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TIPOLOGIA B

Italian Exam Giolitti

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Tipologia B di esame, saggio breve di ambito storico, metodi di governo e scelte politiche di Giovanni Giolitti

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TIPOLOGIA B

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AMBITO STORICO – POLITICO

A cura di Giorgio BRANDONE

ARGOMENTO: Giovanni Giolitti: metodi di governo e programmi politici.

DOCUMENTI

"La via della reazione sarebbe fatale alle nostre istituzioni, appunto perché le porrebbe al servizio degli interessi di una esigua minoranza, e spingerebbe contro di esse le forze più vive e irresistibili della società moderna, cioè l'interesse delle classi più numerose e il sentimento degli uomini più colti. Esclusa la convenienza, anzi la possibilità, di un programma reazionario, resta come unica via, per scongiurare i pericoli della situazione attuale, il programma liberale, che si propone di togliere, per quanto è possibile, le cause del malcontento, con un profondo e radicale mutamento di indirizzo tanto nei metodi di governo, quanto nella legislazione. I metodi di governo hanno capitale importanza, perché a poco giovano le ottime leggi se sono male applicate.[...] Nel campo politico poi vi è un punto essenziale, e di vera attualità, nel quale i metodi di governo hanno urgente bisogno di essere mutati. Da noi si confonde la forza del governo con la violenza, e si considera governo forte quello che al primo stormire di fronda proclama lo stato d'assedio, sospende la giustizia ordinaria, istituisce tribunali militari e calpesta tutte le franchigie costituzionali. Questa invece non è la forza, ma è debolezza della peggiore specie, debolezza giunta a tal punto da far perdere la visione esatta delle cose." G. GIOLITTI, Discorso agli elettori del collegio di Dronero, Busca, 20 ottobre 1899 (in Giolitti, "Discorsi extraparlamentari", Torino, 1952).

"[La] importante e svariata opera legislativa, amministrativa e associativa [di Giolitti] era resa possibile dalla fioritura economica che si osservava dappertutto nel paese, e che, quantunque rispondesse a un periodo di generale prosperità dell'economia mondiale e fosse aiutata dall'afflusso degli esuberanti capitali stranieri in Italia, aveva, dentro questo quadro, un particolare rilievo, perché, come i tecnici notavano, nessun altro paese di Europa compiva, in quel tempo, progressi tanto rapidi ed estesi quanto l'Italia." B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari, 1939.

"La tattica dell'onorevole Giolitti è stata sempre quella di far la politica conservatrice per mezzo dei condottieri dei partiti democratici: sia lusingandoli e addomesticandoli per via di attenzioni individuali (siamo arrivati già alle nomine senatoriali) sia, quando si tratti di uomini personalmente disinteressati, come Turati e Bissolati, conquistandoli con riforme le quali non intacchino seriamente gli interessi economici e politici dei gruppi dominanti nel governo. [...] Giolitti migliorò o peggiorò i costumi elettorali in Italia? La risposta non è dubbia per chi voglia giudicare senza le traveggole dell'amicizia. Li trovò e li lasciò nell'Italia settentrionale quali si andavano via via migliorando. Li trovò cattivi e li lasciò peggiori, nell'Italia meridionale." G. SALVEMINI, Il ministro della malavita e altri scritti sull'Italia giolittiana, Feltrinelli, Milano, 1962.

"Giolitti affermò che le questioni sociali erano ora più importanti di quelle politiche e che sarebbero state esse in avvenire a differenziare i vari gruppi politici gli uni dagli altri. [...] Egli avanzò pure la teoria del tutto nuova che i sindacati dovevano essere benvenuti come una valvola di sicurezza

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contro le agitazioni sociali, in quanto le forze organizzate erano meno pericolose di quelle disorganizzate." D. Mack SMITH, Storia d'Italia dal 1861 al 1958, Laterza, Bari, 1959.

"La politica giolittiana, soprattutto dal 1900 in poi, appare tutta costruita sulla richiesta della collaborazione governativa con il partito della classe operaia e con i suoi uomini più rappresentativi. [...] Assurdo pretendere che Giovanni Giolitti, uomo politico uscito dalla vecchia classe dirigente borghese e conservatrice, fosse l'araldo del rinnovamento della società italiana; non si può però negare che tra gli uomini politici della sua epoca egli appaia oggi quello che più degli altri aveva compreso qual era la direzione in cui la società italiana avrebbe dovuto muoversi per uscire dai contrasti del suo tempo." P. TOGLIATTI, Momenti della storia d'Italia, Editori Riuniti, Roma, 1963.

"Da buon politico, egli [Giolitti] aveva avvertito che i tempi erano ormai maturi perché si addivenisse a una convivenza nella tolleranza con la Chiesa di Roma, aveva compreso che l'anticlericalismo era ormai una inutile frangia che si portavano i governi [...] Quando egli passò a realizzare la politica delle "due parallele" [Stato e Chiesa autonomi nei loro ambiti] nello stesso tempo denunciò, di fatto, la fine di un certo tipo di anticlericalismo, provocò lo svuotamento di tutte le illusioni che la monarchia a Roma avrebbe ucciso il papato, che il liberalismo avrebbe dovuto disintegrare il cattolicesimo". G. DE ROSA, La crisi dello stato liberale in Italia, Studium, Roma, 1955.

Giolitti: opportunismo liberale o interesse del Paese?(saggio breve per una rivista culturale)

E’ interpretazione storica ormai consolidata l’idea che la dottrina di Giolitti abbia condizionato la vita politica italiana lungo il ventennio che fece da cerniera fra il XIX e il XX secolo, esercitando la propria influenza fino al primo dopoguerra e all’avvento del regime fascista, sebbene lo statista abbia ricoperto solo ad intervalli la carica di Primo Ministro. Il pensiero e l’operato politico di Giolitti suscitarono discussioni già presso i contemporanei e ancora adesso si prestano ad interpretazioni controverse. La sua politica, infatti, presenta caratteri di complessità e sottile ambiguità che ne rendono difficile una valutazione oggettiva. Si potrebbe ricondurre gran parte della discussione sullo statista Giolitti ad una questione fondamentale: si tratta di indagare e stabilire quale peso politico abbiano esercitato gli interessi e le ragioni di opportunità della vecchia borghesia terriera e della nuova classe industriale – da cui Giolitti proveniva per estrazione sociale ed eredità culturale - e quanto si sia dimostrata efficace, nell’interesse del progresso italiano, la gestione giolittiana della questione sociale e la sua apertura nei confronti dei “partiti di massa”.Indubbiamente proprio nell’età giolittiana, con considerevole ritardo rispetto al resto d’Europa, si verificò quel decollo dell’economia nazionale che aveva caratterizzato la II rivoluzione industriale negli anni ‘70 dell’Ottocento in altri paesi occidentali e negli Stati Uniti. Forse, come afferma Benedetto Croce, questa prosperità rendeva possibili le riforme e la condotta di Giolitti; più probabilmente si può sostenere che i provvedimenti di quest’ultimo, incoraggiando senza riserve lo sviluppo industriale nel Nord Italia, favorirono la grande ripresa economica che succedette alla lunga crisi post-unitaria. Il protezionismo con cui Giolitti permise questa ripresa, che interessò anche il contesto agricolo, è un’evidente testimonianza della sua abilità nella gestione delle questioni vitali riguardanti l’economia nazionale. Nondimeno, se si presta attenzione alla denuncia di Salvemini, socialista che avversò violentemente Giolitti a proposito della questione meridionale, ci si rende conto del fatto che il divario fra le due metà del Paese, in quest’epoca di prosperità, si era allargato; sappiamo che il ministero Giolitti prese provvedimenti per aiutare lo sviluppo del mezzogiorno, ma essi furono insufficienti o inadeguati; Salvemini, poi, accenna ai “costumi

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elettorali” e non si può nascondere che Giolitti, per assicurarsi l’appoggio dei proprietari terrieri meridionali, si adeguò al clientelismo che già aveva caratterizzato il trasformismo di Depretis. Giolitti, quindi, nell’interesse nazionale di garantire la crescita economica del Nord, giudicava indispensabile ottenere la collaborazione di tutte le forze liberali italiane, anche adeguandosi alle corrotte consuetudini locali.Con altrettanta disinvoltura egli si comportò nelle relazioni con i nascenti partiti di massa (PSI e poi Cattolici) e con i Sindacati che, come egli affermava, rappresentavano “l’interesse delle classi più numerose”. Egli era conscio, alla luce dell’esperienza crispina, che la “via della reazione” contro le agitazioni sociali non risolveva, ma esasperava ulteriormente l’instabilità governativa e costituzionale del Paese, con disastrose conseguenze sull’economia nazionale. La politica della conciliazione con le forze sociali si rivelò efficace, per esempio, in occasione delle agitazioni dei Fasci Siciliani, all’epoca del primo ministero Giolitti, nell’intervallo tra due governi di Crispi; lo statista si dimostrò favorevole alla concertazione con i Sindacati perché, come osserva Mack Smith, il conflitto sociale veniva così istituzionalizzato e reso controllabile politicamente: egli cercò di avvalersi di questo metodo anche negli anni del “Biennio Rosso”, in cui però esso risultò anacronistico. Oltre che con la CGL, Giolitti collaborò a lungo con l’ala riformista del Partito Socialista – guidata da Turati e Treves – nonostante l’ostacolo della fazione massimalista. Nell’ottica consueta della conciliazione delle forze politiche italiane, egli promosse e approvò varie riforme sociali, come quelle sul lavoro femminile e infantile e quelle assistenziali, fino alla concessione, nel 1912, del suffragio universale maschile. Negli anni prossimi alla crisi di governo del 1913, però, emerse ancora una volta l’opportunismo dello statista che aspirava, attraverso il compromesso, al controllo politico delle opposizioni da parte dell’oligarchia liberale, nell’intento di limitarne il potere parlamentare: giova ricordare che la Campagna di Libia (1911-12) fu intrapresa soprattutto con l’intenzione di placare le spinte dell’opposizione nazionalista, così come il Patto Gentiloni fu stipulato con l’intenzione di allargare la maggioranza di governo. L’alleanza con i cattolici, come sostiene De Rosa, pose termine al pregiudizio anticlericale dei governi liberali e aprì la strada alla “convivenza nella tolleranza” con la Chiesa, ma si trattò soprattutto di una mossa politica per esercitare il controllo sulle nuove forze parlamentari cattoliche (che, in seguito all’esperienza dell’Opera dei Congressi e alle Leghe Bianche di Romolo Murri, avevano rinunciato all’astensionismo parlamentare), nonché per opporre resistenza al successo elettorale dei socialisti.Con le dimissioni governative del 1913, emergono i limiti strutturali del progetto di Giolitti. Certo, come Togliatti ricorda, quest’uomo politico, diversamente dagli altri membri della classe liberale dell’epoca, non mancò della capacità di comprendere, attentamente e in profondità, la realtà economica, sociale e politica del suo tempo. Inizialmente, la condotta governativa adottata – che egli chiamava “liberale” – si adeguò alle contraddizioni di questa realtà in mutamento e ne aiutò un progresso positivo, seppur squilibrato, ma, con il passare degli anni (si consideri la politica dei “blocchi nazionali” che, alla vigilia del fascismo, rendevano costituzionale il Partito Fascista), Giolitti dimostrò di desiderare, ad ogni costo, la supremazia della classe liberale e adattarne gli interessi a una situazione storica che rendeva una simile proposta anacronistica e fallimentare: essa intendeva infatti rinviare nel tempo la risoluzione concreta delle questioni interne e, ai fini di una politica conservatrice, sopiva i contrasti con compromessi momentanei.

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AMBITO SOCIO-ECONOMICO

A cura di Ileana ZEPPETELLA

Argomento: Il problema della liberazione della donna

Documento n. 1 La donna è pur sempre la sacerdotessa del focolare e questo è la sua fortezza, il suo incontrastato reame. Dalla mattina alla sera essa si occupa senza posa dell’ordine della sua casa, e presta a suo marito l’aiuto più fedele andando e venendo intorno a lui, mentre egli lavora, e accomodando ogni cosa perché egli sia felice e contento. Grazie a lei, egli può lavorare senza essere scomodato dalle cure interne della famiglia, che potrebbero distogliere il suo pensiero da scopi più elevati e da ambizioni più nobili.(dal periodico “La donna”, anno I, n. 23, dicembre 1905, p. 25)

Documento n. 2

Si è spesso notato che a partire dalla pubertà, la fanciulla perde terreno nel campo intellettuale e artistico. Ci sono molte ragioni per cui questo accade. Una delle più diffuse è che l’adolescente non trova intorno sé gli incoraggiamenti che vanno ai suoi fratelli; al contrario si vuole che lei sia anche una donna ed è quindi costretta a unire il peso del lavoro professionale a quello che implica la sua professionalità. [...] I lavori di casa o le fatiche mondane che la madre non esita a imporre alla studentessa, all’apprendista, finiscono per stancarla troppo. [...] La madre ... è sordamente ostile alla libertà della figlia e, più o meno palesemente, fa di tutto per tormentarla, mentre si rispetta lo sforzo che fa l’adolescente per diventare uomo e già gli viene concessa una grande libertà. [...] I costumi rendono difficile l’indipendenza femminile. Quando passeggiano sono guardate, avvicinate. Conosco ragazze che, pur non essendo timide, non provano nessun piacere a passeggiare sole per Parigi perché sono continuamente importunate e devono restare sempre sul chi vive: ciò finisce per guastare ogni piacere. Le studentesse che vanno allegramente per le strade come gli studenti danno spettacolo..... La noncuranza diventa subito mancanza di contegno; il controllo cui la donna è obbligata e che diventa una seconda natura nella ”fanciulla bene educata” rovina la spontaneità; l’esuberanza vitale ne risente. Da ciò risulta tensione e noia. E la noia è comunicativa; le ragazze si stancano presto le une delle altre; non si attaccano reciprocamente alla loro prigione: questa è una delle ragioni che rende tanto necessaria la compagnia dei maschi. L'incapacità di bastare a se stesse genera una timidezza che si estende a tutta la loro vita e si riflette anche nel lavoro. Pensano che i successi clamorosi siano riservati ai maschi; non osano mirare troppo in alto.[...] la ragione profonda di tale disfattismo è che l’adolescente [donna] non si considera responsabile del proprio avvenire; giudica inutile pretendere troppo da se stessa perché in definitiva non toccherà a lei decidere il proprio destini. Diremo dunque che la donna non si dedica all’uomo perché si sente inferiore a lui, ma essendogli dedicata, nell’accettare l’idea della propria inferiorità, la costituisce.(Simone De Beauvoir Il secondo sesso, Firenze, Il Saggiatore 1961 (I edizione francese 1949), II L’esperienza vissuta, pp. 79-81).

Documento n. 3

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scalee ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

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Il mio dura tuttora, né più mi occorronole coincidenze, le prenotazioni,le trappole, gli scorni di chi credeche la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccionon già perché con quattr’occhi forse si vede di più.Con te le ho scese perché sapevo che di noi duele sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue.(Eugenio Montale, Satura 1962 - 1970, in L’opera in versi, Torino, Einaudi, 1980, p. 301 (prima edizione di Satura 1971).[n.d.r.] Il poeta si rivolge alla moglie, ormai morta. Doveva guidarla nello scendere le scale perché era affetta da una grave miopia.

Documento n. 4

Torino, gennaioSiamo con Cristina Siletto ... alla Fiat, nell’ufficio dove, da un anno, questo ingegnere vivace come uno scricciolo e tenace come l’acciaio coordina il gruppo di lavoro che sta mettendo a punto Progetto 1999, l’auto, cioè, che sarà lanciata nel 2005 e che dovrebbe essere l’erede della Punto, uno dei prodotti incaricati di risollevare le sorti dell’azienda torinese. L’incarico le ha fatto guadagnare il riconoscimento di Donna dell’auto del 2002, assegnatole dal mensile Automobile News Europe, la Bibbia delle quattro ruote stampata a Londra.[...] Questa donna di 37 anni ... sembra avere le carte in regola per essere definita “la donna che salverà la Fiat”. Scarpa appuntita e con il tacco a spillo, sguardo verde sotto il caschetto liscio dai bagliori rubino, la “donna che salverà la Fiat” è torinese al cento per cento (“La mia famiglia lo è da tre generazioni”), single (“Vivo con una gatta!), e nel tempo libero di dedica allo sport, soprattutto montagna e vela, alla cucina per gli amici e ai viaggi. [...] “Da quando ho la responsabilità del Progetto 1999, sento di essermi trasformata in un mediatore”, spiega, “una specie di direttore d’orchestra che passa le giornate ad ascoltare gli altri, sforzandosi di tenere insieme il lavoro e l’impegno di tanti e puntando, sopra ogni cosa, ad armonizzarne i risultati”. Il gruppo dei suoi più stretti collaboratori è fatto da almeno trenta persone, che sono, non dimentichiamolo, quasi tutti uomini. Nel team [squadra] allargato, poi, c’è almeno un altro centinaio di persone. Ma non si tratta solo di lavorare prevalentemente con uomini, in un contesto che, storicamente, è sempre stato considerato roccaforte maschile. Si tratta di essere ‘il’ capo di questo gruppo di tutti questi uomini. [...] Siletto tende a ridimensionare ... quella specie di miracolo che è l’essersi conquistata, lei donna, la fiducia di un team di trenta uomini. “Ho cominciato a vivere da mosca bianca ai tempi del Politecnico, quando il rapporto tra donne e uomini al corso di Ingegneria elettronica era di una a trenta. In FIAT questo era solo il primo di tre aspetti che avrebbe potuto farmi circondare di diffidenza: ero donna; ero un ingegnere elettronico invece che meccanico, a differenza di quasi tutti gli altri; ed ero giovane. Orribilmente giovane.”Carriera, passione, riconoscimenti: per la donna che salverà la Fiat tutto si è intrecciato dentro i cancelli di corso Agnelli [sede della direzione dell’azienda torinese, [37 anni] dove l’ing. Siletto cominciò a lavorare del giorno della laurea, n.d.r.] (A Torino la chiamano Nostra Signora della Fiat, articolo di Rita Cenni, in “Oggi”, settimanale di politica, attualità e cultura, n. 3, 15 gennaio 2003, p. 44)

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IL LAVORO DI PREPARAZIONE

Raccolta delle informazioni(informazioni dedotte da indicazioni del dossier, note editoriali e testo dei vari documenti)

Documento n. 1

Tipo di documento: articolo di un giornale femminile.Fatti e concetti esposti: Nella società italiana del primo Novecento solo i maschi - i mariti - possono avere “scopi elevati e ambizioni nobili”, comunque sempre più elevati e più nobili delle “cure interne della famiglia”, cioè faccende domestiche ed educazione dei figli, lasciate a quella lavoratrice non pagata che è la moglie.

Contestualizzazioni e inferenze: siamo all’inizio del ‘900: è opportuno richiamare dal curricolo i dati più rilevanti sulle condizioni economiche, sociali e politiche di quegli anni.

È chiaro che gli autori si rivolgono ad una fascia di lettrici borghesi: in primo luogo, solo le donne di quella condizione sapevano leggere, ed avevano il tempo per farlo e i soldi per comprare un giornale di ‘intrattenimento’; inoltre “gli scopi più elevati”, e le “ambizioni più nobili” si attribuiscono meglio a professori universitari, medici, deputati, alti burocrati e ufficiali, ecc.(professioni ‘nobili’).

Documento n. 2

Tipo di documento: brano tratto da un saggio di carattere sociologico di considerevole ampiezza, come si deduce dalle note editoriali (titolo, sottotitolo, pagina di riferimento).Fatti e concetti esposti: L’adolescente maschio viene incoraggiato nel suo processo verso la maturità e l’autonomia, mentre l’adolescente femmina viene frenata e boicottata:1. deve aggiungere ai compito del lavoro e\o dello studio quelli derivanti dal suo ruolo di donna in

famiglia (lavori domestici, accudimento dei membri maschi e\0 bambini della famiglia;2. deve subire controlli e limitazioni della sua libertà;3. deve scontrarsi con difficoltà derivanti dalle abitudini sociali nei suoi tentativi di ritagliarsi spazi di

autonomia (come uscire da sola o con altre donne, senza la presenza di maschi).4. un suo contegno spontaneo e un abbandonarsi alla naturale esuberanza dell’età viene colpito da una

critica negativa (“non è una ragazza bene educata”);5. di conseguenza le donna sole, sentendosi esaminate e giudicate nei loro comportamenti, patiscono

una situazione di tensione, provano disagio, non si divertono; 6. è come essere in prigione (= sotto controllo), e alle prigioni non ci si affeziona. Perciò le ragazze

rinunciano ad ogni autonomia e cercano di evitare le compagnie di sole donne: la presenza dei maschi diviene necessaria;

7. si convincono di non sapere essere autonome, accettano la dipendenza sociale; la mancanza di fiducia in se stesse si riflette anche nel lavoro, dove pensano di doversi accontentare di posizioni modeste, in ogni caso di dover lasciare ai maschi i le funzioni di prestigio;

8. la conclusione è la dipendenza sociale dall’uomo: le dinamiche sociali inducono la donna a rinunciare all’autonomia e a dedicarsi all’uomo, di conseguenza la donna si sente, e alla fine ‘è’ inferiore a lui.

Contestualizzazioni e inferenze: il saggio viene pubblicato in Francia alla fine degli anni Quaranta, cioè nell’immediato dopoguerra: ciò spiega la modernità dell’analisi sociale (un grande sconvolgimento di solito favorisce le idee progressiste) e nello stesso tempo il radicamento nell’opinione comune dei pregiudizi rispetto alle donne (la società non ha avuto tempo di mutare il proprio assetto rispetto agli anni procedenti la guerra). L’autrice del testo, la scrittrice francese Simone de Beauvoir (1908-1986), è una presenza molto importante nella cultura francese del Novecento, e in particolare nel movimento per l’emancipazione femminile. Il titolo Il secondo sesso, ha un’evidente intenzione polemica. È probabile che

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nell’enciclopedia dello studente vi sia qualche informazione su Simone De Beauvoir che può essere utile sia per meglio capire il testo, sia per la stesura dell’elaborato.

Documento n. 3

Tipo di documento: Si tratta del testo di una poesia di Montale, il massimo poeta italiano del Novecento e uno dei più grandi della sua epoca. Ma qui si tratta non tanto di gustare la bellezza dei versi, quanto di leggerli come testimonianza di un rapporto di un uomo con la compagna della sua vita.Fatti e concetti esposti: i dati editoriali e la nota redazionale ci informano che l’autore si rivolge alla propria moglie, ormai morta al momento della composizione, la quale, a causa di una forte miopia, doveva essere aiutata nello scendere le scale. Il poeta:1. ricorda la sua abitudine di offrire il proprio braccio alla moglie nello scendere le scale, un gesto,

ripetuto milioni di volte durante la loro vita comune;2. dice il senso di mancanza (il vuoto ad ogni gradino) che prova per la perdita della moglie e la

nostalgia di lei, che si traduce nell’impressione della brevità del loro vivere insieme (viaggio, metafora), nonostante che nelle realtà abbiano convissuto molti anni (viaggio breve\lungo = metafora);

3. medita sulla propria vita che tuttora continua, ma in una dimensione più raccolta: ha rinunciato a molti impegni e contatti col mondo esterno, in cui era assistito dalla moglie per tutte le incombenze pratiche;

4. ritorna sull’immagine iniziale di se stesso che aiuta la moglie nello scendere le scale, e ne rovescia il significato: solo nella banalità delle apparenze era lui a indirizzare il passo della moglie, ma in verità, nel profondo della vita interiore, era la moglie la vera guida di entrambi.

Contestualizzazioni e inferenze: la poesia - dicono le note editoriali - è composta tra il ’62 e il ’70: si colloca nell’ultima fase della produzione poetica di Montale. Dunque dice pensieri e sensazioni del poeta ormai vecchio. Notizie sull’ultima stagione poetica di Montale presenti nell’enciclopedia personale potranno essere utili

Documento n. 3

Tipo di documento: articolo su di un settimanale di attualità politico-culturale di livello medio.Fatti e concetti esposti:1. un ingegnere-donna di 37 anni (dunque ancora piuttosto giovane) ha ricevuto - per avere raggiunto

una posizione lavorativa di eccezionale prestigio e responsabilità per una donna - un importante riconoscimento internazionale;

2. questo ingegnere-donna è a capo di una équipe di lavoro della Fiat, la più importante industria metalmeccanica italiana; tale équipe è impegnata nella progettazione di una nuova vettura, con caratteristiche fortemente innovative (lancio nel 2005);

3. il progetto è particolarmente importante, perché al successo della nuova vettura è affidata la possibilità di un rilancio per la Fiat, attualmente in crisi;

4. l’ingegnere-donna non ha rinunciato alla femminilità dell’abbigliamento e nell’acconciatura, non si è formata una famiglia, ma sa concedersi degli svaghi.

5. l’eccezionalità della situazione non deriva solo dal prestigio della posizione lavorativa: è enfatizzata del fatto che l’ingegnere-donna guida un gruppo ristretto di 30 ingegneri ( o comunque di persone altamente specializzate) tutti, o quasi, uomini, e un gruppo più allargato di almeno 100 lavoratori tecnici;

6. intervenendo in prima persona, l’ingegnere-donna sottolinea come si sia spesso trovata nelle vita in condizioni di oggettiva difficoltà: prima di tutto all’Università, nella facoltà di ingegneria, dove le donne erano un’eccezione (1 donna su 30 uomini), e poi in Fiat: era una donna in una roccaforte maschile, era un ingegnere elettronico, mentre in un’azienda metalmeccanica. la specializzazione più richiesta è ovviamente quella meccanica, e infine era molto giovane, tra gente molto più esperta.

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Contestualizzazioni e inferenze: L’articolo è datato ‘gennaio 2003 e riferisce fatti di stretta attualità. Sullo sfondo vi è la crisi della Fiat, crisi finanziaria ma anche di capacità progettuale, il dramma dei tanti lavoratori in pericolo di perdere il posto, la precaria condizione di altre piccole aziende che lavoravano esclusivamente per la Fiat, ora a rischio di chiusura. Vi è anche vi è il problema delle ‘pari condizioni’ per uomini e donne: proprio il successo dell’ingegnere-donna premiata illumina per contrasto le molte difficoltà che ancora incontrano le donne anche nel mondo moderno.

Focalizzazione del problema, assunzione del punto di vista, elaborazione della tesi.

Focalizzazione del problema

Gli aspetti da tenere presente sono almeno tre: 1. la posizione attuale della donna: anche la legge riconosce assoluta parità nei diritti e nelle

opportunità di affermazione sociale e personale a uomini e donna; ciò comporta il rifiuto di ruoli sociali determinati dall’appartenenza all’uno o all’altro sesso;

2. le tappe del processo storico che hanno portato da un’ideologia sul ruolo della donna quale quella descritta nel documento n.1 alla attuale, descritta al punto precedente;

3. i residui di una mentalità arretrata anche nella società di oggi.

Assunzione del punto di vista

L’autore dell’elaborato assume il punto di vista dell’osservatore di un problema sociale - la posizione della donna nella società di oggi -, ma non è neutrale: è apertamente favorevole ad una completa e incondizionata parità uomo- donna in ogni aspetto della vita.

Tesi

Anche se ci appare superata - e quasi grottesca, almeno in quella forma - la mentalità espressa nel documento n. 1, non dobbiamo pensare che le lotte del Novecento (esemplare quella condotta con grande profondità ed acume d’analisi da Simone De Beauvoir) abbiano risolto completamente il problema, garantendo alla donna una totale parità nel lavoro e nella famiglia. Bisogna ancora cancellare consistenti residui, nelle idee e nei comportamenti, dei vecchi pregiudizi.

IL SAGGIO BREVE

Destinazione editoriale e strategie retoriche

Ricerca scolastica individuale sul processo storico che ha portato, nel corso del secolo appena finito, alla emancipazione-liberazione della donna; la ricerca è stata svolta attraverso il reperimento di materiali documentari presso la locale biblioteca civica e con qualche suggerimento da parte dell’insegnante. I risultati sono raccolti in un saggio breve che, previa approvazione dell’insegnante, viene proposto allo studio della classe come prima informazione sull’argomento; il linguaggio della trattazione segue un modello di buona lingua scritta di livello formale (come richiesto dal genere saggio), ma lontana dal registro specialistico.

Linea argomentativa e scaletta Esame dell’argomento in prospettiva diacronica, dal primo Novecento ad oggi.Scaletta:1. Breve cenno sull’inizio delle rivendicazioni femministe;

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2. la donna d’inizio secolo come appare dai giornali femminili: angelo del focolare, supporto pratico e affettivo alla carriera del marito;

3. la questione femminile nel secondo dopoguerra e le idee di Simone De Beauvoir: il ‘doppio lavoro’ delle ragazze, la loro scarsa libertà, la difficoltà di ogni loro autonomia, il controllo sociale sui loro comportamenti, ecc.;

4. accenno alle lotte dei gruppi femministi degli anni dopo il ’68;5. la situazione attuale e il caso dell’ingegnere - donna, manager e progettista:

viene messo in evidenza del cambiamento; viene sottolineato come il caso dell’ingegnere - donna sia eccezionale, poiché la presenza delle

donne in certi settori produttivi e nei luoghi del potere è fortemente minoritaria; si accenna alla sopravvivenza di pregiudizi sui ‘ruoli sessuali’;

6. conclusione: parità e complicità nello scambio affettivo e citazione di Montale.

Ideazione del titolo e stesura del saggio breve

Titolo (anticipa il contenuto senza alludere a nessuno dei punti specificamente trattati; è però precisato (‘arco di un secolo’) il limite temporale dell’esame, che avrà andamento diacronico. Inoltre, con un semplice aggettivo (‘faticoso’), l’autore lascia capire di essere favorevole alle conquiste delle donne.

Il faticoso cammino delle donne nell’arco di un secolo

All’inizio del Novecento l’interesse per la questione femminile è per lo più confinata in ristrette élites intellettuali; solo nei paesi più avanzati nel processo di industrializzazione, in particolare in ambito anglosassone, cominciano a nascere le prime organizzazioni per rivendicare i diritti delle donne, che si esprimono attraverso i loro fogli ‘di lotta’, indirizzati principalmente, ma non esclusivamente, alle donne.

All’inizio del Novecento vedono anche la luce i primi ‘giornali femminili’, questi, però, senza alcuna velleità realmente rivendicativa, anche se non privi di una certa apertura verso la ‘modernità’ sul piano del costume e del gusto. Sono periodici rivolti ad un uditorio femminile per sollecitarne una apertura alla partecipazione sociale, ma nei cui confronti svolgono di fatto un compito di organizzazione del consenso. Con parole spesso altisonanti, coniugano un conservatorismo di fondo con qualche concessione alle novità, ma lo scenario che ne deriva è piuttosto meschino: la donna è confinata esclusivamente nel ruolo di moglie e di madre, indispensabile ma subordinato aiuto dei mariti (o, qualche volta, dei padri e dei fratelli), che soli, in quanto maschi, hanno il diritto - dovere di cercare una loro realizzazione nella vita. Nella società del primo Novecento infatti solo i maschi possono avere scopi elevati e nobili propositi nel lavoro e nella vita, per seguire i quali hanno bisogno di essere sollevati da ogni preoccupazione famigliare. In parole chiare, è funzionale alla carriera dei mariti - professori universitari, medici, deputati, alti burocrati, ufficiali, ecc.- che le faccende domestiche e le cure riguardanti l’educazione dei figli siano lasciate a quella lavoratrice non pagata che è la moglie. Esclusivo quadro di riferimento sono, ovviamente le classi benestanti. D’altra parte le donne delle fasce sociali più povere non sapevano leggere ed erano condannate a lavori durissimi (braccianti, operaie dequalificate, serve), spesso angariate anche all’interno della famiglia da mariti, padri, fratelli prepotenti e maneschi.

Nel mondo occidentale lo stato della ‘questione femminile’ comincia a cambiare in modo significativo solo nel secondo dopoguerra, anche se il cambiamento riguarda all’inizio quasi esclusivamente le donna che hanno accesso ad una fascia elevata di istruzione. È la grande scrittrice francese Simone De Beauvoir l’eroina di questo nuovo corso negli anni ’40 e ‘50. Attraverso i libri e gli interventi pubblici dimostra una verità rivoluzionaria: la donna non è (come le società dominate dai maschi le hanno imposto di essere, e come lei stessa ha finito di considerarsi) inferiore all’uomo per condizione naturale. Al contrario, tale inferiorità è creata dai comportamenti sociali.

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Ciò era drammaticamente vero in quegli anni, e continuò ad esserlo per qualche decennio ancora. Alla ragazza era solitamente imposto un doppio ruolo di studentessa, o apprendista (nelle professioni allora tradizionalmente femminili, sarta, modista commessa, operaia tessile, ecc.) e di lavoratrice domestica, in aiuto alla madre e al servizio di padri e fratelli, con evidente danno per la sua formazione. Le cose non andavano meglio fuori casa. La madre spesso giudicava pericolosa per la figlia la libertà di uscire da sola, o con amici liberamente scelti; d’altra parte era frequente che un gruppo di giovani donne fosse seguito da sguardi maschili insistenti, o addirittura da commenti sgradevoli che guastavano il piacere di passeggiare sole. Le donne - specie se giovani - erano e si sentivano esaminate e giudicate nei loro comportamenti: dovevano dimostrare, per venire accettate, di essere ‘ragazze serie’. Di conseguenza erano spinte a rinunciano ad ogni autonomia, ad evitare le compagnie solo femminili e a ritenere preferibile la presenza dei maschi. Ecco creata una dipendenza, destinata a continuare nel ruolo di moglie e di madre nell’età adulta.

Ma le donne prendono gradualmente coscienza della loro millenaria oppressione, e la consapevolezza sempre più diffusa e condivisa diventa rifiuto dello stato di fatto. Alla fine degli anni ’60 il ‘femminismo’ diventa un movimento di massa, anche sfruttando l’impulso delle grandi lotte politiche e sociali che in quel periodo prepotentemente rinnovano il costume e lo stile di vita in Europa e in America. Gruppi di femministe organizzati e attivi promuovono e gestiscono un profondo cambiamento nell’ideologia, nel costume pubblico e privato e perfino nei rapporti all’interno della famiglia.

Oggi sembra raggiunta, almeno nei paesi occidentali, una sostanziale parità uomo\donna. Leggi e istituzioni tutelano queste conquiste, ponendo fine all’assunzione dei ruoli diversificata tra maschi e femmine; da qualche decennio le donne sono entrate prepotentemente nel mondo del lavoro, anche in posti di grande responsabilità. Nella Fiat, la più grande industria metalmeccanica italiana, un ingegnere donna è a capo dell’équipe - composta prevalentemente da ingegneri maschi - impegnata nella progettazione di una nuova vettura, con caratteristiche fortemente innovative, cui è affidata la possibilità di un rilancio per quell’azienda attualmente in crisi. Sembra, ed è, una prova delle conquiste femminili, ma un successo professionale di tale portata è ancora considerato eccezionale per una donna: infatti è notizia recente che un importante giornale economico ha insignito la signora ingegnere della Fiat del riconoscimento di Donna dell’auto 2002: vale a dire che nessun’altra donna in tutto il mondo ha, nel settore automobilistico, una posizione altrettanto importante. Dunque la parità, garantita sul piano giuridico, non è ancora completamente e capillarmente tradotta nella realtà dei fatti. In talune facoltà universitarie, in certi mestieri, in quasi tutte le sedi in cui viene gestito il potere economico e politico le donne sono ancora delle mosche bianche. E non è morto il sospetto che quelle poche mosche bianche abbiano ottenuto la loro posizione sacrificando la loro femminilità. Insomma, la nostra civiltà, anche nelle sue punte avanzate, non ha ancora smesso il vecchio vizio di legare l’appartenenza sessuale ai ruoli sociali. Anche se molta strada è stata fatta, il viaggio verso la parità non è ancora finito. La parità diventa però una verità profondamente vissuta quando l’amore non si nutre di convenzioni stantie, ma del continuo, scambievole aiuto nel difficile viaggio dell’esistenza. È il grande tema dell’ultima stagione poetica di Montale; in particolare, in una lirica famosa, il vecchio poeta ricorda la sua abitudine di offrire alla moglie, affetta da grave miopia, il proprio braccio nello scendere le scale. Con audace inversione delle funzioni conclude così: Ho sceso milioni di scale dandoti il braccionon già perché con quattr’occhi forse si vede di più.Con te le ho scese perché sapevo che di noi duele sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue.

L’ARTICOLO DI GIORNALE

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Destinazione editoriale e strategie retoriche

Articolo su un settimanale femminile rivolto ad un pubblico di cultura media.Di conseguenza il livello del discorso è moderatamente formale, ma lontano da un linguaggio specialistico. Qualche figura retorica può servire a rendere più gradevole la lettura.

Linea argomentativa e scalettaIl discorso muove da una notizia di attualità (cioè la posizione di prestigio di una donna all’interno di un universo produttivo maschile, e il relativo premio attribuito alla donna - manager), per constatare una residua disparità nel mondo del lavoro tra uomini e donne, confrontare la situazione di oggi con quella messa in evidenza e denunciata da Simone De Beauvoir e concludere con l’invito alle donne ad una pacata e consapevole messa in opera delle conquiste fatte.

Scaletta:

1. Eccezionale posizione in carriera dell’ingegner Siletto (salvatrice della Fiat) capo, lei donna, di tanti uomini;

2. Premio conferito all’ingegner Siletto e parallela sottolineatura della sua femminilità; accenno, per contrasto, alla sua posizione di single; commento sulla diversità tra uomini e donne nel mondo del lavoro;

3. richiamo alle condizioni esistenti intorno alla metà del secolo scorso e idee di Simone De Beauvoir:

inferiorità femminile non naturale, ma creata dal costume sociale;

esempi di ‘pressioni’ esercitate sulle donne giovani;

creazione di una dipendenza che sarà prolungata tutta la vita;

4. conclusione: dalla lotta alla pratica consapevole dei diritti acquisiti.

Ideazione del titolo e stesura dell’articolo di giornaleOcchiello(commento al testo): Le donne di oggi: successo nel lavoro e consapevolezza nella vita Titolo: parafrasi (ironica) del titolo di un noto libello di lotta - Che fare?- di Lenin Che cosa resta da fare Oggi, in Italia, c’è un’eroina: è l’ingegner Cristina Siletto, responsabile del Progetto 1999, l’équipe di lavoro della Fiat impegnata nella progettazione di una nuova vettura, con caratteristiche fortemente innovative, che verrà lanciata del 2005. Nelle sue mani stanno le possibilità di salvezza della Fiat, visto che le speranze di ripresa della fabbrica torinese, attualmente travagliata da una gravissima crisi, sono tutte affidate al successo dell’auto in gestazione nel suo gruppo di lavoro. Di cui lei, una donna, è a capo: capo di cento persone, a considerare la squadra allargata, di trenta, a limitarsi agli stretti collaboratori; e tutti ( quasi) uomini. Anche se viviamo nell’epoca delle “pari opportunità” questo è un fatto del tutto eccezionale, tanto che il suo incarico ha fatto guadagnare all’ingegner Siletto il riconoscimento di Donna dell’auto del 2002, assegnatole dal mensile Automobile News Europe, la Bibbia delle quattro ruote stampata a Londra. Così eccezionale che si sente il bisogno di sottolineare che l’ingegner Siletto non ha rinunciato per il successo alla sua femminilità: è giovane, carina, veste con moderna spregiudicatezza e ama gli sport e la cucina. E la famiglia? Certo, è single, ma non si può avere tutto. Solo gli uomini possono avere tutto. Gli uomini manager a capo di importanti settori industriali, con molti dipendenti maschi e femmine, e tuttavia eleganti nel vestire, brillanti negli sport, con moglie (qualche volta più d’una) e figli sono migliaia in tutto il mondo: di solito non guadagnano premi e non sono considerati eroi, ma non devono fare la

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solita, drammatica scelta tra vita privata e carriera. Dunque “pari opportunità” e condizioni di reale uguaglianza tra i sessi sono ancora lontane, nonostante quanto è ormai scritto, nero su bianco, nelle leggi di tutti i paesi avanzati? Difficile rispondere. Di sicuro lo scenario è cambiato rispetto agli anni del dopoguerra, quando la grande Simone De Beauvoir nei libri e nei comizi, e sempre con appassionato fervore, dimostrò, per la prima volta ad un pubblico tanto vasto, una verità rivoluzionaria: la donna non è (come le società dominate dai maschi le hanno imposto di essere, e come lei stessa ha finito di considerarsi) inferiore all’uomo per condizione naturale. Al contrario, tale inferiorità è creata dai comportamenti sociali. La ragazza, gravata abitualmente da un doppio ruolo di studentessa, o apprendista (nelle professioni allora tradizionalmente femminili, sarta, modista commessa, operaia tessile, ecc.) e di lavoratrice domestica, in aiuto alla madre e al servizio di padri e fratelli, veniva boicottata nella sua formazione e umiliata nella sua libertà di agire e di esprimersi. Ostacolate nella voglia di uscire da sole (“di sera poi....”), importunate per strada, quando erano in compagnie solo femminili, dagli sguardi insistenti e dai commenti pesanti degli uomini, controllate nei comportamenti (“attenzione a non dare l’impressione di essere poco serie...”) le ragazze perdevano il gusto dell’autonomia ed erano spinte a ritenere preferibile la presenza dei maschi. Ecco creata una dipendenza, destinata a continuare nel ruolo di moglie e di madre nell’età adulta.

Dopo la grande stagione delle vigorose e vincenti lotte femministe degli anni fine ‘60 e ’70 di questa dipendenza non restano che brandelli, ma sono consistenti e tenaci, e qualche volta, da qualche particolare apparentemente trascurabile, sembra emergere il rischio che riescano a ricucirsi tra loro per formare di nuovo un abito, anche se solo un ridicolo abito da Arlecchino. Perciò sarà meglio che le donne, tutte, lo sappiano e trasformino la loro stagione di lotta in una più pacata, ma altrettanto efficace stagione di concreta e quotidiana pratica delle libertà e dei diritti che si sono conquistate.

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AMBITO STORICO-POLITICO

Procedure analitiche per il lavoro di preparazione e produzione di un saggio breve

di Ileana Zeppetella

ARGOMENTO: Nazionalismo, imperialismo e colonialismo in Europa tra Ottocento e Novecento

[L’argomento e i documenti relativi sono riprodotti dal dossier fornito dal M.P.I. per gli esami di stato, sessione straordinaria del giugno 1999, prima prova scritta - Prova di Italiano - tipologia B- ambito storico - politico ]

DOCUMENTI1 E a te dimani, Umberto re, in cospetto

l’Alpi d’Italia schierano gli armatifigli a la guerra. Il popolo fidentete guarda e loro.

Noi non vogliamo, o re, predar le bellerive straniere e spingere vagantel’aquila nostra a gli ampi voli avvezzama, se la guerra

l’Alpi minacci e su’ due mari tuoni,alto, o fratelli, i cuori! alto le insegnee le memorie! Avanti, avanti, o Italianuova ed antica.(G. CARDUCCI, Bicocca di S. Giacomo, in Rime e Ritmi, 1899)

2 Nel diffondersi della civiltà rappresentata dalla razza bianca una medesima conquista strappò sempre ai popoli selvaggi o esauriti i terreni atti a ricevere il quadro di una più alta vita. Invasioni e colonie furono sino dalla più tarda antichità i mezzi più efficaci d’espansione: nelle prime il progresso avveniva per la sovrapposizione di un popolo ad un altro; nelle seconde per focolari d’irradiazione ideale, che dovevano aiutare la natura dei popoli circostanti a più intellettuale sviluppo. Tutto quindi servì in questa caccia dell’uomo civile all’uomo barbaro, del popolo giovane al popolo decrepito; irresistibili attrazioni dell’ignoto geografico, passioni religiose, curiosità scientifiche, avarizie commerciali, fantasie guerriere.(A. ORIANI, La lotta politica in Italia, 1892)

3 Ma la coscienza morale d’Europa era ammalata da quando, caduta prima l’antica fede religiosa, caduta più tardi quella razionalistica e illuministica, non caduta ma combattuta e contrastata l’ultima e più matura religione, quella storica e liberale, il bismarckismo e l’industrialismo e le loro ripercussioni e antinomie interne, incapaci di comporsi in nuova e rasserenante religione, avevano foggiato un torbido stato d’animo, tra avidità di godimenti, spirito di avventure e conquiste, frenetica smania di potenza, irrequietezza e insieme disaffezione e indifferenza, com’è proprio di chi vive fuori centro, fuori di quel centro che è per l’uomo la coscienza etica e

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religiosa. Anche nella semplice e sennata Italia, aliena da fanatismi di ogni sorta, coteste disposizioni d’animo si erano fatte strada ed erano affiorate nella letteratura del D’Annunzio, che, così nella sua prima maniera, quella di Andrea Sperelli, come nella seconda, quella del Re di Roma e della Gloria, plasmò molte anime giovanili, trovando alla sua virtù materia docile; e ora si diffondevano e rafforzavano col crescere e fiorire, anche qui, della civiltà industriale.(B. CROCE, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, I edizione, Bari, 1928)

1° Il lavoro di preparazione

1.1 Inserimento dell’argomento nel proprio quadro concettuale e conoscitivo

a) Coordinate di carattere temporale :

la formulazione stessa dell’argomento, in cui compaiono le parole - chiave nazionalismo – imperialismo - colonialismo, ci conduce al clima culturale degli ultimi decenni dell’Ottocento (dopo il 1870), in cui questi concetti vennero definiti e presero a caratterizzare il concreto agire politico degli stati europei, almeno di quelli più industrializzati, e degli USA. Siamo nel momento in cui il regime della libera concorrenza entra in crisi, e il capitalismo, dopo il suo primo sviluppo “selvaggio”, comincia a riorganizzarsi su basi più ampie, sempre più strettamente intrecciandosi con le strutture dello Stato nazionale. La provvisoria conclusione di questa fase è segnata dalla prima guerra mondiale (1914-18).

b) Coordinate di carattere spaziale :

l’argomento rimanda esplicitamente all’Europa, ma in questa fase (1870-1914), economia e politica hanno ormai una dimensione planetaria, anche se la prospettiva è fortemente eurocentrica. I paesi europei che hanno raggiunto un notevole sviluppo capitalistico e industriale (tutti nel nord e nell’ovest del continente) si preparano a dominare (o a rinsaldare il proprio dominio su) tutto il resto del mondo sia sotto l’aspetto economico sia sotto quello politico; vengono elaborate giustificazioni ideologiche per tale pretesa. Di quest’area avanzata fanno ormai parte (anzi ne costituiscono una punta particolarmente dinamica) gli USA; anche il Giappone sta subendo un processo di rapida modernizzazione e industrializzazione.

c) Coordinate di carattere concettuale :

dopo il 1870 il rapporto tra produzione e consumo (cioè tra offerta e domanda) tende ad alterarsi nel senso di una sempre maggiore eccedenza della produzione. Il regime di libera concorrenza che caratterizza il capitalismo nella sua prima fase di sviluppo, in assenza di qualunque meccanismo di regolamentazione, porta all’immissione sul mercato di un quantitativo di merci largamente eccedente i bisogni dei consumatori, con un conseguente generale abbassamento dei prezzi. È il fenomeno della caduta tendenziale del tasso di profitto. Una prima difesa con cui il sistema capitalistico cerca di controllare questa crisi consiste nell’alleanza su base nazionale tra le forze dell’economia e quelle della politica. I governi dei paesi capitalisticamente avanzati mettono in atto una politica economica di difesa delle capacità produttive del proprio paese e di tutela dei profitti, innalzando barriere doganali per i prodotti d’importazione. Viene così inaugurata l’era del protezionismo, che si affermerà specie nel decennio 1880-90. La forte crescita industriale in atto in Germania, Francia, Belgio, Usa e (in una fase iniziale) in Giappone, provoca tra questi paesi una competizione che si fa tanto più dura quanto più sensibile è il ristagno dell’economia. L’agricoltura, che risente dell’immissione sul mercato di gradi quantità

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di grano nordamericano e russo, è ugualmente investita dal fenomeno della diminuzione dei prezzi, cui ogni stato risponde, anche per questo settore, con misure protezionistiche. All’interno di tale quadro socio-economico matura e si afferma il nazionalismo, come linea politica e come ideologia che mette al primo posto gli interessi dello stato nazionale, cioè gli interessi della sua classe dirigente. In questa prospettiva, lo stato nazionale viene sottratto alla sua dimensione di risultato di una determinata fase storica, che caratterizza, e differenzia, la formazione dello stato unitario (per es. in Francia, o in Germania, o in Italia, ecc.), per assumere il carattere di valore insieme etico e politico. Nazione viene allora definita come un'unità statale che si identifica con un popolo, cioè un complesso di persone che hanno una (pretesa) comunanza di origine etnica, di lingua, di religione, di tradizioni, e che abitano un paese delimitato da confini “naturali”(che nella pratica è impossibile riconoscere in modo univoco). L’affermazione di questo valore (la cui origine si può riconoscere nella filosofia hegeliana e nei movimenti romantici del primo !800) si traduce, prima o poi a seconda degli stati, nella scelta di una linea politica conservatrice, spesso con tendenze autoritarie e illiberali. La difesa dell’identità e della potenza della nazione diventa un obiettivo prioritario, e ciò comporta gravi conseguenze: minoranze etniche e\o linguistiche vengono isolate, emarginate o apertamente perseguitate; cittadini stranieri sono colpiti sul piano dei diritti e della sicurezza; le comunità ebraiche (numerose soprattutto nei paesi dell’Europa orientale) e i singoli cittadini di origine e\o religione israelita sono colpiti da varie forme di discriminazione, diverse da paese a paese e più o meno mascherate (dall’affare Dreyfuss nella civile e democratica Francia, ai pogrom - termine russo che significa “distruzione, saccheggio - della Polonia e della Russia, dove erano spesso organizzati dall’alto, per deviare sugli Ebrei l’esasperazione popolare).In questa situazione matura l’imperialismo, cioè l’azione politica e militare dei paesi capitalistici, volta ad assicurare al capitale industriale e finanziario nuove aree di espansione: le zone arretrate del sud e dell’est europeo e dell’America latina (destinate a forme più o meno dirette di soggezione economica e spesso anche politica) e i paesi dell’Africa e dell’Asia (che subiranno la diretta occupazione militare). Le varie ideologie danno interpretazioni diverse di questa spinta imperialistica, che molteplici fattori, alcuni dei quali abbiamo sinteticamente ricordato, concorrono a determinare. Per il materialismo storico marxiano (Lenin e Rosa Luxemburg) l’imperialismo è la fase estrema del capitalismo, cioè suo necessario sviluppo, mentre nel campo opposto si cercano ragioni per fondare un diritto al dominio da parte dei paesi europei, affermando una pretesa superiorità della civiltà occidentale, o addirittura della razza bianca. Il grande romanziere inglese R. Kipling parla, per es., del “fardello dell’uomo bianco”, destinato ad assumere su di sé una missione civilizzatrice nei confronti delle popolazioni arretrate: in una dimensione etica e prammatica insieme egli vede nei codici di comportamento dello “stile di vita” britannico un modello di disciplina sociale. Per altre posizioni l’imperialismo è la conseguenza di un esasperato nazionalismo, che si amplifica in volontà di potenza e in primato storico-politico di un singolo paese. Lo slancio - economico e politico – imperialistico trova manifestazione immediata e diretta nell’ampliamento delle conquiste coloniali, vale a dire nel colonialismo.Al vecchio colonialismo (sfruttamento delle colonie come fonte di materie prime per l’industria e come mercato per i suoi prodotti) si sostituisce gradualmente un colonialismo più dinamico, basato sull’esportazione di capitali e sulla ricerca di occasioni di investimento (sia nelle colonie vere e proprie, sia in paesi economicamente subalterni perché in via di industrializzazione, come il sud e l’est dell’Europa). Il questo modo il capitalismo allarga la sua area di intervento – e di profitto – mantenendo inalterata la posizione di subalternità delle classi lavoratrici nella madrepatria. Queste sarebbero state infatti favorite da un allargamento dei mercati per i beni da loro prodotti (in quanto forza-lavoro): ne avrebbero ricavato maggiore forza contrattuale, essendo in grado di condizionare la produzione attraverso varie forma di lotta (stanno nascendo le organizzazioni sindacali e i partiti socialisti), e in prospettiva si sarebbero assicurati una maggiore ricchezza. Nel quadro del nuovo colonialismo, invece, il capitalista ha a che fare con una forza-lavoro debole e disorganizzata (nei

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paesi in cui si avvia l’industrializzazione) o con masse di lavoratori vicine ad una condizione di schiavitù (nelle colonie).

1. 2 Informazioni contenute nei singoli testi; inferenze e contestualizzazione

Documento n. 1

a) Note editoriali:

Giosuè Carducci, autore del documento n. 1, fa certamente parte del curricolo scolastico, ed è dunque, almeno in termini generali, noto ai candidati. La raccolta di cui La bicocca di S. Giacomo fa parte, Rime e Ritmi, è l’ultima pubblicata dal poeta (1899); non ricorderemo la sua importanza sul piano della sperimentazione formale (il tentativo, messo in atto anche nelle opere precedenti, di ricreare con gli strumenti della metrica italiana i ritmi della poesia classica), ma i dati contenutistici, i soli che interessano per approfondire la tematica proposta dal nostro argomento. In questa fase della sua vita e della sua produzione Carducci si è completamente allineato alle posizioni della classe dirigente, e in particolare all’ideologia dominante negli ambienti più conservatori della Corte, assumendo il ruolo di vate ufficiale della nazione e della monarchia. b) Notizie:

La poesia elenca alcuni dei motivi che stanno alla base dell’ideologia nazionalista, di cui è una celebrazione: le Alpi (deputate ad essere il ‘confine naturale’ dell’Italia) schierano a propria difesa “gli armati figli” (con cui probabilmente si allude ai soldati del Corpo degli Alpini, costituito nel 1872), al cospetto del re ( Umberto I), che è il capo supremo delle forze armate e il simbolo della nazione. Infatti l’esercito guarda con fiducia quel simbolo (“te”) e quella barriera difensiva (“loro”). Segue il solito motivo della ‘guerra giusta’: si rifiuta una guerra di conquista (“non vogliamo predar… le belle rive straniere”), ma si è pronti ad affrontare una guerra che minacci i ‘sacri confini’ (l’Alpe e i due mari, Tirreno e Adriatico). Infine si afferma un concetto di nazione che travalica i propri concreti limiti storici (il processo attraverso il quale si è formato, come organismo politico, lo stato nazionale unitario) per assumere un valore ideale (un’italianità esistente da sempre). Infatti lo stato nazionale italiano, costituitosi nel 1861 e ampliatosi con l’annessione del Veneto (1866) e di Roma (1870), cioè la “nuova” Italia, si identifica con l’Italia “antica”: l’aggettivo rimanda, per suggestione culturale, a quell’Italia romana che aveva conquistato il mondo ed era stata il centro dell’impero più vasto e potente dell’antichità. Quell’Italia, travolta dalla decadenza dell’impero e dalle invasioni germaniche era sopravvissuta come entità ideale per tutti quei secoli, aspettando di tornare ad incarnarsi in un organismo politico, lo stato nazionale ottocentesco.

c) Inferenze e contestualizzazione:

L’interpretazione dell’opposizione nuova\antica esposta al punto precedente ha già implicato un ampio gioco di inferenze*; andando oltre, si può sottolineare che il rimando all’Italia “antica” (romana) vista come glorioso archetipo di quella “nuova”, nata dal Risorgimento, anticipa l’uso che delle memorie storiche farà, vent’anni dopo, il fascismo. È ancora da notare che il rifiuto della

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guerra di conquista (“non vogliamo… predar la belle rive straniere”) è formulato nei riguardi delle nazioni di ‘pari dignità’ (cioè gli altri paesi europei); infatti la composizione di alcune delle poesie poi raccolte in Rime e Ritmi (opera pubblicata nel 1899) si colloca proprio negli anni in cui il primo governo Crispi (1887-1891) intensificava l’opera di penetrazione in Africa. In seguito troveranno espressione letteraria giudizi espliciti sulla politica coloniale italiana, per es. quello sostenuto da Pascoli nel discorso La grande proletaria si è mossa (pronunciato il 26 novembre 1911 per i caduti delle guerra di Libia): vi si rivendica il diritto dell’Italia (paese povero tra le nazioni europee grandi e ricche) di mettere le mani su quel che restava dell’Africa, dopo la sua spartizione tra i potenti. Negli anni che precedono il primo conflitto mondiale si imporranno ideologie apertamente guerrafondaie (per es. intorno a certe riviste, come La Voce, specie dopo il 1912, Lacerba, il Regno, ecc.).

Documento n. 2

a) Note editoriali :

Autore di questo documento è Alfredo Oriani (1852- 1909; romanziere e autore di saggi storico-politici); si tratta di un brano dell’opera La lotta politica in Italia, un’interpretazione hegeliana della storia italiana in cui tutti gli avvenimenti fatalmente convergono nella creazione dello stato nazionale. Il libro è dunque un significativo esempio dell’ideologia nazionalista; anche mancando di ogni precedente conoscenza, questa considerazione emerge con evidenza dalla semplice lettura del testo.

b) Notizie :

Nel brano non si trovano informazioni. Vi è invece un’interpretazione della storia piuttosto rozza, basata su categorie critiche individuate al di fuori di qualunque rigore filosofico o scientifico: per es. l’indicazione di “invasioni” e “colonie” come i “mezzi più efficaci d’espansione” resta, in mancanza dell’indicazione di caratteristiche e distinzioni, del tutto arbitraria; altrettanto si può dire per i criteri di valutazione secondo cui giudichiamo che taluni “terreni [siano] atti a ricevere il quadro di una più alta vita” . Oriani afferma che la civiltà dell’uomo bianco, fin dall’antichità, ha attuato il suo processo di espansione strappando a popoli inferiori (perché selvaggi o perché “esauriti”, cioè ormai in fase di decadenza) i territori in cui esportare il loro più alto modello di vita. La conquista è avvenuta secondo due modalità. La prima è l’invasione: il popolo conquistatore si sovrapponeva all’altro, cioè ne diventava il dominatore in modo diretto. La seconda modalità è quella delle colonie. Non è chiaro quale parallelo Oriani istituisca tra il sistema antico, greco o romano, e il colonialismo ottocentesco. Infatti vi è una profonda differenza strutturale. Nel mondo greco gruppi di cittadini si staccavano dalla madrepatria per fondare una nuova città in un territorio che di solito non avevano conquistato militarmente, almeno non al di fuori di un’area circoscritta, all’interno e nelle immediate vicinanze della nuova città. Il sistema coloniale romano funzionava invece sia attraverso la fondazione di nuove città popolate da cittadini romani, sia attraverso un complesso meccanismo di concessioni di diritti più o meno estesi a città ridotte allo stato di sudditanza. Il sistema coloniale moderno era anch’esso piuttosto diversificato: si possono distinguere territori conquistati militarmente, protettorati, zone di influenza o paesi politicamente indipendenti ma economicamente subordinati. Sembra di capire che Oriani voglia mettere l’accento sulla presenze di nuclei privilegiati, perché più forti e\o appoggiati da una madrepatria potente e, secondo lui, più civili, all’interno di territori prevalentemente abitati da popolazioni di livello inferiore. Ecco allora l’elemento per Oriani unificante: in ogni caso le comunità dei coloni erano fari di civiltà che “dovevano aiutare la natura dei popoli circostanti a più intellettuale sviluppo”.

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. Solo nella frase conclusiva Oriani sembra abbandonare il pregiudizio ideologico (che trasforma la conquista coloniale in missione civilizzatrice) per un’analisi più realistica. Mescolando il piano della politica con quello delle motivazioni psicologiche individuali, arriva ad individuare alcune delle spinte fondamentali al colonialismo. Elenca l’avidità degli operatori economici e la politica di potenza (“avarizia commerciale, fantasie guerriere”), la spinta alla ricerca sperimentale, tipica del positivismo, condita con il gusto dell’esotico e dell’avventura (“irresistibile attrazione dell’ignoto geografico…curiosità scientifiche”), la gara al proselitismo delle chiese cristiane, in un inestricabile intreccio tra religione e politica, fede autentica e interessi di diverso tipo (“passione religiosa”).

c) Inferenze e contestualizzazione :

Nel farraginoso discorso di Oriani è tuttavia possibile individuare la matrice idealistica, certo volgarizzata e impoverita, della sua ideologia: la storia come progresso verso un’organizzazione politica sempre più alta; la teoria, ereditata del Vico, dell’evoluzione umana (come succedersi dello stadio emozionale o “selvaggio”, di quello dominato dalla ragione e dal diritto tipico della maturità, e infine di quello della decadenza); l’individuazione di un modello “eterno” di civiltà, ecc. Vi è da notare che l’opera è pubblicata nel 1892; la sua ideazione e composizione si colloca quindi nella temperie del primo governo Crispi (1887-1891), che aveva fatto dell’autoritarismo all’interno e del nazionalismo all’esterno le direttrici fondamentali della sua politica. Coerentemente con queste posizioni e secondo gli interessi degli agrari e dei gruppi di potere della corte e dell’esercito, Crispi aveva intensificato l’azione di penetrazione in Africa, giungendo nel 1889 (5 anni dopo l’occupazione di Massaua) a prendere possesso di Asmara. Nello stesso 1889 verrà firmato il trattato di Uccialli, che riconosce le conquiste fatte e sancisce il protettorato (successivamente annullato) dell’Italia sull’Etiopia. Nel 1890 si procede alla costituzione ufficiale della colonia di Eritrea. Come si vede, Alfredo Oriani è un intellettuale perfettamente omogeneo al potere politico, di cui fornisce l’interpretazione ideologica e la legittimazione sul piano dei valori.

Documento n. 3

a) Note editoriali :

Si tratta di un brano di un’importante opera storica di Benedetto Croce (1866-1952), il maggior filosofo italiano del primo Novecento e una delle personalità più eminenti della cultura europea. Il titolo, Storia d’Italia dal 1870 al 1915, rimanda puntualmente all’argomento di cui ci stiamo occupando. L’opera è stata pubblicata nel 1928: in quegli anni Croce ricopre, nel panorama culturale e politico italiano, il ruolo di guida morale dell’antifascismo liberale.

b) Notizie :

In un linguaggio colto e piuttosto specialistico (sta scrivendo un trattato storico), Croce espone una sintetica analisi dei decenni tra Ottocento e Novecento, mettendo in evidenza rapidi e, secondo il suo giudizio, negativi cambiamenti. Egli tratteggia una specie di sintesi storica della civiltà europea: punta di diamante dello sviluppo è dapprima il sistema filosofico e morale della religione, poi il razionalismo illuministico, in seguito lo storicismo idealistico (e, parallelamente, il liberalismo in politica e il liberismo in economia). Negli ultimi decenni dell’800 si impone un tipo di capitalismo in cui l’unità produttiva non è più creata dal singolo imprenditore, ma è promossa e\o protetta dallo stato (“il bismarckismo), che favorisce anche la tendenza alla formazione di trust e cartelli (“l’idustrialismo”). Contemporaneamente viene meno, secondo Croce, un riferimento ideologico e ideale universalmente condiviso, cui tutti, pur operando in campi diversi, possano richiamarsi. Così il pensiero e l’azione risultano frammentati e privi di un modello etico: ne

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derivano confusione di idee e immoralità di comportamenti. Dominano “avidità di godimenti”, “gusto di avventure e conquiste” (disdicevole perché non riscattato da un nobile fine), “smania di potenza”, incertezza nei propositi e nelle idee (“irrequietezza”), mancanza di interesse e di passione nell’operare (“disaffezione e indifferenza”). Tutto ciò è conseguenza della perdita di una coscienza etica e religiosa (la religione, per il laico Croce, non implica alcuna dimensione trascendente, ma si definisce nel rapporto con l’orizzonte storico, caricandosi di significati morali e filosofici). Anche l’Italia –“sennata” , cioè sorretta dal "buon senso", dice il testo del 1928, ma si direbbe oggi "arretrata" – è investita da questa sorta di decadenza (del pensare, del sentire e dell’agire); Croce ne sente l’eco nell’opera letteraria di D’Annunzio, tanto nelle fase dell’estetismo quanto nella fase della tensione eroica e superomistica di ispirazione nietzschiana. Nel primo caso il modello è il raffinato dandy intellettuale, incarnato in Andrea Sperelli protagonista de Il piacere (1889). Nel secondo caso il modello è il superuomo al di sopra di ogni morale, che ha per natura (insieme a una ristretta élite) il diritto di dominare il “gregge” dei molti. Ne è incarnazione il nobile Claudio Cantelmo, protagonista de Le vergini delle rocce (1895): si è assegnato il compito di riformare la società in senso aristocratico, e cerca una donna degna di generare da lui un figlio – il Re di Roma – destinato ad essere il futuro signore del mondo. Analoghe le tematiche della tragedia La Gloria (1899). c) Inferenze e contestualizzazione:

Il testo di Croce esprime efficacemente il disagio di fronte a profondi cambiamenti nei costumi e nei valori. Il liberismo economico, e il parallelo liberalismo politico, stanno lasciando il posto alla concentrazione monopolistica (spesso promossa dallo stato) e, di conseguenza, al protezionismo in economia, al nazionalismi e all’imperialismo nell’azione politica. Lo storico idealista non fa un esame dei fattori economici (che, almeno in questo brano, sono del tutto ignorati), ma esprime un giudizio negativo sui comportamenti. Coerentemente con la dottrina idealista, egli vede nel sistema delle idee il motore della storia. Perciò, secondo lui, la decadenza non è causata dalla maggiore asprezza della competizione economica né dalla gara interimperialistica ingaggiata dalle nazioni più potenti per il controllo del mondo; tutto questo, e la connessa degradazione sociale, sono invece la conseguenza di un insufficiente vigore del pensiero filosofico, di un’incapacità di elaborare una visione del mondo soddisfacente per l’intelletto ed entusiasmante per il sentimento, in cui si possa credere con la stessa passione con cui si crede in una religione. Infatti il Positivismo, l’ideologia coerente con lo sviluppo scientifico e tecnologico dell’epoca, non poteva soddisfare Croce, la cui filosofia era il frutto originale di una rivisitazione dell’idealismo di Hegel. Bisogna ancora osservare che Croce scrive La storia d’Italia nel 1928, quando il fascismo ha ormai consolidato il suo potere in Italia. Antifascismo e condanna delle ideologie nazionalistiche e imperialistiche erano per Croce, bandiera dell’antifascismo, strettamente connessi.

1. 3 Il punto di vista dei singoli autori nei documenti del dossier

Documento n.1

Il punto di vista di Carducci è quello del vate ufficiale di un potere politico ormai consolidato, cui offre l’ulteriore prestigio della celebrazione poetica. Il fascino della cultura, dello stile alto, denso di figure retoriche e di recuperi arcaici, funziona anche come organizzazione del consenso, soprattutto nei confronti di strati medio e piccolo borghesi (per es. lavoratori “intellettuali” di modesto profilo, come insegnanti, impiegati, pubblici funzionari, ecc.), che identificandosi col “cantore” ne ricavano un senso di promozione sociale.

Documento n. 2

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Anche il punto di vista di Oriani è quello dell’intellettuale che supporta il potere con gli strumenti della comunicazione culturale e organizza il consenso dei ceti medi; si pone però in una prospettiva storico-filosofica, usando per costruire la sua ideologia (legittimazione dei mezzi e dei fini di nazionalismo, imperialismo e colonialismo) brandelli di filosofia idealista, memorie vichiane, più recenti teorie sociologiche sulla pretesa naturale diseguaglianza dei popoli e delle razze, ecc.

Documento n. 3

Benedetto Croce, in La storia d’Italia dal 1871 al 1915, è uno studioso che indaga le cause dello sviluppo storico e ne misura le conseguenze sul piano politico, sociale e etico. Il suo giudizio non è neutro, ma strettamente dipendente dal filtro del suo idealismo di origine hegeliana e dalla sua adesione, in politica, al liberalismo; la determinazione nella scelta dei valori non oscura però la capacità di analisi e la chiarezza dell’esposizione. La sua opera si colloca perciò al livello dell’indagine conoscitiva e non a quello della propaganda.

1. 4 Ampliamento delle informazioni con proprie conoscenze\esperienze

Già più sopra, al punto 1 .1, per definire il campo di indagine in cui si iscrive l’argomento in esame, abbiamo cercato di arricchire le informazioni del dossier, aggiungendo quei particolari che potessero chiarire e rendere più espliciti i termini del problema. Sembra opportuno ricordare che il candidato, nel trattare questo argomento, è bene richiami alla memoria alcuni concetti-base trattati nel curricolo di storia e (per alcuni tipi di scuola) di economia: la rivoluzione industriale e l’affermarsi del modo di produzione capitalistico, le dinamiche di mercato e la determinazione dei prezzi nel rapporto tra domanda e offerta, il problema delle crisi economiche, fisiologiche nello sviluppo capitalistico, e il loro superamento (grazie ad una ristrutturazione dei processi produttivi e ad una concentrazione in senso monopolistico del capitale), la politica degli stati europei dopo l’unificazione italiana e tedesca (in particolare la strategia bismarckiana nel processo di industrializzazione tedesco e nel controllo delle dinamiche sociali), il congresso di Berlino (1878) e la politica imperialistica degli stati europei, l’esplosione nazionalistica di fine secolo e le guerre doganali, l’espansione coloniale e le lotte di predominio. Utile anche avere presenti alcune tematiche filosofiche, come la teoria del materialismo storico nell’analisi dei fenomeni economici e politici, i principi base della teoria di Hegel, il neoidealismo di Croce e la sua concezione della storia.

1. 5 Assunzione del proprio punto di vista ed elaborazione della tesi

Terminato l’esame dei documenti forniti, il candidato dovrà scegliere un proprio punto di vista per il saggio, o per l’articolo, che si appresta a produrre. Nella nostra simulazione, egli decide di esaminare il problema in una prospettiva di analisi critica in chiave storico-politica, lasciando sullo sfondo gli aspetti economici. Si propone di mettere in evidenza i cambiamenti ideologici e politici, paralleli al nuovo assetto dell’economia, negli anni che vanno dall'unità tedesca allo scoppio della prima guerra mondiale. La sua tesi è mostrare come la chiusura miope negli interessi nazionali e la gara tra le grandi potenze imperialiste (per l’egemonia in Europa e per il controllo - economico e politico, o anche militare nel caso delle colonie – di aree quanto più vaste possibili del resto del

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mondo) cercasse e trovasse una copertura ideologica negli intellettuali e come tutto ciò si risolvesse in un impoverimento della vita politica e culturale e in un presagio di guerra, o comunque di successivi, deteriori sviluppi.

2° Elaborazione del saggio breve

2. 1 La destinazione editoriale e le strategie retoriche

Il breve saggio è pensato come introduzione ad un’antologia che raccoglie articoli apparsi su quotidiani o riviste d’attualità tra il 1880 e il 1914, intorno a temi politici, ideologici, sociali, di costume, ecc. Gli autori dei testi raccolti sono scrittori, funzionari, uomini politici, giornalisti, pubblicisti per lo più di modesto profilo. L’opera vuole infatti documentare la qualità dell’informazione giornalistica in Italia nei decenni tra ‘800 e ‘900, anche al di fuori delle testate più importanti. L’iniziativa è promossa da un’associazione professionale di giornalisti e da una decina circa di quotidiani o periodici.. Per quanto riguarda la destinazione editoriale, è utile tenere presente che l’opera, pur caratterizzata da serietà scientifica, non si colloca ad un livello strettamente specialistico, visto che si propone di recuperare i prodotti di un’attività professionale per un esame delle mode culturali e delle opinioni condivise, e non di condurre una ricerca di tipo accademico. I possibili lettori si collocheranno dunque in una fascia piuttosto ampia e indifferenziata di pubblico, in maggioranza di media cultura. Le strategie retoriche adeguate sono quelle capaci di garantire una lingua di buon livello formale, ma senza formule o termini di registro specialistico; eventuali tecnicismi devono essere spiegati, e le citazioni, che, se opportunamente usate, rendono il discorso più vario, devono essere fornite delle indicazioni necessarie per essere correttamente collocate e comprese. Anche le figure retoriche, così utili per accendere l’interesse del lettore e aumentare la leggibilità del testo, devono evitare di dare una patina troppo letteraria alla scrittura.

2. 2 Ideazione della linea argomentativa e costruzione della scaletta

La linea argomentativa muove constatando il mutato clima ideologico e politico dell’Europa dopo il 1870; la spregiudicatezza degli interventi sul piano economico e su quello politico (sono strettamente connessi) provoca il duro giudizio di un grande intellettuale (B. Croce). La destinazione simulata (un’antologia di articoli giornalistici) rende inevitabile la domanda sulle posizioni assunte di fronte a quei mutamenti da “lavoratori intellettuali”, quali i giornalisti. La linea argomentativa fa un passo indietro per esaminare gli sviluppi dell’economia (concentrazione monopolistica) e della politica (nazionalismo e imperialismo); la conseguenza è il colonialismo. La cultura si assume il compito di legittimare la scelte politiche: vengono esplicitate le posizioni dominanti (generalizzate a partire da scritti di un tipico “intellettuale omogeneo” alla linea politica vincente). Seguono elaborazioni più elitarie, esemplificate su opere di grandi intellettuali (D’Annunzio, Carducci) Un breve giudizio sui pericoli connessi all’atteggiamento degli intellettuali di ogni livello (dunque anche dei giornalisti), che offrono giustificazione e propaganda alle scelte del potere chiude il saggio.

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Nel costruire la scaletta per il suo saggio, il candidato deve tenere conto della consegna, che prescrive di utilizzare tutti i dati contenuti nei documenti. Ecco il risultato:

incipit la svolta del ’70 e il tramonto dell’ideologia precedente (vedi documento n. 3,1°, parte con citazione ); domanda retorica (come rispondono giornalisti e intellettuali?),che offre lo schema formale al discorso;incipit la svolta del ’70 e il tramonto dell’ideologia precedente punto primo gli sviluppi dell’economia e l’identificazione tra potere economico (industriale e finanziario) e potere dello stato (vedi documento n. 3); la politica nazionalistica e imperialistica; penetrazione economica e conquista coloniale (informazioni dall’enciclopedia personale);punto secondo elaborazione di ideologie giustificative; motivazioni (vedi documento n. 2);punto terzo i miti dell’estetismo e del nietzschanismo (inferenze dai documenti n. 2 e 3); i modelli di D’Annunzio: Sperelli, Cantelmo e il Re di Roma (inferenza dal documento n. 2 e documento n. 3, 2° parte);punto quarto Carducci propagandista della politica autoritario-repressiva e della monarchia; caratteri bellicosi della poesia proposta nel dossier (vedi documento n.3).conclusione pericolosi motivi ideologici e presagi di guerra.

2. 3 Ideazione del titolo e stesura del saggio breve

Titolo n. 1 (che indica il motivo conduttore del saggio) La politica dei giornalioppure titolo n. 2 (che preannuncia la conclusione) La voce della guerra

N. B. Nel testo la scansione tematico-argomentativa è segnalata da sottotitoli, secondo l’ordine della scaletta.

Una nuova fase storica: giudizio di Croce

La sconfitta della Francia nella guerra contro la Prussia e la fondazione dell’impero tedesco segnano l’avvio di una nuova fase nella lunga storia dell’Europa. Come ben vede Benedetto Croce nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1), finisce il momento ‘eroico’ della rivoluzione industriale, quando il liberalismo in politica e il liberismo in economia avevano avuto la dignità di una teoria filosofica e la forza trascinante di una fede (come nei secoli precedenti era stato per la religione o per il razionalismo illuministico); da quel momento in poi gli stati si confronteranno esclusivamente sulla questione del potere.

L’eco della nuova fase sui giornali

Come reagiscono al cambiamento di clima politico i giornalisti e in genere gli intellettuali grandi e piccoli che fanno sentire la loro voce su quotidiani e riviste? Questa antologia non può fornire una risposta, ma solo offrire materiali utili per una riflessione in proposito. Ma perché i materiali siano eloquenti, bisogna collocarli sullo sfondo del panorama economico-politico dell’Europa e dell’intero pianeta nei decenni a cavallo tra ‘800 e ‘900.

Il nuovo corso dell’economia e della politica

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È il momento in cui si intensifica il processo di concentrazione delle imprese: il capitale industriale e finanziario è in grado di condizionare le scelte governative. Le forze produttive e le holding degli stati capitalisticamente avanzati (Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania ; con modalità diverse anche U.S.A. e Giappone), strettamente intrecciate alle forze politiche in una linea di esasperato nazionalismo, lottano, nello scacchiere europeo, per assicurare alle proprie industrie e ai propri mercati aree di sviluppo nei paesi – ad est e a sud del continente – deboli quanto a struttura economica, ma politicamente indipendenti. In Asia e in Africa invece la partita si gioca sul piano militare; immensi territori vengono conquistati e ridotti allo stato di colonie in una serie di guerre locali. A popoli e stati, messi in ginocchio dalle moderne armi tecnologiche, viene negata la dignità di soggetti politici: la diplomazia internazionale si assumerà il compito di riconoscere le conquiste secondo la logica del diritto del più forte e della spartizione della preda.

L’ideologia legittima la politica

Per legittimare l’azione dei monopoli e dei governi, nascono in taluni ambienti politico-culturali vicini ai governi, ideologie giustificazioniste: in modo più mirato, alcuni intellettuali si assumono il compito di organizzarle secondo un ordine teorico e storico, mossi da convincimento personale o da vocazione al clientelismo. Le loro opere (2) parlano del diffondersi della civiltà creata dalla razza bianca, che strappa la terra a popoli ancora selvaggi (oppure ormai travolti da un’inarrestabile decadenza, i Cinesi ad esempio), per instaurarvi una più alta forma di vita. Le colonie moderne, come quelle antiche, greche e romane, sono focolari di irradiazione civile, e garantiranno ai popoli sottomessi un migliore sviluppo. Emergono qua e là anche motivazioni più realistiche: l’avidità nella conquista di nuovi mercati, la volontà di sopraffazione affidata alla guerra. Inoltre non solo gli eserciti, ma anche gruppi di privati e singoli individui, sospinti da mode o passioni - il gusto dell’esotismo, l’amore per l’avventura, l’attrazione per l’ignoto geografico e perfino lo spirito missionario - corrono verso paesi lontani, alla ricerca di forti emozioni e grandi ricchezze. Nonostante la mancanza di ogni sistematicità, inevitabile nell’operazione di montaggio di pezzi piuttosto brevi, tutti questi motivi formano il tessuto comune, quasi senza eccezione, degli articoli qui presentati.

Ideologie e miti aristocratici

Gli ambienti della cultura alta, seguendo il gusto di aristocrazie sociali e intellettuali, o i suggerimenti della speculazione filosofica, elaboravano altri miti. Sull’onda di un estetismo affascinato dall’artificio dell’arte o di un nietzschanismo interpretato come modello d’azione, si afferma l’idea che gli uomini siano per natura diversi: una élite di dandy raffinati o di superuomini titanici è destinata a dominare sulla massa indifferenziata della plebe. La distinzione non passa solo tra bianchi e neri, europei e asiatici, ma anche all’interno delle società nazionali, per identificare ristretti gruppi dirigenti cui è riservato l’esercizio dell’autorità.

D’Annunzio: il dandy e il superuomo

In Italia questi miti acquistano una grande influenza nell’orizzonte culturale e un’eco straordinaria nei comportamenti mondani grazie all’interpretazione letteraria di Gabriele D’Annunzio, che nei suoi romanzi mette il scena gli eroi che ne sono l’incarnazione ideale. L’esteta raffinato e solitario è rappresentato in Andrea Sperelli (3), che crea la propria vita come si crea un’opera d’arte; l’aspirazione ad un nuovo assetto politico viene invece affidata a Claudio Cantelmo (4), un aristocratico che progetta la presa del potere assoluto da parte di un suo figlio non ancora nato, ma destinato, per la nobiltà del suo sangue, ad essere il Re di Roma, padrone dell’Italia, e forse del mondo. D’Annunzio ha naturalmente un posto di riguardo non solo nelle riviste letterarie, ma

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anche nei quotidiani d’informazione; non è ospitato in questa antologia, ma qualcosa degli Sperelli e dei Cantelmi affiora negli articoli con qualche ambizione letteraria nei contenuti e nella forma.

Carducci: il patriottismo eroico

Più concreto, ma proprio per questo assai lontano dalla libertà fantastica che siamo soliti aspettarci dalla poesia, il sostegno che un altro grande intellettuale, Giosuè Carducci offriva nello stesso periodo alla classe dirigente, e in particolare alla monarchia. Negli anni della svolta autoritaria nella politica italiana, Carducci, dimentico della sua giovanile fede repubblicana, canta “Umberto re” cui “il popolo fidente…guarda”, mentre gli armati formulano eroici propositi “ se la guerra \ l’Alpe minacci e su’ due mari tuoni”. Il poeta incita: “alto le insegne \ e le memorie! avanti, avanti, o Italia \ nuova ed antica.” (5).

Il nazionalismo e la guerra

È il concetto di nazione come valore assoluto, proposto contro la realtà storica, in una ideale continuità dai tempi di Cesare a quelli di Umberto I. Un motivo, questo, destinato ad essere ripreso nei giornali e nei discorsi del tempo, con sempre maggior frequenza. La guerra mondiale è ancora lontana quindici anni, ma se ne sente già la voce.

Note1. vedi Benedetto Croce, La storia d’Italia dal 1871 al 1915, I edizione, Bari, 1928.2. Esponente significativo di intellettuale che traduce in teorie storico-politiche le scelte decisamente di destra della

classe dirigente italiana di fine secolo (esemplarmente rappresentata da Crispi) è Alfredo Oriani (1852-1909). Il brano che segue si basa sulle idee che sostiene in merito al colonialismo nel saggio La lotta politica in Italia, del 1892.

3. Andrea Sperelli è il protagonista del romanzo di D’Annunzio Il piacere, pubblicato nel 1889, uno dei manifesti dell’estetismo europeo. Gli stessi modelli comportamentali sono celebrati nella cultura francese da Joris Karl Huysmans (A ritroso, 1884) e in quella inglese da Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Gray, 1891).

4. Claudio Cantelmo è il protagonista del romanzo di D’Annunzio Le vergini delle rocce, pubblicato nel 1895. Le suggestioni della lettura di Nietzsche si traducono in una fantasia fatta di raffinatezze estetizzanti e deliri della volontà; il disegno è quello di un nuovo corso nella storia del mondo ad opera di un superuomo concepito a questo scopo, ma il progetto non si avvia perché Cantelmo non riesce a scegliere la donna da cui generare il Re di Roma.

5. Le citazioni sono tratte dalla lirica La bicocca di S. Giacomo, in Rime e Ritmi, l’ultima raccolta poetica di Giosuè Carducci, pubblicata nel 1899.