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Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CB PISA anno 25 • numero 1 • febbraio 2012 trimestrale NATURALMENTE Fatti e trame delle Scienze ETS Moruzzi e Matteucci, due grandi italiani Marco Piccolino L’opera elettrofisiologica di Carlo Matteucci Giuseppe Moruzzi I percorsi della scienza nel XXI secolo Luciano Cozzi La candela Elio Fabri L’eredità del Novecento Stefania Consigliere Geologia non intuitiva: si può prevedere il passato? Marco Tongiorgi Ex uno plures Vincenzo Caputo Kerangas preziose alleanze e altre strategie di sopravvivenza Nicola Messina Arte e scienza Matilde Stefanini Il verziere di Melusina Laura Sbrana Recensioni Il cacciavite e l’oliatore Vincenzo Terreni Lettere NATURALMENTE scienza Uno storno per amico Stefania Bracci Stefania Bracci

Fatti e trame delle Scienze - Naturalmente Scienza · momenti della storia del nostro Paese difficili, ma ricchi di risorse umane ed intellettuali. Marco Piccolino L’opera elettrofisiologica

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Page 1: Fatti e trame delle Scienze - Naturalmente Scienza · momenti della storia del nostro Paese difficili, ma ricchi di risorse umane ed intellettuali. Marco Piccolino L’opera elettrofisiologica

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PISA

anno 25 • numero 1 • febbraio 2012 trimestrale

NATURALMENTEFatti e trame delle Scienze

ETS

Moruzzi e Matteucci, due grandi italianiMarco Piccolino

L’opera elettrofisiologica di Carlo MatteucciGiuseppe Moruzzi

I percorsi della scienza nel XXI secoloLuciano Cozzi

La candelaElio Fabri

L’eredità del NovecentoStefania Consigliere

Geologia non intuitiva:si può prevedere il passato?

Marco Tongiorgi

Ex uno pluresVincenzo CaputoKerangas preziose alleanze e altre strategiedi sopravvivenzaNicola MessinaArte e scienzaMatilde StefaniniIl verziere di MelusinaLaura SbranaRecensioniIl cacciavite e l’oliatoreVincenzo TerreniLettere

NATURALMENTEscienza

Uno storno per amicoStefania Bracci

Stefania Bracci

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Hanno collaborato a questo numero1. Moruzzi e Matteucci, due grandi italianiMarco Piccolino2. L’opera elettrofisiologica di Carlo Matteucci(prima parte) Gli anni della giovinezzaGiuseppe Moruzzi9. I percorsi della scienza nel XXI secolo Il 2007(parte ottava)Luciano Cozzi14. La candelaElio Fabri21. L’eredità del Novecento La costruzione di unumano (prima parte)Stefania Consigliere28. Geologia non intuitiva: si può prevedere ilpassato?Marco Tongiorgi33. Ex uno plures Il paradosso evolutivo della poliem-brioniaVincenzo Caputo Dipartimento di Scienze della Vita edell’Ambiente Università Politecnica delle Marche37. Kerangas preziose alleanze e altre strategie disopravvivenzaNicola Messina Naturalista e viaggiatore Pisa41. Arte e scienza Del Colore e dei Colori I Gialli 1(e l’oro)Matilde Stefanini46. Il verziere di Melusina L’ananasLaura Sbrana49. RecensioniPaola Gallo, Anna Maria Rossi, Francesca Civile, Lu-ciano Luciani, Paola Vita Finzi55. Il cacciavite e l’oliatoreVincenzo Terreni57. Lettere59. Uno storno per amicoStefania Bracci Segreteria ECM datre S. R. L. Unipersonale

Degli articoli firmati sono responsabili gli Autori

Fonti delle illustrazioniMarco Tongiorgi ha gentilmente fornito le illustrazionidi questo numero provenienti dalla sua collezione

Spedizione: Poste Italiane SpA - Spedizione in abbona-mento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, CB PISAIscrizione al ROC numero 16383Direttore responsabile: Luciano LucianiSegretario di redazione: Enrico Pappalettere([email protected]) 3487934426Redazione: Sandra Bocelli, Francesca Civile, Brunella Da-nesi, Fabio Fantini, Fabrizia Gianni, Vincenzo Terreni,Isabella MariniImpaginazione: Vincenzo Terreni([email protected])Edizione e stampa: ETS Piazza Carrara, 16-19 PISA - tel.050 29544 - fax 050 20158Proprietà: ANISN - Pisa c/o Museo di Storia naturale e delTerritorio, Via Roma, 79 - 56011 Calci (Pi)Abbonamenti:Conto Corrente Postale n. 14721567Banca Intesa - San PaoloIBAN: IT 95 T 0306914020013958150114Cassa Risparmio di Lucca, Pisa e LivornoIBAN: IT 96 A 0620014011000000359148Ordinario 20,00 euro; ordinario e CD tutto Naturalmente30,00 euro; ordinario e tutto Naturalmente pdf 25,00 euro;sostenitore 35,00 euro; Scuole, Associazioni, Musei, Entiecc. 27,00 euro; biennale 36,00 euro; estero 40,00 euro;singolo numero 8,00 euro; numeri arretrati 12,00 euro; copiesaggio su richiesta.Registrato il 25/02/1989 presso il Tribunale di Pisa al n. 6/89Informazioni: www.naturalmentescienza.it050/571060-7213020; fax: 06/233238204

Un ringraziamento particolare alle case editriciZANICHELLI e BOVOLENTAper l’aiuto alla realizzazione di questo numero

CollaboratoriMaria Arcà Centro studi Ac. Nucleici CNR RomaMaria Bellucci doc. St. Fil. PratoClaudia Binelli doc. Sc. Nat. TorinoMarcello Buiatti doc.Genetica Università di FirenzeLuciana Bussotti doc. Sc. Nat. LivornoStefania Consigliere dip. Antropologia Università di GenovaLuciano Cozzi doc. Sc. Nat. MilanoTomaso Di Fraia dip. Archeologia Università di PisaElio Fabri doc. Astronomia Università di PisaTiziano Gorini doc. Lettere LivornoAlessandra Magistrelli doc. Sc. Nat. RomaPiegiacomo Pagano ENEA BolognaMarco Piccolino doc. Fisiologia e Storia della ScienzaUniversità di FerraraGiorgio Porrotto cultore di politica scolastica RomaLaura Sbrana doc. Lettere PisaMarco Tongiorgi doc. Stratigrafia Università di PisaMaria Turchetto Dipartimento Filosofia e Beni culturaliUniversità Ca’ Foscari di Venezia

NATURALMENTEscienza

NATURALMENTE anno 25 • numero 1 • febbraio 2012 trimestrale

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Moruzzi e Matteucci, due grandi italianiMARCO PICCOLINO

L’iniziativa di NATURALMENTE di ripubblicare, a quasicinquant’anni dalla sua prima apparizione nel 1964, ilsaggio che il grande neurofisiologo italiano GiuseppeMoruzzi (1910-1986), famoso soprattutto per i suoistudi sul meccanismo di regolazione del ciclo sonno-veglia nei mammiferi, dedicò all’opera elettrofisiologi-ca di Carlo Matteucci (1811-1858), va a merito di questarivista, e questo non solo per l’importanza storico-scientifica del saggio, nel quale Moruzzi ricostruisce inmodo accurato e con grande competenza le indaginielettrofisiologiche condotte da Matteucci, ma ancheperché si rende in questo modo omaggio a due grandiitaliani, che a distanza di quasi esattamente cento annil’uno dall’altro si trovarono, pure in circostanze diverse(fase risorgimentale per Matteucci, ricostruzione post-bellica per Moruzzi), a creare un centro di ricerca dialtissimo livello nella stessa città, Pisa, il luogo doveNATURALMENTE è nata e continua nel suo difficilesforzo di contribuire allo sviluppo e alla diffusionedella cultura scientifica in un mondo in cui la scienzanon sembra aver posto. Si intende la scienza non comepura tecnologia (di cui il mondo moderno è sempre piùingordo), ma come attività umana dai forti contenutietici, tentativo di contribuire non solo al progressomateriale ma anche alla maturazione intellettuale del-l’umanità, e al suo affrancamento da condizionamentiesterni. Questa era la scienza di Galileo, e questa fu lascienza di Matteucci e Moruzzi, il primo impegnatoattivamente a ricostruire e soprattutto attraverso lascienza (ma non solo), la dignità e la volontà di affran-camento degli italiani nel corso della complessa faserisorgimentale. Questa fu pure la scienza di Moruzzi,interprete in prima persona di quel risveglio morale eculturale dell’Italia uscita dagli anni del fascismo e dellaguerra, l’Italia che fu grande non solo per i suoi tantiscrittori, i suoi straordinari registi, i suoi imprenditorie uomini politici che contribuirono al miracolo econo-mico del secondo dopoguerra, ma anche per i suoiscienziati. È ragionevole supporre che l’interesse perle ricerche elettrofisiologiche di Matteucci fosse natoin Moruzzi (intellettuale a pieno campo con un amoreparticolare per la storia risorgimentale), non solo dallagenerale affinità di queste ricerche con gli studi neu-rofisiologici che egli stava compiendo in quegli anni,ma dalla sensazione che a Matteucci fosse accaduto,nel 1840, qualcosa di analogo a quello che era accadu-to a lui stesso circa cent’anni dopo, nel 1949: trovarsigiovane, ma avendo ottenuto già risultati di granderilievo internazionale, nelle circostanze di poter con-

tinuare le proprie ricerche in un ambiente favorevolee di creare un centro propulsivo per le indaginisperimentali in Italia. Nel caso di Matteucci questo fudovuto soprattutto alla lungimiranza del GranducaLeopoldo II che nel 1839 aveva affidato a un singo-lare personaggio, Gaetano Giorgini, ingegnere for-matosi all’Ecole Polytechnique di Parigi, il compito diriformare l’ateneo pisano, dandogli la libertà di chia-marvi i giovani scienziati più promettenti dell’epoca.Nel caso di Moruzzi erano state le scelte dei decision-makers dello stesso ateneo (era allora rettore EnricoAvanzi e preside della Facoltà di Medicina VincenzoRossi) che, davanti al rischio di una chiusura definiti-va o del declassamento di una università dalla storiagloriosa, avevano lasciato da parte i piccoli giochiaccademici e avevano chiamato a Pisa studiosi divalore; tra questi Giuseppe Moruzzi che, insieme aHorace Magoun, aveva appena compiuto, alla Nor-thwestern University di Chicago, gli esperimenti allabase della scoperta di strutture che presiedono alcontrollo dello stato di vigilanza del cervello, il “Siste-ma reticolare ascendente”. Come è ben evidente dallaconclusione del saggio su Matteucci, Moruzzi perce-piva le straordinarie potenzialità della giovinezza esapeva che cosa un giovane può realizzare quando èmesso nelle circostanze di operare. Questo risaltaanche dalle parole di una intervista rilasciata nel 1982alla studiosa americana Louise Hanson Marshall, nel-la quale così descrive la situazione in cui si trovòarrivando a Pisa nel 1949:“I fondi per la ricerca furono generosamente fornitidalla Fondazione Rockefeller e così ebbi tutto il mate-riale necessario per formare una unità di ricerca. L’Isti-tuto era stato creato prima della prima guerra mondialeed era molto grande. Ma allora, nel 1949, era vuotoperché molto era stato asportato durante la secondaguerra mondiale. Avevo l’edificio, avevo i miei stru-menti americani, e avevo un giovane uomo (me stesso)pienamente preparato. Utilizzai il denaro ricevuto dagliUSA per mandare avanti la ricerca, così i fondi italianidisponibili, del Ministero e dell’Università, li impiegaiper la biblioteca. In questo modo fui in grado di creareuna buona biblioteca, cosa che ritenevo indispensabile.Nel frattempo cominciavano ad arrivare delle persone.Gli anni Cinquanta furono anni ottimi, perché i giovanierano ansiosi di far parte dell’Istituto; lo stipendio eramodesto, ma si dedicavano al loro apprendistato atempo pieno. Poi cominciarono ad arrivare ricercatoridall’estero.”

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Parole che dovrebbero far riflettere chi ha in mano orale sorti dell’Italia, un paese in cui si investe poco sullascienza e pochissimo sui giovani. Si dirà che sonomomenti difficili dal punto di vista economico e non cisono risorse per questo. A chi crede che l’Italia el’Europa siano destinate a un lungo e inarrestabiledeclino rivolgiamo, chiudendo questa nostra introdu-zione, le parole che Giuseppe Moruzzi pronunciò inAmerica nel 1948, nel corso di un convegno scientifico,rispondendo a chi gli chiedeva con quale animo egli siapprestava a rientrare in un paese terribilmente segnatodagli eventi bellici:“Spero che in futuro la nostra ricerca scientifica daràcredito alla convinzione di molti di noi che il vecchiocontinente è ancora vivo. L’Europa ha passato mo-menti peggiori dopo la caduta di Roma, e tuttavia è statacapace da sola di dar vita alla civiltà occidentale. Misono spesso chiesto che cosa provassero gli uomini dicultura di questi secoli miserandi e sono convinto cheil loro sentimento dominante non potesse essere che ladisperazione. E tuttavia all’inizio del XII secolo qual-cosa di insperato avvenne, e gli uomini cominciaronoa costruire cattedrali, a fondare università, a irrigare

terreni. Era l’alba del Rinascimento e della culturamoderna, della nostra cultura. Non sappiamo quale siail nostro posto attuale nel processo di civilizzazione,ma siamo fiduciosi che l’Europa abbia ancora tanto dadare alle scienze umane e naturali.”Questo sentimento di speranza sia il messaggio cheNATURALMENTE vorrebbe trasmettere pubblicando ilsaggio di Moruzzi su Matteucci, un testo che lega dueuomini che contribuirono a fare grande l’Italia in duemomenti della storia del nostro Paese difficili, ma ricchidi risorse umane ed intellettuali.

Marco Piccolino

L’opera elettrofisiologica di CarloMatteucci (1)

(prima parte)Gli anni della giovinezza

GIUSEPPE MORUZZI

Il primo lavoro elettrofisiologico del Matteucci appar-ve il 10 Novembre 1830. L’autore, nato a Forlì il 20Giugno 1811, aveva allora solo 19 anni ed era da pocoritornato da un soggiorno di 8 mesi a Parigi. S’eralaureato in Fisica, all’Università di Bologna, il 7 Aprile1828, quando non aveva ancora compiuto 17 anni, e ilsuo interesse per lo studio dell’elettricità era già attesta-to da due pubblicazioni di carattere meteorologicouscite rispettivamente nel 1827 e nel 1829. Il principalebiografo del Matteucci, Nicomede Bianchi (1874),racconta che a Parigi il giovanissimo fisico italiano siera già guadagnato l’amicizia e la stima di scienziaticome Arago e Becquerel.L’opera elettrofisiologica a cui il Matteucci deve famanon peritura inizia nel 1836. Essa si può dividere in treparti: ricerche elettrofisiologiche sui pesci elettrici,ricerche sui potenziali di demarcazione del muscolo,ricerche sui potenziali d’azione muscolare. Di ciascunadi queste parti verrà detto nella presente trattazione che

terminerà con una esposizione storica della famosapolemica con il du Bois-Reymond, e con un tentativodi valutazione dell’opera e della personalità scientificadi Carlo Matteucci.

Nota della RedazioneNATURALMENTE segnala con piacere che nel 2010 MarcoPiccolino è stato co-autore di un bel libro, molto ricco anchedal punto di vista della documentazione fotografica:Meulders Michel, Marco Piccolino, Nicholas J. Wade, 2010Giuseppe Moruzzi: ritratti di uno scienziato Pisa, ETS, pubblica-to in corrispondenza del centenario della nascita di Giusep-pe Moruzzi e in relazione con il bicentenario della nascita diMatteucci, e anche nel clima delle celebrazioni dei 150 annidell’Unità d’Italia.

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I percorsi della scienza nel XXI secolo

Il 2007 (parte ottava)LUCIANO COZZI

In questo 2007 incontreremo parecchi temi giù trattati.È il caso di programmi informatici come MEGA4, lacui nuova versione si guadagna il primo posto inclassifica. Ci sono poi i ritorni di rassegne annuali,come quella dedicata al cancro negli USA, e i ritorni diargomenti già visti, come la riprogrammazione dellestaminali. Mi sono chiesto se non fosse il caso di nonconsiderare di nuovo questo tipo di articoli ripetitivi,ma in ultima analisi mi pare che, se l’obiettivo della miaserie di rassegne è quello di fotografare lo stato dellecose, le ripetizioni debbono rimanere, altrimenti ilquadro ne uscirebbe alterato, più vario e innovativo diquanto non sia nella realtà.

1. E MEGA fa 4Abbiamo già incontrato il software MEGA due voltenel nostro cammino, nel 2001 e nel 2004. Evidente-mente si tratta di un prodotto particolarmente ap-prezzato. Gli autori presentano questa quarta versione,dichiarando che essa amplia e potenzia le possibilità giàofferte da quelle precedenti. Editing del DNA a partireda archivi presenti sul Web, allineamento manuale oautomatico di sequenze, costruzione di alberi filogene-tici attraverso la stima delle distanze evolutive sono trale potenzialità più sfruttate di MEGA. La versione 4consente di aggiungere didascalie e legende per facili-tare la lettura dei modelli elaborati; è un dettaglio, madi grande utilità pratica. Si tratta, infatti, di un passoimportante nella direzione di una maggiore leggibilità eintuitività degli schemi prodotti da questo software,che risulta fruibile da un’utenza sempre più ampia emeno specializzata.Più consistente è l’implementazione del metodo Maxi-mum Composite Likelihood (MCL), che consente di stima-re le distanze evolutive, tendendo conto anche deivincoli relativi alle transizioni (purina - purina e pirimi-dina - pirimidina) e alle transversioni (purina - pirimi-dina o viceversa).MEGA4 nasce come applicazione per Windows a 32bit, ma è disponibile anche in versione per Linux,comunque gratuita e reperibile in rete.K. Tamura, J. Dudley, M. Nei, S. Kumar MEGA4:Molecular Evolutionary Genetics Analysis (MEGA) Sof-tware Version 4.0. MOL BIOL EVOL. (2007)

2. In vino veritasIl secondo articolo della rassegna del 2007 porta lafirma di alcune decine di ricercatori, seguendo un usoassai diffuso di recente, ma offre al lettore italiano il

conforto di vedere che tra gli autori compaiono diversiconnazionali, operanti presso centri di ricerca situati aSan Michele all’Adige, Lodi e Padova. Forse non è uncaso che la ricerca tratti del sequenziamento del geno-ma della vite, Vitis vinifera, che in Italia ha grandeimportanza tradizionale ed economica.Come recita il titolo non si tratta propriamente di unsequenziamento, ma della costruzione di una sequenzaconsenso di elevata qualità per una varietà eterozigote.Nel linguaggio tecnico dei bioinformatici, una sequen-za consenso è la sequenza di nucleotidi più frequente,laddove si confrontino tra loro campioni differenti. Sitratta di un’operazione ben più complessa del sequen-ziamento di un singolo genoma e al contempo assai piùutile, avendo a che fare con una varietà eterozigote,come nel caso in questione, nel quale l’essenza in studioè il clone da cui si ottiene il Pinot nero. Il genoma di V.vinifera ha dimensione di 504,6 Mb; gli autori dellaricerca l’hanno suddiviso in 2093 raggruppamenti (me-taconting), connessi a loro volta a 19 gruppi di associa-zione. Si stima che i geni di V. vinifera siano 29.585 e nelpresente lavoro ne è stato coinvolto oltre il 96%.L’obiettivo della ricerca era quello di individuare i genipiù importanti dal punto di vista pratico. Tra questi visono i geni che possono influenzare la qualità del vino,attraverso reazioni metaboliche secondarie, per esem-pio a carico dei terpeni e dei fenoli, che contribuisconoal bouquet del vino. Non meno importanti sono i genicoinvolti nella resistenza ai patogeni.

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La candelaPiuttosto che maledire il buioè meglio accendere una candela

Lao TzuELIO FABRI

Usciti da una lunga, spossante, debilitante seduta d’ipnosi, gliitaliani erano pronti per un’altra seduta d’ipnosi collettiva.Rilassatevi, guardate fissamente questo pendolo e contate...Il pendolo, nella fattispecie, prendeva le lugubri forme dellospread, dei listini di Borsa, del quotidiano stillicidio di percentua-li, tutte con il segno negativo davanti. Una popolazione che potevavantare milioni di persone vicine alla soglia della povertà (o sotto),il maggior tasso di disoccupazione giovanile d’Europa, il piùrapido declino industriale del continente, diventava in pochesettimane il più grande concentrato di analisti finanziari delpianeta. All’ortomercato, passandosi cassette di verdura, rudiproletari conversavano corrucciati del differenziale con i Bundtedeschi. Precari a ottocento euro al mese si dolevano per le tristiquotazioni di Unicredit. Lavoratori in cassa integrazione con ifigli a carico e moglie disoccupata commentavano dispiaciuti lepreoccupanti curve di grafici di Banca Intesa.“Caro, anche oggi non c’è il latte per i bambini.”“Eh, lo so ... ma hai visto poveretti quelli di Mediobanca ...? Su,Franca, pensiamo a chi sta peggio di noi.”Non c’è altra spiegazione: ipnosi.Questo brano satirico di A. Robecchi, che mi è capitatodi leggere sull’ultimo numero di MICROMEGA, si prestaottimamente al tema di oggi, che è un’altra confessione:io di economia non capisco niente. Cercherò ora didimostrarvelo, e di condividere con voi le mie infiniteperplessità e dubbi...

Non so bene da dove cominciare, ma forse un punto dipartenza vale l’altro; proviamo a partire dal famosoPIL. Non credo che esista grandezza macroeconomicapiù frequentemente citata in questi tempi: calo del PIL= recessione, che è una cosa brutta ...; il PIL è denomi-natore del rapporto debito/PIL, che si usa per valutarela gravità della situazione debitoria di un Paese...Per prudenza, dato che non mi fidavo dell’idea che mene ero fatta senza aver mai studiato la questione, misono rivolto alla fonte oggi più comune: Wikipedia. Eper sicurezza ha consultato sia l’edizione italiana, siaquella inglese. Ecco che cosa ho trovato:Il Prodotto Interno Lordo (PIL, in inglese gross domestic producto GDP) è una grandezza aggregata macroeconomica che esprimeil valore complessivo dei beni e servizi prodotti all’interno di unPaese in un certo intervallo di tempo (solitamente l’anno) edestinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioninette); non viene quindi conteggiata la produzione destinata aiconsumi intermedi, che rappresentano il valore dei beni e serviziconsumati e trasformati nel processo produttivo per ottenere nuovibeni e servizi.

Gross domestic product (GDP) refers to the market value of allfinal goods and services produced within a country in a givenperiod. GDP per capita is often considered an indicator of acountry’s standard of living.Come si vede, la definizione italiana è più accurata,mentre in quella inglese si parla del GDP pro-capitecome indicatore del livello di benessere (standard ofliving). Ma a me che sono fisico, leggendo le definizioni,sorge spontanea la domanda: “benissimo, ma come simisurano queste cose?’’ e poi l’altra, più ... indiscreta: “equanto sono attendibili i dati che si leggono?’’Alla prima domanda trovo una risposta, anche senecessariamente sommaria, nella Wikipedia inglese,che vi traduco:Il GDP può essere determinato in tre modi, che dovrebbero, inlinea di principio, dare tutti lo stesso risultato. Essi sonol’approccio del prodotto, quello delle entrate, e quello delle spese.[Non sono sicuro che questa sia la traduzione in uso nellinguaggio economico italiano, ma credo sia abbastan-za fedele.]Il più diretto dei tre è l’approccio del prodotto, che per arrivare altotale somma i prodotti [output] di ogni classe d’imprese.L’approccio delle spese si basa sul principio che tutto il prodottosarà comprato da qualcuno, per cui il valore del prodotto totaledeve eguagliare il totale delle spese dei cittadini nell’acquisto dibeni. L’approccio delle entrate funziona invece sul principio cheil totale delle entrate dei fattori di produzione (colloquialmente iproduttori) deve essere uguale al valore del loro prodotto, edetermina il GDP calcolando la somma delle entrate di tutti iproduttori.Quello che ignoro è quale approccio venga usato inItalia e negli altri Paesi; quanto la supposta uguaglianza“in linea di principio” dei tre approcci sia rispettata inpratica; e soprattutto quanto siano affidabili quei calco-li e quelle somme. Ignoranza mia, ovviamente; ma mipiacerebbe che qualche volta nella stampa, che è pienadi PIL in tutte le salse, ci fosse almeno un minimoaccenno a quanto si può fare affidamento sui dati chevengono pubblicati, anziché presentarli come veritàindiscutibili.

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L’eredità del NovecentoLa costruzione di un umano (prima parte)

STEFANIA CONSIGLIERE

La riflessione che si apre con quest’articolo è intitolata,nel suo insieme La costruzione di un umano: un titolo cheè anche, fin da subito, una presa di posizione. Il suotono sembrerebbe quasi provocatorio, in una rivistadedicata alle scienze naturali: ebbene, la mia scommes-sa è di argomentare che, proprio da un punto di vistarigorosamente scientifico e naturalistico, l’idea dellacostruzione degli umani non solo è accettabile, maperfettamente coerente e addirittura inevitabile.Per arrivarci, avremo bisogno di fare un giro lungo.Compito di questo articolo inaugurale è di fornire leprime coordinate del discorso: quali le aree disciplinariinteressate, quale l’inflessione critica che anima l’impre-sa, quali le tesi sopra le quali il ragionamento si fonda.

Una disciplina schizofrenicaLa riflessione sull’umano chiama subito in causa l’antro-pologia ovvero appunto, come il nome stesso dichiara,il “discorso sull’umano”. Si può intendere questo di-scorso in senso generale, filosofico, e in questo casotutte le visioni del mondo e tutte discipline hannoqualcosa di utile da dire; oppure svolgerlo secondo ladisciplina che porta il nome di antropologia: e quicominciano i problemi.Di antropologie, infatti, ce ne sono due: portano lostesso nome, indagano lo stesso “oggetto” e vivono intotale separazione l’una dall’altra. Si direbbe, anzi, chefacciano di tutto per non incontrarsi. Da un latol’antropologia biologica, nota un tempo come antropologiafisica, si occupa della storia naturale della specie Homosapiens: come si è evoluta (paleoantropologia), quali iparenti prossimi (primatologia), quale variabilità pre-senta, quali i caratteri genetici (antropologia molecola-re) e fenotipici (antropometria), quali le tappe dellosviluppo ontogenetico (auxologia), quali gli organi e lestrutture che supportano il linguaggio e la cognizioneecc. Dall’altro lato, l’antropologia culturale, detta ancheetnologia, indaga la cultura delle popolazioni “altre”: lalingua, i sistemi matrimoniali, i miti e i riti, le pratichecurative, l’organizzazione sociale, la distribuzione delpotere ecc.Fedeli a questa scissione, le tabelle ministeriali italianeseparano l’antropologia (settore scientifico-disciplinareBIO/08, area delle scienze biologiche), dalle disciplinedemo-etno-antropologiche (settore disciplinare M-DEA/01, area delle scienze storiche, filosofiche, pedagogichee psicologiche). Altrove, le linee di discrimine sonotracciate in modo diverso -il sistema accademico statu-

nitense, ad esempio, usa una partizione in quattrocampi: antropologia fisica, antropologia socio-cultura-le, antropologia linguistica, archeologia- ma da nessunaparte la genetica umana è trattata dai medesimi ricerca-tori che studiano i sistemi di parentela, né la varietàdelle culture è mai presa in conto da chi si occupa dievoluzione umana. Le diverse tessere non si compon-gono mai in un mosaico che le comprenda secondo unafigura d’insieme.Ciascuna delle due antropologie ha i suoi metodi, i suoiconcetti, i suoi numi tutelari, le sue cattedre, le sue pistedi ricerca. Entrambe hanno prodotto quantità ragguar-devoli di dati e di interpretazioni, che raramente entra-no in contatto e quasi mai “si parlano”, e che sembranoinfine trattare di due oggetti completamente differenti.La dicotomia fra i due approcci antropologici non èdunque un problema occasionale nel sistema dellediscipline scientifiche, né un divorzio che possa esserericucito con un po’ di buona volontà o applicando unagenerica interdisciplinarità. Piuttosto, essa segnala qual-cosa di più profondo, l’azione di una partizione chenon è solo di superficie: è un’intera logica conoscitivaa separarle in campi distinti e a dividere, con esse, anchele scienze hard dalle scienze umane, e lo studio dei fattidallo studio dei valori. Il divorzio delle due antropolo-gie è la crepa che rivela la faglia.

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Geologia non intuitiva: si può prevedereil passato?

MARCO TONGIORGI

Su IL SOLE 24 ORE di Domenica 21 Agosto 2011 èapparso un bell’articolo di Gilberto Corbellini (Il sapereche ci migliora la vita) il cui sottotitolo ne riassumeefficacemente il contenuto: È andando contro il sensocomune che l’ingegno umano ha svelato le leggi della natura ... Perquesto, secondo Corbellini, necessitano beautiful minds,poiché La ricerca richiede uomini speciali. Non superiori, maumili ed educati all’antidogmatismo... Uomini come Eucli-de, Archimede, Ippocrate e su, su, fino ad Einstein, etante altre eccezionali beautiful minds.È innegabile la rilevanza storica di queste figure, da cuidipende, come ricorda Corbellini, la qualità della nostraesistenza. Sulla stessa linea si muove l’articolo di CarloRovelli (Occhi nuovi per capire il mondo), apparso nellostesso numero de IL SOLE 24 ORE. Secondo Rovelli: Lagrande scienza nutre la nostra visione del mondo: ci obbliga aripensare noi stessi e il mondo. Ci dà occhi nuovi per comprenderela realtà.. Rovelli si richiama almeno in parte alla filoso-fia della scienza di Kuhn (La struttura delle rivoluzioniscientifiche); tant’è che il sottotitolo del suo articolo recitaViaggio nelle grandi rivoluzioni della mente ...). Ma tendeperò a sottolineare che Le grandi rivoluzioni scientifiche,come quelle di Anassimandro, Copernico, Darwin o Einstein,sono i momenti salienti del processo. Ma il processo è continuo.(...) È l’avventura di un pensiero vivacissimo e ribelle, che haavuto la forza di mettere in dubbio e scardinare pregiudiziradicati e antichi e ridisegnare ripetutamente il mondo.Non si può che essere in gran parte d’accordo conquesti autori. Ma quello che mi sembra importantecogliere è la continuità del percorso della scienza, comegiustamente sottolinea Rovelli. La continuità non esclu-de ed anzi implica le “rivoluzioni”, intese come crisi diun “paradigma” consolidato, a fronte dell’accumularsidi ripetute contraddizioni nel corso della ricerca “nor-male”, ricerca che ha come scopo non tanto l’invenzio-ne del “nuovo” quanto piuttosto quello di accrescerela portata e la precisione con cui il paradigma può essere applicato(Kuhn, La struttura...., cap. IV); almeno fino alla (nonvolutamente perseguita) rottura “rivoluzionaria” diquesto paradigma. La ricerca “normale”, dunque, peressere appunto “ricerca”, non può non andare contro“il senso comune”, comprendente anche lo stessoparadigma condiviso su cui il ricercatore serio necessa-riamente si basa ma di cui deve forzare fino in fondo ilimiti...Per questo la ricerca, anche la “ricerca normale”, appa-re ostica ai non addetti ai lavori, viene perfino irrisa onegata come portatrice di valori (vedi Benedetto Cro-

ce), quando non compresa nel suo essere “struttural-mente” non intuitiva. Se questo può avere una spiega-zione psicologica per le scienze a base prevalentementematematica (ostica ai più), lo stesso può dirsi peròanche per le scienze prevalentemente descrittive (comela geologia stratigrafica), che per essere appunto de-scrittive ci si aspetta siano facilmente comprese da tuttisulla base del senso comune. Ma non è così... Ancheuna scienza “storica” come la geologia stratigrafica nonpuò limitarsi alla semplice rappresentazione (che sipresumerebbe oggettiva e pertanto facilmente com-prensibile) degli accadimenti passati. Essa resta co-munque (come del resto anche l’archeologia moderna,o la paleontologia evoluzionistica, due esempi di scien-ze “storiche”) una scienza sperimentale, dove le ipotesiinterpretative non appaiono scontate nonostante laloro coerenza con i dati sperimentali, ma devonopassare al vaglio della loro potenzialità predittiva. Tut-to questo non è affatto ovvio, come ho potuto rilevare,con una qualche sorpresa, durante alcune lezioni teo-riche e sul terreno che ho tenuto nel 2010, nel quadrodi un corso di formazione per guide turistiche “natu-ralistico-ambientali”.Esporrò qui di seguito alcune delle riflessioni che daquesta esperienza ho ricavate, avendo in mente unasezione geologica reale, nel Mesozoico inferiore deiMonti Pisani.

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Ex uno pluresIl paradosso evolutivo della poliembrionia

VINCENZO CAPUTO

Riproduzione asessuata e sessualitàPrerequisito fondamentale affinché una popolazionepossa evolvere è la variabilità genetica, assicurata neiviventi dalla replicazione del DNA che -in quantointrinsecamente suscettibile a errori di copiatura- è laprima fonte di variazione. Una seconda, fondamentalecausa di variazione è la sessualità, considerata una delletransizioni evolutive fondamentali del vivente (May-nard-Smith e Szathmáry, 1999). Negli animali, nellepiante e negli eucarioti in generale, l’essenza dellasessualità è lo sviluppo di un nuovo individuo a partireda una singola cellula, lo zigote, formato dalla fusionedi due cellule sessuali o gameti. Il sesso è in grado diportare vantaggio a una popolazione in due modi. Lapopolazione che si riproduce sessualmente può anzi-tutto evolversi più in fretta per far fronte ai mutamentiambientali. Si ipotizzi, per esempio, che due mutazioni,a → A e b →B, siano entrambe vantaggiose sul pianodella selezione. Tipicamente, le due mutazioni si avran-no in differenti individui e, escludendo incidenti, en-trambe diverranno via via più frequenti. In una popo-lazione che si riproduce sessualmente, la ricombinazio-ne può riunire le due mutazioni in un solo individuo:presto perciò l’intera popolazione diventerà AB. Unsecondo possibile vantaggio legato alla riproduzionesessuale è la possibilità di ridurre nella popolazione ilpeso delle mutazioni deleterie. Si supponga che dueindividui siano indeboliti da due differenti mutazionidannose: se dovessero accoppiarsi, potrebbero, graziealla ricombinazione, dare origine a un discendente sano(1). Senza la sessualità, ciò potrebbe verificarsi solo nelcaso in cui una rara mutazione inversa cancellassel’effetto dell’altra (Maynard-Smith e Szathmáry, 1999).Che la selezione naturale abbia favorito le popolazioniche si riproducono sessualmente appare chiaro se siconsidera la distribuzione tassonomica della riprodu-zione asessuata più diffusa tra gli animali superiori,ossia la partenogenesi (2). Pur essendoci molte varietàe specie partenogenetiche, nonché alcuni generi, quasinessun gruppo superiore (famiglia, ordine, classe) ri-sulta interamente partenogenetico (3). È esattamenteciò che potremmo attenderci se nuove varietà parteno-genetiche comparissero di tanto in tanto venendo peròeliminate dalla selezione naturale prima di poter dareorigine a un taxon più vasto. Appare perciò curioso chealcuni organismi superiori siano in grado di produrregemelli monovulari o monozigotici attraverso il feno-meno conosciuto come poliembrionia. In alcuni casi lo

zigote, in altri le larve, sono cioè in grado di suddivider-si una o più volte fino a produrre, in casi estremi,centinaia o migliaia di embrioni geneticamente identicifra loro ma differenti dalla propria madre. Questaparticolare modalità riproduttiva è considerata un “pa-radosso evolutivo” in quanto sembra mancare sia deivantaggi della riproduzione asessuata sia di quella ses-suata (Craig et al., 1997). A differenza della partenoge-nesi, infatti, che produce molte copie di un genotipo disuccesso, il nuovo genotipo di una discendenza po-liembrionale è differente da quello della propria madre.Diversamente da quella sessuata, che produce un am-pio spettro di genotipi che si confrontano con unavarietà di condizioni ambientali, la poliembrionia “scom-mette” quindi su un solo genotipo non testato.Il paradosso della poliembrionia consiste nel fatto chegli organismi che l’adottano sembrano fare un errorepalese, equivalente all’acquisto di numerosi bigliettidella lotteria con uno stesso numero, in assenza diragioni per preferire quel numero anziché un altro(Williams, 1975). Il “paradosso” potrebbe essere risol-to scoprendo qualche vantaggio della poliembrionia ingrado di bilanciare lo svantaggio di produrre “lo stessonumero della lotteria”.

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Kerangas preziose alleanze e altrestrategie di sopravvivenza

NICOLA MESSINA

Il termine kerangas deriva da una parola della lingua iban(una tribù Dayak del Sarawak, Borneo) che significa“Terra inadatta alla crescita di riso” e fa riferimentosostanzialmente alla scarsissima fertilità dei suoli, cheospitano questo peculiare ecosistema, chiamato ap-punto Kerangas.La foresta Kerangas, denominata anche Heath Forestda Richard già nel 1957, si potrebbe considerare comederivata dalla foresta mista a Dipterocarpaceae e adat-tatasi alle peculiari condizioni edafiche in cui si trova acrescere. Questo ecosistema è distribuito in alcune areedel Borneo, come Sabah, Sarawak e Brunei, e cresce susuoli poco profondi, poverissimi di nutrienti, a tessitu-ra sabbiosa e fortemente acidi, o anche su suoli chederivano da rocce di tipo vulcanico, come i basalti.Comparati con i suoli podzolici rosso-gialli (Podzols),distribuiti ampiamente ai tropici, i suoli della Kerangas,detti anche spodosuoli, sono ancora più poveri di nu-trienti rispetto ai primi. Gli spodosuoli sono caratteriz-zati da un processo di intensa acidificazione, che favo-risce un’alterazione dei minerali primari e il trasportodall’alto verso il basso dei sesquiossidi di ferro edalluminio con precipitazione degli stessi.

Questo fenomeno determina la formazione di strati oorizzonti fortemente cementati in profondità e straticompletamente sabbiosi in superficie. La differenza trai suoli della Kerangas e quelli di una foresta mista aDipterocarpaceae si riflette così sulla vegetazione, chequindi risulta assai più povera sia dal punto di vista delnumero di specie presenti che da quello della varietàdelle specie stesse. Tra gli alberi, pur essendo rappre-sentate da un discreto numero di specie, le Dipterocar-paceae sono qui sicuramente meno presenti rispetto aquelle delle foreste miste a Dipterocarpaceae. La voltaarborea o canopy è più bassa, uniforme e la stratificazio-ne molto scarsa; inoltre, la sua relativa apertura rendepossibile la penetrazione di alti livelli di radiazionesolare con conseguente crescita di un sottobosco abba-stanza rigoglioso, difficilmente o affatto osservabilenelle foreste miste a Dipterocarpaceae, se non in zoneprossime a gap forestale, cioè aree in cui la volta risultaassente.

Fig. 1 Profilo della foresta Kerangas

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Arte e scienza

Del Colore e dei ColoriI Gialli 1 (e l’oro)

MATILDE STEFANINI

Nell’ultimo quarto del Quattrocento sui mercati inglesilo zafferano arrivava attraverso i pochi mercanti d’oltreManica che frequentavano i mercati e le fiere stagionalifiamminghe, dove veniva portato dai “Whenysyans”(veneziani) a riprova del vasto commercio di pigmentie spezie già praticato dai mercanti della Serenissima (1).La stessa spezia/colore si poteva acquistare anche aBarcellona come scrive, quasi un secolo prima, nel1396, il mercante Samminiato de’ Ricci nel suo manua-le genovese di mercatura. Egli rivela che è convenientecomperarlo in ottobre “per investire si fa per lo SantoLuca” (18 ottobre), mentre a Valenza in giugno eraopportuno “investire in grane” (Kermes?) (2). L’am-piezza del traffico commerciale dei pigmenti, delleresine, degli stabilizzanti e delle sostanze per tintura èun territorio ancora parzialmente inesplorato e questoè tanto più vero per il giallo, per la miriade di sostanzesia vegetali che minerali da cui si può ottenere. Traquelle vegetali è proprio lo zafferano a far parte dinumerose ricette pittoriche e per miniatura, specie nelmedioevo e nel primo rinascimento, direttamente conun veicolo acquoso o mescolato a vari altri ingredientie persino utilizzato per far parte di basi gessose concolle, bolo armeno (argilla rossa) ed altri additivi, detteassise o sisse per l’apposizione dell’oro su tavola.Tra le prime attestazioni della spezia come colorantetroviamo la descrizione (3) della intonacatura del Tem-pio di Minerva in Elide, scelta da Panaeus, fratello diFidia (V. sec. a. C.). L’intonaco, secondo Plinio, vennemescolato con zafferano e latte e “perciò oggi se sisfrega col pollice umettato, esso restituisce l’odore e ilsapore dello zafferano”. Era comunque molto costosoe di difficile fissaggio se non con mordenti -di qui forselo “spolvero” tramandatoci da Plinio- e nell’antichitàera utilizzato anche per profumare l’aria come ci rac-conta Marziale: “spargere ed effondere zafferano” (4).Sorge il dubbio che nei casi di impiego non in pitturao miniatura, ma in imprese che comportino l’uso dinotevoli quantità di colorante, quali intonaci in super-fici di grande estensione come un tempio, o “pioggia”(nimbus) di zafferano, si sia ricorso ad un succedaneo.L’esiguità della materia prima ottenuta dai pistilli deifiori di croco (Crocus sativa L. e Crocus vernus All.), che nedeterminava e ne determina ancora il costo esorbitante-occorrono 100.000 fiori, circa 80 kg., per ottenere 1kg. di prodotto fresco che si riducono a 200 g di intensocolore secco- fa pensare che sotto il nome di Crocus, in

antico, si nascondessero in realtà anche altri pigmentivegetali, purché di giallo abbastanza carico, quali lacurcuma. Questa è un’altra spezia, fortemente aroma-tica, ricavata dalla radice della Curcuma longa L., unarizomatosa della famiglia dello zenzero, ancor oggivenduta in sacchi sui mercati orientali, dal colore fortesimile allo zafferano e dal gradevole sapore e odore,detta in periodo romano anche Terra-merita e più tardiZafferano delle Indie. La Curcuma può essere facilmenteadulterata aggiungendo terra gialla anch’essa usata comecolorante. Zafferano, azafran per i fenici, asfar, giallo,in arabo e in ebraico karkom da cui il Crocus latino, eCurcuma, dal persiano kurkum, oggi sono coltivatiquasi esclusivamente per scopi alimentari. Accanto aqueste compariva il Cartamo (Carthamus tinctorius L.) dicui si usano i fiori, detto dagli arabi ùsfur, conosciutocome Zafferano bastardo o Zafferanone, originariodell’India dove se ne ricava anche un olio, ma coltivatoin tutto il bacino mediterraneo e, fino a tempi recenti,in Emilia Romagna e in Toscana. Era già utilizzato daparte degli antichi egizi per colorare soprattutto tele dilino e conosciuto anche dai cretesi e dai greci (5). Èabbastanza evidente che in antico ci può essere stata unpo’ di confusione su questi coloranti vegetali gialli, dicui oggi conosciamo la differenza nei principi attivi:carotenoidi per lo Zafferano e la Curcuma, antrachino-ni per il Cartamo che contiene due colori diversi, ilrosso solubile solo nei grassi e il giallo solubile solo inacqua. E bisogna anche fare attenzione nel leggereanche le fonti più recenti poiché, ancora nell’Ottocen-to, alcuni colori definiti Crocus Martis e Crocus Veneris siriferivano ad ossidi di ferro e di rame per il vivo colorezafferano che avevano, pur non avendo niente a chefare con la spezia.

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Il verziere di Melusina

L’ananasLAURA SBRANA

… v’è con largo tesor culto fra noipomo stranier che coronato usurpaloco a i pomi natii…

G. Parini

Questa pianta, della famiglia delle Bromeliaceae, derivail nome dal portoghese ananaz, a sua volta dalla voceindigena guaranì-tupì nanà (= profumato); in italiano ilvocabolo fu introdotto verso la fine del Cinquecentodai viaggiatori-mercanti fiorentini Filippo Sassetti eFrancesco Carletti delle cui osservazioni ci occupere-mo fra poco.L’origine brasiliana del nome ananas testimonierebbeanche la provenienza della pianta, “scoperta” da Cri-stoforo Colombo a Guadalupe nel 1493, durante il suosecondo viaggio, ed acclimatata in seguito dai Porto-ghesi in India (intorno al 1583), nel Madagascar ed aGiava; nel tempo la coltivazione dell’ananas si è affer-mata nelle Antille, in Florida, Kenia, Sud Africa, Came-run e Costa d’Avorio: quest’ultima è con Haiti lamassima esportatrice, anche se oggi circa il 70% dellaproduzione mondiale è concentrata nel Vecchio Mon-do che ne produce poco più di 2 mila tonnellate annue,quasi tutte in Portogallo, Azzorre, Andalusia e Canarie.Al di fuori delle zone tropicali, la coltivazione dell’ana-nas “da frutto” è possibile solo in serra calda: talecoltura si attua, seppur limitatamente, in Inghilterra,Francia, Belgio ed anche in Italia.Una moderna enciclopedia botanica ci informa che “algenere Ananas appartengono cinque specie di piantesempreverdi, di cui alcune (in particolare l’A. comosus oA. sativus) producono frutti commestibili. In naturasono tra le poche Bromeliaceae a non essere epifite”.Per comodità, per la pigna si parla di frutto, ma iltermine è sbagliato perché, in realtà, si tratta di un sorosio(dal greco soròs = mucchio), cioè di una moltitudine “difrutti saldati insieme dalle brattee interposte ad essi finoa creare un corpo unico”.Tra le prime descrizioni dell’ananas quelle di Ferdinan-do Colombo, Michele da Cuneo e, in particolare, diGonzalo Fernández de Oviedo che nel suo Sommario distoria naturale delle Indie (pubblicato nel 1526, ma reso-conto di ciò che egli aveva “visto con i propri occhi”dodici anni prima, quando era nelle “isole e Terra-Ferma del mar Oceano come ispettore delle fonderied’oro, su mandato del re cattolico”) si esprime così, conil metodo della “botanica comparativa”: “vi è, tra gli

altri, un frutto che nasce da certe piante simili ai cardidella specie dell’aloe, con molte coste, ma più sottili diquelle dell’aloe, più grandi e piene di spine. In mezzo alceppo nasce un germoglio alto come mezzo stadiocirca e grosso come due dita, e su di esso si forma unapigna, grossa poco meno della testa di un bambino, manella maggior parte dei casi un po’ inferiore, avvolta dasquame, alcune più grandi di altre, come le hanno lepigne da pinoli, ma non si dividono né si aprono, bensìqueste squame restano intere su una scorza dellospessore di quella del melone”. A questa descrizione,che spiega anche il nome castigliano dell’ananas, piña(da cui l’inglese pineapple), De Oviedo aggiunge anchequalche elemento relativo alla coltura della pianta edalle caratteristiche organolettiche del frutto: “quandole pigne diventan gialle, il che avviene dopo circa unanno dalla semina – e qualcuna anche prima – sonomature e pronte da mangiare. Sull’attaccatura di questepigne a volte nascono uno o due germogli ed uno soprala testa della pigna. Questo germoglio, se lo mettonosotto terra, subito attecchisce e, nello spazio di unanno, da quel germoglio nasce un’altra pigna e quelcardo sul quale nasce la pigna, dopo che la si è colta, nonvale niente e non dà più altri frutti. Gli Indios ed iCristiani, quando seminano queste pigne, le mettono infila ed in ordine come i ceppi delle viti. Questa frutta haun profumo migliore di quello della pesca e con unapigna o due tutta la casa profuma ed è così dolce checredo sia una delle migliori del mondo, e del più dolcesapore e del migliore aspetto. Nel sapore ricorda lemele cotogne delle più gustose ed è carnosa come lapesca, ha, però, dei filamenti come il cardo, ma finissi-mi e, quindi, è fastidiosa per i denti, se la si mangia difrequente. Tuttavia è molto succosa ed in qualchecontrada gli Indios ne ricavano un buon vino. E’ unfrutto così sano che si può dare anche ai malati e favenire l’appetito a quelli che non ne hanno”.

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Maria DedòGalleria di metamorfosiMimesis, (collana “Qua-derni a Quadretti”) Mila-no, 2010

L’argomento di questo librosono (alcune) trasformazio-ni matematiche.Nell’esperienza umana le tra-sformazioni investono ogniaspetto della vita, da quello

personale (io cambio, col tempo e gli eventi, gli altrianche) e quotidiano, a quello collettivo (la nostra storiadi sviluppi, migrazioni, rivoluzioni... lingue e culture...).Sappiamo che la natura cambia, ad ogni stagione, o intempi lunghissimi... e la pallida Luna in cielo, dopo 28giorni di mutamenti, appare, ai nostri occhi, la stessa delprimo giorno. L’ immutabile è l’eccezione, come testi-moniano miti e racconti famosi di metamorfosi.Maria Dedò propone a insegnanti e “apprendisti inse-gnanti” della scuola, ma anche a cultori curiosi dellamatematica, senza formazione e strumenti specifici, dientrare nel “mondo nel mondo” delle metamorfosigeometriche. Usa un linguaggio non pedante, informa-le e rigoroso insieme, tenendosi su un crinale comuni-cativo delicato, forte delle sue ricerche teoriche e dellasua grande intelligenza ed esperienza di didattica ecomunicazione della matematica, di cui questo volu-me, della collana “Quaderni a quadretti”, non è che unesempio. Inoltre sollecita, non con imperativi o appelli,ma con la stessa struttura del libro, l’atteggiamentoattivo di chi lo accosta, perché, come scrive nell’intro-duzione, “Il libro non è stato pensato per essere lettoe basta, ma è stato pensato per un lettore che ha sempreaccanto una matita e un foglio di carta su cui scribac-chiare, fare un controllo, costruirsi un esempio...”Dunque, oltre alle informazioni, ci sono domande,esercizi veri e propri, problemi, ripensamenti sul testo,approfondimenti, spunti per divagazioni, tutti benevidenziati graficamente. È un bel sollievo non essereingozzati a cucchiaiate, in qualsiasi materia, scolastica enon, ma specialmente in matematica, spesso intesa,“insegnata” e “imparata” come minestra da buttar giù.Essere attivi è, in genere, più piacevole, ma menoriposante che essere passivi, e l’argomento, seppure

presentato nel modo migliore, non è poi così “facile”.Rispetto all’esperienza dei cambiamenti richiamati al-l’inizio, la matematica ci chiama ad un diverso grado diastrazione, in cui, prima di tutto, non contano il tempoe il movimento. Molto rare sono le trasformazioniconcepibili fuori del tempo e il movimento sembraloro intrinseco: nel linguaggio comune, quando qual-cosa o qualcuno non cambia, si usa dire che è “statico”,“immobile”...inusuale dunque pensare che non impor-ti il moto in sé, per vedere o immaginare, ad esempio,rotazioni o traslazioni, ma che importino, invece, ilpunto di partenza e il punto di arrivo!Astrazione si aggiunge ad astrazione: le trasformazionigeometriche sono un notevole strumento di classifica-zione. Sia il primo capitolo, “Le isometrie”, sia ilsecondo, “Oltre le isometrie”, chiariscono che le tra-sformazioni “servono” a stabilire quando due (o più)figure si possono ritenere “uguali”, o “equivalenti” o“simili”. Nel piano o nello spazio. A seconda dell’am-bito in cui ci poniamo. Il nocciolo della questione èquesto, riassunto nel primo sottotitolo di entrambi icapitoli: “Uguali e diversi”. Trasformazioni che attra-versano molti temi geometrici: non sono argomento daesaurire in un capitoletto a parte del libro di testo(“geometria delle trasformazioni”), come purtroppopuò succedere. Del resto, anche nei testi scolastici diScienze naturali, può accadere che “l’evoluzione” siacondensata in un capitoletto a parte. Poi, avanti comeniente fosse! Il fondamento teorico è il discorso di FelixKlein presso l’Università di Erlangen nel 1872 (notopoi come “programma di Erlangen”): la geometria èintesa come lo studio della proprietà delle figure chenon cambiano rispetto a certe trasformazioni, quindi siparla di geometrie, non di geometria.Maria Dedò fa superare ai lettori l’ansia da inadeguatez-za di fronte a tali grandezze teoriche: gli esempi vengo-no spesso dal serbatoio della quotidianità, come lepiantine in scala, gli specchi (esempi, anche, di comenelle trasformazioni il movimento non sia rilevante), ipuzzle, i macinini da caffè, le orme e le scarpe... e idisegni più propriamente “geometrici” sono chiari emolto utili. È convinzione dell’autrice che le immagini,le figure, abbiano grande importanza: “In generale, inmatematica, al fine di appropriarsi di un dato contenu-to, è cruciale cercare di fabbricarsi delle immaginimentali dei diversi concetti che via via si affrontano, eciò soprattutto nei primi approcci ad un argomento,quando il momento descrittivo è preponderante rispet-to al momento della sistemazione formale e rigorosa.Una “pittura mentale” è un concetto astratto che noncoincide necessariamente con un’immagine reale; però,al fine di fabbricarsi le proprie pitture mentali, è impor-tante confrontarsi con delle immagini reali” (pagg.3-4).Per dirlo con Leopardi, ne L’infinito: ...io nel pensier mifingo, cioè (rifacendosi al significato latino della parola)

Recensioni

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mi dipingo immagini e mi costruisco modelli mentali,a scopo conoscitivo, in una bella convergenza di pro-cessi matematici e poetici per capire, esprimere e,infine, mettere in comune.Il libro non può contenere tante immagini, ma tantis-sime ne contiene il sito “Immagini per la matematica”(www.matematita.it /materiale) cui i lettori vengonopuntualmente indirizzati, sempre nella pratica di unalettura guidata, ma non passiva. Per me, di formazionefilosofico-letteraria, questo libro è stato fonte di verodivertimento, nonostante le difficoltà concettuali chepure ho incontrato, e la concentrazione e la fatica, che,talora, ho profuso. Merito grande dell’autrice, che hascelto un argomento matematico di rilievo (la percezio-ne dell’importanza di un tema è un motore potente permettere in moto le proprie “cellule grigie”!) e nonmolto frequentato e ha trattato il potenziale lettoresenza supponenza, con autorevolezza, non autorità, opeggio, autoritarismo. Così ho goduto di una speciale“narrazione”. Non un’opera letteraria, certo, ma unracconto sui generis: mentre gran parte del libro si“svolge” nella geometria euclidea, l’ultimo spiazzantecapitolo su alcuni aspetti di trasformazioni topologiche(deformazioni), ove sembra (sembra!) regnare la mas-sima libertà, al limite di assenza di proprietà (regole), ciporta in un’altra dimensione, quella, per esempio, del“fuori e del dentro”, o delle “sfere e dei bomboloni”(tori, geometricamente parlando).Ed è di conforto e di stimolo, in tempi in cui né lacultura, né il senso critico, né la scuola vanno per lamaggiore, pensare che i lettori di “Galleria di metamor-fosi” potranno trasmetterne, con acume e autonomia,alcuni contenuti e metodi ad altre persone, magari piùgiovani, addirittura a bambini, a formare un “mosaicovirtuoso” sempre più ampio.

Paola Gallo

Carlo BernardiniIncubi diurni. Esserescienziati e laici nono-stante tuttoLaterza, 2010

Forse, dopo il recente cam-biamento di governo, pos-siamo tirare un sospiro disollievo e sperare che ilpeggiore degli incubi siafinito. Non certo per esse-re venuti fuori dalla crisi

economica, che anzi si abbatterà su di noi con i suoieffetti più nefasti per diversi anni a venire, ma peressere emersi da uno dei periodi più bui della storiad’Italia. Possiamo sperare che il governo dei professori si

adoperi per porre fine a questo lungo periodo dioscurantismo scientifico e culturale che Carlo Bernar-dini, nel suo Incubi diurni imputa ad una classe dirigentecostituita da politici che pensano alle prossime elezioni e non dastatisti che pensano alla prossima generazione, come dicel’autore citando De Gasperi.Il libro è un atto di ribellione e di denuncia control’(in)cultura dominante, un prodotto composito di in-competenza e di pregiudizi, quando non frutto di misti-ficazioni e di falsità, spacciate per verità manifeste.Bernardini considera l’attuale crisi dell’Italia la conse-guenza inevitabile dell’umiliazione sistematica subitadalla scuola, dall’università e dalla ricerca e dell’assuefa-zione generale ai mezzi di comunicazioni di massa, il cuiuso distorto è stato finalizzato all’intorpidimento dellecoscienze e alla gestione particolaristica della res publica.Voglio dare ragione di una profonda delusione che molti di noiitaliani stiamo subendo. La madre di tutte le delusioni è lagestione particolaristica della cultura contemporanea, quasi sem-pre banale e spesso volgare: un fenomeno involutivo che forse è lanaturale conseguenza di una disponibilità eccessiva di moltiintellettuali a spinte che hanno origini senza qualità, dal mercatoal potere. Il risultato più impressionante delle cattive abitudini acui ci siamo adattati è la perdita del rapporto tra parole e fatti.È come se la carica emotiva stessa delle idee che formuliamo sispegnesse nella pedante ripetizione retorica: dialogo, rispetto,interesse pubblico sono espressioni di cui è già magistralmenteintrisa la nostra eccellente Costituzione, stancamente però ripro-poste da chiunque; così come gli eufemismi che fanno accantonareogni allarme di coscienza: missioni di pace, accoglienza deidiversi, servire lo stato, ecc.. Bernardini fa un’analisi puntua-le del percorso che, partendo dall’indottrinamentoprecoce e dall’uso pervasivo dei media come strumentidi condizionamento intellettuale, soprattutto dei bam-bini e dei giovani, porta al conformismo, al qualunqui-smo e poi giù giù fino all’intolleranza e al cannibalismosociale. Il discredito gettato sulla scienza e sul sapere haportato alla delegittimazione della razionalità, comel’esaltazione di modelli comportamentali fraudolenti,alla degenerazione morale.Statalismo è una bestemmia, come socialismo o, peggio, comuni-smo; l’evasione fiscale è un peccato veniale; la precarietà e laflessibilità sono obiettivi risolutivi da promuovere. Il consenso siottiene ormai con l’illusionismo retorico, l’illegalità tollerata, ilsaccheggio di ciò che è di tutti e di cui però nessuno si sentecomproprietario, l’invenzione fiscale o mercantile strabiliante(Tremonti), la repressione di chi è pregiudizialmente sospettato diattentare alla proprietà e all’incolumità altrui (gli extracomuni-tari), l’ammiccamento alla religione cattolica, la cura degli interessidegli amici, così via. Siamo tutti avviati verso la salvaguardiadell’interesse privato, e il pubblico è ormai res nullius.Bernardini considera non più sopportabile il pesodell’ingerenza del Vaticano che, con la complicità dellaclasse politica, pone limitazioni non solo alla libertà diricerca, ma anche alla libertà di coscienza individuale, in

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nome di pretesi principi di un’etica universale che vieneimposta a tutti, credenti e non. Riconosce appieno l’impor-tanza ed il valore dell’etica, ma nega che esista un’etica degliscienziati contrapposta all’etica della religione. Gli scienziatisono uomini e hanno un’etica del tutto indistinguibile da quelladel resto dell’umanità, nella sua eterogenea composizione. Tut-tavia sottolinea il fatto che per la trasformazione dellasocietà in una direzione sempre più multiculturale c’èbisogno di un’etica radicale nuova, più umana, più libera e piùonesta che passi attraverso il recupero di alcune storiche figuredi oppositori dei feroci poteri temporali e spirituali dei loro tempi,come Gesù, Maometto, Buddha, Confucio, fino a Gandhi e,forse, Martin Luther King.Nelle sue argomentazioni, Bernardini mette in luce ilnesso indissolubile tra scienza, che per definizione èfrutto di ragionamento, razionalità ed esercizio dellademocrazia. Ma se si accetta che ogni ingerenza dottrinariamette in pericolo la democrazia nella sua laicità scientifica,l’azione politica necessaria a salvarla diventa, purtroppo, imma-ne nella tradizione culturale che abbiamo tacitamente accettato.Si possono tollerare gli insegnamenti di religione nelle scuole? Sipossono tollerare le innumerevoli insegne della religione sparse sulterritorio? Si può tollerare la voce del Papa ritrasmessa da tuttii mezzi di comunicazione quotidianamente? Si possono tollerarele manifestazioni di liberismo senza freni che avvelenano ineso-rabilmente il mercato? Si può tollerare che il potere politico siaoccupato da soli esponenti di partito autosegnalati privi dicompetenze adeguate ai compiti specifici per cui vengono chiama-ti? Non siamo per caso arrivati a un fondamentalismopolitico che esclude di fatto ogni presenza popolare? Non siamoarrivati forse a una produzione mediatica di consenso che nascedalla dottrina di mercato e che conserva l’ignoranza e l’inculturacome garanzie di subordinazione? Un fenomeno parziale di cuitutti andammo fieri fu l’eliminazione proclamata delle ideologie.Che errore! Non c’eravamo accorti che la diversità delle ideologiegenerava, come le armi atomiche, una sorta di equilibrio delterrore. Con il risultato che ci troviamo in una ipertrofica crescitadelle versioni integraliste delle ideologie religiose e di mercato; chesono tragicamente alla base di tutti i conflitti e delle crisi attuali.Denuncia senza mezzi termini che l’invasione di cam-po della Chiesa cattolica sul territorio della scienza, nonè storia nuova, ma è frutto di una lunga ostinazione dellegerarchie ecclesiastiche nel contrastare la libertà della ragionescientifica che risale almeno al processo a Galileo (1633)ed arriva senza soluzione di continuità ai creazionistiodierni. Pur analizzando a fondo i motivi di contrastotra religione e scienza, richiamando più volte BertrandRussell ed il suo Perché non sono cristiano, Bernardinisottolinea l’importanza di riconoscere i valori comunitra un laico che non crede, quale egli è, ed un credente,come suor Cécile Renouard, che nelle sue Venti proposteper riformare il capitalismo si pone, con maggiore luciditàdi molti politici anche di sinistra, il problema delleregole che servono per dare a chiunque l’accesso ai beniessenziali.

Chi, come me, ha avuto una educazione e una esperienza laica,occupandosi di scienza e del suo insegnamento e confidando nellaprofonda umanità di un modo di pensare che chiamavamo disinistra, oggi sta vivendo un incubo. Si sente solo, fuori posto,senza ragion d’essere di cui compiacersi e entusiasmarsi: unicicompagni di viaggio alcuni grandi autori del passato.E a questi compagni di viaggio, tra cui Bertrand Russell,Albert Einstein, John Stuart Mill, Werner Heisenberg,Jorge Luis Borges, lascia spazio nella seconda parte dellibro per mettere il lettore a confronto con brani delleloro opere, come testimonianza della resistenza oppo-sta dal mondo della cultura alle intenzioni egemoniche delladottrina cattolica, che tenta di negare all’uomo ladignità di pensare in proprio, e come sostegno della tesiche la ragione ed il suo modo di procedere rappresen-tano la spinta propulsiva indispensabile per la crescitadell’individuo e per il progresso della società.Come molti di noi, Bernardini rivendica il diritto deigiovani e delle generazioni future di vivere in uno statolaico, in cui si riconosca il valore della conoscenza edella competenza, in cui la formazione scolastica siafondata sull’esercizio della ragione, sul primato delpensare sul credere, che punti a risvegliare la capacitàcritica, l’amore per il sapere come mezzo per sceglieree capire il senso della convivenza civile. Denuncia iltrogloditismo politico di chi ci ha governato negli ultimianni, che con lo slogan la cultura non si mangia hasistematicamente tagliato le spese per la scuola, laricerca e la tutela dei beni culturali, tanto che i fondimessi a bilancio per il 2012 sono inferiori a quellistanziati solo dieci anni fa. Non investire nella forma-zione, a tutti i livelli, a partire dalla scuola dell’infanzia,significa privare i futuri cittadini del diritto di poter/saper scegliere e quindi è una minaccia per la democra-zia e ha profonde ripercussioni sull’oggi e sul domani.Parliamo moltissimo di libertà, specie del pensiero, ma poifacciamo solo opere di condizionamento della mente.Non mi illudo che ci si possa aspettare molto sul pianodella laicità da un governo composto da soli cattolici,anche se nella breve storia della democrazia italiana cisono alcuni (pochi) esempi di politici illuminati che,pur essendo credenti, hanno tentato di tenere separatala ragion di Stato dal dogmatismo ecclesiastico. Tutta-via speriamo almeno che questo governo sia abbastan-za lungimirante da rivedere la politica degli investimen-ti nel sistema formativo, se vuole avviare il nostro Paesesulla strada di una (ri)crescita culturale ed economica.Stiamo attraversando una crisi economica senza prece-denti, ma che allora si tagli piuttosto sulle spese per gliarmamenti che non sappiamo che farcene di 27 esercitiper difendere le frontiere dell’Unione Europea, che diguerre ce ne sono fin troppe e che non ci crediamo piùalla storia delle guerre intelligenti e alle missioni uma-nitarie armati fino ai denti. A mio parere Incubi diurninon è l’invettiva di uno scienziato che si sente fuori dal coro,

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Peter AtkinsIl Regno periodico.Viaggiare nel mondodegli elementi chimiciZanichelli Chiavi di let-tura, 2008

Con questo agile librettoAtkins propone una sortadi viaggio attorno e all’in-terno del sistema periodi-co degli elementi, descrittocome un vero e proprioterritorio geografico di cui

ci fornisce mappe e immagini inconsuete. Le tre partiche formano il testo (Geografia, Storia, Governo e istituzio-ni) danno conto, rispettivamente, di come si possarappresentare il sistema utilizzando le metafore con-nesse al paesaggio (alto-basso, terra-mare, costa-iso-le...); delle tappe essenziali attraverso cui, tra l’Ottocen-to e il secolo scorso, si è ampliata e raffinata la cono-scenza degli elementi e della loro struttura atomica;delle principali leggi che regolano le loro proprietà ecombinazioni e che determinano la loro posizionerispettiva nella tavola di Mendeleiev.Il sistema periodico, studiato nella sua logica interna,costituisce in effetti una sorta di “riassunto di granparte della chimica” (p. 156); e come tale Atkins lo usa,attraverso la metafora del viaggio attraverso un terri-torio (o piuttosto attraverso la mappa di un territorio) dicui, via via, ci racconta la storia, le scoperte successive,ci ricorda gli esploratori e i cartografi, ci spiega le leggidi funzionamento che ne giustificano la struttura.Atkins è un conoscitore entusiasta della struttura pro-fonda della materia, con le sue regolarità sorprendentie con i lati ancora da chiarire. Per lui il mondo deglielementi chimici non è soltanto un oggetto da conosce-re, è anche l’hardware dei meccanismi mentali cheattiviamo per conoscerlo. Ed è il sostrato di gran partedella vicenda preistorica e storica della specie umana: èil supporto materiale, cosmico e geologico, dentro cuici muoviamo, ed è poi connesso, attraverso l’uso e lamanipolazione degli elementi con il trasformarsi delletecnologie e delle priorità economiche, al percorsodell’umanità sulla Terra. La presenza e la funzione deivari gruppi di elementi e composti chimici nelle condi-

come recita la quarta di copertina, anzi penso che siamoin tanti a condividere l’amarezza di Carlo Bernardini ea lui dobbiamo un vivo ringraziamento per aver datovoce alle nostre preoccupazioni. Auguriamoci che ilnuovo governo sia sensibile al suo e nostro grido diribellione.

Anna Maria Rossi

zioni materiali della vita, della nostra stessa biologia, ciricordano costantemente la continuità della strutturadella materia con la nostra esperienza vitale, personalee di specie. Questo sfondo quasi-filosofico, che ha a chefare con la visione del mondo dell’autore, nulla toglie allaprecisione e alla chiarezza con cui viene trattato il temadal punto di vista del rapporto tra la posizione di unelemento nel sistema periodico e le sue proprietà strut-turali, fisiche e chimiche. Peso atomico, diametri, nume-ro atomico, regole di riempimento degli orbitali e energiedi ionizzazione corrispondenti: da qui si ricavano cono-scenze e previsioni sul comportamento fisico-chimicodi elementi e composti. Il paesaggio descritto nella primaparte è il risultato di una rete di regolarità profonde, checonsentono non solo di collocare nella casella appro-priata i nuovi elementi che si venivano scoprendo, inmodo più o meno casuale, tra gli ultimi decenni dell’Ot-tocento e l’inizio del Novecento, ma perfino di andarealla ricerca di elementi che risultino mancanti, dove c’è unbuco nel reticolo del sistema periodico. E’ il caso delleprevisioni di Mendeleev, che anticipano di una ventinad’anni l’individuazione di germanio, scandio e gallio, edella stessa scoperta del radio da parte dei coniugi Curie.Elementi che andavano a riempire dei vuoti irregolari nelsistema.La Tavola periodica e la struttura dell’atomo alla lucedella meccanica quantistica non ci vengono propostecome oggetti statici. La dimensione storica della “in-venzione” del sistema periodico, e della stessa nascitae organizzazione della chimica come disciplina scienti-fica, è presente in tutto il percorso. Dall’identificazionedell’ossigeno e dell’idrogeno, negli ultimi decenni del1700, incontriamo una serie di personaggi (Priestley,Cavendish, Davy...), un po’ pionieri e un po’ investiga-tori, che tentano di descrivere forma e comportamentodegli atomi in un’epoca in cui era fuori discussionepoter osservare qualcosa, a quel livello di grandezza; sulmodello dell’interrogatorio alla natura di baconianamemoria, attraverso una serie di esperimenti essiricavano delle indicazioni, non sempre coerenti o inter-pretabili in modo lineare, e propongono dei modelli. Ilpercorso delle scoperte continua e si arricchisce, nelcorso dell’Ottocento, grazie all’uso dell’elettrolisi, dellaspettroscopia, della cromatografia, fino a individuare ilterritorio dei gas inerti, particolarmente sfuggenti pro-prio per la loro bassissima reattività; e fino agli elementiinstabili, che sono stati “creati” (per durare pochiistanti) grazie agli acceleratori lineari e ai sincrotroni(elementi radioattivi effimeri, che non avrebbero maipotuto essere scoperti in natura).Anche i modelli di struttura di atomi e molecole hannouna storia, sono frutto di un lavoro sperimentale ededuttivo in cui anche il caso e la fortuna hanno la loroparte. Dalton, Thomson, Rutherford, Moseley forni-scono progressivamente nuove informazioni sulle par-

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ticelle subatomiche e sulla loro presumibile disposizio-ne attraverso esperimenti in cui convergono i risultatidegli studi sul magnetismo e sull’elettricità, la cono-scenza dei materiali, l’osservazione delle reazioni chi-miche. La meccanica quantistica, che considera oggettidescrivibili sia come onde che come particelle, secondoil livello e il tipo di osservazione che se ne fa, è, a oggi,lo strumento più adeguato di comprensione e di inter-pretazione della struttura profonda della materia.Il modello atomico di Schroedinger è descritto inmodo chiaro ed esauriente negli ultimi capitoletti dellibro, nonostante il tema sia abbastanza astratto ecomplesso. Per esempio, dopo aver rappresentato edescritto le differenze tra legami ionici e legami cova-lenti, ne ricava alcune caratteristiche intuitive, tipo ipunti di fusione elevati dei metalli e quelli assai più bassinelle molecole covalenti, e ce le mostra intorno a noi:“...in generale i composti molecolari sono il lato mor-bido della natura, i composti ionici quello duro: bastipensare alle parti morbide della Terra -i suoi fiumi,l’aria, l’erba, le foreste, che sono tutti di natura moleco-lare- e le rigide infrastrutture del paesaggio, che sonogeneralmente ioniche” (p. 186).Per me -lettrice per nulla specialista, ma con un’anticapassione per la chimica- la prima parte, con l’ampiadescrizione metaforica del Sistema periodico comepaesaggio è risultata la più complicata da seguire.Anche utilizzando le immagini inserite ad hoc, essarisulta persuasiva e funzionale, a mio avviso, solo dopoaver ripercorso la parte esplicativa, in cui le principalileggi di distribuzione delle particelle negli atomi, nellemolecole e nei composti vengono esposte alla lucedella meccanica quantistica. Forse l’argomentazione,fatta un po’ sul modello dell’enigma con scioglimentofinale, è voluta, e potrebbe sostenere la curiosità e ilcoinvolgimento del lettore fino alla spiegazione strut-turale del modello presentato all’inizio. Sarebbe inte-ressante conoscere le reazioni di uno studente che siavvicina per la prima volta alla materia; e il libro, perlinguaggio, capacità di sintesi e chiarezza espositiva, siraccomanda senz’altro anche a questo tipo di lettore.

Francesca Civile

Giuliano Parenti, Anto-nio Torquato Lo MeleIl piccolo audace Frrr.Storia di un pesce fuord’acquaEdizioni La Meridiana,Molfetta

Frrr è un pesciolino d’ac-qua dolce, vive nelle profondità del lago Balestra e loattende un destino da creatura acquatica, relegata,

assieme ai suoi simili, nel piccolo stagno sino al terminedei suoi giorni. Forse, con la prospettiva di finirenell’olio bollente di qualche padella umana, oppure…Oppure? Beh, magari la vita può essere anche altro!Una bella favola di formazione, questo Il piccolo audaceFrrr Storia di un pesce fuor d’acqua, testo di GiulianoParenti e tavole di Antonio Lo Mele. Solo apparente-mente lieve e disimpegnata è una storia per bambini ditutte le età, che si rivela, fin da subito, densa, ricca dinumerosi, profondi significati: la simpatia piena d’amoreper protagonisti e personaggi marginali, diversi persensibilità e talenti; la fatica per essere riconosciuti eapprezzati, scontando pregiudizi e incomprensioni; laconquista di una contraddittoria, laboriosa accettazio-ne. E come in tutte le favole l’eroe deve sottoporsi a unaserie di prove iniziatiche prima di conquistare libertà ecoscienza. Pesce di terra e poi anche d’aria il piccoloaudace Frrr è una creatura ossimorica, strana e inricerca: della sua vera natura, della natura e delle ragionidegli altri, della proprie radici. Un Ulisside sempre inmovimento, ingenuo e tenace, testardo e coraggioso,disponibile a mutare, a ibridarsi, curioso delle novità epronto, se del caso, a ricominciare da capo.Tutta animale questa storia: gli uomini sono ombrelontane, in genere portatori di guai e negatività. Sono ipiccoli esseri viventi non umani a prendere il loroposto: pesci, rane, topi, gatti, formiche, cicale, gabbianie super gabbiani appaiono in genere migliori degliuomini, ma non privi di qualche difetto, e accompagna-no Frrr nel suo cammino di ricerca e scoperta dalleprofondità del lago Balestra all’azzurro più azzurro delcielo.Favola luminosa, trasparente, felice nelle scelte deitemi, dei personaggi, della lingua, Il piccolo audace Frrr siavvale di una parte iconografica che fa proprio il testo,lo rielabora, lo trasforma in segno e colore secondo unacifra originalissima: quella di Antonio Lo Mele, pittoree grafico pugliese, le cui 104 bellissime tavole amplianola storia, ne arricchiscono e dilatano la fantasia creatri-ce, aggiungono originalità grafica e estrosità linguistica,ne moltiplicano gli effetti di creazione, suggestione efascino. Non possiamo, quindi, che essere grati adAntonio Lo Mele per aver permesso alle sue favole direstituirci con pienezza, con grazia e intelligenza, tuttoil sorriso di Giuliano Parenti, scrittore e artista recen-temente scomparso. Ed è soprattutto la sua ironiainsolita, sorprendente, surreale, spiazzante, mai, però,irridente o cinica, sempre invece ricca di poesia, disogni e di speranza, a intridere testo e tavole.Così, la parola si fa immagine e l’immagine racconto.

Luciano Luciani

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Elsa NervoFarmacopea tradiziona-le dei Pigmei BakaPavia University Press

La storia di questo libro èpiuttosto insolita. Comin-cia molti anni fa, quandoPadre Robert Brisson, del-la Fraternita di CharlesFoucault, si recò in Came-run e visse presso la popo-lazione dei Pigmei Baka percirca trent’anni. Tornò inFrancia solamente nel2000. Durante il suo sog-giorno in Africa, anche perpoter comunicare, fece unostudio della lingua delle di-verse etnie dei pigmei Baka

intervistando la popolazione e facendosi spiegare comevivevano. I pigmei sono molto probabilmente la popo-lazione più antica che abbia abitato le foreste equato-riali e tropicali africane. Nella foresta si sostentano, sicurano e vivono praticamente e spiritualmente utiliz-zando le piante della loro zona.Padre Brisson raccolse tutto quanto aveva appreso in undattiloscritto e ne lasciò una copia a un villaggio di pigmeidove vivono anche dei missionari. Esso è in pratica unlavoro di ricerca che non solo ha finalità di carattereetnico-linguistico, ma contiene molte e importanti infor-mazioni scientifiche. Qualche anno fa il prof. GabrieleCaccialanza, chimico farmaceutico dell’Università diPavia, decise di studiare le piante della medicina tradizio-nale dei pigmei Baka; si recò nella zona di Djum, nel sudest del Camerun vicino al Gabon, e raccolse delle piante,in accordo con la popolazione che era interessata adavere un’opinione scientificamente fondata sull’uso te-rapeutico tradizionale di tali piante. In quel villaggio ilprof. Caccialanza ricevette il dattiloscritto che divennepoi l’oggetto della tesi di Master in Etnobiofarmacia eUtilizzo Sostenibile della Biodiversità di Elsa Nervo. Per lafinalità del Master, quello che interessava del manoscrit-to di Padre Brisson non era la parte linguistica ma quellarelativa all’utilizzo delle piante, in particolare nella medi-cina tradizionale. Va ricordato che, normalmente, questeinformazioni vengono tramandate nelle diverse etnie dipadre in figlio o da medico a medico e difficilmentevengono scritte, per cui si rischia che vengano perse.Quindi, il lavoro di Padre Brisson è doppiamente meri-torio perché, oltre a cercare di salvaguardare la linguaindigena, permette che vengano ricordate tutte quelleinformazioni sull’utilizzo delle piante e, di conseguenza,anche sulla vita di questa etnia. Nel testo in francese diBrisson Utilisation des Plantes par les Pygmées Baka sono

state raccolte anche moltissime informazioni sulla medi-cina tradizionale di questa popolazione, dati che ElsaNervo ha rielaborato da un punto di vista scientifico,prevalentemente di etnomedicina, per cui si è ritenuto dipoter intitolare questo libro in italiano come la Farmaco-pea tradizionale dei Pigmei Baka. Si possono, però, anchetrovare informazioni su come i pigmei utilizzano lepiante per costruire le loro abita zioni, per andare a cacciamagari vincendo la paura, sui cibi che le donne incintepossono mangiare o utilizzare e quelli da evitare perchépericolosi per il nascituro, su quali piante curano diversemalattie che nella Farmacopea sono state raggruppareper tipo di disturbi.A parte questo studio vennero fatte delle ricerchesull’autore del dattiloscritto, perché in realtà di PadreBrisson si erano perse le tracce, anche se si sapeva cheaveva continuato a tener vivo il ricordo dei Pigmei Bakacon diversi scritti. Proprio in occasione della pubblica-zione di questo libro il Padre venne rintracciato e tantosi entusiasmò al fatto che qualcuno avesse usato il suoprimo lavoro trasformandolo in un testo scientificoche ci tenne ad essere presente alla presentazione dellibro tenutasi presso l’Università di Pavia.Dato l’interesse e il valore della tesi di Elsa Nervo, ilCentro Interdipartimentale di Studi e Ricerche sull’Et-nobiofarmacia (C.I.ST.R.E.) ha ritenuto di pubblicarla,ma ampliandola, aggiungendo gli elenchi completidelle piante, il loro utilizzo più dettagliato e mettendoin evidenza delle curiosità nascoste nel testo. Il libro èinoltre ricco di bellissime fotografie fatte dal prof.Gabriele Caccialanza durante i suoi periodi di perma-nenza nelle zone dei Pigmei. E’ questo il primo volumedella collana del C.I.ST.R.E., Acta Ethnica, in cui ci sipropone di pubblicare dati sull’utilizzo delle piante daparte di diverse etnie di svariati paesi.Questo libro è sicuramente di interesse per etnofarma-cologi, etnomedici, botanici, antropologi, per tutti co-loro che amano l’Africa e hanno a cuore il futuro diquelle popolazioni, come i Pigmei, a cui uno sviluppoeconomico incontrollato rischia, ad esempio con lacostruzione di strade, di togliere gli spazi vitali, leforeste che sono il loro mondo e la condizione per laloro sopravvivenza. Ma sicuramente piacerà anche a unpubblico più vasto.Il volume Farmacopea tradizionale dei Pigmei Baka puòessere acquistato sia presso il C.I.S.T.R.E. (http://cistre.unipv.it/on-line/) che nel negozio elettronicowww.dispenseonline.net al prezzo scontato di • 48,00).

Paola Vita Finzi

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Il cacciavite e l’oliatoreVINCENZO TERRENI

Pare che la Gelmini, e chi l’ha mandata a fare laministra, sia rimasta intrappolata tra i diverticoli di untunnel pieno di neutrini. Sembra impossibile che nonci sia più, ma non sono sicuro che la sola a rimpiangerlasia la Guzzanti giovane, ci sarà anche un esercito discuole private resuscitate con i soldi pubblici sapiente-mente dirottati.Così ci si ritrova dopo quasi un ventennio di contrap-posizioni, riforme fatte e cancellate, rifatte e aggiustatecol cacciavite, rimesse infine in campo ma che hannobisogno di un po’ d’olio per essere digerite. Non hocerto la pretesa di fare un’analisi seria, primo perchénon mi riesce e poi perché non saprei se piangere oridere o tutte e due le cose insieme pensando che quelliche ci hanno governato per tutto questo tempo hannofatto sicuramente del loro meglio per far funzionare lascuola, l’industria, il Paese. I risultati aprono i telegior-nali da un paio di mesi con toni sempre drammatici conquesto “piede sull’abisso” che non si decide a fare unpasso in avanti! Meglio sarebbe stare col sedere perterra: una situazione molto più rassicurante.Mi limiterò a poche note sulla scuola provata nel sensodi scuola di Stato umiliata e ridotta in condizionimiserrime dai continui attacchi a cui è stata sottoposta.In appena sei anni -dal 2004/2005 al 2010/2011- gli iscrittinelle scuole elementari, medie e superiori delle paritarie sonocresciuti del 10 per cento, nelle statali si registra una sostanzialestabilità. Il dato degli alunni delle private è stato pubblicatodall’Ufficio statistica del Ministero dell’Istruzione nell’ambitodel dossier sugli alunni disabili e mancava dalle statisticheufficiali da circa 10 anni (1). Prima o poi, a forza di stornidi fondi e di pressioni mediatiche, la naturale preferen-za per la scuola di Stato comincia a vacillare e, a macchiadi leopardo che ricalca la mappa delle regioni chefavoriscono la privata, la gente comincia a cambiareorientamento fino al caso estremo di “Caserta: il boomdelle paritarie per ogni scuola pubblica due private” (2).È questa solo una delle tante inchieste giornalistiche etelevisive che hanno messo il naso nelle conseguenzedella libera interpretazione di “senza oneri per loStato”. In Lombardia le scuole private ricevono -inassoluto, non in percentuale- un contributo maggioredi tutte le scuole statali (che, per ora, sono molte di più).Dove il sorpasso delle scuole private sulle statali c’è giàstato, questo è stato facilitato dagli insegnanti che civanno quasi gratis per fare punteggio e con le massiccesovvenzioni per le paritarie la libera e intrepida impren-ditorialità fa dei bei soldi senza alcun rischio (3)!Nella scuola pubblica si continua con la “tecnologiadidattica”: la lavagna interattiva multimediale (detta

anche L. I. M.), è un dispositivo elettronico avente ledimensioni di una tradizionale lavagna didattica, sulquale è possibile disegnare usando dei pennarelli vir-tuali o il sistema Touch screen. (Da Wikipedia) Si tratta dimoderni altarini che fanno bella mostra di sé nelle salemultimediali, locali desueti atti alla deposizione dipolveri sottili sugli oggetti in essi contenuti (non daWikipedia). Parliamoci chiaro: chi preparava la lezionecon le presentazioni (uso ppt), ce la poteva fare anchecon una semplice TV collegata al portatile (il pc, personalcomputer, personale nel senso che è suo personale, nondella scuola): questi oggetti che hanno richiesto unaquantità imprecisata di risorse sono stati assegnati unoper scuola e si possono adoprare su richiesta. Risultato:chi li potrebbe usare non li ha sempre a disposizione,chi non li vuole usare continua a blaterare nel modotradizionale. Ma c’è stata anche la sperimentazione delMini Brunetta (tralascio lo “stro” per guadagnare spa-zio) con i portatili nella scuola elementare (4). Qualchemilione di euro impegnati per un progetto ambiziosoquanto privo di fondi economici e fondamenti pedago-giche. Il nuovo Ministro Profumo apre alle “tavolette”per le superiori, una mossa prudente che si inquadranelle sue dichiarazioni di ministro pro-tempore (v.intervista (5). A proposito di tablet: Negroponte nondemorde, tra breve ci sarà anche il suo, manovellacompresa (6).

...continua...

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Lettere

Joachim LangeneckLeggendo l’articolo di F. Turriziani Colonna Un rappor-to altalenante: gli embriologi e Darwin pubblicato su NATU-RALMENTE (n. 3, 2011) mi è onestamente sembrato cheil tema trattato non fosse tanto discutere riguardo lebasi storiche su cui si appoggia l’Evo-Devo Theory, quan-to piuttosto l’annosa (e a mio parere un po’ stantia)polemica tra scienziati e filosofi della scienza. Al di làdell’interessante trattazione sulle ricerche e le intuizio-ni di Von Baer, ci sono due punti che mi trovano innetto disaccordo.Il primo è il paragrafo relativo ad Ernst Haeckel (ErnstHaeckel: l’ideologia che soffoca la scienza e le intuizioni).A partire dal titolo sembra che il paragrafo si prefiggaessenzialmente di sottolineare come quanto è statoteorizzato da Haeckel sia il frutto di un’ideologia, e chedal punto di vista scientifico le sue ricerche non abbianoil minimo valore. Per quanto sia noto che Haeckel nongoda di particolare simpatia, tanto tra i biologi quanto trai filosofi, da quando le sue teorie sono state impiegate pergiustificare le politiche eugenetiche naziste, credo siadoveroso sottolineare come un discorso di questo tiporisulti antistorico. Effettivamente risulta molto difficiledistaccarsi dalle idee dominanti nella propria epoca,soprattutto se quelle idee risultano comode; l’idea di unascala naturae è molto diffusa nella scienza ottocentesca,forse proprio perché, se si postula che sia valida ancheall’interno del genere umano, giustifica il colonialismonei confronti di popoli considerati “inferiori”, un colo-nialismo su cui l’Europa ha costruito la sua storicasupremazia politica. Molti scienziati ottocenteschi sonostati drammaticamente vincolati alle ideologie dominan-ti, basti pensare a Georges Cuvier, pervicacemente ag-grappato al creazionismo, e al tempo stesso paleontolo-go geniale e pioniere in vari settori di ricerca; questotuttavia non ha impedito loro di compiere scoperte dinotevole importanza e di avere intuizioni che hannopermesso lo sviluppo della scienza come la conosciamooggi. Di fatto la massima parte di ciò che ha scopertoCuvier, a prescindere dal suo creazionismo, è statafondamentale per dare argomentazioni a favore del-l’evoluzionismo. Pur imbevuta di misticismo e remini-scenze Goethiane, quindi, la scienza di Haeckel a miomodo di vedere risulta all’altezza della sua epoca, ancoranon svincolata dal romanticismo in cui Adelbert vonChamisso, accanto alla Storia straordinaria di Peter Schle-mihl scriveva osservazioni botaniche. In aggiunta a ciò,per fare un’osservazione più concreta: risulta veramentedifficile non trovare affinità tra i primi stadi di un fetoumano ed un girino, e per capire che l’evoluzione non è

una linea retta che porta senza soluzione di continuitàdall’anfiosso all’uomo, quanto piuttosto un roveto in cuila massima parte dei rami hanno avuto termine moltis-simo tempo fa, servono molti dati di vario tipo, dati cheoggi abbiamo, ma che centocinquant’anni fa eranodecisamente carenti.L’altro punto con cui non mi ritrovo riguarda l’afferma-zione “Come era naïf Haeckel quando introducevanozioni secondo lui collaterali, altrettanto sono i biologiquando di tali nozioni si servono senza conoscernetalvolta il trascorso in seno a teorie dimenticate e ormaifalsificate”. Questa affermazione a mio parere è daprendere con le molle da camino, in quanto come“biologo” non mi risulta che la norma nell’ambiente sial’uso acritico di termini senza tener conto del lorosignificato originario; tanto più che la teoria dell’evolu-zione è stata oggetto di innumerevoli travisamenti ideo-logici volti a dare una base scientifica allo sfruttamentodi terre e popoli che le abitano. Una risposta a questaaffermazione si può trovare nei saggi di Gould, in cuimolto spesso vengono discusse teorie “dimenticate eormai falsificate”, senza il senso di superiorità che tra-spare da questo articolo, ma piuttosto cercando di capirecome mai si sia giunti a formularle. Se però citassisoltanto Gould sarei ingiusto nei confronti di coloro cuidevo la mia preparazione in ambito biologico all’internodell’Università di Pisa; secondo la mia esperienza neicorsi universitari viene posta la giusta enfasi sulla storiadelle teorie e dei termini, cosa fondamentale, perché sullenostre spalle riposano più di centocinquant’anni diteoria dell’evoluzione, con i loro chiari e i loro scuri.D’altra parte non mi pare necessario imputare ai biologiuna scarsa riflessione sulle basi della loro scienza affin-ché venga riconosciuta l’importanza degli epistemologia questo livello; estromettere una delle due categoriedall’argomento non ha senso, perché biologi ed episte-mologi lo affrontano da due punti di vista differenti,ambedue necessari per giungere ad una comprensionecompleta della questione.Voglio concludere questa mia riflessione citando unaneddoto che riguarda proprio Haeckel. Una delle sueteorie riguardava l’esistenza di una forma vivente pre-cellulare, protoplasmatica, antecessore degli altri organi-smi. Huxley nel 1868 individuò in campioni di fanghibatiali una struttura corrispondente a quanto teorizzatoda Haeckel e, considerandola un vivente a-cellulare,decise di chiamarla Bathybius haeckeli. Nel 1875 fu peròdefinitivamente dimostrato che Bathybius non era nien-t’altro che un precipitato colloidale di solfato di calciooriginato da una reazione con l’alcol utilizzato per laconservazione dei campioni. Questa vistosa gaffe, chevede protagonista non soltanto l’ideologico Haeckel, maanche l’altrimenti geniale “mastino di Darwin”, è stata alungo tenuta nascosta sotto il tappeto, probabilmentenel timore che potesse mettere in ridicolo la teoria

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In risposta alla lettera di Joachim LangeneckFederica Turriziani ColonnaLa ricerca sui presupposti storici e teorici alla basedell’Evo-Devo Theory che propongo nell’articolo Un rap-porto altalenante: gli embriologi e Darwin trova una più estesatrattazione nel volume, recensito per NATURALMENTE daMaria Turchetto, Alle origini delle specie: embrioni (e uova), cuirimando per eventuali misunderstanding. Vorrei tuttaviachiarire l’atteggiamento intellettuale che vi è alla base.Innanzi tutto, non mi pare si possa ridurre la questionetrattata all’“annosa polemica fra scienziati e filosofi dellascienza”, poiché ritengo che il compito della filosofia, inrelazione alla scienze, sia quello di servirle, indagandosulla struttura delle formulazioni teoriche messe a puntoda chi si occupa di scienze. In questa prospettiva, vienemeno la polemica, in favore di una più proficua alleanza.Inoltre, presentando gli approcci all’embriologia di vonBaer e di Haeckel ho tentato di mostrare quali fossero glistudi e le dottrine in embriologia al tempo di Darwin -profilo storico- e di comprendere in che rapporto sitrovassero le discipline oggi conosciute come biologiaevolutiva e biologia dello sviluppo. L’esigenza di unariflessione di questo tipo è stata dettata dalla costatazio-ne della loro attuale convergenza in un approccio che siserve di entrambe. Ridurre la trattazione al dibattito frafilosofi e scienziati è indubbiamente possibile, ma sitratta di un’interpretazione che non coglie la posturaepistemologica di chi scrive. Riguardo poi all’appuntosulla lettura dell’embriologia haeckeliana, mi preme pre-cisare che ciò che ho fatto non è stato criticare lariflessione di Haeckel come una dottrina inadeguata escadente ma, al contrario, partendo dalla costatazioneche la sua opera viene considerata pregna di ideologia eper questo estranea ad un atteggiamento tipicamentescientifico, ho tentato di mostrarne gli elementi di forza.L’idea di una scala naturale ha esercitato un’influenzanotevole nella storia delle idee per ragioni diverse in ogniepoca; nel XIX secolo, come fa notare Langeneck ecome è stato già fatto notare altrove, essa giustificava ilcolonialismo. Ciò non significa, tuttavia, né che non vifossero personalità in grado di rifiutarla (si pensi proprioa von Baer), né che chi la accogliesse fosse per questocondannato ad elaborare dottrine inaccettabili. Chi guar-da al passato delle scienze non può che porsi in unaposizione imparziale rispetto ad ogni teorizzazione. Laletteratura sulla dottrina haeckeliana è assai controversa;

molti vi hanno osannato l’idea di ricapitolazione, altrihanno additato questo medesimo elemento come qual-cosa di a-scientifico o di non-scientifico. Ciò dipendeovviamente dalla prospettiva in cui si collocano gli autoridi tali critiche: quando si fa luce sui meccanismi cheregolano l’embriogenesi, la dottrina haeckeliana sembrala formulazione grossolana di un’idea che non trovacorrispondenza nella realtà. Ecco, fra gli scopi del mioarticolo c’è proprio quello di riabilitare la riflessione diHaeckel rispetto all’etichetta di non-scienza, salvaguar-dando quegli elementi -le nozioni di eterotopia e dieterocronia, ad esempio- che oggi sembrano esplicativirispetto agli studi sui processi di embriogenesi e diformazione delle variazioni individuali. Criticare Haec-kel per quanto c’è di ideologico nei suoi scritti è tropposemplice; apprezzarne invece la messa a punto di certiconcetti è cosa più proficua, ed è un’operazione indi-spensabile per chi guarda alle scienze con un approcciofilosofico. Si tratta, dunque, di preservare tali concettidall’invalidazione che subirebbero se si guardasse allariflessione del loro autore come fosse un blocco mono-litico. Se è vero che attualmente l’idea di ricapitolazioneè inadeguata rispetto alla comprensione dei processidello sviluppo, ciò non implica necessariamente il rigettodel sistema haeckeliano nella sua interezza. Sull’appella-tivo di naïf con cui parlo in modo generale dei biologi,vorrei precisare più in particolare quale sia l’atteggiamen-to intellettuale cui mi riferisco -nel volume Alle origini dellespecie: embrioni (e uova), il bersaglio teorico è invece espli-cito. Nel brillante Forme del divenire parlando del rapportoin cui si trovano la biologia evolutiva e quella dellosviluppo in seno alla teoria Evo-Devo, lo zoologoAlessandro Minelli fa uso di concetti assolutamenteidentici a quelli di eterotopia e di eterocronia, pur senzaservirsi di questi termini. Si tratta, mi pare, di una praticascientifica ingenua rispetto alla storia delle discipline inquestione. Vero è che generalizzare ed estendere unappellativo riferito ad un singolo caso su un raggio piùampio comporta il rischio di imprecisione; per questo hovoluto esplicitare anche in questa sede il mio riferimento.Tuttavia, intendo chiarire l’uso che faccio del terminenaïf e di quella che chiamo ingenuità. Non si tratta di unacritica negativa: non è certo questo che possa stroncareun lavoro magistrale come quello di Minelli, peraltrofondamentale in Italia sul tema dell’approccio Evo-Devo. Semplicemente, ho voluto e voglio puntare l’at-tenzione sull’atteggiamento, piuttosto diffuso, di chi sioccupa delle scienze senza praticare preliminarmenteuna riflessione storica e filosofica. Questo non accadesempre, né quando accade è grave. A tale ingenuità, deltutto naturale, rimediano gli storici e i filosofi, che nonsi pongono in polemica con gli scienziati, ma in una benpiù proficua posizione ausiliaria.Ringrazio Langeneck per aver sollecitato questa rifles-sione.

dell’evoluzione cui chiaramente era legato l’aspettarsil’esistenza di Bathybius. Di opinione radicalmente contra-ria è stato Stephen Jay Gould, che chiosa un breve saggiorelativo alla storia di Bathybius con questa frase di Vilfre-do Pareto: “Datemi sempre un errore fruttuoso, pieno dipromesse, ricco delle sue stesse correzioni. Potete tenereper voi la vostra sterile verità”.

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Uno storno per amicoSTEFANIA BRACCI

Già in retehttp://www.naturalmentescienza.it/sections/?s=191

Sul filo dello zeroIl polpettoUno storno per amicoThais haemastomaCamminare per forzaPiù che affamata, ghiottaUna BeroePaguriArgento vivo

con frutta secca. Lo storno perdeva il pelo e cominciavaa mettere le prime piume, a tentare goffamente di usciredalla scatola, a nutrirsi in posizione eretta, salendo suldito. Integrammo pastoncino energetico e frutta seccacon insetti appena cacciati, vermi, carne cruda, tuttonelle giuste proporzioni per evitare danni a breve,medio e lungo termine a reni, fegato e cuore, secondoi protocolli di ogni corretto svezzamento, qualunquesia il genere al quale faccia riferimento.Lo storno cambiava le piume; metteva le maestre;volava in 1, poi in 2, poi in 3 stanze, poi in tutta la casae in tutto lo studio. Anche gli atterraggi, come i decollie le virate, erano sempre più sicuri e meno incidentati.

...continua...

Il titolare del “Caccia e pesca” cui stavo telefonandoper sapere se aveva i bigattini mi stava dicendo: “se hatrovato uno storno non pensi di addomesticarlo… nonè come un merlo, gli storni sono animali selvatici”.È da questa frase che voglio iniziare per raccontare lastraordinaria occasione di conoscenza che io e Marco,mio marito, abbiamo avuto 2 anni fa.Non sono una studiosa della natura, ma forse proprioperché i mio lavoro è antropocentrico, amo molto ciòche non è “umano”, mi fa stare bene, e provo aricambiare mantenendo inalterato da 58 anni un pro-fondo senso di gratitudine e di rispetto.Non sarà un racconto scientificamente corretto maspero di passarvi un’emozione e di poter condividerequalche riflessione.Marco arrivò in studio con una scatola in cui avevamesso il piccolo, caduto dal tetto della nostra casa. Loaveva trovato al bordo della siepe, che guardava versol’alto, strillando come un pazzo… strillava così forteche il gatto dei vicini, a meno di un metro di distanza,lo guardava tra l’imbambolato e l’interdetto... Avevaprovato a rimetterlo sul tetto per vedere se qualcunoveniva a riprenderselo, poi aveva desistito e lo avevaportato in studio. Promesso a Marco, e soprattutto a me stessa, chemettevo in conto che potesse non farcela, ci siamorecati all’“agraria” più vicina per acquistare il mangimeadatto. Il negoziante ci ha detto che si trattava di unostorno e ci ha riforniti di una farina per insettivori.Ben presto abbiamo scoperto di essere i genitori surro-gati di un unico ed insaziabile tubo digerente. Inquell’esserino decisamente brutto la presenza di zam-pe, bozze d’ali e di coda al momento non sembravaavere altra funzione se non quella di nascondere questaverità. Non credo che gli uccelli diurni nutrano le loronidiate dopo l’ora del tramonto, ma al momento questoprimo indizio di “contaminazione” era l’ultima dellenostre preoccupazioni, presi come eravamo a cercaredi capire quando e quanto cibo dargli.Fortunatamente Marco equilibrava le mie ansie nutri-zioniste: adottando la regola del poco e spesso, deldopo tramonto solo se la richiesta perdurava anche adoscuramento completo della scatola, siamo riusciti atrovare la quantità giusta per farlo sopravvivere.I giorni passavano e giorno dopo giorno quell’accroc-chio sproporzionato e spennacchiato cominciava aprendere forma e a dare il giusto merito alle altre partidel corpo.Passammo dalla farina primi giorni al pastoncino unpo’ più energetico, che integravamo scrupolosamente

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Ricordando Paolo RossiIl 14 gennaio u.s. è morto lo storico e filosofo della scienza Paolo Rossi. Si tratta di una grave perdita per la culturaitaliana. I Suoi libri e le innumerevoli pubblicazioni sono stati e continuano ad essere fonte di insegnamentipreziosi, anche per quanti si occupano di scienze sperimentali. Agli allievi e ai numerosi lettori Paolo Roassi hafatto comprendere come lo sviluppo della scienza sia stato un cammino tortuoso, con ostacoli e ripensamenti.Chi lo ha conosciuto ricorda e rimpiange il Maestro gentile e disponibile; argutamente critico verso qualunqueeccesso e qualunque moda, rimase sempre equidistante dalle visioni apocalittiche del mondo e dagli scientisticonvinti de le magnifiche sorti e progressive. A questa rivista Paolo Rossi accettò gentilmente di rilasciare una intervistanel numero di settembre del 2005. Ci piace ora ricordarLo con una sua pagina da Il passato, la memoria, l’oblio IlMulino, Bologna, 2000 pp. 176-178.

La Redazione

La teoria dell’evoluzione, com’è noto, spiega sia lacomparsa di specie nuove, sia l’estinzione di innume-revoli specie. Che le specie estinte siano enormemen-te più numerose delle specie viventi è stata, primadell’età di Darwin, e ancora per molti anni dopoDarwin, un’idea non facile da accettare. Anche quel-l’idea contribuiva a mettere in crisi finalismo e prov-videnzialismo, a togliere l’illusione della presenza diun significato nella storia, a cancellare l’immagine delmondo come manifestazione di una divina saggezza.Forse è non del tutto facile da accettare anche l’ideache le cose giustamente dimenticate e cancellate daimanuali sono altrettanto e forse più numerose dellecose che gli scienziati credono e ricordano e trasmet-tono come vere.Una delle ragioni per le quali le cosiddette ricostruzionirazionali sono diventate molto più difficili dipende dalfatto che si è rinunciato ad una storia nella quale nonsi parlava né degli errori, né degli oggetti e delleasserzioni scartate e consegnate alla dimenticanza.Sui primi si stendeva un velo pietoso; dei secondi siparlava come di superstizioni, come se non si fossetrattato di oggetti un tempo considerati reali e diasserzioni un tempo valutate come pienamente atten-dibili. La discussione sul moto browniano, condotta daRobert Brown nel 1828, richiese circa un secolo peressere identificata con un problema reale. Fra il 1840e il 1850 il problema fu, di volta in volta, consideratodi pertinenza della biologia (le particelle brownianeidentificate con animaletti), della chimica, dell’otticadella polarizzazione. Apparve un problema di con-duttività elettrica, un effetto meccanico insignifican-te, un non-problema.Se si rinuncia a identificare la riflessione sulla scienzacon la contemplazione di edifici già costruiti e giàsottoposti a collaudo, se si sposta l’attenzione suimodi e sui tempi della costruzione, allora appaionofacilmente, in quegli stessi edifici, crepe occultate orese invisibili dai successivi restauri, appaiono i segnidella lentezza e della fatica della costruzione, traccedelle incertezze, dei percorsi tortuosi e non lineari chefurono seguiti.”

“Va detto che progresso è termine ambiguo, sovracca-rico di ideologia, capace di suscitare forti reazioniemotive. La discussione sul progresso e sui modi dellacrescita del sapere si è infatti fortemente intrecciata,fino a saldarsi, con tematiche che hanno a che fare conla morale e la politica, con il mondo dei valori. Non ècerto mancato, nel discorso relativo alla scienza, ilricorso alle immagini più tradizionali del progressocome accumulazione, addirittura come festosa marcia inavanti del genere umano, come garanzia, della conqui-sta di una profondità sempre maggiore e di un sempremaggiore disvelamento delle verità della natura. Tutta-via si è fatta strada, in anni più recenti, un’immaginemeno mitica o meno confortante del progresso scienti-fico. Per parlare della crescita della scienza si è fattoriferimento non all’immagine (presente anche in Pop-per) della grande cattedrale in costruzione (alla qualeogni esperimento ed ogni teoria aggiungono un nuo-vo mattone) ma alla metafora dell’organismo. Il corpusdella conoscenza scientifica, lo stato della conoscenzaraggiunto all’interno di una disciplina, non crescecumulativamente, ma organicamente: certe parti vengo-no conservate -alcune in una versione solitamente riveduta-mentre altre sono sostituite da parti nuove. Le metafore nonsono indifferenti. Toccano il nucleo centrale deiproblemi. Far ricorso ad un modello evolutivo implicasenza alcun dubbio il riconoscimento di incrementinella articolazione e nella specializzazione, ma impli-ca anche la rinuncia ad una verità scientifica stabilita unavolta per tutte, della quale ciascuno stadio di sviluppo dellaconoscenza scientifica costituisca una copia migliore rispettoalla precedente. Per parlare di progresso non è affattonecessario concepire il processo come diretto verso unoscopo. Il progresso è progresso da e non progressoverso. Non è necessario pensare il progresso in modoideologico come approssimazione a quella verità chesarebbe la sola vera costituzione della natura. Da questopunto di vista il progresso non si configura né comelineare né come diretto ad un fine. La vera costituzione dellanatura è solo una metafora. La scienza avanza a partireda stadi iniziali, ma non si muove (così come avvienenel processo evolutivo) in direzione di uno scopo.

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