelerazioni inversamente proporzionali alle rispettive masse.

Il nome massa inerziale e legato al fatto che la massa esprime l’inerzia del corpo, ossia lasua riluttanza a cambiare velocita (in modulo, direzione e verso).

65 Quantita di moto La grandezza vettoriale

�p � m�v

si chiama quantita di moto di un corpo. Se la massa e costante (come sara quasi sempre inqueste dispense) si puo riscrivere la Legge di Newton (64) nella forma:

�F � m�a � md�vdt

�d�pdt

cioe se�F � 0�p � costante. Si dice anche che in tal caso la quantita di moto si conserva.

66 La legge di Newton si puo vedere da due punti di vista:

� come una definizione della forza, ed usarla per determinarne il valore misurando l’acce-lerazione a cui e soggetto un corpo di prova;

� la si puo utilizzare come equazione del moto per determinare l’accelerazione una voltanota la forza, al fine di prevedere il moto di un corpo.

E chiaro anche che non si puo usarla per le due cose allo stesso tempo, pena finire in un circolovizioso!

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

67 Unita di misura Le dimensioni dell’accelerazione sono �L��T ��2. L’accelerazione simisura nel sistema MKS in m�s2 e nel sistema cgs si misura in cm�s2.

La massa e un’unita di tipo nuovo, e quindi ha una sua dimensione �M�. Nel sistema MKSsi misura in chilogrammi (kg), mentre nel sistema cgs si misura in grammi (g). 1 kg = 1000 g.

Le dimensioni della forza sono definite tramite la legge di Newton: �F� � �M��L��T ��2.L’unita di misura della forza e il Newton, N. Una massa di 1 kg che ha un’accelerazione di1 m�s2 e soggetta alla forza di 1 N. Nel sistema cgs l’unita di forza e la dyne (che producel’accelerazione di 1 cm�s2 applicandola su una massa di 1 grammo). Lasciamo allo studenteda dimostrare che 1 N = 105 dyne.

68 Equazione del moto L’equazione �F � m�a, nota �F, e sufficiente a determinare com-pletamente il moto di un punto materiale in base alle condizioni iniziali�v�t0���r�t0�. Il procedi-mento si chiama comunemente integrazione dell’equazione del moto. I casi in cui l’equazionedel moto e integrabile per via analitica sono pochi, limitati a particolari tipi di forze. Nel casogenerale si tratta di un’operazione assai complessa.

In certi casi una situazione complessa puo ridursi a una semplice, in cui il moto e essen-zialmente determinato da una forza preponderante, a cui si aggiunge l’effetto di forze “piucomplicate” ma piu deboli. Si pensi ad esempio al moto della Luna, che e semplice per laparte dominata dalla forza Terra-Luna mentre l’effetto della forza Sole-Luna, piu complicatoda trattare, e modesto data la piccolezza di tale forza in rapporto alla prima. Questa tecnicadi risoluzione dei problemi si chiama metodo perturbativo ed il procedimento e usatissimo inFisica (e non solo nella Meccanica).

69 Forze costanti E’ il caso piu semplice da trattare, ma non per questo poco impor-tante: la forza di gravita vicino alla superficie terrestre e infatti un esempio di forza costante.La sua direzione e quella del filo a piombo e la sua intensita e proporzionale alla massa delcorpo. Questa particolarita fa sı che tutti i corpi soggetti alla forza di gravita, corpi che chia-miamo pesanti, hanno la stessa accelerazione, di modulo circa 9�8 ms�2. Si indica con lalettera g il modulo dell’accelerazione di gravita. Il moto con forze costanti prende il nome diuniformemente accelerato.

Con forze costanti conviene scrivere la legge di Newton in un sistema di coordinate in cuiun asse e orientato nella direzione della forza. Ad esempio scegliamo l’asse y. L’equazionedel moto sara allora:

mdvx

dt� 0

mdvy

dt� F

mdvz

dt� 0

Possiamo pensare al moto come alla composizione di tre moti indipendenti lungo i tre assicartesiani: dato che lungo x e z non vi sono componenti della forza il moto sara semplicementerettilineo uniforme. Ma se il moto e rettilineo uniforme nel piano x�z potremo ruotare il sistemadi coordinate in modo da far coincidere l’asse x con la direzione del moto, e in questo modo

25

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

possiamo ridurci a studiare il moto solo nel piano x�y:

mdvx

dt� 0

mdvy

dt� F

(21)

70 Moto uniformemente accelerato La soluzione dell’equazione del moto (21) e moltosemplice. Come prima, lungo x abbiamo un moto rettilineo uniforme. e quindi

vx�t� � v0x � costante

x�t� � x0 � v0xt(22)

x0 e la coordinata x del punto all’istante iniziale t � 0 e, insieme alla velocita v0x, dev’essereinclusa fra i dati del problema. La legge oraria x�t� risulta allora completamente determinata.

Per risolvere l’equazione lungo y procediamo a due integrazioni successive. Innanzitutto,utilizzando l’accelerazione a � F�m, possiamo esprimere la velocita come:

(23) vy�t� � v0y �at

La velocita cresce quindi linearmente col tempo, e la costante di proporzionalita e appuntol’accelerazione. v0y e semplicemente la velocita del punto all’istante iniziale t � 0. Dalla (23)integrando una seconda volta otteniamo:

(24) y�t� � y0 � v0yt �12

at2

Abbiamo introdotto qui una nuova costante, y0, che rappresenta il valore di y al tempot � 0. Le due equazioni (23) e (24) descrivono quindi il moto con accelerazione costanteche si chiama moto uniformemente accelerato. Le costanti x0�y0�v0x e v0y si chiamano lecondizioni iniziali e fanno parte dei dati del problema. In effetti occorre tener presente cheil signor Newton ci permette di predire solo le variazioni di velocita del moto (scusate se epoco). Non ci puo dire qual era la velocita iniziale del corpo dato che questa e un dato inizialedel problema e dobbiamo conoscerla noi. Se il corpo che si muove ha in partenza (al tempot � 0) una sua velocita questa si somma a tutte le variazioni previste dalla legge di Newton. Indefinitiva, abbiamo una soluzione universale che va bene in qualunque parte del mondo, perqualunque velocita iniziale ha il corpo: basta che mettiamo i numeri giusti nelle condizioniiniziali.

71 Moto dei gravi Conviene in questo caso scegliere l’asse y lungo la verticale e orientatoverso l’alto. In tal caso a ��g e abbiamo

x�t� � x0 � v0xt(25)

y�t� � y0 � v0yt� 12

gt2(26)

Per determinare la traiettoria si deve eliminare il tempo dalle equazioni, esprimendo y infunzione di x. Si ottiene allora l’equazione di una parabola, con il massimo a una certa quotay � h e i due rami rivolti verso il basso. A seconda delle condizioni iniziali, naturalmentele parabole che si ottengono sono diverse. Se x0 e y0 non mutano, le parabole ottenute perdiverse velocita iniziali rappresenteranno una famiglia di traiettorie per i corpi lanciati dallastessa posizione iniziale con velocita e angoli diversi.

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

72 Calcoliamo la traiettoria immaginando di lanciare il corpo dall’origine delle coor-dinate: allora avremo x0 � y0 � 0. Inoltre, invece di usare v0x e v0y utilizziamo il modu-

lo v0 ��

v20x � v2

0y e l’angolo di lancio α rispetto all’orizzontale: per cui v0x � v0 cosα e

v0y � v0 sinα. Ricavando il tempo dall’equazione (25) e sostituendolo nella (26) otteniamoquindi:

(27) y � x tanα� x2�

g

2v20 cos2 α

che e appunto l’equazione della parabola cercata.

La parabola interseca l’asse x in due punti: x � 0 (il punto da cui e avvenuto il lancio) e

(28) xM � 2v2

0

gcosαsinα �

v20

gsin�2α�

xM rappresenta la gittata del proiettile. In base alla (28), la massima gittata si ottiene perα � π�4. La massima altezza del proiettile viene raggiunta per x � xM�2 e vale

yM �v2

0

2gsin2 α

ed e quindi massima per α � π�2 ossia quando il proiettile viene lanciato verticalmente.

73 Tempo di caduta Guardando al moto del grave come a una sovrapposizione di moti(rettilineo uniforme lungo x e uniformemente accelerato lungo y) e facile rendersi conto cheil tempo che un corpo lanciato impiega a cadere a terra non dipende che dal moto verticale.Ad esempio, qualunque oggetto scagliato orizzontalmente (quindi con v0y � 0) da una quotah, tocca terra dopo un tempo t� �

�2h�g, cioe lo stesso tempo di un corpo lasciato cadere

da fermo. Naturalmente il valore di x� in cui il corpo tocca terra dipende dal valore dellacomponente v0x della velocita.

74 Moto circolare - Velocita Sappiamo che possiamo far compiere a una pallina unatraiettoria circolare legandola a un filo e facendo questo dobbiamo applicare al filo una forza.Questa forza e quindi diretta come il raggio del cerchio e provoca la continua variazione divelocita che la pallina ha nel suo moto. Ci proponiamo di calcolare quanto vale questa forza.

Per descrivere questo tipo di moto risulta conveniente usare le coordinate polari (nel pianodel moto). Il vantaggio, come abbiamo gia accennato, e che per descrivere il moto bastaconoscere la legge oraria di variazione dell’angolo polare φ�t�.

Sappiamo che la velocita e tangente alla circonferenza: �v ��eTds�dt. Per calcolare ds�dtosserviamo che l’arco di cerchio corrispondente a un angolo dφ vale Rdφ. L’angolo dev’esseremisurato in radianti (e infatti a 2π rad corrisponde la lunghezza della circonferenza, 2πR). Lavelocita sara quindi:

(29) v �dsdt

� Rdφ�t�

dt� Rω�t�

dove ω�t� prende il nome divelocita angolare del punto materiale .Se ω � costante allora parliamo di moto circolare uniforme. Abbiamo in tal caso un moto

periodico che si ripete dopo il periodo T � 2π�ω. Si chiama frequenza l’inverso del periodo:ν � 1�T . La frequenza si misura in Hertz (Hz). 1 Hz = 1/s.

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75 La velocita nel moto circolare puo esprimersi vettorialmente se introduciamo il vet-tore velocita angolare �ω che ha come direzione l’asse intorno la quale avviene la rotazione.Il verso e tale che una persona orientata come il vettore vede la rotazione avvenire in sensoantiorario. La velocita prende quindi la forma:

(30) �v ��ω��R

Questa equazione rappresenta ad esempio la velocita dei punti appartenenti a una ruota chegira attorno a un asse fisso. Due punti opposti alla stessa distanza dall’asse hanno velocita diuguale modulo e di verso contrario.

76 Moto circolare - Accelerazione Dato che la velocita e tangente alla circonferenza,essa cambia continuamente la sua direzione dando luogo a un’accelerazione non nulla. L’ac-celerazione corrisponde sia alla variazione del modulo della velocita che alla variazione didirezione. Possiamo quindi scrivere che:

�a �ddt

��eTv� ��eTdvdt

� vd�eT

dt

In questa equazione il primo termine rappresenta il contributo all’accelerazione dovuto alla

eT

eN

eN

dφeN

eT

(t)e

T

eT

eT

(t+dt)(t)

(t+dt)’

= 1

Fig. 10

variazione del modulo di v, mentre il secondo e proporzionale a quanto rapidamente la dire-zione della velocita cambia. Per calcolare il secondo termine consideriamo la figura 10, doved�eT si ottiene sottraendo vettorialmente�eT�t� (nel punto P) da�eT�t � dt� (nel punto P’). Seconduciamo da P e P’ le normali alla traiettoria queste si intersecano nel centro del cerchioformando fra loro un angolo dφ. Allora e facile vedere che la differenza vettoriale dei versorie diretta verso il centro del cerchio e ha per modulo dφ:

d�eT � dφ�eN

dove abbiamo indicato con�eN il versore normale alla traiettoria e orientato verso il centro delcerchio. Pertanto potremo scrivere:

vd�eT

dt� v

dφdt

�eN �vR

Rdφdt

�eN �vR

dsdt

�eN �v2

R�eN

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Questo termine dell’accelerazione, che e diretto verso il centro del cerchio, prende il nomedi accelerazione centripeta. Cio significa che il punto dev’essere soggetto a una forza direttaverso il centro di modulo:

(31) Fc � mv2

Roppure Fc � m ω2R

dove abbiamo usato la relazione v � ωR. In definitiva l’accelerazione completa prende laforma:

�a �dvdt

�eT �v2

R�eN

77 Risulta istruttivo confrontare i risultati con quelli ottenuti usando le coordinate cartesiane (cheprenderemo con l’origine nel centro del cerchio). Limitiamoci al caso del moto uniforme. Scriveremopercio le leggi orarie x�t��y�t� e da esse verificheremo che, prendendone le derivate, si ottengono lavelocita (74) e l’ accelerazione (76).

Cominciamo a scrivere le componenti del versore tangente e di quello normale al cerchio in unadata posizione θ del punto materiale :

�eT � ��sinθ�cos θ� �eN � ��cosθ��sin θ�(32)

(per verificarlo calcolarsi�eN ��eT).Per calcolare velocita e accelerazione deriviamo la legge oraria (tenere presente che d sinθ�t��dt �

dθ�dt cosθ ecc.):

x�t� � Rcosθ�t�y�t� � Rsinθ�t�

(33)

ottenendo:

vx ��ωRsinθ ax ��ω2Rcosθ

vy � ωRcosθ ay ��ω2Rsinθ

Usando le definizioni dei versori troviamo subito che:

�v � ωR��sinθ�cos θ� � ωR�eT

�a � ω2R��cosθ��sinθ� � ω2R�eN

come dovevasi dimostrare.

78 Coordinate polari E’ sempre possibile usare le coordinate polari per descrivere ilmoto anche se non e circolare. Utilizzando queste e le loro derivate rispetto al tempo si possonoricavare la velocita e l’accelerazione. Nel seguito del corso ci servira soltanto la velocita, chepuo esser scritta facilmente a partire dallo spostamento infinitesimo ds, che vale:

ds ��

dr2 � r2dθ2

e quindi per il modulo della velocita abbiamo:

v �

��drdt

2

� r2

�dθdt

2

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A scanso di equivoci, sottolineiamo che l’accelerazione centripeta non e v2�r, ma semprev2�R dove R e il raggio di curvatura della traiettoria (76). Questo in genere non coincidecon la coordinata polare r, eccetto che nel caso del moto circolare gia visto. In effetti, perconvincersene, basta considerare un moto rettilineo uniforme in coordinate polari: il raggio dicurvatura della traiettoria e infinito, ma r non lo e.

79 Forza di gravita Il fatto sperimentale (osservato per la prima volta da Galileo) chetutti i corpi soggetti alla forza di gravita si muovono con la stessa accelerazione, indipenden-temente dalla loro massa, ci dice quindi che essi sono soggetti a forze diverse, e queste forzedevono essere proporzionali alle loro masse:

�FGrav, 1 � m1�a1�FGrav, 2 � m2�a2

�a1 ��a2 ��g (dato sperimentale)

�FGrav, 1 �m1

m2

�FGrav, 2 (conseguenza)

Detta�g l’accelerazione (uguale per tutti i corpi) la forza di gravita si scrive pertanto:

�FGrav � m�g(34)

La forza di gravita si chiama anche comunemente forza peso. In questo testo chiamiamo corpopesante un corpo dotato di massa e soggetto alla forza peso.

80 Quanto vale la forza peso su una massa di 2 kg ? F � 2 kg�9�8 m�s2 � 19�6 N.

81 Una volta si usava anche come unita (ma qualcuno, in particolare gli ingegneri, lo usaancora) il kg-forza. 1 kg-forza e semplicemente la forza peso (sulla Terra) che si esercita su unamassa di 1 kg. Pertanto esso equivale a 9.8 N. Oggi gli ingegneri usano spesso il decanewton odaN perche vale appunto circa un vecchio kg-forza. Il carico massimo per una gru viene datoin daN.

82 Risultante delle forze Generalizzando quanto detto prima, se piu forze sono applicatea un punto materiale , esso si muove come se ad esso fosse applicata un’unica forza dettarisultante:

�FR � �F1 ��F2 � � � ��FN

In particolare, se�FR � 0, il punto materiale si comporta come un punto isolato.

83 A questo punto dovrebbe essere ben chiaro, ma lo ripetiamo ancora una volta, che seosserviamo un punto materiale fermo o in moto rettilineo uniforme esso dev’essere soggetto auna forza risultante nulla. Se siamo certi che almeno una forza non nulla e applicata ad esso,allora deve esisterne almeno una seconda che equilibra la prima. Riflettendoci sopra finiremosempre per individuarla.

84 E molto importante notare il fatto, di per se per nulla scontato, che nel calcolare larisultante possiamo sommare le forze senza preoccuparci se abbiano natura diversa. La forzapeso puo essere equilibrata, ed esempio, da una forza di tipo elettrico come avviene se unapalla e appesa a una molla. La forza che tiene insieme gli atomi nel reticolo cristallino delmetallo che costituisce la molla e una forza elettrica. La risultante di tutte le forze elettriche alivello atomico controbilancia la forza di gravita esercitata dalla Terra sulla palla.

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85 Dinamometri Il fatto che le forze siano sommabili come vettori ci offre una possi-bilita alternativa di misurarle staticamente. Ad esempio, sospendendo a una molla una massaM possiamo misurare l’allungamento della molla. Questo corrispondera alla forza peso M�g.Utilizzando delle masse 2M�3M, ecc., potremo tarare la molla in termini di forze. Tale mollasi chiama dinamometro.

86 Riferimenti inerziali Consideriamo un oggetto che si muove di moto rettilineo uni-forme essendo soggetto a una forza nulla. Il sistema di riferimento in cui facciamo tale os-servazione viene chiamato riferimento inerziale per significare che in esso vale il principiod’inerzia (54).

Se un secondo osservatore si muove rispetto a noi di moto rettilineo uniforme senza ruotaresu se stesso l’oggetto continuera ad apparirgli in moto rettilineo uniforme (127), seppure la suavelocita possa essere diversa di quella che appare a noi. In base al II Principio anche il secondoosservatore dedurra che l’oggetto in questione e soggetto a una forza nulla e potra affermareanch’egli la validita del principio d’inerzia nel suo riferimento, e quindi a buon diritto riterradi essere in un riferimento inerziale.

Dato che la velocita del secondo osservatore rispetto a noi e del tutto arbitraria (bastache sia costante) deduciamo che passando da un sistema di riferimento inerziale a un altroche trasla rispetto al primo in moto rettilineo uniforme ci troviamo ancora in un riferimentoinerziale. In breve, tutti i sistemi di riferimento che traslano con moto rettilineo uniformerispetto a un sistema di riferimento inerziale, sono anch’essi inerziali.

87 Principio di relativita di Galileo Si deduce subito che studiare un medesimo fenome-no fisico in diversi sistemi inerziali e del tutto equivalente. Questo fatto fu messo in evidenzaper la prima volta da Galileo, e prende il nome di principio di relativita. Galileo sottolineo cheera impossibile, per mezzo di misure condotte tutte all’interno di un medesimo riferimento,determinare se questo era o meno in movimento (rettilineo e uniforme), dato che in tutti questiriferimenti i fenomeni appaiono gli stessi.

Per capire meglio questo concetto, dobbiamo tenere in mente che le forze costituisconol’essenza dei fenomeni fisici: un fenomeno nuovo in genere implica una nuova forza. Ora,il passare da un riferimento inerziale a un altro non fa nascere o scomparire accelerazioni equindi nemmeno forze, pertanto non aggiunge nulla alla fisica che gia conosciamo.

Una conseguenza del principio di relativita galileiana e che non ha nemmeno senso pensareall’esistenza di sistemi di riferimento privilegiati. Il vantaggio di usare un certo sistema rispettoa un altro dipende da fattori contingenti. Spesso una certa scelta appare naturale o serve asemplificare un problema.

88 Riferimenti non inerziali Al contrario, un corpo a riposo (o a �v � costante ) vistoda un osservatore che accelera apparira muoversi di moto che non sara piu rettilineo unifor-me. In tal caso l’osservatore, se e certo che il corpo non e soggetto a forze, riterra non validoil principio d’inerzia. Il sistema di riferimento non e quindi per lui inerziale. L’accelerazio-ne responsabile di questo puo essere sia puramente scalare, sia dovuta a un cambiamento didirezione (rotazione).

89 Come caso particolare di sistema di riferimento accelerato consideriamo per esempioun sistema di riferimento che ruota: un sistema legato alla Terra compie una rotazione in 24ore. La Stella Polare e con buona approssimazione a riposo nel sistema di riferimento inerziale

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delle stelle fisse. Tuttavia a noi che stiamo sulla Terra la Stella Polare appare fare un motocircolare: sorge, tramonta, passa dall’altra parte della Terra, riappare ecc. Non fa quindi unmoto rettilineo uniforme pur non essendo soggetta a forze. Il principio d’inerzia non e quindivalido, e il sistema legato alla Terra non e un sistema inerziale.

90 Si potrebbe porsi la domanda: se �a �� 0 come facciamo a stabilire se siamo in unriferimento non inerziale oppure se c’e effettivamente una forza che agisce sul punto ? Larisposta alla domanda non e semplice. In generale possiamo dire che se abbiamo ottime ragioniper ritenere il punto materiale libero allora lo stiamo osservando da un sistema di riferimentonon inerziale. Nel caso della Stella Polare potremmo ipotizzare che la forza di attrazionegravitazionale sia responsabile della sua traiettoria circolare attorno alla Terra. Tuttavia sitratta di una forza minima data l’enorme distanza fra noi e la stella e certamente non puoesser ritenuta responsabile del suo moto circolare. Inoltre un marziano che osservasse la stessastella da Marte giungerebbe a conclusioni simili, solo che per lui la forza di attrazione sarebberivolta verso Marte. In definitiva l’ipotesi della forza non regge, l’unica ipotesi plausibile e lapiu semplice e che la Terra sia un sistema di riferimento non inerziale.

91 Impulso Consideriamo una forza�F che agisce per un tempo ∆t molto breve. In basealla Legge di Newton (64) possiamo scrivere:

�F∆t � m∆�v � ∆�p(35)

e la grandezza �F∆t prende il nome di impulso della forza F. Questa relazione prende ancheil nome di Teorema dell’impulso. Si utilizzera questo teorema per studiare fenomeni (dettiappunto impulsivi) nei quali sono in gioco forze considerevoli ma che durano un tempo moltopiccolo (tali pero che il prodotto�F∆t sia finito e non infinitesimo). Un esempio sono gli urti.In quei casi, il corpo in pratica non si muove apprezzabilmente durante l’applicazione dellaforza, ma acquista una quantita di moto (o varia quella che gia possiede) in base alla (35).

92 Terzo principio o principio di azione e reazione Questo principio ci dice che le forzenon vengono mai sole. Infatti dati due punti materiali isolati (non soggetti a forze esterne) siosserva che:

�F12 ���F21

ovvero la forza che 1 esercita su 2 e uguale e contraria a quella che 2 esercita su 1. L’equazionepuo’ riscriversi come:

�F12 ��F21 ��FR � 0

ovvero la risultante delle forze interne e nulla. Pertanto la quantita di moto totale

�P ��p1 ��p2 � m1�v1 �m2�v2

di un sistema isolato di 2 corpi rimane costante nel tempo, o, con altro termine, si conserva.Infatti la sua derivata e zero:

d�Pdt

�d�p1

dt�

d�p2

dt� m1

d�v1

dt�m2

d�v2

dt��F12 ��F21 � 0

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93 Il razzo Il razzo funziona in virtu del III Principio. Consideriamo un razzo di massaM, che viaggia lungo l’asse x con velocita V . Il razzo ha quindi una quantita di moto MV . Seora il razzo eietta una massa dm di gas di scarico con velocita relativa al razzo �u lungo x,la quantita di moto totale restera la stessa dato che il sistema razzo+gas e isolato. La quantitadel moto del razzo sara data dal prodotto della sua massa (diminuita di quella dm del gas discarico), per la velocita dopo l’eiezione, V � dV . La quantita del moto del gas sara invecedm �V �u�. Potremo quindi scrivere che:

M V � �V �u� dm��V �dV � �M�dm���u dm�M dV �M V

(abbiamo trascurato il prodotto dV dm)Ne segue che dV � u dm�M. Questa equazione va integrata tenendo conto che la massa

del razzo varia da un massimo Mi (alla partenza) fino a Mf (quando tutto il carburante e statoespulso). Per integrare si terra conto che dm ��dM, per cui si ha alla fine:

Vf � u lnMi

Mf

Come esempio, il razzo Saturno V del programma Apollo, aveva le seguenti caratteristicheper il primo stadio:

m � 2�5 106 kg

u � 3000 m/s

massa espulsa � 1�6 104 kg/s

tempo di accensione � 2 min

per cui si ricava Vf � 15780 km/h.

94 La forza di gravitazione La forza di gravitazione si esercita fra due corpi dotati dimassa. Essa e attrattiva, e il suo modulo e dato da:

(36) F � Gm1m2

r2

dove r e la distanza fra le due masse. La costante G e misurata sperimentalmente in labo-ratorio e vale 6�67 10�11 N kg�2 m2. Per corpi vicini alla superficie della Terra, la forza digravitazione si riduce alla forza peso. Infatti si puo approssimare r col raggio della Terra, RT

e considerare la forza costante. Si ha quindi:

g � GMT

R2T

Per scrivere la forza gravitazione esercitata da 1 su 2 in termini vettoriali, utilizziamo ilvettore�r21 ��r2��r1 che e diretto da 1 a 2. Il versore corrispondente e

�e21 ��r21

r21

Essendo la forza attrattiva, essa e diretta in senso opposto a questo vettore. Quanto allaforza esercitata da 2 su 1, si ottiene utilizzando�r12 ���r21 e r12 � r21:

�F21 ��Gm1m2

r221

�e21

�F12 ��Gm1m2

r221

�212 � Gm1m2

r221

�e21 ���F21

(37)

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in ossequio al principio di azione e reazione.

Per masse utilizzabili in laboratorio la forza di gravitazione e piccolissima rispetto alle altreforze (peso, attriti): essa quindi da luogo ad accelerazioni piccolissime e misurabili con grandedifficolta. La prima misura di G fu effettuata nel 1798 da Henry Cavendish utilizzando unabilancia di torsione che ha una sensibilita molto elevata. A causa dei problemi di misura lacostante G e nota con una precisione relativamente scarsa (1 parte su 10.000) rispetto ad altregrandezze della fisica. Molto piu semplice e l’esperimento per verificare che la forza di gravitanon dipende dalle sostanze di cui sono costituite le masse. Le misure di Dicke e collaboratori(anni ’60) hanno permesso di verificare che le forza esercitata dal sole su masse di alluminio eoro e la stessa a meno di 1 parte in 1011.

95 Le reazioni vincolari Sappiamo dall’esperienza che un corpo poggiato sopra un pianoorizzontale e in quiete. Pertanto dovra essere:

∑�Fest � 0

∑�Fest � M�g���� 0

�� e la forza esercitata dal piano sul corpo che lo fa restare in quiete altrimenti il corpo cadrebbeattraverso il piano:

����M�g

e si chiama reazione vincolare. Un vincolo, come dice il nome, modifica le possibilita dimovimento di un corpo. Il vincolo fa questo esercitando sul corpo delle forze, dette reazionivincolari, che sommandosi alle forze esterne modificano il movimento del corpo stesso. Nelcaso del piano appunto la reazione vincolare obbliga il corpo a stare solo da un lato del piano.Un altro caso puo essere quello di obbligare il corpo a seguire una determinata traiettoria(esempio: i binari del treno).

E da notare che la reazione vincolare si adatta, per cosı dire, automaticamente, alla forzacon la quale deve combinarsi. Uno stesso piano puo quindi esercitare delle reazioni vincolaridi intensita diversissima, semplicemente in base al peso dell’oggetto che che gli viene poggiatosopra. Naturalmente ci sono dei limiti, che non hanno nulla di misterioso ma anzi un ben chiarosignificato fisico: se il piano non e piu in grado di esercitare la necessaria reazione vincolaresi rompe.

96 Reazione vincolare normale Nel caso che abbiamo esaminato la reazione e normalealla superficie di contatto dell’oggetto col piano. La reazione inoltre e rivolta verso l’esternodel vincolo, in modo da respingere il corpo. Si chiama liscio un vincolo che puo esercitaresolo reazioni normali alla sua superficie.

97 Se alla forza peso aggiungiamo una forza �F0 il vincolo reagisce con �� � �M�g��F0

(che ha modulo Mg� �F0� se la forza e concorde col peso). Se invece la forza tende a sollevareil corpo allora ���� Mg��F0� e se �F0�� Mg allora la forza di reazione vincolare si annulla,in quanto il corpo si distacca dal vincolo.

98 III Principio e reazioni vincolari In base al principio di azione e reazione, se ilvincolo esercita sul corpo una forza ��, il corpo a sua volta esercita sul vincolo una forza

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

���. Questo fatto ci permette di rispondere alla domanda apparentemente banale: quale forzaesercita sul pavimento una cassa di massa M o di peso M�g ? (Naturalmente la risposta e: lacassa esercita una forza pari al suo peso.)

La forza peso M�g e applicata alla cassa. Poiche la cassa sta sul pavimento questo reagisceapplicando alla cassa la reazione �� � �M�g. Per il principio di azione e reazione la cassaesercita infine sul pavimento una forza ��� che e appunto pari alla forza peso M�g.

99 Reazione vincolare su corpi in movimento Se il corpo e in movimento la reazionevincolare si combina con le altre forze agenti sul corpo stesso per sottometterlo all’azione delvincolo. Se il vincolo e liscio occorre sempre tener presente che la reazione vincolare puoesercitarsi solo perpendicolarmente alla superficie del vincolo. O meglio, perpendicolarmentealla traiettoria che il vincolo obbliga il corpo a seguire. Questa precisazione e importante seil vincolo e, ad esempio, un filo. In effetti il filo si comporta da vincolo quando e teso, e in talcaso la forza che esercita e allineata col filo, ma e tuttavia normale alla traiettoria che il corpo ecostretto a seguire. Per chiarire meglio il concetto consideriamo un punto pesante che scivolasenza attrito su una superficie curva. Per semplificare immaginiamo che il moto avvenga su unpiano che taglia la superficie curva e consideriamo il moto su tale piano. Il moto del punto edeterminato dalla legge di Newton:

�F ��Fest ���� m�a � mdvdt�eT �m

v2

R�eN

Se scomponiamo la forza esterna �F in due componenti, una lungo �eT e l’altra lungo �eN, eteniamo conto che la reazione vincolare e solo lungo�eN (perche il vincolo e liscio) potremoscrivere che:

�N �FestN � m

v2

R

Il senso positivo e nel verso di�eN, quindi dalla parte del centro locale di curvatura (vedi fig.11). Osserviamo che il secondo membro e sempre positivo, rappresentando la forza centripetache e diretta verso il centro di curvatura.

R N R N

FN

(a) (b)

m g FNm g

Fig. 11

Si possono esaminare due casi, a se-conda se il punto sta dal lato convessoo concavo della superficie. Nel primocaso, (a), poiche �N dovra essere ne-gativo, questo puo avvenire solo se laforza esterna e sufficientemente inten-sa da schiacciare, per cosı dire, il puntosulla superficie. Nel secondo caso, (b),�N dovra essere positivo e l’equazio-ne e sempre soddisfatta qualunque sial’intensita della forza esterna.

Nel primo caso, se la forza ester-na non e sufficiente o se l’accelerazionecentripeta e troppo grande l’eguaglian-za non e piu soddisfatta e il punto sidistacca dal vincolo.

35

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

100 Corde Una corda o filo puocostituire, se tesa, un vincolo. La cor-

da per costituire un vincolo ideale dev’essere inestensibile. Non e invece necessario che siapriva di massa.

Si chiama tensione nel punto X di una corda il modulo della forza che la corda sviluppa inquel punto.

Una corda tesa lunga L sottoposta a una forza�FA e�FB ai due estremi A e B, si muove conun’accelerazione data da:

�a � ��FA ��FB��m

dove m e la massa della corda. Ne segue che una corda di massa nulla, per muoversi conaccelerazione finita, deve essere sottoposta a forze di egual modulo ai due estremi. In tal casola tensione della corda e la stessa in tutti i punti e vale T � ��FA� � ��FB�. Se invece la massanon e nulla, la tensione varia da punto a punto e si ricava facilmente.

Un segmento di corda lungo x attaccato all’estremo A ha massa mx � �x�L�m ed e sottopo-sto a una forza risultante FA�T �x�. Siccome la sua accelerazione e la stessa di tutta la cordanel suo insieme, ne segue che dev’essere:

T �x� � FA ��FB�FA�xL

ovvero la tensione varia linearmente da un estremo all’altro fra i valori ��FA� e ��FB�.

101 Esempio Nella fig. 12 sono rappresentati 3 blocchi che scivolano su un piano oriz-zaontale liscio, collegati fra loro da corde ideali e prive di massa. Una forza orizzontale F eapplicata in c (diretta verso destra). Si deve trovare l’accelerazione dei blocchi e la tensionedelle corde in a, b e c.

��������

����

��

������������������������������������������

������������������������������������������

������������������������������������������

������������������������������������������

������������������������������������������

������������������������������������������a b c

A CB

Fig. 12

Per risolvere il problema si parte dall’ultimo corpo della fila, A e si scrivono le equazionidel moto per i tre blocchi:

Ta � MA a

Tb�Ta � MB a

Tc�Tb � MC a

(38)

Notiamo che Tc � F . Sommando membro a membro le 3 equazioni abbiamo

(39) F � �MA �MB �MC� a

da cui si ottiene subito l’accelerazione a. Inserendola equazioni 38 si ottengono le tensioni.

102 L’equazione 39 si sarebbe potuta scrivere subito dato che (1) il sistema dei 3 blocchisi muove rigidamente come se fosse un unico punto materiale di massa MA�MB�MC al qualee applicata l’unica forza esterna (non ci sono attriti!) F .

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

����������������������������������������

F

aa

M

Fig. 13

����������������������������������������

a

M1

M2

a

Fig. 14

103 Ove ci fossero attriti, occorrera inserirli nelle equazioni 38 insieme alle tensioni.

104 Carrucole Le carrucole sono delle semplici macchine. Ricordiamo che in Meccani-ca una macchina e “qualunque sistema mediante il quale si possa trasmettere l’azione di unaforza da un punto a un altro, o modificare comunque l’azione di una forza” (A. Battelli). Persemplificare immaginiamo di aver a che fare con carrucole di massa nulla e corde anch’essedi massa nulla. Nella fig. 13 vediamo una carrucola che ruota attorno a un perno appeso aun soffitto. Una massa M e appesa a un estremo della corda, mentre all’altro estremo vieneapplicata una forza�F. Essendo la corda e la carrucola di massa nulla, la tensione della corda,ela medesima in a e a� e quindi sara T � F . Ne consegue che al corpo e applicata una forzarisultante di modulo F�Mg e diretta verso l’alto.

Se adesso in a� appendiamo una seconda massa M2 (fig. 14) le tensioni in a e a� rimangonosempre uguali fra loro. Sia T il loro valore. I due corpi sono quindi soggetti alle forze:

�F1 � �T �M1g��ey

�F2 � �T �M2g��ey

dove al solito�ey e il versore dell’asse y diretto lungo la verticale e orientato verso l’alto.Scrivendo le equazioni del moto abbiamo:

M1a1y � �T �M1g�

M2a2y � �T �M2g�(40)

ma se la massa 1 si sposta di ∆y la 2 si spostera di �∆y (se 1 sale 2 scende della stessa altezzae viceversa) quindi le velocita e le accelerazioni sono uguali ed opposte. Per cui, eliminandoT dall’equazione (40), abbiamo:

a1y � gM2�M1

M2 �M1

Questo montaggio della carrucola si chiama macchina di Atwood.

105 Il paranco Finalmente un altro montaggio della carrucola si vede nella fig. 15,dove un estremo della corda e fissato, p. es. al soffitto, mentre la massa e appesa al pernodella carrucola. In tal caso la forza applicata alla massa e 2T �Mg ed essendo T � F nesegue che si puo tenere in equilibrio la massa applicando alla corda una forza pari a meta

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CAPITOLO III. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

del suo peso. Questo e il principio del paranco. Nel paranco, se la corda al cui estremo eapplicata la forza si sposta di ∆y, la massa si sposta di ∆y�2. In effetti, riferendoci semprealla fig. 15, consideriamo il tratto di corda fra a e a�. Sia la sua lunghezza L. Meta di questalunghezza si trova fra a e l’estremo basso della carrucola, meta fra lo stesso estremo e a�.

��������������������������������������������

a a

M

F

Fig. 15

Se ora alziamo di ∆y l’estremo a� della corda, e la carrucola saledi ∆Y , possiamo scrivere che L � 2�L�2�∆Y ��∆y da cui segue ap-punto che ∆Y � ∆y�2. Il ragionamento si estende subito alle velocitae alle accelerazioni, ossia se l’estremo della corda ha accelerazioneay allora la carrucola ha accelerazione ay�2.

106 Le forze di attrito statico fra solidi Sappiamo dall’espe-rienza che per mettere in movimento un corpo che si trova a riposo suun piano occorre applicargli una forza minima. Cio avviene perchela reazione vincolare non e puramente normale al piano, ma ha ancheuna componente tangente al piano, ��t. Tale reazione vincolare nonha un valore prefissato, ma e tale da poter controbilanciare la forzaapplicata dall’esterno, entro certi limiti: ���t� � µs���N�. La costanteµs si chiama coefficiente di attrito statico ed e caratteristica del con-tatto fra la superficie del corpo e quella del piano. Valori elevati di µs

significano grande attrito. In pratica il valore di µs e sempre � 1.

107 Le forze di attrito dinamico fra solidi Se il corpo men-zionato sopra si mette in movimento, interviene in genere la forza diattrito dinamico che si manifesta come una componente delle reazione vincolare tangente alpiano il cui valore assoluto e dato da ���t�� µd���N�. Notare il segno di eguale rispetto al minoreo eguale dell’attrito statico. La direzione della forza di attrito dinamico e sempre opposta allavelocita del corpo.

Il coefficiente di attrito dinamico, µd , e in generale piu piccolo di µs.

108 Le forze di attrito viscoso Le forze di attrito viscoso si manifestano su corpi inmoto dentro dei fluidi. La resistenza dell’aria e un esempio noto a tutti. Sono forze dipendentidalla velocita, che aumentano con essa. A basse velocita la dipendenza e lineare in v, e diventaquadratica a velocita maggiori. L’attrito viscoso dipende anche dalla forma del corpo, e inparticolare dalla sua sezione trasversa. Per forze viscose quadratiche in v vale in genere laformula:

�Fa ��12CrρSv2�ev

dove ρ e la densita del fluido, S la sezione trasversa del corpo, e Cr un coefficiente che dipendedalla forma del medesimo. A titolo d’esempio, per un’automobile ben studiata dal punto divista aerodinamico Cr � 0�3.

Un corpo che cade, soggetto alla resistenza dell’aria, vedra la sua velocita crescere finoa un valore limite. Per tale valore la forza di gravita e uguale e opposta all’attrito viscoso,cosicche la forza risultante e nulla e il corpo si muove di moto uniforme. La velocita limitecorrisponde quindi alla soluzione di Fa�vlim� � mg.

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Capitolo IV

Moto oscillatorio

109 Moto periodico Un altro tipo di moto importante e il moto periodico, di cui abbiamoin natura innumerevoli esempi. Il moto periodico e un moto che si ripete uguale a se stessodopo un intervallo di tempo detto periodo. Per un moto a 1 grado di liberta la definizione dimoto periodico di periodo T e:

s�t� � s�t �T �

Il moto periodico e quindi un moto oscillatorio, dato che il punto nel suo moto ripassa sempreper i luoghi gia occupati in precedenza.

110 Per ovvie ragioni un moto periodico deve necessariamente durare da t � �∞ at � ∞. Naturalmente questa e un’astrazione, ma se nel tempo in cui noi studiamo il fenomenocontiene un gran numero di periodi allora l’astrazione e lecita.

111 La forza elastica La forza elastica di una molla segue la legge di Hooke: la forzache agisce su una massa spostata di x dalla posizione di equilibrio della molla si scrive:

(41) F ��k x

In questa formula k e la costante elastica della molla. Il segno “�” ci dice che la direzione dellaforza e sempre opposta allo spostamento, e la sua intensita cresce con l’allungamento dellamolla stessa. La formula e valida nel caso che la molla si muova lungo l’asse x. Altrimenti in3 dimensioni la forza elastica si scrive come

�F ��k�r

La forza elastica da luogo a un moto armonico: infatti usando l’eq. (41) nella Legge diNewton si ha:

md2xdt2 ��k x

ossia l’equazione dell’oscillatore armonico (118) con ω ��

k�m.

112 Moto armonico Il caso piu semplice di moto periodico e quello armonico che ha laseguente semplicissima legge oraria:

s�t� � Asin�ωt �ϕ�

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CAPITOLO IV. MOTO OSCILLATORIO

dove A, ω e ϕ sono delle costanti. Le dimensioni delle costanti sono: �A� � �L�, �ω� � �T ��1

mentre ϕ e un numero puro e non ha dimensioni. Questo moto e periodico perche, per leproprieta delle funzioni trigonometriche, esso si ripete dopo il periodo:

T �2πω

La costante A e positiva e si chiama ampiezza del moto in quanto �A� s�t�� A. La costanteω si chiama pulsazione e si misura in rad/s. Infine ϕ si chiama fase iniziale del moto, in quantoal tempo t � 0 abbiamo s�0� � Asin�ϕ� e la misureremo in radianti.

113 Frequenza La frequenza del moto armonico e l’inverso del periodo: ν � 1�T . Essae pari al numero di oscillazioni che vi sono in 1 secondo, e viene misurata in Hz. 1 Hz = 1 s�1.

114 Un moto del tipo:

s�t� � Acos�ωt �ψ�

e anch’esso armonico dato che e identico a

s�t� � Asin�ωt �φ�

in cui poniamo φ � ψ�π�2.

115 Se il moto di un punto puo rappresentarsi come la somma di due (o piu) motiperiodici le cose si complicano. Limitandoci a 2 moti, se

s�t� � A1 sin�ω1t �φ1��A2 sin�ω2t �φ2�

la condizione affinche il moto sia periodico e che dopo un certo tempo T esso si ripeta. Questosignifica che deve aversi ω1T � 2nπ e insieme ω2T � 2mπ (n e m sono due interi qualunque)ovvero:

ω1

ω2�

nm

�T2

T1

ossia le 2 pulsazioni (o i 2 periodi) devono stare fra loro in un rapporto razionale. Se cio nonavviene, ad esempio se T1 �

�2T2, il moto risultante non e periodico.

116 Come possiamo classificare il moto s�t� � Asin2�ωt�φ� ? A prima vista possiamo dire chesi tratta di un moto periodico in quanto certamente si ripete dopo T� � 2π�ω. Se guardiamo meglio,usando la relazione

sin2 x �1� cos2x

2possiamo scriverlo come:

s�t� �A� cos2�ωt �φ�

2e quindi vediamo che s�t��A�2 e un moto armonico con T � π�ω.

117 Velocita nel moto armonico La velocita del punto si ottiene derivando s rispetto a t:

v�t� � Aωcos�ωt �φ�

e si vede che dove lo spostamento in valore assoluto e massimo la velocita si annulla. Viceversala velocita massima in valore assoluto si ha per s � 0. La velocita del moto armonico oscillaanch’essa, rimanendo compresa fra gli estremi �Aω e Aω.

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CAPITOLO IV. MOTO OSCILLATORIO

118 Accelerazione nel moto armonico Derivando la velocita, ovvero derivando duevolte la legge oraria (76), otteniamo l’accelerazione:

a�t� �dvdt

�d2sdt2 ��Aω2 sin�ωt �φ� ��ω2s�t�

che puo essere riscritta nella forma di un’equazione differenziale:

d2s�t�dt2 �ω2s�t� � 0

nota appunto come “equazione dell’oscillatore armonico”. In questo caso siamo partiti da unasoluzione generale e siamo arrivati a ottenere l’equazione differenziale a cui essa soddisfa. Vi-ceversa, tutte le soluzioni dell’equazione differenziale dell’oscillatore armonico sono del tipos�t� � Asin�ωt �φ�. Tutte le volte che incontreremo tale equazione sapremo quindi scriverneimmediatamente le soluzioni.

119 Costanti e condizioni iniziali Per definire le costanti A e ω necessitano due equa-zioni che, ad esempio, si ottengono imponendo al tempo t � 0 le condizioni sulla posizione ela velocita del punto:

s�0� � Asinϕv�0� � Aωcosϕ

da cui otteniamo:

tanϕ �ωs�0�v�0�

A2 � s2�0��v2�0�

ω2

120 Come nel caso del moto uniformemente accelerato, l’esistenza di 2 costanti nell’e-quazione della legge oraria e legata alla necessita di specificare la posizione e la velocita delpunto a un determinato istante, che abbiamo preso come t � 0. Si tratta di una proprieta ge-nerale della meccanica dei punti materiali: il movimento di un punto e determinato, una voltarisolte le equazioni del moto, dalla sua posizione e velocita a un dato istante di tempo (ingenere l’istante iniziale).

121 Il pendolo Il pendolo di Galileo funziona in virtu della reazione vincolare.

T

P

O

T

Mg

O

P

Mg

θ< 0 θ > 0

θθ

Fig. 16

Un filo ideale e privo di massa fissato in Oporta appeso un punto materiale P di massaM (vedi fig. 16). Sappiamo dall’esperien-za che P oscilla rispetto alla verticale, man-tenendo teso il filo. Galileo trovo che perpiccole oscillazioni (definiremo dopo che si-gnifica piccole) il periodo delle oscillazio-ni non dipende dalla loro ampiezza ne dallamassa M. Vogliamo trovare l’equazione dimovimento del pendolo.

41

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CAPITOLO IV. MOTO OSCILLATORIO

Dato che il filo e teso il pendolo si muovesu un arco di circonferenza il cui raggio none altro che la lunghezza del filo, �. Ma af-finche cio avvenga dovra esservi una forza direazione vincolare �� che, componendosi col

peso M�g, dia una risultante tangente all’arco di circonferenza. Tale forza e trasmessa al puntoP dal filo che costituisce appunto il vincolo e quindi puo solo esser diretta lungo il filo da Pverso O. La sua intensita T e la tensione del filo medesimo.

In figura abbiamo rappresentato due posizioni del pendolo. Una sola variabile, l’angolo θ,e sufficiente a descrivere la posizione. A sinistra abbiamo dei valori di θ � 0, e a destra � 0.Per scrivere le forze usiamo un sistema di coordinate cartesiane ortogonali con l’origine in P,l’asse y diretto da P verso O e l’asse x tangente alla traiettoria e orientato nella direzione di θcrescenti. Abbiamo quindi:

Fx � �MgsinθFy � T �Mgcosθ

La componente Fx dovra essere uguale alla massa per l’accelerazione tangenziale, che vale incoordinate polari �d2θ�dt2. Pertanto avremo

M�d2θdt2 ��Mgsinθ

d2θdt2 ��g

�sinθ

(42)

Per determinare il moto del pendolo e sufficiente questa sola equazione.Per quanto riguarda Fy, osserviamo che essa dev’essere uguale alla forza centripeta, ossia:

m�dθ�dt�2�. Essa determina quindi la tensione del filo:

T � Mgcosθ�m�

�dθdt

2

Una volta risolto il moto del pendolo tramite la (42) (vedi oltre), questa equazione ci permet-te quindi di conoscere la tensione del filo in ogni istante t o per qualunque posizione θ delpendolo.

122 Notiamo che il segno “�” nell’equazione appena scritta e importantissimo dato che:

1. Se il pendolo e a sinistra (θ � 0) l’accelerazione e positiva: infatti:

� se il pendolo si muove verso destra (velocita positiva) esso tende a accrescere la sua velocitaavvicinandosi alla verticale

� se invece si muove verso sinistra (velocita negativa) esso tende sempre ad accrescere la suavelocita, che essendo negativa crescendo si riduce in modulo allontanandosi dalla verticale

2. Se il pendolo e a destra (θ � 0) l’accelerazione e negativa: infatti:

� se il pendolo si muove verso destra (velocita positiva) esso tende a diminure la sua velocitaallontanandosi dalla verticale

42

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CAPITOLO IV. MOTO OSCILLATORIO

� se invece si muove verso sinistra (velocita negativa) esso tende ancora a diminuire la suavelocita, che essendo negativa diminuendo cresce in modulo avvicinandosi alla verticale

Il segno “�” non lo abbiamo imposto noi: e venuto fuori in maniera automatica (e corretta) scegliendoil sistema di coordinate e scrivendo i passaggi in maniera coerente. Siccome pero la scelta e arbitraria, siconsiglia di provare con una scelta diversa (ad esempio contando gli angoli in senso orario o scegliendol’orientazione opposta per l’asse x) per rendersi conto che alla fine i risultati non devono cambiare.

123 Piccole oscillazioni L’equazione ricavata non contiene piu la massa M: questo esufficiente per dire che il moto (e quindi il suo periodo) deve essere indipendente da M comeeffettivamente osservato. Tuttavia l’equazione differenziale non e risolubile con metodi ele-mentari. Nel caso di piccole oscillazioni invece si ha la semplice equazione del moto armonico.Infatti se θ espresso in radianti e piccolo possiamo fare l’approssimazione:

sinθ � θ� 16

θ3 � � � �

e tenere solo il primo termine. Risulta allora l’equazione dell’oscillatore armonico con:

T � 2π

��

g

che mostra come il periodo non dipenda dall’ampiezza delle oscillazioni.

124 Oscillazioni qualsiasi Per chi avesse la curiosita di sapere la formula esatta del periododel pendolo, per un’ampiezza arbitraria α0 delle oscillazioni, la riportiamo qui sotto:

T � 2π

��

g�

�1�

12

22 sin2�α0�2���1 �3�2

�2 �4�2 sin4�α0�2���1 �3 �5�2

�2 �4 �6�2sin6�α0�2�� � � �

Si puo vedere che occorre un’ampiezza di ben 23o perche la formula semplificata sia in errore diappena l’1 %. In altre parole, se con la formula approssimata calcoliamo che in un certo intervallo ditempo dovremo contare 100 oscillazioni, nella realta ne osserveremo 99. L’errore cala rapidamente conα0.

43

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Capitolo V

Trasformazioni di riferimento

125 In fisica non esistono sistemi di riferimento privilegiati: lo stesso fenomeno puoessere studiato in sistemi di riferimento diversi e in ciascuno di questi dev’essere possibileuna descrizione del fenomeno in base alle medesime leggi della fisica. Ne consegue che leosservazioni e le misure fatte in un sistema di riferimento devono essere “traducibili” per unosservatore che usa un altro riferimento. Deve’essere quindi possibile trovare delle formuleche permettono di effettuare le cosiddette trasformazioni di riferimento.

y

z

O

x

R

O

x

y

z

Fig. 17

126 Trasformazione delle coordinate In fig. 17abbiamo rappresentato due riferimenti, che chiamere-mo Σ e Σ�, nei quali sono definiti due sistemi di coordi-nate cartesiane ortogonali (Oxyz e O�x�y�z�). Nella fi-gura gli assi sono fra loro paralleli e se durante il motogli assi si mantengono sempre paralleli allora diciamoche i due riferimenti traslano l’uno rispetto all’altro.Se cio non avviene significa che i due riferimenti sonoanche animati da un moto di rotazione relativa.

Supponiamo di trovarci nel primo riferimento e distudiare il moto di un punto P: ad esso faremo corri-spondere un vettore �OP ��r. L’origine del riferimento

mobile, O�, sara identificata dal vettore �OO� � �R. Volendo, potremmo anche identificare ilpunto P utilizzando un altro vettore, �O�P ��r� e la relazione evidente

(43) �r ��r���R

Anche se abbiamo ricavato l’eq. (43) immaginando di trovarci nel riferimento Σ, essa costi-tuisce una relazione fra vettori e vale in qualunque sistema di riferimento. Ricordiamo ancorauna volta che i vettori sono delle entita che esistono indipendentemente dai riferimenti e dallecoordinate. Noi pero vogliamo utilizzare la (43) per passare da un riferimento a un altro: e quiche entra in gioco il sistema di riferimento e quello di coordinate.

La nostra richiesta sarebbe soddisfatta se noi potessimo conoscere quali coordinate �x�y�z�in Σ corrispondono alle coordinate �x��y��z�� in Σ�. Ora, le coordinate �x�y�z� sono le compo-nenti del vettore�r misurate in Σ. Analogamente, �x��y��z�� sono le coordinate di�r� misuratein Σ�. Ma per usare la (43) non possiamo usare riferimenti diversi per il primo e il secondomembro: dobbiamo usarla in un riferimento ben definito (diciamo Σ). Allora in Σ la terna dinumeri �x��y��z�� non e il vettore�r�, ma questo sara invece dato da:

(44) �r� � x��ex’ � y��ey’ � z��ez’

44

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CAPITOLO V. TRASFORMAZIONI DI RIFERIMENTO

dove�ex’��ey’��ez’ sono i versori degli assi di Σ� visti nel primo riferimento. Per adoperare la leggedi trasformazione (43) dovremo quindi conoscere in ogni istante l’orientamento dei versori�e�

in Σ e riscriverla come:�r ��R� x��ex’ � y��ey’ � z��ez’

Nel solo caso della traslazione, i versori �e ��e� (perche gli assi rimangono paralleli) epassando alle componenti la relazione diventa:

x � x��X

y � y��Y

z � z��Z

(45)

127 Trasformazione della velocita Per ottenere la legge di trasformazione delle velocitacominciamo a derivare la (43) ottenendo:

�v �d�r�

dt�

d�Rdt

Tuttavia, mentre d�R�dt si identifica immediatamente come la velocita �V con cui l’originedi Σ��O� si muove rispetto a O, l’interpretazione del termine d�r��dt non e immediata. Nonpossiamo considerarla la velocita di P in Σ� perche�r� cambia non solo a causa del moto di P inΣ� ma anche per il moto relativo di quel riferimento rispetto a Σ.

Per esplicitare questo fatto riscriviamo ancora una volta �r� usando i versori degli assi(eq. 44):

�r� � x��ex’ � y��ey’ � z��ez’

Derivando avremo:d�r�

dt�

dx�

dt�ex’ � x�

d�ex’

dt� � � �

La velocita del punto nel riferimento Σ� si identifica col vettore:

�v� �dx�

dt�ex’ �

dy�

dt�ey’ �

dz�

dt�ez’

Perche affermiamo questo? La ragione e semplice: un osservatore che si trova in � determinala velocita misurandone le componenti lungo i suoi tre assi e queste componenti sono appuntodx��dt�dy��dt�dz��dt. Allora la nostra equazione diventa:

d�r�

dt��v��

�x�

d�ex’

dt� y�

d�ey’

dt� z�

d�ez’

dt

e rimane da interpretare il termine fra parentesi.

Esaminando il termine fra parentesi notiamo che contiene le derivate temporali dei versoridel sistema O�x�y�z�, come sono viste dall’osservatore in Σ. Queste derivate stanno a indicarel’effetto delle variazioni dell’orientamento del riferimento Σ� rispetto a Σ e sono identicamentenulle nel caso di una pura traslazione di un sistema rispetto all’altro. Ma nel caso generalealla traslazione si accompagna una rotazione (moto rototraslatorio), e quest’ultima e respon-sabile della variazione dei versori. La rotazione del riferimento si caratterizza con l’ampiezzadell’angolo di cui il sistema ruota. Per intendersi occorre pero anche dire attorno a quale di-rezione avviene la rotazione, e stabilire per questa un verso (positivo o negativo). Possiamo

45

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CAPITOLO V. TRASFORMAZIONI DI RIFERIMENTO

quindi associare alla rotazione un vettore, che ha per direzione quella anzidetta e per modulol’angolo. Se una persona orientata come il vettore vede la rotazione avvenire in senso antiora-rio, associamo a questa il segno � e � nel caso opposto. Se consideriamo una rotazione cheavviene in un tempo dt molto piccolo, l’angolo sara anch’esso infinitesimo, d�α, e dividendoloper dt otteniamo il vettore velocita angolare:

d�αdt

��ω

Si puo facilmente dimostrare che:

d�ex’

dt��ω��ex’

d�ey’

dt��ω��ey’

d�ez’

dt��ω��ez’

(46)

Ne consegue che la trasformazione delle velocita prende la forma finale:

(47) �v � �V��v���ω��r�

Il termine �V��ω��r� prende a volte il nome di velocita di trascinamento.

128 Velocita relativa Se P e fermo nel riferimento mobile Σ� questo si chiama il riferi-mento di quiete di P. In tal caso la velocita misurata nel riferimento Σ �v e nient’altro che �Vdato che�v� � 0. Consideriamo ora due punti materiali P1 e P2 e siano Σ e Σ� i corrispondentiriferimenti di quiete. Chiamiamo velocita relativa di 1 rispetto a 2 la velocita che 1 ha nelriferimento di quiete di 2 (quindi in Σ�): �v12 ���V. Viceversa, chiamiamo velocita relativa di2 rispetto a 1 la velocita che 2 ha nel riferimento di quiete di 1 (quindi in Σ�): �v21 � �V. Comec’era da aspettarsi le due velocita sono uguali in modulo e direzione e opposte in verso. Ingenerale quindi la velocita relativa di 2 punti i� j e sempre data da

�vi j ��vi��v j ���v ji

129 Trasformazione dell’accelerazione Il procedimento per ottenere la legge di trasfor-mazione dell’accelerazione e del tutto simile a quello usato per la velocita. Si comincia aderivare la (47) dopo aver esplicitato i versori degli assi al secondo membro nell’espressionedi�r e�v�. Usando ancora le formule (46) si ottiene la formula seguente:

�a ��a���A�d�ωdt��r�� 2�ω��v�� �� �

Acc. di Coriolis

��ω� ��ω��r��� �� �Acc. centripeta

dove �A e l’accelerazione di O�. La somma dei termini a destra di �a� prende il nome diaccelerazione di trascinamento

130 Forze apparenti in riferimenti non inerziali Sappiamo che nei riferimenti noninerziali il principio d’inerzia non e valido: un corpo libero ha un’accelerazione. E possibile

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CAPITOLO V. TRASFORMAZIONI DI RIFERIMENTO

salvaguardare formalmente il principio d’inerzia in tali sistemi attribuendo questa accelerazio-ne alla presenza delle cosiddette forze apparenti. Queste forze apparenti si sommano alle forzereali e insieme a queste determinano il moto del corpo nel riferimento non inerziale.

Per determinarle consideriamo un punto materiale libero in un certo riferimento inerziale,quindi con accelerazione nulla. Servendoci della legge di trasformazione (129) troviamo che lasua accelerazione in un riferimento non inerziale sara data dall’accelerazione di trascinamentodi quest’ultimo, cambiata di segno:

(48) �a� ���Atrasc

Quindi la forza apparente, definita come quella forza che imprime a un corpo di massa ml’accelerazione osservata�a�, vale�Fapp ��m�Atrasc.

Notiamo che la forza apparente, similmente alla forza peso, e proporzionale alla massa delcorpo. Ne segue che in un sistema accelerato con un’accelerazione pari a g tutto si svolgecome se si fosse in presenza della gravita terrestre. Questo e il principio di equivalenza.

131 Forza centrifuga Un esempio a tutti noto di forza apparente e la forza centrifuga chee importante in sistemi di riferimento in rotazione. In questi sistemi un corpo isolato tende adallontanarsi dal centro, come se una forza centrifuga lo spingesse in fuori. In realta il corpo simuove di moto rettilineo uniforme in un riferimento inerziale, mentre per farlo ruotare insiemeal riferimento sarebbe necessaria una forza centripeta. La forza centrifuga e quindi realmenteuna mancanza du una forza centripeta, e ha il suo stesso valore ma e diretta verso l’esterno.

Sviluppando il doppio prodotto vettoriale (129) vediamo che la forza centrifuga ha gran-dezza mω2R, dove R e la distanza del corpo dall’asse di rotazione. La sua direzione e normaleall’asse di rotazione e verso l’esterno.

132 Riferimenti in caduta libera Un sistema di riferimento che si muove, soggetto soloalla forza di gravitazione (ascensore che precipita, nave spaziale che viaggia a motori spenti,Terra che si muove intorno al Sole, ecc.) si dice in caduta libera. Si tratta di un riferimentonon inerziale, nel quale l’accelerazione di trascinamento e l’accelerazione di gravita nel luogodove il riferimento si trova. Chiamiamo�g� tale accelerazione, che da luogo alla forza apparente�Fapp ��m�g�.

La forza di gravitazione agisce sui corpi che si osservano nel riferimento, e vale �F � m�g�.D’altronde l’osservatore nel riferimento in caduta libera dovra scrivere la Legge di Newtonsommando a questa la forza apparente, �Fapp � �m�g�, per cui la forza risultante e nulla. Il ri-sultato (valido indipendentemente dalla massa) e che il corpo risultera privo di peso all’osser-vatore. Questo avviene appunto perche l’osservatore e il corpo cadono insieme con la stessaaccelerazione. Non essendovi quindi accelerazione relativa osssevatore-corpo, quest’ultimoappare privo di peso.

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Capitolo VI

Lavoro di una forza

133 Lavoro infinitesimo Consideriamo un punto materiale che si sposta di un trattoinfinitesimo dx lungo l’asse x e su cui agisce una forza�F � �Fx�Fy�Fz�. Supponiamo dapprimache la forza sia costante. Si chiama lavoro infinitesimo della forza�F il prodotto:

d�� Fxdx

Se la forza non e costante la definizione va egualmente bene: naturalmente la forza dovraessere calcolata nella posizione in cui si trova il punto, e dato che lo spostamento e infinitesimopotremo supporre la forza costante da x a x � dx durante lo spostamento e usare il valorecalcolato in P � �x�y�z�.

Se lo spostamento non avviene lungo l’asse x ma ha componenti �dx�dy�dz� (ed e quindirappresentabile da un vettore infinitesimo d�r � �dx�dy�dz� ) il lavoro infinitesimo e dato da:

d���F �d�r � Fxdx�Fydy�Fzdz

essendo il prodotto quello scalare per il quale possiamo anche scrivere d� � �F� ds cosθ,dove ds e lo spostamento (ds � �d�r�) e θ e l’angolo che esso fa con la forza. In altro modoequivalente potremo scriverlo d�� F�� ds dove abbiamo introdotto la componente della forzaparallela alla traiettoria. Avremo quindi che il lavoro potra essere:

1. positivo se�F e d�r sono concordi;

2. negativo se�F e d�r sono discordi;

3. nullo se�F e d�r sono ortogonali;

134 Importante. Lo spostamento del punto sara ovviamente determinato dalla forza ri-sultante che agisce su di esso, in base alla legge di Newton. Tuttavia se sul corpo agiscono piuforze niente ci impedisce calcolarci separatamente i lavori fatti da ciascuna di dette forze. Adesempio, se su un punto agiscono la forza peso e una forza di attrito viscoso, potremo calcolareseparatamente i lavori fatti da ciascuna di queste forze. Sommandoli insieme avremo il lavorodella forza risultante.

135 Moto rettilineo uniforme Se un corpo si muove di moto rettilineo uniforme sottol’azione di piu forze (ad esempio, corpo pesante che cade sottoposto ad attrito viscoso) illavoro totale fatto dalle forze e nullo. Infatti essendo il moto uniforme la forza risultante enecessariamente nulla e cosı e il lavoro.

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

136 Lavoro delle reazioni vincolari e delle forze d’attrito Le reazioni vincolari deivincoli lisci sono, per definizione, sempre normali allo spostamento (95) e pertanto non fannolavoro. Ad esempio, nel moto circolare, sia esso uniforme o meno, la forza centripeta non falavoro.

Se il vincolo non e liscio esiste una componente della reazione tangente al vincolo cheda luogo alla forza d’attrito. Essendo la forza di attrito sempre contraria allo spostamento, illavoro della forza di attrito sara sempre negativo e viene, con altro termine, detto resistente.

137 Se lo spostamento non e infinitesimo ma finito, partendo ad esempio dal punto Aper finire al punto B, si procedera sommando tanti lavori infinitesimi corrispondenti a deglispostamenti d�ri lungo la traiettoria seguita dal punto. Passando al limite avremo un integraleil cui valore in generale dipendera dal percorso, nonche ovviamente dai punti di partenza e diarrivo:

��A�B� � ∑�Fi �d�ri � B

A�F��r� �d�r

Un tale integrale si dice integrale di linea dato che e appunto calcolato sulla linea dellatraiettoria.

138 Forze dipendenti dalla posizione Una forza si dice dipendente dalla posizione o,con altro termine, posizionale, se e una funzione esclusivamente del punto P�x�y�z� : �F ��F�x�y�z�. La forza di gravitazione e in particolare la forza peso, la forza di Coulomb, la forzaelastica sono tutti esempi di forze dipendenti dalla posizione. Le forze di attrito dinamicodipendono invece anche dalla velocita, essendo sempre opposte ad essa, e non rientrano quindiin questa categoria.

139 Se per una forza dipendente dalla posizione la traiettoria lungo la quale si calcolail lavoro e percorsa in senso inverso, partendo dal punto B per terminare in A, ma seguendola stessa traiettoria Γ, allora nel calcolo del lavoro la forza rimane immutata mentre tutti glispostamenti cambiano di segno e cosı pure il lavoro:

��A�B� ����B�A�

140 Lavoro di una forza costante Se la forza e costante (in modulo, direzione e verso)allora e possibile portarla fuori dall’integrale:

���F �� B

Ad�r ��F � ��rB��rA�

e possiamo notare che in questo caso il lavoro e indipendente dalla traiettoria seguita dal puntoper spostarsi da A a B. Questo e un risultato molto importante, e vedremo in seguito che essorimane valido anche per alcune forze non costanti.

141 Potenza Si dice potenza il lavoro fatto nell’unita di tempo:

W �d�dt

��F � d�rdt

��F ��v

e�v e la velocita del punto materiale .

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

142 Teorema delle forze vive. Energia cinetica Consideriamo adesso il lavore totalefatto dalle forze su un punto materiale . Dato che esso non e altro che il lavoro fatto dallaforza risultante e che proprio quest’ultima determina il moto del punto materiale , possiamosostituire a m�a la forza�F nell’espressione del lavoro infinitesimo:

d� � �F �d�r � m�a �d�r� m

d�vdt�d�r � md�v ��v

� m�dvx vx �dvy vy �dvz vz�

� m�12

d�v2x��

12

d�v2y��

12

d�v2z � �

� m12

d�v2� � d�12

mv2�

La relazione ricavata sopra e un’eguaglianza fra 2 differenziali. Integrando ambo i membridell’uguaglianza per un punto materiale che si muove da A a B otteniamo il Teorema delleforze vive:

��A�B� �� B

A�F��r� �d�r � 1

2mv2

B�12

mv2A

dove la quantita 12mv2 prende il nome di Energia Cinetica del punto materiale . L’energia

cinetica e una grandezza scalare sempre positiva (la velocita compare al quadrato e la massae sempre maggiore di 0). Abbiamo esplicitamente indicato A e B nell’espressione del lavoro,��A�B�, per ricordare che si tratta del lavoro fatto per spostare il punto materiale da A a B, eche naturalmente dipende dalla traiettoria da esso seguita. L’enunciato del Teorema delle forzevive e:

“La variazione di energia cinetica di un punto materiale e uguale al lavoro totale delle forzeche agiscono su di esso, calcolato sulla traiettoria percorsa.”

143 Unita di misura del lavoro e dell’energia L’unita di misura del lavoro nel sistemaMKS si chiama Joule e si abbrevia J. Se un punto materiale si sposta di 1 m nella direzione enel verso di una forza di 1 N ad esso applicata, quest’ultima compie il lavoro di 1 J. Dato cheil lavoro si trasforma in energia cinetica, anche quest’ultima si misura in Joule.

Nel sistema cgs l’unita di lavoro ed energia e l’erg, che corrisponde a una forza di 1 dynee a uno spostamento di 1 cm: 1 J = 107 erg.

La potenza si misura in Watt (W) nel sistema MKS: 1 W = 1 J/s, 1 kW = 1000 W. Nonesiste un’unita nel sistema cgs. E d’uso a volte nella pratica utilizzare, come unita di misuradel lavoro, il Watt-ora (Wh) o il kilowatt-ora (kWh), che corrisponde a una potenza di 1 o 1000W erogata per 1h = 3600 s. Quindi ad esempio 1 kWh = 3�6 106 J. Questa energia costa a noiutenti circa lire 350 (tasse comprese) se la acquistiamo dall’ENEL.

144 Se il lavoro fatto dalle forze e positivo l’energia cinetica aumenta. Se e negativo essadiminuisce. Un corpo soggetto alla sola forza di attrito ha la sua energia cinetica in costantediminuzione. Dato tuttavia che l’energia cinetica non puo essere negativa, essa potra diminuireal minimo a zero, il che avviene all’arresto del corpo.

Un corpo che scivola su un piano orizzontale privo di attrito mantiene costante la suaenergia cinetica m

2 v2 dato che le forze che su di esso agiscono (peso e reazione vincolarenormale) sono ortogonali al movimento e quindi non fanno lavoro.

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

145 Un punto materiale possiede energia cinetica ma non possiede lavoro. Il lavoro esempre svolto dalle forze. Esso modifica l’energia cinetica posseduta dal corpo.

146 Mentre possiamo distinguere il lavoro fatto separatamente dalle varie forze che agi-scono su un corpo, non ha senso voler scomporre l’energia cinetica in componenti distinte: ilteorema delle forze vive si applica al moto e al lavoro completo.

147 Forza peso La forza peso e l’esempio piu comune di forza costante. Utilizzandola formula del (140) possiamo calcolare il lavoro fatto quando un punto materiale pesante sisposta A a B:

�F � �0�0��mg� ��A�B� ��mg�zB� zA�

il che ci fa vedere esplicitamente che il lavoro dipende solo dalla differenza di livello fra leposizioni di partenza e di arrivo.

Il lavoro che fa la forza peso e quindi negativo se il punto materiale sale. Per un corpolanciato verso l’alto si ha quindi una diminuzione dell’energia cinetica nella fase ascendente.Nella fase di discesa il lavoro e positivo e quindi comporta un aumento dell’energia cineticadel punto.

148 Forze conservative – Energia potenziale Un caso particolare, molto importantenella pratica (lo abbiamo gia incontrato calcolando il lavoro della forza peso), si ha quando illavoro da A a B non dipende dal percorso seguito. In tal caso il lavoro per andare da A a B noncambiera se sceglieremo un’altra traiettoria passante per un punto O: il lavoro da A a B saraquindi uguale al lavoro da A a O piu il lavoro da O a B:

��A�B� � ��A�O����O�B� � ��A�O����B�O�

e quindi per il teorema delle forze vive (142) 1�2 m�v2B� v2

A� � ��A�B� si ha:

12

mv2A ���A�O� �

12

mv2B ���B�O�

La formula ricavata e di notevole importanza: in effetti al primo membro abbiamo la somma didue grandezze che sono calcolate nel punto A (l’energia cinetica 1�2 mv2

A e il lavoro ��A�O�).Al secondo membro le stesse due grandezze sono calcolate in B. Se ripetessimo il calcolo inqualunque altro punto troveremmo la stessa eguaglianza. Affinche cio si verifichi e necessarioquindi che la somma delle due grandezze sia costante. Con altro termine diciamo che la sommasi conserva. Per analogia con il primo termine della somma, che e gia stato battezzato energiacinetica, il secondo termine viene detto energia potenziale:

V �A� � ��A�O� ����O�A�

V �A��V�B� � ��A�B�(49)

La somma delle due energie (cinetica e potenziale) rimane quindi costante durante il moto delpunto materiale e cio esprime il principio della conservazione dell’energia meccanica:

12

mv2A �V �A� �

12

mv2B �V �B� � E � costante(50)

La dimostrazione teste fatta si e basata sul fatto che il lavoro delle forze fosse indipendentedal percorso. Cadendo l’ipotesi il principio di conservazione dell’energia meccanica cessa di

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

valere. Si chiamano FORZE CONSERVATIVE le forze per le quali il lavoro non dipende dalpercorso, e per le quali appunto vale il principio di conservazione dell’energia meccanica.

149 La scelta del punto O puo essere del tutto arbitraria e non influisce sul risultato finale.Il suo effetto e quello di modificare il valore dell’energia potenziale V , sommando ad essa unvalore costante: V �A�V �A�� cost.. Poiche quello che conta sono le variazioni di energiapotenziale e la costante scompare nelle differenze i risultati fisici non cambiano. Si dice per-tanto che l’energia potenziale e definita a meno di una costante arbitraria. Ci si puo valere diquesta arbitrarieta per definire, se riesce comodo, il cosiddetto zero dell’energia potenziale. Adesempio, nel campo della forza peso, si puo assumere lo zero dell’energia a livello del suolo.In tal caso V �A� ����O�A� � mgzA, e quindi V � 0 sopra il livello del suolo e V � 0 sotto.

150 Lavoro su una traiettoria chiusa In un campo di forze conservative il lavoro suuna traiettoria chiusa e sempre zero. Per dimostrarlo consideriamo una traiettoria chiusa Γche comincia e finisce in A. Spezziamola idealmente considerando un punto O sulla traiet-toria e chiamiamo Γ1 la parte di traiettoria da A fino ad O e Γ2 la parte rimanente che da Oritorna in A (vedi figura). Allora il lavoro per spostarsi da A ad A sulla traiettoria chiusa sara:

A

O

Γ

Γ

1

2

Fig. 18

��A�A� � ��O�A�Γ1���O�A�Γ2

� ��O�A�Γ1���O�A�Γ2

Ma poiche il campo e per ipotesi conservativo, i due lavori a secondomembro sono uguali pur avvenendo su traiettorie diverse, dato che comi-ciano e finiscono negli stessi punti. Quindi la loro differenza e zero comevolevasi dimostrare.

Questa proprieta delle forze conservative si dimostra piu rapidamenteosservando che la variazione di energia potenziale V e nulla dato che ilpunto di partenza e di arrivo coincidono. Pertanto non vi e lavoro ne variazione di energiacinetica: ad esempio, un corpo scagliato verticalmente verso l’alto con una certa velocita �v,avra una velocita di eguale modulo nel momento in cui tocca il suolo cadendo.

151 Forze centrali Si chiama forza centrale ogni forza che (1) e diretta come la con-giungente dal punto al centro della forza, e (2) la cui intensita dipende soltanto dalla distanzada detto centro. Essa puo essere attrattiva o repulsiva. Una importante forza centrale e la forzadi gravitazione (attrattiva), che decresce come 1�r2 all’allontanarsi dal centro. La forza elet-trostatica di Coulomb ha una dipendenza da r come la forza di gravitazione, ma puo esseresia attrattiva che repulsiva. La forza elastica e anch’essa una forza centrale attrattiva la cuiintensita cresce linearmente con la distanza dal centro.

Dimostriamo ora un teorema molto importante: le forze centrali sono sempre conservative.Per la dimostrazione cominciamo a osservare quanto segue: dato che la una forza centrale ediretta lungo il raggio vettore, gli spostamenti che avvengono a r � costante sono sempreortogonali alla forza. Se quindi il punto si sposta sulla superficie di una ideale sfera la forzanon fa lavoro. Consideriamo la figura (19) dove il punto materiale si sposta da A a B seguendola linea tratteggiata. Approssimiamo la traiettoria con una spezzata di segmenti infinitesimi,spostandoci alternativamente mantenendo r � rn � cost (1) e quindi lungo il raggio (2) perpassare da rn a rn�1.

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

BO

A

rn

Fig. 19

Avverra che nel calcolo del lavoro totale avremo contributisolo dagli spostamenti (2) lungo il raggio ed e facile render-si conto che, seguendo un’altra traiettoria ma seguendo la stes-sa procedura, avremo un contributo, solo dagli spostamenti (2),uguale a prima. Il lavoro quindi sara uguale per le due traiettoriee potendosi ripetere il ragionamento per qualunque traiettoria nesegue che il campo di forza e conservativo.

152 Energia potenziale del campo gravitazionale Percalcolare l’energia potenziale nel campo gravitazionale convie-ne prendere come punto a energia potenziale zero l’infinito:in tal caso l’energia potenziale si calcolera come il lavoro fat-to dal campo per spostare il punto materiale all’infinito. Datoche il lavoro e indipendente dal percorso lo possiamo calcolareper lo spostamento piu comodo, ossia uno spostamento lungo ilraggio. Chiamando per semplicita k � GM1M2 avremo:

V �A� ��k� ∞

A

d rr2 ��k

1rA

e la conservazione dell’energia si scrive:

12

mv2� kr� E � cost.

Dato che k � 0 allora l’energia potenziale e negativa: un corpo avvicinandosi al centro vedel’energia potenziale decrescere (crescendo in valore assoluto), quindi la sua energia cineticacresce sempre piu: il corpo precipita sul centro. Viceversa per un corpo che si allontanal’energia cinetica diminuisce (il corpo rallenta). Se lo si vuole allontanare a grande distanzadal centro attrattore occorre fornirgli un’energia cinetica iniziale elevata, ovvero imprimerglila cosiddetta velocita di fuga.

153 Energia potenziale della forza elastica La forza elastica in 3 dimensioni si scrive:

�F ��k�r

Per calcolare l’energia potenziale assumiamo l’origine come punto a potenziale 0 e quindicalcoliamo il lavoro per spostare il punto da A fino all’origine muovendoci lungo il raggio:

V �A� � ��A�O� ��k� 0

rA

r dr �12

kr2A

per cui la conservazione dell’energia si esprime come:

12

mv2 �12

kr2 � E � costante(51)

E facile verificare questa equazione utilizzando esplicitamente la soluzione del moto armo-nico unidimensionale (112). Sostituendo nella (51) la soluzione x�t� � Asin�ωt � φ�, ev�t� � ωAcos�ωt �φ� troviamo che in effetti la somma delle energie cinetiche e potenziale ecostante e vale 1�2 kA2

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

154 Lavoro delle forze esterne Consideriamo ora si spostare un corpo pesante versol’alto o verso il basso, mantenendo costante la sua velocita. Essendo la velocita costantesappiamo che sul corpo agisce una forza risultante nulla: infatti noi dobbiamo applicare alcorpo una forza esterna�Fext ��M�g per controbilanciare la forza peso.

In tal caso il teorema delle forze vive ci dice che:

1. il lavoro e nullo dato che la forza totale e nulla;

2. l’energia cinetica non varia (infatti v � cost)

Questo risultato pur essendo perfettamente corretto non ci e molto utile. Domandiamoci orache lavoro facciamo noi (o meglio la forza esterna da noi applicata):

��z1�z2�ext ��� z2

z1

M�g �d�r � M g �z2� z1�

e siccome M g �z2� z1� � V �z2��V �z1� ne segue che il lavoro della forza esterna e ugualealla variazione dell’energia potenziale del corpo. Ma in questo caso particolare la variazionedell’energia potenziale e uguale alla variazione dell’energia complessiva E, per cui possiamoaffermare che:

��z1�z2�ext � E2�E1

155 Il risultato trovato ha validita generale in presenza di forze interne conservative.Infatti notando che�Ftot ��Fint ��Fext possiamo scrivere per il lavoro:

��A�B�ext � ��A�B�tot���A�B�int

��A�B�ext � TB�TA���A�O�int���O�B�int� �� �VB�VA (148)

� EB�EA

cioe il lavoro delle forze esterne va ad incrementare o a diminure l’energia meccanica totaledel sistema.

156 Trovare le forze dall’energia potenziale. Il Gradiente Data una funzione scalaref �x�y�x� si definisce gradiente di tale funzione il vettore:

∇ f �

�∂ f∂x

�∂ f∂y

�∂ f∂z

(52)

(il simbolo, o meglio, l’operatore, ∇ si chiama nabla). Il nome operatore deriva dal fatto cheesso, operando su uno scalare, lo trasforma in un vettore.

Si dimostra che, data l’energia potenziale V in funzione del punto, la forza e calcolabilecome il gradiente dell’energia potenziale cambiato di segno: �F ��∇V :

Fx ��∂V∂x

Fy ��∂V∂y

Fz ��∂V∂z

Viceversa, se una forza e esprimibile come il gradiente di una funzione, allora questa funzionecambiata di segno e l’energia potenziale (a meno di una costante) e la forza e conservativa.

La verifica si puo fare facilmente nei casi gia visti, calcolandosi esplicitamente il gradientedell’energia potenziale con le formule delle derivate parziali. Ovviamente, nel caso a una soladimensione, il gradiente coincide con la usuale derivata.

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

157 Proprieta generali del moto La conoscenza della funzione energia potenziale per-mette di ricavare facilmente alcune proprieta generali per il moto di un punto materiale, in basealla sua energia totale E. Dall’equazione T � E�V ��r� si ottiene l’energia cinetica T in ognipunto dello spazio e, dato che essa non puo essere negativa, questo significa che le regionidello spazio per cui E�V ��r�� 0 sono inaccessibili alla particella.

Fig. 20

Per illustrare meglio questo fatto, consideriamo il caso in cui l’energia potenziale V �x�dipende da una sola coordinata (vedi fig.20). Supporremo dapprima che l’energia del puntovalga E1. L’energia cinetica e data dalla differenza fra la retta V � E1 e la curva V �x�, per cuila particella puo muoversi in tutta la regione x � x1. Il punto x1, in cui E1 � V �x1�, si dicepunto d’inversione. Una particella che proviene da destra rallenta nelle vicinanze di x1 fino ache la sua velocita si annulla per x � x1. La velocita quindi si inverte di segno e la particellatorna indietro.

Se l’energia vale E2 il punto materiale puo muoversi in due regioni: x2 � x � x�2 e x � x��2.Nella prima il moto e limitato e abbiamo quello che si chiama uno stato legato. Nella secondail punto puo allontanarsi all’infinito. I due stati non “comunicano” fra di loro: la particella nonpuo passare dall’uno all’altro dato che la zona x�2 � x � x��2 e inaccessibile (l’energia cineticain tale zona sarebbe negativa). Per fare comunicare i due stati la particella deve avere un’ener-gia minima pari a V �, l’altezza della barriera energetica. Parlando di potenziali interatomiciquesta energia minima viene a volte definita energia di attivazione.

Infine se E � E3 esiste solo lo stato legato: la particella oscilla fra i due punti d’inversionex3 � x � x�3.

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

158 Equilibrio e energia potenziale E facile formulare le condizioni di equilibrio diun punto materiale basandosi sul potenziale. Consideriamo dapprima il caso semplice a unasola dimensione e sviluppiamo l’energia potenziale in serie intorno al punto di equilibrio x0.Avremo:

V �x� �V �x0��V ��x0��x� x0��12V ���x0��x� x0�

2 � � � �

(V ��x0��V ���x0� � � � sono le derivate prima, seconda, ecc., di V �x� calcolate in x � x0). Poichela prima condizione per l’equilibrio e che la forza sia nulla, dato che F �� dV

dx , dovra essere:

All’equilibrio V ��0� � 0

il potenziale ha un MASSIMO O UN MINIMO

Esaminiamo ora separatamente i due casi di massimo e minimo:

1. MASSIMO: In tal caso la derivata seconda e negativa e quindi la forza ha il segno di x.Se x � 0 la forza e diretta lungo x e tende ad allontanare il punto materiale dall’origine.Se x � 0 la forza e diretta in senso opposto a x e ancora tende ad allontanare il puntomateriale dall’origine: abbiamo in questo caso equilibrio instabile.

2. MINIMO: Si ha la situazione opposta, la forza tende sempre a riportare il punto materialeverso l’origine. Abbiamo in questo caso equilibrio stabile

Si visualizzano facilmente le due condizioni di equilibrio disegnando l’energia potenzialeV �x� e immaginando che la funzione rappresenti un profilo (liscio) sul quale si puo muovereliberamente un punto materiale pesante. La quota a cui si trova il punto ci da, moltiplicata permg, la sua energia potenziale. I minimi di V sono degli avvallamenti e sono quindi punti diequilibrio stabile. I massimi sono invece punti di equilibrio instabile.

Nel caso generale a 3 dimensioni resta vera l’affermazione che punti di equilibrio stabilesono quelli di minimo del potenziale, mentre sono instabili quelli di massimo.

159 L’energia potenziale di una molla, 1�2 kx2 (153), ha un solo minimo pertanto unpunto materiale attaccato a una molla e sempre in equilibrio stabile.

Un caso di energia potenziale con massimi e minimi si ha nel caso del pendolo. Per unpendolo costituito da una massa m situata all’estremita di un’asta lunga � (e priva di massa)l’energia potenziale vale (ci limitiamo a considerare l’intervallo�π� θ� π):

V �θ� � mg��1� cosθ�

che ha ovviamente un minimo per θ � 0 (dove V � 0) e due massimi per θ � �π (doveV � 2mg�). La posizione di minimo, con la massa in basso, e quindi quella di equilibriostabile. Le posizioni di massimo corrispondono alla situazione in cui la massa si trova invecesopra il punto di sospensione, ove l’equilibrio e instabile.

160 Moto armonico intorno ai punti di equilibrio stabile Nei moltissimi casi in cui lefunzioni energia potenziale ammettono uno sviluppo intorno ai minimi:

V �x�� 12V ���x0��x� x0�

2

56

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CAPITOLO VI. LAVORO DI UNA FORZA

l’energia potenziale e uguale a quella di una molla di costante elastica k �V ���x0� e lunghezzanaturale nulla fissata in x0. Pertanto il moto di una particella nelle vicinanze di un minimo esempre armonico, con pulsazione

(53) ω �

�V ���x0�

m

In pratica, si riconosce che abbiamo un moto armonico quando l’energia potenziale e qua-dratica nella coordinata. Ad esempio, nel caso del pendolo, sviluppando l’energia potenzialeintorno al minimo otteniamo: V �θ� � 1

2mg� θ2, ossia una funzione quadratica. Dato che lacoordinata spaziale e l’arco di cerchio, x � � θ, vediamo che V �x� � 1

2�mg���x2. Utilizzandola (53) troviamo quindi ω �

�g�� da cui ricaviamo il periodo: T � 2π

���g.

161 Energia del pendolo La conservazione dell’energia si esprime come:

12

m�2�

dθdt

�2

�12

mg� θ2 � E

r

V(r

)

Fig. 21

162 Potenziali interatomici nelle molecoleNelle molecole biatomiche la forza che lega i dueatomi e ovviamente nulla nella loro posizione diequilibrio. Si tratta quindi di una forza che attraei due atomi a grandi distanze ma che li respingequando si trovano molto vicini. Dato che le for-ze interatomiche sono conservative esse ammetto-no un’energia potenziale, che ha qualitativamen-te l’andamento mostrato in figura. Il minimo diV corriponde appunto alla situazione di equilibriodella molecola. Per quel che abbiamo detto pri-ma, il moto degli atomi intorno alla posizione diequilibrio e di tipo armonico, e da luogo ai livellidi energia vibrazionali della molecola.

163 Sistemi non inerziali Nei sistemi di riferimento non inerziali il teorema delle for-ze vive e ancora valido purche si tenga conto nel calcolo del lavoro il contributo delle forzeapparenti. Di queste, la forza di Coriolis non compie lavoro, essendo il vettore �ω��v� per-pendicolare alla velocita e quindi allo spostamento. La forza centrifuga e invece una forzaposizionale e conservativa, ammettendo quindi un potenziale detto potenziale centrifugo.

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Capitolo VII

Dinamica dei sistemi di punti

164 La dinamica dei sistemi di punti e formalmente un’estensione di quella del puntomateriale singolo. Il moto di ciascuna particella sara determinato dalla risultante complessivadelle forze che si esercitano su di essa. Queste forze potranno in genere dividersi in duecategorie: quelle esterne, ossia che si originano al di fuori del sistema di punti (ad esempiola forza peso) e quelle interne, dovute alla presenza di tutte le altre particelle. E chiaro che lamaggior complicazione nel risolvere il problema del moto dipende proprio dalle forze interne,dato che esse variano continuamente di intensita e direzione in base non solo in virtu delmoto della particella sotto esame ma anche del mutar della posizione di tutte le altre particelledel sistema. Nonostante l’estrema complessita del problema (sottolineiamo che non esisteuna soluzione analitica del moto nemmeno per un sistema di sole tre particelle!) si possonoricavare tuttavia delle proprieta generali importanti per la dinamica dei sistemi di punti in basea principi primi.

165 Sistemi isolati Consideriamo un sistema isolato di punti materiali, ossia un sistemasul quale non si esercitano forze esterne. Le sole forze presenti sono dovute alle particelle delsistema. Allora, in virtu del Principio di azione e reazione (92) e prendendo tutte le possibilicoppie di particelle, si ricava facilmente che la risultante delle forze interne e nulla:

∑�Finti � 0

e quindi la quantita di moto totale si conserva:

�P � ∑�pi � ∑mi�vi � costante

Si tratta di un risultato assai importante, che vale per qualunque sistema isolato: potrebbetrattarsi del sistema solare, o di una galassia o di una molecola di gas. La sola condizione eche si possano trascurare tutte le influenze esterne.

166 Centro di massa o baricentro Il centro di massa (o baricentro) di un sistema dipunti materiali e individuato dal vettore:

(54) �RCM �∑mi�ri

∑mi

In pratica si tratta di una media pesata con le masse dei raggi vettori dei singoli punti. La deri-vata d�RCM�dt rappresenta la velocita del centro di massa, che chiameremo �VCM. In definitivala quantita di moto totale di un sistema di punti puo esser scritta:

�P � M�VCM

58

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CAPITOLO VII. DINAMICA DEI SISTEMI DI PUNTI

dove abbiamo indicato con M � ∑mi la massa totale del sistema di punti materiali. In assenzadi forze esterne il baricentro si muove quindi di moto rettilineo uniforme.

167 Calcolo del baricentro Per calcolare il baricentro si fa uso della (54) scegliendo nelmodo piu conveniente l’origine delle coordinate. Dovendo calcolare il baricentro di un sistemasi puo:

� dividere il sistema in sottosistemi;

� calcolarsi i baricentri ��i dei vari sottosistemi, di massa�i;

� trattando ogni sottosistema come un punto di massa � i situato in ��i calcolarsi il bari-centro totale.

168 Prima Equazione Cardinale Se sono presenti forze esterne, solo queste determina-no la variazione della quantita di moto totale del sistema. Infatti la risultante delle forze internee sempre nulla, mentre la forza�FTOT e la risultante di tutte le N forze esterne che agiscono sulsistema di punti:

(55)d�Pdt

� ∑�Festi ��FTOT

Abbiamo quindi un’equazione uguale alla legge di Newton per il moto di un singolo puntomateriale, di massa pari alla massa totale del sistema di punti, ∑mi. Questa equazione prendeil nome di Prima Equazione Cardinale della dinamica dei sistemi di punti. Dato che la quantitadi moto totale si puo esprimere anche come M�VCM, la Prima Equazione Cardinale si scriveanche come:

(56) Md�VCM

dt� M

d2�RCM

dt2 ��FTOT

Nel caso i punti siano pesanti la forza esterna che agisce su di essi e la forza peso: �Fexti �

mi�g. Dato che�g e una costante, la risultante della forza peso e semplicemente data da �Ftot ��g∑mi ��gM dove M e la massa totale del sistema di punti.

169 Riferimento del centro di massa Spesso risulta conveniente porsi in un riferimento“solidale” col sistema di particelle che si vuole studiare. Qui per “solidale” intendiamo unriferimento nel quale il nostro sistema di punti sia “in media” fermo e, per dare un significatopreciso a questa frase, intenderemo che in tale riferimento la quantita di moto totale sia nulla.

Il sistema di riferimento che gode di tale proprieta si chiama riferimento del centro dimassa: esso ha origine nel CM stesso, e quindi, per definizione essendo in esso il CM ariposo, la quantita di moto totale del sistema ∑mi�v�

i � ∑�p�i e zero. Applicando le leggi di

trasformazione per le velocita la quantita di moto di un singolo punto puo essere espressacome

�pi � mi�v�i �mi�VCM �

��p�i �

mi

M�PCM

(57)

59

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CAPITOLO VII. DINAMICA DEI SISTEMI DI PUNTI

dove�p�i e la quantita di moto che il punto possiede nel sistema del baricentro. Inoltre terremo

presente per il futuro che in tale riferimento il vettore ∑mi�r�i e identicamente nullo, essendoproporzionale al vettore posizione del CM che nel riferimento del CM si trova nell’origine!

Determinare il moto del CM e abbastanza semplice dato che la Prima equazione cardinalelo riconduce al problema di un punto materiale soggetto a una forza (la risultante delle forzeesterne). Una volta fatto questo, un approccio molto usato consiste nel cercare di risolvereil moto del sistema di punti nel riferimento del CM. Se il CM si muove di moto accelerato,dovremo considerare che oltre alle forze reali (sia interne che esterne) nel suo riferimentosaranno presenti anche le forze apparenti�Fapp

i ��∑mi �ACM (130).

170 Energia cinetica L’energia cinetica di un sistema di punti e una grandezza additivache quindi si ottiene addizionando le energie cinetiche di tutti i punti del sistema. Essa si puoscomporre in due parti distinte usando il teorema di Koenig che qui sotto dimostriamo:

T �12 ∑mi ��vi�

2 �12 ∑mi ��VCM ��v�

i�2 �

�12 ∑mi ���VCM�

2 �2�VCM ��v�i ���v�

i�2� �

�12 ∑mi VCM

2 �12 ∑mi v�i

2�

�12

MVCM2 �

12 ∑mi v�i

2

in quanto la somma ∑mi �v�i � 0 (169). I due termini che compongono l’energia cinetica totale

sono (I) l’energia cinetica del CM pensato come un punto materiale di massa M e velocita’�VCM e (II) l’energia cinetica del movimento interno al sistema del CM.

171 Conservazione dell’energia meccanica Il teorema delle forze vive e’ valido ancheper un sistema. Se le forze sono conservative ne segue il teorema di conservazione dell’energia(cinetica piu potenziale). In tal caso l’energia potenziale e data dalla somma delle energiepotenziali Vi di tutte le particelle del sistema. Osserviamo che l’energia potenziale Vi di unagenerica particella del sistema dipendera in generale dalla posizione di tutte le altre e quinditrovarne l’espressione esplicita non e semplice.

Osserviamo ancora che, pur essendo nulla la risultante delle forze interne, non e nullala risultante delle forze su una singola particella, pertanto durante l’evoluzione del sistema leforze interne in generale compiono lavoro. Il lavoro delle forze interne e zero solo se le distanzereciproche dei punti materiali del sistema non cambiano, cosa che avviene nei cosiddetti corpirigidi.

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Capitolo VIII

Urti fra particelle

stato finalestato iniziale

A

B

Fig. 22

172 Gli urti fra particelle sono molto importanti inFisica: a livello fondamentale reazioni nucleari e reazionichimiche sono schematizzabili come collisioni fra 2 parti-celle: si parla allora di uno stato iniziale a 2 corpi. L’effettodell’urto e quello di fare passare il sistema allo stato finaleche in genere puo differire sensibilmente da quello inizia-le. Il processo di collisione e schematizzato nei diagram-mi mostrati in figura. Ciascuna particella (rappresentata dauna freccia) e caratterizzata dalle sue variabili dinamiche(massa e velocita) prima e dopo l’urto. Il processo d’urtodeve pensarsi limitato nello spazio (i corpi devono esserevicini per influenzarsi o interagire) e nel tempo (l’urto e

istantaneo per l’osservatore esterno).In seguito all’urto si possono verificare quattro diverse situazioni:

1. le stesse 2 particelle riemergono nello stato finale, con velocita ovviamente diverse daquelle dello stato iniziale. Esempi:

� collisione di due palle da biliardo

� collisione di due protoni: p� p p� p

� collisione di un protone con un neutrone: p�n p�n

2. il risultato dell’urto e quello di “frantumare” la particelle creandone di nuove, di modoche nello stato finale possono comparire piu particelle che nello stato iniziale. A livellodi oggetti macroscopici e ovvio cosa la frantumazione significhi. Per una frantumazionemicroscopica si pensi a un urto fra due atomi in seguito al quale uno viene ionizzatoemettendo un elettrone.

3. le particelle nello stato finale sono sempre 2 ma diverse da quelle iniziali. Esempimicroscopici:

� 2H�2 H3 He�n (fusione nucleare)

� NO�O3 NO2 �O2

4. le due particelle si “fondono” e una sola emerge dalla collisione.

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CAPITOLO VIII. URTI FRA PARTICELLE

173 Se il sistema di particelle in collisione e isolato la sua quantita di moto si conserva.In pratica, dato che l’urto ha in genere una durata brevissima, possiamo assumere la conserva-zione della quantita di moto durante la collisione anche in presenza di forze esterne. Riguardoinvece alla conservazione dell’energia meccanica classificheremo gli urti come:

� urti elastici, se l’energia meccanica si conserva;

� urti anelastici, se l’energia meccanica non si conserva. Questo e il caso che si presentapiu di frequente: ad esempio parte dell’energia puo essere convertita in calore e dissi-pata, o puo esser utilizzata per rompere un legame fra atomi. In meccanica relativistical’energia puo anche essere usata per creare la massa di nuove particelle (E � mc2 !), etal caso massa ed energia non si conservano separatamente ma insieme: E � ∑mic2 �cost.

Da quanto detto e chiaro che possono essere elastici solo gli urti in cui le particelle nello statofinale sono le stesse che in quello iniziale. La condizione pero ovviamente non e sufficiente.

Scrivendo l’energia cinetica del sistema utilizzando il teorema di Koenig si ha:

T �12

MVCM2 �

12 ∑mi v�i

2

ma siccome la quantita di moto totale del sistema si conserva e la massa totale rimane immutataallora il primo termine della somma non puo cambiare durante l’urto. Quindi solo il secondotermine,T �, che rappresenta l’energia cinetica interna del sistema, puo cambiare e cio avvieneappunto se l’urto e anelastico.

174 Urti a 2 corpi Ci limitiamo da ora a studiare gli urti nei quali abbiamo due corpinello stato finale. In tal caso per descrivere il moto di entrambi nel CM basta utilizzare ilvettore velocita relativa:

�u ��v�1��v�

2

Notiamo che, essendo�u differenza di due vettori, possiamo calcolarlo nel sistema di rife-rimento che piu ci fa comodo. In effetti, cambiare sistema di riferimento aggiungerebbe alledue velocita la velocita di trascinamento (47), che scompare nella differenza.

Dato che nel CM m1�v�1 �m2�v�

2 � 0 possiamo esprimere le due velocita in termini dellasola�u:

�v�1 �

m2

m1 �m2�u �v�

2 ��m1

m1 �m2�u

e quindi l’energia cinetica interna prende la forma semplice:

T � �12

m1m2

m1 �m2u2 �

12

µu2

dove abbiamo indicato con µ la cosiddetta massa ridotta del sistema: m1m2��m1�m2�. L’urtoelastico si ha quindi se e solo se l’energia interna dello stato finale T �

f e uguale a quella nellostato iniziale T �

i . Perche cio avvenga occorre che le masse e il modulo della velocita relativanon cambino nella collisione.

Se invece uf �� ui l’urto sara anelastico. Se u f � 0 abbiamo la massima dissipazione dienergia meccanica: nello stato finale le due particelle hanno velocita relativa nulla, “fondendo-si” in una sola di massa m � m1 �m2. Questa unica particella viaggera allora nel laboratoriocon la velocita �VCM dal momento che in essa si trova il CM del sistema.

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CAPITOLO VIII. URTI FRA PARTICELLE

175 Urti anelastici Abbiamo visto che in un urto anelastico la non conservazione dell’e-nergia si traduce nel fatto che la velocita relativa delle due particelle cambia in modulo. Si usaintrodurre il coefficiente di restituzione ε definito come:

(58) �u f ��ε�ui

Se �ε� � 1 abbiamo a che fare con un urto elastico. Altrimenti la perdita di energia cineticanell’urto si scrive come:

∆T � T �i �T �

f �12

m1m2

m1 �m2�1� ε2�u2 �

12

µ �1� ε2�u2

176 Urti elastici Gli urti elastici sono caratterizzati dal fatto che nel sistema del CM�u silimita a mutare direzione o verso. Una volta nota�u f si possono trovare le velocita finali delleparticelle sia nel CM che nel laboratorio. Un caso particolarmente semplice e quello degli urticosiddetti collineari, in cui nel laboratorio la particella 2 e ferma e dopo l’urto sia 1 che 2muoversi nella direzione che aveva 1 prima dell’urto. In tal caso�u non cambia direzione masolo verso, quindi�u f ���ui.

Un altro caso semplice si ha se le 2 particelle in collisione hanno uguale massa e 2 e ini-zialmente ferma: allora nel sistema del laboratorio le equazioni di conservazione della quantitadi moto e dell’energia si scrivono:

�vi1 ��v f

1 ��vf2

�vi1�

2 � �v f1�

2 ��v f2�

2

2fv

v

v1

1

f

i

θ=π/2

Fig. 23

L’uguaglianza dei vettori si rappresenta graficamen-te come un triangolo (vedi figura), e la conservazio-ne dell’energia mostra che il triangolo dev’essere ret-tangolo. Quindi le direzioni delle particelle 1 e 2 do-po la collisione formano fra loro un angolo retto. Siosserva sperimentalmente questo fenomeno, ad esem-pio, quando un neutrone in movimento urta un protonefermo.

In questo caso, se chiamiamo α l’angolo di cui edeviata la particella 1, vediamo dalla figura facilmenteche le velocita delle due particelle dopo l’urto e datain modulo da:

v f1 � vi

1 cosα

v f2 � vi

1 sinα

Si deve notare che la particella incidente dopo l’urto ha la sua energia cinetica diminuitanel sistema del laboratorio. Un neutrone quindi che traversa la materia si trova a perderecontinuamente energia cinetica e rallenta: si dice anche che si modera.

177 Urti di fotoni I fotoni sono i quanti di luce. Come le particelle trasportano energia equantita di moto ma non hanno massa. Per il fatto di non avere massa viaggiano alla velocitadella luce in qualunque sistema di riferimento. Come le particelle possono fare urti elastici eanelastici.

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CAPITOLO VIII. URTI FRA PARTICELLE

La relazione fra quantita di moto ed energia e diversa di quella fra particelle “normali”, checome sappiamo e E � p2�2m. Per il fotone invece

(59) Eγ � pγc

Inoltre l’energia e legata alla frequenza della luce ν tramite la Costante di Planck (h� 6�626 10�34

Js):

(60) Eγ � hν

Consideriamo come esempio un fotone che viene assorbito totalmente da una particella dimassa M inizialmente a riposo. Dopo l’urto avremo:

(61) P � pγ �Eγ

c

L’energia cinetica della particella e data quindi da:

(62) EM �P2

2M�

P2c2

2Mc2 �E2

γ

2Mc2

Se l’energia del fotone e Mc2 una parte trascurabile di tale energia serve a mettere inmoto la particella. Dato che MV � Eγ�c Mc2 ne viene che V c ossia la particella puoessere trattata con la meccanica classica non relativistica.

Quasi tutta l’energia del fotone e quindi dissipato internamente alla stessa particella. Se eun atomo o una molecola ad esempio verranno eccitati i livelli atomici o molecolari.

178 Effetto Compton L’Effetto Compton consiste in un urto elastico di un fotone controun elettrone. Se l’elettrone e inizialmente fermo acquista energia cinetica a spese del fotone.Dato che l’energia del fotone e proporzionale alla sua frequenza, dopo la collisione il fotone,oltre a trovarsi deviato rispetto alla direzione iniziale, ha una frequenza piu bassa.

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Capitolo IX

Momento angolare

179 Dato un punto materiale, si definisce momento angolare o momento della quantit adi moto rispetto al polo O il vettore:

��� ��r��RO���p

Il vettore�RO specifica il polo O. Il polo puo essere fisso o mobile. Per il momento consideriamosolo il caso del polo fisso e scegliamolo come origine. In tal caso:

(63) ����r��p

Possiamo calcolarci la legge di variazione del momento angolare derivando ambo i membridella (63) e usando la legge di Newton:

d��dt

�d�rdt��p��r�d�p

dt��v��p��r��F

Il pezzo d�v��p e zero dato che sono due vettori paralleli. Rimane a secondo membrodell’equazione la quantita �K ��r��F, detta momento della forza, per cui:

d��dt

��r��F(64)

Se il momento della forza e nullo il momento angolare si conserva.

180 Forze centrali Un caso notevole e quello delle forze centrali, in cui la forza e direttalungo il raggio vettore. Allora il momento della forza e identicamente nullo dato che il prodottovettoriale di�r e di �F che sono paralleli e zero. Per tutte queste forze il momento angolare econservato.

181 Moto circolare uniforme Come primo esempio prendiamo una particella che simuove di moto circolare uniforme su un cerchio di raggio R e calcoliamo il momento angolareusando come polo il centro del cerchio. �� e diretto normale al piano del cerchio, orienta-to come il vettore velocita angolare, e di modulo mRv � mR2ω. Pertanto possiamo scriverevettorialmente:

��� mR2 �ω

In questo caso il momento angolare e costante come ci aspettavamo essendo la forza centrale.

65

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CAPITOLO IX. MOMENTO ANGOLARE

b

bO

mv

a)

mv

b

O

bb)

Fig. 24

182 Orbite planetarie Nelle orbite planetarie, che come sappiamo sono delle ellissi,la conservazione del momento angolare si traduce nel fatto che l’area spazzata dal raggiovettore e costante. Questo spiega come mai al Solstizio d’inverno, quando la Terra e allaminima distanza dal Sole (perielio), la sua velocita lungo l’orbita e massima, mentre e minimaal Solstizio d’estate, quando la distanza e massima (afelio). La conservazione del momentoangolare corrisponde quindi alla II Legge di Keplero.

183 Urto Come secondo esempio consideriamo una particella che viaggia parallelamenteall’asse x a grande distanza dall’ origine delle coordinate, in cui si trova il centro di forza. Nellafig. 24 abbiamo presentato due casi: in a) la forza e repulsiva come potrebbe avvenire nellacollisione fra due protoni (cariche uguali si respingono): in b) la forza e invece attrattiva comepotrebbe avvenire per una cometa che si avvicina al Sole.

In entrambi i casi a grande distanza la particella ha velocita v e la sua traiettoria e una rettache passa a una certa distanza b dal centro. Il momento angolare e quindi dato da:

(65) �� mvb � pb

La particella viene deflessa dal campo di forza e la sua velocita varia. In a) la velocitadiminuisce, essendo la forza repulsiva, quindi per conservare il momento angolare la particelladeve allontanarsi “lateralmente” da O fino a che non ha raggiunto il punto d’inversione. Dopoaver superato il punto d’inversione la velocita cresce di nuovo e traiettoria di uscita, pur adun angolo diverso da quella iniziale, dista ancora b da O. Nel punto d’inversione il momentoangolare si scrive come: mR0v0: abbiamo quindi una relazione che lega R0 e v0. Dato che unaseconda relazione si ottiene dalla conservazione dell’energia e possibile determinare entrambele grandezze senza risolvere le equazioni del moto.

In b) la velocita aumenta e quindi la particella tende ad avvicinarsi “lateralmente” a O permantenere � costante, ma a parte i dettagli il fenomeno e esattamente lo stesso che abbiamovisto nel caso di forza repulsiva.

184 Meccanica quantistica Il momento angolare ha grande importanza in meccanicaquantistica. La ragione e che si tratta di una grandezza “quantizzata”, ossia multipla interadella costante di Planck divisa per 2π:

(66) �� nh

2π�n intero�

66

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CAPITOLO IX. MOMENTO ANGOLARE

Il “quanto” di momento angolare (“acca tagliato”) vale:

(67) h �h

2π� 1�055 10�34Js

Per avere un’idea della sua piccolezza calcoliamo il momento angolare di una massa di 1 µgche si muove con velocita 1 m/s su un cerchio di raggio 1 µm: �� 10�15 Js. Questo equivalea n� 1019! Solo per i sistemi atomici il numero di quanti e basso. Nella meccanica classica ilnumero di quanti e talmente elevato che si puo trattare il momento angolare come una variabile“continua”, ossia una variabile che puo assumere qualsiasi valore.

185 Sistemi di particelle Il momento angolare e una grandezza additiva: per un sistemadi particelle esso e la somma di tutti i momenti angolari di esse:

(68) �L � ∑�ri��pi

186 Seconda Equazione Cardinale Derivando�L rispetto al tempo otteniamo la cosid-detta seconda Equazione Cardinale:

(69)d�Ldt

� ∑�r�i��Fi � �KTOT

Al momento risultante �KTOT �∑�r�i��Fi contribuiscono tutte le forze che agiscono sui punti,tuttavia in virtu del principio di azione e reazione il momento totale delle forze interne e iden-ticamente nullo, pertanto le forze interne non contribuiscono alla variazione di �L nel tempo.

Terra

Sole

Fig. 25

187 Scomposizione del momento angolare Consideria-mo il moto della Terra intorno al Sole. Se trattiamo la Ter-ra come un punto materiale il cui raggio vettore e quello delbaricentro della Terra, il suo momento angolare sara dato da:

�LO ��RCM��PCM

In questo modo abbiamo del tutto trascurato il fatto che la Terradeve avere un momento angolare supplementare per il fatto cheruota su se stessa. Il modo corretto di procedere e di riscrivere la(68) esprimendo le quantita di moto�pi e i raggi vettori�ri tramitei loro valori nel riferimento del CM (169):

�ri ��r�i ��RCM

�pi ��p�i �

mi

M�PCM

Sviluppando il prodotto vettoriale otteniamo

(70) �L � ∑�r�i��p�i ��RCM��PCM ��LCM ��RCM��PCM

Per ottenere questa equazione abbiamo usato il fatto che nel riferimento del CM

∑�r�i � 0 ∑�p�i � 0

67

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CAPITOLO IX. MOMENTO ANGOLARE

L’equazione (70) ha un chiaro significato fisico: il momento angolare e costituito dalla sommadi un componente orbitale (il termine �RCM ��PCM) e di un componente interno o intrinsecoche rappresenta il momento angolare dovuto al moto del sistema nel suo CM. Nel caso dellaTerra la prima parte da il contributo del moto di rivoluzione intorno al Sole (per questo sichiama orbitale) e il secondo contiene l’effetto della rotazione diurna della Terra. Nel caso diun elettrone in orbita dentro un atomo �LCM corrisponde allo spin,�S.

188 Derivando l’equazione 70) rispetto al tempo la II Equazione Cardinale si spezza indue parti distinte:

d��RCM��PCM�

dt��RCM��FTOT

d�LCM

dt� ∑�r�i��Fi � �K�

TOT

(71)

Come si vede la variazione del momento angolare orbitale e quella che si avrebbe per un puntomateriale soggetto al momento della sola risultante di tutte le forze (e quindi per definizione ditutte le forze esterne in virtu del principio di azione e reazione (92)).

Per quanto riguarda il momento angolare intrinseco, bisogna considerare il momento delleforze calcolato nel CM, �K�

TOT � ∑�r�i��Fi.

189 Forze apparenti Nel caso che il CM compia un moto accelerato il sistema di riferimentonon e inerziale. Ci si puo quindi domandare se nel calcolo del momento delle forze rispetto al CMoccorra includere anche le forze apparenti�Fapp

i ��∑mi �ACM (130). La risposta e che non e necessario:infatti il momento delle forze apparenti rispetto al CM e identicamente nullo, come si puo facilmentedimostrare (vedi sotto l’analogo caso della forza peso).

190 Campo della forza peso Se un sistema di corpi si trova nel campo della forza peso,in cui le forze sono proporzionali alle masse dei singoli corpi e hanno tutte la stessa direzionee verso, allora queste forze hanno sempre momento nullo rispetto al CM. In effetti

�K�TOT � ∑�r�i��Fi

� ∑�r�i�mi�g

� �∑mi�r�i���g � 0

(72)

L’ultimo passaggio segue da quanto e stato detto in (169). Ne deriva ad esempio che per uncorpo pesante che cade�LCM rimane costante.

191 Scelta del polo Facciamo notare che nel caso generale il valore dei momenti dipendedalla scelta del polo. E quindi opportuno scegliere il polo in maniera da rendere piu semplicela soluzione del problema.

192 Sistemi di forze a risultante nulla Se un sistema di forze ha risultante nulla allorail momento totale di dette forze e indipendente dalla scelta del polo. Infatti:

�KO � ∑��ri��RO���Fi � ∑��ri��RQ ��RQ��RO���Fi �

� ∑��ri��RQ���Fi ���RQ��RO��∑�Fi� �� ��0 in quanto ∑�Fi�0

� �KQ

68

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CAPITOLO IX. MOMENTO ANGOLARE

Questo teorema e specialmente importante quando si studiano casi di equilibrio, dato che inessi la risultante delle forze dev’essere comunque nulla. Permette quindi di scegliersi il poloche si ritiene piu comodo per i calcoli.

69

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Capitolo X

Dinamica dei corpi rigidi

193 Si chiamano corpi rigidi degli insiemi di punti materiali le cui distanze relative sonoinvariabili nel tempo. La posizione e l’orientamento di un corpo rigido sono completamantedescritte da 6 variabili: ad esempio, le 3 coordinate del CM e tre angoli che specificano l’o-rientamento del corpo nello spazio. Se il corpo rigido e costituito da punti materiali allineati(esempio: una sbarra sottile, una molecola biatomica) allora bastano 5 variabili in tutto.

Lo studio del moto di un corpo rigido pertanto puo affrontarsi studiando successivamente(I) il moto del CM e (II) la rotazione del corpo medesimo rispetto al CM stesso.

194 Equazioni del moto Sono la Prima (168) e la Seconda Equazione Cardinale (186).Eventualmente potrebbe essere conveniente esprimere quest’ultima nella forma (188), comeper esempio quando si studia il rotolamento della ruota (vedi oltre).

Trattandosi di due equazioni vettoriali esse equivalgono a sei equazioni scalari, quindisufficienti a determinare il moto del corpo rigido che, come abbiamo visto, ha solo sei gradi diliberta.

Ne consegue che il moto di un corpo rigido e determinato univocamente se si conosce larisultante delle forze esterne e il momento risultante delle forze esterne. Il moto del corpo noncambiera se sostituiremo il sistema di forze con uno equipollente, che ha cioe la medesima ri-sultante e il medesimo momento risultante. In particolare potra essere utile sostituire il sistemadi forze con una forza e con una coppia appropriate (ossia la forza deve avere intensita parialla risultante e la coppia momento pari al momento risultante).

195 Moto rotatorio di un corpo rigido Se il corpo e rigido esso nel CM ha un puro motorotatorio: �v�

i ��ω��r�i. L’asse di rotazione e diretto come la velocita angolare �ω e passa per ilCM. Notiamo che in un corpo rigido il moto appare rotatorio da qualunque punto del corpo,con un asse passante per detto punto e parallelo a �ω. Infatti �v�

i��v�j � �ω� ��r�i��r� j�. Si dice

quindi che in un corpo rigido vi sono infiniti assi di rotazione tutti paralleli fra loro.

196 Momento d’inerzia L’energia cinetica di rotazione si scrive in termini della velocitaangolare �ω. In effetti v�i � ω ρi essendo ρi la distanza dall’asse di rotazione O dell’i-esimopunto. Quindi

12 ∑mi ��v�

i�2 �

12

ω2 ∑mi ρi2 �

12

ω2 I(73)

La grandezza I � ∑mi ρi2 si chiama momento d’inerzia del corpo rigido rispetto all’asse di

rotazione. Essa dipende dalla massa e dalla forma del corpo, nonche dalla scelta dell’asse.

70

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

Il momento d’inerzia e additivo: ossia se si suddivide il corpo in molte parti, il momentototale e la somma dei momenti delle varie parti.

�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������

�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������

ρi’

��

����

O’

miiρ

D

O

Fig. 26

197 Teorema di Huygens-Steiner I momenti d’iner-zia I� I� rispetto a due assi paralleli tra loro, dei quali ilprimo e un asse passante per il CM ovvero centrale, sonolegati dalla relazione:

I� � I �MD2(74)

dove D e la distanza fra gli assi ed M la massa del corpo.

198 Relazione fra momento angolare e velocita angolare Come detto sopra (195), ilmoto di un corpo rigido nel sistema del CM e un moto di rotazione con una velocita angolare�ω�t�. L’asse di rotazione, che e diretto lungo �ω, in generale cambia nel tempo. Il problema sisemplifica notevolmente se l’asse di rotazione e fisso. In tal caso possiamo calcolare facilmenteil momento angolare prendendo come polo un punto qualunque dell’asse. Per fissare le ideeprendiamo un sistema di coordinate con l’asse z lungo l’asse di rotazione, immaginiamo ilcorpo scomposto in particelle di massa mi, e consideriamo la componente Lz del momentoangolare.

Dato che i punti ruotano attorno all’asse la loro velocita �vi � �ω��ri giace in un pianonormale all’asse e vale in modulo vi � ω ρi (ρi e la distanza dall’asse), per cui

Lz�i � mi ρi2 ω(75)

Si vede che l’espressione ottenuta non contiene nessuna coordinata z. Questo significa chesi otterrebbe lo stesso valore del momento angolare scegliendo un altro qualsiasi polo purchesituato sull’asse di rotazione. Sommando su tutti i punti:

Lz � ∑mi ρi2 ω � I ω(76)

dove I e il momento d’inerzia rispetto all’asse di rotazione che abbiamo gia definito parlan-do dell’energia cinetica (196). Questa equazione e molto importante e definisce il momentoassiale della quantita di moto o momento angolare assiale.

199 Assi e momenti principali d’inerzia Si deve tener ben presente che il momento angolareassiale e solo una delle 3 componenti di�L e che in generale non sussiste la proporzionalita fra i vettori�L e �ω (ossia in questo caso, pur essendo ωx � ωy � 0, si puo avere Lx �� 0�Ly �� 0). La proporzionalitasi ha solo nel caso di un corpo rigido a forma di sfera, mentre per un solido qualunque la relazione frala velocita angolare e il momento angolare e in genere complicata e variabile nel tempo.

Si dimostra tuttavia che per un generico corpo rigido, e dato un qualunque punto P, esistono semprealmeno tre assi del corpo (passanti per P) lungo i quali�ω e�L sono paralleli e proporzionali:�L� I j�ω� j�1�2�3 I coefficienti Ij sono i momenti d’inerzia rispetto a tali assi. Tali assi si chiamano assi principalid’inerzia e, se passanti per il CM, si dicono centrali.

200 Momenti d’inerzia delle molecole Si usa spesso considerare le molecole come corpirigidi. Si tratta di un’approssimazione dato che la distanza interatomica nella realta non ecostante a causa delle oscillazioni molecolari.

71

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

Ogni molecola e quindi caratterizzata dal suo momento d’inerzia. Se la molecola ha unasimmetria gli assi principali d’inerzia hanno la stessa simmetria. Ad esempio, se la molecolaha un piano di simmetria il baricentro della molecola si trovera sul piano stesso. Allora dueassi principali si trovano sul piano e il terzo e perpendicolare al piano.

Un caso particolare e quello della molecola lineare. Per questa il momento d’inerzia I3

rispetto all’asse della molecola e zero. Gli altri due momenti d’inerzia sono uguali e valgono

(77) I1 � I2 � I � ∑i

miz2i

201 Livelli di energia di rotazione Consideriamo una molecola, che ruota attorno ad unasse principale. Allora L � I ω. Sostituendo nella (73) abbiamo

(78) E �12

ω2 I �L2

2 I

La quantizzazione del momento angolare (184) impone che sia L � nh, per cui abbiamo

(79) En �n2h2

2I

Questa e la formula per i livelli rotazionali delle molecole 1. Sostituendo i numeri e pa-ragonando i livelli energetici rotazionali con i livelli atomici si vede che i valori sono moltiordini di grandezza inferiori. Questo corrisponde al fatto che gli spettri rotazionali sono situatinell’infrarosso.

202 Momento della forza peso Il momento della forza peso che agisce su un corpo(rigido o meno) si calcola come:

�KO � ∑��ri��RO���Fi

� ∑��ri��RO��mi�g

� �∑mi�ri�M�RO���g� ��RCM��RO��M�g

(80)

In pratica quindi il calcolo si effettua come se avessimo un punto materiale di massa pari allamassa totale del corpo, localizzato nel baricentro (vedi figura 27).

R CM

R O-

MgO

CM

Fig. 27

Risulta dall’eq. (80) che se il punto O e situato sulla vertica-le del baricentro, il momento della forza peso si annulla. Sesospendiamo quindi un corpo rigido per un punto, lasciandololibero di ruotare, esso si portera nella posizione di equilibrio edil baricentro si trovera sulla verticale condotta sotto il punto disospensione. Se ora sospendiamo il corpo per un secondo puntoO� e lo lasciamo equilibrare, il baricentro si trovera sulla verti-cale di O�. Dovendosi il baricentro trovare lungo le due rette,necessariamente sara situato nell’intersezione delle due. Questoe un metodo per determinare sperimentalmente la posizione delbaricentro di un corpo rigido qualunque.

1In realta la formula quantistica esatta prevede n�n�1� al posto di n 2, ma la differenza e piccola.

72

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

203 Rotazione attorno a un asse fisso Quando abbia-mo un corpo girevole attorno a un asse fisso (o anche solo di direzione fissa) basta la solacomponente lungo tale asse della II Equazione Cardinale. Si scegliera il polo O sull’as-se di rotazione (che chiameremo z). Il momento angolare assiale e definito dall’eq. (76).Quanto alla componente z del momento risultante delle forze (momento assiale) questa vale:Kz � ∑i�xiFiy� yiFix�. Siccome nella somma non compaiono le coordinate zi�Zo il risultatonon dipende dalla coordinata Zo del polo e quindi il polo puo essere dovunque sull’asse.

����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������

����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������

O

CM

Mg

θ d

Fig. 28

204 Pendolo fisico Il cosiddetto pendolo fisico e un classico esem-pio di corpo rigido pesante di forma qualunque che e incernierato e liberodi ruotare attorno a un asse (vedi fig. 28). Il pendolo e soggetto alla forzapeso e alla reazione vincolare dell’asse.

Nel calcolare il momento delle forze rispetto all’asse, solo la forzapeso contribuisce in quanto il momento della reazione vincolare e nullo.Utilizziamo la (202) chiamando d � ��RCM��RO� la distanza del CM dal-l’asse di rotazione O (rivolto verso chi guarda la figura e assunto paralleloall’asse z). Il momento della forza peso rispetto a O ha per componente z:

KO ��Mgd sinθ

Utilizzando allora la II Equazione Cardinale abbiamo l’equazione delpendolo fisico:

Idωdt

� Id2θdt2 ��Mgd sinθ o, per angoli piccoli I

d2θdt2 ��Mgdθ

da cui segue un moto armonico con periodo T � 2π�

I�Mgd.

205 Teorema delle forze vive per un corpo che ruota Consideriamo un corpo che ruotaattorno all’asse z soggetto a un momento K � Idω�dt. In un tempo dt il corpo ruota di unangolo dθ � ω dt. Calcoliamo il prodotto infinitesimo K dθ:

(81) Kdθ � Idωdt

dθ � Idωdt

dω dt �12

Id�ω2�

Integrando fra θi e θ f abbiamo:

(82)� θ f

θi

Kdθ �12

Iω2f �

12

Iω2i

Il termine a secondo membro non e altro che la variazione di energia cinetica del corpo in ro-tazione. L’integrale a primo membro si identifica quindi con il lavoro totale fatto dal momentodelle forze. Ne segue anche che K dθ rappresenta il lavoro infinitesimo necessario per ruotareil corpo dell’angolo dθ.

206 Moto della ruota su un piano orizzontale Il rotolamento della ruota su una super-ficie piana e un caso molto importante del moto di un corpo rigido. Tale moto e possibile invirtu della reazione di attrito statico fra la ruota e il piano.

73

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

A

A’

A’’

O

Fig. 29

Non e intuitivo che l’attrito in gioco sia quello staticoe non quello dinamico visto che la ruota si muove ri-spetto al piano. Per rendersene conto approssimiamola ruota con un poligono regolare come in figura 29:come si vede, il contatto fra ruota e piano si realizzanel punto A che e fermo a causa della reazione di at-trito statico. La ruota esegue un puro movimento dirotazione attorno ad A (frecce) fino a che il punto A�

entra in contatto col suolo mentre A si solleva ecc. Seil coefficiente di attrito ruota-piano fosse insufficiente

si avrebbe invece uno slittamento della ruota.

207 Momento angolare Utilizziamo l’equazione (70) per scomporre il momento ango-lare della ruota che rotola su un piano in una parte �RCM ��PCM e in una parte intrinseca dirotazione attorno a un asse passante per il CM. La scomposizione della II Equazione Cardi-nale ci permette di trattare separatamente le due parti. La prima delle due equazioni (71) inquesto caso non dice niente di piu della I Equazione Cardinale, per cui non ne faremo uso. Ineffetti ��RCM��PCM�� R PCM dove R e costante essendo il raggio della ruota, per cui il momentoangolare orbitale e semplicemente proporzionale alla quantita di moto della ruota. Per la IIEquazione abbiamo bisogno di calcolare il momento delle forze rispetto all’asse di rotazione,cosa che faremo in un caso particolare.

208 Ruota trainata da una forza Schematizziamo la ruota come un cilindro omogeneodi massa M e raggio R posto su un piano orizzontale (vedi fig. 30) e con l’asse lungo z. Essendoil cilindro omogeneo, possiamo considerare solo la sua proiezione sul piano x�y contenente ilCM, dato che le risultanti delle forze sono contenute in detto piano. Oltre alla forza �Fest �

O

C

F

F

est

a

y

x

R

Fig. 30

F�eX , applicata nel CM (O), sulla ruota agisce la reazione vincolare di attrito statico,�Fa, che eapplicata nel punto C di contatto col piano e che impedisce alla ruota di strisciare.

L’accelerazione del CM della ruota si ottiene dalla I Equazione Cardinale:

�ACM ��Fest ��Fa

MACM �

F�Fa

M(83)

La velocita angolare della ruota sara diretta come �z (la ruota avanza verso destra). Invirtu del fatto che non vi e strisciamento si ha ω �VCM�R. Infatti in un tempo dt la ruota giradi un angolo dα � ω dt e avanza di uno spazio R dα �VCM dt. Utilizzando questa relazione e

74

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

l’eq. (83) possiamo scrivere:

d ωdt

�1R

d VCM

dt�

ACM

R�

F�Fa

MR(84)

Poiche il cilindro ruota attorno al suo asse che e un asse principale d’inerzia il suo mo-mento angolare e parallelo alla velocita angolare: �L � I �ω:

L ��IO ωdLdt

��IOd ωdt

��IOACM

R��R

2�F�Fa�

(85)

dove abbiamo usato il fatto che il momento d’inerzia IO per un cilindro omogeneo di massa Me raggio R vale 1�2 MR2.

A questo punto non abbiamo ancora utilizzato la II Equazione Cardinale. Questa equazioneimpone che dL�dt sia uguale al momento delle forze rispetto all’asse, e quindi costituisceuna seconda condizione che dev’essere rispettata insieme all’ eq. (85). Al momento delleforze rispetto all’asse contribuisce solo la reazione di attrito (infatti la forza esterna, essendoapplicata nel CM, ha momento nullo). Il momento della forza d’attrito e �RFa e otteniamoquindi:

dLdt

��R Fa e pertanto, usando la (85)�F�Fa�

2� Fa

da cui ricaviamo per la reazione di attrito Fa � F�3 e in definitiva:

ACM �23

FM

(86)

Dalle equazioni otteniamo anche che ACM � 2Fa�M e, tenendo conto che Fa � µsMg, vediamoche l’accelerazione (o la decelerazione, in caso di frenata) di una ruota piena trainata da unaforza non puo mai superare 2µsg.

209 Asse istantaneo di rotazione L’asse che corrisponde alla zona di contatto fra il cilindro eil piano si chiama asse istantaneo di rotazione. Il nome discende dal fatto che rispetto a tale asse il motodel cilindro si riduce a una pura rotazione. E quindi come se tale asse fosse istantaneamente fermo. Ilmoto puo essere risolto anche usando come polo un punto su tale asse (C, vedi fig. 30). Il momentodella forza di attrito in questo caso e nullo, e cosı pure quello della forza peso, mentre il momento dellaforza esterna vale �RF. Pertanto la II Equazione Cardinale da:

dLdt

��ICACM

R��RF

Utilizzando il Teorema di Huygens-Steiner (197) IC � IO �MR2 �3 �2 MR2 e quindi ritroviamo ilrisultato (86).

210 Energia della ruota Un’ulteriore possibilita e quella di studiare il moto della ruotausando il teorema delle forze vive (142). La reazione di attrito statico non fa lavoro, per-tanto la sola forza che fa lavoro e quella esterna. Il lavoro fatto per uno spostamento ds delCM vale quindi Fds ed esso e uguale alla variazione di energia cinetica. Per quanto riguar-da quest’ultima, utilizzando il teorema di Koenig e tenendo conto che VCM � ωR possiamoscrivere:

T �12VCM

2 �12

IO�VCM

R�2 �

34

MVCM2

75

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

Si vede chiaramente come l’energia cinetica della ruota sia superiore a quella di un puntomateriale di uguale massa e velocita. Nel nostro caso l’incremento di energia cinetica causatodalla rotazione e pari al 50 %. Utilizzando il Teorema delle forze vive:

d�34

MVCM2� � Fds

Dividendo entrambi i membri per dt (ds�dt � v e d�v2� � 2vdv) troviamo:

ACM �23

FM

ossia il risultato (86).

211 Carrucole di massa �� 0 Finora abbiamo sempre parlato di carrucole di massa nulla.In tal caso abbiamo visto che la carrucola, anche se in moto, si limita a variare la direzionedella forza diretta lungo il filo, senza che la tensione del filo cambi.

Se la massa della carrucola non puo essere trascurata questo non e piu vero. Infatti lacarrucola che ruota deve avere un momento angolare Iω �� 0. Se questo cambia nel tempoallora necessariamente deve esistere una coppia di momento non nullo rispetto all’asse dellacarrucola. Ma questa coppia e data dalla differenza delle tensioni della corda sui due latidella carrucola, moltiplicata per il suo raggio. Ne segue quindi che le tensioni della corda,in “entrata” e in “uscita” dalla carrucola, non saranno le stesse se la carrucola sta cambiandovelocita angolare, ma avremo:

Idωdt

� R�T1�T2�

Detto in maniera non molto precisa ma che rende bene l’idea, un poco della tensione dellacorda e spesa per fare accelerare la carrucola.

Possiamo applicare questa equazione al paranco (105) schematizzando la carrucola comeun cilindro di raggio R e massa m, al quale e applicato il peso M:

Idωdt

� �T2�T1�R mR2

dωdt

� T2�T1

Ora, R ω e pari alla velocita del centro della carrucola, dY�dt, per la condizione di nonstrisciamento, per cui si puo scrivere:

m2

d2Ydt2 � T2�T1(87)

La risultante delle forze applicate alla carrucola (l’asse y e preso lungo la verticale versol’alto) sara T1 �T2� �M�m�g. Tenendo conto che T2 � F avremo:

�M�m�d2Ydt2 � T1 �F� �M�m�g(88)

e sommando membro a membro la (87) e la (88) otteniamo che l’accelerazione della carrucolavale:

Ay �2F� �M�m�g

M� 32m

(89)

Notiamo che m �� 0 non cambia la condizione di equilibrio, ossia in tal caso la forza e sempreuguale al peso totale.

76

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CAPITOLO X. DINAMICA DEI CORPI RIGIDI

212 Paranco e teorema delle forze vive Semplici considerazioni energetiche (se non cisono attriti) possono aiutarci nella comprensione del paranco. Ad esempio possiamo dimostra-re facilmente la relazione ∆Y � ∆y�2 (105).

Partiamo dalla relazione di equilibrio F � 2Mg e (variando di pochissimo F) spostiamo di∆y l’estremo a� della corda cui e applicata la forza (vedi fig.15). Il lavoro fatto dalla forza saraF∆y � 2Mg∆y. Ma se lo spostamento e eseguito a velocita costante o molto lentamente non cisara variazione apprezzabile dell’energia cinetica e quindi questo lavoro dovra essere uguale eopposto a quello della forza peso, �Mg∆Y . Ne segue quindi che ∆Y � ∆y�2.

Il teorema delle forze vive ci permette anche di ottenere facilmente l’accelerazione delparanco. Infatti il lavoro infinitesimo totale e dato da �2F � �M �m�g�dY mentre l’energiacinetica si scrive:

T �12�M�m�V 2

Y �12

Iω2

�12�M�m�V 2

Y �14

mR2ω2

�12�M�

32

m�V 2Y

(90)

Abbiamo quindi:

dT � �M�32

m�VY dVY � �2F� �M�m�g�dY

e dividendo per dt e semplificando otteniamo nuovamente l’eq. (89).

213 Statica La statica studia le condizioni necessarie per l’equilibrio dei corpi rigidi.Condizioni necessarie e sufficienti per l’equilibio di un corpo rigido sono:

1. che la forza risultante che agisce sul corpo sia nulla;

2. che il momento delle forze sia nullo rispetto a un qualsiasi polo.

Il motivo per cui nella 2. la scelta del polo puo essere del tutto arbitraria discende dal fattoche, per la 1., le forze devono avere risultante nulla. Ma allora, in virtu della (192), il momentodelle forze non dipende dalla scelta del polo. Naturalmente occorre includere nel calcolo dellerisultanti anche tutte le reazioni vincolari.

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Capitolo XI

Dinamica dei fluidi

214 Si chiamano fluidi le sostanze che non hanno forma propria. La forma di un fluidoe in genere quella del recipiente che lo contiene 1. Quei fluidi che hanno volume proprio sichiamano liquidi, gli altri sono i gas.

Lo studio della dinamica dei fluidi non puo esser fatto con i normali metodi della mecca-nica, dato l’elevatissimo numero di particelle in gioco. Infatti, anche se potessimo risolvere leequazioni del moto, saremmo di fronte all’impossibilita di specificare le velocita e le posizioniiniziali di � 1023 molecole o atomi. D’altronde l’esperienza ci mostra che nello studio deifluidi non ci servirebbe a niente conoscere l’evoluzione delle singole molecole, serve piuttostoquella di porzioni di fluido estese su dimensioni macroscopiche. Si cerca quindi di determi-nare il moto di queste porzioni di fluido applicando ad esse le equazioni della meccanica. Ilproblema principale e tener conto di tutte le forze che le varie parti di fluido esercitano fra diloro. Un altro problema sta nel fatto che il volume di fluido in genere non conserva la suaforma durante il moto e a volte nemmeno la sua massa.

215 Densita Dato un volumetto di fluido dV la sua massa si esprime come dm � ρdV ,e la grandezza ρ � dm�dV viene chiamata densita del fluido. Essa in generale cambia daun punto all’altro all’interno del fluido. Se e costante il fluido si dice incompressibile, unaproprieta che e approssimativamente vera per i liquidi.

216 Velocita Se il volumetto dV di fluido e abbastanza piccolo (pur avendo dimensionimacroscopiche) potremo agevolmente parlare della sua velocita. La misura della velocita diun liquido si fa sperimentalmente mescolando ad esso delle polveri colorate e scattando dellefotografie a intervalli regolari. In realta la velocita delle molecole contenute nel volumetto emolto diversa fra una molecola e l’altra, ma quello che determina la velocita del volumetto ela media di tutte le velocita molecolari, ed essa non cambia in maniera caotica. Inoltre noncambia in modo drastico passando da un volumetto ad un altro vicino.

Avendo assegnato una massa e una velocita al volumetto, esso sara dotato di una quantitadi moto pari a ρdV�v. La risultante delle forze che agiscono sul volumetto di fluido determina,in base alla legge di Newton, la variazione della quantita di moto.

217 Si danno a questo punto due metodi differenti per lo studio della dinamica dei fluidi:

1. punto di vista sostanziale o Lagrangiano, in cui si segue il moto di ciascun elemento difluido;

1Diciamo “in genere” perche se lanciamo in aria l’acqua contenuta in un bicchiere il recipiente vienemomentaneamente a mancare, ma chiaramente l’acqua non cessa per questo di essere un fluido.

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CAPITOLO XI. DINAMICA DEI FLUIDI

2. punto di vista locale o Euleriano, in cui si studia come variano nel tempo le proprietadel fluido (densita, velocita, ecc.) in ciascun punto dello spazio.

Le equazioni che si ottengono sono naturalmente diverse. Per il nostro studio elementare cibaseremo sul secondo metodo, quello locale.

218 Forze - Pressione Come esercita le sue forze un fluido sugli oggetti immersi in esso osulle pareti che lo circondano? L’esperienza mostra che queste forze sono trasmesse attraversole superfici di separazione fra gli oggetti e il fluido. Notiamo per inciso che “oggetto” e untermine del tutto generico: anche una porzione del fluido stesso puo considerarsi un oggetto.Suddividendo la superficie di separazione in piccoli elementi di area dS, si trova che la forzaesercitata dal fluido e sempre normale all’elemento e proporzionale alla sua area: si puo quindiscrivere d�F ��enPdS (�en e il versore normale alla superficie, diretto dalla parte opposta alfluido). Il coefficiente di proporzionalita P si chiama pressione del fluido in quel punto. Comedimostreremo fra poco, esso non dipende dall’orientamento della superficie e quindi e unoscalare.

219 Fluido pesante: variazione di P con la quota Si trova facilmente che la pressionein un fluido pesante varia secondo la seguente legge:

(91)dPdz

��ρg

dove bisogna ricordarsi che a priori ρ e funzione di �x�y�z�. Se ρ � cost (fluido incompresssi-bile) la (91) puo essere integrata trovando che P�z2��P�z1� ��ρg�z2� z1�.

220 Principio dei vasi comunicanti

221 Manometro e barometro Il manometro e uno strumento che serve a misurare lapressione. Il disegno dei manometri dipende dalle pressioni che si vogliono misurare, dallaprecisione richiesta, dal tipo di fluido, ecc. Le forze di pressione possono ad esempio produrredeformazioni maccaniche che agiscono su uno strumento indicatore. Se la pressione da misu-rare e quella atmosferica, si parla di barometro. Esistono barometri puramente meccanici (perintenderci quelli che usiamo in casa) e anche elettrici (sfruttano le proprieta di certi cristalli),tuttavia la versione originale del barometro (inventato da Evangelista Torricelli) e ancora inuso e la descriviamo brevemente.

222 Unita di misura della pressione La pressione, essendo una forza divisa un’area,si misura nel sistema MKS in Newton/ m2. Questa unita prende il nome di Pascal (Pa) e lapressione atmosferica vale circa 101000 Pa. Sono in uso anche i multipli del Pascal (kPa eMPa) 2. Unita tradizionali e ancora in uso sono:

� l’atmosfera “standard” che corrisponde a 760 mm di mercurio misurati col barometro diTorricelli, e che prende anche il nome di bar (sottomultiplo il mbar) e vale 101325 Pa;

2Sfortunatamente il Pa non e vicino a un multiplo “ragionevole” delle unita usate in passato (come il kg/ cm 2)per cui stenta ad attecchire nell’uso corrente. Eccezione degna di lode sono i pullman di pellegrini polacchi, suiquali le pressioni di gonfiaggio delle ruote sono indicate appunto in MPa!

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CAPITOLO XI. DINAMICA DEI FLUIDI

� il kg/ cm2 (sempre molto usato per la pressione delle gomme) in cui il kg e in realta ilkg-forza (pari a circa 9.8 N) per cui quest’unita vale circa 98000 Pa;

� il torr (o millimetro di mercurio) di cui 760 fanno 1 bar o 1 atm.

Si tende spesso a confondere l’atm. col kg/ cm2, in realta la somiglianza e approssimata e deltutto fortuita.

223 Moto laminare e vorticoso

224 Linee di corrente

225 Equazione di continuita

226 Equazione di Bernoulli

227 Teorema di Torricelli

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