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Govanni Romano Bacchin dell'Università di Perugia L'IMMEDIATO ELA SUA NEGAZIONE Cen*o Studi "E.-Fermi" Editoriale , Perugia

Bacchin - L'Immediato e la sua negazione

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Govanni Romano Bacchindell'Universitàdi Perugia

L'IMMEDIATOELA

SUANEGAZIONE

Cen*o Studi "E.-Fermi"Editoriale, Perugia

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INTRODUZIONE

1. Il discorso teoretico è rigoroso, e non semplice-mente coerente, se la sua intentionon presuppone I'og-getto a se stessa e si attua togliendo quei presuppostiche, appunto posti prima di ogni giustificazione, sonoposti senza giustificazione, ingiustificatamente.

Rigorosoè quel discorso che si attua giustificandose stesso nel mentre si compie giustificandoil propriooggetto: non due giustificazionima una sola, della cosae del discorso teoretico su di essa. Giustificarenon è

semplicemente < porre >, ma provare f impossibilitàchenon sia ciò che si pone, nei limitientro i quali si pone.

Va richiamato a proposito ildiscorso hegeliano delparagrafo primo della Enciclopediadelle scienze fitoso-fiche:" la filosofia non hail vantaggio del quale godonole altre scienze, di poter presupporre i suoi oggetti comeimmediatamente dati dalla rappresentazione e come giàarnmesso nel punto di partenza e nel procedere succes-sivo il metodo del suo conoscere ,n 1. Ma va anche chia-

rito il senso in cui quel < poter presupporre r, è .. vutn-taggio >, vantaggio infatti èsolo rispetto alle scienze,le quali non sarebbero tali se non presupponessero iIloro oggetto, disponendosi su di esso, da esso condi-zionate; rispetto alla filosofia,invece, sarebbe uno <( svan-taggio > e il passo hegeliano potrebbe venire riscrittocosì: .la filosofia non halo svantaggio del quale sofro'

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no le altre scienze di dover presupporre... o, dove losvantaggio sarebbe precisarnente nel suo doversi com-misurare a qualcosa di esterno e nel dover subire quindiI'azione di esso.

Che il discorso filosofico(teoretico rigoroso)non am-mette presupposti significa che alla filosofia nonè pos-sibile premettere una < introduzione > o una " prefazio-ne ' che pretenda di segnare il passaggio ad essa a par-tire da un punto ad essa estraneo: ilpassaggio sarebbegià attuato nella necessità di stabilire (filosoficamente)

il punto da cui sia dato partire e quindiil momentodella sua effettiva attuazione (: dell'operazione proce-durale che lo compie) sarebbe superfluo; o il passaggioresterebbe sempre interdetto dalla estraneità del pun-to dipartenza e quindi la sua attuazione sarebbe im-possibile.

Proprio l'impossibilità delpassaggio introduttivoalfilosofaresegna (- vale come) la necessità di toglierei presupposti ed anche stabilisce ilmodo in cui è possi-bile attuare questo toglimentosenza cadere nella banalepresupposizione di dover partire da nulla, di dover ri-cominciare assolutamenfe sempre di nuovo. fmportaribadire infattiche il presupposto è in qualche modorichiesto dal suo stesso toglimentoed è questo tipo dinecessità che costituisce, come meglio vedremo, ilveroproblema del punto di partenza del filosofare,o pro-blema del < cominciamento >.

Il quale problema rapporta l'immediatezzadel pre-supposto (ilpresupposto non sarebbe tale se non fosse

immediatoe l'immediatoè solo presupposto) con la me-diazione inerente al suo venire saputo tale, nel senso incui la filosofiadentro se stessa < ... presenterà quellaunilaterale immediatezzà come mediata > 2. Ma dove ilrapporto tra immediato e mediazione venisse pensatoa sua volta come immediato, il fatto che la filosofianonammette presupposti irnporterebbe che Xa sua trattazio-

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ne debba corlinciaredirettamente ed irnrnediatarnente;

ed avrebbe ragione, in fondo, K. Fischer a sostenere cheIa fiiosofia comincia< con un atto di volontà del pensie-ro )) 3 e la fiiosofiadecadrebbe nelìa o comoda, imme-óaalezza dell'intuire.

Non si può dimenticare che Hegel chiarna appun-to < ccmoda opinione > ia dottrina del sapere imme-diato come sapere per intuito4, accennando polemica-mente all'intuizionisrnodi Fr. H. .Iacobi per il quale lafede era sapere autentico perché immediatoe la filoso-

fra razianalistica era ateisrno ". Lo Hegel infattipensatra filosofiacorne < Ia considerazione pensante degli og-getti > u o o, pensiero riflesso > o <{concetto > al qualelo spiritoperviene attraverso le rappresentazioni s ..la-vorando sopra queste >. Mera rappresentazione e nonconcetto sarebbe l'irnrnediatezza fatta " precedere , alfitrosofare ? e che effettivamente precede il filosofare, masalo ,, nell'ordine delternpo >.

Questa ultima espressione hegeliana (" nell'ordinedel tempo

")è da prendere in attento esame, perché in

essa giace e si nasconde tutta I'ambiguità e dellanozio-ne di presupposto (ciò che si fa " precedere ") e dellanozione di tempo, ilquale è esso stesso non Ltnpresup-posto ina la forma stessa del presupporre, così che l'in-significanzateoretica del presupposto non potrà non va-lere come insignificanza tearetica del tempo. L'esamedi quella espressione ci impegnerà nel piendere di-rettamente in considerazione la nozicne del divenire;ciò che ora importa rilevareè che in Hegel l'afferma-

zione radicale della necessità che ilpensiero non abbiapresupposti pcssq attraversa I'affermazione non menoradicale della necessità che il pensiero pervenga ad at-tuarsi come tale (concetto), liberandosi criticamente(lacritica non per nulla è passata da Kant a Fichte corneafferrnazione di " libertà o) da quei presupposti; ne se-gue comunque che l'operazicne logicadi chi assume 9

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(: interpreta) la necessità di togliere ognipresuppostocome presupposta anch'essa (Kierkegaard)è del tuttoindebita e rivela un fraintendimento delpensiero hege-liano ed anzi, a mio awiso,dell'intero filosofaret. Essainfattiassume (= si rappresenta) il rapporto tra imme-diatezza e mediazione come immediato e quindicomepresupposto e non riesce ad elevarsi al pensiero rigo.roso che è concetto ed in cui la stessa conoscenza dellarappresentazione appartiene al concetto, è < concetto ".

Ma è anche vero che se il toglimentodel presupposto

non si attuasse passando a.ttÍaverso le rappresentazionípresupposte, si cadrebbe inevitabilrnente nella immedia-tezza o .. comodità " dell'intuÍtoo, equivalentemente,nella assohtizzazione del pensiero. L'interpretazionedunque che qui vorrei proporre del testo hegeliano alquale mi sono riferitosopra tende a liberare il testostesso dalla conversione del filosofarein assoluto sa-pere, conversione che appartiene del resto, come ampia-mente e bene è stato dimostratoe, ad un momento sur-rettiziodella speculazione hegeliana, quello che accettalo spinozismo senza una mediazione autentica del suosignificato.

Lo Hegel stesso, infatti,sembra fornirci lostrumentoteoretico per evitare ciò che egli non evitò, ossia l'assolu-tuzazione monistica del \ogos, allorché afferma che " lafilosofiapuò ben presupporre, anzi deve, una certaconoscenza dei suoi oggetti, come anche un interessa-mento per essi: non fosse altro per questo, che la co-scienza, nell'ordine del tempo, se ne forma prìma rap'presentazione che concetti r 10. Quel u precedere r ècontinuamente richiestoperché la filosofianon si conver'ta in assoluto sapere (conversione che renderebbe im-pensabile lo stesso assoluto, perché un assoluto che ab-bisognasse di venire instaurato sarebbe un assoluto pe-rennemente insufficienteepperò relativo a ciò che glimanca per essere assoluto); e la filosofia nonsi converte0

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in assoluto sapere, proprio perché tale < conversione *dovrebbe essere essa stessa assoluta, contraddicendo lanecessita che vi sia I'alterità tra ciò che si converte eciò ìn cuí esso si converte, alterità irriducibilee chel'assolutizzazione pretesa non togliema riproduce inse stessa. Da un canto dunque la filosofianon può accet-tare presupposti, dall'altro la stessa negazione dei pre-supposti fa essere come da essa richiesti quei presup.posti dei quali è negazione: se accettasse presupposti,sarebbe da essi condizionata ed in essi si risolverebbe,prolungamentoacritico

delpresupporre; se, negando

ipresupposti, si affermasse come assoluta, cesserebbe diessere negazione (mediazione) e diverrebbe a sua voltaimmediata, cadendo a sua volta in quel presupporre dicui si diceva toglimento.

Perché la filosofiasia autenticamente criticae siatotale (universale)giustificazione, bisogna che essa siagiustificazionedi se stessa (che non venga da altro giu-stificata),bisogna cioè che essa si attui giustificandosinel proprioatto; ma poiché essa è giustificazionetotale,bisogna che essa, giustificandose stessa, sia se stessacome giustificazionee quindi, come tale implichil'al-tro da sé come ciò di cuiessa si professa giustifrcazione,l'altroda essa e dunque la propria non-assolutezza.

I1 passo hegeliano sopra riportatoafferma dunquela duplice necessita, che la filosofianulla presupponga,che la filosofiapresupponga una certa notizia deisuoioggetti, ché lo < spiritopensante ) progredisce operandosu rappresentazioni, le quali precedono i concetti. < Ma

rigorosamente - dice E. Severino tt - la fi"losofi.anonpresuppone nemmeno la "nottz,iauagli oggetti: talepresupposizione equivarrebbe alla posizione di un pia-no semantico che, estraneo all'autosignificazione, sareb-be lo stesso piano della insignifr.canza>.Ma la stessaaffermazione < la filosofianon presuppone > deve avereun senso ed ha senso solo se si presuppone in qualche LT

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modo ciò che la filosofianon presuppone, per cui misembra piiresatto dire che il < presupposto > è da ne-gare ma che, appunto perché lo si deve negare, esso è

" insopprimibile>, che sopprimerio sarebbe togliere lasua necessità di venire negato (togliere la negazione èancora negare e la negazione è innegabile)12. Non sipuò sopprimere il presupposto, proprio perché lo sideve negare; e se esso come presupposto non vale (se,cioè, lo si nega come valore) deve tuttavia yaîere coÍneambito della sua negazione (deve avere almeno questo

significato, la sua negatività).L'arnbito entrocui la negazione ha senso (è possibi-le, signifi.cabile)è quello che mantiene appunto la nega-zione in atto ed irnpedisce la duplice operazione, pari-menti contraddittoria,quella che assolutizza la nega-zione facendone una < negativitàassoluta " e quella chenega la negazione, sopprimendo ciò che deve venire ne-gato e quindi togliendo allanegazione la sua intrinsecapossibilità.La filosofiaè teoreticamente rigorosa setoglie valorea ciò che pretende di condizionarlaed aciò che la afferma come incondizionata, come< assolu-ta>; la sua attualità (lo attuarsi negando) è negazionedella sua pretesa assolutezza.

2. Una volta affermato il carattere teoretico rigo-roso del filosofare,ci si irnbatte in quella che Hegelchiama la .. incomprensibilità> 13 della filosofia edanchela sua essenziale oscurità, ché la filosofia< pone al posto di rappresentazioni, pensieri, categorie e, più preci-

samentè, concetti 1rc. Ora, questo <( porre al posto di... "non è un semplice sostituire, per il quale si suppongauna fondamentale eguaglianza tra rappresentazione epensiero od anche un identico (: indifferente)valoredi quella e di questo, ma è, pinttosto, un < trasformareIe rappresentazioni in pensieri > 15. Trasformare che ènon un passare del contenuto (= oggetto) da una < for-2

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ma > ad altra < forma >, ma un <( recare alla coscienza o

o . nel pensiero riflesso " i pensieri stessi in quantotali, la<( cosa stessa u; ed è, quindi, un ricortoscere qweicontenuti nella ioro ( verità >, così che il pensiero nonè veramente una *forma > tra le aitre, o che succeda adaltra forma, rna è il valore (verità,) delle forrne (senti-rnenti, rappresentazioni)nelle quali il contenuto dap-prima si. mostra come ( contenuto >, come distinto, cioè,daltra forrna stessa, valore per il quale è possibile direcon Hegel che n le forme sono da distinguere dal pen-

siero come forma>r 16,

come la stessa validità delloroessere forme.Proprio per questa impossibilitàche il pensiero sia

una îorma tra le altte o dopo le altre, si può dire cheesso è il loro stesso essere (: valere) come < forme tdistinte dai loro contenuti. E proprioperché il contenu-to è il medesimo in queste forme diverse le une dallealtre, il pensiero, anziché essere una << forma ", è il rl-conoscirnento della medesimezza del contenuto in essee, quindi, il toglirnento dellaloro differenza rispetto alcontenuto stesso.

Il contenuto che nel sentimento e nella rappresen-taziane è il rnedesimo, solo nei pensiero (nella rifles-sione) trova (= riconosce) questa medesimezza, così cheil pensiero è presente come ( contenuto " già nel senti-ruento e nella rappresentazione, ma col pensiero è pre-sente nella medesimezza del contenuto che il sentirnentoe la rappresentazione non sanno.

Così ilpensiero è " rifiessione > non in quanto si ri-propone soggettivarnente sul dato, ma in quanto èpresenza che ritrovqse stessa ritornando all'internadel dato o, rneglio, la o qg54 stessa r nel suo essere sestessa. Il senso dunque in cui il pensiero esige la " for-ma , assoluta, la filosofia1?, è anche itr senso in cui ilpensiero stesso (: filosofia)narr è una forma che seguele forme ad essa precedenti (: ternporalm.ente venien- 13

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îe dopo), ma è Ia necessità che la cosa stessa sia vera-

mente tale a prescindere dalle forme (tra loro differentie, quindi,non identiche con la cosa stessa, medesimaper tutte e dunque indifferentea ciascuna di esse), ne-cessità per cui parlare, come Hegel fa, della filosofiacome ( forma del concetto u ( = autentico pensiero) incui ilcontenuto della religione sarebbe ilmedesimo informa diversa'E, non può significare che la frlosofiaèassoluto sapere che risponde alle esigenze imrnaturedel-Ia religione, come venne fatto di pensare Ie, ma che l'as'solutezza della filosofia èla sua impossibilità1) di col-locarsi accanto alla religioneo all'arte, 2) di seguiretemporalmente come progresso verso la pienezza, i mo'menti ancora teoreticamente immaturilegati alla < rap-presentazione r, 3) di erigersi in assoluto sapere rispet-to al quale ogni altra forma si vanifichimostrando lafunzione negativa del suo venire superata.

La filosofia,perché pensiero, è piuttosto nel dissoî-persi dialetticodi queste pretese, dissolversi in cui si

scopre tutta l'originarietadel filosofare,il quale passaattraverso le rappresentazioni delle quali è toglimentoedeve dichiarare non valido ciòdi cui esso si serve peraffermare se stesso, il linguaggío cioè e la coscienza dicui il lingunggioè espressione.

Così, la < incomprensibilità> della filosofia nonè solola < difrcoltà" che ( nasce da una incapacità che in séè soltanto manca&za di abitudine, di pensare astratta'mente 20, cioè di tener fermi innanzi allo spiritopen-

sieri puri e muoversi in essi r, diftcoltàche potrebbevenire eliminata, in fondo, con I'esercizio,ma è I'in-trinseca impossibilitàdi fare a meno di quel linguag-gio (coscienza comune o ordinaria),in cui si operanodistinzionie separazioni che la cosa stessa non sop-porta, la u cosa stessa > che in tanto si mostra in quan-to toglie la frttiziacontrapposizione del conoscere e del4

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suo oggetto come è per il problema critico,nel senso

anche kantiano della parola.Nella Fenomenologia dello Spirito,infatti,il cuoredella presentazione che Hegel fa della filosofiaè nella< proposizione speculativa > "1 alla quale corrisponde,come si sa, il < giudizioinfinito>r 2', precisamente nelsenso che la proposizione distingue ciò che il suo con-tenuto nega come distinto. E' questo il continuo rife-rirsidialetticodella filosofiaalla < coscienza comune )>

nel senso in cui, come toglimentodei presupposti, essanon può

non riferirsi aciòche essa toglie,

ilquale è

appunto o insopprimibileu dal toglimento stesso.

3. Il radicale dell'errore e per ilquale può dirsi . er-ronea > ogni posizione non rigorosa è la sostituzione cheil senso comune (la .. comune coscienza >) continuamen-te opera (" mescolando " secondo l'espressione hegelia-na) 23 di rappresentazioni a pensieri, o lo assumere larappresentazione al posto del concetto, assumere cioèil concetto senza riconoscerlo.

Non si tratta veramente di un collocare un termineal posto di altro termine, ché il concetto (pensiero) nonsi colloca in linea con altro da sé (ciò che sarebbe ri-chiesto perché si abbia sostituzione),ma di un assu-rnere il concetto stesso senza riconoscere la sua pecu-liare differenza da ciò che concetto non è.

L'errore non è qualcosa, ma il travisamento dellaassunzione di qualcosa, la cosa in quanto non ricono-sciuta. Non che questo discorso giustifichil'errore,

anzi esso dichiara che l'errore è la sua stessa impossi-bilità"di venire giustificatoe di giustificarsi,L'errore èla impossibilitàdi se stesso; questo discorso, piuttosto,afferma il limitedella giustificatezza,limiteche è il " pre-supposto ) non ancora saputo tale, non ancora superatocome pretesa di valere come condizionante. Dell'erroresi ha infattipaura; rna, a rigore, Iapaura stessa dell'er- 15

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rore è errore. Va spiegata questa espressione che può

apparire almeno paradossale. Non si dice che si possaimpunemente errare o che I'errore non sia mai possibile,rna che l'errore di cui si ar/esse paura dovrebbe contrad-dittoriamente consistere in una sua concretezza, dovreb-be . essere > e valere in una sua verità. La paura è piut-tosto fatta sorgere dal rischio stesso di errare che è ine-rente a quello che sembrava un ( vantaggio > e che èproprio delle scienze e della < coscienza comune > deliaquale le scienze sono la longa manus: lo essere condi-ziotati dall'oggettocome altro dal pensiero di esso.

I-'errore è possibile dove ilpensiero non sia la cosastessa, dove, cioè, tra pensiero e cosa si situi (si collo-chi) la rappresentazione, la metafora o parola, la con-traffazione linguisticadel logos. In questo senso, la pos-sibilità dierrare è lo scotto che le scienze e la coscienzacomune pagano per il" vantaggio " di avere oggetti chele condizioninoe di distinguere se stesse dagli oggettiche esse investono corì < metodi > tentati e da verifi-care (l'errore sorge dove procedere è tentativo). Il vuo-

to di verità che è I'errore non è ciò che suscita lohorror (lrcrrorvacui), ché non è possibile avere pauradi ciò che non è, ma è l'horrorstesso a creare il vuoto,è desso anzila radice stessa del vuoto, il vuoto essendoradicalmente la separazione tra cosa e pensiero di essa,la separatezza imposta dall'intelletto.

A questo punto si rende indispensabile una dupliceindagine: 1. I'approfondimento del rapportotra rappre-sentazione e concetto, visto che il rapporto non può con-

sistere in una reciproca alterità (il< concetto ) o pen-siero non si colloca accanto né dopo la rappresentazto-ne), né può togliersi in una qualche riscoperta identità(la rappresentazione è la stessa ratio della possibilitàdi errare, il pensiero è la consapevolezza inerrante diquesta possibilità);2. il chiarimento della natura rigo.rosamente teoretica (ciò che Hegel intende per <( assolu-

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ta r) della filosofia,perché la " riflessione r in cui si af-

ferrra la filosofiacome vero pensiero non può non im-portare un ( ritornor su qualche cosa di già dato e que-sto dovrebbe, come già dato, essere ( presupposto l,quel presupposto del quale però la filosofiaè toglimento.E' da premettere alla duplice indagine un discorso in-torno al senso in cui alla f,losofi.a,come discorso teorstico rigoroso, ci si rivolge eaI senso in cui tale discorsoè < necessario p.

4. Dopo avere affermato, dunque, che la filosofiaèdiscorso rigoroso perché non presuppone nulla a se stes-sa, viene fatto dichiedersi se tale affermazione non ab.bia a sua volta come presupposto la fiducianella ragione, l'accettazione fideisticae quindimeramente postula-toria e arazionale della ragione come adegwata al suofine e come sufiícientea se stessa.

Fiducia nella ragione che consisterebbe nel ritenerela ragione come valida, ma pregiudizialmente, cosicchéogni discorso che importirur processo dimostrativopo-

trebbe venire rifiutatoin blocco da chi nella ragionenon ha fiducia e si appella, quindi,ad altro (questo al-tro è, al limite,null'altroche ., sentimento D). Lo Hegelnel discorso inaugurale tenuto ad Heidelberg il 28 otto-bre 1816 afferma che < prima condizione della filosofiaè il coraggio della verità,la fe_de nella potenza dello Spi-rito>; dove il <( coraggio della verità > è quello del sa-persi < afrdare > ad essa (ilse credere, diremmo) comeun << obliarsiu nella cosa stessa, anziché .. scavalcar-

la>%.

Per cui la " fede nellapotenza

dello Spirito>

è laprqlenza dello Spiritonella sua-necessità.Ciò che l'obbiezionea questa < fede > ritienedi far

'.ralere di contro ad essa è un preteso atteggiamento neu-trale di fiducia o sfiducia in cui si assume la ragione rappresentandosela come < strumento >, donde ilproblemadella adeguatezza della iagione, rappresentazione < na- L7

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turale >, giusta la espressione hegeliana della Fenome-nologia25, che colloca

la< critica ,,

inuna pretesa neu-

tralità teoretica o filosoficae non si awede della contrad-dizione tra critica eneutrahta, ché la stessa connota-zione della critica come neutrale e previa all'effettivosa-pere è saputa e motivata, se motivazione di essa non sipuò non cercare, nel sapere rispetto al quale Ia si pre-tende ancora indetenninata.

E' evidente a guesto proposito ilnesso tra la impos-sibilitàdi accettare presupposti (ildiscorso teoreticorigoroso) e la impossibilitàdi mettere in questione lafiducia nellaragione, di discutere la ragione (ilfilosofa-re) senza già attuare quel processo che si intende di-scutere (come iIProtrettico aristotelico mostra dialet-ticamente) 26.

La logica è dunque metafisica,poiché l'essere se nonè logos è nulla e il îogos separato dall'essere è separatoda se stesso, nulla.

In questa laùisalizza12ionedel processo filosoficosistabilisce la differenza teoretica tra la riflessione kan-

tiana e la fenomenologia hegeliana, ché Kant si chiedequale sia il logos dei fenomeni, ma alla sua domandasottende Ia separazione pregiudiziale tra fenomeni comedati e la strutturazione del loro essere dati provenientedal soggetto a cui (per ilquale) essi sono (si presenta-no, appunto ., fenomenicamente >), così che il logos testa sospeso all'iniziodella ricerca e sospeso resta anchedurante la ricerca e nel suo esito, in una ( separazione,che sottende al dualismo kantiano tra fenomeno e cosain sé.

Superata la separazione non ha più senso cercareil logos dei fenomeni, perché i fenomeni sono fenome-ni del logos, la sua . fenomenologia", ed è questo ilsenso della Femomenologia dello Spirito in cui il mani-festarsi non è alla coscienza, ma la coscienza stessa faesperienza di sé nei fenomeni 2?. In questa luce è possi-8

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bile stabilirela differenza tîa riflessione nel senso kan-

tiano e riflessioneo coscienza nel senso hegeliano (dif-ferenza tra ii < pensare > della Criticae la criticitàdelconcetto hegeliano) perché in Kant la rifiessione è sulgià dato (esperienza nel senso comune della parola),laddove per Hegel essa è il mostrarsi dell'essente nellafilosofiastessa, e il logos (l'Assoluto)si mostra nellafilosofi.a,filosofia èanzi questo suo mostrarsi a se stes-so, questa storicità delsuo rivelarsilogos a se stesso.I-a filosofiasi chiarisce hegelianamente in identificazio-ne processualmente attuantesi

incui I'alterità o estranei-

tà è tolta o superata, perché la cosa pensata non è al di1à del pensiero, non è fuoridi esso, non essendovi un., fuori>) se non per il pensiero, in esso 28.

La cosa dunque non < è >, ma ( appare > estranea alpensiero, ché se fosse verarnente estranea sarebbe estra-nea all'essere, divisa dal proprio<( essere >, non essen-te. Il senso in cui Hegel parla dunque di sapere as-soluto è quello del sapere che sa se stesso, del sapereche è tale corne se stesso, e solo come se stesso è sa-

pere (ia sua assolutezza è ia sua incondizionaterza ri-spetto all'<altro >, il non essere condizionatedafk al-tro >, ché l'altroè tolto da esso nel suo essere saputo).Così il sapere assoluto è tale manifestandosi nel miosapere, ma iI rnio sapere si annulla come mio nei con-frontidella validitàsua che non è relativa al suo < ap-partenere a me >, ma è assolilta, ossia indipendente d-al-l'essere mia. Solo questa è la eliminazionedella tra-scendenza di un principioche non si risolva nel sapere

stesso: la presa di coscienza di sé come assoluto, lad-dove si è potuto interpretare questa negazione del tra-scendere nel senso duale con la immanenza del princi-pio o riduzione monisticadel sapere e dell'assoluto.

Ilpunto è delicato e difficilee per esso dovremo in-dugiare piuttostoa lungo, si tratta, infatti,di mostrarecome ii pensiero hegeiiano valga contro Flegel, precisa- îo

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mente non importando quella assolutizzazione o imma-nentizzazione monistica in cui Hegel lo chiude. La rcahAeffettìva non è la separazione inerente alla trascendenzadel t principío*,ma la necessità del princípìo è trascetrdente solo in quanto non identica a ciò che lo richìede.L'essere infatticome vero (Wìrklìchkedt)è riflessione inse stesso o mediazione, che è 1'< autoeguaglianza ", lasua < mov ntesi eguaglianza > 4, per la quale ilnero Adiventa A: A. Mala mediazione di sé si chiarisce, co-me s'è visto a proposito della giustificazione,nello es-

sere ( sé ' come mediazione, mediazione quindinon as-soluta.La forma delfilosofareè la necessítàú, perché filo-

sofare è mostrare la impossibilitàche non sia ciò che inessa si afferma. Questa necessità però non può veniretrovata come ( immediata r) e come ( presupposta >, chéuna necessità presupposta sarebbe una necessità chenon riesce a mostrarsi < necessaria >. Contraddittoria èappunto l'espressione .. necessità presupposta " perchéil necessario si afferma solo negando la propria non-necessita, si afferma togliendoil suo opposto, il qualetoglimento è necessario comunque, pena la negazione(toglimento)necessaria della necessità (è impossibiledire il necessario senza usare della negazione).

Ma per affermare tutta la portata teoretica dell'affer-mazione hegeliana intornoalla necessità come ., forma ldel filosofarebisogna riandare a quello che nel paragrafo7 della Encic\opedia Hegel chiama il " principiodel-I'esperienza " e del quale egli dà formulazione anche nel-

la sua Storia deîla Filosofiasa, prtncipio in cui si toglieintenzionalmente la possibilità(presupposta) che la fi-lcsofi.a o pensiero speculativo valga comemera ( for-rna > del vero al vero imposta dall'esterno( formalismo):< Per accettare e tener per vero un contenuto l'uomodeve esserci dentro esso stesso '. Qui si afferma l'espe-rienza nella sua radicatrità (totalità),per la quale dellaCI

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stessa esperienza non è possibile parlare come di unoggetto e non si può di essa dire come di qualcosa checi stia davanti, separata originariamente dal pensieroche la assume come suo punto di partenza (ciò che lacriticakantiana mantiene dell'empirismo).Dell'esperien-zainf.attinon è possibile auere esperienza: l'esperienzaè presente a se stessa o non è, presenza o coscienza chela coscienza fa di se stessa come esperienza.

Ma dove non si abbia del concetto altra nozione daquella ( rappresentata > dall'intellettoe non si abbia

se non attivitàastraente ed alterante, mantenere fermoil< principiodell'esperierr/À.> sopra formulatonon puònon importareil rifiutodel concetto, la negazione (in-tenzionalmente non concettuale) del concetto stesso. Que'sto rifiutomateria allora la pretesa di un sapere imme'diato che potrebbe valere anche come ( fede >, giusta lainterpretazione che Jacobi aveva dato di esso. La ratiodi tale rifiutoè tutta, dunque, nella non rilevatapresen-z-a della ragione dialettica, ossia nell'avere pregiudizial-mente ridottoil concetto alla sua rappresentazione intel-lettualistica(astraente-alterante). Ciò che infirmaradi-calmente la valartzzazione del sapere immediatodi con-tro alla ragione è appunto la dialettica, poiché < ladottrina che la dialetticasia la natura stessa delpensiero, o che esso come intellettodebba superarsi.nella negazione di se medesimo costituisce uno deipunti principalidella logica ' 32. Di tale dialettica, nonsaputa al livellonon filosofico(Ia riflessioneancorasoggettiva e formale)si formauna contraffazionenel

rifiutopolemico (la polemica è appunto contraffa-zione della dialettica)della ragione, nella trlloo),oyíadi cui parla Socrate nel Fedone, come Hegel ap-punto ricorda 33. Il sapere immediato sarebbe da unaparte il rifugionella < calma > di una intuizionenondiscussa, dall'altrae contraddittoriamentesarebbe iIrifiutopolemicodella mediazione (negazione, necessità) 2t

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come forma del filosofare;così, anziché < comoda >

come potrebbe apparire, la fuga nell'immediatoè o -tremodo ambigua e contrastata, perché il rifiutoè unaforma immatura(teoreticamente non saputa) della ne-gazione. Dove tale rifiutosapesse la propria ragionetroverebbe appunto quella autentica < ragione o chevieta all'intellettodi valere come l'unica forma deivero e si. negherebbe come rifiuto,coniraddicendosl.consapevolmente ed affermandosi come dialettica.Quel-la pr,r,ooloyíc, che sembra una awersione per la ragio-ne,

sirivelerebbe

intimacontraddizione

della ragionecon se stessa, contraddizioneche va tenuta ferma per-ché si mostri la u ragione > stessa come pensiero chesí solleva nel o puro elemento di se stesso > 34, soprala coscienza immediata ed intellettuale:elevarsi neces-sario al necessario 35 mediante la negazione deli'imme-diato (come mediazione, appunto).

Ancora alla necessità come < forma > del fiIosofareva riportata la critica hegeliana aila < fi.losofiacritica ,kantiana. Ché non è possibile indagare, prirna di proce-dere, sulla facoltà di conoscere, indagare per vedere seconoscere si possa: indagare il conoscere è già conosce-re e quella indagine è anch'essa una contrafiazione del-I'autentica critica (dialettica)consistente nella giustifi-cazione di quelloche può dirsi il " bisogno filosofico' 3u

come il bisogno più alto e che si oppone al mero " in-tellettuale" (al Verstiindig).In quale senso bisogna giu-stificare il pensiero filosofi.co sequesto è necessità? Inquale senso insomma della necessità si deve dare dimo-

strazione necessaria? Da una parte la domanda intornoal senso in cui ilpensiero filosoficoè necessario appareimpossibileché non è possibile collocarsi in una preli-rninare neutralità con-ie era accaduto a Kant, e poi alReinholdper iIquale I'inizio delfilosofareera un filo-sofare ipoteticoe problematico perpresupposizioni pre-lirninari;e si veda, a proposito, il paragrafo 10 deltra2

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Enciclopedía, nonché l'intera Scietrca della I'ogica; per-ché la necessità non può essere ipotizzata come non-ne"cessità onde passare a dimostrarla;d'altra parte, essanon sarebbe veramente necessità (non sarebbe veramen-te pensata come tale) se non fosse giustificatoil suo es-sere necessità, e quindi dimostrata, mediata. Così si vedeche la giustificazionedella necessita del fllosofarehaluogo solo dentro il filosofare, ché giustificare(mediare)è filosofare; la giustificazione stessa di sé è appunto lafilosofiache giustificase stessa come bisogno di giusti-

ficare (che venga giustificatotutto ciò che nell'espe-rienza si da).I1 < principiod'esperiewa> oÍa si rigonzza proprio

in quel < dentro > che appariva nella sua formulazione:1o essere dentro la stessa esperienza per poter dire lasua necessità significache la giustificazionedella neces-sità è la necessità stessa della giustificazione,la neces-sità della filosofia.

5. La determinazione di un<

compito> importa che

si rawisiall'interno dell'assunzione inizialedelle atti-vita umane nel loro < complesso ', la necessità di sta-bilireil nesso tra ciascuna attivitàe lo o scopo > previ-sto di essa, nella unità dell'esperienza, esperienza chepuò dirsi la presenza stessa dell'umano.

Lo scopo è da consideraîe consaputo nel momento incui per esso si prevede la funzionalitàdello strumento,nonché la proporzione tra attivitàed esito di essa: 1oscopo è dunque I'esito stesso in quanto previsto o lastessa prevedibilitàdi un'azione nel suo sorgere come< orientata > dalla sua determinatezza. E' questo da chia-rire, ché parlare di un compito della filosofianello stes-so senso in cui si affidano " compiti> da attuare allealtre attivitàdell'uomo entro la supposta complessitàdelie < esperienze > signifi.cherebbe togliere alla filosofiail suo essere filosofia,imponendole un limiteche essa 23

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cosa importiper se stesso il e ricercare r. Ed è qui che

si pone I'intero discorso fiIosofico,non come ricercatra le altre, né come ricerca suîle altre ricerche, ma cGme presenza. (struttura) del ricercare i:xesse, presenzache è e presente D neUa stessa ricerca che si tentasse diessa e che non può essere quindiil risultato di un pro-cedisrento logico intesoa raggiuugerla.

E si può dire così che la c ricerca filosofrca ' non siattua come un < andare verso r una meta più di quantonon consista nel consapere la presenza stessa di questa

meta nello andare ad essa, presenza che segna di questo* andare > il senso o ilverso ed è, quindi, giàtutta nelsorgere od orientarsi del movimento.Ilmodo d'esseredi questa presenza coincide appunto con il < problematizzare,' propriodella filosofiache è e si mantienesolo in quanto non cede alla tentazione di sottoporre sestessa alla problematizzazionet,ciò che si cerca non puòessere la " possibilità> o intelligibilitàdel ricercare, madella ricerca si sa solo se si {esaspera r la ricerca e nelsenso letterale e preciso del c portarla al limiteD, e sa-

pendo che cosa importiiIconcetto di limiteinerente al-la ricerca ed in quale senso di lirnilssi possa parlaredove si noti che Io stesso limite,una volta posto, devevenire tuttavia giustificato(e quindi almeno in questosenso ( cercato D).

Solo se il concetto di limitesi chiarisce in ordine aIsuo venire saputo è possibile che del ricercare si abbiapiena consapevolezza e, quindi, si riveliil senso del filo-sofare. Ma la questione di che cosa sia filosofiao delsenso del filosofareha a sua volta senso solo se è filo-sofando che si domanda alla filosofiadi avere un senso,di modo che il senso del filosofare è il filosofare sul suosenso: il senso della filosofiaessendo la necessita cheessa sia, il filosofaresi risolvenel senso di se stesso,nel < conceptus sui >, autoconcetto.

Si chiarisce, in tal modo, che la circolaritàdella que 25

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stione della < natura > della filosofia è datadal caratte-re filosoficodi tale questione, che nega senso alla que-stione, se essa non fa di se stessa la consapevolezza disé; ne segue che la << circolarità> è qui la puntualitàoindivisibilitàdeila filosofiae che l'autenticoproblema fi-losofi.coè la stessa autenticita de1 filosofareo la filosofia è autentica solo come ( problema >, che è la filosofia non come problema che si abbia di essa, ma comeproblema che essa < è r, a se stessa, continuamente con-vertentesi in < problema " dell'alffoda sè. Ciò che si dice

" problematicitàpura " è la puntualità in cui I'unicomodo di essere a se stessa < problema " da parte dellafilosofiaè I'essere se stessa solo come ( problema D.

Non v'è dunque un probiema < interno > o soggettivoed un problema < esterno > ed oggettivo dellafilosofia,perché essa non ha oggetto e non ( è >, quindi, soggetto,ed è questo che si dice, a rigore, dicendo che essa èatto in cui e per cui si oggettivizza, problematizzandosi,ciò che < è >, come sua domanda di essere 1)eramente.

Ché, se si desse una <( oggettività" della filosofia,sidarebbe un procedimento di oggettivazione all'internodi essa, la quale sarebbe però all'infinitofilosofiadellafilosofia;e se si desse una soggettività del filosofareog-gettivante, si darebbe L n'oggettivazionedella stessa sog-gettivitàe questa sarebbe, contraddittoriamente,ogget-tivante ed oggettivata.

Con ciò la filosofia nonproblematizza se stessa ogget-tivandosi, essendo piuttosto improblematicoil suo es-

sere < problema > e, quindi, essendo essa tutta e soloproblema; ma proprio nel suo essere problema non ul-teriorizzabilecome tale la filosofiasi attua nella presen-za della .. negazione " ed è la presenza operante appuntodi questa: l'innegabilitàdel problema è la innegabiiitàdella negazione in cui ilproblema si struttura. La radi-cale domanda è ildomandare come < radicale > di che6

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cosa sia (che cosa importi)il ricercare, nella irnpossibilitàdi non negare.

L'atto delfilosofareè tale nella negazione che essoabbia un suo < tema ,, diverso dal suo stesso essere < at-to >: <r tema > può dirsi ciò che I'atto, ponendosi, supe-ra superan{o la pretesa di essere posto una volta pertutte, definitivamente, conclusivamente. Ma qui si inse-risce ildiscorso da fare sulla differenza tra storicità cheè problematicità eil tempo che è " situazione ".

6. Alparagrafo 72 di Essere e tempo 38 lo Heideg-ger dà l'esposizione < ontologico-esistenziale > del proble-ma della storia, proponendo I'interpretazionetemporaledella << cura )r interpretazione confermata dalla tempo-ralità dello essere-nel-mondo, donde il senso ontologicodella " quotidianità". Il principiodella temporalita è ilsenso dell'essere della totalità dell'Esserci, in contiauitàdi esperienze vissute nel tempo; la successione delleesperienze vissute è ( reale o e I'Esserci misura lo inter-vallodi tempo concesso fra due limiti:ilcontinuo muta-re ed ilpersistere di ciò che muta, nel suo essere assolu-tarnente altro da sè, oltre se stesso. La presenza delternpo " è > ilpresentarsi come tefiìpoe 1o < storicizzar-si r, (Geschehen) è I'autoestendersi proprio dell'Esserci,donde la comprensione ontologica della storicità(Ge-schichtlikeit).

Diqui la d.omanda heideggeriana di quale sia il < luo-go, della storia, distinguendo storia da storiografia

(= scienza della storia) e di qui la caratterizzazione deiconcetti volgaridi storia. " L'analisi della storicità del-l'Esserci tende a mostrare che qeresto esistente non èternporale perché sta nella storia, ma che esso, alcontrario,esiste e può esistere storicamente soltanto per-ché è temporale nel fondamento del suo essere ' 3e. Tesiquesta che nel contesto del rnio d.iscorso subisce un ca- 27

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povolgimentopoiché la temporalitànon è qfondamentordella storicità, ma, viceversa, è la storicità come proces-suaHta dialettica a dissolvere il tempo che le viene tem-poralmente presupposto.

Non solo, infatti,il tempo è solo presupposto, maesso è onzi, lî figurastessa del pre-supporre, non soloesso viene volgarmente preso come se venisse prina, maesso è la stessa figura del < venire prima r; cosl che lo< essere-nel-tempo r è ilnon-essere come tale, 1o essente-non sseute -se stesso. La figuradella temporalità (cronologia) è infattila proiezione cosale (fisicalistica)della* processualità. >.

fl tempo, appunto come figura del presupporre, ècontraddittorio,cosl come è contraddittoria la presuppo-sizione (presupposta a se stessa, all'infinito, maivera-mente ( posta r) e consiste nella propria inconsistenza,che è lo antenot'tzzare I'antecedente all'antecedente e il" prima r in cui si vuolvedere il tempo (prima-dopo)non condiziona la presupposizione, ma ne risulta condi-

zionato, chè, se esso(

precedesse n la presupposizione,precederebbe se stesso, ed anche come ( precedente >

esso è tutto c presupposto >, è tutto nello essere pnesupposto, è tutto nel nonessere-posto. Così gli < eventi r chevengono incontro nel tempo (r natura r) come c intra-temporaliD non accreditano il tempo come loro radiceontologica, chè la < intratemporattar è tutt'uno con latemporatta, lo intratemporale nonè I'c evento -nel-tem-po r, ma il tempo nell'evento, internoa se stesso, ildis-solversi dell'evento ne1 tempo che 1o fa u essere ) comenon-essente.

L'affermazione radicale che qui mi sembra da fareè dunque questa: non iî tempo è îI luogo ontologìco delproblema della storìcifa (Hsrnnccen) ma è íl " probletna "stes.so come problematìcitào processuafitA ín atto ad es-sere e storía > (M.GsNrrLa);e lo storicizzarsinon è iltemporaluzarsi dell'intemporale,o il risolversi del dive-8

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niente nel tempo del suo apparire, ma è la storicitastessa dell'essere radicalmente < essenti ) a valere comeI'essere c esperienti r nel proprioc divenire r. Alpara-grafo 73 di Essere e teÌnpo, lo Heidegger dice della( comprensione volgare della storia r che è lo stessostoricizzarsi dell'Esserci, dondeil problema: < che co-sa è originariamente storico>. Bisogna chiarire che cosaè da intendersi per < comprensione >. La comprensioneè lo autoprogettarsi sulle possibilitaconcrete dello es-sere-nel-mondo, esistere come questa possibilita,ed appunto

il diverso concetto deln

mondoo

e dellau pos-

sibilità ' svela la diversita di prospettiva ontologica inHeidegger e in Dilthey.La derivazioneda Diltheydelparagrafo 72 di Essere e tempo è esplicitamente dichia-rata da Heidegger; ma se per il Diltheyla storicità(l'uomo come essere storico) è successività, per Hei-degger la storicita è lo essere dell'Esserci,' dove per ilprimola storicitàè I'orizzonte dell'uomoe quindi il( mondo r dell'uomo, in cui l'uomo si inserisce ed < esi-ste > per una sua inclusione relativisticanella storiadonde il suo condizionamento storico, per il secondo,una volta accolto il motivodella storicità condizionante,la storia è radicalizzata nella stessa < temporalità>. Daun canto, dunque, il relativismo storicisticodi Diltheycade fuoridella mia indagine (indugiare su Diltheysi-gnificherebbe cedere ad una fenomcnologin),dall'altro,iIpensiero di Heidegger, nella sua radicalizzazionedellastoria nella temporalità, è precisamente I'opposto dellamia conclusione, che è chiaramente hegeliana, che iltempo è non l'essere dell'esistente, ma l'esistente svuo-tato del proprio essere.

Questo mio discorso significa daun canto la perditadi ogni interesse teoretico per I'assunzione detrla nq.zione di tempo secondo la linea agostiniana operanteanche in Leibnizao ed in Kant, in cui la considerazioneè descrittiva e fenomenologica (e tale da involvereme- 2E

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tafisiche inficiateda < fenomenologie >), dall'altro signi-fica il ritrovamento dellanegazione del tempo quale af-fermazione autentica del < divenire > e, quindi, la consi-derazione non piir< fisicale> del tempo (quella che vieneaccreditata da qualsiasi fenomenologia del tempo), ma" metafisica ' di esso, ossia del tempo nella sua intima< inconsistenza u, nel suo essere il propriodissolversi.

7. Nella Logica di Jena (1802-03) lo Hegel coglie ilconcetto del tempo nella semplicità del suo essere as-

soluta negazione, come ( limitedel presente >, che esclu-de da sè ogni molteplicità;così che 1o < ora ' è la suastessa negazione, lo < immediato l>contrario di se stesso;e l'astratta differenziazionedell'ora è coinvoltanellacontradclizione.Nelle lezionidel 1805-06, lo Hegel affer-ma che u il tempo è I'essere esistente che immediata-mente non è u e . il non essere esistente che immediata-mente è r. Il tempo è dunque l'esistenza della contraddi-zione che si togliee si supera, il Dasein del costante su-perarsi, chè i suoi momenti sono mere astrazioni nellequali opera la negazione di sè, la <, paralizzante inquietu-rìine del concetto assoluto ,0, Ia vita della contraddizio-ne n1. E' evidente la radicale differenza dei modo di consi-derare il tempo in Kant ed in Hegel, chè dove Kant sipreoccupa della genesi del concetto di < tempo n (pro-blema che segue ad una constatazione riguardante Ia in-derivabilitàdel tempo dalla successione che è, a suavolta, tempo)lo Hegel, superata la contrapposizione fe-nomenistica del soggetto e dell'oggetto, vede il temponella sua ( struttura > e svela la inintelligibilitàdel suoconcetto che è poi la non concettualiz-zabilità del tempo.Appunto sololo Hegel perviene a sapere la pura nega-tivitàin cui si muove la coscienza comune del tempoanche nella sua esasperazione che è il criticismoa2.

Non mi pare, pertanto, che si possa dire che I'analisidel tempo, istituitada Hegel nei corsi del 1802-03, 05, 0ó,

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sia l'esposizione della vita dello spiritocome struttura

temporale, chè l'originalitàdello Hegel in essi è piutto-sto il rilevamento della contraddizione vivente nel tempo(vivente come tempo), e, quindi, la non verita del tempo,Ìa sua < irrazionalità>. La potenza del tempo è solo in-fattila sua impotenza e ciò che mantiene al tempo unvalore è solo ciò che mantiene valore allo < intelletto D efa di questo la esaustione totale della totalità(o, equi-valentemente, la totalizzazione dell'assoluto ).

L'indugio,dunque, sul tempo come tempo è per sestesso eludente la vera ricerca che è attraverso il tempo,attraverso la negatività del tempo, che ponendosi, si negada solo (si contraddice). Attraversoil tempo, diciamo,ossia negando la positivitàpretesa di esso e recuperandola dialetticadel divenire dallarappresentazione astratta,dialettica del divenireche è, a rigore, ilcarattere dialet-tico del divenire come tale, Così, la definizionehegelianadel tempo è < iIdivenire intuito>, ossia il divenire inquanto rappresentato, ildivenirestesso della rappresen-tazione (ilsuo venire meno, il suo non consistere comeconcetto).

" Il tempo è I'essere che, mentre è, non è, e mentrenon è, è; il divenire intuito" (Das angeschaute Werden).Il che significa cheil tempo non è un divenire < este-riore > perché esso non conserva ciò che sorpassa, mache, appunto perché sorpassa se stesso senza conser-varsi, esso non è divenire neanche come ( esteriore > eche la < esteriorità" in cui si ha < rappresentazione,è la negazione stessa del divenireed è u tempo >.

La differenza tra divenire e tempo è appunto che iltempo è tutto nel suo togliersi e non si conserva cometolto, ildivenire invece è il conservare superando e su-perare conservando a3. L'esteriorità del tempo (esteriori-tà ad esso essenziale e che esso mantiene anche se tra-sferito all'internodell'ioo del soggetto, come formadell'intuizione)è appunto la ragione della fatuità delle 3t

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culture nelle guali si ha la c esteriorizzazione dello spi-rito a se stesso p{ la a estraneazione di se stesso che hail suo esserci nel mondo della culturar, fatuita che c habisogno della fatuitadi tutte le cose per dare a se stessa,derivandola da loro, la coscienza del Sè ra5 e il suo sensoè o la inversione di tutti i concetti e di tutte le realta; loinganno di se medesimo e degli altri,{8.Ma qui si an-nida il c cattivo>, in questa singolarità radicata nellafrnitezza < passeggiera e temporale ", la quale Don c è r,essendo unilaterahnente e, quindicome tutta esteriorità{?e si può veramente dire, con buona pace di Kier-kegaard e dei suoi italicidivulgatori,che < il cattivoconsiste nell'aver cura di sè come singolo r 18.

Il tempo, come finitezzaunilaterale è dunque l'oastrar-re che insieme è ,, n"

" vale come lo astrarre dal divenireconcreto, non come la condizioneconcreta (anche come apriorí)del divenire esperito(Kant).E quando lo Hegelafferma che < le dimensioni del tempo sono il presente, ilfuturoe ilpassato, sono ildivenire come tale dell'esteriorita r 50 rlon afferma un diveniredell'esteriore (la rappresentazione), ma un suo " finire> che è il trapasso nelnulla, lo essere tutto nel nulla di questo trapasso, cosìche c il passato e il futuro del tempo, in quanto sono nel-la natura, sono lo spazio; perché questo è il tempo nega-to: e così lo spazio superato è dapprima il punto, e,per sè sviluppato, il tempo ,' sr.

Si incontrano così puntualmente nel pensiero diHegel le affermazioni prospettabili del nesso tra storio-grafia naturalistica e confusione tra < storicità > e < tem-poralità ,r, così che ilmio discorso si chiarisce come he-geliano nella misura in cui è chiaro in Hegel il caratteremeramente astratto e, quindi,matematico, del tempo,così che voler salvare il tempo come < durata u indivisi-bile dalla matematizzazione (Bergson e suoi epigoni)èun compito inattuabile, il tempo essendo, giusta lo stessoetirno delia parola 52 < divisione >.2

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8. IlCassirer nella sua indagine su1 tempo, come < for-

rna simbolica ot"

rileva come al tempo, forrna onnicom-prensiva dell'esperienza, laoÍtsia essenziale lo spazio, iiquale, invece, sarebbe essenziale aI linguaggio, ossia al.< dire > il tempo, linguaggioper se stesso miticoin cuiil < di > oggettivante irnportapur sempre un'alteritàspaziale (spazializzante). Dunque, egli intende distin-guere il < tempo > come effettiva dwrata, o " verità > delconcreto, dal tempo inteso come estrinseca misura (e siriflettein questa sua posizione la ormai classica criticabergsoniana della

"temporalità> e I'afiermazione della

.. durata ", irriducibileal tempo s+1. Ma in Cassirer v'ètuttavia ancora I'ambiguitàtra il < tempo > e la funzionegnoseologico-linguisticadel < dire il tempo rr, in cui lospazio entrerebbe alterando la a indivisibilità' origina-ria del tempo: egli, insomma, rnantiene al tempo unaduplice accezione, distinguendo da esso Io ., spazio r.

Se non che, il tempo non può, a rigore, venire rap-presentato se non spazialmente ed anzi questa spaziali-tà rilevache il tempo è per se stesso concettualmente

nullo,inintelligibile,come inintelligibileè a rigore lospazio. Ed è quanto ci accingiamo a vedere. Poiché iltempo è tutto nella rappresentazione di ciò che accade,lo accadimento nel tempo si risolve nellafiguradel " pri-ma D e del < dopo ,' i quali, non appena si pongono, sireahzzano anche come < indietro > e .. avanti ,t, e si dice,infatti,che il futuro ci sta davanti e il passato ci stadietro e, comunque, il tempo è visto sempre nella suaprogressività in funzione del futuro e del passato che

sono irreversibiliappunto perché disponentisiin .. pro-gressione > spaziale I'uno accanto alt'altto.In tanto è possibile univocizzare lo < accadere >, in

modo che si dica un < accadimento > dopo l'altro e si sta-bilisca la" continuitàD di questi accadimenti cercandonela < storia >, in quanto si ponga una tale .< unità > chepermanga neL succedersi di quei momenti nei quali si 33

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vede < accadere ) gualcosa. Precisamente è da vederecosa significhiquesta unità in cui si situano quei mo-menti, e che non si moltiplicané si divide ma resta sem-pre la stessa appunto perché in essa quei momentisi si-tuino e si situi il rapporto tra ciascuno di essi e l'acca-dimento connessovi.

Il tempo si ha così come tale da dividere gliaccadi-menti tra loro in ( contemporanei >, ( precedepfi >, < Suc-cessivi >, almeno come disposti in modo che si dia unsenso alle espressioni correnti ( serie del tempo >, < ordi-ne del tempo >, < insieme del tempo >. Tutte immagininelle quali il tempo è per se stesso .< spazio > orientatoalmeno per un verso (spazio in movimento). Ciò che ap-pare determinante qui è appunto lo < stare > (o situarsispaziale) in cui solo si possono fissare i < momenti >

funo infunzione dell'altro, sia pure come orientati l'unoprima dell'altro.

Diciamointanto che il tempo è necessariamente as-soluto, nel senso che esso non può non venire postocome ( qualcosa > in cui accadono gli" eventi >, in cui

i momentisi succedono55,

anche se tale misura è larelativitàdi essa agli accadimenti, la relativitàche faessere un evento accanto all'altrose non altro perchésussista la possibilità di far coesistere l'accadimento insimultaneità con altro accadimento (se questa simulta-neita venisse meno, non vi sarebbe cronologia).

9. Il tempo è tale che in esso ci si trova situatinelmomento in cui ci si trova esperienti (sapendosi c io "nella successività delle

"esperienze

").Questo trovarsi

situati in esso significache non è possibile pretenderedi " dire > il tempo come estraneo al nostro stesso dire,e non è possibile che sussista una differenza effettivatrail tempo che < è > e il tempo che < si dice >, tra il tempoe la posizione che 1o esprime linguisticamente(anche il., dire > il tempo, infatti,appartiene al tempo e nel tempou:

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solo è possibile dire e ciò che è nei tempo e ciò che si

" ritiene ) non riducibilead esso).In questo senso, il tempo è < intrascendibile > (anchedire li, eterno > è dire nel tempo ciò che non n è > tern-porale); ma questa intrascendibilità del tempo non irn-porta per se stessa la assolutezza del tempo, intesa comeesclusione dello .< intemporale ), ma solo la < assolutezza >

del tempo intesa come la sua ( coestensività ) con l'espe-rienza. Questa differenza tra le due signi-ficazionidellaassolutezza del tempo va dunque giustifi.catae mante-

nuta. Dire che il<t

tempor,

è lo..

schema>

della rappre-sentazione successiva non è spiegare il tempo, ma ripro-durre nella espressione ( tempo-come-schema " il pro-blema che il tempo poneva semplicemente come < tem-po ". Il " poi, in cui si vede la posizione di ciò che nonè accanto ad altro e che difierenzia il < tempo > dallo" spazio u (lo spazio è tutto " insieme )' e non ha bisognodi un dopo) non è ciò che spiega il tempo, ma ciò che,incentrando in sè il ternpo, esprime lo acme del suoproblema 56. Per poter dire, infatti,che x viene dopo ybisogna che lo y sia saputo senza ciò che lo . segue >,così che lo x, saputo per se stesso, non ( segue D ma sem-plicemente si pone: si sa che x segue y solo se si man-tengono in qualche modo nel medesimo tempo x ed y.

La chiarificazionedella nozione di u tempo > incen-trata nel u poi n si ha mediante una precisazione traquello che si potrebbe husserlianamente dire il ( tem-po fenomenologico> e quello che potrebbe dirsi il " tem-po cosmico ". Allabase di questa differenza, infatti,sus-

siste la distinzionetra la .. successione delle rappresen-tazioni o e la < rappresentazione della successione ,r:quest'ultima non risulta dalla prima, chè della succes-sione non si dà successione. Possiamo convenire di chia-mare tempo fenornenologicola < rappresentazione dellasuccessione " e di chiamare tempo cosmico la < suc-cessione delle rappresentazioni u, perché il* cosmo > co- 35

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me ambito di queste successioni non può venire saputo

come tale se non rnediante quella ( rappresentazione "delle successioni che non < deriva ' da ciò che essa con-diziona. E' da vedere, a proposito, il testo husserliano, alquale rirnando 57; rna il testo husserliano non mi pareintegriil testo kantiano, chè, anzi, il significatodi essomi pare che sia proprioquello kantiamo deltra .. inesperi-bilità" del tempo, ilquale non < è > un concetto empirico(derivante dall'esperienza), non è un .. fenomeno > tra ifenomeni, nonè, propriamente, una rappresentazione trale altre, perché non può mai essere o valere come og-getto di percezione. Esso tuttavia < appartiene > all'espe-rtenza come sua costituzione, costitutivodell'< oggetto >,chè non v'è oggetto che non sia < situato >, che non siaun <( momento > del tempo stesso in cui è dato, che nonvenga prima o dopo altro oggetto. Si potrebbe dire kan-tianamente che il tempo non è oggetto ma è la stessa< esperienza > dell'oggetto.Per Kant infatticiò che si dicedell'esperienza si deve dire del suo oggetto; ilquale nonè < trovato > dall'esperienza, ma è strutturato dall'espe-rienza, tutt'uno con essa. Ed in questo senso I'esperienzastessa è temporalità.A rigore però si sarebbe potuto evi-tare di parlare di < rappresentazione ' del tempo, chèappunto esso è << struttura > del rappresentare (strutturadello esperire come rappresentare). Sembra invece cheKant si sia fermato a metà strada ed abbia si scopertola inconsistenza noumenica del tempo, ma che lo abbiaempiricizzato,a suo modo, trasferendo il tempo assolutonewtonianoalf interno del< soggetto >, come sua strut-tura ed anche come <( intuizione> pura e a-priori.

Il tempo al quale Kant si riferisce è tutto intero iltempo della " coscienza cornune r, l'ambitointenzionaiedelle circosta\ze e degli u accadimenti ". Ciò che sembramancare in effetti allasua indagine ó8 è precisamenteil concetto di < istante u in cui il tempo incentra la sua6

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peculiarità,corîe era stato visto da Platone nel Par-menide.Ciò che importa a Kant è piuttosto la genesi 5e delconcetto di tempo (il segno di questo problema è la in-d.erivabilitàdel ternpo da ciò che si situa in esso, la ne-gazione del suo essere esperibile). Poiché il .. tempo u èinderivabile,e poiché esso non può non essere costitu-tivodeil'oggetto esperito (la < sensibilità >), si passa adaffermare la sua apriorità,che è trasferimento di essodalla rudimentale posizione della cosa .< fuori dime,

nelia sua posizione .. in me >, trasferirnento che mantienela nozione di tempo come la coscienza comune lo con-getturava, con la variante, ad esso estrinseca, del suoessere nel soggetto.

La domanda " donde il tempo? " si pone come origi-nario contesto logico dell'afiermazionekantiana deliasoggettività del tempo, la quale ha la struttura della de-terminazione del o iuogo ideale > del tempo: egii non siclornanda che cosa " è > il tempo, ma .. dove " esso sitrovi,il suo < luogo >; il concetto che Kant ha del tenpoè presupposto dunque alla sua ricerca, che riguarda laoriginedel ternpo e che riproduce surrettiziamente iltenpo nella questione della sua < origine '. Ma allorchéiLconcetto di tempo si affaccia problernaticamente, la so-luzione del problema che Kant propone è anccra ilpro-blema mantenuto allo stato di insolubilità,corne è nel-I'espressione kantiana dell'arte segreta e nascosta in senoalla " natura u (ilvago e miticoconcetto baconiano del .o.l. scherna ").

Una riprovadelia rnancanza di penetrazione cielconcetto di ternpo nella sua naÈuía efîettiva(e nonnel problema della sua origine)si ha nella mancanza del-ia chiarificazicne del rapporto fta simultaneitàe succes-sit:ità. Infatti,dove si parla di ( sirnultaneità " è ne-ccssario che si pongano plrì termini(aimeno due),tia lcrc spazialrnente divisie che < accadano > nel 37

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medesimo tempo; e senza questa spaziafita inerente a[-

lo < accadere > di più di uno non vi sarebbe " simul.-taneità, (l'unonon è simultaneo a nulla),così comela posizione della spazialità per il situarsi di più diuno, simultaneamente in " luoghidiversi >, supponeil ( cangiamento >, ossia ilpassaggio ideale di un situatoad altra < situazione >, restando ciò che esso è, chè, senon vi fosse questa possibilitàdi cangiamento, ciascuna< cosa > si identificherebbe con ilproprio luogo, con ilproprio ubí spaziale e non vi sarebbe rappresentazionedello spazio, e neanche si potrebbe dire che la cosa è spa-zialmente situata; ma il cambiare di luogo restando ciòche si è significache < prima > si è in un < luogo r e< dopo n in altro, signifi.ca, insomma, involvere la nozionedi tempo. Con che resta già affermatoche tempo e spa-zio sono reciprocamente la spazializzazione del tempo ela temporalizzaziome dello spazio, ne1 senso che non sidà l'uno senza l'altro.

Se la coscienza comune immagina il tempo come ciòche cambia continuamente, l'affermazionedi Kant è

sostanzialmente che qualcosa cambia essendo nel tempo.Ma la rigorizzazíonedi questa affermazione è, piuttosto,che il tempo è lo stesso cambiare, la struttura del cam-bia.mento in quanto ( rappresentata >. E si profilaquila famosa definizione hegeliana del tempo, di cui si èdetto.

La connessione tra spazio e tempo è dunque tale cheil tempo non è la originaria posizione di qualcosa indi-pendente dallo spazio, così che si possa attribuireallo

spazio la responsabilita deila alterazione del tempo nel-la rappresentazione di esso (come il Cassirer sembrasupporre), ma il tempo è per se stesso ( spazio >, la spa-zializzantesi rappresentazione del d ivenire.

Dove infattiil senso comune congettura il tempo c+'me un presupposto dell'esperienza, di natura .. reale r,ossia ccme ciò in cui il singolo si situa per essere in

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condizione di venire ( esperito r, la coscienza filosoficascopre che il tempo non è an presupposto dell'esperien-za, ma che esso è la stessa struttura del " presupporre >,come un << pr > rispetto al porsi della cosa stessa: nonil tempo si presuppone, ma pre-supporre è temporaliz-zare, come è chiaramente in Hegel.

Ne segue che l'operazione kantiana di dire il tempocome soggettivo ed a-priori nonè propriamente filoso-fica, perché essa mantiene il tempo come un presuppo-sto, che sia a-prioririspetto all'esperienza di cui è pre-

supposto, il presupposto essendo spostato così dall'espe-rienza alle sue condizionisoggettive e trascendentali.L'operazione kantiana infattiè ancora di natura u feno-menologica )D e questo spiega perché Kant possa parlaredi u rappresentazione > vuota e perché egli possa ritene-re appunto di " rappresentarsi " il tempo nella sua stessafunzione costitutiva dell'esperito, come ciò che condiziena l'esperito nel suo situarsi ( oggettivo,n e fenomenico.Ciò che manca effettivamente all'operazionekantiana èla consapevolezza che il pre-supporre iI tempo (fuoriodentro dell'<io ") è ancora tempo, e cosl il tempo presulFporrebbe se stesso.

Ltdentitàstrutturale tra il tempo di Kanted il tempodi Newton significa cheil movimento logicoche fa deltempo kantiano un a-prioriè tale da assumere tutto in-tero il tempo < assoluto " di Newton cosìda farne un< qualcosa > che non è nella realta se non come sua for-ma o funzione, mache non è, per questo, meno <( assolu-ta >, meno .. qualcosa >. L'enti.ficazionedel tempo, che è

di natura mitica, ed in prosecuzione logica con la conce-zione < mitologica >' del tempo come destino, è respon-sabile precisamente della configurazionedel tempo come( necessitante,n I'esperienza ed a-priori rispettoad essafinoa che non si sappia la sua non (realtàn: è unariproduzionead altro livellodella " realtà D presuntadel tempo. 39

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E' da chiedersi ora perché si sia potuto < immagi-

rrare )) o congetturare il tempo corne un < ente " che ab-bia Ia medesirna realtà di ciò che si ritienesituato inesso, realtà .. fenomenica >, almeno come condizionanteil fenomeno, o strutturante costitutivamente I'oggetto.Se si tiene conto del fatto che iI tempo indica un < pas-sare > e che questo < passare n si rappresenta mediante(mediatarnente) i terurinicome un ( muovere Ca... a... o

si vede anche che quel passare che è proprio del temponon è un ( muovere da... > rrla un <( passare attraver-so >,

incui si dissolvono i terministessi (passare non

da un termine ad altro, ma passare che è dissolvei:ei termini<( per > i qualisi passa). Diqui la necessitàcli esaminare il concetto di " passaggio >.

10. Lo in-stans in cui si incentra il tempo è tale cheesso non sta in altro se non in questo essere sernpre inaltro e, perciò mai < in se stesso >, sempre in altro, equindi alterantesi continuamente per cui esso mai è sestesso.

Il succedere in cui si " vcde " il tempo è taÌ.e checiascuno dei termini< succedenti > si dispone su di unalinea orientata con un <( verso > di percorrenza; ma èproprio questa linea e questo verso, senza dei quali nonsarebbe possibile . descrivere n la successione, che com-pLicano il rapporto tra il momento del < passare ' e ilpassare attraverso i mornenti. Infatti,la linea che .. con-giunge, ciascun mornento ad altro momento deve poteressere indipenCente dai rnomenti perché, se fossero irnomenti a farla essere, dovrebbe darsi sempre un'altralinea secondo cui i momenti < procedono > ordinandosiin successione, riproducendo la necessità che la lineasia da essi indipendente.

Conveniamo di denominare < pi,rnti> i singotrimomen-ti della successione, per la loro * indivisibiiità>; si ha,quindi che ilpassare che dà il ( succeclere > è un passare0

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da un punto ad altro o un passare attraverso un punto

ad altro punto. Se il < passÍrre da " implica Iaimmobi-iitàdei punti dai quali si passa, il < passare attraverso >

implicala divisibilità delpunto e, quindi,la sua nega-zione (non, si badi, il suo superamento in altro punto,ma il dissolversi del punto, il suo non essere punto).Ora, sia la immobilità,sia la divisibilitàsono esclusionidella successione, perché la immobilitàrende ininteili-gibileilpassare, affidando ad esso tra ratio dei suoi stessiternini (come produttiva dei suoi termini,come < spon-

taneità>, < creazione r),

la divisibilitàè

laperdita dei

singoli momenti l'unonell'altro,il loro non <consistere>.Ilpassare, comunque, non può venire detto senza che

si presuppongano i mornenti nella .. enumerazione ' diessi, così che se fosse in guesto passare (e la storia fos-se temporalità) la successione sarebbe del tutto super-flua, quale < ripercorrimento" di se stessa, posteriore ase stessa perché < posteriore ', a quella linea ideale sucui si dispongano i suoi momenti, nella loro successi-vità 60. I-a storia sarebbe un processo di storicizzazionedello " astorico ), quale combinazione di due presenze,la presenza dei ( momenti > e la presenza del < movimen-to > e questa combinazione sarebbe il {(passare >.

Dire che dal punto A si passa al punto B significache al punto A viene sostituito ilpunto B: sostituire si-gnifica riprodurrela .. figura " di A nella figuradi B,perché B non sostituirebbe A se non fosse < uguale >

ad A. Ora, l'eguaglianza tra Ae B se da un canto rendepossibile la sostituzione (eguaglianza è operativamente

sostituzione), dall'altrorende irnpossibile il movimento,perché l'unicornovirnentoche essa consente è quellodella " reiterazione " dell'identico(l'eguaglianza è rap-porto identico di piìlterminiad un ierrnine unico), incui si ha la rnera numerazione per la cuale ogni numeroè l'. uno > che resta tale anche preso più volte,cosicchéin essa non v'è movirnento61. 41

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Ilmovimento che appare nella sostituzione è appunto

quello che è importato dal porre B al posto di A; ma sesi riflettesul fatto che A viene tolto dal porsi di B eche B si pone al posto di A solo perché A non resta alsuo posto, si vede che la << successione ,r, in cui si attuila sostituzione è tale da riprodurre la irrazionatta delsuo processo. Perché B sia sostituzione di A, bisogna cheA venga ( conservato ) propriodalla sostituzione stessa,conservato come tolto, per dire con Hegel; ilmantenereA è essenziale al porsi di B, cosl che v'è almeno un senso(:

unverso)

in cui B nonsuccede

ad A, macoesiste

con A, è compresente ad A, descrivendo un insieme cherappresenta non pure lo < spazio ' ma anche la spazia-lità intrinseca al tempo (lo essere rappresentabilità comespazio da parte del tempo).

In questi termini, la mera successione contraddice sestessa, perché si risolve in un passare che è gia aftuato,poiché appunto la compresenza dei termininella so-stituzione è la puntualità in cui Ae B sono indivisibiliI'uno dall'altro, perché essenziali l'uno all'altro.Con ciòperò la immobilitàsarebbe già implicitamentedetta eil .. passare " già escluso, proprionella ricerca delle suecondizioni.Ma la consapevolezza del < passare > è nello( essere passati u, è nel passato, perché in tanto so che tssuccede ad A in quanto so che A è passato, ma anchecome < passato > esso è presente, non solo perché sa-perlo << passato > è un sapere presente, ma perché senon è passato non può essere giìt. saputa la sua u pre-senza >.

Ilpassato in questo senso è la radice del presentecome consapevolezza del " tolto > e il < ricordo n è essen-ziale alla storiografia proprio nell'essenziale conservareciò che si toglie. Nonsolo il presente è nel sapersi pre-sente; esso, non appena ai ripropone su se stesso, nellaoggettivazione di se stesso, diventa un passato. Ma, inquesto appunto si ha la ( rappresentazione n che non2

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è < pensiero >, perché non è presente ma passata, il pas-

sato di se stessa senza riuscire tuttavia ad essere sestessa come ( passato >.Nello essere < passato ,n del passare si ha la negazione

propriadel passare, perché quella presenza che lo saCome ( paSSatO ,n nOn può ( passare >: essa < è "; Sempli-cemente la sua attuatta. è nello essere atto che, appuntorestando tale, non può decadere a ( fatto >, esso è nellasua stessa impossibilitàdi venire <( attuato >, di cessaredi attuarsi, "attualità>non presentificabile(=non og-gettivabile)della presenza (- dell'essere) 62.

ll. ILdarsí successivo dell'interosembra caratteriz-zare la fenomenologia come < analiticitàa dei terminitra loro diversi, in quanto l'uno può darsi indipendente-mente dalI'altro (separatezza è indipendenza). Ma pro-prio qui si rivela la complicatezza della cosa, perché lasepatatezza (e findipendenza) debbono essere recipro-che, ossia una cosa (un < dato r) non può non mantenereuna relazione con ciò rispetto a cui è indipendente, re-

lazione che esclude, tuttavia, l'assolutezza di quella in-dipendenza, e fa della relazione un porsi di ciascun ter-mine per il " tutto >, così che il darsi sarebbe ( un pocoper volta >, un poco o partitamente, per voltao succes-sivamente; la divisione è qui infattisuccessiva e quinditemporale. Ma appunto lo ., un poco per volta l> non èl'interoche si dà, chè se il darsi è necessariamente suc-cessivo, I'intero non è possibile che si dia, poiché nonpuò essere ., intero > ciò che si dà.

I1 tempo è dunque estrinseco all'intero,o estrinsecaè la sua temporalizzazione, poiché il tempo, dividendol'intero, in effetti lo assume nella sua rappresentazionein modo da considerarlo < divisibile> (l'interoè già di-viso nell'affermazione pregiudizialedella sua < divisibi-lità D);ma l'intero,pensato come divisibile, èsemplice-mente la contraddizionedi un indi-risibile(intero) che 43

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può venire diviso(successivamente, temporalizzandosi).

Lo intero, infatti,non può non darsi completamente(non può non essere " intero > nel suo stesso darsi),così che se ii < darsi ,, per se stesso importasse la divi-sione dello < un poco per volta n, l'interonon potrebbedarsi affatto:darsi non completamente è, in questosenso, completamente non darsi, non darsi affatto.Sisuppone, infatti,una impossibiledualità tra il < darsi "e ciò che si dà (lo < intero ").Ciò che divide l'interoè, piuttosto, ciò che lo faentrare, come <( parte >, in un tlrttocostruitoe, quindiftttizio:1o intero non sarebbe infatti< intero > se fosseparte, e quel tutto che comprende l'intero come sua partesarebbe desso l'intero esarebbe ( parte di se stesso ".Il carattere di costruttività del<( tutto >, comprendentel'interoe la sua assunzione, è tale che l'interoè già personel momento in cui lo si assume (l'interonon può venireassunto ,r, nello stesso senso in cui, si diceva, I'interonon può < darsi >).

La divisionedell'intero,dunque, è piuttosto la molti-plicazione frttrz.iadell'interoreiterato all'infinito,ia reite-razione indefinitadell'intero,mai veramente < intero >

o già intero all'inizio,da sempre. L'interosarebbe sem-pre ilmedesimo e, quindi,superflua sarebbe la sua ri-proposizione, la rnoltiplicazione dellasua assunzione: lamoltiplicazioneè la stessa divisione il cui risultato èsemplicemente l'interocome <( presupposto " (far risul-tare un presupposto equivale a presupporre un risulta-to, a non far risultarese non ciò che già è alfiniziode1 processo). Così, se I'intero potesse venire moitiplicato, come accade presuntivarnente per I'assunzione riiesso nella successione dello n un poco per volta rr, f in-tero si darebbe ogni volta tutto intero e il suo darsi nonsarebbe o successivo )), rrfa ( identico > e la sua slicces-sività sarebbe solo la " coscienza empirica > che < pro-duce o figure cliverse dall'identico,proiettando se stessa4

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sulf intero, componendosi con esso; problema dunque

fittiziodella conoscenza separata pregiudizialmente dalconosciuto e la < storia > sarebbe il successivo ren.deresuccessivo lo < astorico >, ilnon-storicizzabile.

E' questo il senso in cui posso dire che il iimitedellaf enomenologia stortca è Ia successione: coscienza, co-scienza di sè, ragione; successione che accrediterebbeun'interpretazlone analiticadelTa Fenomenologin d.elloSpirito hegeliana, analitica perché dovuta alla scompo-sizione 'risolutiva'nei < momenti > e quindi temporale,

e presupponente se stessa all'infinito.Ma appunto quesiainterpretazione suppone che la coscienza faccia esperien-za di sé nei fenomeni, ritrovandosidopo essersi perduta,dopo essersi alienata e che essa sia prima una coscienzache non sa di essere coscienza e che pcssí a sapersi di-venendo se stessa.

Questa interpretazionedella Fenomenologi.a. hege-liana, per la quale essa varrebbe come la < temporaliz-zazione > dello spiritoassoluto (e la storia sarebbe u cro-nologia >), potrebbe trovare una qualche giustificazionenetrla incauta identificazionehegeliana tra .r logico> e.. cronologico)r, tra cominciamento ed < inizio" (per laquale lo Hegel poté far coincidere il cominciamento filo-sofico con le prime filosofie,le pifr" indeterminate > e,quindi, le più <( povere o), ma ciò che viene meno inquesta interpretazione è appunto la < coscienza ,, la qualesi ridurrebbe a < tempo di se stessa >, a se stessa come< tempo D e nella contraddizione di sé. Se il tempo fosseintelligibile,la coscienza (o intelligibilità)sarebbe inin-telligibile, nonsarebbe.

4.5

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I

Nullavi può essere di ovvio'in filosofia,perchése qualcosa di owio vifosse esso limiterebbe lafi"lo-sofia, arrestando il suo totale ricercare e la fi"losofianon sarebbe ciò che è, totale ricerca o puro pro-blema'. Anche questa caratteristica della fllosofiaè del resto tutt'altroche owia e deve venire dimo-strata; essenziale atrzi alla filosofiaè dimostrare cheessa non può non essere ricerca totale, D'altrocanto,che essa sia totale ricercare nella esasperazione

(: riconduzioneal limite)di qualsiasi ricerca particolare non può valere come un risultato' diuna di-mostrazione che muova da premesse, perché le pre-messe almeno non potrebbero essere filosofichee lafilosofia,risultando da altro, sarebbe sempre. altra ,'da se stessa nel suo risultare e non risulterebbe mai;ché se quelle premesse fossero filosofiche, sarebberoposte dalla filosofia,poste dal loro risultato, nonsarebbero premesse o.

Poiché nulla vi è di owio, tuttociò che si pre-senta come owioè nulla;e la sua owietà è tutta(- solo) nel suo presentarsi. Non basta quindichequalcosa si presenti perché essa sia vera5. Perchéqualcosa veramente sia bisogna che risultinon veraIa sua negazione, bisogna poter negar:e la possibi- 4niI

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litàdi negare quella cosa. Affermareil vero, infatti,non si può se non si afferma verarnente, e vera-mente non si afierma se l'affermazione non è tut-t'uno con la cosa affermata, essendo tuttîno conla non-verità della negazione di essa, essendo cioènegazione dell'opposto. Fino a che non si pervengaa negare questo opposto, questo opposto è semprepossibile, sempre presente, così che quaiunque cosasi dica viene continuamente tolta dalla persistentepossibilitàdi venire tolta. La vera affer:nazione èdunque la negazione di questa possibilità,la qualesi converte nella sua stessa impossibilità(: si con-traddice);questa conversione che svela ilnon veroafierma veramente ", è, anzi,la verità dellacosa affer-mata, la quale, così, afferma se stessa.

Non si può dunque affermare (sapere, quindi,cercare) ilnon-vero, perché ilnon-vero non < è r edaffermare ilnon-vero sarebbe non-affermare. Ma an-

che, ed è qui il paradosso, non si può affermare ilvero se questa afferrnazione si mantiene originaria-rnente distintadal vero di cui è affermazione, per-ché se I'affermazione fosse originariamente distinta,potrebbe anche non essere vera, il che, si è visto,è impossibile;dunque, affermare il vero significapiuttostoafiermare veramente, dove ilvero non ècosa che viene affermata, ma cosa che afferma sestessa, se stessa in questa a$ermazione, che è I'at-tualità del suo essere (l'essere, ilvero, è atto).

Che nullavi sia di owio importa che si debba*domandare tutto o'. Dunque il pensiero che in-tende la concretezza della cosa si attua con la scepsi,la quale radicalizza le affermazioni nella loro ne-cessita di essere ( vere ,, di essere, semplicernente,8

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così che non è vera affermazione quelia che dica ilvero senza saperlo tale, senza sapere mediatamente,senza sapere insomma che cosa significhi{<vero >.La scepsi dunque si attua all'interno del.. presen-tarsi > della cosa come vera e consiste nei modo incui veramente si afferma la cosa nella sua verità.

Nel suo << presentarsi " la cosa fa sì che certezzae verità coincidano, perché ogni certezza pretendedi essere vera (se dubitasse di essere vera non sa-rebbe certezza);

macertezza

e verità nonsono la

stessa cosa, non si identificano (se si identificasseroverrebbe meno la ragione di parlare di certezza, ra-gione che è la stessa affermazione non dubitabiledel vero, del vero che è la ratio stessa della indu-bitabilità).La scepsi è dunque radicale per se stessae non viene estesa a tutto per una qualche inten-zione di sottoporre tutto a dubbio dopoche si siastati nostro malgrado costretti a rinunciare ad una

qualche particolare certezza (Canresro), ma è la ra-dicalitàdeil'affermare, essendo f intima condizionedella certezza di valere come verità.

Ne segue, prima di tutto, che il senso comune, ocomune coscienza, non afferma veramente nulla; nonsi dice che esso d.ica necessariamente cose non vere, sidice che esso non dice nulla veramente qualunquecosa dica, se resta << comune >, se resta cioè pretesadi sapere immediatamente, di sapere senza attuareuna radicale scepsi intornoal proprio sapere. Insecondo luogo, la scepsi si estende a tutto, ma nonal " tutto > astrattamente preso (questo tutto nonsarebbe mai dato, e dovrebbe venire < dato > previa-mente all'attodella scepsi, e la scepsi non sorgereb-be mai, mancandole il termine su cui attuarsi); rna 49

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si applica a ciascuna cosa nella sua verità pre-tesa;

si applica nel senso che si attua nel porsi stesso diuna qualsiasi affermazione, la quale pretende di va-lere nel momento stesso in cui si pone.

In questo senso, la scepsi integrale involvein sestessa l'esclusione che la negazione ad essa inerentesia necessaria ed assoluta, perché una scepsi asso-luta escluderebbe tutto, ma varrebbe a sua volta co-me immediata datità di questa esclusione. Lo scetti-cismo

integraledunque è

la negazione dello scettici-smo assoluto, perché la negazione non può essere as-soluta e la sua necessità consiste appunto nella suaimpossibilitàdi venire negata e di venire afferrnatacome necessaria. Così, se non si è scettici non si pen-sa, ma se verarnente si pensa non si è più scettici.

II

Sapere l'immediatonon è sapere I'irnmediatezzadell'immediato,perché sapere l'immediato(fenome-nologia)è un sapere immediato,immediatoanche co-me sapere e quindiancora non-sapere (< sostanza >,nel linguaggiohegeliano). Il sapere dell'immediatonon sarebbe tale se non fosse a sua volta .. imme-diato >, perché la immediatezza non è della < cosastessa )>, ma del suo presentarsi: la immediatezzanon è detrla cosa, la quale non può essere se nonf identità semplice di sé con se stessa, ma del modoin cui di essa si dice, anche del modo in cui si dicedi essa che < è u ed anche si può dire che l'immedia-0

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tezza è tutt'uno con quel preteso sapere che nonsa I'immediatezza della propria pretesa.

Sapere l'immediatezzaè negare quella negazionedel sapere o della rnediazione che consiste nel saperestesso che di fatto ogni < immediato o è, nel suo con-trapporsi al pensiero, come ( estraneo , ad esso:l'immediatosi pretende tale in quanto si pretende( estraneo ,' al pensiero che è mediazione. Saperef immediatezza è sapere mediato, ma nel senso che

il sapere è mediazione o non è sapere e nel senso chesapere irnmediatamente è immediatamente non-sa-pere.

iII

E' dunque veramente posto ciò che non è imme-

diatamente dato, chè l'immediatezzaè della sua" datità n, la quale fissa la cosa in una ( esteriorità >

e importa nel suo essere < data > tutte le aporietipichedel naturalismo'. E' veramente posto ciò cheincludenella sua posizione la giustificazioneo me-diazione della sua validità,perché solo così esso è sestesso, integralmente.Ilvalore di un qualche discor-so è infatti,inizialmentealmeno,la sua pretesa di va-lere, perché anche nel caso in cui si pretenda di ipo-tizzare un discorso del tutto privodi valore, non sipuò non commisurare questo discorso a quel ., va-lore,' rappresentato dalla pretesa assenza di valore.L'ambitodel discorso è dunque, in ogni caso, il rap-porto tra il suo porsi e iivalore per ilquale esso in-tegralmente si pone. 51

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Ne segue che la determinazione è tutt'unocon lavalidita,così che veramente.. è' (= veramente è de-terminato) quel discorso che non solo mostra (pre-tende) una validitapresentandosi, ma prova la legit-timità diquesta sua pretesa, pretesa implicitadel re-sto nel suo stesso presentarsi. Infatti,fino ache ildiscorso non si attua negando l'altrodiscorso che sipone accanto ad esso quale possibilità di negarlo,ogni sua posizione è in-determinata e, quindi,perI'equivalenza tra indeterminato e nulla, è nullo.

Ne segue anche che la concretezza di ciò che sipone è la sua determinatezza,la quale è la integralitàdi ciò che si pone e della negazione da esso attuatadella possibilitàopposta, così che è ., concreto ', solociò che i innegabile: concretezza dunque è innegabilità. E ciò che può venire negato è quindigià negatoda questa possibilità, non veramente è posto, è po-sto solo astrattamente; poiché la negazione che tro-

va, attuandosi, la innegabilitàdella cosa è pensiero,la concretezza della cosa è << pensiero n.

IV

Poiché affermare veramente è veramente negaree poiché la negazione è tale nella esclusione dellairnmediatezza,la negazione è pensiero e la verità oconcretezza de1la cosa affermata è la sua innegabilità,la quale è o pensiero u. Perciò la filosofiaè idealismo.Ma poiché i'affermazione della cosa è <( vera ,' solo seè la cosa ad afiermare se stessa, escludendo la possi-52

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bilitàdi un pensiero (ilmio pensiero) che la neghiipoteticarnente, l'idealismo deve essere assoluto, enon può essere ideaiismo se non è assoluto, se nonelimina ogni scoria di relativitàallo esteriore, se nonsopprime radicalmente il naturalismo e con il na-tl.rralismola stessa " riflessione ', estrinseca, comeè ancora ilcriticismokantiano, sulla cosa presuppo-sta, che in quanto presupposta è fenomeno, dato, nonancora la ., cosa stessa rr. La cosa nella sua rnede-

simezza non è dunque contrapposta al pensiero, qua-le mera identità contrapposta al pensare e non è ilpensare estrinseco alla cosa che della cosa cerchi illogos. La ricerca kantiana del logos dei fenomenide-ve risolversiquindinella hegeliana " fenomenologia > in cui i fenomeni sono i fenomenidel /ogos.

Ma appunto perché l'idealismo è filosofia soloseè assoluto, ed in esso ilpensare è tutto, e il pensareè " negazione ,r, la negazione stessa che è pensiero

vieta di concludere l'idealismo in una visione moni-stica, chè tale conclusione sarebbe ancora la decaden-za a quella immediatezza di cui ilpensiero è nega-zione. Perciò se non si è idealisti non si è filosofi,ma se si assolutizza il pensiero, nonostante l'appa-refiza contrarianon si è piùr idealisti.

v

Da un canto, dunque, il pensiero è tale per lascepsí che lo attua, dall'altro,ilpensiero è tale solose non si risolve in essa. Ilpensiero infattiè scepsi 53

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nel pericolodi non essere <( pensiero ", di essere lanegazione di se stesso, senza essere se stesso comenegazione, di essere cioè n natura ), <( mito ,r, u dog-ma >, (< oggettivaziofi >, o alienazione >. Pertanto, ladomanda heideggeriana < Wass heisst Denken? > èpensiero se si pone hegelianamente quale presenza ase stesso del pensare, non è pensiero se pretende divalere come domanda intornoad esso, oggettivanteil pensiero da parte di una presunta posizione estra-

nea adesso, estranea

alpensiero stesso

diquesta

estraneità, vana in questa sua presunzione. E' dun-que almeno superflua la distinzioneheideggeriana,con il suo importodi polemica contro i linguaggicongegnati , tra << pensiero essenziale > e ( pensieroinessenziale o, perché l'essenza del pensiero è la indi-visibilitàdel suo sapersi pensiero, che è tutt'uno conl'identitàtra pensiero ed essere, per la quale l'es-sere non è in quanto pensato, e non è come < pen-

sabile >, ma è la " pensabilità '' che è I'attualitàdel pensiero, iL togos.

VI

L'originalitàdi Hegel appare in tutta la sua forzanella eliminazionedelie problematiche spurie dallafilosofia, eliminazioneche consegue al pensiero hege-liano, anche se di fattonon sempre da Hegel è fattaconseguire. Si elirninano le problematiche derivantidal non avere ancora chiara consapevolezza che pen-siero e cosa pensata sono la stessa cosa (la <(cosa stes-sa >). L'originalitàdi Hegel è, in questi termini,la ri-4

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trovata originarietàdella filosofia,la raggiunta iden-

tità tra pensiero ed essere.L'identificazione,che si esprime nella identita úalogica e metafisica,o tra \ogos dell'essere ed esseredellogos, è di natura processuale; e questo è da riba-dire, chè, una volta attuata, essa decadrebbe, se nonfosse tutt'uno con ilprocesso, alla negazione di sestessa, opponendosi come < dato " al pensiero che latrova. L'identitàtra pensiero ed essere è nel non di- istinguersi dell'essere dal pensiero e, quindi, nel non irapportarsi dellunoall'altro;se essere e pensiero si;distinguessero, ilpensiero, infatti,potrebbe essere an-che pensiero di ciò che non è, e nel pensiero vi po-,trebbe essere ilnon-essere e ilnon-essere sarebbe, sa-rebbe pensabile, insieme sarebbe e non sarebbe.

Ilcarattere processuale dell'identitàtra pensieroed esi&é, donde'il terminepiù appropriato di u iden-tificazione>, si riconosce mediante la negazione cbe

la cosa pensata sia al di là del pensiero, che ilpen-siero cerchi la cosa, la quale dunque, non è come sipresenta al pensiero, se al pensiero essa si presentacome < al di là >), come cercata per uno sfozo che ilpensiero compia per uscire da se stesso od anche, edè lo stesso, per trovare in se stesso la cosa pensata,ma come ( cosa >, a prescindere dal suo essere pensa-ta. Lo " al di là ,,, con il suo correlativo" al di guà >,indica una spazializzazione quasi limitazioneche ilpensiero, rimanendo al di qua del suo limite,trovasseo subisse. Il pensiero non trova nullache lo limiti,ché limitecomunque sarebbe da pensare e dunqueapparterrebbe a quel pensiero di cui lo si pensi e dun-que tutt'uno con il pensiero, ilquale, se è limite,èlimitea se stesso. 55

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1", , {i.,).:

Una coscienza dne mÍrntenga la distinzionee quin-

di il rapporto tra pensiero ed essere alirnenta la pos-sibilitàche il rapporto non sia quel rapporto chedovrebbe essere ed importa quindicostantemente]a differenza tra << essere > e << dover essere >>, traf,atto e ragione. Ma I'originalitàdel pensiero di Hegelsembra compromessa dalla identità della identifi-cazione hegeliana con la formulazioneparmenideadello aùsó in cui pensare e essere, voétv e eîvocs sono unacosa sola, sono <( uno >).

L'originalitàdi Hegelnei

confrontidi Parmenide è invece proprionel ricono-scimento che il rilevare o riconoscere l'identitàè in-cluso nella stessa identità rilevatao riconosciuta;il processo del riconoscimento non cade insommafuoridell'identitàrilevata o riconosciuta, non cade.fuoridell'identificazione;e l'identità tra essere epensare è tutt'unocon questa identificazione.

La quale identificazioneè il riconoscimento del-l'identità,nel senso che l'identità non è presupposta,non è < data >, p r un pensiero che dopo la riconosca,ma " identità D è 1o attuarsi stesso come identifica-zione nel suo processuale riconoscersi identità. Ed ilprocesso è nel toglimento delpresupposto al pensie-ro, è nella coscienza della u negazione >, negazionegià operante in Parmenide, ché solo essa dà sensocompiuto allo ocùsó parmenideo ", ma in l{egelchia-

ramente identificatacon ilpensÍre stesso per ilqualeI'essere e il pensiero NONsono se NON unoche ènulla se non è la negazione del NONessere uno.

Se l'identità traessere e pensare non fosse ilpro-cesso stesso della identificazione,quale identificarsidei due terminiI'uno con l'altro,come toglimentoó

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dell'altro,neL riconoscersi dell'unonell'altroe, quin-

di, nei togliersidi ciascuno di essi come << separato >,j. terrniniresterebbero due, nonostante l'intenzionecontraria, perché f identità tra pensiero ed essere sa-rebbe anche senza essere riconosciuta,sarebbe in-dipendentemente dal suo essere pensata e, quindi,per il pensìero, potrebbe anche non essere.

Ne segue ancora che l'identitàsarebbe presuppo-sta ai pensiero e si avrebbe la contraddizione ine-rente alla seguente situazione: da un canto i'iden-tità affern'lerebbe che pensiero ed essere sono uno,dall'altro,poiché f identità sarebbe presupposta alpensiero, o il pensiero presupporrebbe se stesso enon sarebbe mai pensiero, o l'identitànon sarebbemai identità non essendo mai quel pensiero che saI'identitàtra << sé ,, e I'essere; poiché i terminisa-rebbero costantemente due, non si avrebbe il ., pen-sare > (processo, atto), ma quel <( pensiero n si aweb-

be, astratto dal vero pensare, il cui essere apparireb-be a sua volta corne astratto ed indeterminatori-spetto all'essente; e I'essere corne << attualità " del-I'essente decadrebbe aI di là del pensiero, quale ., es-sente >> a sua volta, quale ( cosa >, come nulla; efar essere questo nulla come <( essente > è appuntotenere fermo ilmorto, creare l'astratto.

L'originalitàdi Hegel, dunque, è proprio da ve-dere nella consapevolezza di questa identità, chenon v'è identità tra pensiero ed essere se non comepensiero che sa la sua identitàcon I'essere, che sa-pere l'identitàtra essere e pensare è appunto il" sé "del pensare e dell'essere, che l'identificazione,insom-ina, consiste nll'autoriconoscersidell'identitàdell'es-sere e del pensare. Ché se l'identificazione,anziché 57

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essere tutta in questo ( autoriconoscimentoo, fosse

semplicemente < riconosciuta o dal pensiero, quale< oggetto >, di esso, l'atto del riconoscere questa iden-tità sarebbe estraneo all'identitàriconosciuta e ne-gherebbe anzi l'identitàproprionel mentre la rico-noscesse; resterebbe la dua[ta per affermare che ladualità non è; l'atto del riconoscere sarebbe dunqueun'operazione di natura soggettiva e, perciò, psico-logicamente analizzabile e descivibile, sulla cosapresupposta, nel senso di una fenomenologia ern-pìrica.

Quella attività,costituente ma anche presuppo-nente una fenomenologia empirica,è appunto una ri-flessione soggettiva ed oggettivante, estranea all'es-sere, nel senso in cui oggettivare I'essere è ancheestranearlo dall'atto onde I'oggettivazione awiene e,dunque, I'essere oggettivato equivale al pensieroestraneato, alterante se stesso, contraddicentesi inse stesso, non se stesso. Che pensare ed essere sonouno non può voler dire che l'essere viene pensatocome uno con il pensiero, ma appunto in qualchemodo viene ., pensato >, ma che viene pensata nei-l'essere (: nel pensiero) questa loro identità, la qua-le in tanto è pensata in quanto è dessa semplice-mente la processualità del suo essere tutta e solopensiero.

Un pensiero dunque che avesse per oggetto la cosa,un pensiero per ilquale l'essere diventasse oggetto,presupponendo la negazione dell'identitànell'ogget-tir.'azione dell'essere operata dal pensiero, alterereb-be se stesso, alterando l'identitàonde esso si costi-tuisce (" è o) pensiero. Dunque la radice della diffe-tenza tra logica e metafisica, tra pensare ed essere, la8

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radice quindi del problema conoscitivo essenzializ-

zabiLe nel rapportotra pensare ed essere come didue termini,è nella pretesa che ilpensiero possapensare I'essere, oggettivandolo. Questa oggettivazio-ne è già per se stessa alterazione del pensare, per laquale esso, non essendo se stesso, neanche può saper-si nel suo essere pensare, nel suo sapersi essente.La conseguenza più importante dell'affermazionehegeliana è dunque che l'essere non può venirepensato, che esso non si può pensare così comenon può yenire pensato l'atto del pensare. Ne se-gue che anche f identità tra pensare ed essere nonpuò venire pensata, poiché essa < è > identità ( iden-ticamente tale) proprío per l'atto del pensare ed inesso, dove 1o u è u riproduce la medesima identità evieta, in questo riprodursiinfinitodelf identità,dipretenderne un trascendimento.

L'identitàhegeliana dunque si può esprimere an-

che così: ilpensiero è essere pensando, I'essere èpensiero essendo; così che qualsiasi alterità suppostatra essere e pensare sarebbe la supposizione di unpensiero che non pensa e di un essere che non è.Allaluce dellahegeliana consapevolezza filosofica,che è, si è visto,questa identità nonché la naturaprocessuale della medesima, è abbastanza agevolerilevare quanto spuria sia la problematica che mettecapo alla cosa in sé.

VII

La quale < cosa in sé o è I'importopiìr trogico, nelsenso formaiedella u coerenza > con un dato assun- 59

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to, della riflessionecome attivitàestraneante dall'es-sere che ha la pretesa di oggettivare l'essere. Il sen-so che può assurnere la << cosa in sé " come nozioneè appunto quello di cosa oscura al pensiero, dovelo .. in sé " è la sua impenetrabilità, per la quale essaè e resta irriducibilmente<< altra ' dal pensiero, re-siduo essa stessa irriducibile dell'attivitàdel pensa-re, del pensare inteso come attività,< altra > per sestessa dunque dal pensiero.

La cosa, insomma, tale sarebbe contro ilpensie-

ro, opposta al pensare, per una opposizione che nonrispetta tuttavia la logicainterna, f interna coetertr:a,dell'opporsi.Perché opporsi è possibile solo all'inter-no di una tale unità che dia e rnantenga i terminidell'opposizione, tale che dei due termini l'unoesclu-da l'altro,ma che appunto l'uno sia al posto dell'al-tro e insieme dall'altronon possa venire sostituito.Ora, opporsi al pensiero sarebbe possibile o pensa-

bile solo se quella opposizione fosse interna al pen-siero, il quale dunque si opporrebbe a se stesso enon sarebbe se stesso, non sarebbe affatto; la cosain sé, opposta al pensiero per guesto suo << in sé r',sarebbe il pensiero stesso che si pone contro se stes-so, ilcontraddirsiche non sa di contraddirsi. La no-zione di <( cosa in sé " non è dunque una nozione, unconcetto, neanche come concetto-limite, rnala nega-zione stessa del concetto, negazione che il pensierofarebbe di se stesso.

Ora la radice della nozione di <( cosa in sé " èappunto l'attivitàdi pensiero intesa come oggettivan-te, divenuta riflessione estrinseca, estrinseca perchésulla cosa presupposta. Ne segue che tutte le filo-sofie che pretendono di qualificare, connotando di de-0

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terminazionila " cosa in sé " dicendo che cosa essa

.. è r, si muovono,loro malgrado, all'internodi quel-la contraddizione, sono appunto quella contraddi-zione non vista e mantenuta.

VIII

La < cosa in sé u è contraddizione, e non solo con-cetto di cosa inconoscibile,ma concetto inconosci-bile, concetto che non è concetto. Esso supponequalcosa < fuori" del pensiero, ossia un pensiero chelasci essere qualcosa fuoridi se stesso, perché la-scia essere un'opposizione, la quale si risolve nellaimpossibilitàdi opporsi. Se la funzione della " cosain sé " come presenza saputa dal pensiero di cosa

impenetrabile ad esso è di limitareil pensiero, talelimite,essendo ( cosa )> e non <( pensiero >, si attue-rebbe arrestando l'atto del pensare, il quale atto su-birebbe perciò I'azione di ciò che lo arresta, ma unatto che si arresti è un atto che cessa di essere edun atto che subisca azioni dall'esterno nonè atto senon come << atto passivo ". Così la contraddizionedella " cosa in sé " equivale, importandola, alla con-traddizione dell'attopassivo, della passività dell'atto.

Dunque, la limitazione delpensiero da parte dicosa che non possa venire pensata si risolverebbe nel-la conversione dell'attodi pensare nella contraddi-zione. Dunque la ., cosa in sé " non è < cosa itrazio-nale n se non nel senso che essa è la stessa irraziona-lità e appunto perché irrazionalitàessa non .< è ,. ótr

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L'unica connotazione che la (< cosa in sé

"sopporti

è dunque questa: essa è irrazionale e, dunque, irra-zionale sarebbe un qualsiasi discorso che si artico-lasse sopra di essa. Ne segue che illusoriae nonpiirche illusoriasarebbe una limitazionedel pensare(operata dalla " cosa impensabile ") a profittodi una" fede " e di un (< non-sapere >, perché la fede nella( cosa in sé > sarebbe fede nell'irrazionale,e sarebbeanzi la fede a produrre il suo oggetto, fede sarebbe

altra parola per dire f irrazionale, non, come si pre-tenderebbe, solpassamento della ragione, attingimen-to della << cosa > a prescindere dal limiteimposto dal-la ragione alla o cosa >. E, d'altro canto, un non-sa-pere che sia come tale saputo non è assoluto non-sapere, ma è problema in cui si attua la negazioneche sia sapere assoluto, affermazione di questa stessanegazione, che è coscienza di non essere l'assoluto.I-a contraddizionedi una fede nella ( cosa in sé " e

di un non-sapere assoluto restituisce la negazione co-rne attualità del pensare, restituisce il pensare allanegatorietà del suo atto, alla attualità non limitabi-le del suo essere ., pensando ,.

IX

Ma qui si cela ilpericolo, il pericolo sempre inagguato, di pervenire alla assolutizzazione, contrad-dittoriogià come pervenire che implicauna non-assolutezza inerente al suo movimento,in cui ilpen-siero, non subendo limitazioni,si affermicome assolu-2

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to sapere, almeno nel toglimento delladifierenzatrapensare ecl essere; perché da un canto, si è visto, la< cosa in sé > è contraddittoria,dall'altro,il fanta-sma della << cosa in sé r, si sopprime solo in virtùdiun sapere che in quanto atto non sopporti altrooltre se stesso, altro che saputo non possa essereo semplicemente non sia.

Ilpericolo, che del resto tale si qualificaperchériproducente conaltre parole ciò che si vede da ne-

gare, consiste appunto nella rigidaalternativa, rigt-da appunto perché non ancora criticamente pensata,tra la << cosa in sé " che sia altra dal pensiero e l'asso-luto che nega questa alterità, affermandosicome sestesso.

E' da chiedersi, a questo proposito, che cosa siada intendere per ., assoluto ", ché si profilaintantouna possibile alterazione dei concetto di assolutonon appena ci si limiti,come alrriene per le proble.matiche non sufficientemente consapevoli della lorointimacondizione di limitee di limiteintrascendi-bile, ad eseludere che si possa dare una e'alche li-mitazione esterna al pensiero, che il pensiero su-bisca.

Se si esclude la possibilitàdell'oggettivazione nelpensiero, come tale che la cosa non possa essere( altra " dal pensiero che la pensa almeno in quanto

ilpensiero sarebbe,

inquel

caso, aitro da se stesso,il non essere ( oltre > iipensiero è la negazione di un< assoluto trascendente ). In questo senso, infatti,un < assoluto trascendente > sarebbe una contraddi-zione in termini,proprio perché la sua trascendenzasarebbe il segno della sua inassolutezza. L'assolutosarebbe per se stesso la negazione della possibilità di 63

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attribuire al pensiero funzionicognitive,tali che

significhino( concetto > come ( strumento > o come< mezzo > di conoscenza, ché l'assoluto sarebbe neces-sariamente presenza a sé di ciò che è, senza residuoalcuno, senza possibiiitàche sia assente ciò che.. è > (assenza c}ae viene richiesta invece da ogni atti-vità conoscitivaper la quale ancora conosciuto nonsia o non sia presente ciò che tuttavia .. è ,').

Qualcosa di o trascendente > in questa linea sa-rebbe un presente in quanto assente, che è tuttaviaassente in quanto di esso conoscenza effettivamentepossa non esservi. Ed è solo così che il conoscere sa-rebbe in funzionedi questa .. trascendenza " (di que-sto essere altro del conosciuto) solo mezzo o solostrumento di " possesso " (modo di possedere la ce.sa, modo di essere della cosa nel suo venire da meconosciuta): come strumento che si frnalizzao comemezzo che lascia trasparire, nel suo essere elemento

in cui la cosa appare, la cosa stessa. Così, lo <( andareoltre ,, ossia il trascendersi sarebbe essenziale al pen-sare, ma un andare oltre che resta sempre al di quadella cosa e della cosa altro non possiede che il de-sideriodi possederla. Possedere, infatti,è ancorarnantenere la alterità tra cosa ed atto, tra cosa e pen-siero di essa. Nellaposizione sostantivale del cono-scente, del pensante, sono impliciteappunto le con-dizionialla strumentalità del conoscere (del concettointeso come <( strumento ,r), ché il conoscente sarebbe<( cosa " che ha la funzione sua peculiare di conoscere,quale <{composto " di ciò che lo fa essere < cosa }>edi ciò che 1o fa essere << pensante ,r. Ma la dualità, ir-riducibile,tra cosa conoscente e sua funzione di co-noscere importa che in quanto < cosa > esso non sia4

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conoscente ma al più < conosciuto >, in quanto conG'

scente non sia conoscibile e non sia dunque ( cosa ,),importa insomrna che il conoscere in virtùdi cuisi dice che il tale soggetto conosce ed è soggetto per-ché conosce sia irriducibileal conoscente e sia fon-dante il conoscente, importa insomma il dualismocartesiano, ma anche la fondazione idealistica del co-noscere, di modo che, in quanto dualismo, il conosce-re venga a vanificarsi nelsuo mantenere la dualità equindi l'alteritàe quindi il problema conoscitivo,laconoscenza come problema; in quanto idealismo ofondazione idealistica si toglie al conoscere come ta-le la connotazione dí mezzo o di strumento, me-diante l'affermazione della identità tra pensare edessere, poiché almeno la rcIazione tra strumento esuo fine o tra mezzo e suo fine non può avere carat-tere strumentale né mediale.

Il problema, nella forma del pericolo,dunque, del

rischio, è appunto qui: se fondazione trascendentalevoglia direnecessariamente fondazione assoluta, ri-soluzione, nel fondarsi, in assoluto, l'affermarsidel-la assolutezza del Sapere, ilmonismo del sapere As-soluto.

x

Appunto per stabilire se l'identità,processualeiclentificazione, chein altro contesto potrebbe dirsi" fondazione trascendentale " del conoscere, tra es-sere e pensare involval'afiermazionedell'assolutosapere, ilmonismo risolutivoin cui Hegel muore, bi- 65

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sogna riandare al processo che dal sapere irnmediato

passa a sapere la immediatezza dell'imrnediato,a sa-pere veramente quell'immediato,il quale finoa chenon sia saputo nella sua immediatezza neanche èverarnente saputo.

Il sapere irnmediato è ilprimoa presentarsi co-me un sapere, con la pretesa di valere appunto co-me <( sapere >. Diqui il suo essere fenomenologia em-pirica in cui il < dato > è dato a me, supponendo ap-punto l'iocome coluial quale e per il quale v'è il< dato >, supponendo, insomma, I'empiricitàdei ter-rninitra lorocorrelativi.

Ora, se sapere l'immediatonon è sapere la im-mediatezza dell'immediato,e se il sapere è già media-zione, il sapere immediato è un non-sapere, è illuso-rio sapere, parvente nel suo essere solo immediato etutto in guesta non saputa (non mediata) immediatez-za.Poiché il sapere immediatoè empirismo,laconsa-

pevolezza, o coscienza di che cosa sia empirismo è lanegazione dell'empirismo:sapere l'empirismoè sa-pere che nega l'empirismonel saperlo tale; cosìl'empirismonon può sapere se stesso, ed anche essonega il sapere e non sa di essere questa negazione;infattil'empirismopretende di essere I'originariosa-pere, almeno come affermazione dell'originariosu cuipoggia il sapere. Empirismoinfattiè affermazione deltrovarsi di cosa davanti al conoscente, come data a

questi. Sapere l'ernpirismo, sapere la sua pretesa, èdunque I'incontraddittoriosapere la sua contraddit-torietà.

La presa di coscienza delf immediato è dunque iltoglimento della sua contraddizione,sapendola tale,ché per togliere la contraddizionebasta saperla. Con6

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ciò si ch.iarisce che la presa di coscienza nulla aggiun-ge al saputo e nulla toglie ad esso, poiché non si col-loca, se di collocarsi si può qui parlare, allo stessolivellodella cosa saputa onde connotare, con nuovedeterminazioni o con la negazione delie deterrnina-zionitrovate, la cosa saputa; la presa di coscienzainfattiè l'assunzione delia cosa saputa nella sua to-talità di < cosa " in cui. di totalità si parla senzache vi sia bisogno di passare alla enumerazione di

tutte e di ciascuna le determinazioni della cosa, laquale è cornunque la..cosa stessa> per ciascuna (sua)determinazione. Tale presa di coscienza, che coincideeon la presenza della cosa nel suo essersi a se stessaquale totalità che essa indivisibiimente< è ", è ilpassare dalla mera u realtà ,, che non sa di essere alia" efiettività" (WirlcLichkeit)in cui si attua la con-creta unità tra ciò che appare ed il suo essere.

XI

Se sapere l'immediatonon è saperne I'immedia-tez.za, e se un sapere immediatoè immediatamentenon-sapere, nasce la questione di come sia possibilepassare

dall'immediato nonancora saputo nella suaimrnediatezza e, dunque, non ancora veramente sa-puto, a sapere la sua immediatezza e dunque a saper-lo veramente. Che è questione del passaggio dalnon-sapere al sapere; al livellodel sapere, passaggiodal non essere (del sapere) all'essere (del sapere), dal-non-essere all'essere. 67

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Tale passaggio è problematico, se non aporetico,perché ciò che è dato non è la irnmediatezza delI'im-mediato, né I'immediatonel suo essere ( cosa )>, ma,se mai, solo I'immediatoin quanto esso fa tuît'unocon la sua datità: l'immediatoè lo immediatamentedato, perché il< dato >, comunque indotto o dedotto,comunque inferitomediante procedimentilogici,èimmediato,almeno nella sua fissità di " termine ,' dacui si parta o a cui, muovendo,si pervenga. Il pas-

saggio a sapere l'immediatezza dell'immediatononè mai < dato > a sua volta neldarsi dei termini inquestione, ché, se lo fosse, sarebbe a sua volta imme-diato, riducendosi ad uno dei terminidel passaggio,negandosi come passaggio. Né, d'altro canto, esso èinferitoda altro tenrrine, ché, anche nel suo essereinferito,esso sarebbe immediato, almenocome im-mediato è ciò che si fissa nel suo essere termine di

cuiqualcosa

si dica, che si connotidi determinazio-ni, sarebbe comunque immediato perché < dato ,' altermine del procedimento della inferenza. Dato è, co-me si è visto, già immediato, datità è immediatezza.

Dunque ilpassaggio dall'immediatoalla mediazio-ne o esso stesso è la mediazione che opera nell'im-mediato o non è pensabile, o addiritturadecadendoad immediatezza esso stesso, si nega come passaggio.E dunque, non vi sono f immediatoe la sua mediazio-ne, non vi sono I'immediatoche si dia e dopo la nega-zione che all'immediatosopraggiunga, dal pensieroproveniente, ed investa la cosa data e la sopprima o lainveri,ma la mediazione è dessa presente nella pre-senza stessa dell'immediato,e la presenza dunquenon è immediata.8

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XII

La presenza non è immediata, perché essa non., è o come cosa che si presenti, o come dato, ma ilsuo essere è semplicemente l'essere, ilquale non puònon essere. ILnon poter non essere dell'essere è dettornediante la negazione, dunque non è immediatamen-te detto. L'essere della presenza è appunto l'esserecorne presenza, l'impossibilitàche I'essere non sia,che sia assente.

Con ciò risulta ancora più chiaro che la negazio-ne media la stessa possibilitàdi dire la preset't"a, e,quindi,che ia presenza della negazione non è ilpre-sentarsi di qualcosa, ma è di questo presentarsi Iapossibilitàstessa, la stessa intima condizione. Lanegazione, interna alio stesso presentarsi, è internaall'immediatoe si attua nell'immediatoe si mantiene

in esso come negazione e mantiene I'immediatoanchenel suo venire negato. Ilmodo di attuarsi della nega-zione all'internodell'immediatoe di mantenere l'im-rnediato appunto come ciò che essa nega è ilmodod'essere del u passaggio o alla mediazione che sopradicevamo.

La prirna considerazione da fare, a proposito dipassaggio dall'immediatoalla sua negazione, è dun-que questa, che il passaggio stesso è la mediazione;e, duaque, è nella mediazione e per essa che I'im-mediato è dato, che esso è immediato nelsuo esseredato. Ilpassaggio è, dunque, il nesso tra I'immediatoe la negazione ad esso inerente, nesso diaietticoperché è tutto nella negazione e nella negativitàdiciò che la negazione effettivarnente nega. La negazio- 69

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ne del negativo è negazione positiva, è la stessa po-

sitivitàdel negare, che è il negarsi del negativo, iltogliersidelf immediato, togliersi checonsiste neisuo stesso non riuscirea consistere, nella sua insufi-cierua a se stesso.

Dunque la problematica dell'immediatoo I'im-rnediato come problema importa un duplice svilup-po secondo una duplice direzione:lo sviluppoine-rente alla posizione sostantivale di ciòche si dà in unasua fissità separata (sostanzialità) e lo sviluppo ine-rente al divenire intesocome insufficienzadi ciò chesi dà a se stesso, insufficienzaa se stesso, rneglio, diciò che si dà. Ne segue che la probiernatica delf im-mediato e della sua negazione si complicain terminidi sostanza e di divenire.

XIII

La sostanzialità, nel senso che a tale parola dà loI{egel,è la sostantivazione come procedimento ine-rente al presupporre corne un pretendere che siaprecedentemente, previarnente, posto ciò di cui sidice e che di esso si possa dire, appunto perché( presupposto > a questo suo venire detto. Sostanti-vare equi.vale, sotto questo aspetto, a fissare in unasua chiusa consistenza ciò che si presenta nel discor-so quale termine di esso; la stessa espressione .. ter-rnine , rivetra quel procedi.mento che pretende di rnuo-vere da cosa prernessa e di pervenire a cosa risul-tante, procedirnentoche a slla volta non può in tal0

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modo non venire sostantivato come un termine me-

dio tra estremi. Ciascuno degli elementi che en-trano in gioco, fissato nella sua consistenza presunta,è sostanzializzato, è << sostanza > perché ter:rnina edunque arresta come per un confine o limiteimmo-bile il movimento ed ilmovimento stesso, arrestatoappunto da quei termini,è in se stesso a sua voltatenaine, è a sua volta u terminato " dai suoi estremi.

La sostantivazione, per la quale si dice la sostan-zialità, è operante nella presunta immobilitàdei ter-mini,immobilitàche rappresenta di essi il loro esse-re ciò che sono, ma appunto lo rappresenta e, quindi,indica quello <( stare > senza di cui non si vede comeessi possano veramente < essere rr, od ., esserci n. Lasostantivazione, dunque, è debitrice di sé alla confu-sione inizialetra << essere > e < stare >, confusione cherappresenta l'essere come terminedi cui si possadire come a sua volta essente, come rappresentabile

tra altri termini,poiché rappresentare è possibilesolo se ciò che viene rappresentato consiste in unasua fissità, semplicemente .< consiste " in se stesso,è u in se stesso ,', è dunque immediato nelsuo venirerappresent ato. La rappresentazione suppone dunqueciò che essa stessa pone: suppone quella fissità osostanzialità che essa importa.

La sostanzialità è dunque la immediatezza del sa-pere stesso od anche il sapere come immediato, co-me una immota sostanzialità che sia a sua volta insé, che sia lo stare in sé del sapere come gualcosa digià concluso nel proprio essere. Anche il sapere, unavolta rappresentato, è sostanza, appartiene alla so-stanzialità, rappresenta quel tipo di sostanza cheha la funzione di rappresentare le < sostanze >, quel- 7t

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la < cosa > che è il pensiero e che riproduce in se

stessa la medesima fissità di quella < cosa u di cuiesso è pensiero, mantenendo in se stesso ciò che ope-rando trova fuoridi sé, mantenendosi in se stessatale funzione del trovare solo restando fuoridellacosa pensata, dunque, a sua volta, pensando questo

" fuorio. La sostanzialità del sapere (: pensare) èdunque tale da dirsi" ridotta" e ridotta a <pensato),ché il pensato è pure un risultatodi movimentichesuppongono di esso come essente prima di venirepensato. E ciò che risulta sarebbe quindi non il suo.. esserci )>, ma il suo essere pensato, dividendo cosìl'indivisibile,I'essere dal pensiero, ripartendo i duetermini I'unofuoridell'altro,alterando quindicia-scuno di essi rispetto all'altro.

Ciò che carattertzza la sostanzialità è dunquel'inerziache è propriadi ciò che viene detto imme-diatamente e che è immediato appunto come immo-

to ed immobiletermine di intuizione;intuizioneque-sta che dowebbe valere come appagamento nella si-cura certezza (certo:sicuro) di una esigenza, la qua-le si afferma come " fede o in cui ilmodo di essere èlo " aderire " pienamente alla cosa intuita,aderireche vale per una compattezza dell'essere, per la com-patta identità o massiccia continuitàtra Io intuireela cosa intuita,con la cosa che consiste in se stessaed è quindi inerte nello stesso senso in cui si presu-me compatta, o indivisibileo immobile.

La immediatezza di questa " fede > è dunque tut-t'uno, compattamente, con la compattezza dell'esse-re che si presuma corne << sostanza u; e fede puòdirsi quella intuizioneche si fissa immota sulla co-sa, saturandosi di essa pienamente, almeno corne ade-2

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sione che è aderenza in un combaciare dell'intuizionecon la cosa intuita; in questo senso, I'irnmediatezzasi presume già per se stessa come esclusione nonmotivata (la motivazione è movimento)del movimen-to, ché di muoversi non v'è bisogno, né muoversi èpossibile veramente dove tutti i terminisono taliin quanto immotio immobili.

Diqui la ricerca fatua di movimentiche valganoin conformitàcon la immediatezza e valorizzinoap-punto questa immediatezzanella sua sostanziahta.Movimentiinevitabilmentefatui perché escogitatidopo che i tenninivengano fissati come immobili,appunto " fissati rr. Movimentiche tali debbono ve-nire escogitati appunto da non contraddire i terminiper i quali vengono escogitati, da non contraddireI'immobilitàdi quei terminie, quindi,estrinseci equindisuperflui.Fatua la ricerca di movimentisu-perflui,superflui i movimentiche siano estrinseci ai

loro stessi termini.

xIv

Ilmodo di profilarsidi questi movimentiè dupli-ce: sinteticamente, il fermentare incomposto del vi-vere nella sua vuota profondità,l'applicarsidel for-malismo nella sua vuota estensione, dall'esterno.

Ma la differenza tra il turgido sentimento e larazionale lorrnalizzazione sistem atizzante o matema-tizzante è dunque solo apparente, poiché entrambisono della sostanza una forma fatua di liberazione, 73

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un evadere ancora < sostanziale " dalla sostanza, un

procedere ancora .. sostanziale " oltre ad essa, cosìche la sostanza viene in effettimantenuta nel suoprolungamento,sia che da essa si pretenda di usciresentimentalmente, sia che si pretenda di uscire ra-zionalmente.

Nel rifiutosentimentale della forma razionale cheîoruLalizza matematicamente la sostanza si afiermaquella forma arazionale che si trasfiguranel ,, sogno "in cui si presenta un'attivitache rivela contenutinonriconducibilialla consapevolena della sostanza, nonriconducibilialla sostanza nel suo essere se stessa.La formalizzaz.ione consegue precisamente alla so-stanza ed è anzi la stessa sostanza che la richiede,perché la compattezza di essa è in se stessa quella<( assolutezza > in cui tutto è uguale, tutto è << ullo ),donde appunto il significato formale, non dialettico,della espressione di tipo matematico A:A; così

che ilmovimentonon altro sarebbe che la < ripeti-zione, dell'identico,lounum atque idem, Io unumper idem.

La ricchezza della sostanza come <( entusiasmo >

e < retorica > corrisponde alla povertà o miseria del-la sostanza come inerte applicabilitàad essa dellao for:rra>, appunto per il carattere estrinseco delmovimento chevalesse a svolgere le ricchezze inessa contenute e del movimentoche valesse per ap-plicare alla sostanza l'assolutezza della sua utllizza-bilitàrazionale. La sostanza è dunque formalismoed è proprio la sostanza a dare ragione della forma-lizzazione, la quale è astratta appunto perché estrin-seca rispetto alla sostanza, la quale anzi è la stessaestrinsecità e perciò tale da esibire una mera .. for-4

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ma >, tale da essere qualificabilesolo come < forma ".Ilpunto medio, per così dire, in cui si incontrano so-stanza e formalismoè la < estrinsecità ", lg essereesterno che è appunto condizionee struttura insie-me e della sostanza e della mera formaiità.Lo < esse-re fuorio, la separatezza ínerente a questo << fuorio,I'alteritàimmobile deiterminiuno dei quali si ap-plica e l'altro subisce passivamente I'applicazione.

xv

La << sostanza rr, dunque, deila cosa che si presen-ta nella sua fissitàdi < dato > non è concreta e nonè il concreto. Il< questo " nella sua concretezzanonè perciò l'individuo,quello individuoche, soggetti-

vamente od oggettivamente, il senso comune estollealla dignitàdi concreto e di valore. Nella inelimina-bile intenzione, indeclinabile intenzione,di adire ilconcreto e di mantenersi in esso (ché discorsi astrat-ti nessuno vuol fare, ed anche chi intenzioniI'astrat-tezzacome valore intende attribuireappunto valore edunque concretezza all'astratto, intende concreta-rnente un'attribuzione concreta), è da rilevarechein tanto si intenziona qualcosa come concreto inquanto si dispone del " concetto > di concreto, ilquale concetto non può non essere concreto, non puòcioè non essere quel concreto stesso di cui esso è<< concetto o. Così, nell'attribuirevalore e dunque con-cretezza a qualcosa è da rilevare che opera il con-cetto di concreto corne la stessa ( concretezza , o pia- 75

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r'ò

no del valore su cui si assume quella cosa. Così con-

creto veramente non è quella cosa semplicemente, mail " pensiero ,, della sua concretezza.Si è detto, infatti,che la filosofiaè idealismoper

la ragione che la filosofiaintende la concretezza e laeoncretezzao totalità o intero è < pensiero " (iltutto,infatti,non è .. dato >: esso è affermato mediante lanegazione della sua impossibilita,mediante ilpensie-ro che sa f impossibititàche il tutto non sia). Dun-que il ( questo o, nella sua concretezza, non è I'indi-viduo nellasua fissità, non è la <( sostanza ' del suopresentarsi separato. Poiché il " questo " è postonell'alteritàdel non-questo, il questo è un non-gue-sto. Ilquesto è dunque tolto; come tolto esso non è,è nulla, ma come questo-cheè-tolto esso è un nulladeterminato, non è nulla Ia sua determinazione, èun nulla proprio del questo. Così il <( questo " è con-servato nella nullitàdel suo essere il questo che viene

tolto.Ne segue che il <( questo > è ancora presente nel-la negazione operata dal non-questo, negazione che.e, è r, iInon-questo, ilnon essere <( questo " del non-questo. Il questo non è presente come era presentenella immediatezza che è la certezza immediata,nella immediatezza non ancora saputa (non ancoraveramente presente) corne immediatezza. Sapere ilquesto come questo è sapere il suo non essere .. que-sto ); sapere il non-questo che esso < è " equivale ap-punto a sapere, ad avere presente, la immediatezza,ad avere presente la certezza che si togliecome tale,svelando la verità del suo essere << questo > comecontraddizione.

L'individuo,e in questo senso anche il" singolo ",

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della immediatezza non < è ,', appunto perché è tutta< opinione ' il suo essere. Questo individuoè supe-rato, ma, anzi, poiché la ragione del superamento èla contraddizione ad esso inerente, è desso il suosuperamento, contraddittorioanche come supera-mento. Non v'è superamento dell'individuoda partedi altro individuo(sarebbe ancora I'individuoa su-perare e il superamento sarebbe sempre nullo),maè nel superarsi o negarsi della sua individualità(

= alterità, fissità immediata,separatezza) che si saappunto la sua individualità.

xvr

Poiché la verita del < questo " è la consapevolezza

del suo negarsi come < questo >', il .. questo , è verosolo nella negazione della sua apparente verità, nellariduzione dellasua verità immediataa parvenza, nel-la riduzione dellaimmediatezza a parvenza ed equi-valentemente nella riduzione dellaparvenza ad im-mediatezza, a non-essere, a non-vero, a nulla. Ilnul-Ia come non-questo (: come nulla di questo, come<< questo " di cui si dice che " è " un nulla) è conser-vato, nella determinatezza che si dice di esso per ladeterminatezza del < dire n o negazione determinata,determinatezza della negazione (negazione di...). Dun-que si conserva anche la sua immediatezza, ma inquanto saputa tale,la quale è così immediatezza cFresi svela contraddittoria come immediatezza che in-globava anche quel sapere che la poneva intellettua- 7V

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listicamente, fissa, sostantivata nell'.. opinione u, nelladoxa della certezza iniziale,che era l'insígnificantesignificazione non cosciente del suo significare.

Ciò che nel < conservarsi " della immediatezza,conservata nel suo essere infinitamente,continua-mente tolta, resta, è dunque la universalità delsuoessere " mediazione 'r, rnediata come essa è dalla ne-gazione; dunque è da dire che I'universaltaè nega-zione, la mediazione è universale ed è negazione, uni-

versaiità nella negazione, negazione universale. Piùprecisamente diremo che essa è l'universalitàstessacleila negazione.

Qui la mediazione non è più l'operare di una ne-gazione che si collochial di là della cosa (al di quadella sua presenza) e quindifuoridi essa, quindi tracosa e cosa, tra un << questo ,, ed altro u questo >,ma è la negazione intimadel questo, per la quale sisa la verità del

"questo ,r, verità che è I'altro, il non-

questo, la contraddizionedi ciò che inizialmenteap-pariva incontraddittorio,la coscienza comune, quel-la di ciò che subito si presenta.

La mediazione che è negazione è pensiero, ilquale se non è universale non è pensiero, cosl I'uni-versale se non è pensiero, essendo negazione o me-diazione, non è universale. Da un canto dunque launiversalità è tutt'uno con il pensiero, dall'altro,

appunto per questa identità (che è la processualeidentificazione tra pensare ed essere) non è possibilepensare l'universale, non è possibileche vi sia ununiversale (< pensato >, non è possibile avere < con-cetti >, chè lo stesso avere concetti sarebbe << con-cetto >.

Il < questo n, dunque, nella sua universale posi-8

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zione di sé, di sé che ., è

''nel sapere se stesso

come ( questo rr, quaLe determinatezza del. suo porsi,è pensiero, è lo stesso pensare che lo pone ed in-sierne lo toglie, che lo pone ora come tolto, lopone< veraments ", togLiendola possibilitàche esso ven-ga tolto.Veità, infatti, èpensiero, pensiero chedella cosa è la totalità, che è insomrna l'universalitàdel suo essere <( questo ". Diqui la semplicitàdelpensare e la indivisibilitàdell'universale;appunto

la ., rappresentazione u di questa universalità indi-visibileè inevitabilmenteanalitica ed intellettuali'stica, responsabiie della pretesa che lo stesso uni-versale sia come << cosa t' a sè stante, stante sempli-cemente, in sè conclusa, costituita oltre f individuo,altro da esso, corne sua fittizianegazione o come suariproposizione indefinita.

Se l'universale fosse oltre I'individuo,essenCoaltro da esso (l'altroè oltre), f individuonon sa-

rebbe universalmente, quindi non lo si potrebbepensare e non sarebbe totalmente, del tutto nonsarebbe (universalità è infattitotalitàdella cosa,il suo essersi intera, la ., cosa stessa u). La nega-zione che così I'universale compirebbedell'indivi-duo non sarebbe neanche vera negazione perché l'in-dividuo fuoridell'universale neanche potrebbe sus-sistere. In tal modo, né l'universale sarebbe né r'isarebbe l'individuale,né vi sarebbe posto per lanegazione di questo e di quello, chè almeno questadovrebbe essere universale, essere il pensiero chesi attua universalmente, negando e negando ciò cheindividualmente .. è ".Alcentro, dunque, del presente dìscorso v'è que-sta affermazione: l'individuoè veramente posto co- 79

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80

me individuosolo se la individualitàonde come in-dividuoesso si pone è presente o saputa, solo seesso è posto universalmente come individuo;sa-puta deve essere la sua individualitàperché essocome individuoveramente sia posto, ma saperelîndividualità èsapere l'universalitàdel suo essereindividuo,è sapere come universahta, è affermarel'individuoall'internoe sul fondamento deli'uni-versale, è afiermare l'individuosul fondamento delsuo essere

"pensabile > come tale, all'internodel

pensare.Con ciò è saputo insieme che esso come mero

individuo,come individuoche esclude l'universa-lità o che, per attuare questa esclusione la riducea mera astrazione intellettivao a mera notazionenominale, si contraddice e che esso non si contrad-dice solo se è universalmente posto, solo se essou è , nella posizione di sè che è il suo essere pensiero.

La << cosa )' non è dunque indifferente allesue de-terminazionise non in quanto essa è se stessa aprescindere dalla enumerazione (attribuzionepredi-cativa, analitica)delle singole (: individuali)suedeterminazioni, chè la somma dell'individualeè som-ma individuale,ilcui valore non eccede i terrninidella stessa addizione da cui essa risulta.

XVII

La cosa non è indifferentealle sue determinazionise non in quanto (= se non sotto un particotrare

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aspetto) v'è una identica relazione che siasi stabilitatra una determinazione e I'unitàalla quale essa siriferisce, la quale relazione accomuna tutte le de-terrninazionipossibili,l'una come l'altra, nelrne-desimo senso, nella medesima direzione, quella perla quale tutte << convengono " alla medesima cosa,sono dette sue determinazioni, sono determinazionidi essa e non di altra cosa.

Ma ciascuna determinazione, nella sua individua-

iità,si differenzia daogni altra determinazione pro.prio in quanto " determinazione >> che << è " accantoad altra e non prende il posto di questa, non puòda altra venire sostituita. Ladifferenza tra determi-nazioni è appunto che nessuna di esse può sostituirele altre. L'unitàche è la cosa non può valere dun-que come .< indifferenza> tra determinazioni, comeloro univocinazione,proprio perché la loro deter-rninatezza è di essere determinazione di quella o co-sa >, e NoNdi altra. Esse non differenzianoun in-differenziato, nésono indifferenziateper il fatto chesi riferisconoall'indifierenziato,ma sono esse ildif-ferenziarsi all'internodell'unità, sono di volta involta la irnplicazionedi questa " unità ", della << co-sa stessa >.

La ( cosa " è dunque la stessa, nel suo attuarsicome <( medesima >, ancora quella, poiché è dessa

lo implicarsidi essa da parte delle sue determina-zioni, né che le determinazioni implichinola cosadi cui sono determinazioni,quali terminialtriedunque inevitabilrnentealteranti,ma la cosa è loimplicarsidelie determinazioni,le quali sono il dif-ferenziarsi della " cosa > nella sua unità di cosa,unità con se stessa. Ne segue che la cosa non può 81

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venirepensata come

ladeterminazione fondamen-

tale (- da qualificare tale, difierenziandola daaltredeterminazioni); essa è il determinarsi nonulterior-mente determinabile (di qui la sua parvente indif-ferenza) che .. è " tutte le determinazioni, nessunaesclusa, così che superfluo sarebbe procedere allaloro enumerazione, chè nessuna di esse apporta unasituazione nuova rispetto allealtre.

La < cosa D come I'uno è la presenza della rela-

zione che fa ciascuna determinazione, che fa di essaquella individuadeterminazione, che la fa <( con-creta> concretamente, innegabilmente ponendola.La cosa è la concretezza de\le sue detenrrinazioni,quale presenza del rimando all'unità che ad esse sot-tende; ma nel senso più concreto del loro esserese stesse per essa ed in essa. Questo << sottendere >

è appunto il determinarsi, la attuale, attuantesi,determinatezza di ciascuna di esse. Poiehé la cosaè dunque concreta solo se è pensata, pretendere diafferrrrare concretamente sulla base di una < perce-zione o dalla quale siasi escluso ilpensiero è caderenella contraddizione i Ia " cosa > nella sua concre-tezza non può venire percepita e percepirla è tut-t'uno con ilperderla, con il ridurla a cosa <parvente>,della quale non si sappìa però la par\Ìen7a, lo es-sere solo opinione, solo doxa nel suo ùoxeîv allo

esperiente.Dire che la cosa può venire pensata ha senso soloperò se essa stessa " è > pensiero (essere è pensare),perché essa è se stessa nella sua autoeguagliaÍua,essendo tale da ritrovarese stessa identicamenteín ciascuna delle sue determinazioni,in ciascun in-dividuoche sia il suo essere presentandosi, determi-2

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nazione che " è > questa e che nel suo essere < que-

sta ) è anche determinazione della cosa, quale sensoin cui essa viene assunta, senso del suo essere( = valere) come ( questa > e NoN altra.

XVIII

Si pensa dunque negando. Ilpensiero è negazio-ne, ma essere e pensare sono lo stesso, dunque lanegazione < è >. Se la negazione è, nasce la questionedel suo fondarnento, nasce la questione (ma è vera-mente << questione u?) della ricerca del fondamentodella negazione: non nell'essere il quale semplice-mente *è ,, è tutto essere, non nel pensiero se esseree pensare sono lo stesso.

Ciò che ad Hegel forse non è sfuggito è appuntoche tale questione non è una questione, che taleproblema non è se non l'importodella parvenza nelpensiero, importodel " rappresentare > per terminiche stiano, l'essere e ilpensare. Allabase della que-stione, infatti,ancora sta la confusione tra ( es-sere > e < stare ", quella che è motivodella sostan-tivazione, la sostantivazione che sostanzialízza lacosa, facendo di essa un " individuou senza I'univer-

salità attuale del suo essere, che è il suo essere tuttae solo pensiero, atto del pensare.Forse ad Flegel non è sfuggito che della negazio-

ne non si può ( cercare > fondamento, e non è pos-sibile, sia perché la stessa ricerca del fondamentoè, in quanto ricerca, ancora negazione, sia perché il 83

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fondamento della negazione sarebbe determinabile

solo come la negativitàdi ciò che non è e che, es-sendo negatività,è nel suo non essere. Cercare ilfondamento della negazione significa fare della ne-gazione il negativo, significasostantivare la nega-zione come <( qualcosa ' che sia tale essendo e nonessendo, che sia senza essere. Ma appunto perchése essa è qualcosa non è piirnegazione, ma ., altro ,'e quindida un canto lascia fuorila negazione ondeessa stessa si costituisce, dall'altronega la nega-zione, contraddicendosi, il cercare di essa il fonda-mento si converte nell'affermareche essa è tale solo(: esclusivamente) nel processo, è tale solo nell'af-fermare in cui v'è necessariamente il o negare u.

Affermare infattivale tenere fermo e quindiesclu-dere e quindinegare ciò che fermonon lascia essereciò che si dice, negare di modo che tale negazionesia la cosa che veramente, incontraddittoriamente

si pone e si dice, che dice se stessa, che .. è > sestessa in questo suo << dirsi >>.

La negazione sarebbe problema (problema delfondamento della negazione, come è implicitamenteper Hegel se egli afferma il negativo; problemaclella genesi della negazione per chi si limita,ma aquale titolo? allaconstatazione, alla fenomenologiaeinpirica)solo se negazione e problema non fosserotutt'uno, solo se la problematicitàdell'esperienzanon fosse, come invece è, la stessa negazione, cosiche I'impossibilitàdi negare la negazione è di per sestessa f impossibilitàdi problematizzare il proble-rna, di negarlo ed equivalentemente di assolutizzarlo.

Ida se essere e pensare sono lo stesso, e se l'iden-tità tra essere e pensare ha carattere processuale,4

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essendo piuttostoneli'identificarsi,l'identitàtra es-sere e pensare si attua nella negazione della non-identità,negazione che è la conti.nua necessità ditogliere l'attribuzionedi necessità alla negazione, lacontinua necessità di esciudere che I'esperienza (pro-blema, processo) in cui si attua la negazione sial'assoluto. La negazione è nel processuale essereidentità dell'essere e del pensare, l'identità deila logica con la metafisica; poiché la logica è essenziai-

rnente ilprocesso della negazione, la metafisicaè lanegazione come processo, è tutt'uno con la nega-zìone di una logica assoluta, la negazione stessa diHegel, quella che Hegel compie di se stesso.

XIX

Per questo, dunque, non si può parlare di logicaassoluta, non si puo chiudere la metafisica che èlcgica nella assolutezza di una teologia immanenti-stica. Ma in questo senso neanche si può parlaredi problema metafisico o di problema della meta-fisica nel senso in cui di essi ha parlato Kant se

non si.perviene

a sapere da un canto il caratteremetafisico del problema come tale (la problernati-cità pura), dall'altro il carattere problematico oprocessuale della metafisica, intesa come afferma-zione di ciò che non può non essere. Così la meta-frsica da un canto si impone nel processo proble-rnatico dell'esperienza, da un altro essa si impone 85

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come aproblernatica condizione dellapossibilitàdelproblema e, quindi, dell'esperienza.Importa dunque a questo punto chiarire il rap-

porio tra < problema metafisico ,, s " problema dellametafisica >. Parlando di " problema della metafi-sica,' si intende parlare non del problema che lametafisica considera suo, problema da cui nasce lateoria o dottrina che caratterizza una qualche me-tafisica rispetto ad altre < metafisiche ,', quale effet-

tiva sotruzione di un problema che sia da qualifi-carsi .. metafisico ', e si distingua per questo da al-tri problemi,ma si intende parlare della metafisicastessa, della metafisica come metafisicaonde sa-perne, per dire con espressione sintetica, l'impor-tanza ed i limiti.

I1 u problema della metafisica o, dunque, è an-cora la metafisica in quanto essa viene messa inquestione,

inquanto problematizzata.

Equi,

ini-zialmente almeno,è bene insistere sulla differenza,differenzasenza di cui veramente o significativa-mente non si può parlare di metafisica,non poten-do ancora saperne o consaperne il senso. Sapere ve-rarnente che cosa sia metaftsica è possibile solo se,chiedendosi che cosa essa sia, si mette in questionela metafisica onde sapere che cosa essa non sia,per un atto criticoche toglie,mediante la negazione,

alla metafisica quanto ad essa si attribuisce di fatto,senza una sufficientegiustificazione,senza un attoche compia l'autenticazione dellepretese che carat-terizzano la metafisicanel suo stesso porsi.

Sarà da vedere se mai il < problerna della meta-fisica " e il " problema metafisico > possano venireconsiderati come un problema unico, corne il pro-

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blema stesso di cui si struttura la metafisica, cosìche vera metafisicanon

siavrebbe se non si avesse

all'internodi essa la possibilità di saperne critica-mente i limiti,cioè il ., valore,', la verità. Per orabasta afiermare che ilproblema della metafisica èla metafisica stessa in quanto messa in questione,è dunque non solo la questione intornoalla metafi-sica preliminarmenteassunta come essa di fatto sipresenta (nelle sue tipiche pretese), ma è anche lastessa metafisica nella consapevolezza che di essa

veramente si abbia. A questo punto, proprio in vista di quella giustificazioneche caratterina, comun-que, l'atto critico,vanno enucleate quelle condizioniintrinseche a tale atto che rendono possibile ilpro-blema stesso della metafisica.

Le quali condizioni,rendendo possibile il pro-blema, consentono che la metafisica venga rappor-tata come termine ad altrO termine inizialmenteestraneo alla metafisica, chè se i due terminifos-sero in effetti ununico termine, non si awebbe lapossibilità di questionare la metafisica, perché untermine unico è necessariamente fuoriquestione,ponendosi sernplicernente, identificandosisemplice-mente con la sua stessa posizione.

Ora, problematizzare è possibiie solo se si dàfuoriproblema il terrnine in base al quale o in rap-porto al quale si problematizza, così che la metafi-

sica si può mettere in questione solo se è aproble-matico quel termine rispetto al quale essa si que-stiona. Dunque tale termine, essendo aproblematico,potrebbe dirsiqui < metafisico " ed anzi esso rappre-senta quella metafisica originaria che fonda lo stessoproblerna della metafisica, incentrando in se stesso 87

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quella metafisica stessa che esso discute, almeno inquanto la discussione è essenziale alla consapevolezzae, quindi, alla metafisica che sa se stessa discuten-dosi in base a quella metafisica che ne è il terminedi riferimento.E' questa situazione teoretica che ri-vela, insierne, che la metafisica può venire rnessa inquestione e, quindi,intenzionalmente.. fondata ,, so-lo se la problematizzazionedi essa è resa possibiledalla metafisica originaria,la cui originarietàè ap-punto detta per questa sua funzioneche prerequi-sisce il termine nella sua posizione rispetto alla que-stione, e la metafisica è dunque già fondata nellanecessità che sia di natura metafisica il termine chela fonda; la metafisica originaria,condizionandoilproblema stesso della metafisica, non può venirnecondizionata; che la questione della possibilitàdellametafisica è inglobata quindidalla stessa metafisicache si mette in questione od essa neanche è possi-bile come questione.

xx

Si parla dunque appropriatamente di conversio-ne del problema della metafisica in problema meta-

fisico.Difatto la conversione non awiene a partiredal problema metafisico, ossiasemplicemente dallametafisica come suo porsi, come sua fattuale pre-senza e storica. Difatto la metafisica si presentacome soluzione del problema, non come problemada risolvere e tanto meno come problema essa stes-

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sa, ma di fatto iametafisica stessa non eccede, nel

suo presentarsi, il mero fatto e non si colloca oltrequella fattualitàche domanda di venire giustificataed alla cui giustificazionenon basta ii sernplice .( por-si ,> o presentarsi.

Froprio in questi terminiè da vedersi l'opera-zione kantiana per la quale il problema metafisiconella sua autentica posizione passa attraverso (: èrnediato) ia posizione del problema della metafisi-ca; corne tale è autenticanaente posta solo se auten-

tico è quel problerna di cui essa si prospetta solu-zione. I-e vie dunque per le quali awiene la conver-sione dei due problemi in un problema unico sonola via che porta a sapere o ad avere consapevolezzadella metafisica, la quale non può venire autenti-camente saputa se non in quanto è saputo ciò cheessa non è e quindi mediante la negazione di ciòche essa non deve essere, negazione che si fonda su

quella rnetafisica originariache la rendepossibile

e che rende irnpossibile una negazione della meta-îtsica simpliciter;la via che consiste nell'autenticarela metafisica, in base all'autenticitàdel suo proble-ma, così che almeno come intenzionalesoluzione delproblema la metafisica si giustificanella sua vali-dità, solo che si giustifichinella sua autenticità quelproblema che essa intende porre e risolvere.

In entrarnbe le vie la conversione dei due pro-

blemi è già avvenuta nel momento in cui si stabilivala necessità di autenticarela metafisica, chè l'auten-ticazione non può prescindere, in entrambi i casi,dall'autenticitàdel problema che ne sta alla base;così che Kant converte ilproblema metafisico in pro-blema della metafisica, rna con l'intenzione inattuaie 89

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di mantenere distintii due problemi, facendo del

problema della metafisica I'impostazioneprelimi-nare del problema metafisico,preliminarenel sensoche esso dovrebbe precedere, quale esame critico,al livellotrascendentale, quel problema che costi-tuisce la metafisica come <( scienza >. Se questa èla pretesa di Kant, tale pretesa però si rivela fal-lace non appena ci si chieda in base a che cosa sipossa discutere il problema metafisico e chiedersia quali condizioniesso sarebbe validoe valida sa-rebbe una metafisica che ne risolvesse ilproblema.

La conversione operata da Kant è dunque taleche in realtà è ilproblema metafisico a convertirsiin problema della metafisica, non appena ci si chie-da se autentico sia ilproblema che si qualifica tale.

E se Kant non si awede che il suo problema èanche ed ancora quella stessa metafisica di cui essoè problema, ciò è dovuto al fatto che Kant suppone

la possibilità, peraltro non fondata, di porsi al livelloin cui la conoscenza possa esercitare la suacritica esi possa disporre quindidi una * critica >

che faccia della ragioneilpropriooggetto. La qualesupposizione ignora che la .. criticadella ragione "è in realtà I'originariaeríticitàdella ragione, che sela ragione non è criticanon è ragione; e, del resto,criticitàdella ragione significa anche< problemati-cità > in cui la ragione non è statica posizione maprocessuale negazione, la negazione in cui appuntosi attua il toglimentoinerente alla criticanella suafunzione.Ciò che a Kant sembra sfuggito,dunque, èprecisamente questo, che la rnetafisica è la stessa cri-tìcitàdella ragione, così che la criticada lui istituitaè gia la metafisicache egli pretende di istituireme-0

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diante la critica,dopo la critica.Infatti,dopo lacriticanessuna metafisica sarebbe possibile, cosìcome impossibile è quella " metafisica " che prendela < fisica " e la porta oltre se stessa, che con I'espefienza pretende di uscire dall'esperienza.

XXI

Ilporsi della metafisica, una volta che si sappiaiI suo essere e valere come la metafisica ( = critici-tà, problematicità)originariadella " ragione '', èpiuttosto il suo < imporsi>r, Ia sua innegabilità.L'imporsiinnegabile della metafisica, in cui si ri-solve la stessa domanda intornoalla sua possibilità(Kant), fa del problema metafisico non la sua sop-

pressione, ma la sua autentica posizione, perché lanecessità della metafisica è tutt'uno con la neces-sità che essa sia problematicae che il problemacome tale abbia carattere ( - valore)metafisico esia, perciò, ., problematicitàpura )>.

Questo è forse ilpunto più delicato. Qui si rive-lano le strette parentele ma anche le irrimediabilidi-vergenze, le invalicabilidistanze. Perché la scoper-ta dell'imporsinecessario della metafisica potrebbe,rna erroneamente, venire interpretata come la disso-luzione finale delsuo essere " problema ,, e, quin-di, processo; così che scoprire che non un problemadi corne noi poniamo la metafisica si dà, ma che sidà anche in tale problema l'imporsiinnegabile diessa, non significaaccedere ad una dirnensione ., sa- 9t

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pienzale )) c) r< saporitiva

"dello <( esperire

"in cui

l'esperire privilegiatofaccia del filosofocolui chesa; scoprire che non cercheremmo il .. vero ,t se alvero non fossirno originariannente orientati e se nonfosse il vero ad agire in noi, fondando la nostra ri-cerca di esso, non significache del .. probtrema uma-no >> si clia la finaie definitivatacitazione. Tacitati,ridottialla indifferenza,sono bensì i problemi del-l'uomo, rna per lasciar trasparire in ciascuno di essiquel

medesimo< problema

" di cui essi sono incon-sapevoli portatori, problema in cui l'uomosi scopre<< amante della Sapienza >>, dalla " Sapienza > chia-rnato, se stesso nella sua risposta alla " vocazioneteoretica o che è la sua autentica umanità.

Dal problema umano, che è la ricerca di Dio,dunque, non è possibile uscire ed ancora " proble-ma ' sarebbe infattianche I'esperienza in cui I'uomo< sapesse > per il << sapor " della cosa saputa, per un<( sapere o che trascende la pretesa inane di estolle-re il .. conoscere >, oggettìvante e vanificante,al-l'Assoluto;anche questo < esperire o sarebbe pro-blema, suo malgrado, perché il < sapiente " dovreb-be riconoscere quella sapienza in cui per dono di-vino,per grazia, egli si trova insidente;e in questo.* riconoscere o egli attuerebbe ancora una volta quelprocesso che lo fa " filosofor': nel momento in cuila Sapienza viene riconosciuta dall'uomo, vieneri-conosciuta dall'uomo l'infinitadistanza, dunque laalterità, tra sè e I'oggetto del suo amore. Problemaappunto è questa radicale e fondante alterità.

92

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XXII

Ma per questa ineliminabiledivergenza, non vatrascurata la stretta parentela tra chi, come noi, af-ferma l'originarietàdella metafisica e chi nega lapossibilitàdi " metafisiche >, che siano, come del resto di fatto sono, la riproposizioneastratta delle

" fisiche " oltre se stesse, I'estrapolazione in terminiinverificabili delleverificazionioggettivalie cono-scitive, delle" esperienze " inqualificateal livellodelle scienze. La stretta parentela va dunque ricono-sciuta; ed è appunto l'originarietàstessa della me-tafisica onde si afierma I'originaria critícità afarcistrada in questo riconoscimento, scoprendo che larnetafisica si afferma veramente solo mediante lanegazione delle " metafisiche )r, e questa negazionedelle " metafisiche > oggettivalied astratte (fisiche

estrapolate) è dessa l'autentica metafisica, negazio-ne che è appunto il carattere dialettico della stes-sa .. esperienza rr.

E' della metafisica includere,dunque, la propriafondazione, se per u fondazion > si intende il pro-cesso che autentica la ., cosa r> nel suo presentarsie se per << autenticazione ,' si intende l'affermarsidella " totalità " di cr:inullapuò fungere da fonda-mento, nello stesso senso in cui nullapuò sussisteredi estraneo ad essa. I1 fondamento della metafisicanon può non essere interno alla metafisica, rna lafondazione, dunque, quale processo, non può nonconsistere nella dimostrazione di questa presenza delfondamento,così che < metafi.sico >' è ilprocesso chedimostra il carattere nnetafisico del fondarnento e 93

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che dimostra la natura di < fondamento ,' che ha lametafisica.

Poiché la metafisica include la sua fondazione,fondare la metafisica è impossibile. Conciò la me'tafisica <( appare " infondata. Ed essa << è > infattinon-fondabilee la radice di questa in-fondatezzaè però che la fondazione di essa è appunto < intima >

ad essa, nel senso che, a rigore, la metafisica con-siste tutta nella fondazione di se stessa, che è il suo

essere se stessa come ( fondazione ,.Con ciò è giusto escludere la metafisica dal no-vero delle ., scienze " e delle conoscenze; è giustoessere neopositivisti;ma la ratio stessa della u inve-rificabilità" della metafisica è il livellostesso del suocarattere non-ipotetico, il livello<, trascendentale ,,

della sua necessità, il livellodella negazione della suanon-necessità. Ed ancora una volta siassiste al pa-radosso, che se non si è ., neopositivisti> non si èmetafisici,ma se si è consapevoli delle ragioniditale neopositivismosi è già e veramente <metafisici>.

XXIII

Si può denominare questa critica consapevolezzache in quanto < critica o è gla " metafisica u, radica-Iismo teoretico,quel radicalismo che importa la ne-cessità di investire criticamente anche le pressuppo-sizionial discorso critico.Appunto ciòche alla " cri-tica " kantiana manca se Kant accetta semplice-4

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rflente,a titolodi"

presupposizionievidenti'r,

i ca-

ratteri essenziali dell'ambitoin cui si muove il suoprocedimento critico, I'intenzionaleu fondazione udelia metafisicache vorrà, in futuro,presentarsi co-me < scienza >.

Quella presupposizione può venire del resto ri-portata agevolmente alla stessa pretesa di un cono-scere ( immediato o, alla presunta intuitivitàdel " da-to >, in cui appare anche, nella intenzionale nega-

zione del processo, I'affermazionedi una << istanta-neità " del suo presentarsi. Manca infattiad entram-be le posizioni la coscienza del processo che porta adire la immediatezza o la mera intuitivitàdel dato ol'apprensione della cosa come data. Questo processoconsiste in un < ritorno>, in un << passo indietro>,movimentoche ripercorre ilmovimento inizialedellacosa nel suo < darsi "; e, comungue, questo movi-

rnento è scoperto appunto mediante il movimentoche ritornaad essa, su di essa, sapendola < data >,ed anzi, anche per sapere, come l'intuizionismopre-tende, che la cosa è inizialmente< data > bisognaattuare un processo, il quale è il ripercorre i mornenti del" darsi u di essa.

Dunque, paradossalmente, la conoscenza del ca-rattere di istantaneita ed immediata datità della co-noscenza non sarebbe una conoscenza ìstantanea edimmediata e nega, quindi, di valere come l'afferma-zione di quella presunta immediatezza. La stessaaffermazione della " intuizione immediatadel reale o

suppone la differenza tra conoscenza e realtà, dif-ferenza che I'intuizionenon può dare appunto per-ché non sarebbe intuizionese non fosse immediata 95

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e l'immediatezzaè identità,massiccia compatta uni-tà tra intuizionee cosa intuita.

Non è possibile sapere di conoscere (: veramen-te affermare) se non mediante la negazione dellaidentità tra conoscere e reaità conosciuta, negazionedella identità intesa però come immediatezza, come.. dato o, il dato della loro originaria unità. Ritornaimportantedunque, a questo proposito, il nostrorilievodel carattere processuale delia identitàtra

pensare ed essere, processo di " identificazione,r,che è, si diceva, I'originalitàdi llegel. Così, chi siaccorge, intelligentemente,della insignificanzadelleconoscenze separate e separanti dalla cosa conosciu-ta e si appella alla originaria unitàdello stato .. ede-nico o deve attuare però questo suo ricorso scoprendoanche che appr-lnto perché u unità " quello stato nonè uno < stato > ma un ( processo "; e la sua pauradi Hegel non è più motivata.

Hegel non è, come egli teme, e come di fattosiè potuto pensare per colpa di un hegelismo inintel-ligente, accreditato del resto dalloHegel meno He-gel, coluiche assolutizzò l'umana conoscenza, ma co-luiche passò ad assolutizzare, per una non adem-piuta attuazione della sua intenzione, la conoscenza.I-'intendimentohegeliano infattiè il toglimento cri-tico dei presupposti al pensare. E questo intendi-

mento importava anche che si riducesse a presup-posto quella ( assolutizzazione o, quella chiusura mo-nistica che dei presupposti in fondo è il peggiore,perché il fondamentale, quello della " sostanzialità ",nella figuradelia " assolutezza o.

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Caratteristica del radicalismo teoreticoè dunquela " libertà " propria de1 " vero ', che è ilporsi dellacosa nella sua autenticità, della < cosa stessa )); ein tanto esso si afferma in quanto non pretende diimporsi dal di fuorio sulla cosa, in quanto cioèesso non intende valere come << operazione o delporre e del togliere. Nel porre e nel toglieresi sco-

pre piuttostoil porsi del concreto mediante il to-gliersi dell'astratto, astratto che è nella pretesa in-tanto che il< concreto ) possa venire posto o trovatoda altro da esso.

V'è dunque un senso in cui la radicalizzazioneteoretica non è se non la u semplificazionen dellacosa, almeno come ( ritrovamento" della sua stessa< semplicita,',mediante il toglimentodi quello" inpiù u che alla cosa apportano le utilizzaÀoniopera-tive, le tecniche. La tecnica è appunto progressiva< complicazione o, a qualsiasi livello,anche in quellodei sistemi filosofici, degli intellettualismi logici.La< semplicità" della cosa è che la sua < presenZa r> èil suo (< essere > che si rileva mediante la negazionedelle signifrcanze ulterìori, deiriferime:rtiestrinseci, dello << esteriore >.

La negazione è essenziale almeno come innega-bile. Anche chi presuma di collocarsi in una zona dineutralità teoretica, zona di indifferenzarispetto alledeterminazioni, si pone, suo malgrado, nella .. ne-gazione ,r, sì che essa non è più quella neutralità chesi pretendeva non appena si sappia che cosa con-sente di porsi in essa, di u farla essere ,r. E' vero 97

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che la nesftalizzazione, come Husserl ci ha ricor-

dato, non è negazione delle determinazioni,ma solola loro < sospensione >, ma è anche vero che sospen-dere significaconsiderare qualcosa come NoN-essen-te, e che, all'interno di taie considerazione, di voltain volta, la negazione appare e si muove.

XXV

Caratteristica del " radicalismo teoretico, è dun-que la " libertà > propriadel u vero >, che non è sa-puto se non come iiporsi della cosa, la quale .. è r'nel suo porsi se nel suo porsi essa si .. impone ,,si impone e non da altro viene posta, non da altroimposta. Ilmomento dunque in cui appare la " cri-

tica > come rilievodel valore è per così dire il* luo-go " deila uegazione nel quale si radicalizza la teo-resi pura.

Così la teoresi è pura nel suo stesso divenireteoresi mediante la negazione di quella immediatapresentazione della cosa nell'oggetto che il sensocornune, la comune coscienza, ritiene l'unica pos-sibile.Ilproblema gnoseologico, che è la conoscenzache non sa di essere conoscenza, conoscenza senza

atto e senza contenuto perché tutta nel pretendersirapporto da determinare tra quello e questo, è pre-cisanaente guesta neutralità in cui ci si pone perattuare Ie dimostrazioniquali passaggi da cose .. no-te > a cose che si suppone non lo siano. Ma la vali-dità del problema gnoseologico, ed una qualche va-

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lore esso non può non esibire se non altro come at-

testazione di una deficienze teoretica, è nel suo si-gnificarel'eccedenza che il< pensare ' ha sull'esserecome presenza (- essere) della negazione, la qualein tanto .< è >> in quanto all'essere non appartiene eche nega innanzituttoproprio la pretesa che essa ap-partenga all'essere, che si fondi sulla negatività nellapositività,nell'essere.

Come ( negazione > essa tuttavia " è n ed è, quin-di, positiva. Di qui il sorgere delle problematichespurie, inviluppatealla problematicitàpura, chè lateoresi sarebbe già elusa (o complicata da atteggia-menti tecnici ed intellettualistici)se si pretendes-se che anche la negazione, essendo, sia < oggetto >>

o ( cosa ,', per un porsi che sia di essa e NoNdi al-tro da essa.

Ma I'altrodaila negazione, il suo non-questo, èaltro per la negazione, è ancora ilquesto di cui è al-

troe

altro veramente nonpuò

essere: negare la ne-gazione è riproporla.Porre la negazione come " qual-cosa> è intenzionalmente negarla.

Proprioqui si annida il pericolo di eludere lateoresi pura, pretendendo che anche la negazione siaun < conosciuto >, venga positivizzata.Il segno dellapositivizzazione della negazione si ha nello interpre-tare to eteron come l'altro che si ponga tra cosa ecosa, anziché lo essere reciprocamente << altra u del-

la cosa, così che ciascuna è identica con ilpropriolimite,per essere altra da ogni altra cosa: identitàche non viene limitatase non come presenza dellaidentità conne limite.Perché, per dire con Hegel.,

" la diversità è il limitedella cosa ,,, la cosa ., è ,,appunto il suo stesso limite.Ché se così non fosse, 99

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Lo eteron sarebbe lo enantion, e si dovrebbe quin-

di pensare il non-essere come essente, perché la re-lazione tra lo enantion e l'essere sottenderebbe al-l'enantion, costituendolonel suo essere opposizione.La quale, però, a rigore, sarebbe opposizione a sestessa senza riuscire ad essere se stessa come oppo-sizione e, quindi,anche come opposizione, sarebbenulla.

La negazione sotto questo profilosarebbe nul-I'altroche ( astrazione >, riproponendo però la nega-zione concreta della funzionedell'estrarre che è co'munque o togliere, di mezzo, sospendere. La nega-zione, vista come lo enantion dell'essente, escludeinfattila possibilità di pensare come coesistente l'al-tro termine, quelloche, essendo limite,nella suaidentitàcon se stesso, è il termine escluso; I'oppo-sizione sarebbe vuota di senso appunto perché op-porsi è possibile all'internodel porsi, e dove il ne-

gativo che è opposizione agisse, ilporsi equivareb-be al non-porsi, al non-essere.

XXVI

Radicalismo teoretico è quello che togliea se stes-so la pretesa di valere come un punto di vista, siap.rre come il punto di vista che si qualifichi.< fon-darnentale >, ché in esso il " vedere " si afferma nellasua totalità, nellainterezza o concretezza del suo<< essetre ,' la cosa nella sua " visibilità". Allaradicediciamoquesto identificarsidel vedere con l'essere00

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visto, nelia identitàche sa se stessa ed è se stessa nelsuo sapersi.

Appunto nel suo non essere < punto di vista n,uno fra i possibili,possibile e non piùr che " possi-bile " anch'esso, il vedere radicalizza trascendental-mente la cosa vista e questo awiene senza che della{cosa > esso trascelga un aspetto, wt eidos, per in-terpretarne il senso; il radicalismo teoretico,dun-que, neanche opera sulla cosa o tra cosa e cosa (in-

fattinon ha un suo punto in cui si collochi,un suospazio logico,che consenta di dirsi in una sua au-tonomia). Autonomiadel " vedere u è l'indipendenzadal vincoloestrinsecante dei rapporti, deirapportiche legano, che vincolanoi termini tra di loro e fan-no, in questo vincolarsi,ciò che si dice < ordine >r,

"4anche < universo >, se universo è letteralmente < imoltiverso l'uno ' e, quindi, l'uno che è nei moltiiIverso.

In altre parole il radicalismoteoretico non in-rzerte né sorrverte l'< ordine o in cui inizialmentesipresentano le .. cose u quali terrninidi varie e com-plesse considerazioni. Ma questo appunto perchéparlando di radicalismoteoretico va precisato che lateoresi è radicale o non è teoresi, nello stesso sensoin cui la fondazione è teoretica o non è fondazione.

Allivellodelle singole esperienze, che manten-gono

la loro singolarita od individualitànei loropre-

sentarsi separato, si assiste, istorialmente, al coordi-narsi e, quindi,al subordinarsi di <( cose " nella for-ma o meglio nellafiguradel loro essere < termini>,e, rispetto alla teoresi pura, appunto si svela il ca-rattere pragmatico dell'ordine, che è < fatto essere >

e valere dal suo stesso uso. Diqui la falsa alterna- 101

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tiva tra << pensare ) ed < agire , in cui si mantengonole teoretiche non radicali,epperò non sufficientiase stesse.

Nel pragmatico <{ordinarsi > di cose il tempo e lospazio vengono presupposti nella forma del u fon-damento >, vengono confusicon la fondazione stessa,vengono identificatinelia confusione ateoretica trapresupposto e fondamento; essi, infatti,sono prag-maticamente << importanti>>, importantiil n dispor-

re > che è qui, ora, prima,dopo, sopra, sotto, avanti,indietro,a destra, a sinistra. E non v'è .. ordine > chedi essi non faccia uso, che di essi non si strutturi;restano lo spazio ed il tempo quali " residui > nonanalizzati, residui che valgono accompagnando il di-sporsi delle cose se non altro come il loro non va-nificarsireciproco delleune nelle altre, nel noncon-fondersidi < questo > con il non < questo >.

L'immagine, orappresentazione, dell'identitàdei-la cosa con se stessa, per la quale identità l'esseredel o questo > è dialetticamenteil suo non-esserequesto, appunto la " posizione ', che residua co-stantemente l'alterità ecolloca in sé la cosa come.. altra > sempre da " altra u. La posizione di qual-siasi termine si presenta infattiinevitabilmenteco-me un ., collocarsi,' di esso; di qui I'ordine,chéI'essere << termine " è già essere e valere come fun-

zione dell'ordine, come l'ordinarsidei terminigliuni 'rispetto' agli altri.Poiché fuoridell'ordineil termine semplicemen-

te non si dà come .. termine r>, non si dà affatto, ilnesso tra il termine e l'ordineappartiene all'unoeall'altro,è il u darsi > come presenza dell'uno e del-I'altro,compresenza che si rappresenta corne ternpo02

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se íLcurm deilo insierne si afierma per ilpre di chi 1o

coglie, se darsi a qualcuno si rappresenta come lo<< stare davanti a qualcosa >, come lo ., avere di fron-te >, come 1o essere prima per qualcosa che vienedopo.

Spazio e tempo, del resto, non si presuppongonocorne ciò che rende possibile il " disporsi ,, di cose,se non nel senso in cui anche questo loro essere pre-supposti è spazio e tempo, se non in quanto spazio

e tempo sarà appunto il < pre-supporre >, stesso incui essi consistono; cosi che il toglierela rilevanzateoretica dei presupposto significaanche togliere larilevanza teoretica che si pretende dello spazio edel tempo, con la conseguenza che ilprocesso ondesi attua la " teoresi l>,o negazione in atto, non è .< pro-gresso " per ilquale si vada da un primoad un ul-timo,da un termine ad altro termine, passando.

Così non può essere che la radicale teoresi importiun sowertimento delli,ordine > onde si costituisco-no i << termini" del movimento che li trova (imme-diatinel loro essere dati, datinel loro essere << ter-minir), ché in questo caso, la radicalitàpiù nonsarebbe tale, importando lasostituzione di un ordinecon altro ordine, dell'ordine< trovato , con un ordi-ne .. irnposto >, e sarebbe del resto, al suo iivello,lariproposizione steriledella medesima situazione, sen-za esito rilevante. La radicalità radicalizza, non sov-verte.

Perciò, al livelioradicale, tr.'unico intervento com-possibile con la radicalitàconsiste nel non-interve-nire, nel togliere l'intervento,nel lasciar essere Lacosa neila sua libertàdi ., vero ". Libertàe veritàche non il soggetto fa essere, nella sua considerazio- 103

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Qui è l'autentico problema dell'esperienza nellasua radicalitàe, quindi,nella sua totalità. Le costru-zioni sistematiche, o u rnetafisiche " nel senso co.mune della parola, prendono infattile mosse, losappiano o no, da questa originariaproblematica delfinito,così che la intenzionalevaliditàdi un sistemaè appunto nella soluzione che esso intende prospet-tare di tale problematica.

Ma le .. metafisiche rr, lo sappiano o no, comin-

ciano non dal finitoimmediatamente dato, ma dalfinitosaputo come finito.Metafisica nel senso auten-tico della parola è coscienza del muovere dalla fini-tezza in quanto saputa tale, in quanto problema cheil finitopone, ponendosi. Sapere lafrnitezza del finito(equivalente al sapere la immediatezza dell'imme-diato) non è semplicemente sapere ilfinito,non è unimmediato saputo immediatamente, che è, si è visto,immediatamentenon-sapere.

Sapere la frnitezza è sapere la negazione inerentealla finitezza,negazione che nega se stessa, risolven-do, e si vedrà come, la finitezzain contraddizione;rnetafisica è sapere che la radice di questa contraddi-zione non è il < finito" (esperienza), ma la sua con-siderazione innmediata, l'immediatezza in cui lo sipretende, la quale fa inevitabilmentedi esso un nega-tivo,come tale che la negazione ad esso inerente, siafissata come qualcosa di intermedio (: di collocato)tra finiti;ia considerazione comune, quella che pre-tende l'immediatezzadel finito,prende ia negazione asua volta come un finito(e ne fa il negativo in cui lanegazione si sostanzializza), ma anche, contradditto-riamente, infinitizza lanegazione. Dialetticadiadica,che poi non è dialettica,potrebbe dirsi quella che 105

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analiticamente si pone in modo che i finitivenganoassunti come già costituiti,come se quell'atomo cheè il finitofosse il limitedi inteiligibilitàda conside-darsi come ciò da cui si parte per < costruire >', es-sendo ciò a cui si arriva scomponendo l'esperienzanei suoi elernenti (analizzando, appunto). Ciò che aquesta dialettica manca è appunto il sapere che dia-lettica non è, ma che è solo la moltiplicazionedelproblema che il finitocome finitopone e lascia in-

soluto.Vera diaiettica è quella che sa il finitocome fini-to, che sa di essere la costituzione interna del finitocome finito,mediante la negazione che .. è ,, in esso:esso è un < questo >, infatti,perché è un non-questo.

XXVIII

La fondazione teoretica, dunque, e tlon v'è altrafondazione oltre quella teoretica, dell'esperienza nonè un ., punto " che si collochio si trovisituato in es-sa, né può valere la stessa esperienza nella sr.la ., to-talità " di terminipresenti e ritrevati comepensabiliad attuare la fondazione,ché proprio esso è, corne

totalità di se stessa, il bisogno di fondaziome; e,quindi, la necessità che vi sia fondazione della meta-fisica è necessità che si articoliun rapporto tra ter-minidei qualiuno sia tale da venire superato dal-I'altroperché al cliqua di esso corne orizzonte deltrascendimento.

La compresenza costatata dei due terminiè quel-06

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la stessa necessità di passare da un termine aii'al-tro, che è poi i'impossibilitàche 1'o oitre o o ciò chesi dice il < trascendente >, sia a sua volta vincolatodaquesta necessità. Se Io fosse, la sua trascendenza sa-rebbe già tolta ed anche toita sarebbe I'autoncmia deltermine rispetto al quale esso si dice " al di là ",., oltre u.

L'assunzione di un termine che si presurna total-mente presente nella propria consistenza, saputo co-

nre ciò che è I'esperienza in relazione a ciò che non èesperienza, non importa che si dia un'assunzione ditipo analitico,divisorio,dicotimico,diairetico,deitemtini,proprioperché il dire .. due u è qui lo uni-voeízzare l'ulteriorità,quale identificazione dellalo'ro empirica distìnzione.

Ne segue che la fondazione dei terminiè piutto-sto la mantenuta loro dualità senza che se ne possadare l'assunzione univoca che sia la presenza di en-

trambi sul medesimo piano come < oggetti o al mede-simo titoloe, quindi,come tali da esigere una iden-tica tematizzazione, La metafisica non si arresta aldi qua della sua tematizzazione univoca, quasi trat-tenuta dalla " volontà " di salvare il trascendente(un trascendente che abbisogna di venire ., salvato >

sarebbe un ben povero trascendente ), ma dalla suastessa gettata, che è tale da contraddire ogni movi-

mento che tenti di superare L'orizzonte del movimen-to (superare è muoversi).Così l'ulteriorvzazioneche presenta a sé da parte

dell'esperienza Ia necessità dello " oltre " appartienecornpletamente a quel processo di deterininazioneprogressiva che non è I'esperienza come tatre, ma la.. serie , delle singole esperienze. lVfaappunio ilnes- îAT

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so che sottende a queste esperienze è mantenuto inatto da quella che è l'esperienza come tale. Lafondazione teoretica è cosÌ la stessa teoresi ed è in-sistendo su di essa, e nella sua purità restando, che cisi può aprire all?ssoluto, negando quella implicitachiusura al di qua di esso che è la pretesa di esseresenza di esso.

Tale fondazione teoretica è fondazione solo per-ché la <. teoresi > non si riduce alla mera presa di co-

scienza o mera presenzialità che è il presentarsidella cosa, nel suo essere < data ,r, ma di questo ., dar-si è la connotazione più rigorosa che ne < vede >,appunto theorei,la necessità e ne limitail valore co-me condizionata.

Un discorso metafisicoche pretenda di risolvereil problema della stessa esperienza mediante il ri-corso in extremis alla creaziorre >, facendone un teo-rema (BoNTADTNT)per ilquale si annullerebbe l'es-sere nella finitezzacontraddittoria del suo divenire(cominciaread essere e finiredi essere) non farebbeche ricorrere a ciò che si postula. Lo essere del con-traddittorioverrebbe salvato solo in quanto, visto aparte Dei, contraddittorio nonsarebbe e così l'asso-lutezza sarebbe equivoca anche in questo suo recu-pero. Nullavieterebbe di pensare che la stessa af-fermazione dell'assolutosia, in quanto mia afrerma-

zione, ancora contraddittoriacome quel finitoche èvistoda me come contraddittorio.E il ricorso a Dio,operato dal finito,sarebbe a sua volta contraddit-torio.

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xxx

I1 recupero della u trascendenza )> passa dunqueattraverso (: è mediato) la negazione di essa, masolo dove la negazione non si prospetti come estrin-seca rispetto alla " realtà " da cui si muove e siapiuttostodessa questa " realtà D o questa < espe.rienza >: se la negazione della trascendenza fosseuna mera ipotesi ci si mantenebbe al livellodella

" possibilità " (ipotizzata)e la trascendenza dowebbepresumersi come solo ipotuzabile,lasciando essereI'ipotesiopposta, ché ipotesi non v'è senza antitesi.

La trascendenza dovrebbe poter coesistere con ilsuo opposto, con la sua * negazione r, almeno nel-l'inizialeassunzione conoscitiva,quella che si pren-de come iniziodel procedimentodimostrativo. L'ipo-tesi della trascendenza dunque metterebbe la trascen-

denza tra parentesi e questa parentesi dowebbe va-lere come incontraddittoria.Il trascendente, pen-sato come passibile di questa u sospensione rr, lasciaalia sua negazione la possibilitàdi afiermarsi.Conciò la situazione conoscitiva del dirnostrare sarebbe., indifferente" all'esitodella dimostrazione, ilqualepotrebbe essere equivalentemente afiermazione e ne-gazione, lo " è o e il < non è >>.

Lanegazione della trascendenza dunque deve apparire già al rnomento del suo tentativo come << im-pensabile > e non ia si può porre come pensabileper poi pervenire a pensarla come impensabile,perché questa negazione non sarebbe se non la ripro-posizione indefinitadell'ipotesi,sarebbe f ipotesi sem-pre riproposta e sernpre mantenuta tale. T.a negazio- 109

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ne non sarebbe negazione delf ipotesi, ma, piuttosto,

negazione con:e ipotesi, negazione mai ( vera > per-ché mai tale da verificarsi nellasua incontradditto-rieià, quell'incontraddittorietàche consiste nel to-gliere I'opposto.Dall'ipotesibisogna essere già fuoriper poter negare che essa valga o per dare ad essaun vaiore che la ponga come <( tesi >, liberandola dal-l'incombere del suo opposto, della sua antitesi.

La negazione dell'ipotesinon può insomma es-sere ipotetica. L'ipotesideve potersi togliere da sola,non appena la si pensi, non appena la si formulico-me contraddittoria o non la si potrà mai togliere,ipotetico diventa anche il suo toglimento,ché essaavrebbe Iaforza diipotizzarequalsiasi operazione sudi essa e potrebbe .< resistere ,, quindi, alla negazio-ne che di essa si tenti.

Teniare la negazione equivale infattia dire cheessa è solo ipotetica. Negare la trascendenza è funzio-

ne essenziale al suo recupero; e non perché la si vo-glia " recuperare > per un saperla perduta (già la siavrebbe nella necessità di < recuperarla " e di recupe-rarla non si awebbe bisogno), ma il recupero si pro-fr.la necessario perché identico con la negazione, laquaie è dessa la < restituzioneu di ciò di cui è ne-gazilone.

Negare la trascendenza non significa recuperarladall'esterno, significa

"dire , ilmodo in cui la tra-

scendenza si ., afferma n, dove l'affermarsi nonè ilsuo venire trovata o constatata, ma è il suo venirenegata corne negabile, la sua innegabilità.

110

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XXX

La restituzione nonè dunque di cosa < perduta ,,

che venga ritrovata in un movimentodi ripristinoche riportiad una posizione originaria, ma èresti-tuzione di cosa che, cornunque, non può andare per-duta, onde frttizioè dire che essa non è più presente(presente tuttaviasarebbe perché si sappia che nonlo è) e la consapevolezza di questa sua presenzache prescinde dal suo venire o riconosciuta> è unacosa sola con il tentativo di negarla.

La negazione della trascendenza, dunque, appar-tiene al concetto stesso di ., trascendenza >), come ne-gazione, così come la negazione dell'assoluto appar-tiene al concetto di assoluto, in quanto il concetto èpropriamentedel non-assoluto e del non-immanen-te, perché mantiene il nesso tra opposti onde porsi

come incontraddittoriamentevero, come << vero >.La verità della trascendenza è la sua irriducibilitàa qualsiasi concetto ed è quindipresenza della tra-scendenza come negazione di poter .< concettualiz-zare >>(: esperire) ciò che è trascendente : il riferi-rnento a ciò che viene trasceso è essenziale al suo.. trascendere " (trascendere non può se stesso), maappunto come trascendente, esso esclude il riferirnento o, rneglio, la necessità del riferimento,chesarebbe la negazione di un effettivotrascendere.

Con ciò non si toglieal concetto il suo valore on-tologico, cheè il suo essere la .. presenza > dell.acosa dr cui esso è concetto, rna si nega che il con-cetto possa valere come formulazioneche ecceda laproblematicitànella quale e per la quale lo si ri- 111

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leva, quasi come un essere del concetto che sia a sè

stante rispetto al problema che 1o domanda.Ma se la problematicitànon è solo la radicaledomanda del concetto ma il u luogo > stesso in cui ilconcetto si da, il riferirsiad esso è tutt'unocon l'at-tuarsi della problematicità, la quale non tollera mo-vimentiche pretendano di eluderla o di superarla co-me momento di un " passaggio > da attuare.

E' essenziale al dire la trascendenza la negazio-ne, dunque, non perché essa sia tutta o in parte (par-te e tutto sono già espressioni non pertinenti)nellanegazione del suo opposto (in questo caso l'oppo-sto le sarebbe essenziale e non sarebbe pir) trascen-denza), ma nel senso che la negazione.< è > la stessapossibilitàche si dica ciò che non " è > dicibileaIlivelloin cui si " è' per dire, livelloche è l'espe-rienza: la negazione è l'atto dello esperire come an-dare oltre, come negare, perciò, lo essere al di qua

dell'oltre.Se dall'esperienza si togliesse la nega-zione, si sopprimerebbe l'esperienza, ma ancora espe-rendo, ché togliere è negare, e negare è esperire.

xxxr

L'essere dell'esperire è dunque il u tendere ,', ilquale si attua nella negazione della suficienza in cuisi pone la cosa nel suo " darsi )>, come < data " (so-stantivata). Così come assoluto il senso comune, al-meno implicitamente,pensa il fatto e " fatto > essoqualificaciò che esperisce. Il senso comune si rap-t2

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presenta il fatto nella figura della" conclusività> e

non sa che così esso nega l'esperienza alla quale in-tende affidarsi,nega l'esperienza negando il " ten-dere ' che immane ad essa. E nega il tendere anchefacendo di esso un .. passare ' da un dato ad altrodato, da un fatto ad altro f.atto, nel loro disporsi inserie (: secondo un ordine, che ne dice i termini).

La negazione del tendere vuol valere come affer-mazione del < fatto >), ma, in realtà, si afierma comenegazione dell'esperienza.

Nega l'assoluto, dunque, non chi afferma il ten-dere (chi si mantiene all'internodell'esperire), machi afierma il " fatto D come cosa in sé conclusa edeludente il < farsi ' che la pone e la attua e, quin-di, come < assoluto rr: si nega I'assoluto assolutiz"zanda.

Si riduce la cosa a < fatto ) perché si congettu-ra, almeno implicitamente,la cosa come " sufficien-

te > a se stessa, dicendo la sua conclusività, la sua.. consistenza ,r, nel senso che si attribuisce ad essauna qualche < sostanzialità ", almeno nel discorsointornoad essa; così è da dire che la posizione diqualcosa che sia come uno < stare > è negazione po-tenziale di Dio.

La radicale negazione di Dioviene non dallaintenzione di negarlo, la quale è inefficace, ma dallamoltiplicazionedegli

"assoluti > che usurpano I'as-

soluto, dall'afferraazionedi qualcosa che sia in séconsistente, anche, ed è questo da sottolineare, dovesi parli di un <( partecipare " dell'assoluto. Ed è af-fatto inutilesforzarsi di passare alla affermazioneCel trascendente dopo che, affermando la posizionesostantivale degli " esperiti ", si affermi la trascen- 113

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denza degli uni rispettoagli altri, moltiplicandoquel

trascendimento che sia il " passare > come < enume-rare > gliuni accanto agli altri.

XXXII

Ma l'approfondimento dellaquestione si ha nelchiarire il passaggio dallo" implicito, allo " esplici-to >, passaggio che opera nell'esperienza stessa conla formulazionedel (( concetto ". Quando si dice peròche qualcosa è implicitamentepresente si intendedire in effettiche esso è implicitamentesaputo, nonsi intende dire che esso sia implicitamente<< pre-sente > rispetto a ciò che invece delia medesima cosaè esplicito.E' da chiarire ancora: lo implicitonon

può equivalere al u potenzials rr, facendo valere perentrambe le nozioniI'attuazìone come " farsi " del-la cosa in questione o di un aspetto della medesimacosa; della quale si dovrebbe pensare lo " implicito>

come .. implicato>, come " involuto" nella suao complessità >. Della quale cosa si dowebbe pensa-tre lo.. implicito> come non attuale e, quindi,laespli-citazionecome processo sarebbe in effettiil< farsi >

della cosa che si esplicita.Ma esplicitarenon si puòse non ciò che è già interamente ciò che << è >, poi-ché non si può pensare una implicítezza che sussi-sta a metà: è intero necessariamente ciò di cui sidice che è solo irnplicitamentesaputo.

Con questo si chiarisce che lo implicitoe la suaesplicitazioneappartengono ad una sfera non coin-.14

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cidente o, meglio, non identica con la ., cosa stessa ),

perché appunto la cosa anche implicitamentesapu-ta non può non essere interamente compresente al-la cosa che esplicitamente si sappia. La sfera deilaesplicitazioneè quella dello " svolgersi >, tale che sisa che qualcosa è solo implicito(implicitamentesa-puto) solo avendo già attuata (in questo senso svolta)la esplicitazione, anche se di essa non è ancora datasistemazione o formulazione:posso dire che a è im-plicitoin ab solo se già so che dire ab è anche dire adirettamente senza abbisognare di dire ab; ma nellaproposizione che dice l'esistenza dí a e nella proposi-zione che dice I'esistenza di ab, a è parimenti pre-sente, presente tutto intero.In altre parole, l'affer-rnazione che qualcosa è implicitoin tanto è possibi-le in quanto si sa esplicitamente che esso è tutto(: è interamente) e si ha già compiuto almeno que-sta esplicitazione.

trn questo senso, sapere di dover esplicitare èavere già esplicitato. Ed è da ribadire questo punto,perché i limitiche lo fanno essere (: che fanno es-sere la cosa nell'attivitàesplicitante) non sono in-yentati per un loro venire constatati in un'esperien-za a cui corrisponderebbe la loro< owietà ,, la loropresunta imrnediatezza,ma il trovarlinella ricerca ènell'averlisuperati nelia stessa negazione di poterlisuperare: il lirniteè saputo come limitesuperan-dolo e sapendo la sua insuperabilità.ta dialetticadel iirniten è " la dialettica del suo rinvenimento.

E' dunque essenziale al limite,saputo come limì-te, la contraddizione del < superare " ciò che nonpuò venire superato e che è saputo nella sua insupe-rabilitàrnediante il tentativodi superarlo, nel su- X15

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peramento tentato, contraddizionein atto che rilevacome limitinon i < dati > (che sarebbero irnmediatinella loro datità) ma l'esperienza nella sua << esaspe-razione u che è, come si diceva per inciso, ricondu-zione al limite.L'esperienza nella sua esasperazionetotale è lo " esperire > come tale, e in tanto essa siattua in quanto è contraddittoria la sua assolutez-za o iIsuo non essere " limite>, perché sarebbe illi-mitatamente esperienza e il limiteriapparirebbe pervenire negato nella sua assolutezza, che è quanto direil riapparire del limitecome sua negazione: la nega-zione del limitedovrebbe essere limitataalmeno co-rne negazione, ché negare illimitatamentenon è ne-gare.

Il tutto la cui negazione dovrebbe essere totalee restare, quindi, nella formadel " negativo ,r, è af-fermato solo nella impossibilitàsua di non essere,che è impossibilitàdel nulla;ilnulla, lacui negazio

ne è il tutto, in tanto è pensabile in quanto sussi-ste la negazione, la quale .. è r' in quanto si attuae si attua in quanto non << sussiste > come qualcosa,ma nega, insieme, ilnulla e il tutto essere cose da af-fermare quindio da negare.

XXruII

Ilpunto da ribadire è questo: il tutto, lacui n+gazione è contraddittoria,è saputo mediante questacontraddizione.La quale negazione non trova li-rnitirna o è ,, essa stessa il limitedupiice.nei suoL6

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essere limitein atto, I'atto del negarsi corne asso-

Xuto,corne atto puro. Ne segue che l'atto puro nonè saputo come sussistente nella intenzionenostra didirlo,come ciò al quale si toglie il " limite>, p r-ché il toglirnento dei limite,in quanto toglirnento èancora limite equindiesperienza, in quanto togli-mento del limiteè toglimentoo soppressione dellacosa da cui si presume di toglierlo,essendo " puro c'ti

iimite> non ciò che è priva di lirnite,ma ciò di cui il

limitenonpuò

veniredetto.

L'atto dal quale si togliesse il limitenon .. ri-suiterebbe o così Attopuro, ma cesserebbe sempli-cemente di essere perché, ove si togliesse da esso illimite,esso non resterebbe come <( puro >, ma solocome < nulla ,t, non resterebbe affatto.

Ciò valga per escludere dal novero delle possibi-lità la " teologia negativa o che nega in effettisestessa e come teologia e come negazione.

xxxru

La filosofia,che si pone in ordine alla totalìtà onon si pone, non è dunque il " darsi dell'intero", co-me verrebbe fatto dipensare in seguito alla consa-puta necessita del < tutto " o dell'intero, necessitàdetta da parte di qualsiasi cosa che si dìca esperen-do. Essa non dà l'intero e non perché essa non sia adesso adeg.rata o sia inadeguata alla propria inten-zione di ( possederlo >, o perché l'interosfugga allafilosofia,rna non per questo sfugga ad altra tematiz- 717

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zaziarLe (corne ad esernpio, ed è esempio pertinen-

te, alla " fede n), così che sempre aperta resti lapossibilitàdi pervenire alla attuazione di quei pro-cesso in una possibilità " privilegiata>. Non per que-sto la frlosofianon è il darsi dell'intero, maperchéquesto non può o venire dato > da nulla, non poten-dosi l'intero concludere in una attuata " defini-tività".

Che è quanto dire il suo non essere mai ., dato ",peruna

sua impossibilitàdi

concludersie perla

ne-cessità che sia invece concluso in se stesso ciò cheviene dato (< datità >, essendo immediatezza,è se-parata sostanzialità, come si è visto), cosicché I'in-tero interonon sarebbe se non fosse interamentepresente nel suo essere dato, ché intero sarebbe in talcaso il " darsi > stesso. Se l'interopotesse ., darsi

'oo potesse ( venire dato ,', sarebbe tutto o intera-mente nel suo darsi, non potendo I'intero lasciare

fuoridi sé il darsi come <( cosa > che non gliappar-tenga e ildarsi come tale sarebbe desso l'intero,perqualunque esperito, assolutamente.

Con ciò si chiarìsce che la filosofia nonè la u for-ma " dell'interoda essa però assente, da essa con-cretamente lontano; che la filosofianon è ildarsi del-I'interoche da essa venga << posseduto u; che è ne-cessario che f intero sia e che è necessario afferrnareche ilmodo di questa necessità è ilmodo d'esseredell'interonella consapevolezza che si abbia di esso.

Una volta chiaritociò, resta da lredere corne lafilosofiasi prospetti (a se stessa) come < presenza >

della fede o corne la fede che radicalmente assicura(intende assicurare) la vatriditàdei propricontenuticome ( intera > e si articoli neisuoi rnomenti in18

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rapporto alla filosofiache è, al lirnite,consapevolez-

za del credere stesso, nel suo sapersi tale. Il terna ori-ginario, comune a " fede > e a < filosofia", fonda in-f.atti,la loro.. unità ", ma dialetticamenteperché evi-ta il tradizionale contrasto tra fede e ragione (con-trasto che nasconde ilprogetto di una integrazionetra i due atteggiamenti dell'uomo in ordine al .. ve-ro o, il credere e il cercare).

Il conflittofede-ragione equivale teoreticamenteall'integrazione, ed è conflitto didue dogmatismi,fe-de essendo ancora ilpossesso preteso da parte dellaragione. La filosofiacome crisis togliealla fede lapretesa di valere come ctesis, ma poiché taie pretesasi affermerebbe, al limite,corne negazione della fede,restituisce la fede a se stessa come non negabile ne-cessità di credere, negando la pretesa appunto di nondover credere (o di non poter credere), pretesa cheè poi assolutizzazione di ciò che si possiede o nega-

zione del possesso precario nel quale ci si trovaesperienti.Fede e filosofiasono tra lorounità dialettica,dun-que, perché entrambe sono negazioni della pretesadi negare il limite(: assolutizzare), e sono I'inne-gabile necessità di attuarsi negando e sono entrambe,quindi,I'affermazionedel nostro limiteche è unacosa sola con la necessità di continuare a negare, diattuare se stessi negando. Ma quando si parla di" unità " dialettica tra fede e filosofiasi intende uninglobamento reciprocoper il quale l'interointen-zionato nella forma del possesso preteso e del posses-so critico,si afferma solo negativamente. Fede e filo-sofia si progettano quali intenzionidi pervenire al'I'intero,intenzionea\\'atto, per un possesso sicuro e tr19

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stabile, per un totale soddisfacimento dell'umano,onde dare alL'uorno la .. salvezza ,r.

L'unitàsarebbe data dunque dall'intenzione del-I'intero,il suo carattere dialetticoinvece risultereb-be qui dalla reciproca negazione, richiesta perché lafilosofiapossa esercitarsi come crisis e la fede daparte sua possa valere o pretendersi. come possesso.

xxxv

Dove il senso comune ritiene di essere e di valerecome esperienza del concreto e ritiene concreta ogni" realtà > che esso consideri < determinata > nella suaparticolarita,h consapevolez:za o coscienza criticasvela che non è concreto ciò che la comune espe-

rienza da per tale.La consapevolezza criticaè criticaappunto in que-sto rilevare I'insufficienzadel particolare a se stesso,non del particolareall'universale, ché l'universale èrichiesto,come si sa, perché il particolare sia con-cretamente tale. Concreto, infatti,non è se non il<( tutto >, che è il " tutto di sé )), come pienamentepresente a se stesso, pienezza della sua stessa pre-serrza, esserci di tuttii suoi elementi come sue de-terminazioni.

La consapevolezza del particolare come particola-re non è consapevolezza dell'universale, ma consa-pevolezza che è essa stessa l'universale.Poiché glielementi che ., entrano > a determinare la cosa nonsono mai tutti (non sono mai dati nelloro < insie-a

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me ,r), la loro totaiitàsarebbe un risultatoe risulte-

rebbe come fatta di parti, le quali lasciano corneparti fuoridi se stesse il tutto e 1o lasciano corne ta-le che la loro somma è ancora.. insieme >' e mai coin-cide con il tutto dicui esse si presumono " parti ,,.

I-'universalenon è la totalità che lascia fuoridi séle parti, anche se queste non sono tali perché lascianofuoridi se stesse la totalità:le parti non entrano incombinazione tra di lorose non per la presenza dellatotaiità che le tiene unite, integrandole.Tale integra-zione prlò venire pensata solo mediante la totalitàche ne rappresenta lo .. integrale ".

Foiché la .. scienza > quale strutturazione teoricadell'esperienza si formulasolo mediante ilnesso tra.. parti > e < sistema > in cui le parti entrano e sicombinano, il valore della scienza, misurato nellasua i.ncontraddittorietà,dipende tutto dal valore chesi attribuisce al concetto di <( parte >', concetto del-

l'integrazioneper la quale la 'parte' non è il tutto erimanda alla presenza del < tutto " di cui è parte.Se risultasse, come ritengo che risulti,la contrad-

dittorietà della nozione di " parte >> (pseudoconcetto)nel suo riferirsiindefinito all'indefinito,come è peria indefinitivitàdell'analisi, la scienza nelle sue pre-tese rivelerebbe tutta la sua contraddittorietà.

XXXVI

Se la totalitaè l'essere (iltutto diciò che è), lacoscienza come <( presenza ,, è I'essere stesso di quel- 12L

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la presenza della quale non si dà a sua volta presen-

za. L'essere non si presenta, l'essere essendo la pre-senza per la quale ciò che si presenta è essente.Ne segue che dalla coscienza come presenza non

è possibile uscire e la coscienza come totalità è ap-punto << intrascendibiler'. Ne segue che dalla co-scienza non si passa a ciò che è dalla coscienza sa-puto e quindi la coscienza non << cerca > se non è essastessa il .. cercare >'. Cercare è intendere e 1o inten-dere è andare oltre, oltreilquale non si va. Per cuiilmovimentoche fa della coscienza ciò da cui si muo-ve verso l'altroda essa è movimentoche coincidetutto con il mantenersi nella coscienza. Questo muo-versi e restare, muoversi e mantenersi va ora presoin attento esame. La coscienza che escludesse ì1 mo-vimentonon sarebbe coscienza, perché 1o stessoescludere il movimentoè ancora quel movimentoche si pretende di escludere.

Il fatto che la coscienza sia intrascendibile, cheda essa non si esca, importa anche che la stessaipotetica esclusione del movimentoappartenga percosì dire alla coscienza, internoad essa, come anzicoincidentecon essa. Non si può dunque pensare lacoscienza come < immobile", perché 1o stesso direla sua immobilitàè tenere fermo (adfirmare) la ne-gazione del movimento esuppone, quindi,che si in-tervenga, appunto ci si muova, per operare sulla co-scienza nel senso indicato dalla immobilità.

Se non è possibile escludere iImovimento,la co-scienza non è I'atomo inerte che è implicitamentedetto pensandola come (< stato >> dell'essere, esserecome < stasi n e quindila coscienza in tanto è tale inquanto essa < è " rnovimento. Ma tale movimento,22

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coincidendo con la stessa coscienza, non vale come

passaggio da essa. Così il muoversi della coscienzarisulta intelligibile solose la coscienza non viene<< rappresentata > come termine, come < cosa >, euin-di, che abbia sue determinazioni,di cui si dica ilmo-vimento o I'immobilita.Dire che la indivisibilitàdel-la coscienza è una determinazione della coscienzasignificaappunto dividerela coscienza dalla suadeterminazione, la quale in tal caso sarebbe, con-traddicendosi, f indivisibilità.

Dunque se la coscienza è indivisibile,semplicepresenza, semplicità dell'essere presente, semplicitàdello integrale, semplicità del totale, essa ( è " lasua stessa indivisibilità,è f indivisibilestesso.

Proprioqui si può assistere alla genesi delle teo-resi spurie nei confrontidell'essere, quelle teoresi chefanno dell'essere la massima astrazione, perché, unavolta chiarito,come è giusto fare, che l'essere non

è una determinazione, è facilecadere nella tentazionedi negare all'essere la determinatezza e dirloquindi" indeterminato > o residuo di quella progressiva (oregressiva) astrazione della quale esso sarebbe ilrisultato.

X}LXVII

A questo punto il discorso si sdoppia: da un can-to esso riguarda I'essere come non-dicibile; dall'altroesso riguarda il modo in cui il u dire > questa indi-cìbilitàdell'essere è la " coscienza ,,.

Il sapersi della coscienza è il suo essere << pre- t23

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senza a se stessa >, presenza che è l'essere. Poiché

I'autocoscienza non è qualcosa di diverso dalla co-scienza, ma si pone rispetto ad essa come non-altroche ha la sua esplicitazione terrninologicain essa, lacoscienza che sappia se stessa, che sia veramentecoscienza, è autocoscienza. E si dice << autocoscien-za > per dine il suo stesso essere presenza, nel sensoche essa non può attuare quella sovrapposizione disé a se stessa in cui si avrebbe I'oggettivazioneperia quale essa sarebbe aitra dalla coscierua, altrada sé.

Ora, il .< riconoscersi " è essenziale alla coscien-za, almeno in quanto è dessa il riconoscersi stesso incui è presente ciò di cui si dice la presenza, I'essere.I-o .< avere rr, dunque, come funzione presupponenteia alterita"avuta, non può venire detto della coscien-za, precisamente perché la coscienza esclude lo esse-re altro. Lo < avere > impone invece la differenza traciò che .. è u e ciò che rispetto ad esso può non es-sere: parlare di < trasformazione> o di elaborazionedel reale da parte del soggetto è sempre un divideree un mantenere intenzionalmente il divisocome di-viso.

Il rapporto tra indivisibile,tra ciò che, se nonf;osse ., uno > non sarebbe, e la divisioneche si tentidi esso onde saperne f indivisibilità,non si pone tradue terminie, quindi, non è un rapporto. Per valerecome rapporto bisogna che i due terminisiano giadue, cioè tra loro divisi.In tal caso l'indivisibilever-rebbe meno, vemebbe meno uno dei due termini.E da capo non vi sarebbe rapporto. Dunque tale rapporto deve essere internoalla coscienza, ma anchedeve coincidere con essa: per la coscienza non v'è24

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che la coscienza, proprio perché il " mondo > cheessa trovasse come da essa separato nella recipro-cità inerente a tale separatezza non sarebbe più se-parato. Lo essere separato del " mondo " è piuttosto1o essere < mondo > della separatezza, ché la separa-zione è dessa la radice del mondo, radice che non ap-partiene alla serie delle " cose D che appaiono inesso.

Lo estranearsi della coscienza da se stessa è dun-que

il.. mondo >.

Questosuo *farsi D non è dunque

se non la coscienza come < estranea u da se stessa:per quanto essa si estranei è se stessa, per quantosia se stessa essa abbisogna di venire rappresentatacome < estranea >. L'estraneazione si attua nell'attostesso che viene estraneato nella rappresentazione;la quale estraneazione consiste tutta nella pretesa di< stare " di contro alla coscienza, presupponendo unapassività della coscienza, un. essere passivo dell'atto,

un suo non essere atto.

)fiXVIII

Allabase dell'estraneazione v'è dunque una com-posizione, la quale assume insieme terminiche in-sieme non stanno (equivalentemente < stanno n solose 1o insierne è ( costruito ").La radice della estra-neazione, poiché lo essere estraneo non è origìnario,è la pretesa di oggettivare l'essere, pretesa di ridurrela presenza a cosa-che-si-presenti. Di qui ora la necessità di parlare della impossibilitàdi dire I'essere.

E' impossibile stabilire unrapporto con l'essere, n25

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perché I'essere non può venire intenzionato come.. diverso " dallo stesso intenzionare. L'oggetto che neconseguisse sarebbe tale da respingere come ad essonon identicoI'atto per il quale lo sì pensasse. Ma ilsuo venire considerato sembra inevitabileanche nelsuo dirlonon considerabiie, anche per negarne I'og-gettivabilità.Il rapportarsi è essenziale all'intenzie.nare, anche dove si chiarisca che l'intenzionare èindiretto(lo essere " indiretto o è anche lo essere di-retto secondo altro movimento). Non bastacioè chesi dica che l'intenzionamento dell'essere è indiretto,laddove ogni altro tipo di intenzionamentoè direttorispetto allacosa intenzionata, perché, anche indi-retto, lo intenzionamento sarebbe un rapportarsi,mantenendo comunque Ia cosa intenzionata in una" alterità " che la distanzia dall'atto e all'atto non siriduce.

Le ontologie hanno questo di peculiare, che fan-

no dell'essere un riferibileall'atto,altre da esso, cosìche le ontologie,proprionella loro intenziclne di.., dare, l'essere, sono dell'essere l'alterazione fonda-mentale, I'occultamentodel suo senso, la perdita delsenso del suo essere ( presenza >. Le ontologiesonola vera negazione dell'essere, proprionella loro in-tenzione di possederlo, di concettualizzarlo, sìapu-re dicendo che il concetto di essere è .. trascenden-tale > rispetto a tutti glialtriconcetti od enti chevengano da esso inclusio in base ad esso venganoformulati.

126

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XXXIX

Poiché la coscienza, come coscienza dell'interosirisolvenell'interodi cui è coscienza, la necessitàdel risolvereè Ia mera intenzionalitàche connettecoscienza ed essere e fa della coscienza una ( totaleapertura > s è totale nel suo essere la ., presenza >

di ciò che essa .. è ,r. La coscienza è necessarìamentecoscienza dell'intero,perché se qualcosa è presente

(: è) è presente nella sua verità, nel suo < intero >.

Ne segue che I'interocome tale è l'interodi cia-scuna cosa presente ed è presente nella stessa pre-senza di ciascun intero. Ne segue che l'intero cometale è I'interodi ciascuna cosa. Ma è possibile direche I'interocome tale è presente? La sua presenzaè necessariamente presenza deila cosa nelia sua sin-golarità, cosicché della presenza dell'intero nonv'è

bisogno di parlare, come se si trattasse di una pre-senza a sua volta, di una ripetuta presenza rispettoalla presenza come tale.

Ma sorge qui la domanda di come sia possibileche si sappia la presenza deii'interocome intero, seesso come tale non si presenta, se esso non è unsingolo che si presenti. Ciò che qui va subito chia-ritoè che lo intero corne intero nonpuò valerecome lo .. insierne

"degli interi,come 1o n insieme o

che non può essere la compresenza degli interi traloro connessi, quasi insierne di tutte le sue parti,che siano taliper un moltiplicarsidell'una perX'altrao dello aggiungere I'una all'altra, ché, logi-camente, lo insieme sarebbe ancora una parte chesi moitiplicaindefinitivamenteper se stessa. 1,27

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XL

Altrasalvezza non può venire oltre la salvezzache viene dal vero. Il" vero " infattici fa liberi,ilvero infattiattua la liberazione autentica da noistessi, da ciò che, nella nostra illusionedi consi-stere tra ilconsistere delle cose, fa inautentìco l'esi-stere. E del resto il bisogno di liberazione, in cuisi risolve la domanda della salvezza, è coscienza diessere non autenticamente se stessi, coscienza auten-tica di una inautenticità.

Non si vadunque all'autenticoessere rapportan-dosi ad esso a partire dall'inautentico nostroesistere,ché ogni movimentoche lo inautentico esistere fa-cesse verso l'essere sarebbe ancora inautentico, sa-rebbe non altro che la ripetizionedella sua inauten-ticità.E' per l'autentico sapersi non autentico che

si sa I'inautenticitàdel non-sapersi, inautenticita diquanto, non essendo pensiero, non è ( vero '.Ma appunto perché il u vero " è pensiero, con-

creto non può essere ciò che non è pensabìle, con-creto non può essere ciò che aI pensiero apparecontraddittorio,che, pensato, svela la propria nul-lità.Dove il senso comune ritienedi essere e di va-lere come esperienza del concreto, esperienza con-creta, la consapevolezza di che cosa significhi

"con-

creto > non appartiene al senso comune, ma allafilosofia,la quale, pensando concretamente il con-cetto di concretezza.r è > la stessa concretezza delconcetto. Poiché pensare non si può che l'esserenon sia, limitarenon si può l'essere se non pensan-dolo e superando la lirnitazionenella iliimitabilità28

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appunto del pensiero; il quaie però .. è

"la stessa

non limitabilitàdell'essere.Poiché l'essere non è limitabile,I'essere non può

cominciare ad essere e non può finiredi essere. Co-mincerebbe da se stesso e non comincerebbe per-ché sarebbe già tutto in ciò da cui comi.nciasse, ocomincerebbe dal non-essere e non comincerebbeo sarebbe limitatodal non-essere, limitatoda nuila,non limitato,contraddittoriamente. Sefinisse furi-

rebbe nel nulla, non finirebbe,perché ilnulla in cuiesso finisse sarebbe il nulla stesso di questo finire.Cominciaree finiresono dunque contraddittori,

sono in efietti I'obliodell'essere, il nascondersi dei-l'essere in un pensiero che non è pensiero, che non<< è >>. Ma qui ancora si cela una tentazione, quelladi dire che se non I'essere cominciae finisce,co-mincia e finisce nell'essere lo < essente n, l'.. ente r',ciò-cheè. Se non che, dire che non l'essere comincia

e finisce ma che cominciae finisce l'essente signi-fica semplicemente dire che l'essente cominciada1-l'altroda sé, ilquale come altro si mantiene perchéda esso l'essente possa cominciaree finoa che èaltro è anche il non-essere di ciò che da esso co-minciae ciò che da esso comincia primanon era enel suo divenire cesserà di essere. Ma così è ancheevidente che ancora è dell'essere che sì direbbero

ilcominciare ed

ilfinire.

Dire che un < essente > prima non era apparecome un dire che v'era un prirna in cui l'essentenon era, che questo {<prima " era ed è quel primain cui l'essente è ilnulla di se stesso, non .. è ,r. Iatal rnodo però dovrebbe anche risultare che il tem-po conìe il " pirna o ed il " dopo u è essenziale ai 129

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divenire, nell'essei'e dell'essente. Itr tempo dowebbeavere una rilevanza metafisica. E qui si cela l'equi-voco, quello per iIquale il tempo viene pensato co-me essenziale al divenire, così che il diveniresidirebbe per un .< prima ' che era e per un .. dopo o

che sarà. Ma poiché il tempo sarebbe in tal modoesso stesso ildivenire, il tempo stesso dowebbe ";e-nire pensato per un prima ed un dopo, all'inflnito(ed è la rutiodeltr'istanza kantiana della a priorità.del tempo). Che se il tempo non fosse a sua voltainglobato neldìvenire e non divenisse, 1o si dowebbepensare come un ( presupposto ', al divenire, mapresupporre è porre prima,ed è il presupporre,come già si è visto, ad essere quel prirna, così chetemporalitàe presupposizione sono tutt'uno. To-gliere i presupposti significaquinditogliereal tem-po la sua pretesa (presupposta) rilevanza teoretíca.

Del diveniredunque bisogna poter dire senza

che il tempo si equivochi conesso, senza che neldire ildivenire appaiano le espressioni deviantidel.1o ., era > e del .< sarà n, del " prima n e del .. dopo ,n,

del passato e del futuro.Operazione difficilecome èdiÍficileliberarsidal senso comune, dalle presuppo-sizioni che lo sostengono ed alimentano, liberazionefilosoficache è appunto il pensiero e dunque il vero.Vano sarebbe pervenire alla consapevolezza di dovertogliere i presupposti, se dopo ci si perde davantia quel presupposto di base (di base al presupporre)che è il tempo e lo si involvenel diveniree si fadella metafisica, conseguentemente, sapendolo o no,una << fisica del tempo >.

Se divenire è cominciaread essere e finirediessere, se divenire significaavere in sé un tempo in30

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cui non sia ciò che è, divenire è impossibile, è soloastrattamente pensato, è non-veramente pensabile, ènulla. Dunque, o il divenirenon è corninciare e fi-nire o ildivenire è nullc.

XLI

Ma se nulla non può essere ildivenire dì questanegazione dei divenire,se nulla non può essere ildiveniredi questo pensiero che scopre la contrad-dizione del cominciare e del finire,negare non sipuò ii diveniresenza contraddirsi.

Così, ilpensiero che non può pensare il divenireneanche può pensare ia proprianegazione del dive-nire, ché penserebbe la negazione di se stesso, nonpenserebbe o penserebbe ancora all'infinitola suastessa irnpensabilità, sarebbe desso a pensare, dive-nendo, la sua stessa impensabilità. Non è possibile,dunque, arrestare il pensiero alla negazione del di-venire, anche se il pensiero pensa appunto l'esseresolo negando il divenire, passando attraverso que-sta negazione. Chi si arresta a questa negazionequindinon può pensare l'essere o non è l'essereciò che egli pensa.

La quale negazione del divenire ha però ragìonedi porsi finoa che il divenirevenga pensato cornel'essere-che-non-è e il non-essere-cheè, solo finoache si pensa l'essere come qualcosa che si differenziadal nulla, fino ache si pretende di pensare L'esserecorne irnmediatamente dato, e quindi,come << cosa ) 131

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che sia difierenziandosidal non-essere, così che es-

sere sia, per dire con Severino, ogni non-niente.Ilpunto da vedere bene è dunque questo: se sia

vero che .. l'essere in quanto tale è negazione delniente, sì che se il niente non appare, non allparenemmeno l'essere. Se il "niente"non apparisse, nonapparirebbe niente ,r'. E' da vedere bene, perchénon so finoa che punto sia vero che l'essere *ap-pdre >r, finoa che punto I'apparire del|'essere siapensabile.Si vede intanto che il suo apparire dovrebbe es-sere immediato,e l'essere almeno sarebbe dato(immediato)in questa sua presenza. Ma I'appariredell'essere, essendo essere deli'apparire, è I'esserestesso, il quale ancora non apparirebbe. L'apparire,infatti,dovrebbe potersi distinguere dall'essere ecosì sarebbe apparire anche del non-essere ed ilniente apparirebbe. Unica soluzione sarebbe quellache, distinguendo l'apparire dall'essere, fa dell'ap-parire il soggettivo < conoscere " in una forma difenomenismo che qui è già toltoe tolto rìgorosa-mente, come si sa, proprio da chi continua inspie-gabilmente a parlare di " apparire delL'essere ,r.

" Se il niente non apparisse, non apparirebbeniente ,r è espressioue di per se stessa non-vera, per-ché se ilniente fosse verarnente niente, il suo appa-rire consisterebbe nell'apparire delsuo essere nien-te, del suo non essere. E se ].'essere fosse veramenteniente, non si distinguerebbe da quel niente chenon apparirebbe se esso non apparisse. Comun(lue,la prcposizione ., se il niente non apparisse, nonapparirebbe niente > non ha pitr la f.orza dell'altra,32

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ad essa logicamente equivalente: " poiché il niente

non appare, I'essere non appare >.L'apparire, infatti,è degli .. essenti " che in tan-

to appaiono in quanto nessuno di essi è (si identi-fica con I'essere come essere) quell'essere che sonotr.rttiglialtri.E il loro apparire è tutt'uno con ialoro reciproea negazione: l'essere in effettiapparesolo nel senso che glienti appaiono nelia negazione.Ed allorché si conclude, come Severino, che la

"verità dell'essere è appunto I'affermazionedell'im-

rnutabilitàdell'essere " è anche da rilevareche inquanto aftermazione l'immrttabilitàdell'essere di-viene (ed, infatti,affermare è possibile solo nellapossibilità che non si afierrni,nella possibilità chesi neghi, nella problernaticità).

XLII

Se I'essere, per venire pensato (come oggetto dipensiero, come < dato o) ha bisogno che si pensi iInon-essere, poiché pensare non si può ìI non-essere,neanche l'essere può venire pensato, così come pen-sare non si può ii pensare (che è processualmenteI'essere, I'originalitàdi Hegel, si diceva), e il pen-sare, una voita pensato, implicherebbeil suo op-posto, il non-pensabile ed ilnon pensabile (che " è "il non-essere) gli farebbe da elemento costìtutivo,cla interna determinazione:la determinatezza de\-l'essere sarebbe il niente.

La illimitabilitàdell'essere (e del pensare) .. è ,' 133

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la impossibilitàdel nulla,il non-essere dell'impen-sabile. L'altroda essi sarebbe ilnon essere e ilnon-pensabile. Ma se è vero che non si può pensare l'es-sere senza contrapporlo al non-essere e se il non-essere è appunto la contraddizione di questo con-trapporsi,vano è dire che è essere ogni non-niente,che è proprio dell'essere negare quel niente che sipone come sua negazione; ché, in tal caso, essen-dovi ilniente perché lo si neghi, veramente non losi potrebbe negare e veramente l'essere non sareb-be: se il niente è essenziale all'essere, l'essere inquanto tale sarebbe non-niente, poiché il nientenon è, sarebbe essenziale all'essere di non essere.

L'essere < è >r non-niente perché è, non viceversa;e di esso però si dice che < è u in quanto si nega dipoter affermare ilniente. L'autentica affermazionedell'essere è la negazione del niente, ma non comeattivitàche u assuma " (presupponga) ilniente per

attuarsi come sua negazione, bensì come il dissol-versi dialetticodel niente nel suo venire pensato.

XLIII

La ragione per cui si dice che il divenire nonèpensabile, non < è r,, è appunto che nulla sarebbeciò che cominciasse ad essere e cessasse di essere;la quale ragione vale appunto anche per quelia ne-gazione del divenirela quale od " è,' indiveniente,facendosi con ciò assc .uta nella sua immanente ne-gatività,dunque assclutizzando ilniente, o contrad-34

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dice se stessa affermandosi in quel cominciare ad

essere che è ilporsi di se stessa, ilNEGARSIEF-FETTIVODELNULLA.La negazione del divenire,dunque, poggia su

questo: che il divenire, se fosse, sarebbe l'essere oI'apparire del nulla. Madunque la negazione deldivenire si risolve nellanegazione del nulla, nell'afier-mazione che ìl nulla non .. è r' e che si dice appunto., nulla > ciò che non è. La quale negazione del nullaperò deve diveníre, perché se non divenisse si awebbe da sempre (: necessariamente) questa negazionenell'assolutezza indiveniente delnegare. Che è ilne-gativo stesso della sua assolutezza e l'assolutezzadel negativo è ilnulla.

Se la negazione del nulla nondivenisse, se essafosse da sempre (: assoluta) e non cominciasse adessere, da sempre vi sarebbe ilnulla (: ìl nulla necessariamente sarebbe), da sempre ilnulla, essendo,

negherebbe la negazione che da sempre si pone ac-canto ad esso (accanto perché non riuscirebbe asupprimere ciò di cui fosse negazione) e da semprevi sarebbero l'essere ed il non-essere, dunque lacontraddizione, che, necessaria, non sarebbe con-traddizione.

Cominciare ad essere contraddice dunque l'es-sere e quindiil pensare (pensare è qui sapere l'in-contradditorietàdell'essere, << è ,' la stessa incontrad-dittorietàdell'essere). Ma la negazione di questo cominciaredell'essere non può non cominciare.Edessa effettivamente comincia perché è il " comin-ciare '> stesso, 1o ., essere sempre di nuovo r', ilnonessere rnai < finita>. Appunto la problematicità,I'esperi.enza. I1 suo cominciare è il pervenire a sa- 135

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pere che si deve negare il cominciare dell'essere ed

il suo finire.Così, ciò che sernbrava accreditare, nelnon cominciare e nel non finire,f immutabilità,ac-credita invece inaspettatamente la problernaticità,il " divenire".Il " cominciare ,, è il negare i presupposti em-piriciche hanno fatto dell'essere ciò che cominciae che finisce,presupposti che sono, nel loro fondo,la pretesa comune di pensare I'essere, facendone r:rr" pensato >; pretesa che, cercando l'essere, trova ilnon-essere, non trova nulla (infattiquell'essere sa-rebbe l'astratto), che affonda le radici nel nihilismo,che è la radice di quel nihilismoche essa non sariconoscere e che anzi costituisce insieme il suoprodottoed il suo scandalo.

L'essere dunque non comincia e non finisce,macominciae flniscela sua negazione, nel senso cheessa ( comincia sempredi nuovo " e quindinon

finisce. Dunque la radicale negazione del cominciaree del finiredell'essere va fatta e chi si scandalizzadi essa la î.a a modo suo, contraddicendosi.

Ma essa come negazione non basta a se stessa,ad essa non ci si può arrestare, essa non si assolu-tizza, ché se bastasse a se stessa, se fosse paroladefinitiva,se fosse, con espressione di Parmenide," il sentiero del giorno u, assoluto e tuttaviaperdu-to e da recuperare nella sua assolutezza, sarebbeI'assolutezza del negativo, il nulla,si convertirebbenel .< sentiero della notte >, e sarebbe iI < sentieroctrel giorno ,, a produrre da solo la sua notte.

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XLIV

Ma poiché si deve negare il cominciare dell'es-sere, poiché deve attuarsi questa negazione, non sipuò non andare fino in fondo, non si può fermarequesta negazione al di qua dell'apparire, non si puòlasciare che l'apparire alrtreno cominci e finisca,chél'apparire è essere od è nulla.L'apparire, infatti,come apparire dell'essere comincerebbe ad essere

tell'essere, chè se cominciasse nel non-essere por-terebbe ilnon-essere nell'essere, o l'essere nel non-essere, nulla dovendo essere l'apparire dellacosaquando essa non appare, nulla dell'apparirecheriproduce in fondo immutata la pretesa che l'esserepossa avere un tempo in cui esso non sia.

Vi sarebbe, infatti,almeno un tempo in cui lacosa non appare, in cui l'apparire non ( è r', untempo in cui l'essere che è l'apparire non < è r, untempo ancora in cui lo essere semplicemente non" è >. Ché se l'apparire avesse ilvalore di qualcosache non ., è '', nulla esso direbbe apparendo e nean-che ilproprionulla, ché ilnulla, se sapesse se stes-so, non sarebbe ilnulla che è. Chi sa la nullitadelnulla è nell'essere, è essere.

Dunque diremoche tutto ciò che comincia adessere nel senso che prima non apparìva e dopo

appare, che prima non era e dopo non sarà, è nulla.Diremo, coerentemente, che tutto ciò che cominciaad essere e ad apparire è nulla e che in questa suaradicale nullitàesso però non coinvolgela coscien-za luminosa della sua nullità,che nella contraddi-zione non è coinvolta la coscienza incontraddittoria137

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della contraddizione. E guesto è il << p osàre r>,

l'.. essere > che appunto non è ciilche-incontraddit-toriamenteè, ma è la stessa incontraddittorietadellanegazione che l'essere possa venire pensato, l'incon-traddittorietàin cui si scopre che l'essere, pensatocome << essente 'r, e il divenire pensato come l'es.sente+he-diviene, che era e non è, che è e non saràsono contraddittori.

Che se così lipensa il senso comune e la civil-tà occidentale senso comune e civiltàoccidentalesono veramente nella notte.

xlv

Ma l'approfondimentodella problematica del di-

venire, quella che nasce nell'essere non appena sipensi il nonessere, importa che si riveda intantoquella che è la nozione del divenire,quella che con-siste nell'osservare (istoria)la presenza di un mo-vimento verso la pienezza d'essere di ciò che si pre-senta.

La considerazione approda alla nozione di " pri-vazione 'r, perché dire che qualcosa diviene signi-fica direche il suo essere non è ciò che, divenendo,tende ad essere. Ma appunto non appena ci si poneilproblema non più di < osservare " ildivenirecomedato, ma di saperne I'intelligibilità, la*privazione"si pone in terminidi problema.

La privazione che sembrava all'iniziola spiega-zione del divenire(la potenza come capacità di es-38

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sere non attr.lata) si rivela invece lo stesso proble-

ma del divenireriproposto come <( privazione>, co-me ilnon essere ancora I'essere che la cosa ( può "essere. Ildiveniredella cosa verso se stessa domandache la cosa sia < se stessa > e, quindi,da un cantoesso è .. interno " alla cosa come rapporto tra ciòche essa .. è ,, e ciò che essa non < è > ancora; dal-l'altro,è < esterno " alla cosa perché non costituiscela sua autenticità: la cosa non < è " ilpropriodive-nire, se diviene per essere se stessa.

Così la problematicadel divenire da un cantonon può venire elusa, dall'altronon trova posto nel-I'autentica posizione della cosa, da un canto essa ètutt'uno con l'esperienza, dall'altroessa è tolta conla consapevolezza dell'essere stesso nella sua *veútà u, nella sua < autenticità >.

Perciò la problematicadel c divenire ', non puòvenire considerata risolta con le espressioni in uso

< processo teleologico >,<<

deontologia o, u realizzazio-ne di sé', *attuazione della poten7,.D, K passaggioall'atto >, .. tensione verso la pienezza >, ( ricercadella pienezza d'essero >, <( movimento della cosaverso la sua realtà 'r, figurelogiche, per così dire,di quella <( aspirazione ' in cui comunemente sivede la storia dell'uomo nelmondo e la storia delmondo per I'uomo.

E qui la filosofianon può eludere il problema,

problema eluso invece dai linguaggie dalla u poe-sia ',. Se conveniamo e non arbitrariamentedi chia-mare << valore > ciò a cui la cosa, divenendo, tende,la privazione del valore è tale soio per la presenzadi esso oltre la cosa che ne è priva e la steresi oprivazione è insieme l'assenza e la presenza fi ciò 139

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che è assente. Proprio I'assenza riesce problematica,

non perché la si debba pensare come a sua voltapresente (sarebbe riproporrefittiziamentela pre-senza, all'infinito,di questa presenza dell'assenza),rna perché essa intanto è < assenza > in quanto nondeve essere assenza, in quanto v'è il suo negativo,in quanto la presenza che essa nega è negata inefietti daqualcosa che non deve essere. In quantov'è ilnon essere.

Così si capisce perché lo Hegel, nel coinvolgereinsieme il facile moralismo,polemizzòcontro il*dover essere > e fece di questo la saccenteria dellemorali;1o si capisce proprio per quell'importodinegatività che è tutta astrattezza (e questo valgaanche a provare come ilpensiero di Hegel non sianecessariamente I'afiermazionedella " potenza delnegatìvo " nella storia, ma possa anche valere comeio sforzo di negare tale presunta potenza senza ne-

gare Ia negazione in cui iipensiero veramente < è >o si attua).Il" dover essere > rappresenta il fulcrodelle fa-

cil: filosofieche eludono ilproblema, perché pon-gono ambiguamente una <( separazione > tra il " fat-to > e la ., ragione >, tta l'esperienza come ciò chesi constata e la .. razionalità > che giustificaappunto l'esperienza.

Le facilifilosofie eludonoil problema, perchépongono ambiguamente una << separazione > come trafatto e ragione, tra esperienza come ciò che si con-stata e la razionalitàche giustificaappunto I'espe-rletua.40

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Se I'assenza fi cìò che deve essere presente è

tale per la presenza di cíò che non deve essere pre-sente, che non deve essere, si pone il problema dellaratio dell'assenza, in modo ehe essa sia intelligibilesenza convertirsiin presenza, a sua volta, in essere.Se si pretende che ciò che .. deve essere > abbia inse stesso La ratio dell'assenza o se tale ratio fosseintrìnseca a ciò che u deve essere ", si dovrebbepoter dire che il " dover essere " è per se stesso ne-

gativo, che esso è in se stesso la propria negazione,quale sua autodistruzione, o che efiettivamente lacosa, priva di ciò che le è essenziale, possa sussi-stere separata da se stessa, << astratta > rispetto ase stessa.

Il concetto di " steresi " è dunque tutt'unoconquello ad esso apparentemente relativodi .. doveressere > ed è inintelligibileperché tutto < astratto >

(la cui intelligibilitàsarebbe solo astrattamente tale)

e va chiarita I'opposizione inerente al concetto disteresi, la quale opposizione mantiene separati traloro i terminiche si presentano ciascuno comei'equivalente dell'altro(la privazione è I'equivalentedel dover essere). Se dico, infatti,che A è tale chead esso manca x e che x è tale che A senza di essonon è A, in effetti,lo x, essendo di A costitutivoedessenziale, non si tiene separato da A, ma è lo stes-so A in quanto separato da se stesso (e guesta se-paratezza ha per norne x).

Dunque tra A ed x non si pone una relazionetale che si possa pensare A senza x, ma quello Ache potesse venire pensato senza x non sarebbe Ao sarebbe A come la negazione di se stesso, negatiosai, nulla. I4L

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La correlazione che le facilifilosofiedeontolo-giche afferrnarlo corne ad esse fondamentale è inefiettilk opposizione ,, all'interno di ciò che si dice< diveniente )>, soggetto del divenire,ciò che, dive-nendo, tende ad essere. Opposizione impossibile traI'essente e se stesso, tra l'essere e se stesso, senzaneanche poter <( essere > come opposizione.

XLVI

La problematica del divenire è già elusa, dun-que, dove il divenire venga assunto come evidente,come ( dato > d'esperienza, perché se l'esperienzastessa è divenire,non è possibile, al limite,avereesperienza del divenire piùrdi quanto si abbia espe-rienza della stessa esperienza, piirdi quanto l'espe-rienza non possa oggettivare se stessa, alienandosi.

L'esperienza che si abbia dell'esperienza sareb-be, al limite,lo esperire la divenienza dello stessoesperire, ma poiché non v'è esperienza che non di-venga (la stessa forma di dogmatizzazione da partedelle dottrinesi afferma e diviene,afiermandosi),è da dire che se si potesse avere esperienza del

divenire, si avrebbe del divenireciò che rìsulta, il< fatto ', nella forma derivata dal " dato D, ma co-me qualcosa che, in quanto divenire, è gia conclu-so: si avrebbe un concetto del divenire non conver-tibilenel divenire(attuafita, processualità) propriodel concetto.

Il rilievodi questa considerazione è abbastanza42

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irnportante perché, a propositodi u storia >', è dadire che se, nella * ricerca del senso della storia ",sl presumesse un concetto estraneato rispetto allastoria, si presumerebbe un concetto che non è con-cetto. Chi ritiene di dover contrapporre, denomi-nandolo a priori,il concetto alla storia (F. LoL,r-renor), l'incongruenza dei due terminicome del di-venire e dell'indiveniente,manca di rilevareche idue terminiin tanto si pongono in quanto è ., con-

cetto >> guesto loro porsi, così che la pensabilitàloro è grà il concetto e quindila loro efiettivacon-ctetezza.

La facile tentazione di dare I'appellatìvodi" reale o al mondo perché esso sarebbe il consisteredi cosa documentabile (il< fatto "), si profilacomeimporsi fittiziodella temporalità,per l'equivocoincui cade Ia rappresentazione naturale (coscienza co.mune) tra storicità e temporalità,ché, non appena

si parla di storia (= di divenire) anche si ritienedi includere un discorso sul tempo o come presup-posto al divenireo come modo d'essere di ciò chediviene, che sia il diveniente come ancora lontanoda se stesso.

Un modo di esprimersi può essere anche questo:la cosa corre nel tempo per trovarsi tutta intera.E qui, una volta consaputo che il tempo è infinito,

si sa che il suo correre è vano; che, se il tempofosse finito,vi sarebbe una conclusività inerentealtempo come tale, a prescindere dalla cosa, la qualepotrebbe subire una fine senza che questa coincidacon il suo fine, settza che essa sia interamente sestessa.

L'aporia della storiache < corre, nel tempo è t43

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dunque che se il tempo è infinito,infinitaè ia di-stanza tra la cosa e la sua interezza e il correre èvano (una distanza infinitanon è una distanza, chéle .. misure r> sono necessariamente finite);se iltempo è per se stesso finito,è finitoa prescinderedalla cosa e quindila cosa può non raggiungere sestessa. In entrambi i casi, il tempo è nulla per lastoria della cosa e la corsa della cosa nel tempo èvana.

Ma, consapevoli o no, coloro che rimproveranoal concetto di non essere storico, fanno della storiauna temporalitàche pro-gredisca nel succedersi deifattie fanno conseguentemente del concetto la de-finitivitàimposta dall'esternoda parte del pensie-ro: ciò che viene meno è sempre il processo, l'at-tualità, ilvero divenire.

XLVII

L'afrernazione che qui va fatta e che condizionaI'interosenso del discorso svolto è che non v'è di-venire se non nella negazione. E la negazione è ne-gazione solo negando, attu.andosi nel suo negare enon v'è negazione oltre questo atto. Ossia

ilnegare

non domanda di " fondarsi > sul negativo più diquanto il negativo non domandi di venire giustifi-cato (giu.stificarlosarebbe negare la negazione, per-ché ilnegativo è I'assolutezza del nulia).

Ora, negare non si può l'essere (che si affermacome innegabile ed è la stessa innegabilitàdell'af-44

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fermarsi) enegare non si può il non-essere (non si

nega ciò che non è). A questo punto la negazioneappare come ciò che non può ( apparire >, comeciò che deve venire soppresso, perché pensarla ècontraddirsi, perché essa è contraddittoria. I1 chesignificasemplicemente che essa non può venire( pensata >, non significae non può significare al-tro; sopprimere la negazione infattisarebbe negare;v'è un solo modo di sopprimere la negazione: ri-produrla.Essa dunque è innegabile, se qualcosa èinnegabile è propriola negazione.

Dunque se qualcosa è da rivedere, una volta tro-vato che la negazione non appartiene all'essere enon appartiene al non ssere, è precisamente ilmo-do in cui si dice l'essere e si dice il non-essere. Ap-punto, rimanendo nella innegabilitàdella negazione,vano sarebbe dire l'essere se non si dicesse ancheche esso non può non essere e che ilnullaè per se

stesso questa imFossibilitàpositivizzata.Il nullanon essendo, l'essere è; dell'essere si dice che è per-ché si dice del nulla che non è, ma l'essere non èperché non < è " il nulla, chè questo .. perché ,'fisserebbe ii nulla come << ragione >' dell'essere. Loapparire deil'essente è l'essere.

E' da chiedersi, però, ancora come possa valerela negazione se, anche non pensata come << cosa ')

tuttavia di essa si dice. Dicome si possa dire lanegazione, appunto se essenziale al .. dire ' (affer-mare) è la negazione. Essa si pone quale timíte tral'essere ed ilnulla (non appena di essa si dìce chesi pone, si deve dire che si pone fuoridell'esseree fuoridel nulla). L'essere è illimitatamenteessere 145

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e il non essere non < è n; dunque il limite,che do-

vnebbe essere comune ad entrambi, è nuila.Nulloesso è per entrambi i lati ed il fatto cheesso non sia un < teffitoriou che si contenda all'unoe all'altro significa cheil suo rnodo d'essere nono è > se non I'indivisibile attualitàche non si afier-ma se non in quanto non può venire aff.ermata enon può venire negata. Il suo affermarsi è toglierequesta duplice pretesa. L'atto si svela nella dupliceimpossibilìtà appuntodi subire, come ciò che su-

bisce un'azione estranea ad esso, affermazione onegazione, consiste dunque nella contraddizione, laquale è saputa incontraddittoriamente, superataquindinel suo stesso sapersi contraddizione. Nonche la contraddizione sappia se stessa, ma neancheche la contraddizione possa veramente venire sa-puta (essa contraddirebbe anche quel sapere chela sapesse).

E' precisamente nell'impossibilitàdi sapere lacontraddizione e nell'impossibilitàche la contrad-dizione sappia se stessa lo scandalo. Lo scandalo èdunque proprio la contraddizione. Ma lo scandaloè mantenuto finoa che non si sappia ilmodo in cuila contraddizioneè nel suo stesso togliersi.Chi pre-tende di doverla togliere e fa diguesto, pensando ovivendo, ilproprioprogramma non sa che non la to'glierà mai, proprioperché è contraddittoriovolerlatogliere, è creare la contraddizione onde appuntopresupporla all'atto conoscitivo.

Non è che .. prima ' si assuma la contraddizionee dopo la si tolga, rna porre la contraddizione èanche toglierlaperché essa piuttostosi nega dasola, .. è > questo togliersi, contraddittorioanche46

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come togliersi, -oerché per togiiersi bisogna esser:e

e per essere bisogna almeno non togliersi. I-acon-traddi.zionenon sarebbe contraddizione se potessevenire < superata ,, da aîtro da essa e porsi " pri-rna " del suo superamento: contraddizione essa nonè se non è contraddittorioanche il suo porsi.

Così il filosofaresi articola ( - si struttura) se-condo le indicazioniintrinseche all'atto del negare:l'inerenza delîa negazione aIIa ricerca, l'impossibi-Iitàdi assalutizzare Ia ricerca, perché assolutizzarela ricerca equivarrebbe a negare la negazione (senon è negazione di altro è negazione di sé ed è con-traddittoria),Ia illímitabilitàdetl'essere come suaincontraddittorietà(equivalentemente : la indefiniti.-vità della contraddizione).

E le direzionisi mostrano come impossibilitàdí " dire " la negazione come un negativo che sus-sista in se stesso e di negare che negare si possa e

si risolvono quindineî rileyareIa contraddizione,tr-'attuarsi del ricercare ha senso riducendo a con-traddizione la pretesa di eludere la ricerca, mo-strando che eludere la ricerca è solo una <( pretesa >

e quindinon {<è o, è contraddittorio, togliendo adessa ciò che le vieta insieme di farsi assoluta e diridursi a nulla. E' cosÌ che si rivela la strutturadialettica del socratico < sapere di non sapere > incui essenzialmente si articola il .. ricercare ,r.

fl " sapere di non sapere > è dialettico perché il<( non " che in esso appare appartiene al sapere pre-teso che si nega come vero: la negatio negationisimrnane alla negazione negata, la quale così negase stessa corne falsa negazione, come non-negazione.Ckricompie la negazione, dunque, nella negatio ne- 147

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gationis non è il soggetto, il filosofo,che si situidi

fatto (nel tempo) o coscienza empiricadi chi saquesto almeno, rna appunto qualcosa sa, di nonsapere e contraddice perciò la propria affermazione,bensì è lo stesso sapere quale positività(: essere)tutta a sé presente, quindi (< pura presenza " e ilfilosofo nonnega di sapere perché non è soddisfattodel proprio sapere, ma è il sapere stesso che nonpuò venire commisurato al sapere dell'uomo.

Se quella negazione venisse attuata (meglio,ope-rata) dal filosofo,si awebbe l'identificazionetra ilfilosofoe la filosofia,identificazioneper la quale el'uno e l'altra si perderebbero come pura negatività,come un mero non sapere non saputo.

Questa identificazionedowebbe essere assoluta,ma se nulla v'è che sapere si possa, sapere questo èsapere tutto, è, comunque, assoluto sapere; e il So-fista sa tutto perché da sapere non v'è nulla. L'equi-

valenza tra sapere assoluto (preteso dall'uomo)escetticismo è evidente.La posizione del " sapere di non sapere o in cui

si struttura la ricerca come tale è storia, ma comela stessa storicità in cui e per cui si attua il flloso-fare, la dialetticitào incontraddittorietàdell'essere.

1,+8

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EPXLOGO

1. II palore speculativodi una fitosofia(maparlare di wnfilosofiaè ancora non$losofia, per-ché significapresupporre iIpresentarsi ed il succe-dere di filosofienel tempo, come attesta Ía coscienznnon fiIosoficto << comcme ") è da individuarsí, neîIapovertà essenziale dei termimíche vi compaiono,sufficientibensì a caratterizzare quella radicale in-digenza da cui filosofandosi muove e che nessun

movimento tuttaviapuò superare e sopprimere.Ma la proposizione di quest'unica concetto, diquesto concetto della " indigenza >>, non significa lariduzione ad una struttura deformante che possa opretenda di ingabbiare il reale e mutilarlo,significabensi la necessità che iI reale sia pensabile sullabase de| "necessario", in base a\la untcità propriadi questo. Iî, ritrovamentodi tale necessario può ve-nire di

fattoeluso come compito deîîa

filosofia,ma

la stn stessa necessità emerge tutta intera non ep-pena si pretenda di teorizzare questo oblio in for-ma di esplicito rifiuto,non appena iî rifiutotentidi mothtarsi, affermandoîa necessità della nega-zione da esso operata.

Il ritrovamento dell'unico importala necessftA 149

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che si mostri la via da percorrere per ritrovarîo,apartire da una lontananza che ne oscura anche senon ne aîtera îa presenza; ed unica è la posizioneche consente di rilevareiI ttalore onde l'unicosi af-ferma. Ne segue che iî valore speculativodi wtafilosofi.aè nella compattezza delîe sue << parti > cheesclude, a rigore, il loro essere veramente < partí >r,

quali divisioni detl'interoe che ritrova I'interosen-za operare integralionio decadere comunque ad ope-

razioní che presuppongano terminitra loro separatí,originariamente < altri rr. L'integrazíone,infattí,è fr-gura di quella operazione che seguírebbe íl ritíettodiuna molteplicitàcome ,, moîtitudine,, di termíni,o < insieme > degli uni fuortdeglialtrí.

Paradossalmente proprioIa figuradella inte-grazione a cwisi arresta íl senso comune e che lafitosofiarigorosamente rifiutarisohte I'unità.ne|-l'astratta

"unicità>, che perde iî reale come ad es-

sa estraneo, ad essa che yi si impone dal di fuori,appunto perché a.ccetta un ,, fuori> origínario cheIa conduca.

L'unicitàautentíca non accredita la ríduzionedei molti,ma presenta in sé îa necessità che li fa<< essere " tatí al|'ínterno per così dire di ciò cheimpedisce Lorodi essere ciascuno I'unico,quasiariginariamente separato e tale da rendere impos-

sibile l'affermazione dei molti,una volta che taleaffermazione importita negazione che essi sianooriginariamente tali di contro aîl'unico(alî'uno co-rcte uno). Ma lo essere ortginariamente è tutt'unocon Io esse{e semplicemente, che è radicale compre-senza riproposta e rmai elusa deLl'uno e dei molti.

E' questo il senso in cui la neetafisíca è tutt'uno50

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con iî suo concetto, così che essa propriamente nonha concetti, che non siano il modo suo di essereconcetto a se stessa, concetto puro, < autoconcetto >.

Taîe concetto si affernna nella compresenza del|'attoe del sapersi come atto, in modo che esso sia nega-zione della possibiîità di "trenirediviso, sdoppiato;ed ogni divisioneannullerebbe I'affermazioneper-ché lascerebbe fuoridi sé il sapere, quale < esten-sione u sulla cosa, ricoperta,per così dire, del suo

yenire saputa.

2. La coincidenza tra sa.pere e cosa saputa siradica appunto nel sapersi cotne sapere delîo stessosapere, non come cosa che vefiga saputa. In essa iIconcetto non è veramente tale se non è concetto dise stesso, se non ,, è r, se stessa come concetto. Esià si profiIala necessità che si parli della metaftsica

non solo come di recupero del comcreto, mAcomeessa stessa concreta, come la concretezza anzi che't'onda tale recupero.

La povertà dei termini èdunque essenziale, mipare, alîa metafisica, almeno neîl.a caríca specalatívapropriadel necessario che è necessartaÍnente unieo.Soî.o in una interpretazionenon filosoficao nonteoretica di esso si avrebbe però l'unicizzazione,in cui Ia povertà si convertirebbe píuttosto in mise-ria speculativa Iî ra.pporto intercorrentetra I'unicoe i moltiè rapporto ,, interno" alla determínazionedelt'unico,ma non identico ad esso, che è a'l.menoIa sua impossibilitàdi venire ridottoad altro, che da,, altro ,, Lo distingîie,mA èanche escîusione del rapporto stesso, perché I'unicitàè tale so'Lo come nega- 151

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zione dell'aîteritù senza di cui di rapporto non si puòparlare.

La relazione è del resto il. limitedi pensabilità,eosì che la u forya " speculativa è neîIa tensíone trat'uno e i moltie nel mantenere in atto i moîti senzache essi decadano all'equivocità.deeli uni rispettoagli altrí e nel mantenere in atto I'uno senza cheesso funga da riduzione deimoltiaîla propria uni-citù.Ilpensare si mantiene in atto, dunque, tra i'Límiti

che esso sfesso trot a come impensabili,del-I'equi'voco e dell'unívoco, delta moltitudineinintel-îigibilee dell'unicitàassolutizzante. Né si tratta quidi una preconcetta affermazione di un compíto frlo-sofico che si pretmda di imporre quale << misurt >>;

quale metfo,quasi vincolamento a prioridell'esitode'| fiîosofare stesso; si tratta invece di afferma-re che le condìzíoní dell'afterrnaÍenon possonorsenire dette allo stesso titolo in cui si afferma ciòehe esse consentono di affermare.

3, E' precisamente nell'impossíbiîítà che sí af-'t'ermino le condizioniaIIo stesso mado in cui sí of-ferma íl condizionato che si rhtela l'importanzadeîchíarimentodi quole senso Ia filosofiasia in pos-sesso, ín quale senso si dice che essa è ,, purA >>, inquale senso essa si mantenga tale solo se è metafi-sica; metafrsica essendo, come si è visto, nonciòche prolunga la frsica oltre se stessa, come accadedi fatto alle " cosmologie, quali estrapol.azìoni del-ta fisica net rtuoto o astratto dí se stesse,' purità es-sendo piuttosto l'indivisibilitAdella filosofiada| suocancetto, come tutta e solo << concetto ,>,

La purità del fiIosofaresi evince, si enuclea ef-52

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fettivamentesolo dwe ci si liberida queîta mensanalitica in cui si adagia e si fiacca il senso comune(< puro > uale intanto nan4omune), ma essa è ca-rattere deîla filosofiae non come elemento del filo-sofare che stia quale piano su cui ci si collochiperfiIosofare;purità è l'attuarsi stesso della filosofia,?ron un piano dato su cui ci si ponga, se mai è l'im-possibilitàdi un piano che si qualifichifilosoficosenza convertirsi tutto nel filosofarein atto, posi-

zione incondizionata che non subisce passivamenteoperazioni che essa non annullicome fittizie.Una fitosofiache si pretenda << pî.Lra" come li-

vello di sapienza (MonErrrCosraNzr) e che sia perun elevarsi sopra. il comune seguírebbe del rcsto lamedesima sorte di questo comune, nonostante I'in-tenziane contraria, perché non è possibile elevarsisenza poggíare su ciò da cuí ci si eleva, cosícché ilîittelloal qua\e, elevandosi, si pervenga, sarebbe nonaîtro che la prosecuzione ancora lineare del livello<< cornLme " sul quale ci si vuoîe elevare.

Dunque decadono paradossalmente a ,, coffiuni>

queîîe assunzioni della fiîosofiache ne fanno unasapientia che annulla le pretese << conoscenze >> mAche, annulîortdole,pretende di sostituiile,collocan-dosi al loro posto e quindi,mantenendo intatta,anzi ,< integra > La Loro funzíone: la filosofianonpuò essere

tacitazione deiproblemi

urnaniquali

im-pedimentida rimuovere ande accedere alla sapien-za, perché essi come problemi che potessero veniretacitati sarebbero sul ntedesimo piano della loro,, negagione > che ne è Ia tacitazione più radicale equindipiù vera. Non tacitati essi verrebbero, masostituitie questa sostituzione ripradurrebbedi 153

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lolta in lolta tutta la problematicitàche si preten-deva di avere superato.

4. E' da dire, pertanto, che la filosofia,qualeesercizio umano, si uiene a trovare (viene troyata)nei confrontí delîe altre attivitù,come appartenentealîa îoro serie, Ia quale include le attivitànel rap-porto, comune a tutte, tra mezzo e fine, tra stru-rnento e scopo; tapporto in cui e per cui si instaura

la loro ,, proporlione". Dí qui il suo strutturarsicome porsi delîo strumento prima, per un fine chevenga dopo, il suo pre'vedere iI fine come di lA.dattenire rispetto al momento che lo intenziona.

Ma Ia filosofiacome attiltitàfa uso di ciò chele consente di affermarsi comeftosofia tra altreattività;ed essa come << atto > non può non ne-gare ciò che la fa " altra > a suA yolta; per direcon Hege| o l,a fiîosofia farebbeuso di un tai modo

di indagine mentre essa stessa Io dìchiarerebbe in-capace di coglíere la verítà "'.La dialettica del negare ciò che consente di af-fermare è qui negazione dell'alterità trafilosofiaedaîtra attivitàumana; ma ogni altra attittitàvi restaaltra, se non aîtro perché si neghi î'identitàdi essacon Ia filosofia.Dicendo che la filosofianon è su| me-desimo pinno delle altre attivitàumnne si dice che es-sa propriamente

nonè

" altra "(I'alterità

suppone unidentico, una omogeneità dei terminiche vi com-paiono), ma dicendo che essa nan è propriamente,, altra > anche si díce che essa è altra come non-identica con esse e con la loro reciproca alterítà,

La fiIosofia,sapendosi ricerca o struttura delricercare, immane aîle altre ricerche, le quaîi attre.54

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sono tra di loro, reciprocatnente. I-'alterità.tra fiIo-sofia e altre attivitàumane rientrerebbe altrimentiappunto in quella " alterità ,, che la fitosofiadeve po.ter-f ondare, cÍté, se la fiîosofiaf osse altra nel loro me-desimo senso, anch'esso da altro dovrebbe venirefondata e si prolungherebbe all'infinitoIa serie di ciòche abbisogna di penire fondato,

Se questa dialettica restd. na.scosta, nascosto re-sta anche l'interofilosofare,il suo senso; e r)clno

diviene ancheparlare

di "purità,, del

filosofare:se << prrro > infattisignificaqualcosa, significalanegazione di ciò che si << compone con altro " e al-tera in questa composizione se stesso.

5. L'insignificanza delîefiIosofi.eche si preten-dono al medesimo livellodelle altre attivitàumaneo che non riescono a prolrare A se stesse quel îiveîloclte è loro si mantiene anche per quelîe fiîosofieche

non riconoscono il " valore " speculativo neîta suaindipendenza originaría dal< soggetto " che filosolacome uomo-nel-mondo o come < coscienza >, empiri-ca. AI Limite lasoggettivitàda esse valorizzata si radi-canellapreoccupazione del " síngolo >, preoccupazio-ne che dei presupposti da togliere filosofandoè ilpiùtenace e resistente perché, anche togtiendo iI " mon-do ,r, appare I'ioalmeno come taîe che nell'attivilA,del togîimentoemerga e si affermi.

In questi termini, Ia speculazíone che ritenga didoversi't'are *meditazione >> manel senso lcierkegaar-diano e diaristico èil segno più evidente deIla mi-seria in cui si perde il filosofopreoccupato di sestesso e della sorte deî sLto << io >, tutto inteso asatyarsi perché tutto rîdotto a cagliere la rninaccie 155

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deî non-essere di sé, come insignificanza di fronteall'Aî.troche lo sovrasti o lo fondi.

IL< peccato ,, che sta all'originedell'artgoscia èpropriodeîIa coscienza infelice chertuoîe restareinfeliceperché si connota taîe ed accetta questaconnotaziane come essenziaî.e e vi si arcesta, senzaperaltro rilettare ehe di tale << infeîicità> essa sctavendola superato, avendola negata in quella co-scienza che è iî " vero ,r, Il peccato originalesul

quale Kierkegaard indugia è proprio Ia preoceupa-zione che muove Kierkegaard a^d indugiarvi;ilpec-cato è nelîa domanda che Kierkegaard ritienedidover porre al pensiero di Hegel della sorte di que-sto < sircgoîo >>.

Ed è importante qui rilevareche Ia radice delladecadenza della filosofiaall'astratta ed impersona[ebanalità del ,, comune r, è paradossalmente Ia preoc-cupalione del singoîo che di questo K comune >

sembra, ma solo sembra, l'av,versario più irriduci-bile;Kierkegaard si crea un HegeL per poter'l.o com-battere e paradossatrnente, îa radice del, ,, comune,è preeisamente il singolo che guarda se stesso, masmarrisce iIpensiero che consente di guardarsi e divedersi e smarrisce quindi,a rigore, il senso in cuiegli è singalo, Qui è I'equivocoche mai avremo ab-bastanza dissolto, equivaco in uno con l'ídentifica-zione dell'unità asistema, donde

il rifiutodell'tmità

per rifiutareiî sistema; rifiutoin cui si compiequello immiserimentodelta filosofiache è la " fito-sofia dell' esistenza >>.

Non appena insorga in filosofiaIa preoccupa-zione dell'ionella domanda del suo posto nella,, realtà r, insorge tutto î.o spirito deprímente del-5ó

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se della negazione che attua iî toglimetúo deipre-

swppostí si desse discussiome e, quindi,al límite,negaziome. Fresupporre non significa, comeKier-îcegaard ritiene, ,, far uso di una cosa che non sispiega mai rre, nna pretemdere di non dover 't'ondareciò che ha invece bisognodi veníre fondato. Ap-punto bisognoso di yenire 't'ondato è nott Ia nega-zione in cui ne| toglimentodi pretesi fondamentisi pone La-fondazioneautentica quale pÍocesso, maquel singolo che si dà. ed è perciò, comunque lo síatteggi, um ,, dato > e, qwindi,un presupposto. Ilpresupposto, dunque, nan è Ia negazione nel pen-siera di Hegel, ma nel pensiero di Kierkegaard pre-sLtpposto è Io stesso Kierkegaard in una part)entep r of ondit à. s p ecutat iv a.

6. Ciò che a Kierkegaard sarebbe da ricor-dare è appunto che il senso in cui egîi stesso sa se

stesso come singolo è quel pensiero che egli vedecome funzione,ma che è atto nel suo essere uni-versalità deila negazione; con parole hegelíane, il" medio infinito,r. Iî. ,, medio infinito" hegeliotto èla negaTione che Io immediato presenta nel suo es-sere dato, che esso presenta come toltoe conser-vato nella coscienza, conserttato nello stesso togli-nzento d.ella sua immediatezza saputa tale.

Da una parte, dunque, îa coscienza che sa dî. es-

sere ogni realtà è " mondo ,r, da'Lî'altra iImondo sa-puto con4e la coscienza che sa. se stessa è la pre-senza corne presenzcl a sé, come < presenza. pura >.Non che ta coscienza faccia esperienza di se stessacorne di qualcosa di estraneo, ma l'esperienza stessaè îa coscienza estraneante ed insieme consapevoî.e58

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di questa estraneazione, cosicché l'estraneazione è

posta e toîta, ma come tolta è conserv&ta.IImovimento dialettícosi chiarisce, quindi,co-nrc dialetticitàdel mortimento,per cui solo dialet-ticamente esso è tale. Iúa la dia'Letticitàinerente aîmouimento risolve in se stessa iImovimento cormenegazione, non semplicentente come << passaggio ,r,

ché il passaggio'sarebbe un&enurnerazione estrinsecacome un'allineare punti su di una linea presupposta,solo estrinseco se non si attua coffie<< superatnen-to >>. La coscienzo non è ambito in cui si pone e siattua íl movimento, ma è dessa iî movimento. Diquesto movímento bisogna dare approfondimentoperché in esso si radica Ia fiIosofiastessA, nel suoessere concetto di se stessa e non concetto che siabbia di essa.

Per questo mwimentoinfattila filosofianon èùtna Kdottrina >.

7. La filosofia,lungi da essere ,, dottrina " è ilrifiutocriticodi qualsiasi dottrina. Una dottrinainfattiche pretenda di non essere definitívaè unadottrinache non ha nulla da dire, non è quelîo,, insegnamento >> aI quale ci sí affidacome a cer-tezza. Poiché all'essere dottrinaè essenziale al)ereuna certezza nel porre Io cosa da o sapere >, è adessa essenziale l'atto fiducialedí chi rtisi abban-dona, credendo in essa. Irrazionale essendo questoaccettare fiducioso, rt'è nella dottrinaun momentodi ,, irrazionalitàrr, in cui si ha arresto, noflgiusti-ficato, del movimemto che èprocesso, Atto, filosofia.

L'arresto ha per figura Ia definitività,îa qualenon ha posto se non in quanto viene imposta da - 159

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l'esterno (da fuoú), riproducendo quel fuor: che

ad essa contraddice. Se Ia definiti,ttìtù.è propriadella dottrína, e se la definitil,itàè un arresto, e sequesto << arresto " che si ímpone daîI'esterno è "fe-de u, non ci si dispone A < cred.ere >, ín questa sen-so, se non disponendosi a non pensare più. La federíportata al senso tradizionaîe dellaparola, consistenell'affidarsíalta cosa dopo che ad essa sí attri-buisca quel valore che merita di venire creduto.Ma già era fede l'attribuzianedel yalore per ilquale si riteneva dí dover credere. Fino a che o cre-dere,, è affidarsialla " cosa >> senza chíedersí se aquesta <<cosa, sìa necessarío affidarsí,il credereresterà credere dí credere, resterà credere dí a"verebisogno di credere o di dover credere, non ancarao non píenamente sapere che credere si deue, chey'è un vaîore fondante iIcredere ín una sua < ne-cessítà r. Ma che cosa può essere necessítante se,pensato,

non risutta taîe? O che cosa può rìsultarenecessitante se non può veníre pensato?Il víncolo come forza << cotntincente > non gruò

non essele uns. << necessità t> e Ia necessità non puònon essere e valere come pensiero; solo in esso ín-fatti tale forza si attua come < Ttera >,

t60

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NOTEALLAINTR.ODUZIONE

1 G.W.F. Hncel, Enciclapedia dellescienze filosoficheincompendio, trad. B. Croce, Bari,1923

S1.

2 Hucet, Scienze della logica, trad. Moni,Barl, I, 29.3 K. Frscnsn, Logiku. Metaphysik,47 - La volontà come

autodeterminazionedello spiritoè < I'atto con cui lo spiritosi scioglie dall'obbietto> e < l'atto del volere in generale èla più alta soluzione dell'autocoscienza ) per Io Schelling.(cîr. Sdmmtl. W., I, 395).

a HnGu, Enciclopedia ecc., cit., S 45 e S 50.5 Cfr. JacoBr, Ueber d.ie Lehre des Spinoza, trad. it. Ca-

pra, Bari.6 HecEL,Enciclopedia ecc.,cit., S 2.

? Per la sinonimia di " immediato> e < gratuito > inHecrr vediFenomenologiadeîlo Spirito,tr. Dr \lrcnr,Fi-renze 79642, I, 66.

s Si veda I'affermazione di Kierkegaard a proposito, inIl cancetto dell'angoscia, tr. Fabro, Firenze, 1966.

e F. CHrEREctrtw., L'ínfluenza dellospinozismo nella for-mazione della filosofiahegeliana, Padova, 19ó1.

10 ltrncnr,Enciclopedia ecc., cit., $ t.11 E. SrwlNo,La struttura originaria,Brescia, L958, 129"12 G.R.. BaccnrN,I fondamenti della filosofiadel lin-

guaggio Assisi, 1964, 44, nota.13 IIEcEL,Enciclopedia ecc., cit., S 3, $ 5; FenomenologitL

cit., Frefaz., [ó3].14 HEGEL,Encíclopedia ecc., cit., $ 3.15 Hecrr, Enciclapedia ecc., cit. $ 3.16 EIEGEL,Enciclopedia ecc., cit., ivi.17 HEGEI-,Varîes. ttber d, Aestetik, T, 135, 1ó1

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18 HEGEI, tenens, Realphilosophle, Hoffmeister, II.I enens er Io gik M et aphy sík und N atur

phil.oso phie,1e Si veda l'interpretazione dei rapporti tra religionee

filosofianell'Idealismoposthegeliano.20 Qui la parola ( astratto " è presa da Hegel secondo un

significato diversoda quello suo usuale e vale u pensiero r," riflessione>.

20' HEcEL,Enciclopediaecc., cit,, $ 3,21 Hecer, Fenomenologia deîlo Spirito,Pref. [ó3].22 Hucn, Fenomenoîogia detlo Spirito, cit.,tl17l.23 ltrecnr, Enciclopedia ecc., cit., E 3.24

HEGEL,Fenomenologia,cit., pref. [3J.26 HncEL, Fenomenologia ecc., cit., introduz,,111.26 AnrsrorrrB,Protrepticos, tr.2 (Ross), in fur"x.Apnnou.,

in Top., 149, 9-17 èràtepov aútó ùér avte6 oixs6íou 'rQ àr\póTa 't eîd'Xó\ev à,vatpî1oo1tev tò'uldperov.

Per la valot'rzzazioneteoretica deL Protrepticoaristoteli-co, rimando almio lavoro L'ariginariocome implesso espe-rienza-discorso, Rorna, L963, e aI recente lavorodi E. Brrrr,E sort azione alla filos ofia (Pro tr et tico), P adova, 1967 .

2? HEGEL,Fenomenologia dello Spirito, Introd, cit,, il71.2E IIEGEL,Fenomenoîogia detlo

Spirito,cit., [14].2e HEGEL,Fenomenologia dello Spirito,crt.30 ltrEGEL,Enciclopedia ecc., cit,, p 9,31 HEGEL,Gescltichte d. Philos. 2,1II,244-5.32 HEGEL,Encicîopedèa ecc., cit,, g tL33 HEGEI{Enciclapedia ecc., cit., S 11; PleroNe, Fe-

done (89 sge).34 HEGEL,Enciclopediaecc., cit., E, 12.35 HEGEL,Enciclopedia ecc., cit., $S 1 e 9.36 HEGEL,Enciclopedia ecc.,cit.,5 71.3? HEGEL,Lezionisulla fiIosofiadetla Storia, trad. Ca-

logero-Fatta, Firenze,19ó3.38 M. HrrDnccER, Seir?und zeit, tr. P. Chiodi,Milano.3e M. IIETDEGGER, op. eit., g, 72.a0 La figuradel *compenetrarsi >, di origine agostiniana

(il tempo come <( protensione >), è tipicadella monade leibni-ziana (donde il tempo monadologico),quale tensione inter-62

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na, figura chesuppone ilneutralizzarsi dei iimiti,come pre-

senza del molteplice nell'unoepresenza

dell'unonel molte.piice. Se l'"atomo > è nelia sua figura ii " diviso da altro 'ed ulteriormentenon divisibile,esso è tutto nella < esclu-sione di altro > ed è quindi tutto contraddittorio, avendobisogno dell'altroe vaniflcandosiin questo bisogno; la c mo-nade > è, quindi,il tertativo di eludere la contraddittorietàdell'atomo, come presenza totale. L'espressione leibnizianaè inCicativadi questo sforzo: l'ioè " fons et fund-us idearumpraescripta lege nasciturarLtm >>, in cui il concetto di " fon?a-mento trova la sua espressione dinamica nella scaturigint,nel " foniale ". La modema psicologia, come è stato rilevatodal Cassirer (Filosofiadelle 'ionne simboliche, tr. it., Firenze,1966,252 sgg.) continua I'analisiin questa direzione, secondoil concetto leibniziancdi " tendenz4 o, in polernica con ieafferrnazionidi un meccanicismo che è staticità.

a1 Si vedano i gS 80, 81, 82 della Enciclopedinhegeliana.42 fl tempo delle" scienze " (tempo cosmico) è ancora il

tempo quotidiano e non è misu;:a del tempo, corne pretenCedi essere, ma è il tempo come misura. fn esso si ha lapositivizzazionedel ncgativo, perché si attribuisce consi-stenza alla negativitàche rimane insaputa come negatività.E' questa positivizzazione che consente di dire >: < x accadCenel tempo

",. y è un fatto ,, ,, z è passato

".La cronometria

è dunque dessa il tempo, quale positivizzazione quantitativadel negativo, e, quindi, tuita matematica. Si veda Hscer-,Propedeutica filosofica,paragrafi 99 e 100: lo spazio ed iltempo sono definitinella astratta continuitàdel loro esserefuori-di-sè,illimitati.Si veda anche Hncrl,Enciclopediaecc.,cit., paragrafi,254,258,259. I-e astrazioni che sono lo spazioe il ternpo sono, come astrazloni, di natura spaziale, perchéasiratte e separate, fissando staticamente e parîendo (divl-dendo) il concreto. Non è che le astrazioni abbisogninodcl-lo spazio e del tempo come forme a priorio schemi deliaesperienza, inderivabilida essa, ma spazio e tempo sono lastessa <( astrazione >, la decomposizione;diremo quindi chel'astrattezza dell'astratto è precisarnente il suo essere situatoqui, ora, nello spazio e nel tempo, chè spazio e tempo sonola astraftezza dell'astratto (capovolgendoil senso comuneper il quale qualcosa è determinato e concreto solo se èsituato qui, ora, nello spazio e nel tempo).

rs Si sa che lo aufheben (superare dialetticamente, nc-gare conservando) acquista quèstó significato preciso e tecni- 163

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co in }tregelsolo dopo 1l 1807; flientreprirna di questa dataesso significa" sopprimere, sublirnare ". Si rreda la tradu-zione francese di ]7remières Pubîieations, Parìgi, L952 diMancsl, Me'ny e rivista da JeaN Hveeorrre; cfr. IIEcm,Scritticli fiLosofiadel diritto,trad. A. Negri, Padova, 959, 6,nota del traduttore.

44 trIEGEL,Fenarnenalogia ecc., cit., II, 73.45 HEGEL,Fenometiologiaecc., cit., II,77.46 Hpcer, Fenomenoíogia ecc., cit., Il, 76.47 HEGEL,Fenomenologia ecc., cit., II, 73.4E ll[ecet,Fenomenalogia, cit., fi..4e HEGEL,Fenontemoîogiaecc., cit., 75.50 FIEGE-, Enciclapedia, ecc., cit., S 259.51 IIEGEL,Enciclopedia, ecc., cit., 5 259.52 << tempus " dal greco tépvo, dividg.Non sarà superfluo osservare che Parmenide aveva

espresso la negazione ciel divenire in terrniniaccreditanti,invece, la negazione del tempo: I-'Essere tutto raccolto nel-1'.. ora,' (fr. 8,5 DIEts., Fr. d. I/orsok.).

s3 CASSTRER, Filosofia dell.e forme simboîiche, cit.s4

BnncsoN, Essai sur la donnée immediate de la con-science,1904, 57 sgg.55 Il problerna del tempo suppone una assunzione << em-

pirica u di esso per la quale esso valga < flsicamente ), ossiacome << essente ". La diretta tematizzazione di esso, infatti,1o fa * essere > e cade nella prova. A titolo diindicazionediquesta ternatica invioil lettore alla letturadi PraroÀw, Ii-meo, 97c,38d e AnrsroraLu, Phys., IV, 11, 219b, 2 sgg.

se Questo riprodurre il problema nella sua tentata solu-zlone è stato rilevatoda Kaur nelladissertazione De mundisensibilis atclue inteiligibilis't'orma et principiis,S 14, prinache nella Critica.s7 IIussERL,Idee I,5 81.

58 E. KeNr, Criticad.R.p., trad. it. Bari,1963. Esteticatrascendentale, $ 4. L'esposizione metafisica del concetto ditempo distingue il tempo dalla sua empiricità. Il procedi-mento kantiano è, come è noto, il seguente: l) non è pos-sibilesopprimere il tempo; 2) è irnpossibile togliereil tem-po da tutti i fenomeni;3) dunque il tempo è dato a priori64

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}ùGTEALTESTO

r Ovvio,nel senso letterale della parola è ciò che sitrova o che si incontra o ehe . viene incontro u o che sitrova per via, con facilità,subito, senza bisogrlo di venirecercato. E' la pretesa di tutte le fenomenologiee di tuttigli intuizicnismi.Se questa proposizionefosse . owia, nonsarebbe vera.

2 " Problernaiicità pura )> come essa è stata recuperatadal pensiero classico da M. Gel.trri.Ee come rigorosarnenteè stata enucleata e teorizzata nel complesso di lavori teo-reticie storicidi E. BEnli,F. CnrBnBcrrrN,G.R. BaccnrN,lavori dai quali non posso prescindere in qr.lesto mio di-

scorso.3 G.R. Baccurx, Su î'autetttico me filosafare, Roina,1963, 7.

a Se una dimostrazione si finalizzasse ali'evidenza deisuoi risultati,come accade, per esempio, nella ricerca carte-siana, essa non sarebbe veramente tale se non vedesse anchela necessità di dire la < verità > di questa evidenza. E'<iunque implicito nelpensiero cartesiano che non è vera-mente evidente se non ciò che non può venire negato,che, insornrria,vero significa " innegabile ".5 Dire che qualcosa è vero perché si presenta cornetale equivale a dire che esso si giustificada solo e cheesige quindicia parte nostra un " credito >, un'accettazione,la quale dovrebbe potersi giustificarea prescindere dallacosa accettata; dunque sarebbe tutt'uno, con la decisioneche la cosa sia vera: paradossalmente, dire che qualcosasi giustificada sola significadire che siamo noi a giusti-ficarla, cheda sola essa non si giustifica.Cosi ogni intuizionisnroèridottoacontraddizione. " 167

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NOTEALUEPILOGO

1 G.W.F. Hrcut, Fenomenologiadello Spirito, trad. DeNegri,Firenze, 19632, 2.2 S. KrmKEclanu,Il concetto dell'angoscia, tr. Fabro,

Firenze 196ó, 101.3 S. KTSRKEGAARD,iui.

169

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IN-DICE

Introduzione

Testo .

Epilogo-' : : )

Note all'introduzione D

Notealtesto. . , r tNoteall'epilogo. . '

7

47: Ct49

ró1

16? J169

771

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