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La scuola che cambia: dall'aggressività alla · La scuola che cambia: dall'aggressività alla gestione costruttiva dei conflitti competenze sociali, prevenzione e gestione dei conflitti

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La scuola che cambia:dall'aggressività alla gestione costruttiva dei conflitti

competenze sociali, prevenzione e gestione dei conflitti nella scuola digitale

a cura di Renato Briante

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LA SCUOLA CHE CAMBIA: DALL'AGGRESSIVITÀ ALLA GESTIONE COSTRUTTIVA DEI CONFLITTIcompetenze sociali, prevenzione e gestione dei conflitti nella scuola digitalea cura di Renato Briante

Pubblicazione realizzata nell’ambito del Progetto “GUICHETS ANTIVIOLENCE POUR LES MINEURS” (JUST/2010/DAP3/AG/1377) Finanziato dal Programma DAPHNE III dell’Unione Europea 2011-2013

Ente capofila: CRESMCoordinatrice del progetto: Annamaria Frosina

"This publication has been produced with the financial support of the DAPHNE Programme of the European Union. The contents of this publication are the sole responsibility of Provincia Regionale di Trapani and can in no way be taken to reflect the views of the European Commission."

Progetto grafico e impaginazione:Maria Pia Zinnanti

Foto di copertina: Rita Alagna

Altre foto: Archivio CRESM - Gabriella Ebano

Stampa: fashiongraphic - Gibellina (TP)

Dicembre 2012

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Indice

PREMESSA

Il quadro etico e storico di riferimento. Un percorso che viene da lontano

Lorenzo Barbera 7

INTRODUZIONE

La costruzione del progetto

Annamaria Frosina, Romano Mazzon 13

LE FASI DEL PROGETTO

La centralità dell’esperienza scolastica

Laura Gilli 27

La formazione nelle scuole del Trapanese

Laura Gilli, Giuseppina Sutera, Giovanna Triolo 35

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La formazione a Dublino

Jeraldine Richardson, Michael Conlon 47

Lo strumento degli atelier Atelier O.N.S.A.

Rosanna Frosina 51

“Non di solo rabbia …” atelier strategico sul riconoscimento delle emozioni

Laura Gilli 61

Atelier “Laboratorio per ragazzi sulle tecniche di mediazione”

Sutera Giuseppina, Giovanna Triolo 65

LA VALUTAZIONE DELLE ESPERIENZE

Joelle Timmermans, Giovanni Ghibaudi 69

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LE METODOLOGIE OPERATIVE

JoelleTimmermans, Giovanni Ghibaudi 97

I LINGUAGGI POSSIBILI

Sperimentazione virtuale: la mediazione attraverso i giochi di ruolo virtuali negli ambienti virtuali 3 D

Marilena La Placa 113

La comunicazione al tempo della net-generation

Romano Mazzon 163

LA MEDIAZIONE DELL’APPRENDIMENTO

O.N.S.A obiettivi non specifici di apprendimento

Rosanna Frosina 171

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DUE MODELLI DI GOVERNANCE

La mediazione di comunità

Renato Briante 177

IL PATTO DI SICUREZZA LOCALE DI DUBLINO

Michael Mernagh 217

VERSO NUOVE PROSPETTIVE

la “Scuola che cambia”: per la costruzione di una nuova comunità didattica

Gabriella Ebano, Annamaria Frosina 223

CONCLUSIONI

Alessandro La Grassa 229

AUTORI 237

BIBLIOGRAFIA 238

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Premessa

IL QUADRO ETICO E STORICO DI RIFERIMENTO. UN PERCORSO CHE VIENE DA LONTANOLorenzo Barbera, Presidente onorario del Cresm

Le persone, le famiglie e i gruppi sociali più deboli,

quando non sono ignorati o identificati come fastidi,

intralci o nemici di cui liberarsi, vengono quasi

sistematicamente considerati e trattati come puri oggetti

di assistenza da istituzioni locali e centrali, da organismi

di assistenza sociale, da gruppi di volontariato. Pur

riconoscendo che in situazioni di emergenza e in una

serie di casi specifici l’intervento assistenziale può essere

indispensabile e risolutivo, le istituzioni e i soggetti privati

impegnati nella costruzione di sistemi di welfare solidali

integrati e permanenti devono andare ben oltre e

considerare e trattare le persone, le famiglie e i gruppi

sociali più svantaggiati come preziosi valori aggiunti

capaci di produrre ricchezza sociale, economica,

culturale, scientifica, tecnologica, ambientale, oltre che di

autogestire e superare le proprie difficoltà e i propri limiti.

Primo obiettivo, quindi, deve essere la loro liberazione

dalla dipendenza. L’assistenza pubblica e privata,

consapevolmente o inconsapevolmente, molto spesso

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accresce e consolida la dipendenza degli svantaggiati

anziché ridurla e cancellarla. In molti casi questa

assistenza crea sistemi di dipendenza tali da impedire agli

assistiti il libero esercizio della cittadinanza.

La liberazione dalla dipendenza può essere meglio

perseguita attraverso un processo di sviluppo locale

integrato e sostenibile cui partecipino in modo

responsabile e solidale tutti i rami della società civile e

istituzionale.

Obiettivi fondamentali di questo sviluppo sono:

a. la partecipazione di donne e uomini di tutte le età di

ogni collettività locale: bambini e ragazzi della scuola

dell’obbligo, giovani delle scuole superiori e

dell’università, lavoratori e imprenditori del mondo

agricolo, marino, artigiano, industriale turistico e degli

altri servizi, dei disoccupati, dei pensionati, degli

i m m i g r a t i , d e i c o s i d d e t t i d i s a b i l i , d e i

tossicodipendenti, nonché di dipendenti, dirigenti e

politici delle istituzioni locali e di tutti gli altri servizi

istituzionali, compresa la sanità, la pubblica sicurezza,

la gestione delle acque, dei rifiuti, dell’energia, ecc...

Ogni persona che partecipa concorre in modo

consapevole e responsabile alla qualità, alla

molteplicità, all’efficacia, alla condivisione e alla

coesione di programmi e progetti grandi e piccoli

settoriali e trasversali, generali e particolari;

b. la integrazione tra pubblico e privato; tra attività

produttive e servizi; tra lavoro e formazione; tra i vari

settori e comparti di attività economica; tra ricerca e

attività produttive; tra scuola e territorio; tra welfare,

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economia, educazione formazione scienza tecnica e

tecnologia; tra passato, presente e futuro; tra saperi e

saper fare; tra qualità ambientale qualità sociale

qualità culturale; tra la collettività locale e le

collettività di altri territori vicini e lontani. Naturalmente

la partecipazione è la strada maestra per realizzare un

processo permanente di incontro e integrazione;

c. la sostenibilità ambientale, sociale, etica ed

economica come sistema di valori condiviso da tutte

le persone della comunità locale, qualunque sia il loro

ruolo nella società civile e istituzionale.

Ciascuna delle quattro sostenibilità può essere definita

come segue.

La sostenibilità ambientale impegna tutti i cittadini e tutte

le istituzioni a curare che:

- ciascuna attività, pubblica o privata, non arrechi danno a

chi la svolge, ai destinatari dei beni e dei servizi prodotti e

a tutti coloro che, direttamente o indirettamente, verranno

in contatto con essi.

Ogni attività, inoltre, non deve arrecare danno alla terra,

all’acqua e all’aria;

- tutti i rifiuti urbani, agricoli, industriali, ecc. siano

sistematicamente vissuti da tutti gli abitanti, a partire dai

bambini della scuola materna, come risorse da riciclare

nel proprio territorio e che, di conseguenza, siano

effettivamente riciclati.

- si persegua l’autosufficienza energetica del proprio

territorio, producendo energie pulite rinnovabili (solare,

fotovoltaico, geotermico, biomassa, idrogeno, ecc.);

- si protegga e si restauri il proprio patrimonio edilizio rurale

e urbano, non solo quando è di valore monumentale, ma

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anche quando è semplice testimonianza del vivere,

dell’abitare del lavorare nostro e dei nostri antenati.

Le strade, le piazze, e tutti gli altri spazi pubblici,

unitamente all’arredo urbano e alle facciate del nostro

patrimonio edilizio, costituiscono il salotto condiviso di

tutti gli abitanti in cui vengono accolti i visitatori della

nostra città e del nostro territorio;

- tutti gli abitanti conoscano la storia, il patrimonio

archeologico, artistico, culturale, geologico, speleologico,

naturalistico, agricolo, marinoartigiano, industriale,

tecnico, tecnologico e scientifico del loro territorio.

Tale conoscenza è presupposto indispensabile per

innervare efficacemente nel territorio i talenti, le vocazioni,

le competenze degli abitanti, rendendo così questi ultimi

capaci di entrare in relazione feconda e interattiva con

altri territori vicini e lontani.

La sostenibilità sociale di un territorio è reale e buona

quando tutti gli abitanti, dai bambini agli anziani, operano

affinché nessuno sia escluso dalla partecipazione alla

produzione di ricchezza economica, sociale, scientifica,

tecnica, tecnologica e culturale. E, cioè, nessuno, deve

essere abbandonato o consolidato in una condizione di

dipendenza. Ogni collettività territoriale organizzerà la sua

vita, la sua città, le sue case, i suoi ambienti di lavoro, le

sue attività, i suoi programmi e i suoi progetti in modo che

ogni portatore di svantaggio possa parteciparvi secondo

la sua vocazione e i suoi talenti e, cioè, sia un prezioso

valore aggiuntocome tutti gli altri. Ogni territorio, al fine di

liberare ogni persona e ogni gruppo sociale in difficoltà,

non si limiterà ad adottare le soluzioni escogitate altrove,

ma, attraverso ricerche e sperimentazioni specifiche,

troverà soluzioni pertinenti, puntuali e innovative.

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Il welfare, quindi, non può essere concepito e trattato

come una variabile indipendente dalle varie attività

economiche, culturali, di ricerca, istituzionali, educative,

formative, ludiche, ecc., ma piuttosto come una

dimensione imprescindibile di ciascuna di esse. E, del

resto, anche tutte

queste attività, per essere di qualità non possono

prescindere dalla sostenibilità sociale e ambientale.

La sostenibi l i tà et ica e pol it ica implica che i

comportamenti di tutti i cittadini di un territorio siano

improntati all’onestà e alla rettitudine e l’operatodi ogni

soggetto istituzionale, oltre a essere onesto e retto, sia

anche limpidamente trasparente. L’ostacolo principale è

la corsa verso la ricchezza e verso il potere. Questa corsa

con un eufemismo viene chiamata competizione

economica, politica, scientifica, tecnologica, sportiva,

ecc.. In effetti si tratta di una guerra continua le cui vittime

sono sistematicamente i più deboli. Come in tutte le

guerre il fine giustifica i mezzi. Così l’onestà e la

rettitudine sono considerate ingenuità, se non stupidità.

Mentre la furbizia, la scorrettezza, l’assenza di

trasparenza, la bugia, la truffa, l’inganno, la corruzione…

sono considerati armi legittime per la corsa alla ricchezza

e al potere.

La stragrande maggioranza di soggetti finanziari,

imprenditori e politici e gli strumenti mediatici che

controllano sono i nemici mortali della sostenibilità etica e

politica. E ciò anche perchè essi si propongono

quotidianamente come il modello, il firmamento di stelle

luminose a cui tutti, compresi i più deboli, possono

aspirare. E i più deboli, proprio perché tali, sono le vittime

più vulnerabili.

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Non è eticamente e politicamente sostenibile un sistema

scolastico e universitario il cui corpo docente non adotti il

territorio dei loro alunni come principale libro di testo cui

applicare tutte le discipline con la massima tensione e

attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale.

Senza tale adozione il sistema scolastico e universitario

concorrono allo sradicamento delle nuove generazioni,

che, così non adotteranno i loro territori come bacini di

ricchezza economica sociale storica culturale naturalistica

cui applicare i loro talenti, vocazioni e competenze.

Alunni e studenti protagonisti di ricerca scoperte e

progetti nel proprio territorio cresceranno con una forte

identità versatilità progettualità e competenza che

spenderanno efficacemente non solo nel loro territorio,

ma in qualunque angolo del pianeta. L’attuale approccio

didattico del corpo docente

per divenire eticamente e politicamente sostenibile ha

bisogno di interiorizzare ed elevare notevolmente la sua

missione e la sua passione pedagogica.

Il sistema degli Enti Locali in Sicilia non è sostenibile sul

piano etico e politico, dato che, nella stragrande

maggioranza dei casi i sindaci, gli assessori e i consiglieri

comunali non sono impegnati a chiamare i cittadini a

divenire protagonisti di programmi progetti e iniziative

mirati alla sostenibilità sociale e ambientale, ma piuttosto

a tessere clientele, attraverso cui accrescere potere e,

spesso, ricchezza.

La sostenibilità economica si realizza quando i beni e i

servizi prodotti dalle singole persone e dalle collettività

locali sono sufficienti a soddisfare i loro bisogni e, nello

stesso tempo, sono basate accuratamente sulle

sostenibilità ambientale, sociale ed etico-politica e non

contro di esse.

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Introduzione

LA COSTRUZIONE DEL PROGETTO

La scelta metodologica Annamaria Frosina

Alla fine degli anni i ’70, si assiste ad un aumento della

violenza non soltanto nella società in generale, ma anche

nelle istituzioni scolastiche. Tale fenomeno si caratterizzò

per la crescita di aggressioni fisiche, estorsioni, atti di

vandalismo, comportamenti e attitudini antisociali e

atteggiamenti offensivi e maleducati.

Alcuni studi dimostrarono che la causa principale della

proliferazione di questi atti di violenza nelle scuole era

l’indebolimento della solidarietà e la disgregazione della

stessa comunità scolastica. In quel periodo, la comunità

scientifica sottolineò che tale violenza accelerava il

processo di atomizzazione della società, che creava

sfiducia, paura e risentimento. Il risultato era che lo

studente tendeva a ripiegarsi su se stesso, o si aggregava

ad un sotto-gruppo, restringendo i suoi campi d’azione, le

discussioni e lo scambio di idee e la partecipazione ad

attività comuni.

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In quel periodo, lo studioso Jean-Pierre Bonafè-Schmitt,

coinvolto nell’analisi di questo fenomeno, elaborò un

nuovo modello di mediazione dei conflitti alternativo al

modello autoritario e disciplinare applicato in quel tempo,

basato sulle punizione e sanzioni che producevano

processi di stigmatizzazione e espulsione.

Il modello di “mediazione tra pari”, introdotto da Bonafé-

Smith nelle scuole, prevedeva una “zona neutra” dove i

conflitti sono trattati e dove attori della comunità

educativa si riuniscono, in modo da arrivare ad un

accordo attraverso la mutua comprensione dei bisogni e

degli interessi comuni.

Riguardo la violenza nelle scuole, Bonafé-Schmitt

sostiene, ancor oggi, che l’incremento di atti di bullismo,

aggressioni fisiche, vandalismo riflettono una crisi

strutturale del sistema. Egli afferma, inoltre, che sarebbe

illusorio credere che le cause di questi atti di

prevaricazione siano dovuti a semplici problemi di

inefficienza, come la mancanza di risorse (docenti,

supervisori,.....) o a programmi di studio e metodi di

insegnamento obsoleti (metodi attivi, competenze di

base).

Egli giudica questa visione, eccessivamente funzionalista,

non interpreta la crisi della scuola che è più profonda e

che è comunque soltanto un aspetto di una crisi più

generale che colpisce tutti i settori della vita sociale, i

nostri sistemi di regolazione sociale e le modalità di

risoluzione dei conflitti. Quindi, la legge, come la giustizia,

sono sempre più chiamate a regolare i conflitti che

rientrano all'interno di quella che Habermas chiama la

sfera del mondo vitale, che comprende anche la scuola.

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"Le rappel à la loi" 1 diventa, la parola d'ordine della

politica di prevenzione della violenza scolastica. Per

gestire la violenza nelle scuole stiamo di fatto assistendo

ad una abdicaz ione de l l ’educatore in favore

dell’avvocato.

Per Bonafé-Schmitt questa situazione dimostra la

necessità di sviluppare meccanismi di regolazione sociale

a livello istituzionale, al fine di (ri)creare le condizioni per la

ristrutturazione di una vera scuola di comunità. E’

necessario, quindi, programmare azioni che creino nuovi

luoghi, strutture, programmi educativi (conoscenza,

apprendimento, ma anche ascolto, comunicazione

comprensione...). Questi programmi devono coinvolgere,

non solo tutti i membri della comunità scolastica

(insegnanti, alunni, genitori), ma anche i professionisti che

lavorano nelle istituzioni sociali, la polizia giudiziaria, etc,

per creare strutture intermedie, per lottare contro il

processo di atomizzazione della comunità scolastica e,

soprattutto, per creare nuove forme di solidarietà tra

studenti e tra studenti e la comunità educativa.

E’ sua convinzione che questo tipo di struttura é in grado

di prevenire il fenomeno del bullismo, di facilitare la

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1 Le rappel à la loi est, en droit français, une mesure qui permet de « procéder au rappel auprès de l'auteur [d'une infraction] des faits des obligations résultant de la loi  » (article 41-1 du Code de procédure pénale).Par cette mesure, l'auteur de l'infraction peut échapper à des poursuites judiciaires, le procureur de la République lui signifiant simplement son tort au regard de la loi.Le rappel à la loi n'est pas mentionné dans le casier judiciaire dans la mesure où il ne s'agit pas d'une condamnation. En revanche, le rappel à la loi suspend la prescription de l'action publique ce qui permet éventuellement à une victime de demander réparation de ses préjudices. Il faut toutefois noter que cette mesure d'alternative aux poursuites judiciaires est généralement choisie par le procureur lorsque les faits ne sont pas graves et généralement lorsqu'il n'y a pas de victime.Par ailleurs, en cas d'échec ou de récidive, le procureur peut alors mettre en œuvre une composition pénale ou engager des poursuites judiciaires. (fr.wikipedia.org)

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collaborazione, l’ascolto e la solidarietà tra pari, e di

ricostituire una vera comunità scolastica.

Essenziale in questo processo educativo, è la figura del

"mediatore scolastico, come terzo neutrale", che

ristabilisce il dialogo tra le parti, con l'intento di

riorganizzare le relazioni in un modo che sia accettabile

per coloro che sono coinvolti nel conflitto. Attraverso la

creazione di un clima di fiducia, il mediatore propone una

visione alternativa al conflitto, e costruisce tali condizioni

che consentano alle parti in causa di (ri) ottenere, in modo

creativo e responsabile, le competenze decisionali

attraverso la comprensione delle loro emozioni e di quelle

degli altri. Nello stabilire un clima di fiducia, il mediatore

offre una visione alternativa del conflitto, impedendo la

sua degenerazione in atti di violenza. Inoltre, nel processo

di mediazione, il conflitto diventa una fonte di

apprendimento che aiuta i contendenti a sviluppare nuove

forme di solidarietà (Ciurlia, Lucatello, 2008).

La mediazione scolastica mira a creare una nuova

modalità relazionale tra alunni e insegnanti e tra la scuola

e la famiglia. In effetti, la mediazione partecipa alla

costruzione di un nuovo ordine nelle istituzioni

scolastiche, collocato a metà strada tra un ordine

imposto e un ordine negoziato. Questo non significa che

tutto può essere negoziato, o che ogni decisione

dovrebbe essere negoziato, ma solo che gli studenti sono

autorizzati a partecipare direttamente alla costruzione di

questo ordine intermediario, a partire non da vincoli

esterni, imposti dagli adulti, ma dalle decisioni prese dalle

parti in conflitto, al fine di risolvere il conflitto stesso

(Bonafè-Schmitt, 1996).

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Il progetto

Il progetto "Guichets Antiviolenza pour les Mineurs" è la

continuazione di un precedente progetto di mediazione

sociale, denominata "Territorial Network for the Mediation

of Conflict, TNMC", che ha già visto la collaborazione del

CRESM, le Città di Castelvetrano e Marsala, le due

associazioni, Amely e SICCDA. Dai risultati ottenuti e le

criticità individuate, durante la realizzazione di TNMC, si è

evidenziata la necessità di capitalizzare le esperienze di

mediazione scolastica tra pari. Questa convizione è stata

rafforzata dai risultati ottenuti attraverso un'indagine

condotta dalla partnership, nazionale e transnazionale, in

Italia e in altre nazioni europee, che ha dimostrato che i

problemi più critici nelle loro comunità, sono quelli legati

ai giovani (disagio giovanile, violenza fisica e psiclogica, 

bullismo, vandalismo, abbandono scolastico, ecc).

A seguito di queste riflessioni sono state contattate

diverse istituzione scolastiche in provincia di Trapani e a

Dublino, operatori del sistema giudiziario minorile, servizi

sociali del territorio, trovando da parte loro disponibilità

per sperimentare un modello di mediazione scolastica tra

pari nei rispettivi territori, arricchendo tale sperimentazione

con il contributo di esperienze maturate in altri Paesi. Da

qui la necessità di intraprendere un percorso di

sensibilizzazione e formazione teso allo start-up di

Sportelli di mediazione scolastica all'interno delle scuole.

In collegamento con il programma"Daphne III" è nata

anche l’esigenza di individuare pratiche comuni in grado

di allineare i loro processi istituzionali sulla prevenzione e

gestione dei conflitti in ambito minorile.

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In Italia, in ambito minorile, è Torino la città in cui si sono

sviluppate le esperienze più significative nell'ambito della

mediazione scolastica e penale, sia attraverso

l'esperienza diretta del Gruppo Abele con i centri di

gestione e mediazione dei conflitti e il lavoro di

formazione con adulti e studenti, sia con le attività svolte

dal Centro di Mediazione della Città di Torino2 coordinato

da Giovanni Ghibaudi. Per l’esperienza siciliana, quindi, si

decide di adottare la loro metodologia facente capo alla

scuola di Bonafè Schimtt e a quella della scuola umanista

di Jacqueline Morineau. Mentre in Italia è stata seguita

esclusivamente la metodologia della mediazione

scolastica tra pari, in Irlanda è stata scelta anche la

metodologia “Restorative Practices” incentrata sull’uso

del Cerchio.

Complessivamente sono stati formati 225 giovani

mediatori e 40 adulti referenti .

Molteplici sono stati gli obiettivi del progetto: la

sensibilizzazione e l’educazione alla cultura della non-

violenza e del rispetto per un reale recupero di valori

solidaristici e di sicurezza sociale all’interno della

comunità scolastica per arginare fenomeni di dinamiche

patologiche di  gruppo come le aggressioni fisiche, il

racket, il vandalismo e il bullismo.

Il progetto ha previsto atelier, seminari, conferenze e

dibattiti per sensibilizzare sul fenomeno della violenza,

degli abusi domestici, sulle dinamiche del bullismo nelle

scuole e sulla mediazione pacifica dei conflitti. Sono stati

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2 La sperimentazione sull’attività di mediazione in ambito penale minorile, a Torino, è iniziata - prima esperienza in Italia - nel gennaio 1995.

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utilizzati, come strumenti operativi, il linguaggio e il ruolo

dei mezzi multimediali e dei social network, la

sperimentazione virtuale 3D, i metodi open source,

l’alfabetizzazione delle emozioni, l’individuazione di

m e t o d i d i d a t t i c i s p e c i fi c i s u l l a m e d i a z i o n e

dell'apprendimento, sulla mediazione penale e la giustizia

riparativa  e sul ruolo delle istituzioni pubbliche e private.

Questi programmi,  hanno coinvolto l’insieme dei membri

della comunità educativa (insegnanti, alunni, genitori), ma

anche i professionisti del sociale, della giustizia e della

polizia, e vogliono contribuire a creare nuove forme di

solidarietà tra gli alunni ma anche con l’intera comunità

educativa.

Le attività progettuali hanno portato all’apertura di

sportelli di mediazione all’interno delle scuole gestiti

direttamente dai ragazzi in provincia di Trapani e a

Dublino. In tal modo gli stessi alunni, saranno in grado di

prevenire e gestire situazioni di conflitto tra i propri pari

che si generano all’interno delle classi.

Grazie alla peer mediation, i ragazzi, appositamente

formati da un mediatore scolastico, aiutano i loro

compagni coinvolti in conflitti o prevaricazioni a trovare

una soluzione che soddisfi tutte le parti in causa. Mediare

significa, per le parti coinvolte, avere la possibilità di

esprimere il proprio punto di vista, le proprie emozioni, le

proprie paure, le proprie motivazioni, ascoltando e

accogliendo anche quelle presentate dagli altri. Infine se

le parti lo desiderano potranno trovare una soluzione,

risultando, così, tutti vincenti.

E’ un metodo efficace per sviluppare in modo positivo e

creativo i rapporti interpersonali, per diffondere la cultura

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della non violenza, della tolleranza e della pace. Mostra ai

giovani ed agli adulti quanto sia importante imparare ad

accettare l’altro, accoglierlo, ascoltarlo ed essere

ascoltati.

Con la formazione in 3D inoltre, studenti, insegnanti e altri

professionisti hanno sperimentato le tecniche della

mediazione all'interno di un ambiente virtuale.

I giochi di ruolo nell’OpenSimulator, una piattaforma

simile a una Second Life, si sono svolti in un ambiente

sicuro e protetto per i minori.

Nelle scuole della provincia di Trapani e di Dublino, dove il

progetto è stato sviluppato,  per la risoluzione pacifica dei

conflitti si potrà contare sull'aiuto di ben 225 mediatori tra

pari ed i giovani mediatori della scuola saranno chiamati

ad assolvere al loro compito con serietà e professionalità.

Così l’istituzione scolastica, ricostituita come reale

comunità, grazie a tale progetto, potrà essere realmente

considerata luogo ideale di socializzazione e risoluzione

pacifica dei conflitti.

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Partnership e Qualità del progetto Romano Mazzon

La partnership che è stata definita in questo progetto ha

inteso unire una serie di competenze che potessero

contare su una comprovata esperienza nel campo della

risoluzione dei conflitti con una particolare attenzione al

mondo de l l ’ i n fanz ia , de l la p reado lescenze e

dell’adolescenza.

Nella discussione che ha portato alla definizione del

progetto si è inteso porre attenzione a quei soggetti che

nei territori si occupano di mediazione tra pari sia

direttamente come operatori che per mandato

istituzionale. L’attenzione è stata rivolta anche alle

modalità di interazione tra i ragazzi non potendo non

considerare che vengono ormai definiti come la

generazione digitale.

I partner coinvolti avevano già avuto esperienze comuni in

progetti passati per cui la discussione sui temi e sulle

modalità di attuazione del progetto hanno trovato un

mileau già condiviso.

Tale condivisione era presente sia a livello nazionale che

transnazionale e ha permesso di procedere rapidamente

alla definizione di un programma operativo.

In questo contesto il lato istituzionale, la Provincia di

Trapani, e quello operativo, Gruppo Abele, SICCDA,

Mediante e CRESM, hanno da subito condiviso

l’approccio nonviolento alla risoluzione dei conflitti per

promuovere una cultura della convivenza e della coesione

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sociale in territori dove le condizioni socio-economiche

spingono a una risoluzione violenta delle controversie che

non produce alcun risultato se non il perpetuarsi del

sopruso, dentro e fuori le istituzioni.

Per meglio diffondere tale principi di nonviolenza e di

relazioni costruttive nei ragazzi, si è coinvolto il gruppo di

Cineca che grazie all’esperienze maturate ha potuto

fornire uno strumento educativo che ben si adatta a

questa nuova generazione digitale, potendo predisporre

una piattaforma interattiva on-line.

Questa unione di esperienze pratiche nei territori e di

conoscenza dei nuovi canali comunicativi ha dato origine

a questo progetto che ha l’ambizione di portare a un vero

cambiamento culturale che, partendo dalla scuola e dai

gruppi di pari, possa influire sulla cultura dei territori in cui

viene attuato, promuovendo la coesione sociale e, quindi,

uno sviluppo sostenibile, secondo quanto promosso

dall’Unione Europea, in ambito economico, sociale ed

ambientale.

Fin dalle prime fasi progettuali è stato ben chiaro a tutti i

partner che il progetto, per le peculiarità dei territori

prescelti per la sperimentazione, doveva poter contare su

un’assoluta condivisione degli obiettivi da raggiungere e

delle modalità per farlo.

Proporre un modello nonviolento di risoluzione dei conflitti

a ragazzi che sono cresciuti in ambienti in cui la violenza

e la prevaricazione possono apparire modelli vincenti

richiede che chi propone questo nuovo modello culturale

debba essere, per primo, convinto che l’unico sistema di

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vera risoluzione del conflitto risieda nell’apertura di canali

relazionali di discussione tra le parti coinvolte.

Il secondo punto che è parso centrale è stata la necessità

di un coinvolgimento attivo dei diversi stakeholder. Per

questo motivo si è effettuata una mappatura precisa di

tutti quei soggetti, istituzionali e della società civile, che,

in qualche misura sono coinvolti nel mondo dei ragazzi.

Infatti, in caso contrario, il progetto e i suoi obiettivi, per

quanto ben articolati, sarebbero apparsi, agli occhi dei

ragazzi, come un’isola a sé non trovando conferme nel

mondo che li circonda e che decide anche per loro. Solo

in questo modo si è ritenuto possibile promuovere un

model lo che non punt i su l la repressione dei

comportamenti o sulla loro occultazione ma, bensì,

consideri la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti e

della loro rete sociale in una discussione aperta e franca

che permetta di trovare al suo stesso interno la soluzione.

Per questo motivo si è messa in atto un’opera di

sensibilizzazione che portasse alla condivisione più ampia

possibile non solo degli obiettivi ma anche dei principi

guida di questa modalità di risoluzione delle controversie.

Questa condivisione permetterà, al termine del progetto,

che i risultati ottenuti e le modalità con cui questi sono

stati raggiunti, entrino nella quotidianità grazie ad un

impegno delle istituzioni e di tutti coloro che operano a

stretto contatto con il gruppo target. Per raggiungere

questo obiettivo si è reso necessario, da un lato, definire

obiettivi precisi che possano essere condivisi con i diversi

stakeholder e, dall’altro lato, un’opera di coordinamento

delle azioni che non le facesse apparire come una

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sommatoria progressiva ma che mantenesse sempre una

visione di insieme.

Il legame tra progetto e territorio viene inteso come

qualità emergente, una qualità in grado di ridefinire anche

le relazioni, e i prodotti di queste, nel dialogo tra istituzioni

e società civile promuovendo una crescita innovativa nella

modalità di gestione e risoluzione dei conflitti.

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Le fasi del progetto

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La centralità dell’esperienza scolastica Laura Gilli

“La scuola rappresenta un aspetto importante nella vita di

ogni persona, in particolare nella giovane età: essa, infatti,

non è soltanto un luogo di apprendimento, ma anche uno

spazio di aggregazione, un momento di forte

socializzazione, di confronto, di scontro e di incontro tra

bambini e bambine, tra ragazzi e ragazze, tra giovani e

adulti”.3

Se fino al secolo scorso la scuola veniva considerata

esclusivamente l’istituzione deputata a diffondere

l’alfabetizzazione e la cultura, oggi le dinamiche che stanno

contribuendo a ridefinirne il profilo, non fanno altro che

confermare responsabilità educative e sociali decisamente

più impegnative. Vanno infatti cristallizzandosi in questa

istituzione gran parte delle tensioni che emergono dalla

società ed è per questo che diventa fondamentale

promuovere al suo interno comportamenti responsabili che

si rivelino in grado di diffondere la cultura dell’incontro, del

rispetto, dell’accettazione e della solidarietà.

La scuola è quindi il principale mezzo di trasmissione della

cultura e quindi strumento indispensabile per la

costruzione della cittadinanza, intesa come spirito di

appartenenza e partecipazione alla vita sociale. Insieme

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3 Cfr. Macramé Diritto 6 dovere allo studio, n 1 /2002

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all’educazione ricevuta in famiglia, la scuola è il luogo nel

quale si conoscono e si praticano i principi e i valori su cui

si basa la convivenza tra gli esseri umani.

Si è capito che nella scuola è diventato fondamentale

guardare l’allievo nella sua globalità, fatta non solo di

pensieri e conoscenze, ma anche di sentimenti ed

emozioni, di relazioni con se stesso e con gli altri, per

aiutarlo a crescere in una società sempre più complessa;

per far ciò è necessario spostare l’attenzione sulla

“persona” cercando di trovare il giusto equilibrio tra

obiettivi socio-affettivi e cognitivi.

Si presuppone di avere una visone dell’ambito educativo

non solo come luogo di trasmissione del sapere, ma uno

spazio di educazione che diventi un laboratorio di socialità

in cui i ragazzi sperimentano luoghi di scambio sociale,

dinamiche relazionali, territori di identità su cui incontrarsi,

confrontarsi e scontrarsi”

Nei primi anni della scuola materna ed elementare si esce

dal ventre protettivo della famiglia e si impara direttamente

cosa voglia dire stare insieme agli altri, condividere spazi,

tempi ed oggetti..

“La scuola ha il compito di insegnare, è vero, ma non più

nozioni, espressioni matematiche, ricorrenze storiche o

quanto altro. Insieme alla famiglia, ha il compito, di

insegnare a vivere”.4

Ma la scuola è anche uno dei luoghi, dove più facilmente

avvengono conflitti a causa del numero elevato dei

soggetti che in essa confluiscono: alunni, genitori,

insegnanti, dirigenti, personale non docente, operatori

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4 Lozzi M: Prefazione (a cura) del vol. “Mediatori Efficaci Come gestire i conflitti a scuola.“K.J. Duden Ed La Meridiana

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esterni e anche a causa del prolungato tempo che si passa

al suo interno: come mostra, infatti, una analisi sociologica

della crisi del sistema scolastico seguita da J.P. Bonafè-

Schmitt e dalla sua equipe di ricercatori di Lyon emerge

“che la crisi della scuola non è che una delle sfaccettature

della crisi più generale in tutti i settori della vita sociale”.5

Crisi del sistema e nuovi percorsi di gestione

La ricerca di nuove strade da percorrere rispetto ai conflitti

è sovente motivata da forte disagio dei docenti provocato

non solo dai litigi tra allievi ma anche dalla percezione della

propria incapacità ad una reazione adeguata di fronte ad

una situazione difficile.

La tensione che si crea è spesso causa di abbandono

scolastico o scarso rendimento: gli insegnanti si sentono

inadeguati ed impotenti ad affrontare queste problematiche

e spesso ricorrono a provvedimenti disciplinari che hanno

la finalità di ristabilire l’ordine ma non di indagare le ragioni

profonde del conflitto. “Potrebbe essere invece utile iniziare

un percorso di autoconsapevolezza e autodisciplina che

conduce gradualmente all’autocontrollo passando

attraverso la ricezione di modelli positivi. Uno dei percorsi

possibili è la mediazione scolastica, un processo capace di

indicare ai ragazzi, ai bambini, ai docenti ai genitori… un

29

5 Bonafe-Schmitt J.P “La mediation scolaire: une tecnique de la gestion de la violence ou un processus educatif?” Les cahiers de la mediation, Buotiques des droits de Lyon, Lyon 1996

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modo diverso di affrontare i conflitti, una strada alternativa

alla veemenza, all’ irruenza, alla violenza … nei rapporti

interpersonali”6

Si può considerare per mediazione scolastica una serie d’

iniziative svolte in istituti scolastici con lo l’obiettivo di

avvicinare gli allievi, i genitori e i docenti rispetto ad un

processo nuovo alla gestione dei conflitti”

La mediazione è una chiave di vita che aiuta a costruire uno

spazio sicuro in cui imparare a gestire i conflitti tra pari con

l’aiuto di una terza persona neutrale - il mediatore

scolastico – capace di guidare le parti alla composizione

dei loro conflitti attraverso forme morbide di consenso e

non più attraverso atteggiamenti impulsivi di dissenso.

Istruendo e responsabilizzando all’interno dei gruppi dei

pari alunni capaci di vestire i panni dei mediatori scolastici,

avremmo non solo alunni che aiutano gli alunni a superare

i rispettivi contrasti ma anche facilitatori di nuove relazioni

e forme di solidarietà all’interno di ogni scuola .

Per A. Baldry “La mediazione scolastica è un processo

volontario dove una terza persona neutrale aiuta le parti in

conflitto a trovare forme alternative per risolvere o

comunque affrontare il problema che le vede coinvolte.

Con la mediazione, le parti in conflitto hanno la possibilità

di parlare di sé, dei loro bisogni, desideri e paure che li

hanno portati a litigare. Il mediatore aiuta le parti a trovare

una soluzione che le veda entrambe soddisfatte; non

decide per loro, non si schiera da una parte o dall’altra, non

dice chi ha torto o chi ha ragione, bensì ascolta in maniera

attiva ciò che le parti esprimono, domanda quali sono i loro

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6 D’Alò – Mastro – Persano op.cit

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interessi sollecitandole a individuare possibili alternative per

affrontare il conflitto che si è creato”7.

La mediazione scolastica si innesta su un duplice e

interconnesso sistema di significati. Da una parte fornire

strumenti e supporto per rispondere a problemi immediati

con i quali si confrontano gli istituti scolastici, come la

violenza, il bullismo, i conflitti tra studenti, insegnanti e

famiglie; dall’altra favorire un cammino educativo attraverso

la diffusione di una nuova cultura della regolazione dei

conflitti, che favorisca la ri-scoperta della capacità di

comunicare, ascoltare, cooperare, gestire aggressività e

conflitti.

Per Bonafè-Schimtt la mediazione “rappresenta una

tecnica basata sull’apprendimento da parte degli allievi di

tecniche di comunicazione e di risoluzione dei conflitti al

fine di permettere loro di accrescere la loro responsabilità

per migliorare il clima scolastico, di aumentare la loro

cooperazione e quindi ridurre le tensioni e la violenza tra

compagni, rinsaldando la comunità scolastica”.8

Le finalità della mediazione scolastica sono quelle di fornire

degli strumenti agli allievi per poter in futuro gestire, in

maniera attiva e consapevole, i loro conflitti. Il suo compito

non è solo quello di occuparsi di situazioni o problemi

immediati, ma quello di creare spazi di confronto e

d’ascolto attivo tra insegnanti, genitori e alunni.

“Saper gestire i conflitti è una competenza che passa

attraverso un percorso di consapevolezza del sé proprio

emotivo e degli altri. Può essere insegnata e appresa ed è

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7. Baldry A.C –. Ardone R “Mediare i conflitti a scuola . Presupposti teorici e intervento psicosociale“ Roma Ed Carocci 2003

8 Bonafè-Schmitt J.P. in, La sfida della mediazione, Padova CEDAM 1997

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importante che la scuola riconosca anche questo compito:

dare la possibilità di fornire ai ragazzi un luogo e delle

competenze tali per esprimere ed elaborare modalità

alternative per la gestione dei conflitti; acquisire a scuola

capacità per la gestione dei conflitti permette di crescere,

di confrontarsi, di stare meglio “9.

Il Progetto di mediazione favorisce l’autonomia dei ragazzi

la possibilità di proporre risposte a problemi che emergono,

sviluppa la capacità di attuare un cambiamento, tutto

questo significa dare loro un ”potere” e una “forza” di

cambiamento che alcune volte può essere destrutturate

per l’istituzione scuola che potrebbe percepire tale

modalità come una minaccia a un delicato equilibrio di ruoli

e funzioni. Infatti a differenza del modello disciplinare la

mediazione restituisce ai ragazzi anche la gestione del

carico emozionale che accompagna il conflitto, educando

ad una nuova attenzione al mondo delle emozioni,

allenando ad un ascolto empatico e alla creazione di un

clima di fiducia e cooperazione

Un percorso di mediazione non offre ricette pronte per

risolvere conflitti a scuola, come a volte i docenti

desidererebbero, ma presuppone di lavorare su un piano

preventivo per permettere, in un lungo periodo il far

nascere una disposizione a porsi in maniera nuova rispetto

al conflitto, non negandolo o considerandolo solo come un

fattore di disturbo, ma cercando di comporlo in maniera

costruttiva ritrovandone anche il carattere positivo.

Si promuove una visione del conflitto come una risorsa

trasformativa, laddove si attrezzino le risorse personali di

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9 Masoni M. V. “La mediazione creativa – L’arte di risolvere i problemi tra insegnante e alunno” Trento Erickson 2002

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ognuno e il contesto sociale a fornire sostegno alle nostre

potenziali capacità di gestione e costruzione. La scuola

rappresenta un buon laboratorio di apprendimento di

tecniche alternative di gestione dei conflitti basate sul

consenso e sull’autoregolazione piuttosto che sulla

coercizione o l’imposizione dall’alto.

Il percorso mediativo non deve considerare solo gli

studenti ma si deve intendere come un progetto ad ampio

raggio che coinvolga anche i genitori, gli insegnanti e tutto

il personale scolastico (dove è possibile). Attraverso tale

percorso, adulti e ragazzi apprendono che i comportamenti

possibili per far fronte al conflitto non sono solo la risposta

violenta e la fuga ma che sono possibili veri momenti

d’incontro con l’altro basati sull’ascolto e sulla fiducia.

La mediazione scolastica oltre a consentire una gestione

pacifica e costruttiva dei conflitti, presenta altri vantaggi e

benefici:

‣ lo sviluppo di capacità di comunicazione, negoziazione

e cooperazione

‣ lo sviluppo di competenze emotive e capacità di ascolto

‣ l’aumento dell’autostima

‣ lo sviluppo di capacità d’autoregolazione e di riflessione

critica

‣ la ricostruzione dei legami

‣ la diffusione di una cultura della tolleranza e della

democrazia

‣ il miglioramento del clima scolastico

‣ il ricorso a tecniche di gestione del conflitto anche in

ambienti extrascolastici

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La formazione nelle scuole del Trapanese

La formazione presso la scuola media G. Mazzini e l’Istituto comprensivo M. Nucci di Marsala Laura Gilli

Le fasi del progetto “Guichets antiviolence pour ls mineurs” riguardanti la realizzazione degli sportelli (guichets antiviolence), hanno previsto un parte di formazione e di avvicinamento ai temi della gestione del conflitto rivolta al mondo degli adulti delle scuole, un’azione di sensibilizzazione e in seguito di formazione rivolta agli studenti ed infine una azione di supervisione rispetto all’attività svolta nella scuole coinvolte nel progetto.

Formazione insegnanti

La prima fase, che ha previsto il coinvolgimento degli insegnanti è stata necessaria per prevedere la condivisione sui presupposti teorici del modello di sperimentazione al fine di creare una collaborazione tra

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i saperi e le funzioni delle persone che in seguito sarebbero state coinvolte e che potesse creare le basi per la percorribilità e continuità del progetto.Il percorso formativo è stato realizzato alcuni mesi prima del coinvolgimento dei ragazzi, al fine di sensibilizzare i docenti e avvicinarli al tema del conflitto, implicandoli in prima persona rispetto a ciò che poi sarebbe stato in seguito proposto agli studenti. L’obiettivo proposto è stato quello era di meglio comprendere le diverse dinamiche del conflitto e migliorare la propria capacità di lettura delle situazioni critiche al fine di collaborare con gli allievi per una nuova gestione della conflittualità scolastica. La mediazione scolastica si innesta su un duplice e interconnesso sistema di significati. Da una parte fornire strumenti e supporto per rispondere a problemi immediati con i quali si confrontano gli istituti scolastici, come la violenza, il bullismo, i conflitti tra studenti, insegnanti e famiglie; dall’altra favorire un cammino educativo attraverso la diffusione di una nuova cultura della regolazione dei conflitti, che favorisca la ri-scoperta della capacità di comunicare, ascoltare, cooperare, gestire aggressività e conflitti.Per tale motivo si è reso fondamentale un percorso formativo con gli insegnanti che in seguito avrebbero avuto la responsabilità di presidiare e accompagnare il progetto rivolto ai ragazzi.L’iter formativo ha previsto quattro giornate di lavoro con due formatori dell’Università della Strada per un totale di circa 12 ore.Il lavoro è stato realizzato alternando lezioni teoriche a piccoli gruppi di lavoro al fine di rendere i partecipanti attori del percorso, favorendo la discussione sul tema,

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offrendo un’opportunità di confronto e di scambio reciproco.Gli obiettivi dell’attività formativa sono stati:‣ aumentare le competenze individuali nella lettura di

situazioni critiche e di conflitto,

‣ accrescere le competenze emotive e le capacità di ascolto,

‣ apprendere modalità concrete e costruttive per gestire i conflitti della quotidianità in maniera più appropriata, in modo da moltiplicare la possibilità di intraprendere le strade del mutamento e della crescita – sia relazionale che individuale – piuttosto che quelle della contrapposizione e della rottura,

‣ fornire strumenti di analisi e riconoscimento di s i tuaz ion i a r i sch io d i p reva r i caz ione e vittimizzazione, al fine di ipotizzare strategie e interventi utili al miglioramento della qualità di vita in ambiente scolastico.

‣ accompagnare e favorire le risorse riparative degli attori della scuola al fine di implementare strategie rispetto alla gestione delle regole, delle sanzioni e di modalità alternative di r isoluzione delle controversie.

In ultimo è stato dedicato spazio alla costruzione e coordinamento dello sportello di mediazione tra pari poiché non è pensabile delegare l’intera gestione ai ragazzi. Al contrario, è importante per questi ultimi avere una o più persone adulte competenti a cui fare riferimento. Inoltre per la buona riuscita del progetto è importante che le persone adulte coinvolte nella formazione possano farsi portavoce di una nuova modalità di

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gestione dei conflitti all’interno del proprio istituto, sensibilizzando e avvicinando a tali tematiche il personale, docente e non, che non ha avuto modo di partecipare alla formazione iniziale.Se all’inizio del lavoro alcuni insegnanti ha esplicitato le loro perplessità rispetto al progetto e soprattutto rispetto alle capacità competenze che i ragazzi avrebbero dovuto mettere in pratica per realizzare il fine del piano di lavoro, è stato interessante alla fine dell’intero percorso verificare come fosse avvenuto un cambiamento di pensiero rispetto alle possibilità di operare da parte dei ragazzi e anche alla risposta della scuola riguardo all’attività di sportello.

Formazione studenti

l percorso rivolto agli studenti è stato realizzato in due azioni: una prima di sensibilizzazione e una di formazione mirata per i “giovani mediatori”.

Sensibilizzazione.

Una volta terminata la formazione con i docenti delle scuole coinvolte, si è dato inizio all’attività di sensibilizzazione nelle varie scuole implicate nel progetto, prendendo come riferimento tutte le classi seconde per la scuola secondaria di 1 grado, le classi 4 per la scuola primaria e le classi terze per la scuola secondaria di 2 grado.

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Tale momento ha avuto come scopo quello di avvicinare i ragazzi al tema della gestione e mediazione dei conflitti e alla presentazione di un percorso di formazione per diventare “giovani mediatori” al fine di realizzare all’interno del proprio istituto uno sportello di mediazione gestito dagli stessi studenti. Al termine di tale presentazione gli allievi hanno avuto la possibilità di candidarsi per far parte del gruppo di formazione.Dopo aver visto alcuni spezzoni video che hanno stimolato la discussione sui temi del conflitto e la sua gest ione , i ragazz i s i sono a l te rnat i ne l la drammatizzazione, portando i propri vissuti rispetto alle situazioni proposte e le pratiche normalmente utilizzate per cercare di gestire il litigio.Con il contributo dei formatori si sono analizzate le situazioni, suggerendo le modalità di gestione dei conflitti tra pari, anticipando alcune caratteristiche di tale pratica.Lo scopo è stato quello di stimolare la discussione rispetto a quali interventi si possono mettere in pratica per cercare di gestire una situazione conflittuale e quali stati d’animo possono provare le parti coinvolte.L’intento di tale momento, oltre che raccogliere le iscrizioni dei possibili volontari per il percorso di formazione, è stato quello di poter avvicinare un gran numero di ragazzi alle teorie della mediazione tra pari in ambito educativo e di permettere una riflessione sulle pratiche quotidianamente messe in atto per la gestione dei conflitti, riconoscendo anche gli aspetti positivi e trasformativi di tale esperienza.

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Formazione “giovani mediatori”:

Il percorso di formazione dei bambini e ragazzi, si è realizzato in un ciclo di 8 incontri di circa 2 ore ciascuno (sia per i bambini della scuola primaria, sia per i due gruppi distinti delle scuole secondarie di 1° grado della scuola Nuccio e Mazzini). Gli incontri sono stati programmati a cadenza quindicinale nel periodo tra gennaio e marzo 2012.Per quanto riguarda l’Ist. Comp. Nuccio gli incontri si sono svolti in orario scolastico (in mattinata) all’interno dell’aula magna, diversamente, nella scuola media Mazzini, le attività si sono svolte in orario extra-scolastico (nel pomeriggio) in un’aula-laboratorio. (Questa è stata la nostra esperienza a Marsala ma anche nelle altre scuole coinvolte generalmente si è lavorato in orario scolastico)In seguito alla sensibilizzazione generale si dato avvio alla formazione dei giovani mediatori. I ragazzi che si sono candidati per tale percorso hanno espresso le loro motivazioni ed emerso come fosse importante per loro trovare altre modalità di gestione del conflitto e come questo ultimo fosse spesso vissuto in modo pesante e negativo.Il modello di mediazione proposto nel progetto è quello “tra pari”, un modello in cui sono coinvolti direttamente i ragazzi come mediatori ed ha come campo d’azione i conflitti tra coetanei e non quelli in cui è coinvolta una persona adulta (insegnante o genitore). Le situazioni che generalmente si affrontano con la mediazione tra pari sono quelle riguardanti il bullismo, le liti, le incomprensioni e gli scontri in genere. Si è pensato di utilizzare tale modello poiché l’esperienza di progetti analoghi, sia sul territorio siciliano che in altre città

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italiane e straniere, ha evidenziato come la richiesta d’aiuto per i giovani che vivono un conflitto è più frequentemente rivolta ai coetanei piuttosto che agli adulti. Ciò per i seguenti motivi:

‣ I coetanei condividono lo stesso ambiente e sono quindi più facilmente reperibili

‣ La comunicazione è più facile, si utilizza lo stesso linguaggio.

‣ Non ci sono posizioni di potere, i coetanei sono quindi più facilmente accettati dalle parti ed hanno meno potere sanzionatorio degli adulti

‣ I pari capiscono più facilmente l’importanza che il conflitto riveste nella vita dei compagni.

La mediazione tra pari si rivela uno strumento efficace per la gestione dei conflitti, responsabilizzare all’interno della scuola un gruppo di mediatori pari aumenta l’autonomia degli allievi e spesso le competenze acquisite sono applicate in altri contesti quali la famiglia e il quartiere.E’ importante che chi si propone come mediatore lo sia del tutto volontariamente, per tale motivo è stata prevista una sensibilizzazione sui temi della gestione dei conflitti tra compagni, rivolta a tutti gli allievi delle quarte elementari della scuola primaria Nuccio e agli allievi delle seconde medie della scuola secondaria di primo grado Nuccio e Mazzini. In seguito si è data la possibilità di iscriversi e seguire un corso di formazione ad hoc per diventare “giovani mediatori”.

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I temi affrontati durante i vari incontri sono stati:“Conoscenza partecipanti e presentazione

laboratorio”

“Io, noi, il conflitto e la rabbia …”

“Punti di vista e buona soluzione”

“Comunicazione, ascolto e emozioni”

“La cooperazione”

“Il ruolo del mediatore”

“Tecniche di mediazione”“La mediazione e lo sportello a scuola”

Si è trattato quindi di un lavoro con un gruppo “misto”, poiché formato da persone non appartenente allo stessa classe, ma bensì a classi diverse, ciò ha permesso di uscire dalle classiche dinamiche della classe e di riuscire a creare un’aula formativa che comunque potesse essere per i partecipanti un nuovo contesto culturale di apprendimento dove, attraverso un linguaggio condiviso, fosse possibile valorizzare le proprie esperienze e competenze. Un luogo in grado di far emergere le differenze, che attraverso tale formazione, diventassero ricchezza comune e valore aggiunto dell’apprendimento stesso.Attraverso le tappe proposte nel percorso formativo si è lavorato sulle competenze necessarie per poter operare come mediatore al fine di costruire all’interno del proprio istituto scolastico uno sportello di mediazione gestito da pari.I ragazzi coinvolti nel progetto hanno espresso interesse per i temi affrontati, hanno partecipato in modo attivo hanno saputo prestare attenzione durante gli incontri e dare ascolto alle parole degli operatori e

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dei compagni, dimostrando sensibilità rispetto ai temi proposti.Gli incontri hanno consentito ai ragazzi di parlare delle piccole arrabbiature che vivono tutti i giorni a casa e a scuola e che spesso non riescono a trovare uno spazio e un tempo in cui avere un’adeguata accoglienza. Hanno mostrato un interesse vivo e partecipe non solo verso i temi trattati, ma anche verso le modalità di conduzione, apprezzando la possibilità di giocare raccontandosi e contribuendo a creare un clima di lavoro attento e sereno. Tale lavoro ha permesso loro di confrontarsi con il resto del gruppo e di provare a sperimentare nuove modalità di gestione del conflitto.Al temine del percorso formativo è stato dato l’avvio al momento di costruzione del lo “Sportel lo di mediazione”. E’ stata l’occasione per i ragazzi di mettersi alla prova rispetto a tutto il percorso fatto e di potersi sperimentare con i i compagni.L’entusiasmo che li ha accompagnati ha reso possibile un ulteriore fase di sensibilizzazione all’interno del proprio istituto per rendere noto l’attività dello sportello, il fine del lavoro del mediatore e rassicurare sul riservatezza delle persone implicate in questa attività. La costruzione fisica dello sportello, in un aula destinata, attraverso cartelloni e altro ha coinvolto anche le docenti di riferimento del progetto, che da parte loro hanno provveduto a informare l’intero corpo docente sull’attività dei ragazzi.

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C – Supervisione degli sportelli nelle scuole

Al termine dei percorsi di formazione e con la realizzazione degli sportelli nei vari istituti scolastici, si sono incontrati gli insegnati di riferimento del Progetto per monitorare l’andamento dell’attività di mediazione tra i ragazzi.Per i ragazzi è stato importante ritornare su alcune modalità, poter esprimere le proprie perplessità, ma anche poter riferire l’andamento dell’attività e la ricaduta sulla scuola del progetto. E’ stato un momento in cui gli adulti hanno avuto la possibilità di chiarire i propri dubbi sulle modalità di gestione dello sportello, di esprimere le loro incertezze e confrontarsi con altri.Si è rilevato quanto possa essere importante per i ragazzi avere un riferimento adulto che li possa aiutare a coordinare l’attività di gestione dello sportello, diffondendo all’interno della propria scuola l’attività di mediazione, attraverso momenti di sensibilizzazione con altri studenti, insegnanti e operatori scolastici e sostenendoli nelle proprie capacità.

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La formazione presso il II Circolo di Castelvetrano, la Scuola Media G. Grassa di Ma zara del Vallo e l’Istituto Nautico M. Torre di Trapani Giuseppina Sutera, Giovanna Triolo

Nell’ambito del progetto “Guichets antiviolences pour les mineurs”, si è tenuto un corso di formazione finalizzato alla creazione di un’equipe, all’interno della scuola, di giovani mediatori che supportati dai loro insegnanti, sappiano gestire uno sportello di mediazione scolastica. Alla fine del percorso lo sportello è stato attivato in tutte le scuole che sono state individuate e coinvolte attivamente nel progetto. Il corso ha avuto una durata di 16 ore e ha coinvolto 26 alunni delle classi IV elementare del II circolo di Castelvetrano (sedi di Piazza Dante e Ruggero Settimo), 23 alunni delle seconde medie nella scuola G. Grassa (sede centrale e succursale) e 13 alunni delle IV classi per l’istituto tecnico Nautico M. Torre di Trapani.Il corso ha previsto 2 tappe principali:

‣ incontro di sensibilizzazione‣ formazione rivolta agli alunni che sono stati

individuati.La sensibilizzazione ha permesso la conoscenza del tema gestione dei conflitti, è stato necessario infatti diffondere i principi fondamentali della mediazione, puntualizzando sul fatto che lo scontro, le liti e il conflitto sono componenti comunque presenti nella vita di tutti i giorni ma che, se opportunamente

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affrontati, possono rappresentare stimoli importanti per il cambiamento e la crescita dell’intera comunità.I ragazzi, attraverso la visione di filmati prima e la simulazione di un conflitto dopo, hanno avuto un ruolo dinamico nelle giornate di sensibilizzazione, in particolar modo i filmati sono diventati spunto per l’apertura di discussione, mentre i role play sono serviti per comprendere fino in fondo gli stati d’animo che vivono le parti in conflitto. Lo scopo principale delle giornate di sensibilizzazione è stato quello di fare comprendere che la mediazione favorisce un approccio non giudicante rispetto alle persone, e promuove un metodo basato sulla comunicazione, la consapevolezza e la comprensione delle differenze. Inoltre si è cercato di fare comprendere che con la mediazione le persone non rinunciano alle loro convinzioni o valori, ma utilizzano soluzioni creative.Alla fine della giornata di sensibilizzazione i ragazzi si son liberamente candidati e successivamente sono stati sorteggiati per partecipare al corso di formazione.Durante le ore formative sono stati affrontati questi argomenti:‣ Conoscenza partecipanti e presentazione ‣ il conflitto e la rabbia‣ Punti di vista‣ L’ascolto ‣ La cooperazione‣ Il ruolo del mediatore e le tecniche di mediazione‣ La mediazione e lo sportello a scuolaDurante il corso i ragazzi sono stati forniti di strumenti pratici con la quale gestire i conflitti, aiutarli a comprendere meglio se stessi e renderli capaci di un ascolto autentico verso gli altri. Hanno imparato che i conflitti non possono essere effettivamente risolti a meno che i partecipanti stessi non scelgano di farlo.

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La formazione in Irlanda Geraldine Richardson, Michael Conlon

SICCDA è un’associazione formata dai cittadini che abitano nel quartiere delle Liberties di Dublino, un gruppo di volontari che lavora per risolvere i problemi sociali, educativi, sanitari, economici e ambientali che la comunità si trova a dover affrontare.

La mission dell’associazione è di creare una comunità tra i cittadini delle Liberties, nella quale tutti, ma soprattutto i più svantaggiati, si sentano invece ben accetti e valorizzati. Nel corso degli ultimi due anni sono stati avviati programmi di mediazione in tutta la comunità, per aiutare i residenti a gestire i conflitti locali. Allo scopo di favorire un approccio comunitario, è stato avviato un programma di mediazione scolastica (peer mediation e restorative practice) nelle scuola primarie del quartiere, in particolare nella St. James, Frances Street, e Warrenmount. ma si conta di coprire altre scuole nei prossimi anni. Si ritiene che trovare una soluzione condivisa ai conflitti locali ha reso la comunità più pacifica, riflessiva e positiva. Le scuole coinvolte si trovano in un’area urbana estremamente svantaggiata, con problemi sociali ed economici enormi. Si tratta di scuole particolarmente esposte a problemi della sfera comportamentale, in particolare si registra molta aggressività da parte dei ragazzi, e dunque si è sempre pronti ad abbracciare qualsiasi nuovo metodo che aiuti a gestire questo aspetto, e questo è particolarmente adatto per scuole come queste.

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Peer mediation

L’impatto è stato estremamente positivo per le scuole, sia per il personale in genere che per i ragazzi. Durante la formazione sono stati coinvolti tutti i membri della comunità perché partecipassero: dagli psicologi che lavorano nella scuola agli insegnanti del club extrascolastico, tutti i membri della comunità hanno seguito la formazione. E dunque si tratta di un approccio positivo alla gestione dei comportamenti condiviso da ogni segmento della scuola. C’è sempre stato un approccio positivo ai comportamenti, e all’avvio della pratica ci si è concentrati maggiormente sull’uso di affermazioni costruttive, che già erano state apprese durante una formazione precedente, con altri programmi, e già usate. Così, sono state utilizzate quelle competenze per consolidare il lavoro che già si stava portando avanti. Però, lo strumento migliore derivato da questa pratica sono le domande, utilissime per l’insegnante che si trova ad affrontare ogni giorno lo stesso, identico problema, con i ragazzi che litigano in cortile. Così invece di dire frasi del tipo “lo stai facendo di nuovo, perché lo stai facendo di nuovo?”, si

può far ricorso a questo pacchetto di domande, cosa che elimina la confusione. I ragazzi che arrivano e si trovano ad affrontare una situazione di aggressività, hanno familiarità con le domande, sanno dunque cosa gli verrà chiesto dopo, e sanno che avranno la possibilità di raccontare la loro versione dell’accaduto. E questo elimina l’aggressività. Le conseguenze che ha generato nel cortile e nelle classi tra gli alunni sono straordinarie.

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Domande utilizzate durante la peer mediation-Cos’è successo?-Cosa pensavi in quel momento?-Cos’hai pensato dopo?-Che conseguenze hai avuto da quello che hai fatto?-E che conseguenze hanno avuto gli altri?

Il training ricevuto con i metodi precedenti non prevedeva l’accettazione del comportamento dell’alunno, non erano loro a decidere. Con questo metodo invece, hanno la possibilità di comprendere quali conseguenze il loro comportamento ha avuto sugli altri e su se stessi. Questo sistema è preferibile rispetto a quello che si utilizzava prima. I ragazzi ora sanno che saranno ascoltati, che verrà il loro turno di parlare; e dunque se accade un incidente sono piuttosto calmi mentre spiegano l’accaduto. Quando vengono utilizzate le domande, sanno che si vogliono anche ascoltare le loro versioni; si prenderanno la responsabilità di quello che hanno fatto, ma si lavora nella scuola con un atteggiamento positivo, più di prima, grazie a questo.

Restorative practice (pratica del cerchio)

Altri strumenti utili sono gli incontri formali, durante i quali è a disposizione un facilitatore se ci sono casi particolari di alunni che mostrano comportamenti molto distruttivi in classe. Il facilitatore è di solito un membro dello staff che non si occupa però direttamente di quegli alunni e di quella classe in particolare, e si invitano anche i genitori. Si pongono le

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stesse domande, nello stesso ordine, e l’alunno ha la possibilità di ascoltare le conseguenze che il suo comportamento ha sugli altri. Ed è molto efficace ascoltare qualcuno che dice quali sono gli effetti diretti del tuo comportamento, e questo ha generato cambiamenti del tutto positivi.Il feedback è dunque positivo, anche perché il metodo è molto facile da applicare; non sono necessarie attrezzature, oggetti, o altre risorse, servono solo le carte con le domande, dunque estremamente semplice.Si usa di solito al mattino, quando entrano, chiedendo all’alunno come sta da uno a dieci, e se un alunno risponde ‘uno o due’, questo è un campanello d’allarme che fa capire che l’alunno quel giorno ha qualcosa che non va. Un approccio molto semplice davvero che non richiede nemmeno un minuto di tempo, ma che da’ all’insegnante il senso del clima generale che troverà quel giorno in classe e che c’è qualcosa di cui dovrà occuparsi. Gli insegnanti sono molto contenti, apprezzano molto le domande. Per quanto riguarda il cerchio, anche quello veniva già usato, ma solo per chiedere cose del tipo “preferisci questo o quello”, ma non per risolvere i conflitti. Il punto centrale è che i ragazzi ora sono sempre consapevoli del fatto che il loro comportamento ha degli effetti sugli altri, che non vivono in una bolla, che gli altri risentono dei loro comportamenti.

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Lo strumento degli atelierRosanna Frosina

Laboratorio, Didattica tradizionale, Atelier.

Che cosa hanno in comune e in che cosa differiscono

queste tre esperienze?

Sicuramente al laboratorio si associa l’esperienza mentre

alla didattica di tipo tradizionale si associa la trasmissione

del sapere. Quindi volendo usare una espressione

matematica ,possiamo dire che "il fare sta al laboratorio

come il dire sta alla didattica tradizionale". In questo

momento storico si avverte la necessità di un approccio

esperenziale in quanto i bambini di oggi, rispetto a quelli

del passato, vivono più lontani dalla natura, dai suoi

processi e dall’esperienza diretta dei suoi cicli. E’

necessario quindi costruire, mediante un approccio

mediazionale, occasioni di crescita a livello di contenuti,

soprattutto di quelli di cui hanno poca memoria storica

(esperienza laboratoriale).

Ma è altresi’ importante costruire uno spazio dove

materializzare l’astratto, dove fare esperienza di

trascendenza, dove si incontrino il contenuto e il suo

fruitore, l’esperienza e la trascendenza…

Esiste dunque uno spazio dove ciò si possa realizzare?

E ,se esiste, questo spazio è necessariamente fisico?

Gli Atelier possono rappresentare la risposta a queste

domande, quel momento in cui "la buona pratica" funga

da ponte in un percorso circolare tra esperienza ,

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contenuto e individuo. L’Atelier ,cosi’, diventa un

momento,una forma mentis, una volontà da sperimentare

ogni qualvolta si voglia intraprendere un viaggio la cui la

meta è lontana dal "hic et nunc".

E’ quello che è successo nelle scuole di Marsala, di

Trapani, di Castelvetrano….che hanno aderito al

progetto,ma è quello che può accadere quotidianamente

in tutti quegli spazi in cui si voglia trasformare

l’esperienza in occasione per ex-ducere .

Nel nostro caso specifico, gli atelier hanno coinvolto

famiglie, studenti, personale scolastico, operatori delle

forze dell’ordine e del settore sociale trattando temi

strategici per la prevenzione e la gestione dei conflitti.

Tipologie di atelier:

‣ divulgativi, finalizzati a sensibilizzare la comunità sui

temi trattati

‣ operativi, sulla gestione della rabbia e dei conflitti a

scuola, in grado di  fornire strumenti immediati per 

“detensionare” situazioni di emergenza.

‣ strategici, per favorire lo sviluppo di atteggiamenti pro

sociali attraverso la ricerca di un nesso trasversale con

la programmazione didattica

‣ “percettivi”, per far emergere il sentire dei ragazzi, e

poterne dare voce, sulle problematiche inerenti al

pericolo e all’insicurezza sociale

‣ istituzionali, finalizzati alla sottoscrizione di protocolli

d’intesa per una governance della mediazione

‣ sui nuovi processi comunicativi, finalizzati ad

approfondire le nuove forme di socialità in rete.

‣ sperimentali, volti a conoscere la mediazione

attraverso i giochi di ruolo negli ambienti virtuali 3D

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Atelier O.N.S.A

Come può la Scuola trovare lo spazio ed il tempo,senza

in alcun modo violare il suo ruolo di servizio pubblico,per

educare i suoi ragazzi a diventare interpreti di buone

pratiche educative e addestrarli quotidianamente al

rispetto dell’alterità?

In che modo la Scuola può fungere da palestra per un

allenamento costante e sistematico allo star bene?

E’, in altre parole, possibile "andare a Scuola di non

violenza" mentre si studia l’Italiano o la Matematica?

Come si possono mettere in pratica i cosiddetti O.N.S.A.

con le risorse di cui dispone la Scuola oggi?

Di esempi se ne potrebbero fare tantissimi ,mi limiterò ad

allegarne alcuni che possono essere rappresentativi sia

per la scuola primaria sia per la scuola secondaria di

primo grado.

Premetto che di seguito verrà dimostrato come,partendo

da un qualunque strumento didattico, si possa arrivare a

dirottare il fine didattico curricolare a quello educativo con

un investimento in un futuro magari non prossimo ,ma

sicuramente più responsabile.

Seguono una serie di unità didattiche come esempi su cui

applicare gli Obiettivi Non Specifici di Apprendimento..

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CLASSE IV SCUOLA PRIMARIA: allegato n1

SCHEDA TECNICA ALLEGATO 1

O.S.A.: leggere e comprendere testi appartenenti ai vari

generi testuali.

O.N.S.A.: invitare gli alunni ad una riflessione guidata sul

valore dell'insulto e delle parole e sul pericolo della

stigmatizzazione dei ruoli che può provocare l'annullamento

della personalità dei confliggenti.

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SCUOLA PRIMARIA:(classe IV): allegato n2"

NOMI CONCRETI E NOMI ASTRATTI

(Scheda pag 7, GUIDA DIDATTICA PER LA SCUOLA PRIMARIA. AA.VV., FABBRI EDITORE)

O.S.A.: distinguere i nomi concreti dai nomi astratti

O.N.S.A.: riflettere sul significato di parole come

"paura","rabbia", "dispiacere","esclusione"...,

ed associare, usando altre parole astratte, parole che

indicano un BISOGNO come

"comprensione","partecipazione,giustizia......

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SCUOLA MEDIA:(classe I) allegato n3

"STOP AL BULLISMO"

(scheda pag161,GRAMMATICA ITALIANA I N SCHEDE,

A.MORETTI, ALICE EDITORI)

SCHEDA TECNICA ALLEGATO 3

O.S.A.:saper distinguere il complemento di termine e di

specificazione

O.N. S.A: condurre i ragazzi alla comprensione del valore

del dialogo in caso di episodi di bullismo

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CLASSE PRIMA vignetta (ALLEGATO 4)

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SCHEDA TECNICA ALLEGATO 4

O.S.A.:

‣ Sa mettere in cronologico fatti e fenomeni

‣ Sa porre in relazione i fatti

‣ Sa cogliere il nesso fra causa ed effetto

O.N.S.A.:

‣ creare nel bambino la tendenza a governare /

pianificare il proprio comportamento, ragionare

sull’esito

‣ formulare ipotesi (se reagisco cosi’ cosa accadrà?)

‣ favorire il processo decisionale per stabilire qual è la

soluzione migliore

SCUOLA PRIMARIA CLASSE TERZA

SCIENZE: Gli animali si difendono:

Abitudini e comportamenti diversi degli animali per

difendersi dai loro nemici:

‣ fuga

‣ mimetismo

‣ attacco

‣ etc

SCHEDA TECNICA

O.S.A.:

Individuare il rapporto esistente tra organismi viventi e il

loro ambiente naturale

O.N.S.A.

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Guidare il bambino alla riflessione sul corretto modo di

agire in caso di attacco esterno

CONCLUSIONI

Continuare con gli esempi sarebbe divertente e

stimolante, ma diventerebbe un mero elenco di di

momenti strutturati che possono magicamente

trasformarsi in occasioni di riflessione…

Allora ,mi piacerebbe concludere questo breve viaggio

con un invito che rivolgo ai miei colleghi, di ogni ordine e

grado, affinchè raccolgano la sfida quotidiana di trovare

un pretesto (all’interno della propria lezione) per

"trascendere" ,oltrepassando quel limite impostoci dalla

consuetudine.,sublimando la conoscenza……. d’altronde,

come ci insegna Seneca,<< …le migliori idee sono

proprietà comune…>>.

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“Non di solo rabbia …” atelier strategico sul riconoscimento delle emozioniLaura Gilli

Attraverso questo laboratorio si vuole mettere in evidenza

come le emozioni non siano innate negli individui ma

come si possano apprendere nel corso della vita cosi

come si impara a parlare, poiché di innato c’è solo la

possibilità di emozionarsi. Imparare a provare emozioni

condivise, così come imparare ad usare un linguaggio

comune, è di fondamentale importanza per lo sviluppo

delle capacità e delle libertà individuali.

Il lavoro è stato rivolto in modo particolare al mondo

scolastico poiché compito della scuola non è solo quello

di offrire agli studenti attività didattiche ma ormai da

tempo l’obiettivo è quello di sviluppare un complessivo

ben-essere dello studente (Ed alla salute, alla pace,

all’intercultura, alla legalità,alla sicurezza, all’ecologia…

cioè Educazione alla convivenza civile). La scuola quindi

diventa il terreno sul quale lo studente dovrebbe imparare

a trasformare, grazie ad attività disciplinari ed

interdisciplinari, le conoscenze e le abilità relative a

diversi ambiti educativi in competenze relazionali.

Si è posta l’attenzione sul significato generale delle

emozioni e sulla loro importanza per lo sviluppo

armonico della personalità.

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Essendo l’atelier inserito nell’ambito del progetto

“Guichet antiviolence pour les mineurs”, si è fatto

riferimento al percorso proposto ai ragazzi delle scuole

interessate e all’importanza data in tale percorso agli stati

emotivi che emergono in una situazione di tensione o di

conflitto

Gli obiettivi che un lavoro sul riconoscimento emotivo si

propone sono:

‣ Facilitare la conoscenza delle proprie emozioni

‣ Costruire un vocabolario per i sentimenti

‣ Imparare a controllare le proprie emozioni negative

‣ Perfezionare la propria capacità di empatia,

comprendendo i sentimenti e le preoccupazioni degli

altri, cercando di capire il loro punto di vista

‣ Comunicare meglio ascoltando e facendo domande.

‣ Imparare ad accettarsi, riconoscendo i propri punti

deboli e di forza.

‣ Acquisire maggiori competenze nel campo della

gestione dei conflitti.

Attraverso alcune attivazioni, in cui si sono direttamente

coinvolti i partecipanti dell’atelier,si è lavorato

su l l ’ importanza d i nominare le emozion i , su l

riconoscimento emotivo e il rimando empatico. Per ogni

attività sono precisati gli obiettivi, la durata, i materiali

occorrenti e lo svolgimento, particolare interesse hanno

suscitato le osservazioni, le indicazioni e i suggerimenti

delle persone che hanno avuto la possibilità di

sperimentate le esercitazioni proposte.

L’atelier ha avuto come scopo quello di far emergere

come un investimento sul lavoro sulle emozioni possa

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essere uno strumento e un aiuto per poter rendere più

facile l’educazione affettiva ed emotiva nell’ambito

educativo con la convinzione che per riuscire nel

processo di apprendimento sia necessario sviluppare

un’adeguata consapevolezza della propria affettività .

E’ altresì importante l’assunzione di un’impostazione

pedagogica che consideri l’intera complessità del

“ragazzo” e non soltanto un esame oggettivo delle sue

prestazioni .

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Atelier “Laboratorio per ragazzi sulle tecniche di mediazione” 25 Gennaio 2013

Sutera Giuseppina, Giovanna Triolo

In occasione del convegno "Scuola: dall'aggressività

alla gestione costruttiva dei conflitti - Valutazione

delle attività svolte e prospettive future" tenutosi il 25

Gennaio 2013 presso Palazzo Riccio di Morana, si è

svolto l'atelier “Laboratorio per ragazzi sule tecniche di

mediazione”., a cui hanno partecipato i ragazzi della

scuola elementare del II circolo di Castelvetrano e i

ragazzi dell'istituto Nautico di Trapani che per la prima

volta hanno avuto l’occasione di mettere a confronto

l'esperienza della mediazione e permettere così uno

scambio.

Dopo una fase iniziale in cui i ragazzi disposti a cerchio si

sono presentati e superato lo stupore iniziale causato

dalla differenza di età, hanno cominciato a rispondere a

tutte le domande che venivano loro poste dai facilitatori,

analizzando i punti di forza e debolezza che in questi mesi

hanno riscontrato.

In particolare ai ragazzi è stato chiesto:

‣ Un breve racconto della loro esperienza

‣ come hanno organizzato lo sportello e come avviene la

mediazione all’interno dell’Istituto di appartenenza

‣ Le loro impressioni e i dubbi da chiarire

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I ragazzi in maniera libera hanno risposto a tutte le

domande, esprimendo pareri positivi e negativi e facendo

emergere riflessioni costruttive e non prive, in alcuni

casi ,di criticità su alcuni argomenti. In particolare tra i

ragazzi del Nautico è emerso che la difficoltà principale

per la diffusione dello sportello nasceva dallo scetticismo

iniziale dei ragazzi più grandi in quanto veniva presentato

loro, un modo diverso di affrontare il conflitto, una

modalità alternativa che mira all’utilizzo di un linguaggio

nuovo ma che offre strumenti pratici e più efficaci per

gestire le situazioni conflittuali.

Per i ragazzi della scuola elementare il problema

principale era legato invece ad aspetti pratici e

organizzativi (es. aula a disposizione molto piccola e di

passaggio)

In un secondo momento si è passati a considerare gli

aspetti positivi che da questo percorso sono emersi e si è

arrivati alla conclusione che la mediazione permette di

creare a scuola un ambiente più rilassato e produttivo

dove si è sviluppato un maggiore interesse e rispetto per

l’altro.

I mediatori, soprattutto nella scuola primaria , sono stati

da tutti i compagni di scuola ben accolti in quanto

essendo loro “pari” hanno valori comuni a chi si rivolge a

loro, e sono meno esposti alle gerarchie scolastiche e

quindi riconosciuti come più competenti. I ragazzi del II

circolo hanno raccontato che il numero dei bambini della

scuola che hanno richiesto l'intervento dei giovani

mediatori è molto alto e che i ragazzi di tutto l’istituto

hanno imparato che la mediazione non è un obbligo, non

è un gioco né un modo per imporre la soluzione ad un

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litigio, ma si sono sentiti ascoltati e hanno avuto lo spazio

necessario per ascoltare l’altro, superando in alcuni casi e

migliorando le loro capacità comunicative, e grazie a

questo molte controversie hanno trovato rapida

soluzione.

Dal confronto è emerso inoltre che il processo di

mediazione, non imponendo soluzioni, ma utilizzando

alfabettizazioni emotive, permette, nel rispetto delle

proprie differenze, di ricercare soluzioni creative che

vanno nella direzione dell’accettazione e del rispetto e

grazie alla quale si scopre che gli interessi e i valori propri

sono condivisibili e comuni a quelli degli altri.

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La valutazione delle esperienze

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Il progetto «Guichets antiviolence pour les mineurs »: unascommessacomplessaGiovanni Ghibaudi, JoelleTimmermans

Quando si è iniziato ad impostare il progetto “Guichet de

la violence” si era consapevoli di dare vita ad una

scommessa complessa, rispetto alla quale i rischi di non

raggiungimento degli obiettivi, individuati e condivisi tra i

partners italiani e irlandesi, erano molto alti. Rischi

evidenziati dal fatto che ci si trovava di fronte ad uno dei

pochi progetti di lotta alla violenza in ambito scolastico,

rivolti al mondo della scuola in provincia di Trapani.

L’idea di fondo, da cui ha preso vita questo progetto, è

offrire l’opportunità di discutere e confrontarsi sui vissuti

che le azioni violente (agite e/o subite) portano con sé e

costruire insieme agli studenti delle alternative praticabili

e realistiche per gestire le situazioni conflittuali che si

possono incontrare nella quotidianità delle relazioni fra

coetanei.

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La sperimentazione in Italia e in Irlanda

Il presente lavoro vorrebbe restituire quanto realizzato nel

corso delle varie fasi progettuali e gli elementi emersi

dalla ricerca e dall’attività formativa condotta presso

alcune scuole di primo e secondo grado in Trapani,

Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano, per quanto

riguarda l’Italia, e nel quartiere delle Liberties di Dublino,

per quanto riguarda l’Irlanda. Esso ci permette di dire che

la scommessa è stata vinta, pur nella consapevolezza che

il futuro ci interpellerà e stimolerà a ricercare nuove vie di

risposta alla violenza agita/subita,soprattutto dai giovani

attori della scuola, ma non solo.

Di qui l’aspetto caratterizzante che ci pare possa

sintetizzarsi nell’individuazione di azioni mirate, sia per la

c o m p o n e n t e a l l i e v i u t i l i z z a n d o i l m o d e l l o

dellapeereducation;modello in cui “sono coinvolti

direttamente i ragazzi come mediatori e ha come campo

d’azione i conflitti fra coetanei”, sia per la componente

docenti, che ha la responsabilità di presidiare,

accompagnare e facilitare il progetto rivolto agli studenti,

nei confronti dei quali è necessario investire in percorsi

formativi specificatamente “ad hoc”

Tali azioni, avviate contemporaneamente presso le sedi

dei singoli istituti coinvolti, potranno arricchirsi di ulteriori

strumenti formativo/operativi, in un continuum dinamico

che le deve caratterizzare.

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Il tema dei conflitti fra i giovani

Il tema dei conflitti fra i giovani e delle forme di bullismo,

sono temi che non possono rimanere relegati tra le pareti

della scuola, quasi a minimizzarne la portata, ma vanno

affrontati all’interno di uno scenario di riferimento molto

più vasto: quello della violenza agita e subita attraverso

sia il coinvolgimento di più attori sociali (giovani, adulti),

sia di attori istituzionali (scuola, enti locali), nonché di

attori professionali (insegnanti, educatori, animatori).

La violenza, nei gesti, nelle parole, nel clima che si respira

nei contesti di aggregazione, ma anche per la strada e nei

luoghi di formazione dei giovani è una modalità di vivere

l’aggressività là dove le parole si sono perse e si realizza

una perdita del controllo della situazione e del senso

dell’altro. E’ una reazione che, in parte, si apprende dalla

propria esperienza individuale e/o di gruppo e può

diventare uno schema anche rigido di comportamento,

che rischia di compromettere la qualità della vita e delle

relazioni nel contesto classe.

La violenza costituisce una delle più potenti spinte alla

disgregazione nella vita degli individui.E’ ovunque intorno

a noi: attraversa i nostri territori, i luoghi della formazione

educativa ed i luoghi del tempo libero e nessuno può dirsi

davvero al riparo dai suoi effetti; possiamo sperimentarla

nelle nostre case, ma temiamo di incontrarla per strada e

nei luoghi di aggregazione.

Simultaneamente il tema della violenza si innesta sul tema

del conflitto che, pur facendo parte della vita quotidiana

di ciascuno di noi, spaventa perché, culturalmente,

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prevale una percezione negativa del medesimo.

Percezione che si fonda su assiomi dicotomici (giusto/

ingiusto, vincente/perdente, diversità/differenza,

persecutore/vittima), che possono essere utili per una

semplificazione del problema, ma che lo rendono statico

come le immagini di una fotografia. Statico perché il

conflitto viene relegato tra due confini predefiniti (lettura

dicotomica), su cui è focalizzata l’attenzione e lo sviluppo

di un dialogo tra sordi, non permettendo in tal modo alle

parti coinvolte di individuare processi risolutori differenti.

I conflitti rappresentano un aspetto dell’esistenza di ogni

persona, di ogni comunità e sistema sociale, attraversano

e contribuiscono a costruire le dinamiche relazionali e di

sviluppo individuale di chi li sperimenta, segnano anche in

maniera difficile la convivenza con i nostri simili.

Tuttavia, al conflitto, nelle sue manifestazioni più diverse,

può non essere data unicamente una connotazione

negativa: l’esperienza del conflitto cioè, pur portando con

sé un bagaglio di disagio e sofferenza, può risultare

potenzialmente costruttiva.

74

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Fornire gli strumenti per gestire e superare il conflitto

L’obiettivo cui tendere non è quello di tentare di

“deconflittualizzare” la vita di tutti i giorni, né di affrontare

il tema della violenza partendo da posizioni di condanna

morale o valoriali, bensì di fornire gli strumenti per gestire

il conflitto in maniera più appropriata, onde moltiplicare la

possibilità di intraprendere le strade del mutamento e

della crescita – sia relazionale che individuale - piuttosto

che quelle distruttive dello scontro nella logica del

vincente/perdente.

Un percorso di approfondimento sul tema della violenza e

dei conflitti può indicare come non esistano solo reazioni

d’aggressione, fuga o resa, vittoria e sconfitta, ma sia

possibile una via alternativa.

E’ possibile superarne gli aspetti negativi per giungere ad

esprimere i propri punti di vista e le proprie emozioni,

ascoltare le ragioni dell’altro, veder comprese le esigenze

di più parti, senza forme di sopruso o prevaricazione,

riconoscere l’altro e riconoscersi nell’altro, oltre che

essere riconosciuto dall’altro.

Obiettivo generale è favorire, all'interno di uno dei più

importanti ambiti di vita dei giovani (la scuola), un clima di

confronto che favorisca e aumenti la fiducia in sé dei

ragazzi, e siafinalizzato a gestire in maniera più positiva i

conflitti che essi sperimentano nella propria esperienza

scolastica, familiare e di relazione.

75

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Gli “attori sociali” della comunità locale: città,scuola, famiglia

Affrontare la questione del bullismo e del conflitto

significa anche interrogarsi su alcune situazioni rispetto

alle quali,talvolta, ci sentiamo totalmente estranei, e

realizzare che, invece, riguardano tutti, in misura più o

meno diretta. Infatti, oltre a interessare direttamente le

persone coinvolte, riguardano i legami sociali all’interno

della comunità nel suo insieme, e la società civile in cui

avvengono. È sul territorio che nascono e si sviluppano i

conflitti, è all’interno della comunità locale che si

mantengono o s’interrompono le relazioni sociali, ma gli

attori sono sempre gli stessi e proprio per questo sono da

considerare “attori sociali”, secondo la definizione del

mediatore tedesco Zauberman.10 Ma, proprio perché

attori sociali che convivono nella medesima comunità

(città, scuola, famiglia), devono poter avere la possibilità,

se non il diritto, di riappropriarsi della gestione del

conflitto, con l’aiuto e l’intervento di differenti figure

professionali formatesi ad hoc.

76

10 dal libro di Michèle Guillaume-Hofnung “La Médiation” – Presses Universitaires de France, 1995

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Formazione

Nello specifico del progetto “Guichetsantiviolence pour

lesmineurs”, la funzione di mediatori è previsto che la

svolgano, dopo opportuna formazione, gli studenti

medesimi con l’aiuto delle insegnanti che hanno aderito

alla proposta presentata e coordinata dal Centro Ricerche

Economiche e Sociali per il Meridione (C.R.E.S.M.), di

Gibellina.

La formazione deve riguardare:

‣ le insegnanti, che hanno la responsabilità di presidiare

e accompagnare l’intervento all’interno dei singoli

plessi scolastici: a Trapani il percorso formativo si è

potuto sviluppare in un ciclo di quattro incontri di tre

ore ciascuno, per un totale di 12 ore; a Dublino in due

giornate di formazione sulle pratiche riparative e la

pratica del Cerchio, e due giornate dedicate alla

formazione sulle competenze del facilitatore;

‣ gli studenti, ai quali è più frequentemente rivolta, in

caso di conflitto, la richiesta d’aiuto da parte dei loro

coetanei: la formazione si può sviluppare in un ciclo di

8 incontri di 2 ore ciascuno, per un totale di 16 ore e il

coinvolgimento massimo di due classi per volta.

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Posizione della scuola

Un consistente meccanismo di negazione tende talvolta

ad evitare di prendere in considerazione la cattiva sorte di

chi ha compiuto violenza, e ancor di più di chi l’ha subita,

la vittima: dopo gli atti di bullismo e/o violenza,

rimangono sul campo feriti e rotture che contribuiscono a

minare il senso di sicurezza nell’incontro con l’ “altro”,

nella propria vita scolastica e sociale.

Ma quale valore educativo e formativo deve avere la

scuola oggi, per accogliere il disordine emotivo dei

giovani e per non peccare di omissione di fronte a una

conflittualità sempre crescente?

Quale posizione può assumere la scuola quando il

conflitto oltrepassa il limite del consentito, del

socialmente pensabile e diventa espressione di violenza,

di prevaricazione, di disprezzo per l’altro? L’isolamento e

la punizione esemplare dell’elemento disturbante,

deviante, può e deve essere l’unica risposta possibile?

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Responsabilizzazione, consapevolezza e riconoscimento

Il progetto “Guichetsantiviolence pour lesmineurs” ha

voluto, con le differenti azioni messe in essere, sostenere

e dimostrare che, forse, è più opportuno pensare ad

interventi che concorrano a ricostruire le relazioni

interpersonali interrotte attraverso azioni mirate alla

responsabilizzazione, alla auto-consapevolezza, al

riconoscimento dei vissuti emotivi dei singoli confliggenti,

al fine difavorire concreti spazi di confronto e di

rielaborazione dell’esperienza vissuta e/o patita.

Se ci si pone, nei confronti di questi eventi, con la volontà

di comprenderne il senso, ci si trova molto facilmente

nelle condizioni di rintracciare nella storia dei fatti, ma più

ancora nella storia e nelle parole delle persone, la portata

e le ragioni comunicative, individuali e di gruppo, che

hanno contribuito a collocarle in quel preciso destino.

Ma come coniugare quanto detto sopra con il ruolo della

scuola ed il suo riconoscimento da parte degli enti

istituzionali e non? Come sviluppare un’azione congiunta

tesa ad affrontare il problema della violenza e dei conflitti

a scuola non come “risposta emergenziale”, ma come

“capacità a so-stare nel conflitto come luogo della

relazione11”?

79

11 Daniele Novara – « L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace » in F.Scaparro, Il coraggio di mediare. Guerini e associati,2001 – pgg. 177-187

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Per quanto attiene l’ambito della socialità e delle relazioni

positive, sembrano emergere tre aree di riferimento verso

le quali orientare possibili proposte d’intervento.

Proposte d’intervento che non possono e non devono

essere viste in un’ottica di “risoluzione di problemi”,

quanto piuttosto in un’ottica di “accompagnamento di

processi di cambiamento” che si sviluppino lungo l’asse

di nuovi codici d’azione pedagogica-sociale.

80

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Accompagnamento di processi e alfabetizzazione relazionale

Il passaggio dall’ottica di “risoluzione di problemi” all’ottica di “accompagnamento di processi” comporta

un problema di riposizionamento dei diversi soggetti

coinvolti, finalizzando l’interazione delle specifiche professionalità e capacità alla costruzione di convergenze e connessioni. Connessioni e convergenze che

permetteranno di riappropriarsi delle problematiche senza

più sentirsi da soli nel lavorare nel contesto di riferimento, quanto piuttosto nel percepirsi quali attori interagenti con altri soggetti in un medesimo contesto, che si presenta

dinamico e complesso.

Occorre, pertanto, porsi nell’ottica della gestione del conflitto, e della violenza ad esso connessa, se si vogliono ottenere dei risultati che possano radicarsi nella

vita quotidiana, Per ottenere tali risultati occorre avere il

coraggio di pensare soluzioni nuove, modelli educativi che introducano l’”alfabetizzazione relazionale” quale strumento che va oltre la classica funzione, svolta

dall’istituzione scuola, di trasmissione cognitiva del

sapere ed esperienziale del fare. Alfabetizzazione che non può e non deve essere relegata al solo ambito cognitivista, ma deve prevedere un coinvolgimento attivo

delle varie figure coinvolte nell’organizzazione degli istituti

scolastici: in primis la componente studentesca, a seguire le componenti docenti e genitoriali nel rispetto dei relativi ruoli e funzioni. Voler affrontare la violenza a scuola con il

classico metodo della sanzione, può essere appagante

per chi la commina, ma non favorisce quel processo di responsabilizzazione dei giovani che permette agli stessi

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di introiettare dentro sé stessi modelli comportamentali

d iversi . Model l i comportamental i che partono dall’identificazione delle proprie emozioni e dal

riconoscere l’altro come portatore di percezioni differenti dalle nostre, ma non per questo meno valide. Si tratta di

un processo dinamico che partendo da un nuovo concetto di soggettività (data dall’interazione fra l’identità

e la diversità), permette lo svilupparsi di un nuovo modo di pensare e di affrontare i problemi, i contrasti, i conflitti

nella ricerca continua delle soluzioni appaganti le aspettative di tutte le componenti dei medesimi. Ma per

quale motivo è importante coinvolgere, nella gestione del conflitto, le varie componenti social i? Perché

un’amministrazione pubblica (comune, ville, provincia, département…), dovrebbe occuparsi del bullismo e della

conflittualità a scuola? Perché mai le scuole di ogni ordine e grado, istituzioni formativo-educative, dovrebbero

accettare che altre istituzioni, altre figure professionali e non, si attivino nella realizzazione di interventi condivisi?

Perché il problema non consiste nella soluzione del

conflitto, che alcune volte è comunque irrisolvibile, ma nella sua gestione. Attraverso la gestione del conflitto

possiamo arrivare a trasformarlo “da una percezione

negativa” (paura, minaccia, debolezza),“ad una percezione

positiva” (ascolto, riconoscimento, crescita), con conseguente ricaduta, in generale sul contesto sociale e

scolastico, in particolare sul contesto classe.

Ora, se la “soluzione del conflitto” può essere affrontata tramite lo strumento della decisione super partes o della

sanzione comminata dal preside o da un insegnante; la “gestione della violenza insita nel conflitto”, che il più delle

volte è l’iceberg di situazioni ben più complesse, deve essere affrontata con un’azione sinergica tra le varie

componenti istituzionali e non.

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Un’azione sinergica

Solo attraverso un’azione sinergica che si sviluppi in un

‘ottica sistemica è possibile riconoscere specificità e

complessità del problema. Il riconoscimento della

differente referenzialità dei soggetti coinvolti, tramite il

reciproco influenzamento, può permettere la costruzione

di risposte alternative, che acquistano significato e

valenza nell’inter-azione continua fra gli attori coinvolti.

Contemporaneamente la violenza ed i conflitti ad essa

connessi richiedono risposte adeguate a situazioni che si

sviluppano nell’informalità. Ma offrire risposte adeguate

non implica che si debba agire solo nell’ambito della

formalità o dell’autorità: il più delle volte occorre

sviluppare la gestione del conflitto mantenendola nella

“sfera dell’informalità”.

Ma lavorare nella sfera dell’informalità comporta lavorare

sulla relazione, perché “esiste una necessità di vivere la

relazione in ambito educativo e di assumere questa

relazione anche conflittuale come una sfida che porta

all’apprendimento di competenze, e permette alle nuove

generazioni di mettersi alla prova”12. Invece molte volte ci

troviamo di fronte a situazioni, a insegnanti e/o educatori

che, nell’ansia di trovare una soluzione, utilizzano

metodologie pedagogico-educative classiche che, il più

delle volte, dimostrano di aver esaurito la loro funzione

storica.

83

12 Daniele Novara – « L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace » in F.Scaparro, Il coraggio di mediare. Guerini e associati,2001 – pgg. 177-187

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Nuove prassi e formazione alla relazione in ambito educativo/scolastico

Di qui la necessità di sperimentare nuove modalità di

risposta che richiedono una formazione mirata e

l’introduzione di percorsi di “formazione alla relazione in

ambito educativo/scolastico”, sia per gli insegnanti sia per

gli studenti medesimi (peereducation).

La “peereducation”, letteralmente “educazione tra pari” è

una metodologia di intervento volta ad attivare un

processo naturale di passaggio di conoscenze, di

emozioni e di esperienze da parte di alcuni membri di un

gruppo ad altri membri di pari status per età, background,

interessi.E’ un metodo educativo in cui “persone con un

interesse comune vengono formate a sviluppare

conoscenze e specializzazioni appropriate e a

condividere queste conoscenze, in modo da informare e

preparare altri e diffondere competenze e abilità simili

all’interno dello stesso gruppo di interesse” (Svenson,

1998).13

“Peer Education”: una modalità partecipativa.

La peculiarità della “peereducation” è proprio quella di

essere “un’esperienza di giovani tra i giovani” e fonda i

propri presupposti teorici e metodologici sull’importanza

84

13 Dalla relazione di Giovanna Gangarossa – Introduzione alla peereducation - progetto The B-Band, building a bridge to go beyondbullyin”

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che il gruppo riveste naturalmente nell’ambito dei

processi evolutivi dell’adolescenza, divenendo strumento

di crescita e sperimentazione. Il passaggio di informazioni

t ra g iovani è d i t ipo or izzonta le e favor isce

l’apprendimentopartecipativo poiché utilizza canali e

strumenti di comunicazione propri del gruppo dei pari,

riducendo la differenza tra sé e gli altri grazie a modalità

relazionali dirette e l’uso di un linguaggio comune. Questo

li rende una fonte di informazione più credibile e non

giudicante, specialmente su temi sentit i come

particolarmente sensibili e significativi. In quanto

appartenenti allo stesso gruppo di riferimento, in

possesso dello stesso patrimonio linguistico, valoriale,

r i t ua le , ess i possono rappresen ta re mode l l i

comportamentali positivi, supportando con più efficacia la

condivisione di valori e stili di vita orientati al benessere.

All’interno del gruppo gli adolescenti hanno la possibilità

di formare e definire la propria identità attraverso

l’incontro, il confronto e lo scontro con la dimensione

dell’altro. Nel gruppo trovano contenimento affettivo e

relazionale ed hanno la possibilità di elaborare e

comprendere i cambiamenti psicofisici e psicosociali che

stanno vivendo.

Come teorizzato da alcune teorie psicologiche e

pedagogiche, il gruppo dei pari è, inoltre, particolarmente

importante nel facilitare i processi di apprendimento. Esse

hanno confermato che l’apprendimento è determinato da

molteplici fattori e non solo da processi cognitivi; la sola

trasmissione di saperi non è quindi sufficiente e

determinare cambiamenti significativi nel comportamento.

Per questo è importante passare da una modalità

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tradizionale di trasmissione passiva dei saperi ad una

modalità partecipativa che coinvolga i ragazzi nella

condivisione degli obiettivi formativi.14

Intelligenze multiple e intelligenza emotiva

La letteratura specializzata ci insegna che Gardner

propone il modello delle intelligenze multiple, che integra

tra loro intelligenze tecniche (verbali, logico-matematiche,

musicali) con intelligenze di tipo interpersonale (capacità

di alimentare relazioni, di risolvere i conflitti, di analisi

sociale) ed intrapersonale (consapevolezza dei propri

limiti e dei propri punti di forza). L’individuo per poter

acquisire un pieno controllo sulla propria vita fa ricorso a

queste diverse intelligenze che interagiscono fra di loro.

Se l’intelligenza interpersonale, considerata come

naturalmente acquisita in un gruppo di pari che condivide

il medesimo ambiente di vita,è funzionale ad un’efficace

intervento di peereducation,l’intelligenza intrapersonale

consente l’acquisizione consapevole di un modello

realistico di se stessi e la capacità di operare

proficuamente nella vita.

86

14 Dalla relazione diGiovanna Gangarossa – Introduzione alla peereducation - progetto The B-Band, building a bridge to go beyondbullyin”

Page 89: La scuola che cambia: dall'aggressività alla · La scuola che cambia: dall'aggressività alla gestione costruttiva dei conflitti competenze sociali, prevenzione e gestione dei conflitti

Lo sviluppo di queste intelligenze diventa pertanto

fondamentale, nella formazione dei peer educator, per lo

sviluppo di abilità indispensabili alla costruzione di

relazioni educative efficaci all’interno del gruppo di

appartenenza.

Tra le intelligenze multiple, particolare rilievo riveste

l’apprendimento e lo sviluppo dell’intelligenza emotiva

(Goleman), ovvero la capacità di riconoscere i propri

sentimenti e quelli degli altri, di motivare se stessi, e di

gestire positivamente le proprie emozioni, tanto

interiormente, quanto nelle relazioni sociali, consentendo

a ciascuno di utilizzare al meglio tutte le proprie abilità,

comprese quelle intellettive.15

Nell’ambito delle singole fasi del progetto, il percorso di

formazione degli studenti tra pari ha previsto

l’apprendimento e lo sviluppo di competenze psicosociali

o life skill, cioè delle abilità che mettono la persona in

grado di fronteggiare in modo  efficace le richieste e le

sfide della vita quotidiana.

87

15 Dalla relazione diGiovanna Gangarossa – Introduzione alla peereducation - progetto The B-Band, building a bridge to go beyondbullyin”

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Ragazzi protagonisti responsabili e adulti facilitatori del processo

Attraverso la metodologia della “peereducation” si

vogliono riconoscere e valorizzare le risorse, le

potenzialità e le abilità possedute dai ragazzi per renderli

protagonisti responsabili nella promozione del proprio

benessere. Essipossono così diventare soggetti attivi

nella progettazione, realizzazione e valutazione

dell’intervento educativo, mentre gli adulti possono

assumere il ruolo di facilitatori del processo.

Gli adulti possonolavorare con i ragazzi, e non su o per i

ragazzi, ascoltandoli, dialogando e confrontandosi con

loro, accompagnandoli nello sviluppo di competenze

efficaci in un’esperienza di progettazione condivisa.

La scuola, uno dei luoghi educativi privilegiati che può

consent i re una effet t iva sper imentaz ione e i l

rafforzamento di nuove dinamiche relazionali, ha le

potenzialità e le capacità, attraverso una specifica

formazione, per coinvolgere direttamente gli studenti in

un nuovo ruolo responsabile e attivo all’interno

dell’istituzione.

88

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Tre componenti: studenti, insegnanti o adulti di riferimento, genitori

Dall’esperienza sperimentata nei vari plessi scolastici, sia

in Italia sia in Irlanda, emerge chiaramente che le tre

componenti di maggior riferimento, verso le quali sarà

necessario orientare possibili proposte d’intervento, siano

rappresentate da:

1. Gli studenti, che esprimono il loro disagio nelle forme

più diversificate, il più delle volte sanzionate perché

incomprese nella loro effettiva dimensione di richiesta

d’aiuto, o anche solo di riconoscimento di esistenza, e

raramente affrontate sul piano della relazione, sia nei

confronti del singolo sia nei confronti del gruppo classe.

Sembra emergere perentoria una loro richiesta d’ascolto

attivo da parte di un adulto significativo quale può essere

l’insegnante; adulto che sappia porsi in una posizione non

giudicante, ma che sappia offrire risposte aperte,

attraverso le quali l’allievo si senta riconosciuto ed

accettato come individuo in evoluzione, come persona

che sta attraversando una fase evolutiva particolare e al

contempo delicata, ma fondamentale per la costruzione

della sua personalità e della percezione della propria

cittadinanza.

“Contemporaneamente emerge, da parte dei giovani che

vivono un conflitto, come una loro richiesta d’aiuto sia

rivolta, più frequentemente, ai propri coetanei in quanto:

89

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‣ I coetanei condividono lo stesso ambiente e sono più

facilmente reperibili

‣ La comunicazione è più facile, si utilizza lo stesso

significato

‣ Non ci sono posizioni di potere, il che comporta una

diminuzione del loro potere sanzionatorio

‣ I pari comprendono meglio l’importanza che il conflitto

riveste nella vita dei compagni”.16

2. Gli insegnanti, ed eventuali altri adulti di riferimento

significativi, che lavorano a stretto contatto con gli

adolescenti, dai quali traspare la necessità di

intraprendere strade e strategie nuove, a fronte di un

rapporto relazionale che si presenta sempre più difficile e

complessificato da fattori di non facile interpretazione e

conseguente gestione, soprattutto se inquadrato

a l l ’ i n t e r n o d i u n a re l a z i o n e e m p a t i c a v o l t a

prevalentemente al piano della pura didattica.

Appare, di conseguenza, importante la riappropriazione di

un rapporto dialogico che aiuti a riscoprire le competenze

relazionali dei singoli attori coinvolti (docenti / allievi); che

permetta di costruire una visione dell’allievo più ampia ed

articolata; che consenta l’ instaurazione di una

comunicazione maggiormente efficace.

Per gli insegnanti la formazione può fornire loro

l’acquisizione di una maggiore consapevolezza che, solo

attraverso una corretta relazione con gli studenti, è

possibile trasmettere il “saper essere” prima del “saper

fare”. La formazione alla relazione dovrebbe essere

90

16 Ass. Gruppo Abele – Formazione giovani mediatori - gennaio-marzo 2012 – Relazione a cura di Laura Gilli

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obbligatoria nel corso di studi di quanti hanno intenzione

di lavorare nell’ambito educativo/formativo; il che potrà e

dovrà permettere la destrutturazione dei modelli e dei

ruoli professionali che ci sono stati tramandati, per

ridefinirli nell’ambito della “umanizzazione dell’oggetto

quale superamento dell’oggettivazione del soggetto”17

“Sinteticamente si possono indicare quali obiettivi

dell’attività formativa:

‣ aumentare le competenze individuali nella lettura di

situazioni critiche e di conflitto

‣ accrescere le competenze emotive e le capacità di

ascolto

‣ apprendere modalità concrete e costruttive per gestire

i conflitti in maniera più appropriata, in modo da

moltiplicare la possibilità di intraprendere le strade del

mutamento e della crescita – sia relazionale che

i n d i v i d u a l e – p i u t t o s t o c h e q u e l l e d e l l a

contrapposizione e della rottura

‣ fornire strumenti di analisi e riconoscimento di

situazioni a rischio di prevaricazione e vittimizzazione,

al fine di ipotizzare strategie e interventi utili al

miglioramento della qualità di vita in ambiente

scolastico

‣ accompagnare e favorire le risorse riparative degli

attori della scuola al fine di implementare strategie

rispetto alla gestione delle regole, delle sanzioni e di

modalità alternative di risoluzione delle controversie”.18

91

17 Lucien Hounkptin – etnopsichiatre du Centre Devereux de l’Université VIII di Paris

18 Ass. Gruppo Abele – Relazione formazione insegnanti Marsala e formatori CRESM – novembre 2011, relazione a cura di Laura Gilli

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3. I genitori , che appaiono sempre più in difficoltà nella

relazione con i propri figli, i cui atteggiamenti sembrano

riflettere la “crisi dell’adultità” nelle sue varie espressioni;

in particolare, nella difficoltà ad esprimere la “genitorialità

in modo coerente e condiviso”.

Tenuto conto che i cambiamenti propri dell’adolescenza

tendono a mettere in disordine gli assetti relazionali

costruiti nel tempo, creando conflittualità nella relazione,

ne deriva l’importanza di promuovere un interscambio di

sapere, all’interno del mondo adulto, che parta dal

reciproco riconoscimento del linguaggio dell’altro.

Riconoscimento che è alla base della co-costruzione di

un qualcosa che non c’è (una relazione propositiva), ma

che può essere costruito dall’incontro dei nostri linguaggi,

in modo da permetterci di uscire dalla cecità connessa

alle abitudini di pensiero, che non può esistere senza

interazione.

92

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Interazione e co-costruzione

I n s i n t e s i p o s s i a m o d i r e c h e i l p r o g e t t o

“Guichetsantiviolence pour lesmineurs”, si è posto

l’obiettivo di lavorare sul tema della violenza dei giovani,

con particolare attenzione al mondo della scuola, per

prevenire il suo verificarsi e per affrontarne le

manifestazioni, interagendocongiuntamente su più piani e

integrando differenti azioni all’interno di ciascun specifico

territorio.

I piani su cui hanno lavorato i partners ci indicano

l’opportunità di focalizzare, anche per il futuro, gli

interventi volti a contrastare la violenza fra i giovani

prioritariamente attraverso:

‣ lo sviluppo di attività di peereducation fra gli studenti;

‣ la formazione di gruppi di studenti alla gestione dei

conflitti nelle singole scuole di appartenenza;

‣ lo sviluppo e aggiornamento della conoscenza del

fenomeno;

‣ le forme di auto-formazione e di formazione continua

per gli insegnanti in servizio;

‣ le forme di auto-formazione e di formazione continua

per gli altri adulti di riferimento;

‣ la sensibilizzazione e la consapevolezza della famiglia;

‣ l’individuazione e sperimentazione di percorsi e

strumenti didattici utilizzabili nelle classi;

‣ il collegamento dei programmi sulla violenza alle azioni

positive di miglioramento del clima nell’istituzione

scolastica e nelle singole classi;

93

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‣ lo sviluppo della capacità di valutazione degli

interventi;

‣ la co-costruzione di una rete composta da attori

sociali, istituzionali e familiari;

‣ il ruolo dell’istituzione scolastica attraverso la

responsabilizzazione di tutti, pur nel riconoscimento

dei differenti livelli;

‣ il coinvolgimento della comunità attraverso lo sviluppo

ed il sostegno di specifiche politiche;

‣ l’accompagnamento dell’attività di mediazione tramite

una supervisione e una valutazione permanente degli

interventi da parte di esperti esterni alle équipesdi

mediatori.

Il progetto si è articolato in una serie di attività finalizzate

a costruire un sistema di scambio, confronto,

sperimentazione e valutazione tra i partners impegnati sul

terreno della prevenzione e della lotta alla violenza nella

scuola.

Partendo da comuni sperimentazioni, si è dato vita ad un

lavoro di sistematizzazione di esperienze, di produzione di

materiali e di costruzione condivisa di un patrimonio di

riferimenti e conoscenze intorno alle “buone pratiche”

finalizzate ad uno specifico intervento preventivo.

L’organizzazione del lavoro sul piano delle azioni

congiunte da sviluppare è stato tale da coinvolgere

attivamente tutti i partners, individuando all’interno del

gruppo un responsabile per ogni piano di lavoro.

94

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In conclusione, personalmente noi siamo convinti che

quanto è emerso dal presente lavoro ponga ancora

un’ultima questione, che non può non considerarsi

strutturale ad un corretto funzionamento di qualsiasi

progettualità che veda coinvolte componenti differenti: il

passaggio da una logica di rete ad una logica di sistema.

La rete, pur nello sviluppare diverse connessioni,

costruisce risposte differenziate che, tendenzialmente, si

incardinano sull’autoreferenzialità dei singoli attori. Il

sistema, riconoscendo le specificità, la molteplicità ed il

reciproco influenzamento degli attori, si pone in un

processo d i “deter r i tor ia l i zzaz ione de i saper i

professionali”, che favorisce la costruzione di risposte

differenti all’interno di un processo che rilegge e

riconosce i bisogni, attivando quell’azione che si

incardina in una reale inter/azione.

Da una simile impostazione potranno scaturire nuovi

modelli organizzativi, sia per la scuola che per i settori

educativi, maggiormente rispondenti alle esigenze della

società contemporanea, ma soprattutto alle esigenze dei

giovani che sono e rimangono la principale ricchezza

delle nostre comunità.

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Le metodologie operative

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Le metodologie operative JoelleTimmermans e Giovanni Ghibaudi

Fasi del progetto e fasi d’intervento: passo dopo passo

Quando si vuole introdurre la mediazione in una

istituzione o un organismo, è necessario procedere passo

dopo passo. Osservando le due esperienze italiane e

irlandesi, e il confronto con ciò che succede in Belgio, si

possono individuare cinque fasi per l'attuazione del

progetto. Ogni fase deve essere seguita nell'ordine e

continuità.

1- Fase dell’ analisi :

‣ Analizzare le esigenze del settore

‣ Stabilire un piano d'azione che risponda a queste

domande: Cosa, Perché, Quando, Come, Dove, ...

‣ Formare il gruppo di coordinamento interno alla

scuola: persone motivate e disponibili per diversi anni.

2- Fase di avvio /start up :

‣ Formazione per tutti sullo spirito della mediazione:

adulti e giovani.

‣ Sensibilizzare gli adulti al programma.

‣ Sensibilizzare i giovani al programma.

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‣ Costituire un gruppo di coordinamento e individuare

una persona che coordina.

‣ Informare in merito al piano d'azione e ai suoi obiettivi

tutti gli interessati esterni: la famiglia, ecc.

3- Fase di integrazione:

‣ Formazione dei giovani.

‣ Supervisione del progetto da parte del gruppo di

coordinamento.

4- Fase di monitoraggio e supporto :

‣ Supervisione delle situazioni vissute (compito svolto

da un professionista).

‣ Rafforzare/potenziare/responsabilizzare il gruppo di

coordinamento per continuare lo sviluppo del progetto

all'interno della scuola.

5- Fase di autonomia

‣ Sostenere il progetto e il suo processo di sviluppo, da

parte dei suoi membri.

Per radicare operativamente il progetto e creare nuove

abitudini nella scuola, è necessario che il processo

preveda una impostazione a medio termine: 3 -5 anni.

Rispetto al lavoro a lungo termine, siamo tutti

coinvolti con Tre parole chiave: TEMPO, MEZZI e

PERSEVERANZA

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Affinchè il progetto abbia successo e come possiamo “affidarlo” all’usura del tempo

‣ Il 75% dell’équipe educativa deve sottoscrivere il

proprio consenso al progetto; chi non vi partecipa si

impegna a non sabotarlo;

‣ La maggioranza degli adulti considera adeguata

questa modalità di gestione e trasformazione dei

conflitti e vi indirizza gli studenti;

‣ Molti adulti dell’équipe educativa contribuiscono a

formare i mediatori e coordinano il progetto per

renderlo duraturo;

‣ Si deve riservare un momento della giornata alla

mediazione, al lavoro preparatorio e conclusivo;

‣ Il progetto di mediazione tra pari è integrato nel

sistema scolastico tramite il regolamento d’istituto.

‣ L’équipe educativa, i genitori, gli alunni comprendono

e condividono gli obiettivi della mediazione e l’utilità

del progetto.

‣ Si devono prevedere figure o spazi di supporto esterni

all’équipe pedagogica: un operatore scolastico o un

educatore, un centro di mediazione operante sul

territorio, un servizio istituzionale e/o del privato

sociale (centro aggregativo, associazione), destinato ai

giovani, un servizio psico-medico-sociale finalizzato al

benessere e alla salute della persona….

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In effetti, la creazione e il sostegno permanente di un

progetto di “Mediazione tra Pari”, richiedono una notevole

quantità di energia e di tempo, che va oltre l’energia

dell’équipe pedagogica in quanto sarà sempre più

sollecitata sotto vari aspetti.

Occorre, inoltre, sottolineare che i progetti hanno una

maggiore possibilità di durata se gli adulti sono capaci di

risolvere i propri conflitti e se creano parallelamente, al

loro livello, un sistema di risoluzione dei conflitti

altrettanto legato al metodo o allo spirito della

mediazione.

L’esperienza ci insegna che solo i progetti che sono durati

in un tempo superiore ai 3-5 anni hanno saputo creare

una vera e propria cultura della mediazione.

Risorse interne: personale e struttura del lavoro

Risorse interne

È essenziale per l'ente coinvolto in un progetto di

mediazione, tener conto di fattori diversi :

‣ Il tempo e la struttura a disposizione.

‣ Le motivazioni generali (in caso di crisi, le persone

tendono ad abbandonare l’impegno rendendo la

situazione sempre più difficile)

‣ Una fase di preparazione adeguata.

‣ L’adesione ai principi della Mediazione.

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‣ Un’informazione e una formazione specifiche sia per i

giovani sia per gli adulti.

‣ Il follow-up degli accordi.

‣ Una valutazione e una supervisione permanenti.

‣ Una rete attiva: all’interno e all’esterno delle scuole.

‣ La buona volontà di tutti a sviluppare «saper essere +

saper fare».

‣ Focus sui bisogni di tutte le persone coinvolte.

‣ Accettazione degli effetti comportamentali sugli altri e

la comunità.

‣ La coscienza della nostra autonomia e la nostra

interdipendenza.

‣ Responsabilità rispetto a ciò che diciamo / ciò che non

dicono, a quello che facciamo / quello che non fanno.

Risorse personali e qualità dei giovani mediatori

Insieme con le risorse interne dell'istituzione, un

mediatore giovane usa le conoscenze e le competenze

acquisite e/o sviluppate nel corso della sua formazione

personale.

In generale, il formatore diventa il riferimento per la

supervisione di mediatori addestrati.

Ad esempio, dopo la mediazione, può essere proposta,

sia al supervisore sia al mediatore, la seguente griglia di

valutazione che può anche essere utilizzata come auto-

osservazione o auto-valutazione.

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Griglia di auto-osservazione di mediatori qualificati

Quando ogni parte desidera comunicare e gestire il

conflitto che li contrappone, il mediatore qualificato

utilizza il suo telaio.

Per sviluppare le proprie capacità, ecco una griglia di

auto-osservazione.

Impostare: "O" quando si ha agito nella direzione

indicata.

"R" quando non hai notato nulla.

"N" quando avete fatto il contrario.

Quando si osserva un altro mediatore, immettere "O", "R"

o "N" per gli stessi motivi.

Data e luogo .....................

Nome del Mediatore

osservato ...........................................

A. Valorizzare le risorse personali.

1. Ascolta con le orecchie, gli occhi e il cuore.

2. Mostra empatia.

3. E’ non-giudicante.

4. Crea un clima di fiducia.

5. E’ obiettivo, imparziale.

6. Prende il tempo di verificare.

7. Mantiene la calma, pazienta.

8. Regola i turni di parola

9. ......................................

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B. Utilizzare tecniche di comunicazione.

1. Utilizzare un linguaggio semplice, chiaro e neutrale.

2. Fare domande aperte.

3. Guidare le discussioni.

4. Far rispettare le regole.

5. Ricentrare l’attenzione sul soggetto.

6. Chiarire le parole dette e non dette.

7. Gestire e disinnescare i comportamenti aggressivi.

8. Reinquadrare il conflitto.

9. Mantenere un buona equidistanza, senza prendere in

carico il problema.

10. Rispettare i silenzi.

11. Mostrare l’esempio: esprimersi in "Io", eccetera....

12. Riformulare il verbale e il non verbale.

13. Far riformulare da uno quello che ha detto l'altro

(tecnica del bilanciere)

14. .....

C. Lavorare con un altro peer

1. Sostenere il processo.

2. Lavorare insieme.

3. Chiedere aiuto all'altro mediatore.

4. Procedere insieme nella stessa direzione.

5. Riconoscere ed esprimere i suoi limiti.

6. Fare riferimento ad un adulto se si è in difficoltà

7. Riferire la situazione ad una persona, organizzazione

appropriata se la mediazione si interrompe.

8 .......................................................................................

Una volta acquisite le competenze personali, è

indispensabile organizzare una struttura operativa che si

adatti al lavoro che il giovane deve eseguire.

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Strutturazione del lavoro dei giovani mediatori

È necessario definire con i giovani la struttura del loro

lavoro e i limiti delle loro azioni:

‣ I mediatori tra pari aspettano in cortile che i bambini

che hanno un problema si rivolgano a loro;

‣ Lavorano in coppia e sono riconoscibili dalla maglietta

(o da altro segno distintivo);

‣ Il loro ruolo consiste nell’aiutare gli altri giovani a

parlarsi, ascoltarsi e trovare soluzioni condivise;

‣ Non si comportano né da sorveglianti né da “spioni” o

da Zorro;

‣ I sorveglianti mantengono il loro ruolo e propongono ai

bambini che hanno un problema di rivolgersi al

mediatore;

‣ I mediatori si alternano e agiscono solamente quando

tocca a loro.

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Gli ostacoli alla realizzazione del progetto e il successo parziale

Ci sono alcuni problemi o difficoltà da sapere.

Ci sono anche apriori e credenze che possono ostacolare

la realizzazione del progetto.

Ci possono essere anche elementi di successo parziale.

Ostacoli alla realizzazione del progetto

‣ La paura di essere percepita come una scuola

problematica o violente.

‣ La contrapposizione alla cultura scolastica.

‣ La necessità di un altro modello di gestione dei

conflitti.

‣ Preferenza per la pena / dissuasione : contro ciò che

dispiace all'adulto (dissuasione imitata dagli studenti).

‣ Clima degradato nel team educativo o con il "leader".

‣ Ruoli e funzioni di ogni adulto non chiari, né definiti o

territori non rispettati.

‣ Nessun accordo su regole comuni tra gli insegnanti.

‣ Le disparità riguardanti la concezione e il modo di

esercitare l'autorità.

‣ Mancanza di fiducia tra gli adulti e tra adulti e giovani.

‣ Regole / sanzioni mal definite o non riconosciute.

‣ Vaga idea "di ciò che è giusto, ciò che è sbagliato?».

‣ L’ incapacità di cogliere gli aspetti positivi quando si

affrontano i cambiamenti.

‣ "Risultati non accettati": accordo per chiudere, ma

rimane la frattura nella relazione

‣ Vulnerabilità nel reggere la frustrazione.

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‣ L’attacco nei confronti delle persone senza mettere a

fuoco i problemi

Fattori che spiegano il successo parziale

‣ Problemi con la droga, alcool o altre dipendenze.

‣ Una cultura cooperativa deficitaria: nessun esempio,

nessun supporto, nessuna volontà, ...

‣ La mancanza di monitoraggio da parte del mediatore o

dell'istituzione.

‣ Lentezza istituzionale.

‣ Intensità e "passato" del conflitto.

‣ Mancanza di attenzione o di rispetto.

‣ Mancanza di una risposta a determinate richieste.

‣ Non riconoscimento delle responsabilità

‣ Danni del gruppo, di alcuni membri istituzionali o di

quanti sono coinvolti.

‣ Modificazione delle circostanze

‣ Nessuna rete di supporto

‣ Concorrenza tra i professionisti che si occupano della

gestione dei conflitti

‣ …..

Per una cultura della mediazione

Praticare la mediazione è creare una nuova cultura.

Se ci sono disagi relazionali, la mediazione è uno

strumento specifico di socializzazione nelle scuole, nelle

famiglie, nel lavoro, nei loro quartieri.

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Socializzazione: rafforzare la capacità di ogni

individuo di agire adeguatamente nelle diverse

situazioni che implicano la relazione (conflittuale o

meno) e la sua capacità di chiedere aiuto a un terzo

se necessario.

Si apprende a vivere e lavorare insieme.

Aderire allo spirito di mediazione per “vivere e

lavorare bene insieme ”.

E 'importante che si trasformi in un apprendimento di

base per tutti, giovani e adulti, che aiuti ad accrescere il

senso civico

Apprendimento di base per tutti delle “Alternative

Dispute Resolution (ADR)”:

Rispettare la cultura della mediazione vuol dire

condividerne lo spirito, in modo da evitare questioni quali:

Come relazionarsi fra adulti e giovani, senza entrare/

rimanere in un rapporto di autorità?

Come stimolare un rapporto che si svolga in entrambe le

direzioni e salvaguardi i diritti e i doveri reciproci?

Come applicare preventivamente la mediazione a scuola?

Come gestire il conflitto senza "accusare" la persona?

Come affrontare le resistenze?

Come stimolare positivamente le parti in conflitto e creare

opportunità dentro e fuori della scuola?

Una cultura della mediazione

comporta una lavoro a lungo termine

in cui siamo tutti coinvolti

passo dopo passo.

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I linguaggi possibili

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Sperimentazione virtuale: la mediazione attraverso i giochi di ruolo virtuali negli ambienti virtuali 3DMarilena La Placa

A quasi 10 anni dalla nascita di Second Life sono

numerosissime in Italia ed in Europa le sperimentazioni

sull’uso didattico dei mondi virtuali.

L’ambiente virtuale 3D ha infatti delle caratteristiche che

si sposano felicemente con le didattiche “aperte”,

interattive e costruttiviste.

Le sperimentazioni hanno evidenziato che i tratti distintivi

degli ambienti 3D sono l’immersività e il senso di

presenza, cioè sentirsi presenti nello spazio circostante e

interagire con esso, ma anche sentire la presenza di altri

“qui ed ora”: caratteristiche ideali per costruire un

apprendimento “sociale” che crei significati attraverso

l’interazione con altri.

Tra le diverse attività didattiche che è possibile tenere nei

ambienti digitali 3D, il gioco di ruolo è probabilmente

quella che utilizza maggiormente le potenzialità di questo

media.

Ogni partecipante anima e muove nel mondo virtuale un

Avatar ed interpreta un personaggio, all’interno di un

canovaccio prestabilito.

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L’ambiente 3D consente da un lato di dar vita ad un

personaggio anche molto diverso da sé stessi

(sperimentando ad esempio le proprie parti aggressive) e

contemporaneamente di partecipare emotivamente alla

drammatizzazione grazie all’identificazione con il proprio

Avatar. Permette quindi di creare una palestra emotiva, un

luogo in cui sperimentare emozioni e cognizioni ed

apprendere competenze relazionali in un luogo sicuro.

Il progetto Guitches pour les mineurs mette a

disposizione delle scuole partecipanti un ambiente

virtuale 3D dove mettere in pratica le tecniche di

mediazione del conflitto secondo un approccio

cooperativo e giocoso.

Il progetto prevede lo svolgimento di giochi di ruolo

virtuali all’interno del mondo digitale OpenSimulator

(http://www.opensimulator.org) che è molto simile a

quello di Second Life.

In ogni sessione di gioco verrà rappresentato un conflitto

scolastico tipico: i giocatori reciteranno la parte dei

personaggi descritti nello scenario fornito alle scuole che

tratteggia la storia del conflitto e dei relativi partecipanti e

cercheranno insieme una soluzione comune e

collaborativa.

La storia raccontata nello scenario non ha una fine

prestabilita: sta ai giocatori inventarla. Giocando, si può

creare un finale diverso in ogni sessione.

Nel gioco di ruolo infatti non è tanto importante il

prodotto finale, quanto la mediazione, come processo di

crescita che gli alunni in modo consapevole sviluppano

intorno a situazioni probabili e simili a quelle con cui

spesso devono confrontarsi nella realtà.

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I giochi di ruolo virtuali (Virtual Role Play o VRP) si

svolgeranno in uno dei più famosi mondi digitali 3D

online: OpenSim (http://www.opensimulator.org). In ogni

gioco di ruolo si rappresenterà uno scenario basato su

un tipico conflitto scolastico. In ogni scenario i giocatori

dovranno cercare di trovare soluzioni comuni in modo

cooperativo e collaborativo.

L'obiettivo di questi giochi di ruolo è quello di aiutare gli

studenti a mettere in pratica le tecniche di mediazione tra

pari apprese durante la formazione.

Per giocare verranno messi a disposizione scenari e

personaggi (avatar), le cui reazioni, i sentimenti e le

esigenze sono simili a quelle che vivono i giovani. I

ragazzi incontreranno dei loro pari che li incoraggeranno a

parlare e li aiuteranno a trovare una soluzione ai vostri

conflitti, attraverso la mediazione tra pari.

E adesso ......... vediamo come diventare uno dei

protagonisti del gioco.

Partecipare al gioco

Su questo sito è possibile scegliere uno scenario in cui

sono presenti 3 personaggi.

Alcuni giorni prima della sessione online, ogni giocatore

selezionato riceverà il nome utente e la password per il

log in, dopo il login riceverà tutte le informazioni

sull'avatar (il personaggio) da interpretare nel gioco.

Accesso ad Open Simulator

Entrare su Open Simulator e familiarizzare con il mondo

virtuale è fondamentale prima di prendere parte al gioco,

ma non preoccupatevi: troverete tutte le informazioni sui

requisiti tecnici nelle guide fornite.

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Ricordate che per giocare, si entra OpenSim utilizzando il

nome utente e la password ricevuta che identifica l'avatar

che sarà nello scenario.

Lo scenario: caratteristiche e contenuti

Nello scenario troverete la descrizione di una certa

situazione, dei personaggi coinvolti, e del luogo in cui

sono stati concepiti per giocare. Oltre a queste

informazioni essenziali, che vengono divulgate e

condivise tra tutti gli avatar, ogni giocatore riceve ulteriori

informazioni riservate su alcuni aspetti della storia (cioè

cose solo lui / lei conosce) e la descrizione delle

caratteristiche del suo avatar.

Il gioco

Il gioco dovrebbe svolgersi all’interno di questa ‘cornice’:

tenendo conto di tutte le informazioni ricevute, in

particolare i dati confidenziali, e interpretare il

personaggio nel miglior modo possibile, come un vero

attore.

La storia raccontata nello scenario non ha una fine

prestabilita: tocca inventarla ai giocatori. Giocando, si

può creare un finale diverso in ogni sessione.

Alla fine del gioco tutti i partecipanti saranno invitati a

partecipare ad una sessione di scambio per commentare

quanto emerso nel gioco.

Di seguito riportiamo le guide utilizzate nel progetto

VUOI ESSERE PROTAGONISTA DI UN PROGETTO

EUROPEO SULLA MEDIAZIONE SCOLASTICA?

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VUOI PARTECIPARE AD UN GIOCO DI RUOLO

VIRTUALE?

Ecco le nostre guide che ti saranno utili ad imparare a

giocare sul nostro mondo virtuale:

‣ Guida ai giochi di ruolo Virtuali

‣ Guida tecnica del giocatore

‣ Guida tecnica per l’installazione di OpenSIM

GUIDA PER IL GIOCO DI RUOLO VIRTUALE

L’obiettivo dei giochi di ruolo è che voi alunni/e impariate

a risolvere bene i vostri conflitti e litigi in maniera

autonoma: addirittura senza che ci sia un adulto a dirvi

chi ha torto o ragione, ma proprio tra voi. E’ per questo

che parliamo di mediazione tra pari, perché nei giochi

potrete incontrare dei ragazzi come voi, dei pari, che vi

stimoleranno a parlare e a trovare delle soluzioni ai vostri

conflitti.

E ora………. vediamo come si diventa protagonisti di

questo gioco.

1. Come si partecipa al gioco.

Sul sito del progetto (www.guichetsantiviolencepourles

mineurs.eu) potrete scegliere uno degli scenari proposti

e una delle sessioni di gioco elencate. Ogni scenario

ha 3 giocatori: un mediatore e due giovani che affrontano

una situazione di conflitto. Alcuni giorni prima della

sessione di gioco (la data verrà concordata con Cineca),

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ciascuno dei giocatori prescelti riceverà una mail con

username e password necessarie per l’accesso; riceverà

inoltre tutte le informazioni sull’avatar (cioè i l

personaggio) che dovrà impersonare nel gioco.

2. L’accesso a OpenSim.

Entrare in OpenSim e familiarizzare con la piattaforma è

fondamentale prima di partecipare al gioco, ma non

preoccupatevi: troverete tutte le informazioni sui requisiti

tecnici e su OpenSim nel Manuale di Installazione e nella

G u i d a p e r i G i o c a t o r i ( p u b b l i c a t e s u l s i t o

www.guichetsantiviolencepourles mineurs.eu).

Ricordatevi che per questo gioco di ruolo dovrete entrare

in OpenSim usando la user name e la password che

avete ricevuto via mail, e che identificano il vostro avatar

nello scenario che avete scelto.

3. Cos’è lo scenario.

Nello scenario troverete la descrizione di una determinata

situazione, dei personaggi coinvolti, del posto in cui si

svolge. Accanto alle informazioni generali, che sono note

e condivise tra tutti gli avatar, ciascun giocatore riceve

ulteriori informazioni riservate, relative ad alcuni aspetti

della storia (cioè cose conosciute solo da lui/lei) e alla

descrizione del proprio avatar.

Dovrete giocare senza andare oltre quello che vi è stato

detto: tenendo conto di tutte le informazioni che avete

ricevuto, soprattutto di quelle riservate, e calandovi

nel personaggio, come se foste degli attori.

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La storia raccontata nello scenario non ha un finale

predeterminato: sono i giocatori che, giocando,

determinano il finale, che sarà perciò, ogni volta diverso.

4. Come si gioca.

Quando giocate dovete calarvi pienamente nel vostro

personaggio e nella sua personalità.

C’è una situazione di conflitto tra 2 personaggi e

partecipate ad una sessione di mediazione per risolvere il

problema.

Prima di iniziare a giocare, ripassiamo le poche regole

che non devono essere mai trasgredite durante il gioco:

‣ nella mediazione, la violenza è vietata come strumento

per la risoluzione dei conflitti: quindi, se siete in una

sessione di mediazione, non dovrete assumere

comportamenti violenti.

‣ Quando vi rivolgete agli altri giocatori non dovete

usare espressioni offensive o parolacce.

‣ Quando, durante il gioco, incontrerete un mediatore

(uno dei giocatori che vi proporrà la mediazione),

dovrete ricordare che la mediazione è sempre

volontaria e che, quindi, partecipate all’incontro di

mediazione solo se volete.

‣ Se decidete di partecipare ad una procedura di

mediazione, dovrete lasciar parlare gli altri giocatori

quando è il loro turno e cercare di capire le loro

ragioni; loro faranno lo stesso con voi.

‣ Al termine, se raggiungete un accordo, potrete

decidere di trascriverlo e salvarlo, usando le

inventories di OpenSim.

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GLOSSARIO

Gioco di ruolo

In un gioco di ruolo, ogni partecipante deve giocare

assumendo i panni di un determinato personaggio, il cui

aspetto, sentimenti, personalità sono stati stabiliti in

precedenza. I giochi di ruolo sono spesso utili per testare

e cercare di gestire possibili situazioni difficili o di

conflitto, in un ambiente protetto. In particolare, grazie ai

giochi di ruolo di avatar@school, potrete acquisire nuovi

spunti, utili per comprendere come gestire i vostri conflitti

a scuola e, in generale, nella vita reale.

Mediazione tra pari (Peer Mediation)

La mediazione tra pari è uno strumento alternativo per la

risoluzione dei conflitti. In particolare, lo scopo della

mediazione tra pari è di aiutare le persone che si

trovano coinvolte in un conflitto a trovare un

accordo, tramite cui risolvere la lite. In questa procedura

interviene un terzo, il mediatore, che è sempre imparziale

e non da mai delle soluzioni: aiuta solo i ragazzi coinvolti

nella lite a trovare da soli un accordo.

Il mediatore

Il mediatore tra pari, in questo caso un ragazzo come voi,

favorisce la risoluzione delle liti tra ragazzi che si trovano

in una situazione di conflitto. Nella risoluzione dei conflitti

tra pari si ricorre infatti alla presenza di un terzo neutrale

per aiutare i partecipanti che lo vogliono, a risolvere la

loro lite. Il mediatore è quindi una sorta di ponte che

unisce due rive opposte.

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Guida tecnica per i giocatori

Accesso e registrazione

Per accedere all’ambiente di OpenSim è sufficiente

aprire l’applicazione di Second Life usando l’icona

“Guitchets” che appare sul desktop. A questo punto

apparirà la maschera per il log in, dove andranno

inseriti i dati per la registrazione (user name e

password), che sono stati comunicati via mail.

Movimento e visuale

In OpenSim è possibile muoversi nello spazio

camminando o volando (l’ultima operazione è possibile

solo se si è stati autorizzati); il modo più semplice

per muoversi è usare le chiavi della tastiera.

Cliccando con il tasto destro del mouse sull’avatar,

apparirà un cerchio a spicchi

contenente dei comandi:

• Andare avanti (Go)

• Gruppi (Groups)

• Profili (Profiles)

• Aspetto (Appearance)

• Atterraggio (Take off)

• Gesti (Gestures)

• Amici (Friends)

• Alzarsi (Stand up). (Se siete già in piedi, questo

comando non apparirà nel cerchio).

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Comandi chiave della tastiera per muoversi:

[W] o [freccia all’insù] – fa muovere l’avatar in avanti

[S] o [freccia all’ingiù] – fa muovere l’avatar all’indietro

[A] o [freccia a sinistra] – fa ruotare l’avatar verso sinistra

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[D] o [freccia a destra] – fa ruotare l’avatar verso destra

[E] o [tasto pagina precedente] – per volare verso l’alto o

saltare

[C] o [tasto pagina successiva] – per volare verso il

basso / chinarsi in avanti sulle ginocchia

123

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[F] o [Home] è il comando per passare dal volo alla

camminata e viceversa

NOTA BENE: è sempre poss ib i le ag i re su due tast i contemporaneamente.Per muoversi è comunque necessario prendere confidenza con lo strumento virtuale. Provate muovendovi un po’ a caso. Se cadete nell’acqua per uscire dovete volare, invece di saltare fuori.

Visuale:

Annoiati di vedere la schiena del vostro avatar? Volete

vedere le cose da un’angolazione diversa? Volete

guardare qualcosa senza muovere l’avatar? Ecco le

indicazioni fondamentali.

Tenete cliccato il tasto Alt fino ad ottenere una lente

d’ingrandimento, quindi:

• puntate con il mouse sul vostro avatar e tenete

cliccato il tasto sinistro.

• Fate scivolare il mouse da sinistra a destra per ruotare

con la visuale e avanti e indietro per zoomare.

• Se cliccate su qualcosa che si trova accanto al

vostro avatar, la visualizzazione verrà ri-centrata sul

punto in cui si trova la lente d’ingrandimento quando

state cliccando.

124

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• Cliccate con il tasto sinistro sul vostro

avatar e tenete premuti, contemporaneamente, i tasti

Control (Ctrl) e Alt, fino ad entrare nell’orbita del mouse;

muovendo il mouse la telecamera si muoverà intorno

all’avatar, ad una distanza costante.

• Cliccate con il tasto sinistro sul vostro avatar e

tenete premuti i tasti

Control (Ctrl), Shift (maiuscolo) e Alt e muovete il mouse.

Questo fa fare alla telecamera una panoramica a destra e

sinistra dell’avatar.

Sembra semplice, ma ci vuole in po’ di pratica.

Potete zoomare o ruotare la visualizzazione stando fuori

da un palazzo, dietro le rocce o da qualunque posto dal

quale normalmente l’avatar non potrebbe vedere.

125

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Nel visualizzare non si muove l’avatar, ma la telecamera,

che spazia in un determinato territorio di Second Life. Per

questo è facile perdere completamente di vista il proprio

avatar, o vederlo svanire dietro degli alberi. Per ritornare

verso di lui o riacchiapparlo, si deve cliccare su Escape

(ESC) o cliccare sulla freccia all’insù che si trova nel box

dei movimenti (questo perché i comandi dalla tastiera

f a n n o c a m b i a r e l a v i s u a l e , m a n o n f a n n o

automaticamente ritornare l’avatar al centro della scena).

Lo spazio intorno a voi

Quando ci si guarda intorno in Second Life (OpenSim), si

può usare il tasto destro del mouse per cliccare su

qualcosa che si trova accanto al proprio avatar.

Questo farà apparire il menù a torta con la lista dei

comandi, che comprende “Siediti qui” (fa sedere l’avatar

in quel punto). Se invece si clicca su un oggetto, che può

essere aggiunto al proprio inventario, apparirà anche il

comando “prendi”.

126

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Comunicazione

Chat

Cliccando sul tasto “chat”, al fondo del visualizzatore di

Second Life, si aprirà, subito sopra, una piccola barra

bianca dove potrete scrivere quello che volete dire a chi vi

sta intorno. Una volta ciccato “invio”, le parole

appariranno sul proprio schermo e su quello di tutti coloro

che si trovano nei paraggi. Se avete bisogno di dire

qualcosa a qualcuno che sta più lontano, ma nel raggio

visivo, potete usare il tasto “shout” (“urla”), che si trova

alla fine della barra della chat. Nella maggior parte dei

luoghi di Second Life urlare non è molto apprezzato, per

cui va usato solo quando ce n’è bisogno.

Se volete usare i comandi chiave, come “M” per la visuale

dal mouse, dovrete cliccare di nuovo il tasto “chat”, in

modo da far sparire la barra della conversazione,

altrimenti chi vede penserà che volevate dire “M”!

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Messaggi istantanei

Un messaggio istantaneo, o IM, è una maniera per parlare

in privato con una persona o un gruppo. Ci sono diversi

modi per iniziare con l’IM.

Con le persone che vedete accanto a voi:

• Andate sull’avatar con cui volete parlare, cliccate sul

tasto destro del mouse e scegliete “IM”,

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GestiI gesti consistono in diverse animazioni, pose, suoni, messaggi di testo e movimenti facciali. I gesti sono differenti dalle altre animazioni e possono essere messi in atto solo con le seguenti modalità:

1. Selezionate il gesto dal menu “Gesti”, che si trova in basso a destra sul visualizzatore di Second Life.

2. Scrivete il nome del gesto, così come appare nell’inventario, nella barra della conversazione. Scrivete i caratteri tra virgolette. Per esempio, scrivete “afk” per assumere la posa che avete scelto per quando non siete alla tastiera.

129

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“CTRL-G” fa apparire la tavola dei gesti, che mostra tutti

i gesti possibili (e attivi), consente di modificare i gesti

esistenti, di crearne di nuovi, usando i suoni e le

animazioni del vostro inventario, e permette di vedere e

modificare le scorciatoie e i dispositivi della chat previsti

per mettere in atto un determinato gesto. I gesti di default

si trovano nelle cartelle "Library -> Gestures" e "My

Inventory -> Gestures" dell’inventario.

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I gesti devono essere attivati per poterli utilizzare: quindi,

aprite la cartella che contiene i gesti, cliccate col tasto

destro sul gesto e dal menu pop up scegliete

“Attiva” (Activate). Ora potrete usare i gesti, seguendo il

procedimento descritto sopra. Appena arrivati in Second

Life, troverete una serie di gesti di default, che tutti hanno

a disposizione. Se, in qualunque momento, i gesti

dovessero disattivarsi, seguite semplicemente il processo

descritto sopra per riattivarli.

Guida tecnica per l’installazione di OpenSIM

Requisiti di sistema e di rete

Per giocare con i giochi di ruolo virtuali su OpenSimulator

è necessario installare il client Second Life®1

(www.secondlife.com)

Prima di scaricare il client occorre verificare di avere i

requisiti di rete e di sistema adeguati.

I seguenti requisiti sono gli stessi indicati sul sito di

Second Life, all’indirizzo http://secondlife.com/support/

system-requirements/

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1 Second Life® and Linden Lab® sono marchi registrati di Linden Research, Inc.1

Second Life® and Linden Lab® are registered trademarks of Linden Research, Inc.

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Note Importanti

* Second Life non è compatibile con dial-up internet, internet via satellite, e alcuni servizi internet wireless.** Second Life potrebbe non funzionare su schede grafiche diverse da quelle sopra elencate. Le seguenti schede NON sono compatibili con Second Life:• Le schede NVIDIA che riportano come RIVA TNT o TNT2• Le schede ATI che si identificano come RAGE, RAGE PRO, oppure RADEON320M, 340M, 345M, o simili numeri di modello• I chipset Intel meno di 945 tra cui Intel Extreme• Le schede con il marchio seguente: 3DFX, RIVA, TNT, SiS, S3, S3TC, Savage, Twister, Rage, Kyro, millenni, MATROX

Le seguenti schede non sono state testate con Second Life, e la compatibilità non è certa:• Le schede NVIDIA Quadro che si identificano come• Le schede ATI che si identificano come RADEON IGP o RADEON XPRESS• Le schede ATI che si identificano come FireGL• Le schede ATI che si identificano come FireMV

Download del ClientSL Client 1.23 per Windows:http://download.cloud.secondlife.com/Second_Life_1-23-5-136262_Setup.exe

SL Client 1.23 per Machttp://download.cloud.secondlife.com/SecondLife_1_23_5_136262.dmgSL Client 2.x NON è compatibile con i server Opensim

In alternative è possibile usare il client Hippo:http://forge.opensimulator.org/gf/download/frsrelease/217/792/Hippo_OpenSim_Vi ewer_v0.6.3_Windows_Setup.exe

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FirewallÈ necessario configurare il firewall per raggiungere il server OpenSim (IP130.186.8.23) sulla porta 8999, utilizzando i protocolli TCP e UDP.

Configurazione del Client e primo log in

Dopo aver installato Second Life, occorre modificare le proprietà del collegamento aSecond Life sul desktop, per poter raggiungere la nostra scuola virtuale.Se sul desktop non c’è il collegamento, lo si può creare seguendo questi passaggi:• aprire il menu di avvio e scegliere “Programmi”• cliccare con il tasto sinistro del mouse sulla cartella Second Life• cliccare con il tasto destro sull’applicativo Second Life• scegliere “invia a” e quindi “Desktop”A questo punto sul desktop dovrebbe apparire l’icona di Second Life.

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Il collegamento così creato deve essere modificato come segue:• cliccare con il tasto destro del mouse sull’icona di collegamento Second Life e scegliere “Proprietà”• nella finestra “Collegamento” (la seconda) sostituire il testo nella casella “Destinazione” (c:¥Programmi¥SecondLife¥SecondLife.exe) con il seguente testo (comprese le virgolette, tutto i l testo in grassetto): "c:¥Programmi¥SecondLife¥SecondLife.exe" -loginuri http:// opensim01.cineca.it:8999

Come mostrato nel seguente screenshot:

Vi suggeriamo di rinominare il collegamento con il nome “Guichets OpenSim”. Con un doppio click su questo nuovo collegamento “Guichets OpenSim” si aprirà l’interfaccia del mondo virtuale e potrete accedere usando le credenziali: Firstname: GUICHETS Lastname: testPassword: xxxx

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Scenario: La bella ragazza

Riassunto

Lucia una settimana fa si è accorta che una sua

compagna, Marta, tramava qualcosa contro di lei. Ha

visto Marta e ridacchiare spesso con alcune compagne e

cambiare discorso appena lei si avvicinava. In particolar

modo si è accorta che spesso ridevano guardando

qualcosa sul loro cellulare. Lucia aveva provato a

chiedere di cosa ridessero e Marta aveva risposto che le

faceva ridere un filmato fatto con il cellulare durante

l’ultima gita, ma Lucia non era convinta da tale

spiegazione. Dopo un paio di giorni Lucia aveva scoperto

che il video in questione riprendeva lei mentre si

cambiava nello spogliatoio della palestra della scuola.

Lucia allora ha cercato di prendere il telefono a Marta, ma

la ragazza glielo ha impedito. Lucia quindi ha litigato con

Marta e questa le ha annunciato che pubblicherà il video

su YouTube, in modo che tutti possano ammirare la sua

bellezza.

Due compagne di scuola che sono amiche sia di Lucia

che di Marta chiedono ad entrambe di andare allo

sportello di mediazione. Lucia e Marta decidono di

provare a rivolgersi ai mediatori.

Nozioni di base

Luogo

In giardino, durante la pausa.

Numero di giocatori

4

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1. Scenario: La bella ragazza

Personaggi e istruzioni per i giocatori

Nome del personaggio

Lucia

Che cosa sai del tuo personaggio?

Età:

14

Background:

Lucia è la ragazza più bella della classe. È cresciuta di

colpo, e anche la sua bellezza è sbocciata durante lo

scorso anno scolastico, prima era ‘un maschiaccio’ e

nessuno dei ragazzi la guardava.

Anche se lei non indossa abiti appariscenti, tutti i ragazzi

della scuola adesso la guardano, molti di loro si sono

innamorati di lei. Come conseguenza, molte ragazze

hanno iniziato ad escluderla, perché invidiano la sua

bellezza e non accettano il fatto che i ragazzi hanno meno

interesse per loro!. Lucia non è felice di questo e vorrebbe

far capire alle altre ragazze che i ragazzi non le

interessano e che non ha colpa di questa situazione.

Situazione familiare:

Lucia vive con i genitori e un fratello maggiore. La sua

famiglia è serena e molto attenta ai suoi problemi, così lei

ha raccontato ai suoi genitori la situazione che vive a

scuola.

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Tratti della personalità:È una ragazza solare, che ama trascorrere il suo tempo con i suoi amici e compagni di scuola. Non è interessata a ragazzi e non le piace la loro eccessiva attenzione su di lei. Quando non si sente a proprio agio ha paura di qualcosa, si innervosisce e diventa un po 'aggressiva.Indossa di solito jeans e una t-shirt.

Situazione scolastica:Lucia è piuttosto brava a scuola ed è apprezzata dai suoi professori.

Cosa sa il personaggio degli altri personaggi?Marta - E 'una delle ragazze che la invidia, a tal punto da far di tutto per mettere Lucia in una situazione difficile come quella in cui si trova adesso, Lucia si sente vessata da Marta.

Che cosa sa il personaggio della situazione?Da qualche mese Marta la tratta un po’ male, quando vede il video che ha realizzato ha paura delle possibili conseguenze della pubblicazione del video su YouTube.

Qual è il ruolo e il compito del giocatore in questo scenario?Vuole evitare che Marta vada avanti con il suo terribile scherzo. Vuole spiegare loro non ha colpa di essere bella e che non le importa della sua bellezza.Un paio di compagne di scuola di Lucia e di Marta che conoscono la situazione hanno suggerito ad entrambe di andare allo sportello di mediazione per risolvere la situazione. Lucia è molto arrabbiata ma ha anche paura che venga pubblicato il video su Youtube e vuole che Marta non la tormenti più.

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Nome del personaggio

Marta

Che cosa sai del tuo personaggio?

Età:

14

Background:

Marta è innamorata di Francesco, un ragazzo simpatico e

grazioso della scuola, più grande di lei. All'inizio,

sembrava che F. fosse interessato a lei, ma da qualche

mese si interessa solo di Lucia, come tutti gli altri ragazzi,

perché lei è diventata la ragazza più bella della scuola.

Marta invidia Lucia per questo ed è convinta che sia

colpa sua se Francesco ha perso ogni possibile interesse

su di lei. Questo è il motivo per cui ha deciso di darle una

lezione, realizzando di un video di lei mentre si cambia

nello spogliatoio, con l'obiettivo di pubblicarlo su

YouTube.

Situazione familiare:

Vive con i genitori, che lavorano entrambi e spesso

tornano a casa tardi la sera. Così lei ha un sacco di

tempo per pensare alla situazione creatasi con Lucia e

Francesco che la fa stare male.

Tratti della personalità:

Ama essere al centro dell'attenzione e quando non ci

riesce diventa talvolta aggressiva e vendicativa. Soffre

perché non è ancora cresciuta e il suo aspetto è ancora

più simile a quello di una bambina, piuttosto che a quello

di una ragazza.

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Situazione scolastica:

Non ama studiare e gli insegnanti si lamentano spesso

con lei per questo.

Che cosa sa il giocatore degli altri personaggi in

questo scenario?

Lucia - Marta non la sopporta, perché è troppo bella e lei

ha catturato l'attenzione del ragazzo che piace a lei.

Cosa sa il giocatore della situazione?

Ogni volta che Marta vede parlare Francesco con Lucia

diventa molto gelosa. Una volta è capitato che era

d’accordo con Francesco di fare i compiti insieme dopo

la scuola, in biblioteca. quando era andata lì lo aveva

trovato seduto accanto a Lucia e quindi è andata via

arrabbiatissima. Marta crede che Lucia faccia finta di non

essere interessata a Francesco e ai ragazzi in genere ma

in realtà sia la classica ‘gattamorta’.

Negli ultimi giorni ha parlato molto le sue amiche che le

hanno fatto capire che il suo atteggiamento nei confronti

di Lucia è ingiusto. Non può dare tutta la colpa solo a

Lucia se le cose non vanno come desidera. E soprattutto

non può mettere il video su Youtube. Marta non è

convinta che Lucia sia così innocente ma si fida delle

amiche e quindi accetta di provare a parlare con i

mediatori.

Qual è il ruolo del giocatore e del compito in questo

scenario

Vuole che Lucia smetta di ‘sedurre’ Francesco

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2. Scenario Mike e Nic

Riassunto

Due studenti, Mike e Nic, frequentano la terza media ed

hanno un rapporto "difficile", che dura dall'inizio della

seconda media. Entrambi fanno parte della squadra di

calcio della scuola che ha vinto diversi tornei. Il primo

anno Mike e Nic erano diventati amici, ed anche se molto

diversi andavano d’accordo. Poi in seconda media hanno

litigato durante una partita e non si sono parlati più.

Adesso è iniziato il nuovo anno scolastico, la terza media

appunto, e la relazione è peggiorata, quindi è necessario

l'intervento di qualcuno che possa aiutarli nella gestione

di questa situazione.

Tre giorni fa Mike, durante la ricreazione, ha insultato la

madre di Nic e questo ha risposto a Mike, in presenza di

altri compagni di scuola: - Mike, quella che deve essere

insultata, non è mia madre, che non ha nessuna colpa,

ma la tua, perché ti ha abbandonato! -

Mike è diventato rosso per la rabbia, ha preso Nic per il

collo e lo ha spinto contro il muro, poi ha gridato: Stai

attento, idiota! Quando esco da scuola io ei miei

amici ......... ti facciamo male!!

Nessuno dei ragazzi presenti è intervenuto, Mike se ne è

andato e Nic si è sentito in colpa per le cose che ha detto

a Mike.

E' due giorni che Mike appare più nervoso, esce spesso

dalla classe e gli insegnanti lo rimproverano.

I due ragazzi hanno deciso di rivolgersi ai mediatori: oggi

all’uscita della scuola Mike e Nic si trovano nel cortile

della scuola per parlare con i mediatori.

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Posto

Cortile della scuola

Numero di giocatori

2 studenti, 2 mediatori

I personaggi e le istruzioni per i giocatori

Mike

Nic

Mike

Cosa sai del tuo personaggio?

Età: 14

Background: Mike è un ragazzo vivace e quando è

nervoso non rispetta le regole: se viene rimproverato dai

suoi insegnanti, respinge l'accusa e reagisce in modo

teatrale.

Situazione familiare: i suoi genitori non hanno alcun

contatto con la scuola e anche se erano stati inviati più

volte dagli insegnanti, hanno sempre difeso il figlio,

spiegando che è semplicemente un ragazzo vivace e che

il vero problema è che la scuola è non in grado di gestire

tali situazioni.

Mike è stato adottato quando aveva 5 anni, non appena

suo padre morì e sua madre lo abbandonò.

Comportamento: È un pò ansioso, loquace, ha talvolta

espressioni facciali infantili. Cerca sempre di avere un

contatto fisico con i suoi interlocutori, non rispetta le

distanze interpersonali necessarie. Dà spesso occhiate

sarcastiche, ridendo “sotto i baffi".

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Situazione scolastica: Mike studia poco e i suoi voti

arrivano appena alla sufficienza. Gioca nella squadra di

calcio della scuola ma non partecipa alle gite e alle attività

sociali dell’istituto, ed i suoi genitori hanno scelto

deliberatamente di non avere alcun contatto con i genitori

dei suoi compagni di scuola.

Quando è nervoso o si sente in difficoltà reagisce in

modo aggressivo, ad esempio offende i suoi compagni:

dice cose spiacevoli delle ragazze o delle madri dei

ragazzi.

Che cosa sa questo personaggio degli altri

personaggi in questo scenario?

Nic è un compagno di scuola di Mike. In prima media

hanno iniziato a giocare entrambi nella squadra di calcio

ed erano diventati molto amici. Erano entrambi molto

bravi in attacco. Durante una partita in cui era venuto un

talent scout per reclutare nuovi giocatori per la squadra

cittadina Nic si era comportato male con lui, vicino alla

porta non gli aveva passato la palla (anche se era in una

posizione perfetta per segnare) e aveva proseguito

l’azione da solo per cercare di fare gol e quindi farsi

notare dal talent scout. Arrivati negli spogliatoi avevano

litigato ed erano venuti alle mani ed erano stati divisi dal

professore di educazione fisica. Da allora non si parlano

più e Mike ha diminuito il suo impegno nella squadra.

Questo è l’ultimo anno delle medie ed entrambi sanno

che non si vedranno più, perché Nic il prossimo anno

frequenterà il liceo, mentre Mike sarà andrà in un istituto

tecnico.

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Che cosa sa questo personaggio della situazione?

Mike si sente umiliato da ciò che Nic e gli ha detto e

vorrebbe dargli una lezione. Inoltre è ancora arrabbiato

per il comportamento di Nic di 2 anni fa e, anche se non

vuole ammetterlo è dispiaciuto di avere perso un amico,

quando erano amici si divertivano molto insieme a

giocare a calcio o a parlare durante la ricreazione.

Qual è il ruolo del giocatore e il compito in questo

scenario

Mike reagisce alle frustrazioni diventando aggressivo ma

a volte sente la pesantezza di avere l’etichetta di quello

che offende, solo che non conosce altre modalità per

affrontare le difficoltà.

Non parla con nessuno della situazione familiare e ciò

alcune volte lo fa sentire solo. Dopo che Nic lo ha offeso,

comincia a sviluppare una forte volontà di rivincita.

Il suo insegnante di educazione fisica che è anche il suo

allenatore della squadra di calcio gli ha suggerito di

rivolgersi allo sportello di mediazione per cercare di

risolvere la situazione tra lui e Nic. Mike decide di fare un

tentativo anche perché gli dispiace dire di no al suo

allenatore.

Nic

Cosa sai del tuo personaggio?

Età: 14

Background: Nic è un compagno di scuola Mike

Situazione familiare: ha un buon rapporto con la sua

famiglia. Ha un buon rapporto con le ragazze, che si

trovano bene con lui e apprezzano la sua simpatia e

capacità di ascolto.

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Tratti di personalità: Nic è sicuro di sé e dato che riesce

bene in tutto quello che fa, affronta le situazioni pensando

di potersela sempre cavare bene.

Situazione scolastica: Nic è uno studente eccellente, tra

i migliori della sua classe, ha modi gentili e sembra

sensibile.

Che cosa sai degli altri personaggi in questo

scenario?

Nic si sente in colpa nei confronti di Mike per quello che

gli ha detto due giorni fa. Molti ragazzi a scuola sanno

che Mike è stato adottato a 5 anni, quando suo padre è

morto e sua madre l’ha abbandonato. Quando Mike ha

cominciato ad offenderlo non ci ha visto più e ha risposto

con la cosa più cattiva che gli veniva in mente, ma in

questo caso ha esagerato.

Nic in questi giorni ha ripensato a quando lui e Mike

erano amici ed era bello giocare insieme. È ancora un po’

arrabbiato con Mike per il litigio di 2 anni fa. Avevano

giocato una partita amichevole alla presenza di un talent

scout. A fine partita, negli spogliatoi, Mike lo aveva

accusato di essere stato egoista e di non avergli passato

la palla anche se era in posizione per segnare perché

voleva essere notato dal talent scout. Sicuramente

durante la partita Nic era molto concentrato a fare bella

figura e a segnare un gol. ma non aveva visto che Mike

era in posizione da gol, secondo lui Mike se l’è presa

troppo.

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Che cosa sa il personaggio della situazione?Il giorno dopo il litigio tra Nic e Mike, Anthony, il migliore amico di Nic, ha detto ai suoi genitori quello che è successo, questi si sono messi in contatto con i genitori di Nic e gli hanno raccontato tutto. I genitori di Nic vogliono parlare con il preside, ma Nic si oppone a tale decisione, perché vuole risolvere la faccenda senza i genitori. Anthony gli ha suggerito di rivolgersi allo sportello di mediazione della scuola, ed in effetti potrebbe essere una buona idea.

Qual è il ruolo e i compiti del personaggio in questo scenarioAnche se spesso Mike è antipatico ed aggressivo, Nic è dispiaciuto per quello che è successo con Mike e si vergogna di aver detto quelle cose in presenza dei suoi compagni di scuola: teme di apparire vigliacco per quello che ha detto a Mike. Vuole riparare a questa situazione anche se non ama chiedere scusa. Informazioni per i moderatori (dato solo ai moderatori)Mike e Nic hanno litigato. Vedere il Riassunto per i dettagli del dialogo tra Mike e NicPercorsi possibili della situazione Mike Nic iniziano si recano nel cortile della scuola per incontrare i mediatori.Modi in cui i moderatori possono intervenire nella situazioneIn caso i ragazzi escano fuori dai loro personaggi o diventino troppo aggressivi si deve fermare il gioco, suggerendo di cercare di trovare un modo possibile per gestire la situazione.Nel caso i ragazzi recitino il loro ruolo svolgono il loro ruolo utilizzando le tecniche di mediazione.

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3. Scenario Francesca ‘il maschiaccio’

Riassunto: .Francesca è un ragazza di 15 anni che

frequenta il primo anno dell'Istituto Tecnico Commerciale

e la sua colpa è quella di avere una voce un po' bassa e

una fisionomia abbastanza mascolina. Un gruppo di suoi

compagni e compagne di classe, capeggiate da Serena

che invece è una ragazza molto femminile e corteggiata

dai maschi della scuola, prendono spesso in giro

Francesca.

Serena e alcuni suoi compagni e compagne di classe un

giorno arrivano a mandarle un biglietto finto firmato da

una ragazza di un'altra classe che dichiarava di essersi

innamorata di “lui”. Questo episodio per lei è stato troppo

umiliante, perché nel giro di pochissimo lo sapeva tutta la

scuola e tutti ridevano di lei.

Francesca allora scoppia a piangere e vuole picchiare

Serena per il male che le ha fatto, Serena si mette a

gridare offendendola e dicendole che non si deve

permettere nemmeno sfiorarla, ma a quel punto

intervengono dei compagni che le fermano e le fanno

calmare e propongono di andare in mediazione.

Informazioni generali:

Luogo:

L'episodio avviene nel corridoio della scuola, sotto gli

occhi di tutti i ragazzi e ragazze della scuola.

Numero giocatori: 3

Oggetti: un bigliettino

Personaggi e istruzione per i giocatori

Nome del personaggio 1 : Francesca

Età: 15

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Backgrond: Francesca è una ragazza di indole

abbastanza mite, non ama la violenza anche se quando la

rabbia le arriva al culmine può sfociare in aggressività.

Francesca è una ragazza che è cresciuta insieme ai suoi

due fratelli maschi più grandi e da loro ha preso molti

modi di fare, è giovane e non ha ancora definito bene la

sua identità e questo la mette spesso in crisi.

Situazione familiare: Francesca viene da una famiglia

modesta e viene seguita il giusto nelle sue faccende

scolastiche, non si confida molto con i genitori e si tiene

tutto dentro di sé.

Caratteristiche e aspetto: Francesca non è molto alta, ma

ha un fisico robusto e tratti

molto mascolini. A renderla più mascolina sono i suoi

atteggiamenti che esprime con naturalità e che non riesce

a cambiare e il suo abbigliamento che consiste in

magliette larghe che nascondono le forme e jeans.

Francesca è mite, ma anche molto fragile proprio perché

non riesce ancora a dare un nome alla sua identità.

Situazione scolastica: Francesca ha iniziato il nuovo anno

scolastico con qualche difficoltà e più il tempo passa più

odia la scuola e non vorrebbe più andarci

Personaggio 2: Serena

Età: 15

Background: Serena è una ragazza che è stata sempre

abituata ad essere al centro dell'attenzione e voluta come

amica dalle sue compagne di classe, perché è una delle

ragazze più belle e alla moda della scuola. Forte

dell'appoggio delle compagne e dei compagni che invece

la vogliono conquistare non teme rifiuti e per farsi notare

ancora di più lo fa prendendo di mira una sua compagna,

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Francesca, che non ha mai fatto niente per essere sua

amica e che anzi non la considera.

Situazione familiare: Serena era una ragazzina molto

gentile, finché la nascita un anno fa del suo fratellino l'ha

trasformata in una bimba superba, aggressiva e sempre

pronta a fare dispetti.

Carattere e aspetto: Serena è viziata, poco attenta alla

sensibilità altrui e molto superba. E' per contro molto

bella, con capelli biondi lunghi, occhi verdi e pelle bianca

e liscia.

Situazione scolastica: Serena si cura poco del suo

rendimento scolastico, anche se riesce a ottenere sempre

la sufficienza per andare avanti senza problemi.

Informazione su cosa è accaduto:

A Francesca viene consegnato un biglietto da una

compagna e sopra c'è la dichiarazione d'amore di una

ragazza di un'altra classe. Il biglietto in realtà è stato

scritto da Serena al fine di umiliarla e deriderla. Questa

scena avviene nel corridoio della scuola, tutti vengono a

sapere cosa è successo è tutti ridono di Francesca e

dell'equivoco in cui si è trovata. Tutti ridono e guardano

Serena e Francesca ha la conferma che è stata lei a

scrivere il bigliettino.

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4. Scenario I fotografi

Un nuovo studente è arrivato alla scuola: Martin. E

'davvero bello, alto e simpatico. Un sacco di ragazze lo

corteggiano.

Paula e Carla, che erano molto amiche, hanno litigato per

alcune foto che ritraggono Paula e Martin abbracciati che

sono state pubblicate sul sito della scuola. Carla era

venuta a sapere delle foto da un suo compagno di classe.

Prima di questa situazione, Carla aveva confessato a

Paula di essere innamorata di Martin. Carla si è molto

arrabbiata ed ha litigato con Paula.

I compagni di classe hanno suggerito alle ragazze di

andare dal mediatore e dopo un paio di settimane

passate senza parlarsi le due ragazze si rivolgono ai

mediatori.

Paula

Età: 14 anni

Background: Paula ha un sacco di amici ed è un po’

pettegola: le piace sapere tutto quello che succede a

scuola. L'unica persona con cui ha un rapporto di

amicizia più sincero è Carla. La scorsa settimana, Paula

ha passato un pomeriggio con Martin. Hanno

chiacchierato giocato e ha scattato alcune foto che li

ritraevano insieme. Paula sapeva che Carla era

innamorata di Martin, ma non ha pensato troppo alle

conseguenze delle sue azioni. In effetti, ha pensato che

queste foto le avrebbero dato più popolarità nella scuola.

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Aspetto: E 'una bella ragazza.

Situazione scolastica: Normale.

Cosa sa Paula degli altri personaggi in questo scenario?

Paula pensa che Carla sia una sciocca, perché lei è

innamorata di Martin, un ragazzo stupido e inutile. È

convinta che Martin non vada bene per lei.

Cosa sa Paula della situazione?

Carla le ha inviato un sms aggressivo chiedendole di

parlare. Paula si era sorpresa di questo tipo di

messaggio, ma era andata all’appuntamento.

Carla si è arrabbiata per le foto che ritraggono lei e Martin

insieme, lei ci ha riso su e l’ha presa un pò in giro. Le ha

fatto credere che c’è una relazione tra lei e Martin, solo

per dimostrarle che l'amicizia è più importante di qualsiasi

ragazzo.

Carla

Età: 14 anni

Carla è un po 'complessata con la sua altezza. Non molto

tempo fa, ha incontrato Martin. Hanno parlato qualche

volta e lei aveva pensato che poteva iniziare una relazione

seria con lui, anche se non è così bella come le altre

ragazze. Ha raccontato tutto a Paula. Qualche giorno

dopo aveva visto alcune foto di Paula e Martin abbracciati

sul sito della scuola. Si era sentita tradita dalla sua amica,

così aveva dato a Paula un appuntamento per incontrarla

nel parco giochi, per insultarla e rompere la loro amicizia.

Aspetto: Lei è un po’ bassina.

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situazione scolastica: Normale.

Cosa sa Carla degli altri personaggi in questo scenario?

Paula: E 'una ragazza superficiale e inaffidabile

Cosa sa Carla della situazione?

Quando ha litigato con Paula le ha detto che è una

pettegola, una cattiva amica anzi una persona cattiva che

cerca di rubare i ragazzi che piacciono alle altre. A

momenti la picchiava pure.

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5. Scenario Lavoro di squadra

Riassunto

L'insegnante di scienze ha deciso che tutti gli studenti

devono presentare un lavoro (una ricerca sulle specie

animali che vedranno nella prossima gita). Divide la classe

in coppie, ogni coppia dovrà collaborare nella

realizzazione di una ricerca. C’è però una coppia di

studenti (Susanna e Alvaro) che crea problemi. In

particolare Susanna non vuole far coppia con Alvaro.

Inizia a dire a tutti che non è contenta di fare la ricerca

con Alvaro ma non lo dice direttamente a lui. Susanna

vorrebbe fare la ricerca con Daniel, che è il suo ragazzo.

Alvaro lo viene a sapere e si arrabbia. Alvaro pensa di

essere discriminato perché ha un difetto dell’udito (70%

di invalidità) che riesce però a compensare leggendo le

labbra.

Susana

Età: 15 anni

Background: Non ha mai avuto problemi con i suoi

compagni di scuola. Lei non vuole avere nemici, così

cerca di andare d'accordo con tutti. Avrebbe preferito

lavorare con Daniel, il suo ragazzo. È molto preoccupata

e interessata al lavoro, perché ha bisogno di un buon voto

per non essere bocciata.

I tratti della personalità: E 'abbastanza normale, forse un

po' interessata a finire le cose velocemente per avere

tempo da passare con il suo fidanzato.

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Situazione a Scuola: Non va molto bene. Non ha buoni

voti.

Che cosa sa Susana di Alvaro?

Sa che lui si arrabbia quando la gente non lo lascia

partecipare alle attività a causa della sua sordità.

Álvaro

Età: 15 anni

Background: Ha il 70% di invalidità dell’udito dalla

nascita, ma può leggere le labbra e comunicare se la

gente collabora un po '.

Situazione iniziale: Egli è il figlio unico di una famiglia

normale.

I tratti della personalità: Alvaro è timido, così i suoi

compagni di classe hanno difficoltà a interagire con lui. Si

sente discriminato e crede che la gente lo tenga a

distanza per la sua invalidità.

Situazione della scuola: E 'uno studente brillante.

Cosa sa Alvaro di Susana?

È una bella ragazza, ma molto egoista, perché è sempre

alla ricerca di favori della gente. Alvaro è arrabbiato con

Susana che non vuole fare la ricerca con lui. Anche se

Susana non glielo dice apertamente lui lo ha capito e ne

soffre.

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6. Scenario La partita a scacchi

A scuola viene organizzato un torneo di scacchi. La

classe di George e Paul, decide di partecipare, ma Paul

viene scartato dal caposquadra George, perché

quest’ultimo non lo ritiene abbastanza bravo. Paul ci

rimane molto male, ma non lo dice direttamente a lui,

decide di andare dalla professoressa a lamentarsi

dell’accaduto. si sente escluso ingiustamente. La

professoressa allora interviene e obbliga George a

inserirlo nella squadra. Durante la partita finale del torneo

Paul sbaglia una mossa decisiva e quindi tutta la squadra

perde. Da qui ne nasce una lite con George che lo prende

in giro e lo accusa di non sapere giocare. Nessuno dei

compagni presenti interviene e Paul nervoso se ne va.

Dopo alcun giorni, Paul decide di andare in mediazione e

anche George accetta. All’ora concordata escono in

cortile per incontrare il mediatore

Nozioni di base

Luogo:

In giardino, durante la pausa.

Paul

Età 15 anni

Backgrond: Paul è stato sempre un bravo ragazzo

scherzoso, rispettoso delle situazioni, bravo a scuola.

Gioca a scacchi da quando era molto piccolo.

Caratteristiche: ha un carattere nervoso, non ama le

situazioni in cui è messo sotto stress. E’ un po’ insicuro.

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George

Età 15 anni

Background: è considerato il leader della classe, per il

suo modo di fare. E’ molto concentrato su di sé e poco

attento a ciò che accade ai suoi compagni che invece lo

ammirano molto. E’ molto bravo a giocare a Scacchi ma

non quanto Paul, ed è geloso di questo

Carattere e aspetto: George ha un carattere molto forte, è

sicuro di se Cerca sempre di avere un contatto fisico con i

suoi interlocutori, non rispetta le distanze interpersonali

necessarie E' stato eletto capo classe

Situazione scolastica: George non studia molto

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7. Scenario Giovanni il buffone

Riassunto: Il periodo in cui accade il fatto è verso la

seconda metà dell'anno scolastico. Giovanni

frequenta la prima media e dall'inizio dell'anno si è

proposto ai suoi compagni come il

ragazzo che fa sempre ridere, che fa battute anche

quando non è il caso e che risponde sempre con

delle mimiche facciali alquanto “strambe”. Dopo i primi

tempi a scuola Giovanni inizia a

essere presentato agli altri ragazzi della scuola come lo

“scemo” della classe, lui ci rimane molto

male, ma non dice niente. Più passa il tempo più questa

etichetta non se la leva più di dosso. Non ci

sta più bene dentro, lui voleva solo essere simpatico e

accettato dai suoi compagni e non lo scemo

della scuola. Alcuni insegnanti cominciano a preoccuparsi

quando verso la seconda metà dell'anno

scolastico quando Giovanni viene interrogato inizia a non

rispondere più alle domande perché dice

che tanto lui è scemo. I compagni ridono e gli chiedono di

fare le facce da stupido, a lui sta

crescendo dentro molta rabbia, ma non sa come fare a

comunicarla ai suoi compagni.

Tra i compagni che lo prendono maggiormente in giro c’è

Enrico che è il leader della classe.

Un giorno Enrico e Giovanni litigano violentemente.

Alcuni compagni più sensibili parlano con entrambi

suggerendogli di rivolgersi alla mediazione.

I due accettano e all’ora concordata escono in cortile per

incontrare il mediatore (o i mediatori).

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Personaggi e istruzione per i giocatori

Nome del personaggio 1 : Giovanni

Età: 11

Backgrond: Giovanni è stato sempre un ragazzo

scherzoso fin dalle scuole elementari, sempre

contenuto e rispettoso delle situazioni, ha sempre tenuto

al suo rendimento scolastico fino all'impatto con la nuova

scuola e i nuovi compagni delle Medie.

Situazione familiare: Giovanni viene da una famiglia

agiata, è figlio unico e viene sempre iper protetto dalla

mamma e dal papà

Caratteristiche: E' un ragazzo, seppur sempre pronto a

fare ridere tutti, molto

nervoso e continuamente sfoga il suo nervosismo sugli

oggetti che ha intorno “torturandoli” in continuazione.

Situazione scolastica: Fino dalle scuole elementari

Giovanni ha sempre avuto dei rendimenti non eccelsi, ma

buoni e anche all'inizio del I quadrimestre andava

abbastanza bene, poi qualcosa dentro di lui è sembrato

essersi rotto, non avuto più fiducia nelle sue qualità e ha

iniziato a dire che non poteva capire perché lui è uno

stupido e che è così perché glielo dicono sempre tutti.

Giovanni in questo periodo della scuola fa ridere i

compagni, ma dentro è arrabbiato e triste anche se non

riesce

a manifestare questi suoi sentimenti.

Personaggio 3: Enrico

Età : 11 anni

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Background: Enrico è considerato il leader della classe,

per il suo modo di fare sempre sulle righe, brillante,

propositivo, ma spesso troppo concentrato su di sé e

poco attento a ciò che accade ai suoi compagni che

invece lo ammirano molto. Enrico è uno dei compagni di

Giovanni che sempre lo prende in giro, gli chiede di fare le

espressioni da buffone e lo presenta ai compagni e alle

compagne della scuola (che quando lo vedono ridono)

come uno scemo e un po' “toccatello” di testa.

Carattere e aspetto: Enrico è un ragazzo molto

intelligente, ironico e brillante nelle sue intuizioni

scolastiche, è forte negli sport e ama essere al centro

dell'attenzione. E' stato eletto capo classe e nelle

assemblee la rappresenta lui.

Situazione scolastica: Enrico è bravo a scuola pur non

studiando molto, è bravo nello sport aiutato anche dal

suo fisico ben piazzato.

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8. Scenario Les

Riassunto

Les è un ragazzo di 14 anni che ha poca fiducia in se

stesso e si fa trascinare con facilità dagli altri. Dan infatti

si porta dietro Les e lo convince a fare cose cattive. Les

di solito ci ride su e tutti gli altri ridono di Les. Su

suggerimento di Dan durante la ricreazione Les alza la

gonna di Joyce e lei dalla rabbia e dalla vergogna si mette

a piangere e litiga furiosamente con Les.

A Joyce Les era simpatico anche se ha sempre pensato

che è un po’ stupido a farsi trascinare da Dan a fare

cattiverie continuamente. Adesso è molto arrabbiata con

Les.

Dopo qualche giorno i compagni di classe suggeriscono

a Les e Joyce di andare in mediazione. I due decidono di

fare un tentativo e si rivolgono ai mediatori.

Les

Cosa sa l’attore del proprio personaggio?

Età: 14 anni

Background: Les è grande e in sovrappeso. Ha

paura di prendere l'iniziativa nelle

situazioni ed ha una bassa autostima.

Situazione

familiare:

Les vive con la madre. Suo padre ha

lasciato la casa sei anni fa e vive con

un altra donna. Les non vede quasi

mai suo padre e non parla mai di lui.

Les è figlio unico.

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Personalità: Apparentemente Les è un buffone e

tutti lo vedono fare ‘casino’ in giro e

scherzare sempre ma quando è solo è

molto triste. Non ha veri amici. Crede

di essere stupido ed è confuso su se

stesso.

Situazione

scolastica:

Les sta avendo molti problemi con gli

insegnanti. Gli altri studenti lo

spingono a fare cose stupide a scuola

e poi ridono delle conseguenze delle

sue azioni

Cosa sa il giocatore degli altri personaggi dello

scenario?

Dan è nella stessa classe di Les ed è considerato un tipo

‘figo’

Joyce è una compagna di classe noiosa e niente affatto

divertente

Cosa sa il Personaggio della situazione?

Les vuole solo ridere e scherzare, gli piace anche far

ridere la gente. Les vorrebbe avere un amico con cui

andare in giro. Ammira molto Dan e vorrebbe diventare il

suo migliore amico.

Dan (personaggio citato ma non presente all’incontro)

A Dan piace far fare a Les tutte le cose più cattive e folli

che riesce a pensare specialmente quelle che lui ha paura

di fare personalmente.

Dan cerca di convincere Les a dire cose cattive ai

compagni, a far finta di andare in bagno per combinare

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guai, a rispondere in modo stupido ai professori, a ballare

sulla scrivania, ect.. Dan fa fare queste cose a Les ma lui

non fa niente in prima persona.

Joyce

Età: 14 anni

Background: Joyce è una ragazza seria e

studiosa. Ha alle spalle una

situazione stabile

Situazione familiare: Joyce vive con i genitori e un

fratello più piccolo

Personalità: Joyce vuole riuscire bene a scuola

e nella vita. Non gli piace giocare

lo considera una perdita di tempo.

Ha pochissimi giochi e fa poche

cose fuori dalla scuola.

Situazione scolastica: Joyce è tra le più brave a scuola e

di solito è la prima a consegnare I

compiti.

Cosa sa Joyce degli altri personaggi dello scenario?

Les in fondo non è un ragazzo cattivo è solo un pò troppo

stupido. Si fa trascinare da Dan a fare cose stupide e

irritanti agli studenti e ai professori e viene rimproverato

molto spesso dagli insegnanti. Ha bisogno solo di

calmarsi un po’ e prendere la vita un po’ più sul serio.

Dan è un bullo. A Joyce non piace Dan e non vuole avere

a che fare con lui.

Les dovrebbe cominciare a pensare con la sua testa e ad

ignorare Dan che sembra riuscire a fargli fare cose pazze

a scuola.

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La comunicazione al tempo della net-generationRomano Mazzon

Parlare oggi, inizio 2013, di comunicazione significa

prendere atto del fatto che si sta parlando di un campo in

progressivo cambiamento. L'unico punto certo rimasto è

che occorrono, come minimo, un emittente e un ricevente

e che la comunicazione tra i due può essere disturbata

dal rumore di fondo: dalla confusione di un mercato

mentre due amici parlano tra loro, alla connessione ad

alta velocità che non funziona in pieno quando i due amici

utilizzano un sistema Voice over IP (Voce tramite

protocollo Internet), acronimo VoIP. Per il resto si tratta di

un campo in cui l'introduzione delle Information

Comunication Tecnologies (ICT) e delle sempre più ampie

possibilità di accesso alla rete, il tutto a prezzi accessibili,

determina cambiamenti veloci. Sino a un tre/quattro anni

fa, si vedevano i bambini di pochi anni aprire i libri come

fossero computer portatili e notare, stupiti, che non

succedeva niente schiacciando. Negli ultimi due anni i

bambini di quella stessa età cercano di ingrandire le foto

sulle riviste cartacee con un touch.

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Tra crisi e opportunità

Non disponendo di una lampada di cristallo, non è

possibi le prevedere cosa questo comporterà.

L'impressione è di trovarsi in un momento di

cambiamento tecnologico, di crisi, di opportunità. Si

parla molto di ritardo tecnologico. Se si effettua una

ricerca sul motore di ricerca Google, si trova che “ritardo

tecnologico” ha un milione e quattrocento novantamila

occorrenzze. Il sociologo W. F. Ogburn, trattando di

tecnologia e mtamento sociale nei primi anni del '900,

caratterizzati da un simile mutamento tecnologico,

descriveva il ritardo tecnologico come un momento in

cui la conoscenza e la dimestichezza con le nuove

tecnologie è molto più presente nei governati pittosto che

nei governanti. Non per altro la generazione nata dopo la

diffusione della rete e della banda larga viene definita

composta da nativi digitali. Ossia coloro che sono nati

quando queste tecnologie erano ormai diffuse e non

hanno conosciuto forme diverse di comunicazione. I loro

supereroi non si trasformano in una cabina telefonica,

come Super Man, ma si trasformano grazie ai poteri

segreti contenuti nei loro particolari telefoni cellulari,

come i Power Rangers.

Se questa discrepanza può essere vista come una crisi

bisogna considerare anche una delle opportunità che

nascono da questa. Un periodo simile, nell'uso delle

tecnologie, seguendo il sociologo J. Simmel (anche lui

attento analizzatore dei cambiamenti tecnologici e sociali

dell'inizio del secolo scorso), permette alle capacità

soggettive di esprimersi e trovare soluzioni originali a

problemi che si pensavano insolubili.

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Negli anni 2000 un contributo all'analisi dei cambiamenti

in corso è venuto dal sociologo H. Rheingold e dalla sua

idea di smart mobs, moltitudini intelligenti. Secondo

l'autore le nuove rivoluzioni sociali nasceranno dalle

sempre maggiori possibilità di connettività tra le masse

attraverso l'uso degli smart phone. Da notare che questo

lo ha scritto anni prima rispetto alle Primavere Arabe.

Dal collettivo al connettivo

Dalla ricerca fatta in questo progetto su ragazzi delle

scuole medie si è trovato che oltre il 98% usa internet e

che oltre il 90% di questi lo usa per comunicare con gli

amici. Se si osservano gli strumenti utilizzati per

comunicare con gli amici, si trova che la parte da leone la

fanno sistemi portatili, computer portatili, cellulari,

smart phone, tablet. La diffusione sempre più vasta di

questi dispositivi a partire dalle scuole elementari è

confermata anche dal X rapporto annuale di Telefono

Azzurro. La riduzione dei costi degli strumenti (si è passati

dai milioni della fine degli anni '90 per un PC ai 150 € per

un tablet), la sempre maggiore facilità di approccio (user

friendly) sta producendo una diffusione ccapillare di

questi strumenti. La connessione alla rete, la

partecipazione a una discussione che non è

esclusivamente uno ad uno si è notevolmente ampliata

unendo in un vorticoso cambiamento le potenzialità di

telefonia e personal computer. Il fenomeno riguarda

anche i videogiochi, vista la possibilità che si ha di

connettere tra loro più console, sia in copresenza che a

distanza tramite la rete. Una serie di opportunità che

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spesso sfuggono al mondo adulto, un mondo adulto

che, in diversi casi, apprende le nuove funzionalità proprio

dalle generazioni più giovani. Un po' come gli immigrati

italiani negli USA in cui molto spesso i genitori

apprendevano l'inglese dai figli. Non per altro le

generazioni nate prima della diffusione di queste

tecnologie vengono definite immigrati digitali.

Un esempio di questo è il seguente dialogo, intercorso tra

un ragazzino di 5° elementare e suo padre furi dalla

scuola, all'inizio dell'ano scolastico 2011 – 2013:

Figlio: La nostra maestra non ci lascia portare a scuola il

Nintendo per giocarci nell'intervallo mentre quella di 4°

glielo lascia, non è giusto!

Padre: Sempre lì attaccati al Nintendo ad isolarvi,

possibile che almeno quando siete in cortile durante

l'intervallo non possiate fare dei giochi insieme? Sempre e

solo a schiacciare...

Figlio: Ma papà, noi ci connettiamo!

Si asssite a un passaggio dal gruppo inteso come

collettivo al gruppo inteso come connettivo. Il filosofo D.

De Kerckhove afferma:

con il Web e con l'accesso che abbiamo a questa

intelligenza collettiva, a questa base cognitiva, …

possiamo avere accesso a tutto senza avere imparato mai

niente. Ciò è divertente, fa parte del piacere di

appartenere della nostra epoca, di essere legati a questa

formidabile memoria collettiva.

Dalla ricerca emerge che la rete non viene utilizzata per

sole attività di svago come ascoltare musica, guardare

video o giocare. La rete, se principalmente viene utilizzata

per comunicare con gli amici, viene anche intesa come

strumento per lo studio e per tenersi informati. Non si

vuole qui discutere sulla qualità delle informazioni trovate

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ma sicuramente rappresenta uno strumento completamente

nuovo per la conoscenza, essendo stati abbattuti diversi

ostacoli attraberso la condivisione di contenuti.

Emozioni e social network

Parallelamente a questo cambiamento tecnologico si è

sempre più diffuso l'uso di social network. Vi è una

tendenza sempre crrescente a possedere uno, o più,

account su questo tipo di piattaforme. A questa tendenza

si associano anche i ragazzi delle scuole medie di

Mazzara del Vallo se l'86,5% dichiara di essere iscritto

almeno ad un social network. Il più diffuso viene

confermato Facebook, a cui sono iscritti tutti coloro che

usano questo tipo di strumento. Da sottolineare che però

Facebook non è l'unico social networ utilizzato. Tra i

giovani raggiunti dal questionario si notano anche Badoo

e MySpace che raggiungono entrambe il 10% del gruppo.

La partecipazione a social network comporta uno

sviluppo di quella che D. Goleman chiama intelligenza

emotiva, la capacità di riconoscere le proprie e altrui

emozioni, regolando le proprie emozioni in modo

adeguato. Questo scambio di emozioni è la merce deii

social network. Un bene relazionale basato sulla

condivisione di emozioni.

Dalla ricerca emergono due criticità principali legate

all'uso dei social network:

‣ una difficoltà, riconducibile alle tappe dello sviluppo,

nel prevedere le emozioni dell'altro;

‣ una non conoscenza, dovuta a una diffusa mancanza

di confronto su qursto argomento, delle conseguenze

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di fornire i propri dati personali rendendoli disponibili in

rete e permettendo a una società privata di trattarli.

Da notare che il gruppo preso in considerazione non

aveva l'età per essere iscirtto a Facebook ma ha

semplicemente mentito nella casella in cui deve essere

inserita la data di nascita. Proprio perché si tratta di uno

scontro tra nativi di un ambiente e immigrati che non

conoscono così bene il territorio, appare difficile limitare

l'accesso attraverso divieti, mentre appare molto più

fruttuoso creare un ambiente della conoscenza, un

ambiente che, seguendo il modello della connettività,

metta a disposizione i saperi, che non li costudisca

proteggendoli, che renda accessibile sempre più

l'informazione permettendo la collaorazione di tutti

Prospettive

Dall'esperienza del progetto emerge come sia importante

riscire a utilizzare le ICT per comunicare con le giovani

generazioni. Se queste generazioni dimostrano una

familiarità prima sconosciuta con questi strumenti rimane

il compito educativo del mondo adulto. Un 'educazione

intesa come “tirare fuori” o, utilizzando il modello di

Danilo Dolci, un'operazione di capacitazione. Tale

operazione può avvenire utilizzando un modello di peer

education e proponendo l'uso di queste nuove tecnologie

anche per la comunicazione verso le istituzioni locali,

un'operazione che sappia utilizzare queste nuove

capacità/competenze per crescere cittadini attivi, in grado

di promuovere uno sviluppo sociale ed economico

sostenibile e duraturo.

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La mediazione dell’apprendimento

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O.N.S.A obiettivi non specifici di apprendimentoRosanna Frosina

Si fa mediazione allorquando gli insegnanti si

interpongono (modificandolo) in quel segmento che va

dal sapere disciplinare (fatto di contenuti, concetti,

linguaggi,ecc) all’attività vera e propria di apprendimento.

Quindi da una parte appare il contenuto e dall’altra i

giovani, con i propri strumenti . L’insegnante è chiamato

ad intervenire per mediare proprio tra questi due

elementi : contenuti e beneficiari.

La mediazione dell’apprendimento di tipo tradizionale si

pone come obiettivo la trasmissione erga omnes dei

contenuti,mentre quella considerata più efficace ha

l’obiettivo di educare all’apprendimento, mettendo gli

alunni nelle condizioni di imparare ad imparare. Per

fortuna, posso testimoniarlo, esiste tutta una generazione

di insegnanti che già da anni opera in questo

senso…….ma allora qual è la sfida di oggi?

La sfida è quella di mediare anche nella formazione di

quegli atteggiamenti considerati pro sociali dove la

scuola deve fungere da palestra per un allenamento

quotidiano e sistematico.

La scuola, oggi,è chiamata a garantire l’unitarietà del

sistema di istruzione e di formazione attraverso il

raggiungimento, da parte degli alunni di specifiche

competenze (OSA).

171

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Le NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI PER IL

CURRICOLO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL

PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE del 2012, però,

asseriscono che: <<La scuola si deve costruire come

luogo accogliente,coinvolgendo in questo compito gli

studenti stessi. Sono infatti,importanti le condizioni che

favoriscono lo star bene a scuola,al fine di ottenere la

partecipazione più ampia dei bambini e degli adolescenti

a un progetto educativo condiviso. La formazione di

importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di

porre la persona al centro dell’azione educativa,ma è al

contrario indispensabile per lo sviluppo della personalità

di ognuno…>>. Perché non pensare,allora,di porsi degli

obiettivi non proprio “specifici” facendoli “emergere”

dai diversi campi disciplinari? E’ necessario interrogarsi

su quali strategie adottare al fine di a)promuovere un

atteggiamento riflessivo b)migliorare il controllo del

comportamento c )cost ru i re cor re t te ab i tud in i

comportamentali per controllare e pianificare quegli

atteggiamenti che possono prevenire la violenza…

Ecco perché,quasi in maniera provocatoria,li ho chiamati

ONSA, obiettivi non specifici di apprendimento, facendo

riferimento a quelli invece specifici (OSA) con cui all’inizio

dell’anno siamo chiamati a confrontarci per la

programmazione didattica.

Per spiegare ai non addetti ai lavori cos’è un obiettivo

specifico di apprendimento,vi riporto l’esempio di

un’unità didattica all’interno di una classe prima: viene

proposta ai bambini una scheda con un disegno

rappresentante due insiemi,uno con elementi che hanno

la stessa caratteristica e l’altro con elementi che non

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hanno quella caratteristica Per intenderci,ad esempio un

insieme con gruppo di bambini con un cappellino ed un

insieme con un gruppo di bambini senza cappellino. Ai

bambini toccherà denominare e riconoscere il gruppo che

non ha il cappellino riconoscendo la negazione di una

c a r a t t e r i s t i c a . . L’ O B I E T T I V O S P E C I F I C O D I

APPRENDIMENTO (OSA) quindi da raggiungere sarà:

classificare in base al la negazione di una

caratteristica, Come raggiungere, invece, il cosiddetto

ONSA partendo da un percorso cosi’ accademico?

Questo è il momento in cui l’insegnante mediatore deve

fare quello che il prof. Feuerstein chiama trascendenza,

approfittare cioè dell’occasione per allargare gli

orizzonti, in modo da generalizzare partendo dal

particolare per arrivare alla individuazione di un

principio.

Nel caso specifico,ad esempio,si può guidare il gruppo

classe ad una serie di riflessioni del tipo :<< disegnate

due insiemi ,uno di bambini con la pelle bianca (che loro a

questa età chiamano rosa) ed un altro con bambini con la

pelle non bianca. Alla fine,racchiudete i due insiemi un

uno solo .Quale insieme .si è formato? Un insieme di

bambini…>>Si arriverà cosi’al principio che malgrado le

differenze fisiche o di altro genere,si è sempre bambini….

Questo è soltanto un esempio di come,non aspettando le

ore di educazione alla cittadinanza,non confidando in un

qualsiasi progetto di educazione alla legalità,non

appellandosi alle ore di compresenza con la collega,non

demoralizzandosi per eventuali tagli su progetti

educativi,si possa investire a costo zero sulla

prevenzione di atteggiamenti discriminatori o violenti e

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sulla educabilità agli atteggiamenti pro sociali. Una scuola

che investe su questo tipo di apprendimento significativo

aiuterà sicuramente lo scolaro a star bene con il bambino.

LA SFIDA DELLA SCUOLA E’ QUELLA DI PREVENIRE

GLI ATTEGGIAMENTI VIOLENTI CON LA DISPONIBILITA’

DA PARTE DEGLI INSEGNANTI a trovare un nesso con

la programmazione didattica(inserendo l’attenzione a

questo aspetto nello svolgimento delle normali

attività,con possibili collegamenti con le materie

insegnate.)

Soprattutto nella scuola primaria, ma anche in quella

secondaria di primo grado, è doveroso intervenire

nell’unico modo che forse è consentito alla scuola: a

livello strategico.

Gli interventi di fronte alla violenza, infatti, possono essere

di tre tipi:

ESTEMPORANEO

TATTICO

STRATEGICO

Nel primo caso lo scopo è quello di contenere gli

eventuali danni fisici e/o psicologici.

Nel secondo caso si lavorerà per tenere sotto controllo le

dinamiche che possono far nascere conflitti.

Nel terzo caso, ed è quello in cui si possono inserire gli

O.N.S.A., si ha un approccio meno episodico, investendo

sulla educabilità ad atteggiamenti corretti e costruttivi.

La scuola,quindi, può assumere un ruolo determinante

nella prevenzione della violenza, non solo facendo

attenzione al non prodursi di fatti negativi, ma

rappresentando una palestra di educazione

consapevole.

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Due modelli di governance

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La mediazione di comunità per l’inclusione sociale e Il paradigma inclusivo Renato Briante

IL PATTO LOCALE DELLA SICUREZZA

TRA I GIOVANI

Incipit.

“ A questo scopo non c’è mezzo di persuasione più

efficace, che offrirsi nelle contese private come mediatore

conciliante, calmo, che sta fermo sulle prime cause e che

non accentua in nessuno amore di contesa, né ira, e

nessuna altra passione che rinfocoli asprezza e collera nelle

contese inevitabili “ (Plutarco - Consigli Politici - 32 D).

“ Con l’attenzione, infatti, come dice Catone, una

questione grande diventa piccola, e una piccola si riduce

a nulla ” (Plutarco – ibidem).

Il principale obiettivo di Europa 2020, il documento

strategico della Comunità dei 27 Paesi membri, resta

l’inclusione sociale e lavorativa. Il 75% delle persone

deve poter aver un lavoro e anche attraverso questa

“conquista” deve poter contribuire, con piena dignità, alla

crescita della comunità di appartenenza. Quando poi non

è la crisi economica a determinare l’inoccupabilità, ma un

pregiudizio qualsiasi o una forma di discriminazione di

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genere o di altra natura, allora il paradigma inclusivo deve

mirare, prima di tutto, alla rimozione dell’ostacolo

preclusivo, ricercandone le cause nel contesto specifico,

per permettere il raggiungimento dell’obiettivo. Resta

inteso che, nell’uno come nell’altro caso, il processo di

individuazione del problema di impedimento e di

realizzazione dell’obiettivo vada ricercato e affrontato

attraverso un coinvolgimento diretto e progressivo di tutti

gli attori sociali che in quella specifica comunità hanno

concorso a determinarlo, sia in forma diretta che

indirettamente, anche per la semplice detenzione di

responsabilità di governo o di governance. Uno degli

strumenti metodologici più interessanti per l’attuazione di

questo processo è senza dubbio la mediazione che, nata

come metodologia specifica, sociale, scolastica, tra pari,

va sempre più assumendo connotati di sistema, per

diventare mediazione di comunità e strumento di

inclusione sociale.

Nell’Europa allargata vivono circa 75 milioni di giovani in

età compresa tra i 15 e i 25 anni. Sono loro i destinatari di

questo lavoro, perché sono ancora loro gli interpreti

possibili di un cambiamento culturale in grado di ri-

pensare e ri-generare la nuova Europa che verrà.

Il quadro del malessere.

Nel 2007 il reddito pro-capite degli italiani equivaleva al

91% di quello tedesco. Nel 2011, il dato è sceso all’84%

e nel corso del 2012 lo stesso è continuato a scendere. Si

contrae considerevolmente il risparmio e aumenta del

25% l’indebitamento delle famiglie. Parallelamente al

degrado economico, nel corso del 2011, sono saliti al

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12,59% i casi di violenza verso gli anziani e sono

aumentati, in particolare, gli episodi di violenza,

soprattutto psicologica, sulle donne con oltre 65 anni.

Nella maggior parte dei casi, la causa scatenante è il

bisogno di procurarsi denaro, anche attraverso la vendita

di immobili e oggetti. La Caritas ci comunica la costante

crescita del numero degli homeless italiani e di quanti

ricorrono alle mense pubbliche per mangiare. La

permanenza prolungata nella casa dei genitori non è più

riconducibile alla genericità di una casta di bamboccioni,

ma diventa un indice di instabilità sociale: il 31% degli

italiani è costretto a convivere con la madre, il più delle

volte vedova. Secondo una ricerca condotta nel 2012

dalla Coldiretti e dal Censis, si allarga il fenomeno delle

donne costrette a “tornano in massa ai fornelli” e ad

abbandonare il lavoro, per non potersi permettere un

aiuto domestico o la cura dei figli e, molto spesso, degli

anziani. Ad aggravare il quadro, i giovani e le famiglie

finiscono per non vedere nella specializzazione degli studi

un mezzo efficace per la ricerca del lavoro e di una

migliore condizione di vita. La laurea non è più vista come

una soluzione alla disoccupazione, anche perché

mancano aiuti alle famiglie degli studenti e sostegni

concreti agli studi e, in aggiunta, per il crescente e diffuso

malcostume legato alle pratiche di nepotismo e alla

raccomandazione come barriera alla vera meritocrazia.

Un dossier di Libera e Legambiente ci informa che la

corruzione rappresenta una tassa che vale 50/60 miliardi

di euro all’anno (10 miliardi di Pil). La disoccupazione

nazionale è al 10,7%, ma continua ad aumentare quella

giovanile, in particolare l’inoccupazione e la rinuncia alla

ricerca del lavoro. In provincia di Trapani oltre la metà dei

giovani non ha un lavoro stabile e regolare e lo stesso

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problema coinvolge più del 60% delle donne che, per

giunta, abbandonano in massa il lavoro in coincidenza

della nascita del primo figlio, dissipando anche il capitale

di competenze acquisite con lo studio, spesso superiore

o universitario.

Il bullismo è la prima categoria di violenza segnalata a

Telefono Azzurro nel 2009 (25% dei casi).

Dalla crisi di valuta alla crisi di valori.

Dal 2000 al 2010, assistiamo al raddoppio degli episodi di

bullismo e dei problemi fra coetanei, che passano dall’8%

al 16%. Secondo l’Eurispes, nel 2009 il 20% dei minori è

stato vittima di offese immotivate e ripetute e il 19% di

provocazioni e prese in giro a carattere non episodico. Il

5% dei minori in Europa risulta vittima di quel fenomeno

conosciuto come bullismo on line o anche cyber-

bullismo. Infatti, 1 minore su 6 viene escluso dai gruppi in

rete con l’accusa di aver praticato forme di bullismo e di

violenza, soprattutto psicologica. Particolare rilevanza ha

un dato che ci mostra come gli stessi bambini che si

mostrano e diffondono immagini sul web con tanta facilità

e leggerezza, diventano così fragili e insicuri di fronte alla

mancanza di una parola. Secondo un’indagine condotta

da Telefono Azzurro, i bambini che hanno bisogno di

parlare con qualcuno sono aumentati dal 5,3% del 2000

al 38,8% del 2010. La solitudine del minore, anche dentro

la famiglia, riguarda l’8,5% dei casi, contro il 3,3% del

2000. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità,

oltre il 20% degli adolescenti soffre di disturbi mentali e il

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suicidio è la terza causa di morte tra i giovani. Nel 2008

si è registrato il record dei suicidi nella fascia dei maschi

tra i 14 e 17 anni. Nello stesso anno si è, inoltre, raggiunto

il record negativo dei tentativi di suicidio per le femmine

della stessa fascia di età. In Italia, l’età in cui si inizia a

consumare alcool è scesa a 12 anni. La “Liquid life”,

secondo Bauman, favorisce la solitudine giovanile e il

bisogno di compensare questa assenza dell’altro che

alimenta paure e senso di inadeguatezza, spinge verso il

consumo di droghe e, più in generale, verso forme di

devianza. Questa società giovanile liquida in Italia è

rappresentata, secondo uno studio del 2010 di

Confartigianato, dai 641.000 ragazzi tra i 15 e i 24 anni

che non studiano, non lavorano e nemmeno cercano

un’occupazione, in quanto non risultano iscritti ai centri

per l’impiego. Il bullismo, in risposta alla solitudine

interiore, si presenta principalmente come fenomeno di

gruppo. La maggioranza degli episodi avviene alla

presenza di coetanei. Nel gruppo, oltre al bullo e alla

vittima, si assumono ruoli diversi, attivi e passivi e i

differenti livelli di “partecipazione” e di “responsabilità”

coinvolgono aree sociali largamente diffuse, che

investono molteplici soggetti, in maniera diretta e

indiretta, della comunità di riferimento. Generalmente, i

fattori di rischio investono:

Il contesto familiare.

Il contesto scolastico.

Le caratteristiche individuali.

I fattori socio-ambientali.

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La percezione della violenza e della mediazione da

parte dei giovani.

Dall’analisi dei workshop organizzati a Marsala con

studenti delle scuole elementari e medie, sulla

mediazione e sulla violenza tra i minori, sono emerse

alcune considerazioni interessanti. Per gli studenti delle

scuole medie è fondamentale che siano gli stessi giovani

a guidare, con la loro diretta partecipazione, il processo di

mediazione, al quale non deve mancare, però, il ruolo

attivo e responsabile degli insegnanti, del direttore

scolastico e delle famiglie. Per quanto riguarda il contesto

extra-scolastico, in primo piano appare il coinvolgimento

della chiesa, delle parrocchie e dei centri sportivi, come

luoghi di educazione ma anche di prevenzione. Per i

giovani intervistati, non è ancora del tutto chiaro il ruolo

degli enti locali, soprattutto del comune e, pertanto, la

sua competenza viene genericamente limitata al

finanziamento di programmi sulla mediazione o alla

creazione di servizi, in particolare centri di ascolto e

sportelli di contrasto alla violenza.

Per i bambini delle classi elementari, invece, i riferimenti

sono più ampi ed eterogenei e il compito di primo

intervento spetta proprio alle istituzioni, scuola, direttori,

bidelli, quindi al comune, alla regione e coinvolge perfino

le più alte cariche dello Stato. Il ruolo delle famiglie è

quello, estremamente pratico, di assicurare protezione ai

bambini. In questo contesto, la mediazione è percepita

come un percorso legato al fatto specifico, ad un

particolare episodio di violenza.

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L’origine emozionale della violenza.

Randall Collins, dell’University of Pennsylvania, ha

cercato di spiegare le origini dei fenomeni violenti, in

modo da permettere alle comunità organizzate di

predisporre adeguati sistemi di riconoscimento e di

prevenzione, a partire dalla evidenziazione dei sintomi.

Analizzando diversi casi di violenza nei loro ricorsi storici

e nel modo di rappresentarsi, sia come fenomeni collettivi

che domestico/familiari, è giunto ad evidenziare come

ogni fenomeno, pur nascendo da un caso particolare,

tragga origine da una costante comune, che è

rappresentata dalla paura. La paura, nella sua

radicalizzazione genera rabbia ed è quest’ultima, con lo

scatenarsi di particolari condizioni, a trasformarsi in

violenza. Più precisamente, secondo il prof. Randall,

questo passaggio si determina nel momento stesso in cui

qualcuno si viene a trovare in una situazione di

vulnerabilità. La presenza di uno stato di vulnerabilità

provoca una condizione di asimmetria tra le emozioni che

vengono in contatto, in virtù della quale si forma uno

squilibrio tra chi assume per sé la condizione di

“dipendenza emotiva” e chi quella di “dominio emotivo”.

Fino a che tra le parti permane una situazione di

simmetria emotiva, la rabbia non si trasforma in violenza.

In questo modo, pur confermando la natura eccezionale e

particolare del fenomeno violento, si può considerare

l’esistenza di una “struttura comune”, riconducibile a tutti

i fenomeni violenti, tant’è vero che pur mostrando una

prevalenza di genere propria del logotipo maschile,

quando è la donna a sostenere l’atto violento, lo stesso

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assume le stesse caratteristiche di quello dell’uomo.

Partendo dall’analogo concetto di “asimmetria”, la

prof.ssa Carmen Leccardi, dell’Università di Milano

Bicocca, riporta il discorso sulle cause del conflitto

generazionale, che provoca nei giovani un indebolimento

o annullamento delle capacità relazionali. In ambito inter-

familiare questa caduta dei livelli relazionali spesso viene

nascosta dall’incidenza della mediazione affettiva, che

spiega come mai a tutt’oggi la famiglia rimanga una delle

poche “istituzioni” nella quale i giovani e gli studenti

continuino a riporre la propria fiducia, sebbene in maniera

acritica. Diverso è il caso delle relazioni nella scuola, dove

si manifesta la specificità del rapporto tra giovane e

insegnante che, in moltissimi casi, seppur con

conseguenze e con processi differenti, si evidenzia

attraverso un vissuto di violenza psicologica. Una delle

ragioni di questa sudditanza psicologica emersa dallo

studio condotto dall’Università di Milano è risultata l’età

media degli insegnanti, in genere sopra i 50 anni e quindi

piuttosto asimmetrica dal punto di vista generazionale

rispetto a quella degli studenti; inoltre, la differenza

anagrafica introduce un’ulteriore asimmetria, quella legata

alle esperienze politico/sociali, che rappresentano un

vissuto comune a tutti gli insegnanti che hanno condiviso,

da spettatori o da co-protagonisti, i movimentismi degli

anni ’60 e ’70, fino all’uccisione di Aldo Moro. Questa

asimmetria produce un gap generazionale che aumenta le

distanze tra le reciproche culture, creando una situazione

di incomunicabilità e di inadeguatezza. Si tratta,

paradossalmente, di una relazione violenta che non riesce

a diventare conflitto proprio per la mancanza di una

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qualsiasi forma di comunicazione, ma che porta i giovani

a chiudersi in una forma di assoluta indifferenza. Una

violenza che non sfocia in conflitto aperto rischia di

generare quelle condizioni particolari ed eccezionali che,

venendo in contatto con gli stati asimmetrici delle diverse

emotività in conflitto, creano stati di vulnerabilità che

possono degenerare in atti violenti, anche e soprattutto

tra pari, dando origine a fenomeni quali il bullismo o le

baby gang. E se i fenomeni di violenza giovanile si

riproducono prevalentemente in situazioni di massa,

attraverso azioni di gruppo o di branco, anche se la

partecipazione attiva raramente coinvolge più del 25%

dei testimoni, lo si deve al verificarsi di una forma tipica di

rete giovanile conosciuta con il nome di solidarietà

antagonistica. Il problema che ci si pone è, una volta

definita la struttura del fenomeno, come prevenirne gli

effetti? La lettura dei casi ci insegna che se l’intervento

preventivo riesce a mantenere lo stato rabbioso entro

forme di auto-riproduzione, impedendone di fatto la

trasformazione in violenza, si avvia un percorso di

contenimento attraverso il quale la stessa rabbia finisce

con l’auto-eliminarsi per noia. Pertanto, nel caso della

violenza giovanile, l’intervento migliore è quello di

sbloccare il conflitto, ma all’interno di un processo che lo

renda negoziabile. Il concetto di negoziazione introduce

di nuovo elementi relazionali che per essere socialmente

utilizzabili, devono sfociare in rapporti di reciprocità. In

questo modo, la sostenibilità dei temi sociali pone alcune

condizioni irrinunciabili, quali la ri-considerazione della

centralità del bene comune anche in rapporto alle

dinamiche di risoluzione dei conflitti, e l’usabilità degli

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effetti prodotti nei diversi contesti operativi di riferimento.

Non si tratta più di questioni da trattare “ a porte chiuse”

o di problemi che coinvolgono due o un numero

comunque limitato di soggetti, ma la prevenzione e il

trattamento della violenza tra i giovani diventano oggetto

di una responsabilità e di un impegno condiviso dall’intera

comunità locale.

I giovani e la Comunità Ristretta.

E’ interessante la lettura dei dati emersi da un’indagine

condotta dall’ISFOL per il Ministero della Gioventù e

pubblicata nel 2011 con il titolo di “Giovani protagonisti

del futuro, un’indagine sociale sul disagio giovanile con

l’obiettivo di individuare strategie di prevenzione. “Nel

corso degli anni, le cose che per i giovani rivestono

importanza sono sempre più quelle legate alla sfera della

socialità ristretta, a scapito dell’impegno collettivo. La

tendenza che emerge è la crescita dell’area delle relazioni

amicali ed affettive e dell’importanza che i giovani

attribuiscono allo svago e al tempo libero. Tra le priorità

dei giovani permangono, in coerenza con gli ultimi venti

anni, l’avere degli amici e divertirsi. Alte percentuali si

riscontrano anche per gli atteggiamenti solidaristici, come

“aiutare gli altri” ed “essere onesti”, mentre perdono

terreno le indicazioni di “avere molti soldi”, “avere una

fede religiosa” e “avere un impegno politico”. Se la scelta

del tempo libero e dello svago dà l’impressione di

rimanere legata allo svolgimento di attività organizzate

che non lascino tempo e spazio alla noia e all’inerzia, una

spiegazione la trovano Paolucci e Vergati nella definizione

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della società cronofaga, dove il tempo dei giovani non è

mai investito veramente nel rapporto con gli altri, per

essere freneticamente deprivato di spazi di riflessione e

approfondimento sulle proprie condizioni e sui bisogni,

individuali e collettivi. La ricerca dell’ISFOL tenta anche di

esplorare il duplice significato che i giovani attribuiscono

alla fiducia, che nelle loro priorità segue a breve distanza

il tempo libero e lo svago. In questa scelta appare

evidente una duplice implicazione: la percezione della

mancanza di fiducia che gli adulti, in particolare i genitori,

nutrono nei loro confronti; ancora, il senso di insicurezza

con cui i giovani sono costretti a convivere. La fiducia

viene percepita come una priorità della sfera relazionale e

diventa, pertanto, un indicatore di valutazione. Permane

altissima la fiducia nella famiglia, come istituzione e

riferimento affettivo, quasi a contraddire le evidenti

difficoltà di comunicazione e il dato sulla solitudine intra-

familiare. Altissima è la fiducia nel gruppo e a buon livello

quella sul volontariato. Seguono nella graduatoria,

l’esercito e la scuola, più in basso, i carabinieri e la

polizia. All’opposto, quasi inesistente è la fiducia nella

politica – che occupava i primissimi posti nella hit parade

dei loro genitori - , nei sindacati e, dato interessante, nella

tifoseria. Bassi i valori per la magistratura e la chiesa.

Meno di un giovane su due, maschio o femmina, ritiene di

poter essere tra 10 anni, autonomo, realizzato ed

indipendente.

187

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Mediazione di Comunità.

Nel 2007 nasce l’Osservatorio Regionale permanente sul

bullismo, promosso dall’Ufficio Scolastico Regionale della

Sicilia con i Tribunali dei minori, l’Assessorato Regionale

della P.I., la Questura, l’ASP, le associazioni genitoriali e la

Consulta provinciale degli Studenti. L’intento è lodevole

ma nella pratica resta imbrigliato in una logica

centralistica e verticistica, rinunciando a sviluppare la sua

azione nei luoghi nei quali il fenomeno si determina e si

alimenta. Mentre il livello regionale dovrebbe costituire il

punto di arrivo dei dati e delle esperienze che si animano

nei diversi territori, lo stesso finisce per coordinare

soltanto la propria auto-referenzialità. Nasce spontanea la

domanda: perché la comunità deve delegare allo Stato e

all’Ente locale le funzioni di governance di fenomeni che

coinvolgono direttamente quasi tutti gli stakeholders che

la compongono? Lo Stato e l’Ente locale sono attori

importanti e necessari per lo sviluppo del processo, ma

per la Costituzione, in virtù del principio di sussidiarietà,

tutti gli attori locali hanno pari dignità di ruolo e di

competenza. E, soprattutto, laddove il partner pubblico

non dovesse svolgere i suoi compiti di informazione e di

programmazione, nei tempi e nei modi richiesti, la

responsabilità della conduzione delle azioni, tanto più

quando riguarda la risoluzione dei conflitti sociali,

dovrebbe spettare agli altri attori e, in primo luogo, alle

persone e, quindi, alla cittadinanza attiva. Per costruire

reti efficienti occorre che ciascun terminale locale sia in

grado di raggiungere i propri obiettivi e perché questo sia

188

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possibile, ogni attore deve poter contare su di un ruolo

definito e assumere impegni precisi. Questo significa

costruire COMUNITA’ INCLUSIVE, basate sulla

Partecipazione attiva e consapevole dei propri membri.

Un secondo e successivo livello del processo inclusivo è

costituito dalla necessità di definire le scelte e, pertanto,

di arrivare a formulare decisioni largamente condivise. La

possibilità che le scelte siano correttamente condivisibili

dipende in maniera proporzionale dai livelli di usability di

un percorso, ovvero da quanto un’idea può essersi

costruita attorno a step di valutazione basati sul

confronto sistematico tra giudizi positivi e criticità, i cui

termini siano definiti in funzione del raggiungimento di

obiettivi di bene comune e di crescita diffusa.

Il luogo è la cura.

A sostegno di questa impostazione ci viene incontro

quella particolare branchia della ricerca clinica francese

applicata al reinserimento delle povertà estreme che si

auto-definisce psichiatria ecologica. La crisi economica,

la perdita di valori tradizionali e di riferimenti sociali e

culturali non ha una ricaduta soltanto sulla dimensione

individuale, ovvero sulle diverse figure dell’escluso o

dell’emarginato, agendo sulla sua vulnerabilità, ma ha

conseguenze altrettanto dirette sull’ambiente, fino a

rendere i luoghi più fragili. Nello spazio così determinato

le relazioni risultano più complicate, in quanto

maggiormente esposte alla vulnerabilità di chi non riesce

ad avere risposte ai propri bisogni di aiuto e di

189

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comunicazione e che, pertanto, rischia di scontrarsi con

altre vulnerabilità irrisolte. Secondo questa tesi, i luoghi e

gli spazi dedicati al recupero e al reinserimento devono

essere distribuiti all’interno dell’architettura sociale

urbana ad ampio raggio, evitando la concentrazione di

quartieri o, peggio, la creazione di ghetti, che finiscano

con il favorire la marginalizzazione di comunità nelle quali

sia più difficile stabilire relazioni normali e programmare

inserimenti liberi. Sono questi i luoghi nei quali si

segnalano i più alti numeri di suicidi, in particolare tra i

giovani e i maggior i l ivel l i di sol i tudine e di

incomunicabilità, anche all’interno dei nuclei familiari.

Stabilire un equilibrio tra ambiente e intervento sociale

rappresenta un obiettivo necessario per definire la qualità

e la sostenibilità della cura e questa tesi rafforza ancora

una volta il ruolo centrale che la comunità assume in tutti i

processi di crescita della persona e di sviluppo del

territorio, anche in quella particolare sfera delle relazioni

umane che determina i meccanismi inclusivi. La domanda

che dobbiamo porci, prima di attivare un qualsiasi

percorso di inclusione, sociale o lavorativa, è la seguente:

il luogo che andrà a costituire lo scenario in cui si

orchestreranno le diverse azioni, presenta i livelli di eco-

sostenibilità richiesti dall’intervento, tanto da risultare

idoneo a garantire relazioni reciproche, a sostenere le

emozioni, le energie e gli stimoli necessari, insomma, a

sopportare tutta quella vasta gamma di asimmetrie che

possono mettere a dura prova l’equilibrio di ogni

comunità complessa?

190

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La necessità di una Programmazione strategica.

Uno strumento di governo della mediazione di comunità è

stato individuato nel Patto per la Sicurezza dei Giovani. Il

tema strategico del patto viene da lontano: nel 2005,

quattro anni dopo la pubblicazione del Libro Bianco e ad

un anno dal successivo follow-up del 2004, viene

sottoscritto il Patto Europeo per la Gioventù, a

completamento del quadro operativo della strategia di

Lisbona. Il Patto europeo si articola in quattro temi che

vanno dalla vulnerabilità alla solidarietà tra le generazioni,

dall’istruzione e formazione, alla coerenza tra le aree

d’intervento. La risposta italiana si attua anche attraverso

la promulgazione del DPCM 13 giugno del 2008, che

rivede e allarga le funzioni del Ministro della Gioventù,

rafforzando le deleghe di contrasto e trattamento della

devianza e del disagio giovanile. La scelta tipologica del

Patto recupera alcuni indirizzi culturali di origine “globale”

e li contestualizza in ambito locale. Di per sé stesso il

concetto di patto evoca la dimensione di un accordo tra

più parti che, mediante la sua sottoscrizione, configura il

raggiungimento di livelli reciproci di soddisfazione. In

aggiunta, il termine “sicurezza” rappresenta un obiettivo

senza dubbio “multi-stakeholders”, che fa riferimento a

gruppi bersaglio diversificati e multipli, arrivando a

configurarsi in uno schema decisamente collettivo. Lo

strumento disegnato dal progetto si muove, pertanto, su

più livelli operativi, proprio per includere più ambiti di

responsabilità. Intanto, proprio perché si muove nella

sfera relazionale, deve partire dalla Comunità più piccola

e diretta, ovvero dalla singola scuola. Ma anche in questo

191

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caso, i protagonisti principali devono essere gli studenti,

consapevoli attori della funzione e della necessità del

metodo della mediazione e, soprattutto del processo di

prevenzione delle dinamiche che costituiscono causa dei

conflitti e delle violenze, assistiti in questo compito, dagli

adulti professionisti della mediazione, dagli insegnanti, dai

diversi livelli di gerarchia scolastica e dalle famiglie. Ogni

scuola diventa un luogo dedicato alla pratica del

contrasto alla violenza e alla sopraffazione, uno spazio

condiviso all’interno del quale ciascuno riveste ruoli che

assommano responsabilità e competenze perfettamente

sincronizzate. La rete delle scuole di una specifica

comunità rappresenta un primo livello di qualificazione

strategica di un obiettivo, permettendo il confronto tra le

esperienza e il coordinamento delle attività.

Esiste un secondo livello della Rete che comprende la

definizione della Comunità locale. Rientrano in questa

dimensione i diversi organismi del Terzo Settore, ivi

compreso l’associazionismo sportivo che fa riferimento

allo sport per tutti e a quello dilettantistico, le reti familiari,

l’intera rete scolastica dell’area provinciale e le

organizzazioni della chiesa. E’ qui che il cittadino ha

l’opportunità di incontrare i rappresentanti degli enti

istituzionali, a partire dai Distretti socio-sanitari, l’ASP,

l’USSM, la Provincia Regionale, i Comuni, dando vita al

Tavolo Provinciale per la Mediazione di Comunità, ovvero

uno spazio tecnico in cui condividere le esperienze e

suggerire indirizzi operativi alle politiche e alle

programmazioni, attraverso le azioni di meanstreaming o

la progettazione. Sempre a questo livello, il singolo Patto,

sottoscritto in ogni scuola, diventa un’esperienza da

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mettere in confronto con la molteplicità degli altri analoghi

accordi locali e, ancora, con quanto avviene in altre aree,

anche attraverso la condivisione di studi e di ricerche, per

giungere a definire una sorta di “Patto Strategico di Area

per la Mediazione”, che altro non è che un documento di

analisi e di valutazione atto a fornire le linee guida per gli

indirizzi operativi e l’aggiornamento del sistema.

Si giunge, quindi, al terzo livello della Rete, che coincide

con la peculiarità transnazionale dei programmi

comunitari. La rete transnazionale permette un confronto

più ampio ed aperto con altri Paesi e ha il vantaggio di

poter andare oltre il progetto, accumunando iniziative che

appartengono a programmi diversi. In questa logica si

può leggere il lavoro portato avanti dallo stesso Cresm e

dalla Provincia nell’ambito del progetto”Urban Security”,

in ambito di Criminal Justice, che amplia la lettura della

figura del mediatore coinvolgendo l’ambito di indagine

penale . E, sempre in questa direzione, va letto il progetto

avviato dallo stesso gruppo di lavoro e promosso dalla

Francia in occasione di un bando del programma

sull’apprendimento continuo “Grundtvig”, per il quale il

gruppo di lavoro si è impegnato a configurare una

tipologia di mediatore europeo specializzato nei processi

di inclusione.

Ma prima di giungere a questo terzo livello di rete,

occorre dotare i coordinamenti locali di un sistema di

connessione che permetta loro di interfacciarsi

efficacemente e in maniera duratura e regolamentata con

tutti gli stakeholders del territorio, proprio per assicurare

a l Tavo lo una responsabi l i tà p iena e d i re t ta

nell’organizzazione e gestione di un sistema di

193

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prevenzione della sicurezza sociale e di contrasto alla

violenza. Ecco perché il Tavolo della mediazione assume

rilievo nella misura in cui lo stesso diventa parte

integrante di un Osservatorio del welfare dell’Area

provinciale e inter-distrettuale, in modo da rappresentare,

di fatto, un organismo di supporto alla programmazione

locale, attraverso i Piani di Zona e alla rete operativa

territoriale, mediante il collegamento con gli sportelli anti-

violenza, rivolti ai diversi gruppi bersaglio. Sempre

nell’ottica di un sistema di rete, il progetto intende

collegarsi al Piano Strategico dei Giovani, che vede

sempre la partecipazione del Cresm e della Provincia

Regionale, per avviare i laboratori della progettazione, in

collaborazione con il Comune di Gibellina, che diventano,

nell’ottica della loro replicabilità in chiave distrettuale, i

punti di incontro per stimolare la creatività in funzione di

una programmazione diffusa e partecipata.

194

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Funzioni &Obiettivi.

Il Coordinamento territoriale.

La funzione di coordinamento parte, di fatto, dalla scelta

del metodo da adottare: un percorso operativo in grado di

attraversare e comprendere i diversi ambiti che

definiscono gli scenari ai quali si rivolge il manuale/linee

guida, unitamente all’impegno di risultare, al contempo,

innovativo, sperimentale, esauriente ed efficace. Quando

questa scelta ha finito con il coincidere con l’area di una

mediazione “di comunità”, allargando ulteriormente la

platea d’intervento propria della “restorative justice” o

“giustizia ripartiva”, ovvero un modello proprio dei sistemi

di mediazione penale, si è avvertito il bisogno di definire il

nodo dei collegamenti con l’intero quadro locale delle

responsabilità sociali e della condivisione degli effetti. Un

concetto di intervento che si avvicina alla dimensione

della “mediazione inter-comunitaria”, perché non si limita

a ricercare soluzioni (definitive/superficiali/immediate) al

conflitto tra due minori (o, comunque, tra le due figure

chiave della vittima e dell’autore della violenza), ma anzi

rifugge dagli stereotipi che di fronte ad un conflitto

esigono un colpevole assoluto a tutti i costi, per proporre

un’estensione del rapporto tra responsabilità e ri-

soluzione, all’intera comunità di riferimento, evidenziando

il ruolo, diretto o indiretto, degli altri attori della scena

sociale (reti familiari, branco degli amici/nemici,

insegnanti, istruttori/educatori, referenti istituzionali, etc.).

In questo modo si amplia e si completa la visione delle

correlazioni possibili e dei loro effetti sulle cause delle

tensioni e si evidenzia un percorso di trasformazione del

195

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conflitto, attraverso il quale la sua lettura e la successiva

e laboraz ione s i t r as fo rmano in p rocesso . I l

raggiungimento del risultato si determina soltanto quando

la presa in carico del conflitto da parte degli stakeholders

coinvolti sollecita una presa di coscienza “collettiva”,

nella quale ciascun attore “scopre” il proprio ruolo, che

sfocia nell’assunzione di una doppia responsabilità,

individuale e di comunità che, partendo proprio dal ri-

conoscimento del ruolo, conduce verso una progressiva,

possibile rimozione delle cause. In questo modo, il

processo di trasformazione del conflitto attiva, di fatto,

una rete di comunicazione “circolare” che include tutti gli

agenti che all’interno di una comunità concorrono alla

determinazione del conflitto, nella quale passano

informazioni, notizie, esperienze, risultati; è un flusso

attivo e partecipato, sintomo di un processo mai statico

ma assolutamente aperto ad ogni stimolo, sollecitazione,

effetto, che possa contribuire a rimuovere non solo il

conflitto, ma le cause che l’hanno generato, fornendo

elementi per la definizione di una vera e propria rete di

prevenzione sociale. All’interno di questo processo di

trasformazione permanente, trovano spazio e funzionalità

i diversi approcci di mediazione che si propongono, caso

per caso, all’attenzione degli operatori, come la peer

mediation, la mediazione penale, tipica dei percorsi di

g iust iz ia r ipart iva, quel la scolast ica e quel la

genericamente sociale, fino al concetto, fortemente

innovativo, di mediazione di comunità o, ancora, per

l’inclusione (sociale e/o lavorativa …).

196

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Le relazioni di mediazione diventano i punti di forza di un

meccanismo di comunicazione sociale basato sul

coinvolgimento della comunità e sul concetto di

“trasformazione”:

La trasformazione del conflitto, attraverso una mediazione

di comunità favorisce:

a. un coinvolgimento allargato del luogo del conflitto,

non circoscritto ai due minori (attori) coinvolti,

aumentando i livelli di responsabilizzazione della

comunità civile;

b. una maggiore circolarità delle informazioni a

vantaggio dell’efficienza della comunicazione, grazie

alla rete degli atelier, dei forum o dei diversi strumenti

relazionali e di confronto;

c. l’evoluzione del patto tra le parti, che in una

mediazione tradizionale si risolve con l’accordo tra le

due figure di vittima e colpevole, in un patto sociale di

sicurezza urbana, sostenibile in una dimensione di

reciprocità, multi direzionale e multi stakeholder;

197

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d. l’aggiornamento continuo delle competenze per le

figure di mediatori e di formatori (educatori, docenti,

consulenti familiari, facilitatori, counselor, etc.), in

coerenza con le risposte che il territorio richiede alle

sollecitazioni derivate dai casi pratici.

L’analisi dello stato attuale, permette di evidenziare

diversi punti di criticità:

a. I bassi l ivell i di partecipazione attiva e di

responsabilizzazione consapevole di alcuni attori della

Comunità: Famiglie, Enti locali;

b. Gli scarsi livelli di disponibilità dei giovani, soprattutto

nella fascia pre-adolescenziale, a prendere parte ai

percorsi e alle soluzioni proposti e gestiti dagli adulti;

c. La difficoltà del modello proposto, ovvero degli

strumenti realizzati e dei metodi definiti, di garantire

una programmazione capace di andare oltre il

progetto stesso, in modo da salvaguardare

l’investimento di risorse e di lavoro.

La storia dei casi registra molte difficoltà, soprattutto di

tipo culturale, da parte dei nuclei familiari, nel mettere in

discussione i propri figli o, comunque, ad accettare un

dialogo costruttivo con altri soggetti “esterni” al nucleo

familiare. Allo stesso modo, appare evidente la mancanza

di una cultura locale che comprenda un utilizzo concreto

e diffuso dei tavoli integrati o di luoghi di incontro tra

soggett i ist i tuzional i diversi , a l di fuor i del le

programmazioni di risorse finanziarie.

Negli ultimi tempi, inoltre, si nota una maggiore

predisposizione da parte dei giovani, soprattutto in età

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compresa tra i 16 e i 25 anni, ad escludere o a guardare

con sospetto ogni offerta di collaborazione e di

coordinamento che parta dal mondo organizzato e

governato dagli adulti. Il fenomeno è più evidente nelle

aree metropolitane, ma anche nelle periferie o nei centri

medio-piccoli aumenta la sfiducia verso le istituzioni,

coinvolgendo anche la credibilità degli strumenti di

programmazione gestiti dai governi e dall’Europa.

Una soluzione possibile è quella di accompagnare la rete

degli atelier con l’organizzazione di forum informativi e di

focus group, questi ultimi soprattutto per favorire una

partecipazione responsabile delle parti sociali e una

maggiore condivisione dei processi.

Più complessa appare la definizione di un percorso che

riduca i rischi che un progetto appena concluso riesca a

non disperdere l’insieme delle funzioni avviate e a

trasferire al territorio la gestione delle strutture e degli

strumenti che hanno prodotto risultati positivi.

Mantenendo l’attenzione sul tema della mediazione e del

contrasto della violenza tra giovani, due sono i principali

rilievi che il problema propone, il primo di natura tecnica e

il secondo, di tipo strutturale:

199

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a. La presenza di una debole cultura della mediazione

che paga, a livello penale e civile, l’ostracismo di

alcune categorie professionali e a livello sociale e

scolastico, la scarsa professionalità e il ridotto

accesso alle risorse (inesistenti quelle pubbliche,

discontinue e legate al singolo progetto, quelle

private);

b. una insufficiente propensione delle Istituzioni a

elevare a sistema il modello della mediazione, in tutte

le sue declinazioni, all’interno delle pianificazioni e

programmazioni sociali, limitandone l’impatto alle fasi

di sperimentazione che, in genere, si sviluppano e si

esauriscono attorno ad una specifica progettazione.

Per la soluzione del punto a) occorre agire attraverso la

organizzazione di forum di comunicazione, in modo da

evidenziare i risultati ottenuti con la pratica, in termini di

coesione e di inclusione, nonché mediante i l

collegamento con percorsi di formazione e di

qualificazione, per adeguare le figure professionali ai

fabbisogni del territorio, favorendo le reti di orientamento

scolastico, il rapporto con le università e gli enti di

formazione. Contemporaneamente, è possibile sviluppare

una progettazione integrata a supporto della mediazione,

all’interno dei laboratori e degli atelier o delle altre forme

di concertazione programmate.

200

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Il punto b) prevede un rapporto più integrato con le

strategie di sviluppo locale, in particolare, nel contesto

italiano, con le Province o, meglio, con le Aree Vaste che

concorrono allo sviluppo strategico, nonché con i Distretti

socio-sanitari di riferimento, per il collegamento con i

Piani di Zona. Utilizzando la pratica dei focus group, si

può immaginare un Tavolo dedicato alla Mediazione di

Comunità che concorra alla definizione dell’Osservatorio

provinciale del welfare e che trovi spazio nel gruppo di

redazione del Piano Strategico provinciale per la

Sicurezza e la Legalità del Territorio, quale strumento di

valorizzazione delle risorse e di condivisione degli obiettivi.

Un Piano che, a sua volta, deve confluire nel Piano

Strategico del Welfare dell’Area Vasta o inter-distrettuale.

Profilo a)

201

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Profilo b)

Ritornando alla discussione sul modello di strumento da

definire, la scelta di preferire l’impostazione delle linee

guida al concetto di manuale non risponde solo a logiche

d ia le t t iche , ma cor r i sponde a l l ’ impostaz ione

estremamente pratica di un lavoro che si pone l’obiettivo

di sostenere concretamente i processi di trasformazione

delle società locali. La strutturazione dei capitoli offre

tutte le chiavi di lettura, metodologiche, comportamentali,

normative e regolamentative per costruire un sistema

della sicurezza sociale per le comunità locali, che indichi i

punti di contatto tra i risultati ottenuti con l’applicazione

del modello di mediazione e i conseguenti benefici

trasferibili ai processi di sviluppo del territorio.

Importante è il ruolo svolto dalla rete della comunicazione

sociale per sottolineare il compito sostenuto dalla

202

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mediazione nella promozione di una cultura relazionale,

funzionale alla soluzione dei conflitti della comunità

locale, attraverso l’inclusione e la coesione; un impegno

sostenuto anche mediante la valorizzazione di strumenti

collettivi, quali l’Osservatorio del welfare e il Piano

provinciale per la Sicurezza e la Legalità. Il processo

stesso di mediazione, all’interno di un approccio di

comunità, deve essere finalizzato all’inclusione non solo

dei destinatari diretti, l’autore e la vittima del caso di

violenza, ma di tutti gli attori che concorrono a definire il

perimetro dell’area del disagio.

Una parte rilevante del processo di mediazione di

comunità è rappresentata dalla mappa dei ruoli e delle

competenze che, nel quadro dei processi d i

trasformazione dei conflitti, disegna i compiti delle diverse

figure professionali di formatori, educatori, docenti,

facilitatori e che comprende anche, con un approccio

diverso, i genitori e i familiari; in sintesi, lo scenario

completo degli “agenti della trasmissione” all’interno della

comunità.

Resta fondamentale il valore aggiunto che si può

garantire alla rete grazie al confronto con il partenariato

nazionale e transnazionale, proprio per la possibilità di

equilibrare gli eccessi di localismo determinati da un

approccio sistematico di tipo comunitario. In questo

modo le identità e i significati del territorio potranno

sempre godere degli stimoli suscitati dall’incontro con

esperienze più ampie ed articolate.

203

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Le linee guida per l’indirizzo operativo delle comunità

sicure.

Per tutte queste ragioni, la tipologia delle linee guida

definisce meglio di quanto siano in grado di fare un

manuale o uno studio, le dinamiche di un processo di

costruzione “a più mani” di una comunità interessata alla

sicurezza dei giovani e alla prevenzione di ogni forma di

violenza e di sopraffazione, come premessa essenziale

per favorire lo sviluppo collettivo e la crescita individuale.

Infatti, divenendo strumento diffuso e indirizzo di strategie

collettive, la sicurezza non viene più intesa soltanto come

“interesse individuale”, subordinato alle possibilità e alle

esigenze del singolo, secondo lo schema “io devo

difendermi”, ma assurge al rango di Bene Comune, per

cui ciascuno, per sostenere la propria sicurezza, si fa

garante di quella dell’altro, in quanto membro della sua

stessa comunità.

Ecco che, dunque, rispondendo alla domanda “a chi

servono le linee guida?”, emerge netta la risposta “alla

comunità locale”, per definire i l quadro del le

responsabilità e delle competenze e rispondere alla logica

di chi fa che cosa, in modo che ciascun attore abbia

chiaro il proprio ruolo nel rafforzare la pace e contrastare

le tensioni e le violenze. Nel caso particolare dei giovani

e, soprattutto, degli studenti, gli indirizzi strategici

diventano uno stimolo per farli sentire decisori,

protagonisti di scelte e detentori di responsabilità. In

questo modo il giovane ha la possibilità di riconsiderare il

proprio spazio nell’ambito della rete relazionale collettiva,

204

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recuperando centralità operativa, autonomia creativa e

considerazione di ruolo.

Per gli operatori, le linee guida diventano strumento utile

al coordinamento delle azioni e alla valorizzare delle

esperienze, come anche per ricercare modalità innovative

e condivisibili e confrontarle con scenari più ampi ed

articolati.

Infine, servono all’opinione pubblica per comprendere

meglio il ruolo della mediazione, come strumento

operativo in grado di recuperare le origini sociali dei

conflitti e porre le migliori condizioni alla definizione di

strategie per diffondere il ben-essere e lo sviluppo.

Le lingue della mente e del cuore.

La comunicazione si muove utilizzando forme e strumenti

diversi, in funzione del coinvolgimento dei destinatari ai

quali intende rivolgersi. Si parla ai giovani attraverso

mappe figurative, immagini e giochi di simulazione legati

alla realtà virtuale; si dialoga con gli operatori proponendo

scambi di esperienze e di informazioni pratiche o

rappresentando metodologie innovative, in modo da

attirare l’attenzione su fatti concreti. Si realizzano, di fatto,

comunità virtuali aperte, supportate da reti operative di

comunicazione, in rappresentanza di diversi contesti,

nazionali ed europei, creando occasioni per arricchire e

condividere il proprio patrimonio di conoscenze; si

comunica con le Istituzioni proponendo forme compiute e

sostenibili di governance sociali territoriali, con l’obiettivo

di valorizzare le competenze in funzione della crescita

205

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collettiva e dividendo le responsabilità tra molteplici

stakeholder; si rafforzano i legami tra le persone

promuovendo la diffusione della democrazia partecipata e

condividendo i valori dell’informazione, concorrendo al

rafforzamento delle identità comuni.

In una comunità sicura le regole, le norme, le innovazioni

e le reti si solidificano anche attraverso i percorsi della

memoria: le reti antiviolenza per i giovani si collegano

idealmente alle marce per la pace e per i diritti, così come

i manifesti di cartone si trasformano nella formula dei “mi

piace” e dei “condivido” propri della comunicazione

social. Il ricordo diventa la testimonianza etica del

presente e consegna spessore e contenuto alla storia. In

questo modo la lingua comune si arricchisce di motivi

etici e la comunicazione non è più spot, ma torna ad

essere messaggio, cultura, missione.

“non permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero”

(Anton Cechov).

206

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PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA DEI MINORI

Tra

L e s c u o l e … … … … … , r a p p r e s e n t a t e d a

……………………., nella funzione di …………………;

l’USR MIUR - Ambito Territoriale per la provincia di

Trapani – Ufficio XVIII, rappresentato dal Dott. Rosario

Leone, nella funzione di Dirigente;

l’ASP n. 9, rappresentato da ….., nella funzione di

…………;

la Provincia Regionale di Trapani, rappresentata da

…………, nella funzione di ……….;

i Distretti socio sanitari di ……………………….,

rappresentati da…………………… nelle funzioni di

………………………….;

l’ Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo del

Ministero della Giustizia, rappresentato dalla dott.ssa

Rosalba Salierno, nella funzione di direttore.

il Cresm …………………, rappresentato da ………......…,

nella funzione di …………………………………;

l ’ a s s o c i a z i o n e … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . ,

rappresentata da …….. . . . . . . . . .…in funzione di

…………………………………

per la sottoscrizione di un

PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA DEI MINORI

Premesso

Che il presente protocollo si inserisce nel quadro

operativo del progetto “Guichet Antiviolence pour les

Mineurs”, realizzato nell’ambito del Programma

comunitario Daphne III dal Cresm, in collaborazione con

207

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la Provincia Regionale di Trapani, il Gruppo Abele,

Cineca, SICCDA di Dublino, con l’obiettivo di rafforzare le

reti territoriali di contrasto alla violenza dei minori e al

bullismo e di contribuire a diffondere la cultura e la pratica

della mediazione sociale e di comunità come modello di

soluzione dei conflitti, anche attraverso la comprensione

delle tensioni dalle quali traggono origine.

Che negli ultimi anni, anche a causa del perdurare della

crisi economica e sociale che coinvolge il nostro Paese e

l’intera Comunità Europea, si sta assistendo ad una

progressiva evoluzione dei fenomeni di violenza giovanile

e di bullismo, che coinvolgono i minori tanto di sesso

maschile che femminile e si consumano tra pari,

prevalentemente in gruppi, nella maggior parte dei casi in

ambiente scolastico, nelle palestre ma anche nelle piazze

e nei luoghi di ritrovo;

che, al contempo, i tradizionali riferimenti educativi, come

la famiglia e la scuola, non risultano sempre in grado di

rispondere in maniera puntuale e adeguata ai bisogni

relazionali e formativi che contraddistinguono i processi di

crescita in rapporto alle possibili sollecitazioni, non

sempre positive, che provengono dagli ambienti esterni;

che troppo spesso il cattivo o disordinato utilizzo delle

nuove tecnologie digitali, non accompagnato da una

adeguata informazione, rischia di diventare un ulteriore

modello di devianza e di emarginazione sociale e

culturale, creando nuove solitudini e dando luogo a

fenomeni rilevanti quali il cyber bullismo;

che la mediazione di comunità può rappresentare un

s i s t e m a i n n o v a t i v o d i p a r t e c i p a z i o n e e d i

responsabilizzazione dei diversi attori che in un

208

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determinato ambito territoriale concorrono alla definizione

della governance sociale, per sostenere:

a. La realizzazione di un coordinamento operativo tra

tutti gli stakeholders, pubblici e privati;

b. La partecipazione attiva dei giovani alla costruzione di

modelli sostenibili di mediazione tra pari;

c. Una continua animazione di tutti gli strumenti, di

sensibilizzazione e di governo, che dopo essere stati

prodotti attraverso progetti, diventano bene comune e

arricchimento permanente per tutta la comunità;

d. Una programmazione che comprenda le strategie

funzionali all’avviamento di percorsi in grado di

contrastare ogni fenomeno di tensione e di violenza,

in particolare tra i giovani e i minori, favorendo

progressivamente la realizzazione di reti di

prevenzione;

che mediazione di comunità vuol dire anche condividere

le esperienze, le risorse umane e professionali, le

competenze, individuare obiettivi sostenibili e metodi

innovativi per rafforzare le politiche di welfare e

concorrere allo sviluppo integrato del territorio.

CONSIDERATO CHE

I minori, in particolare gli studenti delle scuole primarie e

secondarie di 1°grado e gli adolescenti, rappresentano i

destinatari principali dell’intervento oggetto del presente

Protocollo e che la loro partecipazione attiva e motivata ai

percorsi di mediazione sociale costituisce la condizione

prevalente per assicurare un aspetto preventivo ad ogni

209

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progetto, e conferire una dinamica veramente strategica

all’intero processo di rinnovamento del quadro sociale;

gli istituti scolastici rappresentano i luoghi dove si

sviluppano le sintesi dei processi di apprendimento e le

capacità relazionali dei giovani studenti, a seguito dei

diversi stimoli e delle differenti informazioni elaborati nei

molteplici contesti sociali di appartenenza, la famiglia,

l’ambiente, il gruppo, la strada, la palestra, la parrocchia;

pertanto, è nelle scuole che, principalmente, occorre

accompagnare i percorsi di educazione e apprendimento

a stimolazioni che implichino un’attenta lettura delle

abilità e capacità relazionali e comportamentali, alla luce

sia dei possibili interventi esterni, che delle specifiche

implicazioni caratteriali, promuovendo la partecipazione

diffusa di tutti gli attori della scena sociale, a cominciare

dagli insegnanti, dai direttori didattici e dai presidi e

coinvolgendo le reti familiari;

le associazioni sociali, culturali, quelle che si occupano

nei rispettivi ambiti di politiche giovanili, comprese le

associazioni sportive, competitive e dilettantistiche,

costituiscono un fondamentale riferimento sul territorio,

quali reti di servizio e di cittadinanza attiva, in grado di

fornire risposte a diverse esigenze, individuali e collettive:

a. Promuovere la partecipazione diretta e motivata dei

giovani, inducendoli a considerare le proprie

responsabilità nei confronti del personale processo di

crescita e del contesto di riferimento;

b. Stimolare la creatività individuale, valorizzando le

abilità individuali, ma inserendo ogni performance

all’interno di un sistema relazionale diffuso che illustri i

vantaggi della cooperazione;

210

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c. Rappresentare un riferimento educativo e formativo,

esterno ma non necessariamente alternativo, al

binomio scuola famiglia, con la possibilità di integrare

e allargare la platea delle occasioni di apprendimento

e di crescita;

d. Integrare le reti di ascolto e di sostegno di contrasto

alle situazioni di solitudine e di emarginazione, sociale

e familiare;

e. Rafforzare le reti di diffusione della cultura della

mediazione tra pari e di comunità;

gli Enti locali e gli enti terzi, definiscono il contesto

istituzionale, garantendo al sistema di welfare locale i

dovuti supporti normativi e favoriscono l’accesso alle

opportunità di finanziamento regionali, nazionali e

comunitarie, attraverso una più ampia condivisione delle

informazioni e una più equa distribuzione delle risorse. In

particolare, i Distretti socio-sanitari rappresentano

l’esempio più diretto di governance sociale integrata e

possono diventare il riferimento principale per includere la

mediazione nelle pianificazioni di zona e favorire una

progettazione mirata all’acquisizione di risorse aggiuntive

e compensative. Inoltre, il Distretto ha il compito

istituzionale di stimolare la partecipazione di tutti i

comuni, facilitando un’equa distribuzione dei servizi di

cittadinanza su tutto il territorio. L’ASP, oltre a costituire

parte integrante del Distretto, favorendo il completamento

del quadro dei servizi al cittadino, nella realtà trapanese

rappresenta un riferimento storico per la ricerca di

soluzioni innovative nei settori del welfare integrato

sociosanitario, intervenendo attivamente nella rete dei

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servizi rivolti ai tossicodipendenti, alle persone con

disabilità e a quanti, soprattutto donne e minori, hanno

subito violenze, sia fisiche che psicologiche. Ma il lavoro

dell’azienda sanitaria si è allargato ad altri ambiti sociali,

come l’assistenza agli immigrati e alla popolazione

carceraria. L’USR MIUR - Ambito Territoriale per la

provincia di Trapani – Ufficio XVIII, può interpretare il

ruolo di collante della rete delle scuole, evitando

frammentazioni e promuovendo politiche condivise e

diffuse a tutti gli istituti. Un importante apporto può

essere dato alla definizione di modelli metodologici e di

regolamenti operativi trasferibili nei diversi contesti

scolastici, favorendo anche il confronto con analoghe

esperienze avviate in altri ambiti territoriali. La Provincia

Regionale di Trapani è il luogo deputato al coordinamento

e alla organizzazione del sistema locale di rete. Compito

della Provincia è quello di stimolare la definizione di

programmazioni strategiche, atte a favorire la

realizzazione di progetti corrispondenti ai bisogni rilevati e

in linea con i possibili canali di finanziamento, facilitando

le attività di networking e la creazione di partnership.

L’U.S.S.M. rappresenta la localizzazione del Ministero

della Giustizia e oltre alle attività di recupero e re-

inserimento della popolazione penale minorile, è

fortemente attiva nel disegnare strumenti di prevenzione

ai fenomeni di devianza e di emarginazione minorile.

212

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TUTTO QUANTO PREMESSO,

I SOTTOSCRITTORI SI IMPEGNANO A REALIZZARE

IL PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA DEI MINORI

nelle modalità descritte dai seguenti articoli:

ART. 1. Il Patto locale per la Sicurezza dei Minori.

Il Patto Locale per la Sicurezza dei Minori, di seguito

definito come Patto, è di fatto un Coordinamento

operativo che mette in rete tutti gli attori, pubblici e

privati, che nel territorio della provincia di Trapani e, più in

particolare, nei sei Distretti socio – sanitari che

caratterizzano la provincia, concorrono alla costruzione

delle politiche e del sistema dei servizi e degli interventi

sociali e socio-sanitari e di cittadinanza, che rientrano nel

più vasto ambito della sicurezza urbana, sociale e civile

dei minori e degli adolescenti. Il Patto si sostiene

attraverso la definizione di specifici PATTI di MEDIAZIONE

SCOLASTICA, ovvero singoli accordi di mediazione tra

pari, sottoscritti e praticati in ciascuna delle scuole

aderenti, secondo le linee guida previste al successivo

Art. 3.

ART. 2. Tavolo provinciale per la Mediazione di Comunità.

Il Coordinamento si impegna a costituire un Tavolo

provinciale per la Mediazione di Comunità, con l’obiettivo

di diffondere la cultura della mediazione in quanto

strumento di superamento e di contrasto dei conflitti e

delle tensioni tra i minori e i tra i giovani, attraverso il

coinvolgimento attivo degli studenti, quali principali

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interlocutori e di tutte le parti sociali, direttamente e

indirettamente coinvolte, mediante un metodo votato alla

individuazione e alla rimozione progressiva delle cause

scatenanti. Compito del Tavolo è quello di rappresentare

la cultura e la pratica della mediazione sociale e di

comunità all’interno di tutti gli strumenti e gli organismi

che facilitino la sua diffusione e rafforzino la governance

sociale, come l’Osservatorio provinciale (o inter-

Distrettuale) del welfare per lo sviluppo, i laboratori

distrettuali di progettazione sociale, la rete degli sportelli

anti – violenza, i Piani di Zona e il Piano strategico di Area

per la mediazione.

ART. 3. Linee guida e manuale.

Il Tavolo provinciale per la Mediazione di Comunità, di

seguito Tavolo, si prende carico della diffusione e

applicazione delle Linee guida alla mediazione e del

Manuale sul Bullismo e la violenza dei minori, redatti in

attuazione del progetto Daphne “Guichet antiviolence

pour les mineurs”. Il Manuale e le sue successive

modificazioni, costituiscono gli indirizzi operativi e

metodologici per la promozione della cultura e della

pratica della mediazione sociale nelle comunità della

provincia di Trapani, così come il Manuale sul bullismo e

la violenza dei minori definisce il contesto attuativo dei

Patti di Mediazione Scolastica, propedeutici alla

definizione del PATTO.

ART. 4. Regolamento operativo.

Il Tavolo e, quindi, il Coordinamento vengono sottoscritti

in prima istanza dagli enti e dagli organismi che hanno

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promosso e sostenuto il progetto fin dalla sua ideazione,

a partire dai partner del progetto “Guichet antiviolence

pour les mineurs”. Il Tavolo, entro novanta giorni dal suo

avviamento, deve licenziare un regolamento operativo per

disciplinare il sistema organizzativo, la gestione del

calendario e l’adesione di nuovi partner.

ART. 5. Formazione e Aggiornamento.

Tra i compiti del Tavolo si evidenzia quello di promuovere

la formazione e l’aggiornamento professionale di tutte le

figure di mediazione sociale e di comunità rivolte ai minori

e propedeutiche al contrasto della violenza e del bullismo,

anche attraverso la costante ricerca e applicazione di

metodologie innovative. Molto importante, in questa

ottica, è il contributo che può essere conferito dal

partenariato transnazionale e dalla presenza di

associazioni di rilievo nazionale che vantano una grande

esperienza e tradizione nel settore.

ART. 6. Sensibilizzazione.

I sottoscrittori si impegnano a porre in essere ogni azione

volta alla sensibilizzazione dei minori e delle parti sociali

della Comunità, per affermare una cultura della

mediazione sociale e la centralità di un sistema di servizi

volto al riconoscimento del BENE COMUNE, dal quale

l’intera collettività e ogni singolo componente possono

trarre i necessari benefici per raggiungere obiettivi di ben-

essere, di maggior sviluppo del territorio e per

conquistare livelli più elevati di felicità.

215

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ART. 8. Patto per la Sicurezza.

I sottoscrittori si impegnano a dar seguito alle attività

connesse agli obiettivi definiti dal presente Patto, anche

sviluppando le corrette correlazioni con altri progetti in

atto e ancora da definire, a cominciare dal progetto

“Criminal Justice, Urban Security and Social Inclusion: A

new European Approach”, promosso dal Cresm e da altri

partner, molti dei quali già sottoscrittori del presenta atto,

nell’ambito del programma “Restorative Justice”. La

connessione tra i due progetti promuove il passaggio

ulteriore dal PATTO locale alla definizione di un PATTO per

la Sicurezza dei Minori e dei Giovani, sostenuto attraverso

la redazione di un PIANO STRATEGICO PER LA

SICUREZZA DEI MINORI E DEI GIOVANI, in grado di

comprendere anche le funzioni, i compiti e le competenze

di Prefettura, Questura e, quindi, Ministero degli Interni e

Ministero della Giustizia.

216

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Il Patto di sicurezza locale di DublinoMichael Mernagh

INTRODUZIONE

A causa dei molti problemi sociali ed economici che

affliggono Dublin Inner City negli ultimi 20 anni (la droga,

disoccupazione, abbandono scolastico, condizioni povere

abitative, la mancanza di servizi di comunità) che hanno

portato alla violenza e comportamenti anti-sociali in

particolare tra i giovani, SICCDA ha condotto una

campagna per una soluzione integrata per le principali

parti interessate. Come risultato di questa campagna da

parte di SICCDA e altre organizzazioni interessate il

governo irlandese, in collaborazione con l'Autorità di

vigilanza irlandese (An Garda Siochana) hanno concordato

dei protocolli per l'istaurazione di una polizia locale nelle

zone colpite dalle droghe e altri problemi connessi.

LE STRUTTURE ORGANIZZATIVE

Una struttura a due livelli è stata istituita per Dublino sotto

la Garda Siochama Act 2005

• Un comitato congiunto di polizia per la Inner City

• 4 fori di polizia locale per le diverse aree del South Inner

City. (Vedi allegato 1).

217

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FUNZIONI DEL FORUM LOCALE

Meccanismo per la Comunità / Gardaí e autorità locali

(rappresentanti pubblici e di altre agenzie di legge e le

parti interessate, come richiesto) per incontrare

formalmente e migliorare le comunicazioni tra le parti.

• Condivisione e scambio di informazioni pertinenti tra cui

data di reato su aree locali

• Identificare le questioni di interesse re; comportamenti

anti-sociali, di polizia e di gestione immobiliare

• lavorare insieme per trovare soluzioni

• Fornire un feedback sui progressi e mantenere agenzie

accettabile

• Migliorare la sicurezza dei residenti locali

• Elaborare linee guida e appoggio per la gestione delle

tensioni / divisioni nelle comunità re; comportamenti anti-

sociali

• Identificare e fornire per le esigenze di formazione di

tutti i soggetti interessati

• Facilitare la creazione di capacità dei residenti locali

• Organizzare conferenze locali e seminari su temi

rilevanti

• Rappresentanti del Comitato che l'autorità membro

eletto locale dovrebbe essere nominato per 3 anni

• Incontro mensile del Comitato di gestione

• Un membro del Comitato di amministrazione dovrebbe

essere nominato per coordinare le attività del Forum

Polizia Locale e di collegamento fra Forum Polizia Locale

e Comitato misto di Polizia.

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LE LIBERTÀ DEI MEMBRI DEL FORUM SUD INNER

CITY POLIZIA LOCALE

• Il Garda Siochana

• Comune di Dublino

• Dublin South Inner City Local Drugs Task Force

• Risposta Community

• South West Inner City Network

• I commercianti di Meath Street

• l’Associazione dei residenti di via Bridgefoot

•l’Associazione di South Inner City Community

Development Association

METODI E STRUMENTI UTILIZZATI

• Organizzazione della serie di incontri a livello

comunitario in materia di sicurezza urbana nella zona di

Liberties della città meridionale interna. SICCDA ha fatto

una campagna e organizzato questi incontri.

• Riunioni all'interno delle scuole (presidi e gli insegnanti),

come indicato nello schema allegato per spiegare la

necessità di una strategia e un programma per sostenere

i giovani nella comunità integrata.

• Introduzione di mediazione tra pari, i presidi e la pratica

nelle scuole selezionate. Questo programma sta

continuando e riguarderà tutte le scuole

• Coinvolgimento dei rappresentanti delle scuole nel

forum di polizia locale.

• Nuovi programmi educativi in materia di non-violenza

sono attualmente organizzati per tutte le scuole nella

comunità. Questo è necessario a causa del crescente

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livello di bande e della violenza legata alla droga nella

comunità.

• SICCDA sta analizzando e valutando le strategie anti-

violenza in corso con i partner comunitari e di volontariato

al fine di sviluppare modi più efficaci per coinvolgere i

giovani nel nostro programma.

220

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Verso nuove prospettive

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La “Scuola che cambia”: per la costruzione di una nuova comunità didatticaGabriella Ebano, Annamaria Frosina

“Non è eticamente e politicamente sostenibile un sistema

scolastico e universitario il cui corpo docente non adotti il

territorio dei loro alunni come principale libro di testo cui

applicare tutte le discipline con la massima tensione e

attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale. Senza

tale adozione il sistema scolastico e universitario

concorrono allo sradicamento delle nuove generazioni,

che, così non adotteranno i loro territori come bacini di

ricchezza economica sociale storica culturale naturalistica

cui applicare i loro talenti, vocazioni e competenze. Alunni

e studenti protagonisti di ricerca scoperte e progetti nel

proprio territorio cresceranno con una forte identità

versatilità progettualità e competenza che spenderanno

efficacemente non solo nel loro territorio, ma in qualunque

angolo del pianeta”.(Lorenzo Barbera)

Questi basilari concetti, espressi da Lorenzo Barbera,

quale espressione della metodologia Cresm, in riferimento

alla sostenibilita’ sociale partecipata e allo sviluppo

locale, rappresentano un punto di r i fer imento

imprescindibile per illustrare le nuove prospettive che il

Cresm intende intraprendere nel campo socio-educativo.

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Tali concetti ci riportano anche tutto il bagaglio di

esperienza che dal secondo dopoguerra ad oggi è stato

sviluppato sul territorio, con le lotte e le iniziative del

“Centro Sudi e iniziative per la piena occupazione”

promosso da Danilo Dolci negli anni ’50 a Trappeto e dal

“Centro Studi e iniziative per la Valle del Belice”

promosso, dopo il terremoto del 1968, da Lorenzo

Barbera, tuttora presidente onorario del CRESM.

E ancora oggi, in stretta continuità con le azioni intraprese

nel passato, è centrale, nella mission del Cresm, il

rapporto privilegiato con il territorio, la cui conoscenza è

presupposto indispensabi le per st imolarne ed

accrescerne le vocazioni, i talenti e le competenze,

espresse dai suoi abitanti. Tra questi un ruolo

fondamentale è rappresentato dai più giovani: bambini e

ragazzi, che attraverso la partecipazione diretta e

consapevole nel loro percorso di crescita, riusciranno a

percorrere questa strada maestra per realizzare un

processo permanente di incontro e integrazione,

rendendoli così capaci di entrare in relazione feconda e

interattiva con altri territori vicini e lontani.

La scuola, quindi, intesa come territorio di vita e di

socializzazione, riveste un ruolo centrale e delicato che

deve essere sostenuto, specialmente in questi anni in cui

è soggetta ad una molteplicità di pressioni, spesso

divergenti, che rendono particolarmente difficile il suo

operare nella quotidianità. E per la sua natura di crocevia

educativo ineludibile, unica agenzia formativa di

riferimento attualmente disponibile, la scuola è destinata a

divenire sempre più luogo di innovazione, sperimentazione

e realizzazione di esperienze significative.

224

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E’ importante, quindi, per valorizzare l’intero “mondo-

scuola”, lanciare un messaggio forte per la realizzazione

di percorsi educativi e formativi al fine di stimolare ed

accrescere le potenzialità degli alunni e la loro personale

evoluzione.

Ecco il perché della nascita di OFFICINE DIDATTICHE:

Laboratori permanenti e percorsi didattici nelle scuole

con azioni che mirano a sviluppare nei bambini e nei

ragazzi lo spirito critico e la creatività. E questo

proseguendo i nostri progetti con le scuole realizzati

fino ad ora, che sono stati sono state sperimentazioni

per tentare di tracciare strade nuova dentro le diverse

competenze, con l'obiettivo di farle diventare davvero

"materia" della Scuola, rafforzandone il collegamento

con il contesto esterno.

Per continuare su questa strada maestra, con le

proposte di OFFICINE DIDATTICHE, proseguiremo il

nostro cammino a fianco della "Scuola che Cambia".

Strumento principe, utilizzato nelle attività laboratoriali,

sarà il metodo maieutico, sperimentato da Danilo Dolci e

Lorenzo Barbera nel loro lavoro sociale ed educativo che

verrà applicato nel lavoro per piccoli gruppi, in cui

ciascuno potrà esprimersi, valorizzarsi e valorizzare gli

altri, in una spontanea comunicazione creativa. I

laboratori diventano, in tal modo, luoghi ideali nei quali i

partecipant i esplorano, inventano, progettano

concretamente maturando la necessità di esprimersi,

comunicare, conoscere e sviluppare la creatività come

reale potenziale, in un rapporto vero con le proprie

emozioni, senza vincoli o preconcetti e con totale libertà

dagli schemi. Per arricchire il loro potenziale creativo ed

225

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espressivo dando risposte originali e personali agli stimoli

che riceveranno.

In un percorso educativo didattico, ispirato a teorie

pedagogiche innovative, rivolto all’intero mondo

scolastico, dalla scuola dell’infanzia all’università,

particolare attenzione sarà rivolta alle proposte offerte ai

più piccoli, nell’età in cui maggiore è la capacità di

autonoma risposta agli stimoli loro offerti, quando il

bambino prende le sue misure con il mondo, cresce e

matura.

Alla costruzione di una nuova comunità educativa

saranno chiamati a partecipare anche i docenti e i

genitori. I primi, con laboratori per l’intercettazione di valori

e l’applicazione di strumenti complementari e/o sussidiari

a quelli ministeriali. I Genitori saranno coinvolti per la

costruzione di progetti educativi integrati scuola-famiglia.

Ci si concentrerà sull’ambiente scuola, sugli attori

coinvolti e sugli obiettivi che si intendono raggiungere. Un

approccio sistemico, quindi, basato su una visione

complessiva ed integrata della realtà vista come un

sistema e un insieme di componenti interagenti tra loro

aventi come scopo comune il benessere dei propri ragazzi.

Il dibattito su studi e ricerche verterà su temi cruciali che

affliggono il mondo della scuola al fine di dare una visione

complessiva ed integrata della realtà scolastica.

L’apprendimento condiviso dei temi trattati, acquisito

attraverso un processo comunicativo che privilegia il

dialogo, la discussione, il confronto, renderà i partecipanti

più consapevoli sia dell’importanza della propria funzione

educativa, sia degli strumenti necessari per poterla

svolgere compiutamente.

226

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E’ necessario, quindi, programmare azioni che creino

nuovi luoghi, strutture,programmi educativi (conoscenza,

apprendimento, ma anche ascolto,comunicazione

comprens ione . . . ) . Ques t i p rog rammi devono

coinvolgere,non solo tutti i membri della comunità

scolastica (insegnanti, alunni, genitori), per lottare contro

il processo di atomizzazione della comunità scolastica

ma, soprattutto, per creare nuove forme di solidarietà tra

studenti e tra studenti e la comunità educativa.

Questo tipo di struttura é in grado di prevenire il

fenomeno del bullismo e della violenza nelle scuole, di

facilitare la collaborazione, l’ascolto e la solidarietà tra

pari, e di ricostituire una vera Comunità Scolastica. E per

creare una nuova modalità relazionale sia tra allievi e

insegnanti, che tra la scuola e la famiglia.

L’obiettivo finale, in linea di continuità con il percorso

intrapreso e portato avanti dal CRESM in tutti questi

anni, è di proporre e sperimentare un modello educativo

nuovo ma che, nel contempo, si ricollega idealmente a

quello ideato e promosso da Danilo Dolci e Lorenzo

Barbera nel loro lavoro pedagogico-culturale. Con la

convinzione che tale modello educativo sarà capace di

creare le condizioni per far nascere nei bambini e nei

ragazzi il cittadino di domani pronto ad una migliore

comprensione del territorio a cui appartiene, per amarlo e

valorizzarlo, promuovendone lo sviluppo sostenibile per il

suo futuro.

227

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Conclusioni Alessandro La Grassa

Quest’anno il CRESM ha compiuto 40 anni. Quando fu

fondato, nel 1973, si incaricò di raccogliere il testimone di

un’esperienza sociale fra le più appassionanti del

dopoguerra italiano, quella portata avanti dalla metà degli

anni Cinquanta e fino al 1976, da Danilo Dolci, Lorenzo

Barbera e dai loro collaboratori, a cavallo tra le zone di

Partinico e l’area della Valle del Belice19. Un’esperienza

che potremmo in qualche modo considerare “fondativa”

del concetto stesso di “partecipazione popolare” al

disegno dei percorsi di sviluppo (sociale, culturale ed

economico) di un territorio, e che il CRESM ha continuato

a promuovere ed applicare in tutti i contesti in cui ha

operato.

Ma ritornare al 1973, nel contesto di questo libro, non è

soltanto un esercizio di memoria utile a celebrare un

anniversario. Ci serve a rintracciare le origini del percorso

evolut ivo del la Scuola I tal iana, da ist i tuzione

sostanzialmente chiusa al confronto, a luogo sempre più

aperto al rapporto con gli allievi, le famiglie e la realtà

circostante. In quell’anno, infatti, non erano ancora stati

approvati i cosiddetti Decreti Delegati (che vedranno la

luce nel ‘74), che in sostanza recepivano le istanze del ‘68

e avviavano la Scuola pubblica al rapporto con il contesto

229

19 vedi sito www.epicentrobelice.net

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esterno, con le famiglie e in qualche modo con la

democrazia (nascono gli organi collegiali).

Da allora ad oggi, la Scuola ha cercato di metabolizzare in

qualche modo quei cambiamenti (senza grandi entusiasmi

e spesso con poca partecipazione da parte delle famiglie)

e nel frattempo ha dovuto affrontare nuove sfide, che ne

stanno progressivamente cambiando i connotati.

Per citare le più rilevanti:  il confronto con il resto

d'Europa, la politica dei tagli (a favore delle istituzioni

private) con conseguente precarizzazione crescente e,

per venire al tema di questo libro, la richiesta di allargare

e riqualificare gli ambiti di competenza, fino a lanciare lo

sguardo verso un futuro non lontanissimo in cui la stessa

istituzione "Scuola" avrà necessariamente un senso assai

diverso da quello attuale.

La Scuola nell’era digitale

Se guardiamo, ad esempio, alle 8 Competenze-Chiave

per l’Apprendimento Permanente20, definite dalle politiche

europee per l’Istruzione:

1 comunicazione della madrelingua

2 comunicazione nelle lingue straniere

3 competenza matematica e competenze di base in

scienze e tecnologia

4 competenza digitale

230

20 Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006

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5 imparare ad imparare

6 competenza sociale e civica

7 spirito d'iniziativa e imprenditorialità

8 consapevolezza ed espressione culturale

ci accorgiamo che le prime 4 sono, al contempo, quelle

su cui la Scuola si sente storicamente più "preparata", ma

anche quelle su cui l’avvento dell’era digitale sta portando

enormi cambiamenti di prospettiva. I giovani nativi digitali

di cui parla Romano Mazzon, nel capitolo dei “linguaggi

possibili”, si stanno già chiedendo che senso abbia, oggi,

(fra l’altro nel contesto della spinta all’accorpamento e

alla chiusura di istituti minori) fare decine di km per

assistere ad una lezione che potrebbero tranquillamente

seguire da casa. In altre parti del mondo questo semplice

ragionamento sta già cominciando a prefigurare una

Scuola “smaterializzata”. Già da qualche anno decine di

milioni di ragazzi in giro per il mondo trovano conforto alle

c a re n z e m a t e m a t i c h e c o l l e g a n d o s i c o l s i t o

"www.khanacademy.org" (consigliato dallo stesso Obama

alle sue figlie!), creato da un giovane ingegnere del

Bangladesh e le sue lezioni sono ora anche tradotte in

Italiano. Quanto tempo ci vorrà prima che per ognuna

delle "materie" classiche della scuola non si ripeta la

stessa cosa? Molto poco.

E quanto ci vorrà prima che un Ministro proponga, in

nome dell’Austerity, ma soprattutto dell’Innovazione, la

sperimentazione di Materie Virtuali, in cui un solo docente

potrà seguire qualche centinaio di allievi, magari con

l’assistenza di tutor digitali (che facilmente immaginiamo

sottopagati e precari)?

231

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Le competenze sociali e relazionali: la nuova dimensione della Scuola

Guardiamo ora alle altre competenze, ci accorgiamo

subito che si riferiscono agli aspetti più genuinamente

formativi della personalità e delle sue capacità relazionali

e sono anche quelle che meglio qualificano, e

qualificheranno, la scuola (come suggerisce Laura Gilli nel

capitolo sulla “Centralità dell’esperienza scolastica”)

come "luogo fisico" fatto di persone che si incontrano e si

confrontano senza perdere il contatto con la realtà

esterna, ma anzi attingendo il più possibile da essa.

Ma è altrettanto indubbio che si tratta di competenze,

come ad esempio quella sulla “capacità di mediare”,

proposta dal nostro progetto, che non sono ancora

entrate nel DNA della Scuola, soprattutto nel Sud

dell’Italia. La sfida che pongono queste competenze è

complicata, ma affascinante: non si tratta di aggiungere

materie a materie, come spesso capita di vedere in giro,

ma di trovare modalità trasversali a tutto il curricolo

scolastico per trasmettere l’utilità, ad esempio, della

mediazione, della relazione col territorio, della cooperazione.

In questo senso la proposta degli Obiettivi Non Specifici

di Apprendimento, trattati da Rosanna Frosina al Cap. 5,

e il metodo di trasferire dei contenuti “sociali” direttamente

nelle normali materie di insegnamento, chiarisce bene

alcuni aspetti di questa sfida tutta da giocare.

Sono davvero tanti i segnali che testimoniano della

conclamata necessità e urgenza di rivedere l’assetto della

Scuola alla luce di queste nuove competenze: dalla

232

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crescente difficoltà degli insegnanti (la cui età media in

Italia ha ormai superato i 50 anni) a gestire il rapporto

sociale con e fra gli allievi, al problema della crescente

alienazione degli allievi dai loro contesti territoriali e quindi

alla incapacità di guardare al territorio e al contesto

sociale ed economico come risorsa.

E per noi, che ci occupiamo di sviluppo locale integrato e

sostenibile, è sempre stato un vero cruccio, per citare le

parole di Lorenzo Barbera, quello di sentirsi dire dai

ragazzi in uscita dalle scuole superiori (anche in epoche di

relativa prosperità) che nei loro territori "non c'era niente da

fare", segno, almeno in parte, di uno scollamento con la

realtà di cui la Scuola porta delle forti responsabilità.

I bambini come cellule staminali della società

Nell’ambito di questa sfida dovremo infine fare i conti con

un dato di fatto confermato da innumerevoli esperienze e

studi: l’importanza dell’infanzia come momento cruciale

per la costruzione della personalità e dei saperi del

bambino. Un po’ come le cellule staminali che si adattano

perfettamente al contesto biologico in cui sono inserite,

cosi i bambini, in particolare al di sotto dei 4 anni risultano

dotati di enormi potenzialità che richiedono solo di essere

apprezzate e valorizzate, prima che l’avanzare del tempo

e i contesti sociali ne limitino inesorabilmente il “raggio

d’azione”.

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Se in campo linguistico già Chomsky suggeriva, già a

metà degli anni ‘6021, l’esistenza di un vero e proprio

“Dispositivo di Acquisizione del Linguaggio” (e quindi di

qualsiasi lingua) le cui potenzialità si affievoliscono già a

partire dal 6° anno di età del bambino, altri pedagogisti

come Ken Robinson22 hanno sottolineato come le

capacità creative (legate al cosiddetto “pensiero

divergente”) dei bambini in età pre-scolare, siano spesso

mortificate proprio dalla struttura stessa dell’istituzione

scolastica, che risente ancora di una concezione quasi

“fordista” dell’insegnamento del sapere.

Partendo da questi presupposti il premio Nobel per

l’economia, James Heckman, ha di recente dimostrato

l’importanza, perfino economica, per la società, di

rivedere radicalmente l’investimento pubblico nel mondo

dell’istruzione e dell’educazione, per concentrarlo

soprattutto nel periodo dell’infanzia e della scuola primaria23.

Se applichiamo questo ragionamento al contesto di

questo libro, dovremo a questo punto chiederci quanto

sarebbe più utile concentrare in quel periodo educativo la

maggior parte degli sforzi di prevenzione di fenomeni di

disagio sociale (come appunto il bullismo), ma anche

come migliorare complessivamente le strategie educative

e gli sforzi maieutici dei nostri laboratori didattici per

rafforzare le competenze sociali (in termini ad es. di

cooperazione e mediazione) e creative dei bambini.

234

21 N. Chomsky Aspects of the Theory of Syntax. MIT Press 1965.22 Vedi il video di presentazione di Cambiare i paradigmi dell’istruzione, Ken Robinson, su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=FV7XS-1ix8Y

23 J. Heckman, The productivity argument for investing in young children – NBER Working Paper Series Cambridge MA 2007 http://www.nber.org/papers/w13016.pdf?new_window=1

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E se è vero che un bambino può apprendere, prima dei 6

anni, fino a 3 lingue senza neanche accorgersene, chissà

quanti modi saprebbe trovare, se positivamente stimolato,

per risolvere i conflitti che troverà lungo il suo cammino.

Avremmo molto da imparare.

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Autori

Lorenzo BarberaPresidente Onorario del CRESM

Renato BrianteEsperto di welfare dello sviluppo - Provincia Regionale di Trapani

Michael ConlonCoordinatore del Settore Mediazione e Formazione - SICCDA - Irlanda

Gabriella Ebano Scrittrice, fotografa

Annamaria Frosina Coordinatrice Settore Mediazione - CRESM

Rosanna FrosinaInsegnante, esperta di mediazione dell'apprendimento

Giovanni Ghibaudi Coordinatore del Centro di Mediazione della Città di Torino

Laura GilliMediatrice sociale e formatrice del GRUPPO ABELE

Alessandro La GrassaPresidente del CRESM

Marilena La PlacaGruppo e-learning - multimedia - CINECA

Romano MazzonPsicologo, Sociologo, Ricercatore - CRESM

Michael MernaghProgramme Manager di SICCDA - Irlanda

Giuseppina SuteraMediatrice sociale e penale, formatrice - CRESM

JoelleTimmermansMediatrice Scolastica, formatrice -MEDIANTE – Belgio

Giovanna TrioloMediatrice sociale e penale, formatrice - CRESM

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