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Bergson, Istinto e Intelligenza

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Instinto e intelligenza da Bergson, L'evoluzione creatrice pp. 149-154, 163-168

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Page 1: Bergson, Istinto e Intelligenza

H. Bergson, Istinto e intelligenza Se potessimo spogliarci da ogni orgoglio e se, nel definire la nostra specie, ci attenessimo rigorosa-mente a ciò che la storia e la preistoria ci presentano come caratteristica costante dell’uomo e dell’intelli-genza, noi, forse, non diremmo homo sapiens, bensì homo faber. In breve, l’intelligenza, considerata nel-la sua funzione peculiare, è la facoltà di fabbricare oggetti artificiali, e propriamente strumenti atti a foggiare strumenti, e di variarne in modo indefinito la fabbricazione. Ora, un animale intelligente possiede anch’esso stru-menti o macchine? Sì, certamente, ma in esso lo strumento fa parte del corpo che lo utilizza; e, corre-lativo a tale strumento, c’è un istinto che se ne sa servire. [...] Se si considerano solo i casi in cui si assiste al pieno trionfo dell’intelligenza e dell’istinto, si scopre tra queste due attività una differenza essenziale: l’istinto è la facoltà di utilizzare e anche di costruire stru-menti organici, l’intelligenza è la facoltà di fabbri-care e di impiegare strumenti inorganici. I vantaggi e gli inconvenienti di queste due specie di attività sono evidenti. L’istinto trova a portata di mano lo strumento appropriato; e tale strumento — che si fabbrica e si ripara da sé e che presenta, come tutte le opere della natura, un’infinita complessità di struttura e una meravigliosa semplicità di funziona-mento — compie subito, al momento voluto, senza difficoltà, con una perfezione spesso prodigiosa, la funzione che gli è propria. Per converso, ha una struttura quasi immutabile, non potendo modificarsi senza una modificazione della specie. E però l’istinto è, necessariamente, specializzato, giacché può far uso, per un determinato scopo, solo di uno strumento determinato. Lo strumento fabbricato dal-l’intelligenza è, invece, imperfetto: costa fatiche non lievi ed è quasi sempre di difficile uso. Ma, in com-penso, essendo costituito di materia inorganica, può assumere qualsiasi forma, servire a qualsiasi uso, trarre l’essere vivente da qualsiasi difficoltà, confe-rirgli poteri illimitati. Inferiore allo strumento na-turale per quanto concerne l’appagamento dei biso-gni immediati, ha su di esso una superiorità tanto più rilevante quanto meno urgente è il bisogno. [...] A ogni bisogno che soddisfa, esso crea un bisogno nuovo; e, in tal modo, — invece di chiudere, come l’istinto, il campo d’azione in cui l’animale si muove automaticamente — apre alla sua attività un campo indefinito, la stimola a spingersi sempre più lontano e la rende sempre più libera. Ma tale superiorità del-l’intelligenza sull’istinto si manifesta solo assai tar-di, quando l’intelligenza, avendo elevato la fabbrica-zione a un superiore grado di potenza, costituisce già macchine da fabbricare. Inizialmente i pregi e gli in-convenienti dello strumento fabbricato e dello stru-mento naturale si equilibrano così perfettamente che

è difficile dire quale dei due sia in grado di assicura-re all’essere vivente un maggior dominio sulla natu-ra. [...] Al pieno dominio di sé l’intelligenza perviene solo nell’uomo; e questo trionfo si afferma con l’insuffi-cienza stessa dei mezzi naturali di cui l’uomo dispo-ne per difendersi contro i suoi nemici, il freddo e la fame. Per chi cerchi d’intenderne il significato, tale insufficienza acquista il valore di un documento preistorico: è il congedo definitivo che l’istinto rice-ve dall’intelligenza. A ogni modo, la natura ha dovu-to esitare tra due forme di attività psichica: la prima, atta a procurare un successo immediato e sicuro, ma di efficacia limitata; la seconda, aleatoria, ma suscet-tibile, quando fosse pervenuta all’indipendenza, di conquiste indefinite. Anche in questo caso, del resto, il successo ha coronato soprattutto la soluzione che implicava maggiori rischi. Istinto e intelligenza rap-presentano, pertanto, due soluzioni divergenti, ma parimenti eleganti, dello stesso problema. Di qui derivano, è vero, profonde differenze di strut-tura interna tra l’istinto e l’intelligenza. Noi ci sof-fermeremo soltanto su quelle che han relazione col problema da noi studiato. Diciamo dunque che l’in-telligenza e l’istinto implicano due tipi di conoscen-za radicalmente diversi. [...] Se l’istinto è, essenzialmente, la facoltà di utilizzare uno strumento naturale organizzato, deve implicare la conoscenza innata — ancorché virtuale o inco-sciente — sia di tale strumento sia dell’oggetto a cui va applicato. L’istinto è, perciò, la conoscenza inna-ta di una cosa. L’intelligenza, invece, è la facoltà di fabbricare strumenti inorganici, cioè artificiali. Se per essa la natura rinuncia a dotare l’essere vivente di uno strumento da utilizzare, è perché l’essere vi-vente possa variarne la fabbricazione a seconda delle circostanze. La funzione essenziale dell’intelligenza sarà, pertanto, di scoprire, in qualsiasi circostanza, il mezzo di trarsi d’impaccio. Essa cercherà ciò che possa meglio servirle, ossia che possa inserirsi nei suoi schemi; e però verterà essenzialmente sulle re-lazioni tra la situazione data e il modo di utilizzarla. Di innato l’intelligenza ha, quindi, la tendenza a sta-bilire rapporti; e tale tendenza implica la conoscen-za naturale di certe relazioni generali: vera e propria stoffa che l’attività propria di ogni intelligenza rita-glia poi in relazioni più particolari. Dove l’attività è orientata verso la fabbricazione, la conoscenza verte, dunque, necessariamente su rapporti. Ma tale cono-scenza puramente formale, propria dell’intelligenza, ha, sulla conoscenza materiale propria dell’istinto, un vantaggio incalcolabile. Una forma, appunto per-ché vuota, può esser riempita a volta a volta, a vo-lontà, da un numero indefinito di cose, e financo da cose che non servano a niente. Di conseguenza, una conoscenza formale non è chiusa nell’ambito di ciò

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che è praticamente utile, anche se sia sorta in vista dell’utilità pratica. Un essere intelligente ha in sé di che sorpassare se stesso. Tuttavia, esso riuscirà a sorpassarsi meno di quanto vorrebbe, meno di quanto non creda. L’indole pura-mente formale dell’intelligenza la priva della zavor-ra necessaria a che essa possa posarsi sugli oggetti di maggiore interesse speculativo. Per converso, l’istin-to possiede, sì, la materialità richiesta, ma è incapace di andar a cercare il proprio oggetto così lontano: esso non specula. Eccoci così pervenuti al punto che offre, per la presente ricerca, il maggior interesse. La differenza tra l’intelligenza e l’istinto che stiamo per segnalare è quella che tutta la nostra analisi mirava a mettere in luce. Possiam formularla così: ci sono co-se che soltanto l’intelligenza è capace di cercare, ma che da sé non troverà mai; soltanto l’istinto po-trebbe scoprirle, ma esso non le cercherà mai. [...] L’istinto è simpatia. Se tale simpatia potesse allarga-re la sua sfera d’azione e riflettere su se stessa ci da-rebbe la chiave delle operazioni della vita, allo stes-so modo che l’intelligenza, sviluppata e disciplinata, ci introduce nella materia. Giacché — non lo ripete-remo mai abbastanza — l’intelligenza e l’istinto so-no orientati in due direzioni opposte: l’una verso la materia inerte, l’altro verso la vita. L’intelligenza —

per mezzo della scienza, che è opera sua, — ci rivela in modo sempre più completo i segreti delle opera-zioni fisiche. Della vita ci dà — e pretende, del re-sto, di darci — solo una traduzione in termini di i-nerzia. Essa le gira intorno, prendendo, dall’esterno, il maggior numero possibile di istantanee su tale og-getto, che essa attrae a sé, invece di penetrare in es-so. Nell’intimo stesso della vita potrebbe condurci, invece, l’intuizione, cioè l’istinto divenuto disinte-ressato, cosciente di sé, capace di riflettere sul pro-prio oggetto e di ampliarlo indefinitamente. Che un tale assunto non sia inattuabile lo dimostra l’esistenza, nell’uomo, di una facoltà estetica, accan-to alla percezione normale. Il nostro occhio percepi-sce i tratti dell’essere vivente, ma giustapposti gli uni agli altri, non fusi organicamente insieme: gli sfugge l’intenzione della vita, il movimento indivisi-bile che corre attraverso le linee, collegandole le une con le altre e dando loro un significato. Tale inten-zione è, invece, ciò che mira a cogliere l’artista, po-nendosi, in virtù di un atto di simpatia, nell’intimo stesso dell’oggetto e abbattendo, con uno sforzo d’intuizione, la barriera che lo spazio pone tra lui e il modello. [da: L’evoluzione creatrice, 149-154, 163-168]