Upload
velia-bellini
View
217
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
La continuità terapeutica ed assistenziale:
obiettivi e strumenti
Ferrannini
Problema della continuità - 1Il problema della continuità terapeutica fa parte del pensiero medico da almeno 50 anni:
Jacques Hochmann coglieva, già nel 1971, in tutta la sua pregnanza il tema della continuità terapeutica e si sforzava di individuare ed esplorare le possibili soluzioni:
“È necessario che il crollo dell’istituzione e il proiettarsi nello spazio di una serie di punti di ancoraggio terapeutici, corrispondano a una continuità a livello di équipe. E del resto, uno degli scopi di questo crollo è di offrire al malato la possibilità di esprimere insieme la continuità e la differenza (cioè il cambiamento), situando ogni volta, in schemi diversi, una relazione con le stesse persone o, nello stesso schema, una relazione con persone diverse”
Problema della continuità - 2
Secondo Bachrach (1981), nasce con l’esigenza di organizzare la terapia medica a lungo termine. In medicina, il problema della continuità terapeutica si pone, infatti, a partire dallo spostamento dell’attenzione dalle patologie acute a quelle ad andamento cronico (ipertensione, diabete, ecc)
Excursus storico* - 1
Nel campo della psichiatria l’esistenza stessa dell’istituzione manicomiale ometteva il problema della continuità a vantaggio della “spersonazione psicotica e sua ratifica manicomiale”. Infatti tale soluzione nascondeva spesso una mancanza di attenzione per l’esperienza particolare di vita, di malattia e di cura del singolo paziente e un atteggiamento di sfiducia nelle concrete possibilità di superamento del momento di crisi e di reinserimento nel tessuto sociale
Già negli anni precedenti la chiusura del manicomio, la nascita della psichiatria territoriale veniva immaginata da Franco Basaglia (1967) come la situazione in cui il paziente potesse “restare nelle nostre case, coinvolgendo nella sua problematica la nostra vita reale, così che la sua presenza richiederà strutture terapeutiche vicine a lui, psichiatri a domicilio, organizzazioni comunitarie in cui possa sentirsi protetto, luoghi di lavoro dove possa trovare un ruolo, una funzione che giustifichi davanti a se stesso la sua presenza nel mondo”
Excursus storico - 2 Cadute le ultime vestigia del manicomio, per definizione autosufficiente e autocentrato, si è passati ai servizi caratterizzati dalla non totalità della risposta e dalla dimensione eterocentrata degli interventi, che hanno proposto con rinnovata insistenza la necessità di parlare d’integrazione tra saperi, professionalità e formazioni nell’équipe psichiatrica, ma anche tra momenti professionali e non professionali del lavoro psichiatrico, tra dipartimento, “territorio” e famiglie, anche attraverso strumenti di autoaiuto spontaneamente promossi o incoraggiati
Ma di integrazione si può parlare anche a proposito dell’impatto, non sempre indolore, tra quanto di buono rimane della cultura psichiatrica emersa dal secondo conflitto mondiale e dalle turbolenze e i coraggiosi esperimenti degli anni sessanta – la cultura della comunità terapeutica e quella del territorio - e le trasformazioni che hanno investito il nostro sistema sanitario nell’ultimo decennio: la diffusione su larga scala dei processi organizzativi della community care, l’aziendalizzazione delle USL, la trasformazione del servizio pubblico e il rapporto di complementarità che in settori non secondari della cura si è andato stabilendo tra servizio pubblico e soggetti erogatori privati
Le cinque dimensioni della continuità terapeutica - 1
Continuità temporale
Capacità dell’équipe di continuare a prendersi cura con costanza; il rischio, a questo riguardo, è la perdita di tensione terapeutica fino a un incistarsi, senza né passato né futuro, che riporta a una cronicità della cura speculare alla cronicità del bisogno
Questa “dimensione temporale” sottointende che uno dei fattori necessari per il costituirsi di una continuità terapeutica sufficientemente valida sia che il paziente possa rimanere, per il tempo necessario, nella mente del gruppo di lavoro
“Il trattamento del paziente si confronta con i suoi progressi anche se i terapeuti, le specifiche modalità di trattamento, i luoghi della cura possono cambiare” (Test, 1979). Questo significa che siamo di fronte ad un modello longitudinale
Ballerini, 1994.
Le cinque dimensioni della continuità terapeutica - 2
Continuità individuale
Sottolinea il permanere della capacità di considerare il paziente come individuo portatore di caratteristiche psicopatologiche, personali e relazionali, nonché di bisogni e aspettative, di volta in volta peculiari e unici: “Il paziente è il punto di riferimento della continuità del trattamento” (Hansen, 1975). Questa dimensione riguarda l’aspetto individuale della continuità terapeutica, nel senso che la cura deve essere pianificata con e per il paziente, il processo terapeutico nella sua essenziale continuità deve ruotare intorno all’individuo, sia per quanto riguarda i suoi vissuti psicopatologici sia rispetto ai suoi desideri o alle sue inclinazioni
Il rischio è di un atteggiamento anonimo e seriale o all’estremo opposto di una individuazione e familiarizzazione estreme del rapporto, che accentua così gli aspetti di dipendenza da parte del paziente e di “possessività” da parte dell’agenzia terapeutica, rischio più presente per le istituzioni residenziali, ma presente anche nel servizio territoriale
Ballerini, 1994.
Le cinque dimensioni della continuità terapeutica - 3
Continuità trasversale
Si intende con questa dimensione sottolineare un concetto modulare del servizio in cui la scelta dei diversi moduli possibili (ambulatoriale, domiciliare, riabilitativo, ospedaliero, ecc), avviene in relazione e in base alle esigenze e ai bisogni del paziente: “in ogni punto del percorso terapeutico egli può ricevere il tipo di servizio di cui in quel momento ha bisogno, e ogni servizio ha una dimensione longitudinale” (Bachrach, 1981)
Il rischio, in questo caso, è quello di un esaurirsi della prospettiva psichiatrica all’interno del circuito d’intervento tecnico sul paziente, immaginato “totale” e perfetto, come l’utopia manicomiale a suo tempo progettata dagli illuministi francesi
Ballerini, 1994.
Le cinque dimensioni della continuità terapeutica - 4
Continuità e flessibilità
Questa dimensione sottolinea l’importanza della capacità dell’équipe di modificare il proprio assetto rispetto alle possibilità del paziente, di disegnare il circuito della cura attorno al suo percorso, in altre parole “dosare” nel tempo sovra e sottostimolazione, esposizione e protezione, come se si trattasse di un farmaco
Il rischio, in questo ambito, è quello di un eccesso di rigidità o in alternativa di perdere totalmente la capacità di governare il percorso terapeutico in riferimento all’esistenza di una progettualità forte e precisa, riducendolo a una successione casuale di risposte frammentarie e asservite al variare, nel tempo, dei problemi presentati dal paziente e delle domande da questi (o da altri) formulate
Ballerini, 1994.
Le cinque dimensioni della continuità terapeutica - 5
Continuità e relazione
Questa dimensione evidenzia l’importanza del rapporto medico-paziente e la sua centralità nella continuità terapeutica, problema che interessa tutto il gruppo di lavoro. Infatti, la continuità di presa in carico passa anche attraverso le diverse relazioni che un paziente può avere con i molteplici setting di un servizio e dipende, inoltre, dalle modalità di relazione dei componenti del gruppo rispetto al paziente, introducendo il tema del rapporto tra il paziente e la “persona” degli operatori che si fanno direttamente carico di lui
Un modello di questo tipo è realizzabile se vi sono sufficienti comunicazione e dialogo all’interno dell’équipe ed una cultura comune di riferimento
Ballerini, 1994.
Continuità terapeutica: definizioni
Processo che coinvolge i movimenti del paziente tra i diversi momenti del servizio psichiatrico (Bachrach, 1981)
Un solo gruppo di lavoro è responsabile della continuità di trattamento verso un paziente (Torrey, 1986)
Continuità di supporto per la famiglia e per il contesto Il paziente è il punto di riferimento della continuità
del trattamento (Hansen, 1985)
Continuità nel tempo, nel progetto e nei mezzi a disposizione (Ferro e coll., 1997)
Funzione tutoria dei serviziEsigenza di protezione, difesa, salvaguardia, potere, premura, restituzione di diritti, aumento del potere contrattuale, supporto/accompagnamento/intermediazione nelle reti sociali, indicazioni per la soluzione di conflitti e per la difesa legale, supporto nella gestione del denaro e del patrimonio
area complessa con intrecci terapeutici, affettivi, legali (ma anche illegali), fondata su di una forte assunzione di responsabilità, sulla relazione terapeutica e sul rifiuto della delega a “provvedere per”in favore del “prevedere con”
concezione del paziente psichiatrico come “fascia in parte debole” e in parte “indebolita” all’interno di rapporti sociali intolleranti delle differenze e caratterizzati da scarsa flessibilità (Scapicchio, 1998) e portatore di un’incapacità che va colmata attraverso un lavoro di promozione dell’abilità e riduzione dello stigma e un adeguato rapporto tra cura e qualità della vita
Castelfranchi et al. 1995
Community Care
Decentramento e territorializzazione dell’organizzazione socio-sanitaria
Community work (lavoro su sistema) versus therapeutic work (lavoro su paziente)
Strumenti: case management (gestione del caso), care management (gestione della cura), disease management (gestione della malattia)
Politiche: assistenza a lungo termine, de-istituzionalizzazione, riduzione della dipendenza dalla assistenza, assistenza informale, empowerment (aumento della partecipazione e delle possibilità di scelta), servizi guidati dai bisogni piuttosto che delle offerte, contenimento dei costi
Advocacy
Autodirezionalità ed autodeterminazione degli utenti, diritti di cittadinanza
Advocacy legale
Intermediazione
Partnership con gli assistiti
Advocacy versus tutela
DSM
Il DSM è l’organo di coordinamento che garantisce l’unitarietà dell’intervento e l’integrazione dei servizi psichiatrici di uno stesso territorio.
Ogni azienda sanitaria istituisce un DSM nel suo interno, secondo gli indirizzi delle regioni e delle province autonome le quali:
individuano gli organi, le figure professionali, le funzioni e le modalità di gestione dello stesso DSM
destinano quote adeguate del fondo sanitario regionale affinché il DSM svolga le sue attività
destinano quote di finanziamento per la realizzazione di strutture territoriali, in particolare residenziali e semiresidenziali
Funzioni del direttore del DSM
Responsabile della gestione del budget dipartimentale e delle risorse ad esso assegnate è il Direttore del DSM che ha il compito di:
promuovere le attività di prevenzione primaria
assicurare il coordinamento tra le varie articolazioni organizzative
garantire la presa in carico dei pazienti gravi
assicurare la continuità dell’assistenza ed il mantenimento continuo di qualità
Strutture essenziali del DSM
Il centro di salute mentale (CSM)
Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC)
Il day hospital (DH)
Il centro diurno (CD)
Le residenze terapeutico riabilitative e socio riabilitative, ossia:
– le comunità terapeutiche (CT)– le comunità alloggio ad utenza psichiatrica (CAUP)– le residenze socio assistenziali (RSA)– gli alloggi protetti (AP)
Il DSM non è un luogo fisico, ma un’opportunità, un servizio alla persona, che si pone rispetto al territorio di competenza come un reticolo che lo attraversa, parallelamente e in relazione con altri reticoli (servizi sociali, medicina di base ecc), un circuito elettrico che attraversa il territorio ed è in grado di accendere, qua e là, con maggiore o minore intensità alcune lampadine come avviene per le luci del presepe
Questo modello è teoricamente senza confini, proprio come la trama delle relazioni di ogni persona e quindi anche dei nostri pazienti, questo non significa che sono infinite le competenze del servizio ma che esso interagisce con punti di un sistema che possono collocarsi in contesti biologici, psicologici e sociali a distanze fisiche ed emotive assai diverse
P. Ciancaglini, L. Ferrannini, P.F. Peloso
Cos’è il DSM
Bottega della psichiatria
Riprendiamo la definizione di “Bottega della Psichiatria”
per sottolineare quanto il nostro tessuto di cura (DSM) sia il frutto di un lavoro artigianale, dove vi è buona conoscenza dei materiali da usare (il MCD dello stile del servizio e della competenza specialistica) e vitalità creativa nell’aprirsi all’avventurosa quotidianità del vivere: la nostra bottega è aperta sulla piazza, non ama cornici troppo chiuse ma vive nella relazione con il mondo circostante
A.M. Ferro, 1998
DSM Modello reticolare
Consideriamo la definizione di Petrella (1983) “di modello reticolare”, che visualizza il modello territoriale, nel quale il reticolo non va inteso solo come la rappresentazione della “rete” dei servizi sociosanitari e dei luoghi fisici della città ma, soprattutto, come la rappresentazione grafica delle relazioni emotive e della trama narrativa che le contiene
Un modello reticolare esplicita luoghi fisici e luoghi della mente, storia del paziente e storia del servizio, dimensione intrapsichica e dimensione relazionale
Petrella, 1983
Intervento di rete Intersezione tra trama verticale ed orizzontale del tessuto, che
visualizza l’azione con la quale si stabiliscono interrelazioni e collegamenti tra i vari elementi di uno spazio per ridare alla diversità del vivere psicotico coordinate spaziali e temporali condivisibili
Macramè tessuto insieme con i pazienti, i loro famigliari e, talvolta, altre persone significative per i pazienti stessi
Incontro tra le diverse anime del Dipartimento di salute mentale, per realizzare quella continuità di presa in carico della persona, con la molteplicità dei suoi bisogni e delle loro multiformi espressioni
“Lavoro di rete significa fare entrare il formale nell’informale (lo specifico nell’aspecifico), fare entrare organizzazione e supporto tecnico dentro il vivo delle risorse umane perché queste, in qualche modo, si strutturino, sviluppino al loro interno un’ossatura sulla quale reggersi e autoperpetuarsi ovvero crescere e umanizzarsi ancora di più
Folgheraiter, 1991
DSM: conclusioni
Per concludere questo discorso potremmo dire che il lavoro teso ad uscire dai nostri luoghi, tessere reti, scovare e interpellare interlocutori “terzi” implichi la necessità di uno sforzo soggettivo del DSM, teso a contrastare la forza di gravità, la spinta naturale che ci sospinge, noi e i nostri pazienti, verso il centro del cerchio, il luogo di esclusivo e più intenso utilizzo di risorse specifiche, chiusi dentro i nostri manicomi, i nostri SPDC, i nostri ambulatori, chiusi dentro il carattere specialistico e separato dei nostri interventi
Confronti tra alcune realtà del DSM
CD
CSM
SPDC
Residenzialità
Residenzialità
Residenzialità
CSM
SPDC
CD
CSM
SPDC
CD
CD versus CSM
Problemi: CD come luogo privilegiato e CSM come luogo della non cura
Più favorevole rapporto numerico staff/utenti
Possibilità di selezione all’ingresso
Non obbligatorietà della risposta
Maggiore costanza della domanda e conseguente programmazione del lavoro
Meno frequente necessità di confrontarsi con crisi, violenza, trasgressione grave e rifiuto delle cure
CD versus CSM
Conseguenza: sospetto e competizione
Chi lo conosce “davvero” ?
Chi gli dà le “buone cure” ?
Chi articola il progetto ?
Chi sta dalla sua parte ?
CD versus CSM
Soluzioni possibili
CD nel CSM
Unicità dell’organico e non selezione dell’utenza
Riflessioni comuni e integrazione dei progetti
CSM versus SPDC
Problemi
Provvisorietà del SPDC e carattere puntiforme del CSM
“quelli che legano e bombardano” e “quelli che se ne fregano”
“quelli col camice bianco” e “gli assistenti sociali”
“quelli che buttano fuori” e “quelli che non cercanoaltre soluzioni”
“quelli che non ci dicono le cose quando si escee quando si entra”
CSM versus SPDC
Conseguenza: sospetto e competizione
Chi lo conosce “davvero” ?
Chi gli dà le “buone cure” ?
Chi articola il progetto ?
Chi sta dalla sua parte ?
CSM versus SPDC
Soluzioni possibili
Centro Crisi nel CSM
Presenza di “figure a scavalco”
Guardie e reperibilità comuni in SPDC (versus ?)
Momenti di incontro e di formazione comuni
SPDC versus CD
Problemi
Lo “spazio del gioco” e lo “spazio della noia”
“quelli che lo mollano quando va in crisi” e “quelliche più di un’occhiata non gli danno”
“quelli che possiamo fare tutto da noi” e “quelliche finché sta male se lo tengano”
SPDC versus CD
Conseguenza: sospetto e competizione
Chi lo conosce “davvero” ?
Chi gli dà le “buone cure” ?
Chi articola il progetto ?
Chi sta dalla sua parte ?
SPDC versus CD
Possibili soluzioni
Portare il CD dentro
Portare lui fuori
Residenzialità versus CSM
Problemi
“quelli che non vengono mai a trovarlo” e “quelliche prendono solo chi comoda a loro”
“quelli che meglio di qui dove puoi andare” e “quelliche è sempre troppo presto per farlo uscire”
Residenzialità versus CSM
Conseguenza: sospetto e competizione
Chi lo conosce “davvero” ?
Chi gli dà le “buone cure” ?
Chi articola il progetto ?
Chi sta dalla sua parte ?
Residenzialità versus CSM
Possibili soluzioni
Prossimità geografica
Gradualità della risposta residenziale
Integrazione e turnover degli organici
Residenzialità versus SPDC
Problemi
“quelli che legano e bombardano” e “quelliche al primo colpo di tosse lo mandano qui”
“quelli che non siamo l’ultima spiaggia” e “quelliche solo alti, biondi e belli”
“quelli che non lo vogliamo più indietro” e “quelliche adesso dove lo mettiamo, non possiamo restarenoi con il cerino acceso”
Residenzialità versus SPDC
Conseguenza: sospetto e competizione
Chi lo conosce “davvero” ?
Chi gli dà le “buone cure” ?
Chi articola il progetto ?
Chi sta dalla sua parte ?
Residenzialità versus SPDC
Possibili soluzioni
Condivisione delle responsabilità
Selezione ragionata degli ingressi
Residenzialità versus CD
Problemi
Famiglia che “non regge”
“non possiamo chiedergli troppo”
“e se poi salta ?”
“non è in grado di andare”, “non è in grado di venire”
Ignoranza reciproca e settorialità
Residenzialità versus CD
Conseguenza: sospetto e competizione
Chi lo conosce “davvero” ?
Chi gli dà le “buone cure” ?
Chi articola il progetto ?
Chi sta dalla sua parte ?
Residenzialità versus CD
Possibili soluzioni
Figure di cerniera
Momenti di incontro e di formazione comuni
Coinvolgimento della famiglia