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Gennaio-Febbraio 2015 ANNO XXXIV (nuova serie) N. 1-2 Gennaio-Febbraio 2015 - 37129 Verona - Vicolo Pozzo, 1 – Poste Italiane Spa Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB Verona A ll’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una gra- zia e un dono di Dio all’umanità, desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, i miei fervidi auguri di pace, che ac- compagno con la mia preghiera affinché cessino le guerre, i con- flitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle ca- lamità naturali. Essendo l’uomo un essere relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo sviluppo che siano riconosciute e rispet- tate la sua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, la sempre dif- fusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo fe- risce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. In ascolto del progetto di Dio sull’umanità. Il tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora di- ventato cristiano e, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi. Fin da tempi im- memorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Malgrado la comunità internazionale abbia adot- tato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diver- se strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomi- ni e donne di ogni età – vengono private della li- bertà e costrette a vivere in condizioni assimilabi- li a quelle della schiavitù. Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e infor- male, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello mine- rario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavo- ro non è conforme alle norme e agli standard mi- nimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore. Penso anche alle condizioni di vita di molti mi- granti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Sì, penso al “lavoro schiavo”. Un impegno comune per sconfiggere la schiavitù. Vorrei ri- cordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni reli- giose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in fa- vore delle vittime. L’azione delle congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo e la loro rein- tegrazione nella società di destinazione o di origine. Globalizzare la fraternità, non la schiavitù né l’indifferen- za. Desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fra- tello?” (cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza. Franciscus GIORNATA MONDIALE DELLA PACE Non più schiavi, ma fratelli Stralciamo dal messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace che abbiamo celebrato il 1° gennaio. Sono riflessioni che ci devono accompagnare durante tutto il 2015 Papa Francesco

AZ Comboniani Gennaio Febbraio 2015

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Gennaio-Febbraio 2015

ANNO XXXIV (nuova serie) N. 1-2 Gennaio-Febbraio 2015 - 37129 Verona - Vicolo Pozzo, 1 – Poste Italiane Spa Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB Verona

A ll’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una gra-zia e un dono di Dio all’umanità, desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, i miei fervidi auguri di pace, che ac-

compagno con la mia preghiera affinché cessino le guerre, i con-flitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle ca-lamità naturali.Essendo l’uomo un essere relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo sviluppo che siano riconosciute e rispet-tate la sua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, la sempre dif-fusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo fe-risce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità.

In ascolto del progetto di Dio sull’umanità. Il tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora di-

ventato cristiano e, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello.

I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi. Fin da tempi im-memorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno

dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Malgrado la comunità internazionale abbia adot-tato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diver-se strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomi-ni e donne di ogni età – vengono private della li-bertà e costrette a vivere in condizioni assimilabi-li a quelle della schiavitù.

Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e infor-male, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello mine-rario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavo-ro non è conforme alle norme e agli standard mi-nimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore.

Penso anche alle condizioni di vita di molti mi-granti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Sì, penso al “lavoro schiavo”.

Un impegno comune per sconfiggere la schiavitù. Vorrei ri-cordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni reli-giose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in fa-vore delle vittime. L’azione delle congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo e la loro rein-tegrazione nella società di destinazione o di origine.

Globalizzare la fraternità, non la schiavitù né l’indifferen-za. Desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fra-tello?” (cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza.

Franciscus

GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Non più schiavi, ma fratelliStralciamo dal messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace che abbiamo celebrato il 1° gennaio. Sono riflessioni che ci devono accompagnare durante tutto il 2015

Papa Francesco

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2 Abbonati alla rivista mensile NIGRIZIA - Per informazioni: 045 8092290 - [email protected]

A bito alla Casa regionale Sma di Abobo Doume ormai da quattro anni. Bel posto, nella periferia di Abidjan, la capi-tale economica del paese, sulla collina che domina la la-

guna. Un giardino con palme da cocco, ventilato a dovere dalla brezza marina, vista panoramica e poco chiasso: giusto le sire-ne dei battelli che salutano l’Africa quando prendono il largo. In faccia si vedono i grattacieli del Plateau, tutt’attorno l’acqua. Qui vengono i miei confratelli che lavorano nelle missioni dell’interno quando devono curarsi la malaria o passare qual-che giorno di riposo. E tutto sarebbe perfetto…se non ci fosse, a venti metri dall’in-gresso, il punto di raccolta immondizie del quartiere. Mattina e sera, colonne di ragazzine arrivano con i loro bidoni-pattumiera in testa e riversano mucchi di rifiuti in tre grandi cassonetti, che immancabilmente debordano di ogni marciume. Aggiungi il cal-do, sempre sopra i 30 gradi, l’umidità al 90%, i topi di ogni di-mensione che si rincorrono felici…e vi lascio immaginare l’odo-re pestilenziale che ne esce. Per fortuna ci pensa la brezza, che soffia quasi sempre in nostro favore, ad allontanare il tanfo. Ma le mosche non ci fanno caso e si aggirano a nuvole nei dintorni. Al mattino, quando celebro l’eucaristia, devo stare sempre in guardia: i grossi mosconi verdi hanno un gusto spiccato per il vino da messa e un’abilità straordinaria a ficcarsi nel calice quan-do meno te l’aspetti. Il camion del comune, quando funziona, passa per la raccolta dei rifiuti un paio di volte la settimana. Abbia-mo provato a chiedere di spostare la discarica altrove, ma non c’è verso di ottenere una risposta favorevole. Se poi pensi che non

esistono le fogne e ai bordi delle strade liquami di ogni sorta colano a cielo aperto per finire nella laguna sottostante, è un mi-racolo non prendersi subito il tifo o qualche epatite. Davvero c’è un angelo che ci protegge! Per il momento anche l’ebola sem-bra arrestata alla frontiera liberiana.L’altro giorno, mentre apro il portone di casa, vedo qualcosa muo-versi nel mucchio delle immondizie. Troppo grosso per essere un topo! Mi avvicino…ed ecco sbucare una testa, poi tutto il re-sto che esce dai rifiuti: un ragazzone sui trent’anni, mezzo vesti-to e avvolto da sacchi di plastica. Mi sorride. Parla correttamente il francese. Mi accovaccio lì vicino (difficile sedersi nel lordume puzzolente!), scaccio come posso le mosche che mi assalgono e cominciamo a dialogare. Si chiama Pepéss. Da una settimana la discarica è diventata sua dimora. La gente lo conosce: abitava nel quartiere e frequentava il liceo. Poi un giorno, non si sa come, è partito di testa: si è mes-so a girare nudo per le strade, parlando con fantasmi che solo lui vede. Difficile da spiegare: qui la gente pensa subito alla stre-goneria: qualche maleficio prodotto da un parente geloso o una punizione per aver trasgredito alle regole ancestrali. Intanto alcu-ni passanti mi vedono e si avvicinano, restando a debita distanza. Mi dicono che Pepéss era il migliore della sua classe e che aveva ereditato una bella somma da uno zio. Altri parlano di dro-ga e di alcool: si sarebbe bruciato il cervello in stravizi. Comunque ora è disteso nei rifiuti e dice di trovarsi proprio molto bene.Io invece no. Ma come faccio a restare tranquillo con un giovane, malato mentale, abbandonato da tutti e che dorme nell’immon-dizia a pochi metri da casa mia? Ora poi che è Natale e tutt’intor-no risuonano dolci musiche tradizionali. I miei cristiani hanno decorato la cappella con tanti nastri colora-ti per accogliere Gesù nella notte santa e mi chiedono dove fare il presepio…Quest’anno il mio presepio è quel mucchio d’im-mondizie! Il povero Cristo che vi è disteso, non ha niente di poe-tico, anzi puzza di brutto ed è coperto di mosche. Ma è il Signore Gesù, in tutto il suo mistero di umanità debole e sofferente.Gli ho portato da mangiare: volentieri ha accettato pane e sardi-ne. Non sono invece riuscito a convincerlo di lavarsi : lui ride e si rovescia l’immondizia sulla testa. Gli ho trovato dei buoni abiti: ma preferisce i suoi sacchi di plastica. Ho contattato i suoi parenti: non vogliono saperne di riprenderse-lo in casa; hanno paura, credono che la malattia mentale sia con-tagiosa. Prossimamente cercherò di farlo ricoverare in un centro dove curano queste malattie, come da Grégoire à Bouaké.

Così stavolta la mia letterina di Natale è poco poetica e non ha nemmeno una bella finale. Non so come andrà la storia di Pepéss. Ci saranno dei pastori a fargli visita? Qualche Re ma-gio gli porterà un piccolo dono? Oppure un nuovo Erode lo farà scappare altrove...Di una cosa però sono sicuro: i cassonetti dell’immondizia sta-volta mi hanno regalato il pre-sepe più vero dei miei 34 anni d’Africa.

p. Dario [email protected]

NATALE IN COSTA D’AVORIO

Il presepe più veroUn Natale diverso in Costa d’Avorio. Ecco la testimonianza del Superiore regionale dei missionari della Società delle missioni africane(Sma)

Al centro, padre Dario con un gruppo di catechisti

COMBONIANI

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C ari amici, gli auguri ve li mando dalla foresta amazzonica dove Gesù non nasce nel freddo e nel gelo, ma nel caldo umido e

asfissiante del periodo delle piogge, con il suo temporale quo-tidiano impreziosito da bellissimi lampi e fortissimi tuoni. Ma-naus celebra in questi giorni “la Festa di due milioni di abitanti”: quasi la metà provengono dall’Amazzonia, sono un mosaico di culture, etnie, religioni. Tra loro ci sono: indigeni espulsi dal-le loro riserve, contadini del Nordest in fuga dalla siccità, emi-granti di Haiti, Colombia, Bolivia, Venezuela, garimpeiros in cerca di oro e minerali preziosi, fazendeiros che si appropriano di ter-re per piantagioni di soia e di eucalipto che servirà per la produ-zione di cellulosa. Ora sono in arrivo i cinesi e gli asiatici del Vie-tnam e della Thailandia. Purtroppo con tutta questa gente il traffico di esseri umani au-menta. I nostri giovani sono i nuovi schiavi, le nostre ragazze sono vittime della prostituzione, nemmeno bambini e adolescen-ti vengono risparmiati, anzi sono le prime vittime sfruttate nel la-voro, nella prostituzione, nel commercio illecito di organi. Infine arriva la grande e potente “regina”, la droga, con le sue ancelle: violenza, alcolismo, turismo sessuale, vendette, morti. Il trafficante di droga scende dal Rio delle Amazzoni, da centinaia di altri fiumi e dai sentieri della foresta. Tutti lo vedono, tutti san-no, tutti accettano la legge del silenzio e dell’omertà che porta le sue vittime fino alla morte. Ogni settimana qui nella nostra area muoiono due o tre giovani. Gerusalemme al tempo del primo Natale non doveva essere molto differente dalla città di Manaus di oggi! Ma è in questa notte oscura che si rinnova il miracolo del vero Natale di Gesù di Nazaret, quello dei poveri che ancora credono

nella vita e nell´amore. Quest’anno, qui sulla collina dell’area missionaria “Monte degli Olivi” dove abitiamo, il Natale è arrivato in anticipo. I giovani della comunità “O caminho” accolgono i ragaz-zi caduti nella droga per ripro-porre loro un nuovo percor-so di vita. Un g iorno, verso mezzo-giorno, con i ragazzi sta-vamo raccogl iendo lett i -ni e materassi per il centro di recupero quando, all’im-provviso, urla, spari, minac-

ce , p rovocat i da un ’agg ress ione a l bar de l l ’ango lo della nostra casa, tutti fuggono. Io e fratel Sudario, mio colla-boratore, assistiamo impotenti a questa scena. Che fare? In mezzo a questa confusione si avvicina calma, tranquilla Maria da Conceição, una signora indigena, mamma di 8 figli che ci ri-conosce e dice: “Padre, Fratello, da questa mattina qui sul mar-ciapiede vicino alla scuola, c’è una mamma sdraiata per terra, è incinta e sta soffrendo le doglie del parto. Nessuno si ferma per aiutarla. Voi non avreste un materasso per lei?” Non mi era mai capitata una situazione tanto imbarazzante e contemporanea-mente tanto bella! Così sul marciapiede della strada, in mezzo alla violenza e all’odio, è sbocciato un fiore meraviglioso, una piccola bimba con lineamenti indigeni, proprio come la Madonna di Guadalupe. L’abbiamo chiamata “Maria Emanuela”, per ricor-dare il grande evento che ha cambiato il corso della storia: l’Em-manuele, il Dio con noi nasce da una donna, Maria, in una grot-ta, “perché non c´era posto per loro nelle case di Betlemme”. Il vangelo diventa vita: “Avevo fame, ero ammalato, ero la donna sconosciuta sul marciapiede della periferia di Manaus…”. Ora Maria Emanuela e la sua mamma sono ospitate nella co-munità di accoglienza della diocesi di Manaus che accoglie don-ne, bambini e adolescenti, in particolare indigeni, che non han-no una dimora. Anche oggi nell’oscurità prodotta dal male, dalla violenza e dall’odio, brilla di nuovo la luce del primo Natale per-ché una donna ha saputo con coraggio vincere la paura e cerca-re aiuto per chi era nel bisogno. Il mio augurio è che anche tra voi, nelle vostre case, possa ri-suonare quest’annuncio di pace, che sappiate ascoltarlo e ac-coglierlo.

p. Fausto Beretta

Credono nella vita e nell’amoreEcco gli auguri di Natale agli amici che ci vengono da Manaus, capitale dello stato di Amazonas (Amazzonia brasiliana) dal comboniano trentino di Molina di Ledro, p. Fausto Beretta

Una favela in Brasile

COMBONIANI

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HAITI

La ricostruzione ha trascurato la saluteSono passati cinque anni da quando un devastante terremoto scosse Haiti, colpendo circa 3 milioni di persone e uccidendone 220.000, secondo le stime del Governo. Qual è la situazione ad Haiti oggi, dopo cinque anni di ricostruzione, e quali sono i bisogni medici? Ne parla il direttore delle operazioni di Medici senza frontiere a Haiti, Oliver Schulz

che il 12 gennaio 2010, in un solo istante, il 60% di un sistema sanitario già precario è stato completamente distrutto, mentre il 10% del personale sanitario haitiano ha perso la vita o ha lascia-to il paese a seguito del terremoto. Tutto questo ha avuto conse-guenze catastrofiche. Medici senza frontiere ha dovuto trasferire le proprie attività di assistenza medica in altre strutture, costruire ospedali nei container, lavorare in rifugi temporanei e perfino al-lestire un ospedale gonfiabile. Oggi gran parte della popolazione di Haiti fatica ancora ad acce-dere alle cure mediche di cui ha bisogno. Per fare un esempio, l’Ospedale universitario di Haiti, l’unico ospedale pubblico che of-fra assistenza chirurgica ortopedica in tutto il paese, non è ancora stato riabilitato e quindi non funziona a pieno ritmo. Le donazioni hanno migliorato le cose?Sebbene siano stati fatti dei progressi, non siamo nella posizione di poter tracciare gli esiti dell’enorme afflusso di donazioni arri-vate nel paese dopo il terremoto. È chiaro però che questo mas-siccio afflusso di fondi per la ricostruzione non ha dato priorità adeguata all’assistenza sanitaria. E ci troviamo ancora a colmare gravi lacune nel sistema sanitario locale, lacune che forse non ci sarebbero se alcuni di quei progetti per la ricostruzione fossero stati pianificati meglio. La priorità principale resta il colera. In questo ambito, a quattro anni dalla ricomparsa della malattia nel paese dopo 150 anni di assenza, la risposta all’emergenza resta inadeguata. Dovrebbe essere chiaro al governo di Haiti e ai suoi partner che le epidemie di colera continueranno almeno nel medio-termi-ne. Nonostante questo, durante l’epidemia scoppiata tra set-tembre e dicembre 2014, la macchina della risposta è andata presto in stallo perché i fondi non sono stati sbloccati abbastan-za rapidamente.

a cura di Silvia Ferrante

Terremoto ad Haiti nel 2010

COMBONIANI

Q ual è la situazione medico-umanitaria generale a cinque anni dal terremoto?Prima di qualunque valutazione, è importante ricordare

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C arissimi,questa lettera di Natale nasce a 600 kilometri da Dondi, nella città di Isi-

ro, dove, insieme a un buon numero di comboniani, ci siamo ritrovati per celebra-re i primi cinquant’anni della nostra pre-senza missionaria in Repubblica demo-cratica del Congo.Un giubileo d’oro, di martirio e di sangue. Una memoria drammatica di sofferenze inaudite che i nostri confratel-li hanno condiviso con la popolazione du-rante la ribellione dei simba. Tra fine no-vembre e i primi di dicembre dell’ormai lontano 1964, quattro comboniani hanno dato la vita insieme ad altri 179 sacerdoti e religiosi, fra i quali la giovane suora, or-mai beata, Anwarite Clementina Nenga-peta. Quei missionari erano appena stati cacciati dal regime musulmano del Su-dan. Invece di ascoltare gli avvertimenti di chi ben conosceva la gravità della situazio-ne del Congo, da dove la maggioranza dei tecnici, commercianti e funzionari stranieri se ne andava disperata, essi avevano insi-stito per poter tornare in missione. “Da qui non ci cacceranno facilmente”, scriveva alla mamma p. Lorenzo Piazza, appena prima di essere ucciso. Secondo mons. Monsengwo Pasinya, arcivescovo e cardinale di Kinshasa (la capitale), il san-gue dei missionari, mischiato al sangue di migliaia di congolesi, ha generato un “pat-to di sangue” e di fraternità perenne. Il cuore del Vangelo reso visibile a tutti.Nata nel sangue dei martiri, la missio-ne del Congo sta realizzando il sogno di Comboni di “salvare l’Africa con l’Africa”. Il volto della comunità comboniana si sta “abbronzando” sempre più: i confratel-li congolesi stanno prendendo in mano i posti della Provincia nei settori di mag-giore responsabilità. Sicuramente il nostro santo fondatore Daniele sorride compia-ciuto.Dondi: progetti e problemi. Anche nel-la nostra piccola missione di Dondi cer-chiamo di rendere visibile e concreto quell’amore che è alla radice della missio-ne, anche se le sfide sono ben più grandi delle nostre forze. E delle nostre contrad-

dizioni di fragili persone. A volte la missio-ne si può limitare a resistere con amore in situazioni umanamente difficili da accet-tare. Ma non è forse questa anche la sfida di molte persone normali e ogni discepo-lo del Signore?Abbiamo in lista d’attesa, con l’aiuto del-la diocesi di Piacenza e la grinta di p. Ro-mano Segalini, la costruzione delle ul-time tre aule delle Scuole elementari: poi il terreno per nuove aule sarà esauri-to. Se vorremo offrire spazio alle nuove generazioni, bisognerà pensare al doppio turno. Ma mentre in città è ormai un fatto acquisito, da noi sarebbe un bel proble-ma. Si vedrà.Per le Scuole (soprattutto per gli insegnan-ti) e per il Centro pastorale (catechisti e animatori delle varie comunità cristiane) prevediamo l’acquisto di una bella quan-tità di libri. Senza strumenti adeguati il loro lavoro diventa troppo faticoso. Il proget-to è già stato approvato dal nostro Con-siglio provinciale per una spesa di 5.000 dollari.Padre Egidio, un bergamasco classico e tenace, è da poco rientrato in Italia per passare Natale con la mamma che naviga verso i cento anni. Intanto incontrerà un gruppo di volontari che da anni sono im-pegnati per realizzare una piccola centra-le elettrica a 5 kilometri dalla missione. La turbina è già installata da tempo; il cavo ad alta tensione per il trasporto della cor-

RD CONGO

Il cuore del vangelo visibile a tuttiLettera di Natale di padre Gianni Nobili (missionario in Rd Congo) agli amici

Comboniani da 50 anni nella Rd Congo

rente è già in posa e collaudato. A metà gennaio un gruppo di otto volontari, sem-pre bergamaschi, verranno per completa-re il lavoro del canale che porterà l’acqua per alimentare la turbina. Li guida un inge-gnere dell’Enel in pensione da anni e con una esperienza internazionale formidabi-le. Un particolare: ha compiuto 87 anni, ma mantiene la grinta di un sessantenne.Ci aspettiamo tanto aiuto dalla Prov-videnza, nella quale il nostro Daniele Comboni riponeva una fiducia illimitata. E voi sapete bene che da quasi cinquant’an-ni, anche per me, il volto e il nome della Provvidenza è quello dei mille amici che, come voi, condividono il mio cammino.In questi mesi anche noi missionari abbia-mo vissuto come voi, a distanza, il dram-ma dei paesi africani colpiti dalla epide-mia di ebola. Purtroppo altri virus ben più gravi stanno distruggendo la vita di miglia-ia e migliaia di persone nella nostra Africa: l’arroganza di dittatori aggrappati al potere da decenni e la corruzione sistemati-ca a tutti i livelli dell’amministrazione che prosciuga le ricchezze dei paesi senza che la gente ne tragga il minimo beneficio; i giochi indisturbati dei potenti della finan-za, delle industrie agroalimentari che rapi-nano le terre migliori, e dei “signori delle armi”, che mantengono focolai di guerriglia ovunque ci siano ricchezze da depredare.

padre Gianni

COMBONIANI

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I Missionari Comboniani in Italia

ARCOVia Capitelli 11 - 38062 - Arco (Tn)Tel. 0464 516248 - Fax 0464 510060 [email protected] - ccp. 17303389

BARIVia Giulio Petroni 101 - 70124 - BariTel. 080 5010499 - Fax 080 5024243 [email protected] - ccp. 245704

BOLOGNAVia Meloncello 3/3 - 40135 - BolognaTel. 051 432013 - Fax 051 433346 [email protected] - ccp. 23973407

BRESCIAViale Venezia 112 - 25123 - BresciaTel. 030 3760245 - Fax 030 362566 [email protected] ccp. 14485254

CASAVATOREVia A. Locatelli 880020 - Casavatore (Na)Tel. 081 7312873 - Fax: 081 5734438 [email protected] - ccp. 308809

CASTEL VOLTURNOVia Matilde Serao 8 81030 - Castel Volturno (Ce)Tel/fax. 0823 851390 [email protected]

CORDENONS Vial di Romans 135 33084 - Cordenons (Pn)Tel. 0434 932111 - Fax 0434 932500 [email protected]. 11728599

FIRENZEVia Giovanni Aldini 2 - 50131 - FirenzeTel. 055 577960 - Fax 055 575107 [email protected]. 16123507

GOZZANOVia Basilica 6 - 28024 - Gozzano (No)Tel. 0322 94623 [email protected]. 16306284

LECCEVia per Maglie km. 5 73020 Cavallino - (Le)Tel. 0832 612561 - Fax 0832 611266 [email protected] - ccp. 13692736

LIMONEVia Campaldo 18 25010 - Limone sul Garda (Bs)Tel. 0365 954091- Fax 0365 954767 [email protected]. 20169256

LUCCAVia del Fosso 184 - 55100 - Lucca Tel. 0583 492619 - Fax 0583 991233 [email protected]. 11856556

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NIGERIA

L’orrore del terrorismoUna bomba di cui era imbottita una bambina esplode in un mercato. Non è la prima volta che un attentato sanguinoso colpisce i mercati di Maiduguri, capitale dello stato di Borno (nordest della Nigeria)

Strage a Maiduguri

I l 1° luglio 2014, almeno 15 persone erano sta-te uccise dall’esplosione di un’auto-bomba.Questa volta almeno 20 persone sono morte il

10 gennaio quando una bomba artigianale fissata su una ragazzina di dieci anni è esplosa in un mer-cato affollato di Maiduguri e altre 18 ferite. L’esplo-sione è avvenuta verso le 12.40. Un attentato di cui è autore il gruppo islamista Boko Haram. Le violenze si moltiplicano in Nigeria all’avvi-cinarsi delle elezioni presidenziali previste a parti-re dal 14 febbraio. Il gruppo Boko Haram sta devastando il nordest della Nigeria dal 2009. Migliaia di morti avrebbe-ro fatto i suoi attacchi contro villaggi del lago Ciad - 16 villaggi sono stati distrutti tra cui Baga, sede della Forza comune Niger, Nigeria e Ciad -. È Am-nesty International a parlare di 2mila vittime. Per il portavoce di Amnesty Francis Perrin, è tempo che la Corte penale internazionale (Cpi) si occupi di Boko Haram. Altre due giovani donne kamikaze si sono fat-te esplodere domenica 11 gennaio, provocando la morte di 4 persone e ferendone una ventina, in un mercato affollato di Potiskum, capitale economica dello stato di Yobe, nel nordest della Nigeria.L’esercito nigeriano ha fatto appello alla coopera-zione internazionale per far fronte a Boko Haram.

Molti i commenti apparsi anche sui giornali italia-ni all’uso di ragazzine come kamikaze nella lotta

di Boko Haram contro il potere centrale di Abuja. Eccone uno che ci è parso interessante

In Boko al lupo

Il Nord della Nigeria invece del Nord della Francia. E, al posto di vignettisti e ostaggi, bambini affetta-ti a colpi di machete. L’ultima nefandezza di Boko Haram gronda del sangue di almeno duemila in-nocenti, eppure ci coinvolge meno della strage di Parigi. Come se la distanza da casa la trasformasse in un altro film. Purtroppo il film è lo stesso, è solo la scena che cambia. E se non cambiamo quella scena, la prossima si girerà di nuovo qui. Boko Haram è la setta islamica che vuole far-si Stato bruciando chiese, meglio se con i fede-li dentro, e rapendo ragazzine col vizio di anda-re a scuola per darle in sposa ai propri trogloditi e farne delle serve o delle kamikaze. Poiché fino-ra i Boko hanno devastato un territorio sprovvi-sto di materie prime, l’indignazione occidentale si è limitata a qualche fiero scatto fotografico (ri-cordate la campagna: «Bring back our girls», resti-tuiteci le nostre ragazze?). Ma c’è da scommette-re che non appena mettessero le loro zampacce sui giacimenti petroliferi della Nigeria del Sud, le ragioni della democrazia tornerebbero a interro-garci con urgenza. Nessuno pretende e nemmeno desidera una nuo-va crociata. Ma un po’ di politica sì. E non la politi-ca economica che in questi anni ha portato l’Euro-pa a schierarsi pro e contro l’Iraq, la Libia o la Siria, oscillando tra sussulti guerrafondai e menefreghi-smo da pusillanimi in base alle convenienze del momento. Serve la politica vera, quella che isola il nemico, finanziando e addestrando le sue vittime, perché ha una visione strategica e sa che estirpa-re il virus del terrorismo islamista nei suoi focolai è l’unico modo di fermare il contagio.

Massimo Gramellini, La Stampa, 10.1.2015

COMBONIANI

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PADOVAVia S. Giovanni di Verdara 13935137 - PadovaTel. 049 8751506 - Fax 049 8762054 [email protected] - ccp. 149351

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REBBIOVia Salvadonica 3 22100 - Como-Rebbio (Co)Tel. 031 524155 - Fax 031 524016 [email protected]. 19081223

ROMA (Eur)Via L. Lilio 80 - 00142 - Roma Tel. 06 519451 ccp. 568014

ROMA (San Pancrazio)Via San Pancrazio 17 - 00152 - RomaTel. 06 [email protected]. 11893005

TRENTOVia delle Missioni Africane 13 38100 - TrentoTel. 0461 980130 - Fax 0461 233466 [email protected]. 12974382

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VERONA Casa MadreVicolo Pozzo 1 - 37129 - VeronaTel. 045 8092100 - Fax 045 8005190 [email protected]. 16433377

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N ella mia missione, qui in Benin, a Cotonou, siamo ancora sotto

l’effetto positivo della grande festa dei 25 anni di fondazio-ne della parrocchia. È la stes-sa dove sono arrivato venti-cinque anni fa. L’esplosione di festa e di gioia che abbia-mo sperimentato durante il mese di novembre, con varie manifestazioni di bambini, ra-gazzi, giovani e adulti, e con i concerti dei nostri nove cori, è stata eccezionale e in tut-ta la grande città se ne par-la ancora.Il giubileo d’argento è stato preparato con grande impe-gno e con la partecipazione di tutta la comu-nità parrocchiale che tramite incontri, conferenze, cammini di preghiera ha cercato di approfondire insieme il dono di essere Chiesa.Bella e significativa è stata la celebrazione in cui comunità comboniana e comunità parrocchiale si sono reciprocamente scambiate il perdono per tutte le mancanze e le fragilità di questi anni per continuare insieme il cammino. La festa di do-menica 30 novembre è stata unica. La cele-brazione eucaristica è stata presieduta dall’arcive-scovo, mons. Antoine Ganye. Vi hanno partecipato almeno tremila persone, la maggior parte con il ve-stito della festa, il pagne preparato per l’occasione che in pochi mesi è stato preso d’assalto, lasciando i ritardatari a mani vuote! L’arcivescovo ha invitato l’assemblea a ringraziare il Signore per il dono del giubileo e per i giovani che in questi anni hanno

scelto la vocazione missionaria comboniana per-mettendo così alla Chiesa locale di vivere in mis-sione ad gentes.La festa è proseguita con un enorme pic-nic, se-guito da danze e canti, preludio di un futuro pieno di speranza. Tutto il Benin ha saputo del giubileo tramite la Tv nazionale, diverse radio loca-li e il giornale cattolico La Croix: un modo concreto di fare animazione missionaria affinché il carisma comboniano sia conosciuto da tutti. All’inizio del mese di gennaio, una nuova parroc-chia, Santa Chiara di Assisi, nascerà dalla nostra “costola”, san Francesco d’Assisi. È già la quinta del-le nostre cappelle (stazioni secondarie, come le chiamano qui), che diventa parrocchia. Questo fa capire quanto era grande la parrocchia che ci era stata affidata nel 1989.

p. Gaetano Montresor

BENIN

Giubileo d’argento a FidjrossèLa parrocchia di san Francesco d’Assisi a Cotonou ha celebrato il suo 25° di fondazione (1989-2014). Ce lo racconta l’attuale parroco che della parrocchia è stato anche il fondatore

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C onserverò un caro ricordo dell’esta-te 2014. Ho realizzato il desiderio e il progetto di un viaggio in Africa con

10 giovani della parrocchia di San Giorgio di Piano (BO) che conosco da tanti anni.Questi giovani mi avevano chiesto, un paio di anni fa, di accompagnarli per vive-re un’esperienza di incontro, di conoscen-za e di lavoro con la gente di quella che era stata la mia missione o con la gente della Repubblica democratica del Congo. Ho accettato subito con gioia.Ci siamo messi in viaggio e volando da Bo-logna a Istanbul e fino a Kinshasa, la ca-pitale della Rd Congo, la sera di domenica 3 agosto eravamo accolti dai miei confra-telli Comboniani nei locali della parrocchia di Nostra Signora del Soccorso, una par-rocchia alla periferia di Kinshasa. In quel-la zona della capitale non è ancora arriva-ta la corrente elettrica. L’acqua bisognava quindi attingerla dal pozzo tramite la pom-pa alimentata dal gruppo elettrogeno che funzionava a ore più o meno precise.La gente ci ha accolti in maniera semplice, gioiosa e schietta. I miei amici sono stati, per così dire, contagiati da quell’atteggia-

mento positivo. Alcuni di loro sapevano esprimersi in lingua francese, lingua uffi-ciale nel paese, e quindi è subito iniziato un bel dialogo tra persone.Avevo una certa preoccupazione per la sa-lute dei giovani, anche perché alla radio, alla Tv e sui giornali, si leggeva di malat-tie e di febbri in Africa che facevano pen-sare alla malaria o all’epidemia di ebola, malattie che anche in Rd Congo si erano manifestate.Grazie a Dio, nessuno ha avuto problemi di salute. Solo due dei giovani hanno avu-to qualche dolore di stomaco perché aller-gici alla Doxicillina, il farmaco prescritto dal medico come profilassi della malaria.L’esperienza è stata positiva per va-rie ragioni, ma soprattutto perché i giova-ni hanno cercato un’intesa positiva con la gente, coi giovani e i ragazzi del posto. Hanno anche lavorato con la gente di un settore della parrocchia che desiderava ricostruire la loro chiesetta che era stata distrutta, alcuni anni prima, da un torna-do. Per due volte hanno vissuto l’incon-tro con i ragazzi/ragazze di un orfanotrofio creando un’atmosfera d’incontro e di gioia

In missione con i giovaniIl comboniano trentino padre Mariano Prandi ci racconta l’esperienza estiva in missione che ha realizzato con un gruppo di giovani bolognesi

tramite canti, danze e movimenti ritmati. Hanno anche potuto incontrare, scambia-re esperienze, dialogare e discutere con la gente di tre gruppi della parrocchia.Infine mi è sembrato che i giovani parte-cipassero con serietà e impegno agli in-contri di preghiera, di riflessione e di valutazione per lasciarsi coinvolgere posi-tivamente nelle varie iniziative. Hanno an-che intuito le difficoltà di un vero incontro tra persone di cultura diversa, dato che i ritmi di vita in Europa sono diversi da quel-li africani. I giovani bolognesi si sono impegnati a collaborare economicamente in due pro-getti da realizzare: la costruzione della chiesa del settore 5° di Bibwa e il soste-gno alle attività dell’orfanotrofio Eden. Si è dovuto lasciare da parte, per il momento, il progetto di sostegno alla scuola del vil-laggio di Wungu.Quanto a me, sono felice di aver potuto ritornare in Africa. Ricordo con piacere il buon rapporto con i due confratelli africa-ni responsabili della parrocchia. Mi ha fat-to piacere ascoltare i giovani dire che mi comportavo come fossi a casa mia. E due papà mi hanno detto chiaramente che in-vece di tornare in Italia, avrei dovuto rima-nere in Congo a continuare a vivere la mia vita missionaria.Ai giovani e a tutti gli amici e parenti di noi comboniani, auguro di essere sempre at-tenti ai rapporti di vita con le persone che incontrano in casa, in parrocchia, sul lavoro, a scuola e dappertutto. Auguro a tutti di vincere la tentazione dell’orgoglio, dell’egoismo, del disprezzo nei confronti di altri, degli immigrati, emarginati, malati e disabili in particolare. Dobbiamo saper esprimere parole e gesti di dialogo, ascol-to, gioia, fraternità e pace.Anche se sono un po’ obbligato a rimane-re in Italia per via della mia salute che ri-chiede cure e controlli frequenti, sono fe-lice di aver costatato che la missione della Chiesa, la missione di noi comboniani e la missione di tante persone impegnate continua nel mondo per renderlo più bel-lo e degno di noi che formiamo la fami-glia dei figli di Dio.

p. Mariano Prandi

COMBONIANI

Padre Mariano e gli amici bolognesi posano per foto souvenir