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L’abc della pasticceria: gli ingredienti La pasticceria è un’arte che, come tutte le arti, non può prescindere da alcune conoscenze base: oggi andremo a vedere le caratteristiche delle sue “materie prime”, vale a dire gli ingredienti. Daremo quindi un’occhiata preliminare allo zucchero, alle farine, al lievito ed anche uova, burro o latte. Insomma, questo excursus garantirà a tutti voi una delle principali garanzie per la riuscita di un buon dolce: La farina: Triticum sativum : è il nome scientifico del frumento comune, come ad esempio il grano tenero. Ha chicchi friabili i quali, una volta spezzati, mostrano uno strato interno farinoso e bianco. E’ utilizzata per produrre pane e dolci. Triticum durum : è il termine che definisce il grano duro. Ha chicchi più allungati, meno friabili rispetto al primo, e una volta spezzati, mostrano un aspetto quasi trasparente. Dà origine alle semole ed ai semolati, destinati alla produzione di paste alimentari. Triticum turgidum : è il frumento con caratteristiche intermedie tra il primo ed il secondo. Esiste anche il fior di farina, un prodotto finissimo, ottenuto dalla macinatura della parte più interna del chicco. Rappresenta la farina per eccellenza nella produzione dolciaria. La farina viene analizzata in laboratorio e classificata in base a diversi parametri come elasticità, estensibilità, tenacità, ecc. Tali processi sono lunghi e laboriosi e danno origine a dei parametri che vengono identificati con delle sigle i famosi “W” e “P/L”: Dal rapporto P/L è possibile valutare l’equilibrio tra tenacità ed estensibilità della farina. Quando P/L è inferiore a 0,40 le farine sono molto estensibili, collose durante la lavorazione e danno un prodotto poco sviluppato perchè la maglia glutinica non trattiene l’anidride carbonica prodotta dai lieviti. Quando P/L è superiore a 0,70, invece, le farine sono molto tenaci (RIGIDE) e difficili da impastare anche in questo caso il prodotto sarà poco sviluppato. Il valore ottimale è compreso tra 0,40 e 0,70. Dal valore di W è possibile quantificare la forza dell’impasto e la qualità tecnologica della farina. Per W inferiori a 150 le farine sono deboli, gli impasti collosi e difficili da lavorare. Se il valore è compreso tra 150 e 170 la forza è mediocre. Tra 170 e 250 la forza è media, tra 250 e 310 siamo in presenza di farine forti. Quando i valori di W superano i 310 siamo in presenza di farine molto forti che richiedono lunghe lievitazioni. La farina. Sono tante le cose da dire su questa materia prima preziosissima per la buona riuscita di un lievitato come il panettone.

l'ABC Della Pasticceria

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Page 1: l'ABC Della Pasticceria

L’abc della pasticceria: gli ingredientiLa pasticceria è un’arte che, come tutte le arti, non può prescindere da alcune conoscenze base: oggi

andremo a vedere le caratteristiche delle sue “materie prime”, vale a dire gli ingredienti. Daremo quindi

un’occhiata preliminare allo zucchero, alle farine, al lievito ed anche uova, burro o latte. Insomma, questo

excursus garantirà a tutti voi una delle principali garanzie per la riuscita di un buon dolce:

La farina:Triticum sativum: è il nome scientifico del frumento comune, come ad esempio il grano tenero. Ha chicchi

friabili i quali, una volta spezzati, mostrano uno strato interno farinoso e bianco. E’ utilizzata per produrre

pane e dolci.

Triticum durum: è il termine che definisce il grano duro. Ha chicchi più allungati, meno friabili rispetto al

primo, e una volta spezzati, mostrano un aspetto quasi trasparente. Dà origine alle semole ed ai semolati,

destinati alla produzione di paste alimentari.

Triticum turgidum: è il frumento con caratteristiche intermedie tra il primo ed il secondo.

Esiste anche il fior di farina, un prodotto finissimo, ottenuto dalla macinatura della parte più interna del

chicco. Rappresenta la farina per eccellenza nella produzione dolciaria.

La farina viene analizzata in laboratorio e classificata in base a diversi parametri come elasticità,

estensibilità, tenacità, ecc. Tali processi sono lunghi e laboriosi e danno origine a dei parametri

che vengono identificati con delle sigle i famosi “W” e “P/L”: Dal rapporto P/L è possibile valutare

l’equilibrio tra tenacità ed estensibilità della farina. Quando P/L è inferiore a 0,40 le farine sono

molto estensibili, collose durante la lavorazione e danno un prodotto poco sviluppato perchè la

maglia glutinica non trattiene l’anidride carbonica prodotta dai lieviti. Quando P/L è superiore a

0,70, invece, le farine sono molto tenaci (RIGIDE) e difficili da impastare anche in questo caso il

prodotto sarà poco sviluppato. Il valore ottimale è compreso tra 0,40 e 0,70. Dal valore di W è

possibile quantificare la forza dell’impasto e la qualità tecnologica della farina. Per W inferiori a

150 le farine sono deboli, gli impasti collosi e difficili da lavorare. Se il valore è compreso tra 150 e

170 la forza è mediocre. Tra 170 e 250 la forza è media, tra 250 e 310 siamo in presenza di farine

forti. Quando i valori di W superano i 310 siamo in presenza di farine molto forti che richiedono

lunghe lievitazioni.

La farina. Sono tante le cose da dire su questa materia prima preziosissima per la buona riuscita

di un lievitato come il panettone. Le farine ideali per la produzione di grandi lievitati sono quelle

forti con un W che va da 350 ai 380. Queste farine sono dette “forti”, per la capacità del glutine di

trattenere gas all’interno dell’impasto, esse sono quindi indicate per le lunghe fermentazioni, per

ottenere prodotti voluminosi con un’alveolatura ben sviluppata. Sono farine ricavate da grani con

contenuto proteico del 15-16%, essendo usate quasi esclusivamente per la produzione di lievitati.

Da sapere: “0” e “00” c’è ancora chi fa confusione. La farina doppio zero è più raffinata e ha

un contenuto di ceneri molto basso, ma anche con meno proteine di una farina tipo zero. La farina

doppio zero, quindi, non è più forte della zero, come spesso erroneamente si pensa, ma più

“rigida”. Sono, infatti, le proteine a fornire estensibilità ed elasticità a questa materia. Dopo la

macinazione, nelle farine rimane soprattutto la parte centrale e quindi la composizione chimica

sarà essenzialmente di amido e poche proteine, presenti in scarse quantità anche zuccheri,

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grassi, sali minerali e cellulose. La farina in generale è composta da circa il 73% di carboidrati,

14/15% acqua, 10/11% proteine, 1% lipidi, 0,7% sali minerali e poche vitamine. 

Le caratteristiche tecnologiche della farina rivestono un’importanza fondamentale cui nessun

operatore dovrebbe prescindere, perché determinano il comportamento della materia prima in vari

processi di lavorazione. Da esse dipende, infatti, la qualità dell’impasto e del prodotto finito. Tra

queste sono importanti le caratteristiche reologiche (elasticità ed estensibilità) e del glutine,

nonché le proprietà fermentative. Con la lettera P si indica la tenacità dell’impasto, con la L,

invece, la sua estensibilità. Dal rapporto P/L è possibile valutare l’equilibrio tra tenacità ed

estensibilità della farina. Quando P/L è inferiore a 0,40 le farine sono molto estensibili, collose

durante la lavorazione e danno un prodotto poco sviluppato perchè la maglia glutinica non

trattiene l’anidride carbonica prodotta dai lieviti. Quando P/L è superiore a 0,70, invece, le farine

sono molto tenaci e difficili da impastare, anche in questo caso il prodotto sarà poco sviluppato. Il

valore ottimale è compreso tra 0,40 e 0,70. Dal valore di W è possibile quantificare la forza

dell’impasto e la qualità tecnologica della farina. Per W inferiori a 150 le farine sono deboli, gli

impasti collosi e difficili da lavorare. Se il valore è compreso tra 150 e 170 la forza è mediocre. Tra

170 e 250 la forza è media, tra 250 e 310 parliamo di farine forti. Quando i valori di W superano i

310 siamo in presenza di farine molto forti che richiedono lunghe lievitazioni. La forza della farina

dipende soprattutto dalla quantità e qualità del glutine: più è alto il contenuto di glutine nella farina

più elevato sarà il suo valore di forza. Quest’ultima è, inoltre, influenzata dall’amido, dalla sua

“attaccabilità” e dagli enzimi amilasi. Una farina forte ha una grossa capacità di trattenere anidride

carbonica e, avendo una maglia glutinica molto resistente, dà origine a un impasto asciutto ed

elastico.

La forza della farina definisce:

-       la quantità di acqua necessaria nell’impasto e il tempo di impasto;

-       le caratteristiche dell’impasto stesso;

-       la variazione dell’impasto durante la fermentazione, la formatura, la lievitazione e la cottura;

-       lo sviluppo del prodotto durante la lievitazione;

-       i tempi e i parametri della lievitazione stessa;

-       il volume del prodotto finito, la sua forma e le caratteristiche della mollica.

Il potere diastasico è la capacità delle amilasi di rompere i legami di carbonio e di convertire gli

zuccheri presenti nella farina in anidride carbonica e  acqua. Il lievito presente nell’impasto

determina la fermentazione utilizzando inizialmente gli zuccheri della farina e, successivamente, il

glucosio formato dall’idrolisi dell’amido sotto l’azione delle alfa e beta amilasi. 

La capacità fermentativa della farina permette di prevedere l’attività della fermentazione

dell’impasto e, in base alla quantità e qualità di glutine, si può conoscere il volume e la porosità

del prodotto finito. Quando la capacità fermentativa è più alta, nell’impasto si formano più

zuccheri, il processo di fermentazione è più rapido e la crosta del prodotto finito avrà un colore più

intenso. Se la capacità fermentativa di una farina è troppo alta significa che le alfa e beta amilasi

sono troppo attive (può succedere quando il grano o la farina sono stati conservati in ambiente

umido), si consiglia, quindi, di evitare l’uso di questa farina perché darebbe origine a un impasto

colloso, appiccicoso e il prodotto finito risulterebbe scadente.

Farina di grano tenero:

 Composizione e impiego

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La farina è l'ingrediente base nella preparazione del pane e di tutti i prodotti da forno. Si ottiene dal grano tenero che viene sottoposto ad un processo di molitura, attraverso il quale le cariossidi del frumento vengono liberate dai tegumenti esterni e la mandorla interna viene ridotta in farina. Si può applicare una prima distinzione nell'esaminare le farine di grano tenero, riferendoci al tipo di grano dal quale la farina e ottenuta:

 - i grani di forza (hard). Questi forniscono farine a spigolo vivo (tipo semole) molto scorrevoli, con tempi di idratazione lunghi ed elevata capacita di assorbire l'acqua, in generale con contenuti proteici elevati;

 - i grani deboli (Soft). Forniscono farine a granuli più tondi con tendenza ad impaccarsi facilmente, che hanno tempi di idratazione brevi e in generale contenuti proteici bassi.

Le prime sono adatte   in processi che richiedono lunghi tempi di fermentazione e lavorazioni particolarmente critiche.

Le seconde sono più idonee a lavorazioni meno stressanti, con brevi tempi di lievitazione e per quei prodotti che non richiedano elevati sviluppi in volume (biscotti, cialde, wafer, grissini, focacce, pizze).

La differenza tra queste due tipologie di farine e dovuta alla loro composizione chimica ed in particolare al rapporto tra il contenuto in amido e in proteine.

Gliadine e Glutenine

Sono le proteine insolubili del frumento ed hanno struttura diversa:

 - le gliadine presentano catene singole di piccole dimensioni. Sono molecole piccole, di forma globulare.

      - le glutenine sono grosse molecole costituite da più catene tenute insieme da legami tra due atomi di zolfo (ponti disolfuro). Sono molecole più grandi fibrose, con una maggiore superficie esposta e formano un numero elevatissimo di legami.

Il rapporto tra gliadine e glutenine è diverso a secondo dei cereali. Nel caso del frumento queste due proteine sono presenti in quantità comparabili, ma presentano rispetto agli altri cereali una particolare composizione in aminoacidi che permette loro, durante l'impastamento di farina e acqua, di strutturarsi in un composto unico nei mondo vegetale: il glutine.

Il glutine si presenta come una maglia proteica con proprietà elastiche e vischiose: se sottoposta a sforzo si deforma fino ad un certo punto per poi rompersi o ritornare allo stato originario. La maglia glutinica consente all'impasto di trattenere il gas (anidride carbonica) prodotta dai lieviti in fase di lievitazione. Tanto maggiore sarà il contenuto in glutine di una farina, tanto più estesa e reticolata sarà la maglia proteica che costituisce la struttura dell’impasto e tanto più tangibile sarà la resistenza a lavorazioni stressanti e a tempi di fermentazione prolungati. Utilizzano, cioè una farina con tin elevato contenuto in proteine si ha la certezza di ottenere un prodotto con un ottimo volume, nonostante il processo di lavorazione o ingredientisca particolarmente ricca che tendono a deprimere lo sviluppo. Una maggiore quantità di proteine (13% e oltre) indica maggiore forza mentre una quantità bassa (8-9%) indica maggiore “debolezza”. Lo schema sottostante mostra come, in base al diverso contenuto proteico le farine possano essere destinate a diverse produzioni.

Contenuto in proteine

Biscotteria Pasticceria PanificazionePaste lievitate

Forte

 

Rosetta(*) Maggiolino(*)

 

Panettone Pandoro Colomba Brioches 

Rosetta(**) Maggiolino(**)

Croissant Croissant

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al burro o margarina

Farine di media forza Babà SfogliaBiove(**)

 

FarineTartine Bignè Frolla

Pasta dura(**) Baguettes(*) Francesino(**) Ciabatta (**)

Gallette al burro Biscotti secchi

Pan di Spagna

Deboli Wafer(*)= impasto indiretto        (**)= impasto diretto

 

I dolcificanti:In pasticceria, il dolcificante più utilizzato è il saccarosio, vale a dire zucchero raffinato. Il suo consumo è in

ascesa, nonostante siano ormai note le responsabilità (dirette o meno) rispetto a malattie quali l’aterosclerosi,

il diabete, l’obesità ecc ecc. I nutrizionisti consigliano di sostituirlo infatti con altri prodotti, quali lo

zucchero gresso, la melassa, e, soprattutto, il miele. Tra i dolcificanti naturali che potremo utilizzare, ricordo

il malto (di riso, di orzo), simile alla melassa. Non dimentichiamo poi che i dolci che contengono frutta,

avranno meno bisogno di zucchero; volendo infatti è anche possibile usare centrifughe di mele e uva per

zuccherare gli impasti, con l’accortezza di ridurre anche gli apporti di liquidi.

Vediamo adesso quali sono i tipi di zuccheri utilizzato in pasticceria:

Zucchero semolato: è il più usato per impasti, creme, sciroppi, gelatine e marmellate.

Zucchero a velo: è adatto per glasse, creme crude, pasta di mandorle e per la farcitura di biscotti.

Zucchero in granella: è usato per decorare la superficie di alcuni dolci (panettone, focacce e trecce).

Zucchero bruno: è uno zucchero derivato dalla canna. E’ di solito usato nella pasticceria inglese ed

americana, per crostate, torte a base di frutta secca.

Zucchero liquido: viene usato per creme e glasse, ma l’uso più comune è per dolcificare i cocktails.

 Lo zucchero è chimicamente definito un idrato di carbonio. Il termine idrato si riferisce al fatto che ossigeno e idrogeno, i quali compongono lo zucchero insieme a sei atomi di carbonio, sono presenti nello stesso rapporto in cui sono presenti nell'acqua. Gli zuccheri si distinguono in tre categorie: monosaccaridi: fruttosio, glucosio (o destrosio) e galattosio; disaccaridi: saccarosio, maltosio e lattosio; polisaccaridi: amidi e cellulosa

Le Proprietà dello zucchero

Proprietà chimiche

Il saccarosio è un disaccaride, cioè il risultato della condensazione di due molecole di zucchero semplice o monosaccaride (glucosio e fruttosio), grazie all'eliminazione di una molecola d'acqua. Lo zucchero invertito,

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invece, si ottiene quando il saccarosio (scaldato in soluzione acquosa), si divide in glucosio e fruttosio. Tale processo chimico, denominato "idrosi", è irreversibile.

Proprietà fisiche

Normalmente lo zucchero, a secco, si presenta sotto forma cristallina che scompare quando lo dissolviamo nell'acqua. Ma è pronto a riprendere tale forma in maniera e misura diversa, nel momento in cui la quantità di solvente (di acqua) diminuisce. Esistono diversi modi per bloccarne la "ri-cristallizzazione": è sufficiente aggiungere alcune sostanze o attivare processi quali, per esempio, l'inversione dello zucchero. E' solubile in acqua fredda e ancora meglio in quella calda. Sottoposto a temperature molto elevate si trasforma in sciroppo.

Proprietà funzionali

Dona struttura e consistenza ai prodotti grazie alla sua capacità di cristallizzarsi di nuovo all'interno della composizione che lo contiene.Veicola gli aromi e i gusti: lo zucchero, una volta riscaldato, subisce modificazioni e trasformazioni aromatiche, di per se in associazione ad altri ingredienti. Conferisce colore: questo dipendente, nella maggior parte dei casi, dal calore.

Proprietà tecnologiche

Si tratta di proprietà fisico-meccaniche-funzionali, specifiche del settore pasticceria-confetteria. Lo zucchero, ad esempio, durante le fasi di lavorazione, può produrre i seguenti effetti: aumenta la viscosità in una soluzione acquosa e attraverso il processo della "montatura" fa crescere di volume il composto. Inoltre, rende il prodotto croccante e favorisce la fermentazione.

Proprietà nutrizionali

Tutti sanno che lo zucchero è un alimento, senza essere esperti in materia. Il corpo umano, grazie a un processo enzimatico che avviene nell'intestino, ha la capacità di scindere la molecola del saccarosio in molecole più semplici che poi assimila. Il potere calorico degli zuccheri e dunque del saccarosio è pari a quattro Kcal/g.

Le Varietà di zucchero

Zucchero di canna non raffinato: è di colore marrone, poiché lo sciroppo di melassa viene lasciato, invece di essere prima raffinato e poi aggiunto.

Zucchero di melassa: è del colore scuro, non raffinato, contiene un'alta percentuale di melassa che gli conferisce un forte aroma e una consistenza vischiosa.

Zucchero granulato: è lo zucchero comune, che si usa quotidianamente in cucina. E' il migliore per caramellare perché aggiunge colore e aroma.

Zucchero raffinato: Quando lo zucchero granulato viene ulteriormente macinato, si ottiene questo zucchero fine.

Zucchero a velo: è zucchero polverizzato, usato per glassare e decorare. Teme l'umidità, per tale ragione va conservato in luogo fresco e asciutto.

Gli stadi di cottura dello zucchero

Velatura: iniziata l'ebollizione, alzando di taglio un cucchiaio immerso nel composto, risulterà lergermente velato di sciroppo.

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Filo sottile: 105°C, utile per addolcire creme al burro, preparare confetture e gelatine.

Filo Forte: 107,5°C, è impiegato per gli stessi scopi del precedente.

Piuma: 111,5°C.

Piuma Forte: 112,5°C.

Piccola palla o piccola bolla: 117,5°C, si consiglia per il fondente, nougat e praline.

Grande palla o grande bolla: 121°C, è ideale per meringhe, caramelle mou e confetti teneri.

Piccolo cassé: 132°C, è utilizzato per particolari tipi di nougat, mandorlati o croccanti.

Gran crassé o caramella: 145°C, è usato per confezionare canditi, frutti caramellati e zucchero filato.

Caramello: assume un colore dorato e diffonde un gradevole profumo.

Caramello forte: lo zucchero comincia a fumare.

Lo zucchero e la reazione di Maillard

È grazie a questa reazione che il panettone prende quel tipico colore e sprigiona il suo fbtastico

aroma.

Ma di cosa si tratta? È una trasformazione delle proteine che prende il nome da colui che ne

scoprì per primo il fenomeno all’inizio del ‘900. La reazione di Maillard avviene in quei prodotti che

contengono zuccheri (soprattutto glucosio) e proteine, ed è favorita da calore, luce, metalli e

ambiente leggermente basico. Questa reazione dà origine a composti di varia natura che, a

seconda della situazione, possono dare caratteristiche positive o negative all’alimento. Nel latte

sterilizzato, per esempio, contribuisce a dare lo sgradevole sapore di cotto e il colore grigio. Ma in

altri casi, come nei prodotti da forno, è responsabile dell’aroma piacevole. 

Zucchero e sale sono in grado di assorbire umidità influendo sull’attività vitale del lievito. Il sale

ha il potere di abbassare l’attività vitale di tutti i microrganismi in generale (sia dei lieviti sia del

batteri lattici, ecc.), svolgendo un’azione “disinfettante” nella pasta e contribuendo a ridurne

l’acidità. Il sale, se messo a diretto contatto con il lievito, tuttavia, lo uccide, perché attorno a ogni

cellula di lievito si crea una pressione osmotica elevata (plasmolisi), in grado di distruggere la

cellula stessa. Lo zucchero è un nutrimento del lievito, ma se inserito nell’impasto in quantità

elevate contribuisce a rallentare la lievitazione, uccidendo il lievito proprio come il sale.

Le uova:

Importanti per le preparazioni di creme, torte, pisticcini. Vengono classificate in base al peso ed allo stato di

freschezza. In base al peso, esistono varie tipi di categorie riconoscibili tramite numeri dall’1 al 7.

Categoria 1: da 70 gr in su

Categoria 2: da 65 gr a 70 gr

Categoria 3: da 60 gr a 65 gr

Categoria 4: da 55 gr a 60 gr

Categoria 5: da 50 gr a 55 gr

Categoria 6: da 45 gr a 50 gr

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Categoria 7: meno di 45 gr

 

In base alla freschezza, le uova sono divise in quattro gruppi:

Categoria Extra: da vendere entro 7 giorni dall’imballaggio.

Categoria A: fresche, da vendere entro 7 giorni dall’imballaggio.

Categoria B: di seconda qualità, refrigerate e conservate.

Categoria C: prodotto da destinare all’uso industriale.

 

Uova intere: non influenzano solo l’impastamento, ma anche la struttura della pasta, perché

favoriscono una migliore distribuzione dei grassi che rende stabile la tessitura del prodotto durante

la cottura. La presenza delle uova rende la mollica più soffice, sottile, colorata e aromatica. In

particolare, in base al tipo di prodotto che si deve preparare, uova intere, tuorli e albumi, possono

essere usati separatamente, in maniera differente, ed essere inseriti nella ricetta in momenti

diversi, proprio per ottenere dalle caratteristiche tecniche di ognuno il massimo della resa. 

Albumi: è una sostanza altamente montante, esso è infatti in grado di inglobare cinque volte il

suo volume d’aria. Attraverso lo sbattimento aumenta il volume delle masse a spuma più o meno

consistente in base al tempo, alla temperatura e al metodo di montatura. È in grado di donare

sofficità, volume e struttura negli impasti. Le bolle d’aria presenti nell’impasto, infatti, durante la

cottura si dilatano favorendo l’aumento di volume.

Tuorli: sono utilizzati per favorire l’emulsione delle sostanze grasse, apportare colore e sapore

caratteristici al prodotto, migliorandone la consistenza. La capacità di inglobare aria del tuorlo è

pari a tre volte il suo volume. Bisogna tuttavia prestare attenzione perché, in alcune preparazioni,

la fase di montaggio e la conseguente incorporazione d’aria può diventare un problema perché

l’aria funge da isolante.

Il latte, la panna ed il burro:

Il latte: Negli impasti viene utilizzato quello vaccino, sottoposto a tecniche quali l’omogeneizzazione e la

pastorizzazione. Il primo trattamento rende il latte facilmente digeribile, il secondo ne consente la

conservazione per un certo determinato periodo di tempo.

La crema di latte, o panna: è quella parte del lateche si arricchisce di grassi e si può ottenere con

scremature meccaniche o mediante centrifugazioni. La panna da caffetteria, contiene almeno il 10% di

sostanze grasse, quella da cucina il 20% e quella da montare il 30%.

Il burro: si ottiene dalla lavorazione della panna. Il burro diventa ingrediente fondamentale nella

produzione di paste frolle e sfoglie. Viene sostituito dallo strutto, olio o margarine vegetali.

Il burro

Per legge il burro prodotto nella Comunità Europea deve avere un contenuto minimo di sostanza

grassa dell’82%, anche se esistono in commercio tipi di burro cosiddetti light con ridotto tenore di

grasso (60-62%) o a basso tenore di grasso (39-41%). Questi ultimi contengono più acqua e si

alterano più facilmente e velocemente. Un ottimo burro per la pasticceria, con una lunga

conservabilità, perché sostanzialmente privo d’acqua, è il burro anidro o concentrato contenente

dal 99,7 al 99,9% di materia grassa in base alle tipologie. In tutti i casi, è bene prestare sempre

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molta attenzione alla freschezza del burro, l’irrancidimento, infatti, è la sua principale forma di

alterazione. Si consiglia quindi di conservarlo sempre al fresco e avvolto con carta pergamena: se

viene a contatto con altre sostanze, ne assorbe l’odore diventando sgradevole. Il burro deve avere

un aspetto uniforme, senza macchie o chiazze e non deve contenere troppa umidità. Se un burro

contiene molta acqua, quando viene tagliato presenterà delle gocce sulla superficie di taglio.

È utile sapere che: Il burro, oltre che dal contenuto di materia grassa, è classificabile anche in

base al suo punto di goccia, meglio conosciuto come punto di fusione, aspetto molto importante in

pasticceria. Il punto di fusione del burro è piuttosto basso, questo lo rende facilmente digeribile,

ma anche inadatto ad alcuni tipi di cottura come per esempio la frittura. Il burro tecnico viene

prodotto per andare incontro alle esigenze degli operatori ed esistono tipi di burro con punti di

fusione fino a 38°C. Per variare il punto di fusione del burro si agisce sulla sostanza attraverso il

frazionamento del prodotto. La materia grassa del latte ha circa duecento tipi diversi di trigliceridi

che hanno punti di fusione variabili da -40° a +70°C. Il punto di goccia del burro è il risultato della

mescolanza di tutte queste temperature. Un aspetto di cui spesso non si parla, ma che è di

fondamentale importanza nell’ambito della pasticceria, forse anche più del punto di goccia, è la

curva di fusione. Essa indica la progressione con cui il burro perde solidità, ovvero quanta materia

solida è presente ancora nel burro man mano che la temperatura sale. Se un burro fonde a 32°,

ma a 15°C la curva di fusione tende già molto verso il basso, significa che la struttura a 15°C

contiene poca sostanza solida, quindi si tratterà di un burro poco adatto, per esempio, alla

lavorazione della sfoglia. Il “burro d’inverno” ha una curva di fusione di qualche grado più alta

rispetto al “burro d’estate”, quindi alle stesse temperature sarà leggermente più duro. Questi due

aspetti influenzano le caratteristiche tecniche del burro – e anche di altri grassi – che per le

applicazioni di pasticceria è valutato secondo precisi parametri quali la struttura o consistenza, il

potere fondente, la capacità emulsionante, la plasticità e il creaming (capacità di un grasso di

inglobare aria quando viene sbattuto con lo zucchero).

Burro e lievitati: La considerevole quantità di acidi grassi a catena corta del burro lo rendono

particolarmente plastico e in grado di conferire morbidezza ai prodotti da forno. Durante la fase di

impastamento, infatti, il burro tende a incorporare aria, favorendo la lievitazione del prodotto. Nel

caso delle paste lievitate e dei lievitati in genere, il burro ha la specifica funzione di conferire

morbidezza, dare gusto alla pasta e amalgamarsi bene. È possibile utilizzare un burro tradizionale

con un punto di fusione standard intorno ai 32°C o leggermente più basso. Visto che la funzione

della materia grassa è quella di incorporarsi bene all’impasto, se si desidera, è possibile

aggiungere anche burro liquido a basso punto di fusione, senza però esagerare, perché se da una

parte il burro liquido accentua la morbidezza del prodotto dall’altra ne impedirebbe una corretta

fermentazione, la pasta, infatti, non sarebbe sufficientemente legata per ritenere il gas carbonico

prodotto durante la lievitazione. Il burro liquido, inoltre, intensifica il sapore di burro e prolunga

la shelf-life del prodotto finito.

Lo strutto: è capace più di ogni altro grasso, sia animale che vegetale, di rendere friabile l’impasto.

Lo strutto è un prodotto alimentare animale ottenuto per fusione dei grassi presenti nel tessuto adiposo

del maiale.

Si presenta come pasta compatta di colore bianco, che a freddo è praticamente inodore, a caldo emana

l'odore, tenue, ma caratteristico, dello strutto. Il sapore a caldo è tipico e non molto invasivo. A temperature

fino a circa 40-42 °C lo strutto si presenta pastoso e di colore bianco, a temperature superiori avviene la

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fusione. La consistenza dello strutto fuso è oleosa ed appare trasparente alla vista. Eventuali tonalità

tendenti al giallo/beige nel colore dello strutto possono derivare dalla doratura caratteristica che assume il

grasso nella fase finale della cottura.

Tra le ricette tradizionali italiane contenenti lo strutto vi sono: la piadina marchigiana e romagnola,

l'erbazzone reggiano, le crescentine modenesi, le seadas e le pardulas sarde, le brioches, icannoli siciliani

ed il casatiello e il tarallo 'nzogna e pepe napoletani.

A livello artigianale si segnala l'utilizzo dello strutto nella produzione della Coppia Ferrarese - I.G.P. [1], un

pane tradizionale di Ferrara prodotto secondo un rigido disciplinare che ha una consistenza ed una forma

caratteristica con una fragranza tipica.

A livello industriale ed artigianale viene impiegato per la produzione di prodotti da forno (pane, pizza, taralli

ecc.) in quanto l'impiego dello strutto nell'impasto rende più friabile la massa del glutine presente nel

prodotto, aumenta il volume dell'impasto rallentando le perdita di umidità e conferisce sapore e fragranza.

Nei processi di panificazione, per questa funzione che lo strutto svolge, talvolta esso fa parte degli

ingredienti che compongono quei prodotti definiti genericamente "miglioratori"[2][3][4].

In pasticceria viene usato per dolci locali e regionali per dare una buona friabilità al prodotto finito o anche

per friggerli, come nel caso della patacia.

L'elevato punto di fumo (circa 250 °C) lo rende ideale per la frittura dei cibi, in particolare per gnocco

fritto e frappe.

La margarina: simile nell’aspetto con il burro.

La margarina è un grosso solido, simile nell'aspetto al burro e si ottiene dall'emulsione di acqua e grassi. La

sua origine può essere vegetale, animale, oppure mista. 

Anche se in forma e maniera diversa da quella attualmente in commercio, fu inventata nel 1869 dal chimico

francese Hypolite Mège-Mouriès. In pochi anni il brevetto fu venduto e la produzione della margarina si

diffuse in tutto il mondo. 

Il nome della margarina deriva da una parola greca: "margara" che significa perla. 

Creata per fornire un grosso alimentare a basso costo, essa era in origine a base di grassi bovini

opportunamente trattati e, come tale, anche se commercializzata fin dal 1872, non incontrò grande successo. 

Le cose cambiarono quando la chimica, in particolare quella tedesca, trovò il modo di migliorarne le

caratteristiche e di impiegarvi oli vegetali di origine coloniale. Le crisi alimentari determinate dalla due

guerre favorirono la diffusione della margarina e anche il loro miglioramento organolettico, fino agli attuali

notevoli livelli di qualità. 

In Italia la margarina si affermò negli anni 40 grazie anche alle formule "interamente vegetali" poste in

commercio, che rassicuravano il pubblico e si trovano più in linea con la moderna dietetica. Da allora la

margarina è divenuto il terzo grasso, dopo olio e burro, comunemente impiegato in campo alimentare. 

La margarina, come il burro, è un'emulsione di acqua in olio. Nella margarina di qualità la fase oleosa è

costituita da oli e grassi solo di origine vegetale. Questa fase è costituita da una miscela di oli liquidi e grassi

concreti, il diverso rapporto tra le due componenti determina le caratteristiche prestazionali e organolettiche

della margarina. Gli oli vegetali comunemente impiegati sono di girasole, soia e mais, tutti caratterizzati da

un contenuto di acidi grassi mono e polinsaturi e dall'assenza di colesterolo. I grassi concreti che possono

essere impiegati sono quelli naturalmente presenti in natura come il cocco e la palma, oppure si ottengono

attraverso processi di modificazione degli oli vegetali, tali da permettere il passaggio dallo stato di olio

liquido a quello di grasso solido. 

Nella produzione della margarina oltre ai grassi e all'acqua vengono utilizzati alcuni ingredienti, i più diffusi

Page 10: l'ABC Della Pasticceria

sono gli emulsionanti, i coloranti naturali come ad esempio i caroteni, il latte scremato, il sale e gli aromi

burro. 

Nel corso degli anni, in pasticceria la margarina è diventata una delle materie più importanti. La continua

ricerca scientifica ha permesso di mettere a punto prodotti rispondenti anche alle più esigenti richieste del

mercato. 

Per ogni area applicativa è necessario trovare un prodotto che risponde al meglio al risultato che si vuole

ottenere. 

In commercio esistono margarine, per crema, frolla, impasti, per pasta sfoglia e per la realizzazione della

croissanteria. Essendo prevalentemente costituita di grasso la margarina è particolarmente sensibile alle

condizioni di stoccaggio. 

Si consigli di conservarla chiusa nel suo involucro alle temperature indicate sulla confezione. 

La margarina è un prodotto alimentare, di consistenza cremosa, a base di grassi principalmente vegetali e

per la maggior parte saturi, distribuito come succedaneo del burro. È una emulsione di lipidi ed acqua, a

volte con aggiunta di sale e di altri additivi alimentari.

A determinare la consistenza e il punto di fusione della margarina è soprattutto la percentuale e il grado di

saturazione dei grassi utilizzati: quelli saturi contribuiscono di più alla cristallizzazione del grasso nel

prodotto, rendendolo quindi più solido.

Nella composizione della margarina entrano grassi vegetali non idrogenati e oli vegetali che vengono

idrogenati secondo il processo di indurimento. Tali grassi induriti sono poco digeribili dal metabolismo

umano e contribuiscono al formarsi di placche arteriosclerotiche e ad altre conseguenze negative date

dall'accumularsi di residui grassi (attualmente però sono presenti margarine non idrogenate che non

presentano gli svantaggi dell'idrogenazione). La margarina contiene acido stearico, costituito da 18 atomi di

carbonio, che è un acido carbossilico saturo

Il lievito:

I lieviti consigliati nella preparazione del dolci sono solitamente di due tipi: quello di tipo chimico ed il

lievito di birra (generalmente 10-12 gr di lievito ogni 500 gr di farina, da aumentare a 15-20 gr se la

temperatura è fredda), che si presenta come una pasta soda di colore grigio; lo si utilizza sbriciolandolo e

stemperandolo in acqua tiepida insieme con qualche cucchiaio di farina. Un altro tipo di lievito è quello seco

in granuli ed anche il cosiddetto lievito naturale, che si trova o nei panifici o va preparato a casa.

Il lievito madre

Come anticipato non possiamo, in poche righe, sostituire l’esperienza e la professionalità di chi

lavora il lievito madre e produce panettoni artigianali da generazioni. Non vi diremo né cos’è il

lievito madre, né come si realizza, perché sono informazioni note, che potete trovare su qualsiasi

manuale professionale, tuttavia desideriamo darvi alcuni consigli importanti, per non dimenticare

che avete a che fare con una materia viva, da curare come se fosse un figlio, ed è questo, forse, il

rapporto che si instaura tra l’artigiano e il “suo” lievito madre, tant’è che alcuni lo “battezzano”

proprio come si fa con i bambini.

I rinfreschi. Si tratta di una fase fondamentale nella preparazione del lievito madre cui bisogna

procedere con estrema cura e pulizia sia dell’ambiente di lavoro sia delle attrezzature. La pulizia è

un aspetto da non sottovalutare in tutto il processo di preparazione del lievito naturale, poiché

qualsiasi contatto con batteri “nemici” del lievito può compromettere tutto il lavoro. Per i rinfreschi,

per esempio, si utilizza la parte centrale del lievito, perché la crosta potrebbe essere inquinata da

microrganismi indesiderati.

Page 11: l'ABC Della Pasticceria

Solitamente i rinfreschi precedono l’impasto finale e hanno lo scopo di rinforzare il lievito, ovvero

potenziare le sue capacità fermentative e, nello stesso tempo, abbassare il suo grado di acidità,

rendendolo idoneo all’impasto finale. La quantità dei rinfreschi dipende dalle caratteristiche del

lievito e dal prodotto da realizzare. Per le ricette di pane sono necessari in media tre rinfreschi, per

quelle di pasticceria, molto più ricche di ingredienti pesanti per il lievito come la materia grassa, lo

zucchero, i tuorli d’uovo, ecc. possono essere necessari più rinfreschi, anche quattro o cinque.

A una parte di lievito bisogna aggiungere della farina e dell’acqua (normalmente il 50% sulla farina

aggiunta), in modo da ottenere un impasto morbido. A un chilo di lievito aggiungeremo per

esempio un chilo e cento grammi di farina (+10%) e cinquecento grammi d’acqua. Essendo i

rinfreschi determinanti per la buona riuscita del lievito, anche le dosi di farina e acqua devono

essere valutate con una certa accortezza sia in base alle caratteristiche del lievito e alla ricetta da

realizzare sia in base all’esperienza e praticità dell’operatore. Anche la temperatura dell’impasto e

il tempo di maturazione possono variare secondo le caratteristiche del lievito e del prodotto finale

che si vuole ottenere. La fase di fermentazione sarà giunta al termine quando il lievito avrà

triplicato il suo volume iniziale. Il lievito maturo è soffice, ha un gusto dolce-acido, è chiaro e non

deve avere un odore pungente.

L’acidità del lievito: il pH, l’acido lattico e l’acido acetico. L’acidità è uno degli aspetti principali

da tenere in considerazione per valutare la buona riuscita del lievito madre. Il pH è la scala con cui

si valuta l’acidità di un ambiente: l’acqua, per esempio, è un ambiente neutro con un pH pari a 7

(la misurazione va da 0 a 14). Quando il pH supera il valore 7 l’ambiente è basico; quando è

inferiore a 7 siamo in ambiente acido. Di conseguenza, tanto più basso sarà il valore di pH, tanto

più acido sarà l’ambiente. Per il lievito madre, il pH ideale è compreso tra 4.5 e 4.8. Il valore può

tuttavia essere anche più basso (comunque non inferiore a 3.9), dipende, infatti, dalla tipicità del

prodotto e dal gusto più o meno acido che si desidera ottenere. Il pH si misura con uno strumento

apposito, il piaccametro, che misura il potenziale idrogenionico (idrogenione = ione idrogeno) della

pasta e che consiste nella quantità di ioni h+ (idrogeno) presenti nell’acqua libera dell’impasto. Più

il numero di ioni è elevato, più basso sarà il pH. Misurando solo l’acidità totale, il pH non è un

valore del tutto attendibile, infatti è importante sapere anche di quali acidi è composto il lievito. Il

pH, inoltre, non dà la forza del lievito in senso assoluto, per quanto sia a esso correlato. Per avere

risultati più scientifici bisognerebbe, infatti, titolare la quantità di acido lattico e di acido acetico. Si

tratta di un procedimento molto complesso che può essere effettuato solo in laboratori di analisi

chimica. I due acidi sono quelli maggiormente prodotti in un impasto lievitato da parte dei batteri

lattici. Essi svolgono molteplici funzioni all’interno di un prodotto lievitato: interferiscono, per

esempio, sulle proprietà reologiche dell’impasto (elasticità, capacità di assorbimento dell’acqua,

capacità di trattenere l’anidride carbonica), modificandone la consistenza. L’acido lattico

conferisce alla pasta più estensibilità, mentre quello acetico rende il glutine più resistente. Questi

due acidi contribuiscono, inoltre, alla formazione degli aromi durante la cottura. Con il calore,

l’acido lattico e l’acido acetico si uniscono all’alcool etilico prodotto dalla fermentazione alcolica dei

lieviti, formando numerose sostanze volatili aromatizzanti (es. aldeidi e chetoni). L’acido lattico e

l’acido acetico devono essere in equilibrio (la proporzione ideale è: tre parti di lattico e una di

acetico; un lievito naturale di buona qualità deve sempre rispettare questa proporzione) per evitare

la formazione di aromi sgradevoli e gusto troppo acido. L’acido lattico contribuisce alla formazione

di aromi gradevoli, una preponderanza di acido acetico, invece, produce un aroma acre troppo

forte e non gradito. Insieme agli altri acidi organici contenuti nell’impasto, questi creano un

Page 12: l'ABC Della Pasticceria

ambiente acido sia nella pasta sia nel prodotto, favorendo lo sviluppo dei lieviti durante la

maturazione dell’impasto e allungando la shelf-lifedel prodotto finito.

Gli elementi che influenzano la fermentazione del lievito

Sono numerosi gli aspetti che concorrono allo sviluppo del lievito madre. Esso, infatti, possiede

una microflora complessa in continua evoluzione che può modificarsi facilmente con il variare

delle condizioni ambientali come temperatura e umidità, ma anche di altri parametri come la farina

utilizzata (elemento fondamentale) o il tasso di idratazione. Queste variabili possono causare lo

sviluppo di microrganismi diversi, che determinano il cambiamento delle caratteristiche

organolettiche (sapore, odore, grado di acidità), reologiche e fermentative del lievito. L’aumento di

temperatura e di umidità, per esempio, favoriscono lo sviluppo dell’attività metabolica e

fermentativa dei microrganismi, quindi un accumulo eccessivo di acidi organici nell’impasto. Il

tasso di umidità dell’ambiente di maturazione del lievito deve essere moderato per evitare il

deterioramento delle caratteristiche dell’impasto a causa di un’acidità troppo accentuata.

La temperatura: gioca un ruolo determinante nella riuscita del lievito madre. Ogni microrganismo,

infatti, necessita di una temperatura ottimale per svolgere le proprie funzioni, modificando tale

fattore, quindi, si favorisce la crescita di alcuni microrganismi e l’inibizione di altri. La temperatura

influisce, inoltre, sull’equilibrio dell’acido lattico e dell’acido acetico che, come già accennato,

devono essere in rapporto di tre a uno. Temperature più basse contribuiscono allo sviluppo di

acido acetico, mentre quelle alte favoriscono lo sviluppo di acido lattico. La temperatura

(dell’impasto) adatta a una maturazione ottimale del lievito è mediamente di 27°C, anche se può

oscillare tra i 24° e i 28°C. Anche la temperatura dell’acqua è importante, non deve essere calda,

ma sui 20°C o meno. 

La pulizia dell’ambiente è un fattore che influisce sulla buona riuscita del lavoro: un luogo

poco pulito o “contaminato” da altre produzioni può, infatti, inquinare il lievito con microrganismi

indesiderati.

Il Cioccolato in pasticceria e pralineria

Per ottenere prodotti finiti aventi un magnifico aspetto estetico, una buona fusione al palato ed uno spacco buono, si devono osservare alcune norme molto importanti durante la fase della lavorazione delle coperture di cioccolato: ruolo fondamentale è il processo di temperaggio che può essere effettuato a mano o a macchina.

Temperaggio "manuale" artigianale

Prevede le seguenti operazioni:

1. rompere in piccoli pezzi del blocco di copertura - se questi non si presenta già in pezzatura idonea per una veloce rifusione - in un recipiente della capacità desiderata messo in stufa, nel forno a microonde o a bagnomaria a 40/45°C (controllare con termometro). Quando tutta la copertura è fusa, mescolare accuratamente per eliminare ogni eventuale parte solida rimasta; 2.versare sul tavolo di marmo o in acciaio inox circa 2/3 di cioccolato fuso come precedentemente descritto; 3.rimuovere continuamente con raschietto cercando di portare a spessore sottile per permettere alla massa di cioccolato di perdere calore di fusione; 4.controllare con termometro e, quando la temperatura risulterà essere circa 29°C per il fondente, 27/27,5°C per il cioccolato al latte o bianco, 26/26,5°C per il cioccolato gianduia, riunire la massa raffreddata nel recipiente, dove sarà rimasto 1/3 della quantità iniziale; miscela energicamente fino ad ottenere una massa omogenea; 5.controllare nuovamente la temperatura che dovrà risultare

Page 13: l'ABC Della Pasticceria

compresa tra 30/32°C per il cioccolato fondente, 28/30° per il cioccolato al latte o bianco, e 27/28°C per la gianduia; procedere alla glassatura e/o modellaggio dei prodotti.

Uso corretto del cioccolato

Vanno considerati anche in questo caso alcuni elementi fondamentali: temperatura ambiente dei laboratori non superiore a 20/21°C; interni da rivestire 26-29°C(glassatura); temperatura stampi 26-29-31°C a seconda dei quattro tipi di cioccolato (modellaggio);1.E' buona norma che gli stampi da utilizzare per il modellaggio dei prodotti siano perfettamente puliti e privi di possibili condensazioni di umidità. 2.A tale scopo si ritiene utile segnalare che dopo ogni smodellaggio di prodotti, gli stampi dovranno essere riscaldati e la temperatura degli stessi dovrà essere leggermente inferiore alla temperatura del cioccolato temperato. 3.Ad ogni fine lavorazione, è consigliabile riporre gli stampi in armadi ben chiusi onde evitare depositi di polvere: si evita così il frequente lavaggio che origina nel tempo perdita di lucentezza e conseguente opacità e/o scarsa brillantezza del prodotto finito.

Raffreddamento

Tenuto conto di quanto precedentemente descritto anche il raffreddamento ha delle regole da seguire: Prodotti Glassati tempo necessario di solidificazione per una buona lucentezza 15/18 minuti a 16/18°C. Prodotti Modellati tempo di solidificazione 18/20 minuti a 10/12°C. Non bisogna assolutamente forzare il raffreddamento con temperature più basse per evitare fenomeni di imbiancamento precoce ed alterazioni nella qualità organolettica del prodotto finito. E' buona norma, pertanto attenersi scrupolosamente a quanto suggerito per non compromettere quanto è stato curato a monte.

Confezionamento

E' inutile dire che prodotti ad alta rotazione di vendita (15/20 gg), potranno essere venduti nudi, mentre per quei prodotti dove la rotazione di vendita è più lenta è necessario un incarto appropriato per la protezione del prodotto contro gli agenti esterni (luce-odori-polvere-ecc.).

Temperaggio a macchina

Sono necessarie le regolazioni di temperatura consigliate dalla Ditta fornitrice, per il resto le temperatrici sono automatiche ed a fine ciclo il prodotto potrà essere utilizzato; il vantaggio dell'utilizzo di queste macchine è che garantiscono una buona termostatazione ed il mantenimento delle condizioni di viscosità e scorrimento per qualche ora.

Come conservare prodotti di cioccolato, semilavorati e prodotti finiti.

E' buona norma conservare il prodotto in ambiente fresco, asciutto e ben aerato. Condizioni ottimali di temperatura sono 15/18°C, umidità relativa (U.R.) max 50/60%. Forti odori, concentrati in ambienti chiusi, originano fenomeni di assorbimento, quindi è sconsigliabile lo stoccaggio in questi ambienti.

Difficoltà/Problemi

Smodellaggio difficile: Possibili cause, copertura mal temporata; stampi umidi; raffreddamento insufficiente.Rimedi: Vedere temperaggio; Riscaldare gli stampi; Vedere raffreddamento(descrizione al lato).

Imbianchimento del cioccolato: Possibili cause: Copertura mal temperata; Imbianchimento troppo sottile. Rimedi:Vedere temperaggio;  Vedere raffreddamento; Evitare condensazioni.

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Crinatura della copertura. Possibili cause:Raffreddamento violento; Copertura troppo sottile. Rimedi:Vedere raffreddamento; Utilizzare coperture appropriate.

Prodotti poco brillanti. Possibili cause: Interni troppo freddi; Temperatura di raffreddamento troppo bassa; Copertura mal temperata; Stampi sporchi. Rimedi: Vedere Uso del cioccolato(descritto al lato); Vedere raffreddamento; Vedere temperaggio;

Aloni in superficie su prodotti modellati. Possibili cause:Stampi insufficientemente riscaldati; Stampi sporchi.Rimedi: Vedere Uso del cioccolato.

Perdite caratteristiche qualitative e strumentali.Possibili cause: Ambiente di stoccaggio inadeguato; Assorbimento odori. Rimedi: Vedere come conservare prodotti di cioccolato

I canditi

Demonizzati dal grande pubblico a causa della qualità scadente utilizzata dall’industria, tant’è che

il consumatore ha iniziato a richiedere panettone senza canditi, e l’industria ha risposto alla

domanda. Ma come si deve comportare un artigiano che, invece, fa della qualità la sua arma

vincente. Prima di tutto deve sapere riconoscere un buon candito da uno di scarse qualità e poi

deve saper trasmettere tutto ciò al proprio cliente. 

Come riconoscere un candito di qualità? L’assenza di anidride solforosa nel processo

produttivo, essa, infatti, influisce negativamente sul colore e il sapore del frutto. È possibile, infatti,

riconoscere un candito trattato con anidride solforosa dal suo aspetto ma anche dal sapore, il

frutto perde colore e l’aroma caratteristici. Un candito non trattato con anidride solforosa

generalmente presenta un colore più scuro ed è molto più aromatico e naturale. Un candito di

qualità deve essere omogeneo nel formato (i cubetti o i frutti interi devono essere tutti della stessa

dimensione o calibro). Il colore deve essere il più naturale possibile (quindi senza aggiunta di

coloranti o altri additivi). All’apertura della confezione non bisogna percepire un aroma pungente,

questo, infatti, indicherebbe l’aggiunta di aromi. Quando lo si assaggia deve essere morbido (la

morbidezza deve essere una costante di tutta la confezione non solo di alcuni canditi), bisogna

percepire una leggera opposizione alla masticazione e subito dopo il prodotto deve sciogliersi con

facilità, quindi non deve essere né legnoso, né gommoso. La gommosità è data da un eccessivo

uso di glucosio nella composizione dello sciroppo di canditura, che evita il formarsi di cristalli

anche a elevate concentrazioni zuccherine. Il frutto candito deve sprigionare la naturale

aromaticità della materia prima di partenza, senza essere pungente. È quindi importante

riconoscere il sapore originario del frutto senza una predominanza della dolcezza dello zucchero.

Nel caso degli agrumi anche uno spessore abbastanza alto vicino alla scorza è indice di qualità.

Come si conservano? Una volta acquistati, i canditi sotto sciroppo, che hanno subito

pastorizzazione, non hanno particolari problemi di conservazione. Quelli asciutti o “colati” sono,

invece, più sensibili: devono essere sempre essere tenuti lontano da fonti di calore e a un

massimo di 18°C. Se confezionati ermeticamente, una volta aperti, vanno tenuti in frigorifero.

Ma perché servono i canditi nel panettone? Il candito, oltre a una funzione insaporente e di

caratterizzazione del prodotto, svolge anche una funzione tecnica molto importante. Esso, infatti,

grazie all’igroscopicità dello zucchero che contiene, contribuisce a mantenere umidità all’interno

del prodotto, allungando di conseguenza la durata dello stesso. Un panettone con canditi, quindi,

avrà una shelf-lifesuperiore dello stesso prodotto privo di canditi. I canditi sono quindi ottimi in tutte

quelle specialità con un contenuto di acque libere superiore al 4%. In questi casi, infatti, oltre a

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conferire gusto, i canditi servono proprio per trattenere l’acqua, lasciando il prodotto umido più a

lungo e allungandone, così, la conservabilità.

Spezie

Cannella o Cinnamonio:

La Cannella è la scorza di un albero che somiglia a quello dell'alloro, ma ha la particolarità di essere + sottile. In Italia è spesso usata per dare aroma più intenso a bevande, creme e in particolare per la preparazione di liquori. La si può trovare in polvere (ottenute dalla macinazione delle cortecce) o in "canna" (sono delle scaglie di corteccia infilate una dentro l'altra.

 

Vaniglia:

Per utilizzare i baccelli della vaniglia è necessario tagliarli a metà per il senso della lunghezza, far fuoriuscire i semini neri che si trovano all'interno e far macerare la bocca nelle diverse preparazioni. Se la bocca si presenterà troppo secca immergetela per un minuto in una tazza colma d'acqua tiepida, dopodiché asciugatela tamponandola con un foglio di carta assorbente. Consiglio: Per dare allo zucchero un gusto più delicato e gradevole aggiungete la bocca e coprite il contenitore.

 

Anice Stellato:

E' una spezie che proviene dalla Cina meridionale. Si usa per la preparazione di liquori o di creme e salse orientali. Secondo alcuni questa particolare spezie ha delle virtù come quelle di attenuare la flatulenza.

 

 

 

 

Chiodi di Garofano:

Sono le spezie più diffuse e fra le più antiche. Un archeologo di nome Lailand durante una delle sue ricerche scoprì una mummia che indossava una collana di chiodi di garofano. La pianta dalla quale si raccolgono i chiodi di garofano cresce in prossimità del mare e sono costituiti da fiori appena sbocciati che poi vengono fatti essiccare al sole. I chiodi di garofano contengono un olio che sembrerebbe che serve ad anestetizzare il mal di denti

La Frutta Esotica:

La frutta esotica viene usata spesso in pasticceria, qui di seguito descriveremo alcuni tipi più utilizzati:

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Tamarillo:Questo frutto proviene dal Perù e dalla Colombia. Ha la forma di un uovo. Il colore della buccia può essere rosso o giallo. Anche la polpa varia dal rosso all'arancione fino a sfumare nel giallo. Ha un aroma chiaro ed un sapore delicato simile ad un pomodoro maturo. Si può gustare pelato e tagliato a cubetti, o aggiunto elle insalate o alle macedonie di frutta. E' adatto come dessert. Contiene proteine, carboidrati, fosforo, vitamina A,B1,B2,PP. Si conserva alla temperatura di 10-14°C.

Passion Fruit:Questo frutto proviene dal Zimbabwe, Kenia, Sud Africa, Israele. Grande come una pallina da tennis, con buccia spessa, liscia di colore porpora con sfumature verdi.La polpa è costituita da piccoli grani mucillaginosi di colore giallo arancio e verde chiaro. Quando è maturo è dolce. Viene gustato tagliato in due parti al naturale e mangiando la polpa con un cucchiaino. Può essere utilizzato in gelateria per gelati, sorbetti, oppure per spumante e cocktail. Contiene proteine, carboidrati, fosforo, potassio, vitamina A e C. Si conserva alla temperatura di 8-12°C.

Kiwano:Questo frutto proviene dal Portogallo, Nuova Zelanda, Francia, Italia, e Israele. E' come un grosso fico d'india, con buccia liscia e dura. Ha un colore giallo arancio. La polpa è gelatinosa e ha un sapore agrodolce. Viene gustato come antipasto o usato per accompagnare i frutti di mare, oppure per le macedonie e i cocktail. Contiene proteine, potassio e calcio. Viene conservato alla temperatura di 8-12°C

Physalis:Questo frutto proviene dalla Colombia, Zimbabwe, Asia, Nuova Zelanda, Italia. E' come una bacca, quando è maturo il colore passa da verde-giallo ad arancio. Ha un sapore dolce ma a sua volta un tono acidulo. In pasticceria viene immerso nel cioccolato fuso o nel caramello; oppure usato nelle macedonie, con il pesce o con i crostacei (cotto). Contiene proteine, fosforo, ferro, vitamina C. Viene conservato alla temperatura di 8-12°C.

Canna da zucchero:Questo frutto proviene dai Paesi tropicali e subtropicali. Assomiglia alla canna di bambù. La polpa è zuccherata e di colore ambrato. Contiene acqua, calcio, fosforo, vitamina C. Viene conservato a temperatura ambiente.

Papaya:Questo frutto proviene dal Brasile, Giamaica, Sud Africa, Ghana, Thailandia, Indonesia, India. Ha la forma di una pera con buccia sottile, liscia e non commestibile che varia dall'arancione, al verde-giallo, al giallo-rosso; mentre la polpa è di colore arancione e il sapore è come quello del melone. Viene gustata al naturale o nelle macedonie o frappè. Contiene proteine, acqua, fosforo, potassio, vitamina C. Viene conservato alla temperatura di 8-12°C.

Mango:Questo frutto proviene dal Messico, Puerto Rico, Costa Rica, Venezuela, Perù, Brasile, India, Kenya, Guinea, Israele, Costa d'Avorio, Spagna, Congo, Malì e Senegal. Ha una forma ovoidale ed è di colore verde, arancio, giallo o rosso. La buccia è sottilissima e la polpa è arancione o gialla con sapore dolce e fragrante, ha un tono acidulo che ricorda l'ananas o l'albicocca. Serve per le macedonie o i gelati alla crema. Contiene proteine, carboidrati, potassio, vitamina A e C. Viene conservato alla temperatura di 10-14°C.

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Carambola (Starfruit):Questo frutto proviene dal Brasile, Malaysia, Cina, Australia, Israele, Spagna, Indie Occidentali, Stati Uniti. Ha una buccia sottile e lucida di colore giallo chiaro ed è commestibile, la polpa è croccante e il sapore varia dal dolce all'acidulo. Serve per accompagnare le verdure crude, insalate, pesce, salumi, macedonie o come decorazione per gelati e cocktail. Contiene proteine, carboidrati e acqua. Viene conservato alla Temperatura di 8-12°C

Litchi:Questo frutto proviene dal Madagascar, Isole Mauritius, Sud Africa, Cina, India, Thailandia, Australia, Messico, Israele, Stati Uniti. Ha la pelle di colore rosa o rossa ed è sottile. La polpa è di colore bianco ed è rinfrescante, succosa e dolce. Il sapore ricorda una combinazione tra la fragola ed uva moscato. Viene usata nelle macedonie, nei gelati e nella cucina cinese. Contiene proteine, fosforo, potassio, calcio, vitamina C. Si conserva alla temperatura di 1-4°C

-le uova oltre che come agente emulsionante per “legare” il burro sono aggiunte come “strutturante” perchè apportano proteine. I grandi pasticceri aggiungono tuorli e non uova intere perchè i tuorli apportano proteine più flessibili e lecitine emulsionanti.-la morbidezza è data principalmente dal grasso che blocca la retrogradazione dell’amido (cmq ritornerò sull’argomento) e quindi per legare il burro bisogna aggiungere i tuorli (circolo vizioso…).-sul trattamento con alcool devo approfondire l’argomento, ma penso che più che alla morbidezza contribuisca alla “conservabilità” della brioche (eliminazione muffe?).

PASTA DI ZUCCHERO (con glucosio, burro e glicerina)

Ingredienti per circa 1,2 kg di pasta di zucchero:

Per la pasta di zucchero:

circa 1 kg di zucchero a velo finissimo, 170 ml di glucosioliquido per dolci, 10 g di gelatinain

polvere, 16 ml di glicerina alimentare, 70 ml di acqua fredda, 32 g di burro (o di olio di mais), 2-3

gocce di essenza di vaniglia o di mandorle.

Per eventuali aggiustamenti (solo se necessario):

altro zucchero a velo o una piccola noce di burro a temperatura ambiente.

Per la spianatoia:

zucchero a velo (o amido di mais).

Per colorare:

coloranti alimentari preferibilmente in gel o in pasta.

Preparazione:

Per prima cosa, preparare la pasta di zucchero.

Setacciare lo zucchero a velo e metterne 3/4 in un robot da cucina.

Porre in un pentolino di acciaio inossidabile l’ acqua fredda e la gelatina in polvere.

Lasciare riposare il tutto per circa 10 minuti o fino a quando l’acqua verrà assorbita dalla gelatina.

Lasciare, poi, riscaldare il composto a bagnomaria e a fuoco dolce, mescolando fino a quando

la gelatina si scioglierà completamente.

Con il pentolino ancora sul fuoco, aggiungere prima il glucosio, poi la glicerina ed, infine, il burro (o

l’olio) e l’aroma, continuando a mescolare fino ad ottenere un composto omogeneo.

Avere l’accortezza di non fare bollire il composto per non renderlo inutilizzabile.

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Appena il miscuglio apparirà perfettamente liquefatto, versarlo senza indugi sullozucchero a

velo contenuto nel robot da cucina ed azionare per 10 secondi l’apparecchio ad una bassa velocità.

Inizialmente si formeranno delle palline ben separate.

Azionare nuovamente il robot, meglio se ad intermittenza.

Se durante le fasi di impasto il composto fosse troppo duro e, quindi, l’apparecchio dovesse

funzionare con qualche difficoltà, aggiungere un cucchiaino di acqua alla volta, in modo da dosare la

consistenza della pasta.

Ad operazione finita, la pasta si raccoglierà in un angolo dell’apparecchio, formando una palla ancora

non omogenea.

A questo punto, l’impasto è pronto per essere lavorato a mano.

Spolverare di zucchero la spianatoia e versarvi la pasta di zucchero.

Iniziare ad impastarla energicamente con le mani.

Se, durante la lavorazione, la pasta dovesse essere ancora appiccicosa, aggiungere altro zucchero a

velo, ma senza eccedere in quanto la pasta riposando diventerà più consistente.

Se, invece, la pasta dovesse risultare un po’ asciutta, aggiungere una piccolanoce di burro

o lavorare l’impasto con le mani unte di burro.

Lavorare la pasta di zucchero con cura, fino ad ottenere una pasta liscia ed omogenea, di colore

bianco candido, molto malleabile, simile per consistenza alla plastilina.

Avvolgerla immediatamente nelle pellicola trasparente e tenerla avvolta fino al momento di utilizzarla.

Se non deve essere adoperata subito, chiuderla, ben avvolta, in un contenitore a chiusura ermetica e

conservarla a temperatura ambiente.

Basterà il calore delle mani per ammorbidirla nuovamente.

La pasta di zucchero può essere adoperata con la colorazione bianca naturale oppure può essere

colorata con ingredienti alimentari.

Per colorare la pasta, procedere nel seguente modo.

Prelevare di volta in volta solo la quantità di pasta di zucchero da colorare.

Indossare dei guanti monouso e picchiettare la pasta con la punta di uno stecchino intinta nel

colorante.

Aggiungere poco colorante alla volta, in modo da dosarne l’intensità.

Appena aggiunto il colorante, impastare la pasta prima tra le mani e, poi,

sullaspianatoia spolverizzata di zucchero a velo.

Raggiunta una colorazione omogenea, avvolgere nuovamente la pasta nella pellicola trasparente e

tenerla in un contenitore a chiusura ermetica, fino al momento di adoperarla.

NOTE:

La pasta di zucchero prende anche in nome di “Fondant” (termine francese).

Per abbreviare viene chiamata “pdz”.

In inglese viene chiamata Sugarpaste.

Essa permette di ricoprire una torta e/o di creare delle graziose decorazioni e dei personaggi da

collocarvi sopra.

È, pertanto, adoperata soprattutto per decorare le torte delle feste, per esempio quelle per i

compleanni dei bambini, per anniversari, per occasioni speciali…

Si prepara in tempi brevi, all’incirca 30 minuti, e può essere conservata a lungo.

Per far scivolare il glucosio che è molto denso, immergere il cucchiaio in acqua calda e

asciugarlo di volta in volta.

Lavorare l’impasto su un piano di lavoro molto, ma molto pulito (come del resto anche le

mani), perché la pasta di zucchero, essendo di colore bianco, si sporca facilmente.

Con le dosi consigliate si può rivestire una torta di circa 30 cm di diametro e adornarla con

piccole decorazioni.

NOTIZIE RELATIVE AL GLUCOSIO E ALLA GLICERINA

Il “Glucosio per dolci”, chiamato anche “Sciroppo di glucosio”, si compra in farmacia o nei

negozi specializzati in prodotti da pasticceria oppure in supermercati particolarmente forniti.

Page 19: l'ABC Della Pasticceria

Attenzione a non comprare in farmacia la soluzione fisiologica per fleboclisi, utilizzata per scopi

terapeutici.

Il glucosio per dolci è una soluzione formata da zuccheri semplici (per esempio il glucosio, il

maltosio, le maltodestine…) e viene ottenuto dalla scissione dell’amido di mais, tramite un

processo di conversione enzimatica.

È, quindi, un insieme di zuccheri.

Si presenta come uno sciroppo denso, incolore e di sapore dolce (ma non quanto lo zucchero).

A tale proposito, è necessario puntualizzare che lo sciroppo di glucosioliquido e quello in

polvere non sono intercambiabili.

Lo sciroppo di glucosio viene adoperato in pasticceria, in quanto potenzia la morbidezza dei

prodotti ed evita l’eccessiva cristallizzazione delsaccarosio (nel nostro caso impedisce alla

pasta di zucchero di seccarsi e creparsi).

Ha, inoltre, proprietà conservanti.

La glicerina per alimenti si compra in farmacia ed in centri specializzati in prodotti per

pasticceria.

È una soluzione acquosa concentrata di glicenolo (termine con cui si indica la sostanza pura): si

presenta sotto forma di un liquido denso, sciropposo, incolore, inodore, limpido,

dal sapore dolciastro.

In pasticceria si adopera come additivo alimentare (con la sigla E422).

Si utilizza per rallentare il processo di essiccazione della pasta di zucchero, per renderla più

malleabile e per darle brillantezza.

Serve, anche, ad ammorbidire l’impasto e a rendere più luminosi i colori.

La glicerina si ritrova in numerosi prodotti alimentari caramelle, liquori, prodotti da forno o da

pasticceria.

È importante rispettare la dose consigliata di glicerina, in quanto a dosi elevate il glicerolo (e

quindi la glicerina) potrebbe aver effetti collaterali.

LE COSE DA SAPERE SULLA PASTA DI ZUCCHERO:

Non adoperare lo zucchero a velo preparato in casa, in quanto quello industriale contiene una

certa quantità di amido di mais o di frumento.

Al posto del glucosio, che non sempre è di facile reperibilità, si può utilizzare la stessa quantità

di miele (preferibilmente d’acacia o il millefiori che sono qualità di miele di colore chiaro).

Non lasciare bollire per nessun motivo il composto di gelatina, acqua,glucosio, glicerina ,

aroma e burro (o olio), perché la pasta di zucchero si rovinerebbe.

Tale composto può essere preparato al microonde, facendo sciogliere il composto alla

temperatura più bassa per una decina di secondi.

Mescolare e ripetere l’operazione, sempre per pochi secondi, fino a quando il miscuglio si

scioglierà perfettamente.

Non azionare a lungo il robot, perché si otterrebbe un impastoeccessivamente morbido e,

quindi, non lavorabile.

Se durante la lavorazione la pasta dovesse risultare appiccicosa, continuare a lavorarla con

energia sulla spianatoia spolverizzata dizucchero a velo, in modo da farla asciugare.

Adoperare, di preferenza, coloranti alimentari in gel, o in pasta.

Quelli liquidi, infatti, tendono ad ammorbidire la pasta e danno colori poco intensi.

I coloranti in polvere possono essere adoperati, ma il loro utilizzo è antieconomico in quanto se

ne adopera una grande quantità.

Sono, pertanto, da preferire i coloranti in gel o in pasta, che vengono venduti in piccoli barattoli o

in tubetti nei negozi specializzati o su internet.

Se ne consuma una quantità minima.

Una volta pronta, non lasciare la pasta di zucchero all’aria aperta.

Una volta tolta dal panetto la parte di pasta da colorare, riavvolgere subito nella pellicola

trasparente la parte restante.

Page 20: l'ABC Della Pasticceria

Adoperare la stessa precauzione con la pasta appena colorata.

La pasta di zucchero può essere preparata a mano, senza l’ausilio delrobot da cucina, ma la

preparazione è abbastanza faticosa.

NON TUTTI SANNO CHE:

La pasta di zucchero, non va mai lasciata all’aria aperta, se non durante le fasi di lavorazione, in

quanto si asciugherebbe in tempi brevi.

È pertanto importante avvolgerla prima nella pellicola trasparente e, poi, per maggiore

precauzione in un sacchetto di plastica per alimenti.

Metterla, quindi, in un contenitore a chiusura ermetica o in una scatola di latta.

A queste condizioni, la pasta di zucchero si conserva anche per qualche mese.

Non conservarla in frigorifero, perché l’umidità la farebbe afflosciare.

La presenza del burro non ne compromette la conservabilità al di fuori del frigorifero per due

semplici motivi: la quantità adoperata è minima e lo zucchero funge da conservante.

Naturalmente la pasta conservata non si manterrà per sempre morbida, ma nel tempo indurirà.

In tal caso, al momento dell’utilizzo, riscaldarla per 10 secondi al microonde oppure per poco più

di una decina di minuti nel forno caldo a 60°C.

Poi, appena calda, lavorarla sulla spianatoia fino a renderla nuovamente malleabile.

COME RICOPRIRE UNA TORTA CON LA PASTA DI ZUCCHERO

Misurare il diametro della torta da rivestire, comprensivo dei lati.

Eliminare la calotta del pan di Spagna, in modo da ottenere una superficie piatta.

Tagliare il pan di Spagna a strati e farcirlo di crema o altro.

Con una spatola di metallo distribuire sulla sua superficie un sottile strato di crema al burro tiepida (o

di ganache di cioccolato oppure di marmellata…), in modo che faccia da collante per la pasta di

zucchero.

Stendere la crema al burro con grande attenzione, livellandola in modo da coprireeventuali

imperfezioni del pan di Spagna.

Mettere la torta in frigorifero per almeno 15 minuti, per dar modo alla crema di rassodarsi.

Nel frattempo, cospargere il piano di lavoro con zucchero a velo (o amido dimais).

Coprire il panetto di pasta da zucchero con un foglio di carta da forno e cominciare a stenderlo a

partire dal centro, come se si trattasse di un impasto per pasta fresca.

Partendo sempre dal centro, continuare a spianare la pasta, ruotando nel contempo la sfoglia.

Avere l’accortezza di spolverare il piano di lavoro dopo ogni rotazione.

Stendere la pasta di zucchero fino a raggiungere uno spessore di 4-5 mm.

Appena raggiunto il diametro della torta da ricoprire (compresi i lati), avvolgerela sfoglia attorno

al matterello e sollevarla in modo da posizionarla sulla torta.

Srotolarla, poi, con grande delicatezza e farla aderire alla torta premendola con il palmo delle mani.

Durante questa fase, occorre prestare attenzione sia a non tirare troppo la pasta, per evitare che si

crepi o si strappi, sia a non formare antiestetiche pieghe.

Una volta ricoperta la torta, con un coltello a lama liscia eliminare la pasta di zucchero in eccesso.

Ripassare, poi, lungo tutta la torta lo smoother, una spatola per pasticceria che serve a rendere liscia

la superficie della pasta di zucchero e ad eliminare le eventuali bolle d’aria.

Decorare a piacere.