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PROFILI DI COMPETENZA E RUOLI MANAGERIALI DEI CAPI REPARTO IN UNIMPRESA DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE Vincenzo Cavaliere Dipartimento di Scienze Aziendali Università degli Studi di Firenze e-mail: [email protected] tel. 055 23.971 fax 055 21.96.25 1. Premessa...................................................................................................................2 2. L’impresa nelle prospettive idiosincratiche. Competitività e risorse: la risorsa middle manager...........................................................................................................3 3. L’azione del manager di linea come fattore generativo di valore. Da risorsa ad attore del vantaggio competitivo...............................................................................8 4 L’azione manageriale del capo reparto di supermercato.....................................12 4.1 Metodologia............................................. 12 4.1 Il contesto organizzativo di riferimento per i CR dell’Azienda Alfa........................................... 17 4.2 Il sistema dinamico di risorse personali................21 4.2.1 Le caratteristiche esterne oggettive.................21 4.2.2 I profili di competenza..............................22 Costrutti emersi dalla RG...........................................................................................29 Tabella 6 La “competenza Comunicare”........................30 Costrutti emersi dalla RG...........................................................................................30 1

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PROFILI DI COMPETENZA E RUOLI MANAGERIALI DEI CAPI REPARTO IN

UN’IMPRESA DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE

Vincenzo CavaliereDipartimento di Scienze AziendaliUniversità degli Studi di Firenze

e-mail: [email protected]. 055 23.971

fax 055 21.96.25

1. Premessa....................................................................................................................................2

2. L’impresa nelle prospettive idiosincratiche. Competitività e risorse: la risorsa middle manager.........................................................................................................................................3

3. L’azione del manager di linea come fattore generativo di valore. Da risorsa ad attore del vantaggio competitivo....................................................................................................................8

4 L’azione manageriale del capo reparto di supermercato........................................................12

4.1 Metodologia........................................................................................................................12

4.1 Il contesto organizzativo di riferimento per i CR dell’Azienda Alfa.................................17

4.2 Il sistema dinamico di risorse personali.............................................................................21

4.2.1 Le caratteristiche esterne oggettive.............................................................................21

4.2.2 I profili di competenza.................................................................................................22

Costrutti emersi dalla RG............................................................................................................29

Tabella 6 La “competenza Comunicare”..................................................................................30

Costrutti emersi dalla RG............................................................................................................30

Tabella 7 La “competenza Imprenditorialità”..........................................................................30

4.3 I modelli di ruolo................................................................................................................30

Tabella 9 Differenze relative fra i CR e dissimilarità con i CN...............................................36

5. Conclusioni..............................................................................................................................38

Bibliografia..................................................................................................................................41

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1. PREMESSA.

I contributi teorici presenti nella letteratura relativa agli approcci interpretativi delle

determinanti del vantaggio competitivo sembrano caratterizzarsi per una sorta di

polarizzazione verso due estremi: quello delle prospettive esterne all’impresa e quello

delle prospettive riferite alle fonti interne.

Le prime, pur presentando peculiarità ed apporti differenziati, attribuiscono tutte

rilevanza fondamentale al contesto ambientale in cui l’impresa opera come fattore

condizionante la performance della stessa.

Le prospettive interne, che recentemente hanno visto una crescita di interesse sia da

parte degli studiosi che da parte degli operatori economici, hanno invece riportato a

livello di impresa, in particolare nella eterogeneità delle risorse disponibili e nelle

competenze distintive, le principali fonti di differenziali competitivi sostenibili nel

tempo (Penrose, 1959; Rumelt, 1984; Wernerfelt, 1984; Barney, 1986; Itami, 1987;

Hall, 1992; Mahoney and Pandian, 1992; Peteraf, 1993; Teece, Pisano, Shuen1997).

In particolare la capacità delle imprese di gestire, accumulare e creare risorse specifiche

basate sull’informazione e sulla conoscenza, le così dette risorse intangibili, sembra

essere uno dei fattori chiave nel processo di generazione di valore economico e di

vantaggi competitivi. Itami sostiene in proposito che, rispetto alle altre risorse, quelle

basate sull’informazione e sulla conoscenza sono le risorse più rilevanti per il successo

di lungo periodo (Itami, 1987) e che le persone sono importanti per un’azienda perché

molte delle risorse intangibili sono incorporate nelle stesse.

Le prospettive interne sono per noi di particolare interesse in quanto ascrivendo a fattori

endogeni ed idiosincratici – risorse (umane) e competenze specifiche

dell’organizzazione – la capacità dell’impresa di generare rendite differenziali

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consentono di recuperare la dimensione organizzativa legata ai processi aziendali chiave

ed all’azione manageriale delle risorse umane che guidano ed orientano tali processi.

2. L’IMPRESA NELLE PROSPETTIVE IDIOSINCRATICHE. COMPETITIVITÀ E RISORSE:

LA RISORSA MIDDLE MANAGER

La relazione tra competitività e risorse di impresa è stata recentemente sostenuta con

forza nella Resource Based View (RBV) che focalizza la propria attenzione sull’analisi

della varianza intra firm.

Alcuni contributi teorici di matrice economica e sociologica avevano tuttavia, già negli

anni passati, messo in evidenza tale relazione seppure con specifico riferimento alla

crescita dell’impresa ed all’innovazione in funzione della disponibilità di risorse in

eccesso o non completamente impiegate.

Edith Penrose nel suo The Theory of the Grow of the Firm (1959, p. 149) definiva

l’impresa essenzialmente come un «pool of resources the utilization of which is

organized in administrative framework»; Philip Selznick in Leadership in

Administration (1957), invece, ha sottolineato il ruolo della leadership nello sviluppo

delle «distinctive competence»; infine Alfred Chandler nel suo studio Strategy and

Structure, condotto nel 1962, richiama l’attenzione sulla struttura organizzativa e su

come questa influenzi l’utilizzo delle risorse d’impresa.

Questi contributi seminali anticipano molte delle ipotesi e delle argomentazioni

essenziali che ritroviamo nei “moderni” studi ricompresi nell’ampia prospettiva

dell’analisi delle risorse come ad esempio l’ipotesi chiave relativa alla idiosincraticità

delle risorse sottostanti i processi di produzione dell’impresa.

Le imprese si caratterizzano e si differenziano per una loro unicità e specificità; esse

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sono eterogenee in termini di fattori produttivi posseduti. Sull’origine di tale

eterogeneità, e più in generale sulle modalità e sugli elementi attraverso cui l’impresa è

in grado di dare valore e di generare la propria specificità si è sviluppato un interessante

dibattito (Barney, 1986, 1989; Dierickx e Cool, 1989; Peteraf, 1993; Wernerfelt, 1984).

Senza avere la pretesa di essere esaustivi, soffermeremo brevemente la nostra attenzione

su quei contenuti del dibattito che appaiono di particolare importanza ai fini della nostra

analisi.

Due sembrano essere sostanzialmente le dimensioni intorno alle quali si è sviluppata la

ricerca sull’origine e sulla natura delle differenze intra firm.

Da un lato fattori di natura economica, come l’imperfezione nei mercati dei fattori

produttivi e la non perfetta mobilità delle risorse, vengono visti come presupposti della

specificità dell’impresa; dall’altro invece, sono fattori di natura organizzativa come la

diversa combinazione delle risorse e la conseguente diversità di forme e processi

organizzativi a generare idiosincrasia.

In proposito Schulze (1994) parla di due scuole di pensiero: la «Structural School» e la

«Process School».

Tra gli studiosi che possono essere ricondotti alla «Structural School» troviamo

sicuramente Wernelfelt (1984) e Barney (1986).

In estrema sintesi, secondo questa prospettiva la varianza intra firm verrebbe ad essere

spiegata dalla dotazione di risorse specifiche, strategicamente rilevanti, che l’impresa è

riuscita a costituirsi competendo sul mercato dei fattori produttivi e dal controllo che

riesce ad avere su tali tipi di risorse (Barney, 1991; Wernerfelt, 1984). E’ importante

sottolineare che in questa prospettiva non viene fatta alcuna distinzione tra «risorse

strategicamente rilevanti» e competenze e che la diversità di performance riflette il

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contributo di componenti statiche.

La «Process School» si caratterizza, invece, per l’introduzione delle dinamiche di

processo nella spiegazione della specificità dell’impresa; inoltre la sostenibilità del

vantaggio competitivo non dipende da barriere o «meccanismi di isolamento» che

impediscono l’imitazione e la sostituzione delle risorse o competenze ma dalla

sostanziale non replicabilità dei processi interni di accumulazione e combinazione delle

risorse stesse (Dietrick & Cool, 1989).

Emerge in questa prospettiva di analisi una distinzione tra risorse, competenze e

capacità dinamiche che, pur essendo elementi correlati, sono tenuti distinti. Si

individuano conseguentemente differenti livelli di analisi.

Le risorse vengono definite come stock di fattori disponibili che sono posseduti o

controllati dall’impresa. Le competenze sono il risultato dell’utilizzo congiunto di tali

risorse al fine di raggiungere un risultato desiderato. Si tratta di processi organizzativi

tangibili o intangibili firm specific che sono stati sviluppati nel tempo attraverso

l’interazione delle risorse d’impresa (Amit e Schoemaker, 1993).

Le capacità dinamiche, nell’interpretazione proposta da Teece Pisano e Shuen,

consentono di superare alcuni limiti che, secondo gli autori, la RBV “classica” incontra

quando si introducono nella competizione dinamiche esterne di tipo schumpeteriano.

Quando la base competitiva subisce forti cambiamenti e l’intensità dei processi

innovativi è elevata, il concetto stesso di vantaggio competitivo sostenibile rischia di

diventare inadeguato. Le capacità dinamiche definite come abilità delle imprese di

riconfigurare, riorientare, rinnovare le core competences dell’impresa consentono di far

fronte tempestivamente ai cambiameni dell’ambiente di attività dell’impresa.

Alla luce di ciò, le competenze organizzative possono essere reinterpretate in termini di

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capacità di strutturare ed orientare gruppi di risorse e specialmente i servizi che queste

offrono (Penrose, 1959), verso sempre nuovi e diversi livelli di efficienza che portano a

sostenere un vantaggio competitivo attraverso la ricerca di nuove condizioni e “risorse”

che dischiudano più sicuri orizzonti (Fazzi, 1982; Christensen, 1996). Siamo in

presenza di quei «comportamenti attivi» che l’impresa è chiamata ad attuare anche

attraverso «processi di distruzione creatrice» (Schumpeter, 1967, p. 77) non solo per

rispondere ai cambiamenti manifestatisi nell’ambiente ma addirittura per anticipare se

non provocare quelle innovazioni che, forse, l’ambiente stesso potrebbe più tardi

imporre e che le imprese, anticipandole o provocandole, cercherebbero di volgere a

proprio vantaggio (Fazzi, 1982).

Nella capacità di strutturare ed orientare gruppi di risorse tangibili ed intangibili verso la

creazione di nuove conoscenze e la gestione dei processi che sottostanno i vantaggi

competitivi, un ruolo predominante è stato recentemente riconosciuto con forza al

middle manager.

Il middle manager non è semplicemente un esecutore o un comunicatore degli ordini

impartiti dal Top Management (Thompson, 1967): piuttosto egli svolge un ruolo attivo

nei meccanismi operativi di integrazione a livello organizzativo delle competenze e

conoscenze degli individui, di coerente allineamento delle conoscenze organizzative ed

individuali con le opportunità dell’ambiente esterno ed i bisogni dei clienti/consumatori

(Sayles, 1993).

Il middle manager in quanto ponte fra gli ideali strategici della direzione e la realtà

destrutturata e dinamica della linea operativa media, negozia ed interpreta le

connessioni fra gli aspetti istituzionali dell’organizzazione centrati sul «dover essere»

del vertice e gli aspetti operativi della linea centrati sul «fare» (Floyd e Wooldrige,

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1997; Nonaka e Takeuchi, 1995).

La rilevanza del manager di linea appare ancora più evidente nelle organizzazioni snelle

e degerarchizzate dove l’autorità e la responsabilità viene sempre più suddivisa fra i

diversi livelli organizzativi.

Sulla base delle considerazioni appena fatte sembra proponibile considerare l’azione del

middle manager essenziale nel processo di creazione di valore per l’impresa e nella

sostenibilità del vantaggio competitivo, al pari di quella dell’imprenditore.

E’ quindi possibile sostenere che la performance dell’impresa viene ad essere

influenzata dall’azione più o meno efficace del manager di linea e dalle sue capacità e

competenze.

Diviene quindi importante per un’organizzazione avere la consapevolezza dei fattori

causali la prestazione di questa particolare figura professionale.

L’obiettivo delle pagine successive sarà quello di cogliere le specificità dell’azione

manageriale del capo reparto della Divisione supermercati di un’azienda della grande

distribuzione attraverso un’analisi empirica di un caso concreto, cercando di

discriminare gli elementi sottostanti le azioni dei CR più efficaci.

Una ulteriore giustificazione dell’interesse per l’azione del capo reparto di supermercato

deriva dal fatto che la funzione di acquisto del consumatore (ed anche la customer

satisfaction), nelle imprese della distribuzione commerciale e più in generale in quelle

dei servizi, sembra incorporare ed essere influenzata anche dai comportamenti del

personale di front line e su questi ultimi ha un significativo impatto proprio l’azione del

capo reparto.

In quest’ottica, la prospettiva dell’analisi strategica basata sulle risorse rappresenta, il

quadro teorico di riferimento all’interno del quale il paper trova la sua giustificazione

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originaria.

L’analisi si muoverà dal generale al particolare. Cercheremo prima di cogliere le

peculiarità più significative dell’approccio teorico di riferimento della ricerca per poi

addentrarci, soprattutto attraverso l’analisi dei dati, nell’analisi delle determinanti

l’azione manageriale.

Tale approccio, a nostro avviso, consentirà di valorizzare il contributo fornito dagli

attori organizzativi chiave.

3. L’AZIONE DEL MANAGER DI LINEA COME FATTORE GENERATIVO DI VALORE. DA

RISORSA AD ATTORE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO.

Dal momento in cui diamo credito alle prospettive idiosincratiche riconosciamo da un

lato che le risorse umane, in quanto “assets” che incorporano conoscenze specifiche,

costituiscono la risorsa strategica per eccellenza (Camuffo, 1998) e dall’altro che in tutti

i processi di combinazione delle risorse, tangibili ed intangibili, che generano le

competenze e le capacità dinamiche sottostanti i vantaggi competitivi, assume un ruolo

chiave il manager intermedio.

Attribuire rilevanza alla “risorsa middle manager” in quanto tale, però, denota una

visione limitata e parziale della stessa nel processo creativo del vantaggio competitivo

confinandolo a soggetto passivo, «elemento inerte» al pari di altre risorse disponibili.

L’aspetto maggiormente rilevante non consiste tanto nella “risorsa in sé” quanto

piuttosto nell’azione che svolge in qualità di soggetto gestisce risorse umane, che

presidia a livello operativo i processi strategici ed i flussi informativi, di coordinatore

dei processi di apprendimento e di sviluppo di nuove competenze che consentono di

generare innovazione, ed infine come interprete delle connessioni tra l’ambiente esterno

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e quello interno e tra gli aspetti istituzionali dell’organizzazione e quelli tecnico

operativi. L’interesse per l’azione del middle manager è, in definitiva, legata alla sua

significativa influenza sulla creazione di valore per il cliente e per l’organizzazione,

all’influenza che ha sulla gestione delle modalità competitive che l’impresa adotta per

conseguire e sostenere differenziali competitivi.

L’azione umana in generale risulta condizionata dall’interazione tra l’individuo e la

situazione (Thompson, 1967). Semplificando, l’individuo presenta una serie di “risorse”

che spiegano l’azione ed il comportamento organizzativo; in parte queste risorse fanno

riferimento a «caratteristiche esterne» delle persone oggettivamente individuabili (età,

sesso, educazione, esperienza, ecc.) ed in parte esse fanno riferimento a «caratteristiche

interne». Tra queste ultime ritroviamo una serie di «determinanti individuali di

comportamento» (valori, attegiamenti, bisogni, abilità, conoscenze, ecc.) e di processi di

comportamento (percezioni individuali, motivazione e la conseguente decisione) che

non si identificano con il comportamento manifesto, ma rappresentano la sua condizione

preliminare, in quanto ne anticipano la direzione e l’intensità (Salvemini, 1979, p. 124)1.

Le diversità di comportamento da individuo ad individuo e quindi anche di prestazioni

possono essere interpretate in parte facendo riferimento all’insieme degli elementi

appena descritti: le «caratteristiche esterne oggettivamente individuabili»; le

«determinanti individuali di comportamento» costituite da caratteristiche interne

dell’individuo stesso, dalle sue abilità, dalle sue percezioni circa le priorità nelle attività

di lavoro, dalle sue capacità; dai processi di scelta e di decisione (Salvemini, 1979).

Definiamo l’insieme complesso di tutti questi elementi sistema dinamico di risorse

personali.

L’azione manageriale si caratterizza, quindi, per la sua natura combinatoria ed i

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risultati conseguenti vengono ad essere quindi influenzati da un sistema complesso i cui

componenti sono: il contesto entro cui l’azione si svolge che genera vincoli ed

opportunità, il sistema dinamico di risorse personali, ed infine i modelli di ruolo attesi,

cioè quei modelli di comportamento che l’organizzazione e gli attori organizzativi si

aspettano che il soggetto titolare di una posizione interpreti. Nel sistema dinamico di

risorse personali le competenze assumono particolare rilevanza per essere alla base di

specifiche azioni e comportamenti delle persone che sono legati a specifici risultati

(Boyatzis, p. 12).

Figura 1 Gli elementi dell’azione manageriale

La figura 1 evidenzia solo gli elementi che vengono analizzati in questo paper,

sottolineando anche la interrelazione dinamica delle variabili che si ridefiniscono in

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ContestoContesto Efficacia nei risultati conseguitiEfficacia nei risultati conseguiti

Modelli di ruolo Modelli di ruolo

Caratteristiche EsterneCaratteristiche Esterne

AzioneAzioneManagerialeManageriale

Sistema dinamico di risorse personali

CompetenzeCompetenze

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funzione dell’efficacia o meno dei risultati volta volta conseguiti e dei feedback che da

essa si ricevono.

D’altro canto se vogliamo conoscere cosa fa il manager competente dobbiamo

considerare che «oltre a possedere un insieme di conoscenze, sensibilità, esperienze,

abilità e quant’altro, egli è colui che conosce le “regole” del sistema cui appartiene e le

sa usare in maniera appropriata, ed integra questi elementi sulla base dei feedback

ricevuti e percepiti in relazione all’efficacia nei risultati di volta in volta conseguiti

(D’Anna, 2000).

Nella nostra ricerca abbiamo voluto appunto soffermare l’attenzione solo su alcuni

elementi degli elementi del modello: le caratteristiche esterne oggettivamente

individuabili, le competenze, il contesto ed i modelli di ruolo.

Un modello che tiene conto di queste variabili consente di ricercare le cause della

diversità e dell’uniformità dell’azione manageriale in due direzioni: quella

dell’individuo e quello del suo ambiente di riferimento

In tal senso, l’applicazione del concetto di competenza e di ruolo organizzativo

all’analisi dell’azione manageriale consente, a nostro avviso, di mettere in relazione

“l’ordine sociale” con le caratteristiche ed il comportamento dell’individuo in modo che

i soggetti abbiano la libertà di agire ed, al tempo stesso, siano socialmente vincolati.

Prima di analizzare nello specifico l’azione del capo reparto della divisione

supermercati dell’Azienda Alfa, ci preme sottolineare come lo schema di riferimento

precedentemente accennato è un disegno più semplicistico che semplificato dei

comportamenti del manager di linea rispetto alla complessità del fenomeno e dei suoi

stessi elementi costituenti. Si tratta quindi di uno schema esemplificativo dell’azione del

manager che serve soltanto a noi per evidenziare l’importanza che solo alcuni degli

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elementi individuati assumono nel lavoro manageriale. Partendo dalla considerazione

che l’efficacia dell’azione del middle manager influenza i risultati aziendali abbiamo

studiato due gruppi di manager distinti in relazione all’efficacia dei risultati mediamente

conseguiti.

4 L’AZIONE MANAGERIALE DEL CAPO REPARTO DI SUPERMERCATO

4.1 Metodologia

Seguendo un approccio induttivo di tipo bottom up la ricerca è stata svolta facendo

ricorso alla metodologia dello studio di casi. L’analisi, si caratterizza per la natura

«multiprospettica» integrando di fatto la visione dei titolari di ruolo con quella di altri

soggetti che posseggono una conoscenza personale dei titolari stessi e del ruolo da essi

svolto: i capi area ed i capi negozio.

La case analysis attraverso lo studio intensivo di un singolo esempio di classe di

fenomeni e di una singola “unità organizzativa” riesce ad ottenere una ricchezza di

informazioni di sicuro interesse scientifico per il ricercatore indipendentemente dal fatto

che i modelli interpretativi della realtà che da esse si generano, si manifestino su ampie

popolazioni. La contestualità dell’azione manageriale, poi, sembra essere a nostro

avviso coerente con l’approccio di ricerca che analizza fenomeni reali nel loro ambiente

di origine. Infatti, l’azione del capo reparto viene qui considerata incastonata

nell’insieme delle relazioni professionali che intrattiene all’interno dell’organizzazione,

considerando la quotidianità del suo lavoro, i vincoli istituzionali e sociali cui è

soggetto.

L’obbiettivo della ricerca è di tipo descrittivo e conoscitivo. Si è voluto mettere a

confronto, attraverso l’analisi delle determinanti dello schema analitico dell’azione

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manageriale, due differenti gruppi di CR distinti per tipologia di prestazione (alta e

media) per evidenziare appunto alcuni degli elementi causali della stessa. Dal punto di

vista operativo ciò potrebbe consentire all’azienda di aumentare il proprio quadro

conoscitivo sul proprio potenziale umano ai fini della programmazione dello sviluppo

aziendale. In secondo luogo, nelle conclusioni si accenna ad una possibile lettura

dell’azione manageriale così definita, in relazione alle «funzioni organizzative di base».

La selezione per discriminare la popolazione nei due sottogruppi, è stata effettuata dalla

Direzione del Personale dell’Azienda Alfa sulla base del sistema di valutazione interno

delle prestazioni comprendente sia parametri quantitativi che qualitativi. Una

circostanza interessante è che in tale processo si è tenuto conto anche del “giudizio dei

clienti” sulla qualità del servizio. L’azienda, infatti, periodicamente effettua, tramite un

ente esterno, una valutazione della qualità del servizio inteso in senso ampio (ordine e

pulizia dei reparti, ambiente, cortesia e disponibilità del personale, ecc.) attraverso

interviste dirette ai consumatori. Sulla base dei parametri scelti, della popolazione dei

trenta CR ne sono stati individuati venticinque, gli altri cinque in quanto non ancora

pienamente in ruolo sono stati esclusi dall’analisi. La popolazione dei 25 è stata

suddivisa in due sottogruppi: il gruppo A composto da venti soggetti ed il gruppo B

composto da cinque titolari.

Le fasi del processo di ricerca, che ha comunque coinvolto più aziende, sono state nel

caso di Azienda Alfa sinteticamente le seguenti:

1. Individuazione del modello analitico teorico/applicativo di riferimento;

2. Presentazione del progetto alla Direzione di Azienda Alfa e verifica della congruità

metodologica ed applicativa con i vincoli organizzativi;

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3. Coinvolgimento degli attori organizzativi interessati;

4. Programmazione della rilevazione e conseguente raccolta dei dati secondo gli

approcci definiti;

5. Analisi ed elaborazione dei dati.

Senza entrare nel dettaglio delle fasi in questa sede interessa sottolineare che la verifica

della congruità del modello con la Direzione ha permesso nel caso dell’Azienda Alfa di

individuare due tipologie di ruolo differenti rispetto a quelle predefinite: quello di

“presidio del servizio al cliente” e quello di “osservatore dei punti di forza della

concorrenza”.

Dal punto di vista della rilevazione si è fatto ricorso a differenti supporti operativi

somministrati a diversi soggetti ciascuno dei quali ha evidenziato un insieme di fattori

così come mostrato nella tabella 1.

Rimandando alla letteratura specifica gli approfondimenti sulle diverse modalità di

rilevazione (Fletcher, 1991; Boam & Sparrow, 1992; Pearn e Kandola, 1997; Camuffo,

1998; Comacchio, 2000) è opportuno invece specificare che il WPS2 utilizzato in questa

ricerca è stato quello riferito a figure manageriali/professionali. Rispetto alle altre due

tipologie di questionario, amministrativo/servizi ed operativo/tecnico, esso risultava

coerente con il ruolo analizzato.

Il questionario si compone di due parti. La prima, utilizzata per descrivere aspetti

relativi alla posizione, mira a definire i principali task che costituiscono il lavoro del

manager attraverso una descrizione generale di comportamenti e delle attività.

Questi sono raggruppati in 7 macro aree o sezioni: gestire le attività, gestire le persone,

ricevere informazioni, pensare creativamente, lavorare con le informazioni, comunicare

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ed attività fisiche; ciascuna macro area comprende poi al suo interno una serie di sub

sezioni o micro aree, nelle quali vengono individuati una gamma di comportamenti ed

attività specifiche, definiti items, che vanno da un minimo di 6 ad un massimo di 14 per

sub sezione. In totale il sistema comprende 344 items comportamentali aggregati prima

per “categorie” e successivamente per sezioni o cluster.

Tabella 1: Gli strumenti di rilevazione dell’azione manageriale

somministrazione

STRUMENTO FUNZIONE CR CA CN

Work Profiling System Professionale Manageriale

Si tratta di una metodologia di job analysis integrata che, attraverso l'uso di un programma software, elabora le informazioni raccolte attraverso un questionario. Come altri sistemi strutturati, fornisce un utile schema teorico/applicativo su fattori di competenza che sono chiaramente definiti.

Critical Incident L’intervista è finalizzata alla raccolta di 2 incidenti critici, uno positivo o di successo ed un altro negativo o non efficace, ritenuti significativi per la perfomrnce di ruolo. L’analisi e la codifica degli episodi consente di individuare gli attrubuti di comportamento messi in atto dai role holders nella loro esperienza lavorativa

Questionario sui Ruoli Manageriali

Consente di rilevare la percezione dei role holders in merito al proprio ruolo. Analizza il profilo di ruolo manageriale posto in essere dal role holder misurando i tempi che dedica a ciascuno dei ruoli individuati da Henry Mintzberg nell’ambito della sua attività lavorativa.

Questionario sulle «caratteristiche esterne oggettive»

Consente di precisare dati demografici sui job holders individuandone sesso, età, titolo di studio, percorso professionale, anzianità di ruolo e anzianità aziendale. Consente di attribuire un volto al titolare del ruolo e individuare se variabili demografiche possono influire sul suo profilo di competenze.

Repertory Grid Si tratta di un’intervista che fa emergere i costrutti critici di un determinato ruolo, grazie al confronto fra i migliori role holders ed i medi. Il rilievo di questo metodo consiste nella sua capacità di far emergere competenze dall’esperienza vissuta piuttosto che da code book formati da competenze precostituite.

Attraverso un processo di scelta per fasi successive il job holder è stato chiamato ad

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individuare le 8-10 categorie che ritiene più importanti rispetto agli obbiettivi della

propria posizione e di porli in ordine crescente, dal più al meno importante.

Successivamente, per ogni singolo item o attività elencata in ciascuna categoria scelta, il

CR ha proceduto ad una doppia valutazione. Doveva:

1. Individuare il tempo effettivamente impiegato per svolgere quella specifica

attività/azione riferendosi ad una scala di valutazione composta dalle seguenti opzioni:

- fino al 5% del tempo lavorativo;

- 6 - 10 % del tempo lavorativo;

- 11 - 20% del tempo lavorativo;

- 21 - 50 % del tempo lavorativo;

- oltre 50% del tempo lavorativo.

2. Determinare l'importanza di quella particolare attività ai fini del raggiungimento degli

obbiettivi del proprio ruolo facendo riferimento ad una scala di valutazione composta da

7 possibili valori, posti in ordine di importanza crescente (7 = essenziale per la totalità

degli obbiettivi di lavoro – se non “performata” impedisce totalmente la realizzazione

della totalità degli obiettivi; 1 = irrilevante per gli obiettivi del lavoro – se non

“performata” ha nessun impatto sul raggiungimento degli obiettivi).

Il sistema elabora poi i dati attraverso un rapporto analitico. Riporteremo in questo

lavoro le informazioni che individuano l’importanza di ogni singolo item scelto,

riportata in centesimi, e la frequenza di scelta.

Uno dei risultati forniti dal WPS è, quindi, relativo alle percezioni della differente

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importanza attribuita dal CR ad un insieme di attività o compiti, espressi in

comportamenti e/o azioni, per il raggiungimento degli obiettivi. Tali “percezioni” hanno

rappresentato uno degli elementi definitori dei profili di competenza che analizzeremo

più avanti.

La seconda parte del WPS, raccoglie le informazioni relative al soggetto intervistato ed

al contesto in cui viene svolto il lavoro: titolo di studio, qualifica e formazione

professionale, orario, retribuzioni, responsabilità e ambiente di lavoro, ecc..

Occorre osservare però, che proprio in quanto «sistema chiaramente definito sulla base

di ricerche cross firm» il WPS consente di conseguire un grado di efficacia maggiore se

usato insieme con altre tecniche di analisi del lavoro meno strutturate (Bernardoni e

Chinotti, 1994). Nel nostro studio, le informazioni raccolte mediante questo strumento

sono state, infatti, integrate con informazioni più specifiche e "aperte", provenienti dalla

tecnica dell'incidente critico e dalla griglia di repertorio.

L’analisi dei ruoli, invece, è stata effettuata attraverso un questionario strutturato che

presentava dodici voci sintetiche relative alle tipologie di ruolo. La compilazione ha

richiesto ad ogni CR di considerare il lavoro tipo in una settimana o mese e di indicare

la percentuale di tempo speso a ciascuno dei ruoli sulla base di una scala di intervalli

analoga a quella per l’individuazione delle attività prioritarie del WPS. Tale

questionario è stato fatto compilare anche ai capi negozio ed ai capi area per evidenziare

la visione dell’azienda.

4.1 Il contesto organizzativo di riferimento per i CR dell’Azienda Alfa

Il contesto può essere considerato sotto diverse forme: a livello di settore, a livello

macro-organizzativo ed a livello micro-organizzativo. Nella ricerca ci siamo soffermati

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sugli ultimi due livelli.

Il supermercato è una delle forme distributive che negli anni passati ha registrato

maggiori ritmi di sviluppo e che oggi è in continua evoluzione. La dinamicità di questa

forma distributiva, che è andata sempre più differenziandosi dalla sua forma e funzione

tradizionale, è da attribuire alla recente modernizzazione e sviluppo del settore ed anche

alla intangibilità del servizio offerto.

L’immaterialità del prodotto commerciale, che va oltre la “merce” acquistata/venduta,

implica per questo tipo di organizzazione un rapporto del tutto particolare con il

mercato che si traduce in altrettanta tipicità della struttura organizzativa e del

management.

In relazione ai mutamenti del settore distributivo ed alle crescenti esigenze dei

consumatori tre anni prima della ricerca (svolta tra il maggio 2000 ed il febbraio 2001),

seguendo una logica proattiva, l’azienda Alfa aveva deciso di attuare un processo di

riorganizzazione e di modifica della propria struttura organizzativa.

La finalità del cambiamento è stata quella di recuperare flessibilità e rapidità di risposta

alle esigenze del mercato, di migliorare i flussi informativi verticali ed orizzontali, di

dare maggiore rilevanza al valore ed alla gestione delle risorse umane e soprattutto alla

gestione della qualità del servizio ai consumatori. Il profilo del capo reparto, quindi, si è

evoluto proprio in funzione di questo cambiamento.

Dal punto di vista dell’analisi dei dati, raccolti relativamente al contesto della posizione,

evidenziamo quelli che a nostro avviso sono più significativi: gli obiettivi, la

responsabilità sulle risorse umane, il tempo necessario per la visibilità di un errore e la

ripercussione finanziaria di una prestazione inadeguata, la regolarità/irregolarità

dell’orario di lavoro, tipologia e frequenza dei contatti interpersonali.

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Obiettivi. Una circostanza interessante emerge in relazione agli obiettivi di ruolo

indicati dai due gruppi. Ogni CR, infatti, era chiamato a focalizzare le proprie risposte

sempre con riferimento agli obiettivi del proprio lavoro. Per tale motivo il primo

elemento di riflessione è stato quello di identificare i primi cinque obiettivi riferiti al

lavoro.

Tra i primi, raggruppati per aree, troviamo la soddisfazione del consumatore, l’efficace

ed efficiente gestione delle risorse umane, le vendite, la produttività, le differenze

inventariali. Tra i due gruppi emerge una sostanziale coincidenza nel ritenere prioritari

gli obiettivi legati alla soddisfazione del consumatore ed alla gestione delle risorse

umane.

Esiste quindi un sostanziale allineamento tra i due gruppi sulle priorità di risultato a

livello di reparto.

Responsabilità sulle risorse umane (ampiezza del controllo). Relativamente a questa

sezione si può evidenziare che mediamente i CR del gruppo B hanno responsabilità

diretta di un numero di collaboratori compresa nell’intervallo che va da 21 a 50

dipendenti mentre per il gruppo A tale responsabilità è mediamente più bassa, 11-20

collaboratori.

Tempo necessario per la di visibilità di un errore e ripercussione finanziaria .

Entrambi i gruppi ritengono che sia sufficiente un periodo di 1-6 giorni per rendersi

conto di eventuali errori commessi. E’ interessante però notare che mentre il gruppo B

ritiene che “l’impatto finanziario” (inteso come perdita di profitto o costi addizionali

per l’organizzazione) di una prestazione inadeguata sia stimabile tra i 155 ed i 671

mila euro, il gruppo A ritiene più modesto tale impatto, in particolare mediamente si

colloca sotto i 155 mila euro.

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Orario di lavoro. Per quanto riguarda il tempo di lavoro il gruppo B ritiene che il

lavoro sia irregolare (dal punto di vista dei turni), mentre il gruppo A lo percepisce

come regolare. Mediamente quest’ultimo gruppo, però, dichiara di svolgere più ore di

straordinario rispetto al primo: 15,55 contro le 13,66 settimanali.

Tipologia e frequenza dei contatti interpersonali. In questa sezione si sono analizzate

sia i soggetti con cui i CR entrano in contatto, sia il tempo che spendono in tali contatti.

Tabella 2. Contatti interpersonali del Capo Reparto con soggetti interni ed esterni.

Contatti InterpersonaliTipo di Contatto B ADirezione Generale di Coop EstenseResponsabili della Direzione SupermercatiCapo AreaCapo NegozioStaff amministrativo (Direzione Coop Estense)AddettiPubblicoStudenti e persone della formazioneRappresentanti Sindacali

Occasionale (1-9%) Occasionale (1-9%) Moderato (10-20%)Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Frequenti (+ 20%)Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Occasionale (1-9%)

NessunoOccasionale (1-9%) Occasionale (1-9%) Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Moderato (10-20%)Moderato (10-20%)Occasionale (1-9%) Occasionale (1-9%)

Le risposte (tab. 2) possono essere interpretate come importanza che i CR attribuiscono

agli stessi, ai fini dell’efficacia nei risultati da conseguire. Gli elementi discriminanti i

due gruppi sono riferiti ai contatti con la direzione, il Capo Area e gli addetti. In

sostanza, i CR del gruppo B ritengono più importante ai fini dell’efficacia nella

prestazione del reparto costruirsi e mantenere una rete di relazioni a 360 gradi

all’interno della propria struttura. Ciò pone il capo reparto del gruppo B come centro

nevralgico delle reti di relazioni all’interno dell’organizzazione. I CR del gruppo B,

inoltre, ritengono che tra tutti i contatti quello con gli addetti sia il più importante. Il

1 Queste caratteristiche interne, così definite, evidenziano nel loro insieme alcuni degli elementi contenuti nel concetto di competenza individuale espresso da Boyatzis (1982) e che, seppur con alcune semplificazioni, abbiamo ripreso ed applicato nel nostro caso. Precisiamo che, in questa sede, utilizzeremo i concetti di comportamento organizzativo ed azione manageriale come termini alternativi.2 Il WPS è stato sviluppato nella sua prima formulazione nel 1989 dalla Saville e Holdsworth Ltd., ed è stato concesso in uso ai soli fini della ricerca in oggetto dalla SHL Italia.

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rapporto che hanno con gli addetti può essere interpretato nell’ottica del ruolo di

disseminator, cioè “trasmettitore di informazioni verso gli addetti”, che è tra i ruoli

informativi, quello maggiormente interpretato. Per altri versi meno viene interpretato,

tra i ruoli interpersonali, il ruolo di liason con altri reparti.

Seppure non direttamente riferibile ai dati quantitativi del contesto, vogliamo richiamare

l’attenzione sul percorso di carriera dei CR. Generalmente essi si sviluppano all’interno

dell’organizzazione attraverso un percorso che li vede “partire dal basso”. Altre

alternative utilizzate sono corsi di formazione specialistici o Master specifici, ma in

questo caso solo un CR ha realizzato un percorso simile.

4.2 Il sistema dinamico di risorse personali.

Cercheremo ora di analizzare il sistema personale di risorse del CR separando l’analisi

delle caratteristiche esterne oggettivamente individuabili dalle competenze.

4.2.1 Le caratteristiche esterne oggettive

Una prima ricognizione sull’azione del CR ha riguardato le seguenti caratteristiche

esterne oggettive: età, sesso, titolo di studio, anzianità aziendale ed anzianità in ruolo,

esperienze lavorative e percorso professionale (sia interno all’azienda che esterno).

Dell’intero campione considerato si evidenzia come il 64% dei CR in ruolo sono donne.

Ciò si rivela abbastanza interessante se si considera che in altri settori, come quello

manifatturiero, tale ruolo è tradizionalmente affidato agli uomini.

Analizzando la distribuzione per gruppi, però, notiamo che nel gruppo B un solo

componente è donna.

Relativamente all’anzianità rileviamo una elevata anzianità anagrafica associata ad una

significativa esperienza aziendale. Poco più della metà dei CR ha un’età compresa tra i

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41 ed i 50 anni; il 92% dei CR ha un’anzianità aziendale superiore ai 10 anni ed

un’anzianità in ruolo superiore ai 3 anni. Tali valori raggiungono il 100% considerando

solo il gruppo B.

Ci sembra, quindi, che si possa dedurre che il CR dell’Azienda Alfa è sostanzialmente

una persona che si è formata ed è stata “promossa sul campo”, con un percorso di

carriera che è partito dall’addetto alle vendite. Difficili, quindi, sono gli “inserimenti

dall’esterno”; l’effetto esperienza sembra inoltre essere rilevante ai fini dell’efficacia

nella prestazione.

Valutando, infine, i dati relativi al titolo di studio non sembrano emergere differenze

significative. Evidenziamo solo che il titolo di studio prevalente è quello della licenzia

media (60% dei capi reparto sia del gruppo A che del gruppo B) e che nessuno dei CR

possiede una laurea.

4.2.2 I profili di competenza.

Come è ormai ampiamente noto, numerosi sono gli apporti, gli approcci e le ricerche

che si riscontrano nella letteratura sulla gestione delle risorse umane relativamente al

concetto di competenza individuale (White, 1959; Mc Clelland, 1973; Boyatzis, 1982;

Ratti, 1989; Woodruffe, 1991; Boam and Sparrow, 1992; Spencer & Spencer, 1993;

Camuffo, 1998).

Questi se da un lato rappresentano una ricchezza scientifica ed applicativa, dall’altro

hanno generato un diversità di approcci ed un intenso dibattito sulla natura del

significato di competenza individuale. Ai fini del nostro lavoro preme chiarire ed allo

stesso tempo delimitare un significato di competenza coerente con la ricerca svolta.

Seguendo l’approccio proposto da Boyatzis (1982, p. 21), consideriamo in prima istanza

una competenza come una caratteristica intrinseca, che può essere motivo, tratto, skill,

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immagine di sé o ruolo sociale o insieme di conoscenze, che una persona usa nel proprio

contesto lavorativo.

Il concetto di competenza assume rilevanza in funzione della sua relazione causale,

mediante il comportamento competente, con la prestazione lavorativa. In particolare,

l’autore definisce una competenza di soglia come una generica conoscenza, motivo,

tratto, immagine di sé, ruolo sociale o skill che è essenziale per svolgere un lavoro ma

che non è causalmente collegata con prestazioni di ordine superiore (Boyatzis, 1982).

Per altri versi è possibile individuare competenze che invece sono legate a prestazioni

eccellenti.

In generale possiamo dire che, quando una situazione lavorativa, determinata dalle

richieste della posizione e dell’ambiente organizzativo (interno ed esterno –

clienti/consumatori), richiede la dimostrazione di una specifica competenza, l’individuo

attiva la propria capacità di risposta proprio da un insieme di capacità personali. Il

D’Anna a tal proposito riferendosi al decisore individuo sostiene che «le capacità del

decisore determinano delle vere e proprie competenze» (D’Anna, 2000, p. 17).

Tale interpretazione consente, a nostro avviso, di recuperare la dimensione sistemica e

dinamica anche del modello di Boyatzis riferita al comportamento ed alle azioni

specifiche dell’attore organizzativo e di recuperare la motivazione nel concetto di

competenza espresso dallo stesso Boyatzis proprio in considerazione dell’impatto che

questa ha sui processi di scelta.

La motivazione, infatti, costituisce la spinta all’azione (moto ad azione) tramite cui

l’individuo è stimolato ad attivare risorse ed energie. E’ dunque una sorta di forza

interna che stimola, regola e sostiene le principali azioni compiute dalla persona

(Salvemini, 1979, p. 133).

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Il recupero della dimensione motivazionale nel concetto di competenza peraltro non è

certamente nuovo. White (1959) riferisce il concetto di competenza alla capacità di un

organismo di interagire in maniera efficace con il suo ambiente attraverso processi di

apprendimento. Esistendo un senso di direzione e persistenza del comportamento che

guida questi processi di apprendimento, l'aspetto motivazionale rappresenta un

elemento centrale incluso nella competenza (White, 1959).

Riportando le nostre osservazioni al modello concettuale di Boyatzis interpretiamo le

individual’s competencies, come capacità comportamentali o potenzialità d’uso di un

insieme di risorse che sottendono l’azione individuale3.

In sostanza attraverso l’azione intenzionale, l’individuo attiva una serie di capacità

comportamentali che lo rendono più o meno competente. D’altro canto il modello di

Boyatzis interpreta l’efficacia delle specifiche azioni o comportamenti come interazione

dinamica e sistemica di tre elementi: individual’s competencies, job’s demands e

organizational environment.

Le capacità comportamentali attivate in funzione dei vincoli/opportunità percepiti dal

soggetto in relazione alle priorità del lavoro, poi, si ridefiniscono quantitativamente e

qualitativamente dall’interazione dinamica con l’ambiente di riferimento attraverso il

comportamento.

L’azione efficace, ma anche quella inefficace, consente all’individuo di riformulare

attraverso un processo di apprendimento il suo sistema di capacità comportamentali.

Itami sostiene ad esempio che la competenza è allo stesso tempo input ed output

3 A nostro avviso tale impostazione appare coerente anche con l’approccio proposto da Boyatzis il quale sostiene: «These characteristics or abilities (riferendosi ai tratti, motivi, ecc.) can be called competencies [...] the individual's competencies represent the capability that he or she brings to the job situation» ed ancora da altra parte afferma: «the concept of job competency represents an ability. A person's set of competencies (in tal senso crediamo si possa parlare di modelli di azione o di comportamento) reflect his or her capability.[…] They are describing what he or she can do, not necessarily what he or she does» (Boyatzis, 1982, p. 12 e 23).

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dell’attività lavorativa e manageriale (Itami, 1987). In questo senso i processi di

apprendimento individuale rappresentano un importante fattore di miglioramento di

prestazione e di competitività.

Nel caso del CR dell’azienda Alfa abbiamo individuato 16 competenze ciascuna

definita in termini di: 1) attributi personali rilevati attraverso l’analisi dei CI, 2) costrutti

personali, rilevati attraverso la RG; 3) elementi dei compiti espressi in azioni e priorità

percepite delle attività di lavoro, rilevati attraverso il WPS.

Seguendo una metodologia di natura induttiva i definens omogenei in termini di

intenzione, sono stati raggruppati per andare a costituire il significato da attribuirsi a

ciascuna competenza individuata o definendum.

La discriminazione dei modelli dei due gruppi è stata fatta, sulla base degli attributi

emersi dal Critical Incident (CI) in quanto si è ritenuto più rigoroso e contingente il

risultato rispetto a quello fornito dal WPS e dalla griglia di repertorio. Ricordiamo,

infatti, che il WPS definisce un modello di rilevazione comunque cross firm e “pre-

costituito” e che la griglia di repertorio non fornisce la visione del titolare della

posizione (in questo caso quella del capo area). L’analisi, stante la ridotta numerosità

dei campioni, è stata condotta facendo semplicemente ricorso alla statistica descrittiva.

Per ciascuna delle “capacità” individuate è stata considerata la frequenza con la quale i

vari indicatori comportamentali emergono nel gruppo B e nel gruppo A (Tab. 3). Allo

scopo di rendere gli indici confrontabili fra loro tali valori sono stati relativizzati sulla

base di una duplice elaborazione statistica:

1. La distribuzione di frequenza degli indicatori codificati in ciascuna competenza

rispetto al numero dei critical incident effettuati nei due gruppi e la differenza relativa

fra le frequenze, per indicare la misura in cui la scelta di una competenza sia emersa in

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modo distintivo fra i due gruppi.

2. La quota percentuale riferita alla somma degli indicatori relativi a ciascuna

competenza rispetto al totale degli indicatori individuati in ciascuno dei sottogruppi

sottoposti ad indagine.

Questa doppia rielaborazione garantisce una rappresentazione più approfondita,

permettendo di misurare ogni indicatore nella sua importanza in sé ma anche rispetto

agli altri indicatori.

L’indice di differenza relativa delle frequenze fra i due gruppi ha consentito di

evidenziare le competenze discriminanti nei due gruppi. La tabella 4 mostra tale

risultato. E’ possibile considerare discriminanti alcune competenze che presentano un

importante margine di differenziazione di segno “positivo” ed altre che presentano

invece tale segno in valore “negativo”.

Tabella 3 Distribuzione di frequenza indicatori delle competenze (sulla base del CI)GRUPPO B Freq

.Quota

Quota cumulata

GRUPPO A Freq.

Quota

Quota cumulata

Gestione e orientamento degli altri

1,00 0,152 0,152 Motivare e sviluppare gli altri

0,95 0,156 0,156

Comunicare 0,80 0,121 0,273 Gestione e orientamento degli altri

0,90 0,148 0,305

Motivare e sviluppare gli altri

0,80 0,121 0,394 Consapevolezza del ruolo 0,50 0,082 0,387

Imprenditorialità 0,60 0,091 0,485 Fiducia in sé 0,48 0,078 0,465Sensibilità interpersonale 0,60 0,091 0,576 Orientamento al servizio 0,45 0,074 0,539Consapevolezza del ruolo 0,50 0,076 0,652 Analisi e risoluzione dei

problemi0,43 0,070 0,609

Orientamento al risultato 0,50 0,076 0,727 Organizzazione del lavoro 0,40 0,066 0,675Apprendimento 0,40 0,061 0,788 Orientamento al risultato 0,38 0,062 0,737Esercizio dell'autorità 0,40 0,061 0,848 Apprendimento 0,33 0,053 0,790Analisi e risoluzione dei problemi

0,30 0,045 0,894 Imprenditorialità 0,30 0,049 0,840

Lavorare con gli altri 0,30 0,045 0,939 Comunicare 0,28 0,045 0,885Fiducia in sé 0,10 0,015 0,955 Gestione dello stress 0,25 0,041 0,926Gestione dello stress 0,10 0,015 0,970 Sensibilità interpersonale 0,23 0,037 0,963Organizzazione del lavoro 0,10 0,015 0,985 Lavorare con gli altri 0,18 0,029 0,992Orientamento al servizio 0,10 0,015 1,000 Esercizio dell'autorità 0,05 0,008 1,000

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Le competenze che discriminano maggiormente “le azioni che portano a risultati

superiori alla media” sono: esercizio dell’autorità, comunicare, empatia,

imprenditorialità e lavorare con gli altri (Tab. 4).

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Tabella 4. Le competenze discriminanti (Differenze Relative)

COMPETENZE Differenza Relativa

Esercizio dell'autorità 0,78Comunicare 0,49Sensibilità interpersonale 0,45Imprenditorialità 0,33Lavorare con gli altri 0,26Orientamento al risultato 0,14Apprendimento 0,10Gestione e orientamento degli altri 0,05Consapevolezza del ruolo 0,00Motivare e sviluppare gli altri -0,09Analisi e risoluzione dei problemi -0,17Gestione dello stress -0,43Organizzazione del lavoro -0,60Orientamento al servizio -0,64Fiducia in sé -0,65

Per altri versi almeno quattro competenze discriminano il gruppo A e sono: gestione

dello stress, organizzazione del lavoro, orientamento al servizio, fiducia in sé.

Un interessante elemento di riflessione è dato dall’esercizio dell’autorità che è la

competenza maggiormente discriminante, sulla base del CI.

L’organizzazione, per quanto destrutturata, degerarchizzata sembra non elimini

l’importanza ed il valore dell’esercizio dell’autorità per conseguire risultati. Per dirla

con le parole di un CR «… non bisogna mai dimenticarsi che siamo in un reparto di

un’organizzazione economica, cooperativa si, ma sempre economica; noi offriamo la

disponibilità e la sensibilità verso gli addetti ma ciò non deve impedire di farsi

riconoscere come leader, il che significa “fare il capo” quando serve».

In termini di percezione di priorità della attività del lavoro notiamo come tutti i

componenti del gruppo B sostengono che è prioritario ai fini dell’efficacia della

prestazione del reparto «stabilire le regole su aspetti procedurali del lavoro»; tale aspetto

è considerato prioritario solo da 7 CR del gruppo A. Occorre però specificare come

l’esercizio dell’autorità nei confronti dei propri collaboratori non si presenta come

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semplice “esecuzione di un ruolo e di direttive provenienti dall’alto” ma si spiega in una

logica più allargata, di tipo sociale ed “imprenditoriale”; i CR del gruppo B rispetto ai

loro colleghi del gruppo A sono più interpreti che esecutori dell’autorità.

Se da un lato l’esercizio dell’autorità è la prima competenza discriminante, dall’altro

emerge che tre delle prime cinque sono di tipo sociale/relazionale (comunicare,

sensibilità interpersonale (empatia) e lavorare con gli altri). Comunicare, dimostrare

sensibilità verso i problemi degli addetti (empatia), mettersi nei loro panni e lavorare

con loro “gomito a gomito” sembrano essere fattori determinanti per una prestazione

superiore.

Infine emerge l’imprenditorialità. I CR del gruppo B pur riconoscendo il valore della

gerarchia e delle regole, risultano possedere maggiore capacità d’iniziativa e spirito

imprenditoriale, utilizzano quindi i margini di discrezionalità concessi

dall’organizzazione con comportamenti proattivi. Tale competenza, a nostro avviso,

rappresenta l’elemento che è alla base di quelle azioni attuate dal capo reparto che

stimolano i «comportamenti attivi» di cui abbiamo accennato nel secondo paragrafo.

La capacità di lavorare in gruppo che è l’altra competenza discriminante, ci dimostra

come in realtà il capo reparto è sempre un soggetto che nel rapporto con il collaboratore

si considera una sorta di primus inter pares, confermando, tra l’altro, le indicazioni

provenienti da altre ricerche (Camuffo, 1998).

Un elemento per certi versi di difficile interpretazione riguarda l’orientamento al

servizio che, come si può notare, mostra un andamento inverso a quello che ci si

sarebbe aspettato. Alcune ipotesi sono state avanzate anche in considerazione dei dati

che emergono dai profili di ruolo che ne invertono, questa volta “a favore del gruppo

B”, la rilevanza. E’ possibile che il gruppo B percepisca il servizio al cliente come

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aspettativa aziendale (ruolo atteso) o obiettivo della posizione e non come abilità o

capacità personale.

Al fine di dare concreta evidenza dei dati raccolti riportiamo di seguito nelle tabb. 5-7

tre competenze rilevate nei due gruppi: esercizio dell’autorità, comunicare ed

imprenditorialità4.

Tabella 5 La “competenza Esercizio dell’autorità”

Esercizio dell’autoritàGruppo B Gruppo A

Azione definita dal WPS P F(x) Azione definita dal WPS P F(x)Stabilire regole 72,8 5 Mantenere la disciplina 71,7 12Esigere che il lavoro sia rifatto per soddisfare gli standard

67,6 3 Dare avvertimenti verbali per correggere comportamenti

67,8 14

Mantenere la disciplina 67,4 5Dare avvertimenti verbali per correggere comportamenti

65 4

Fare richiami formali 54 5

Attributi emersi dal CI Attributi emersi dal CIEssere direttivi quando le circostanze lo richiedono

1 Capacità di fare richiami formali ai collaboratori

1

Esercitare l’auorità derivante dal ruolo, far rispettare le regole

2 Esercitare, quando necessario, l’autorità derivante dal ruolo

1

Richiamare formalmente gli addetti

Costrutti emersi dalla RG

Saper essere direttivi

4 Per sinteticità inseriamo solo gli elementi individuati da oltre la metà dei soggetti dei sottogruppi.

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Tabella 6 La “competenza Comunicare”

ComunicareGruppo B Gruppo A

Attributi emersi dal CI P F(x) Attributi emersi dal CI P F(x)Comunicare in maniera chiara e decisa ciò che ci si aspetta dai collaboratori

4 Comunicare in maniera chiara trasparente e diretta

4

Favorire il flusso di comunicazione tra reparto e sede centrale

Vecolare agli addetti le direttive aziendali

2

Abilità dialettica e retorica (pathos)

Buon dialogo con i superiori 1

Controllo del flusso informativo (non comunicare sempre tutto)

Capacità di comunicare risposte negative da parte dell’azienda

Saper comuniare anche le conseguenze negative di comportamenti non professionali

Gestire il flusso di informazioni verso gli addetti e verso i superiori

Costrutti emersi dalla RG

Parlare in modo trasparenteBuona comunicazione

Tabella 7 La “competenza Imprenditorialità”

ImprenditorialitàGruppo B Gruppo A

Azione definita dal WPS P F(x) Azione definita dal WPS P F(x)Assegnare risorse in situazioni di emergenza

80,6 3

Decidere di propria iniziativa una linea di azione

56,6 4

Attributi emersi dal CI Attributi emersi dal CISpirito di autonomia Spirito d’iniziativa 7Consapevolezza delle resistenze all’innovazione

Riuscire a cogliere il momento opportuno per portare avanti le proprie idee

1

Spirito di iniziativa Decidere 2Rapidità nell’affrontare situazioni di emergenza

Capacità di adattarsi al cambiamento 2

Capacità di adattarsi al cambiamento

2

4.3 I modelli di ruolo.

Il lavoro manageriale si presenta con una serie di aspettative comuni e di vincoli

all’interno dei quali il manager deve operare; questi ultimi tendono ad essere

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interiorizzati da parte dell’attore organizzativo e ad influenzarne i processi di scelta

(Stewart, 1967) e quindi l’azione. Il comportamento di un individuo all’interno

dell’organizzazione è regolato specificamente anche dal ruolo.

Un ruolo è un modello di comportamento che soddisfa le esigenze e le aspettative del

gruppo nei confronti dell’individuo. Queste aspettative si riferiscono in genere alla

funzione specifica che ricorrentemente deve svolgere colui che ricopre il ruolo (Gross,

Mason e McEachem, 1964; Katz and Kahn, 1966; Rugiadini, 1979).

Alla base del concetto di ruolo vi è la necessità umana di cooperare, attraverso la

divisione dei compiti, tra i diversi soggetti che appartengono ad un gruppo,

un’organizzazione, o un’unità organizzativa per raggiungere un risultato che altrimenti

non sarebbe conseguibile.

Nell’ambito di questa attività cooperativa, il gruppo formula una serie di aspettative di

comportamento nei confronti di ogni partecipante e le stesse vanno a costituire il

“ruolo” di ciascuno.

Tali aspettative sono tendenzialmente indipendenti dalla personalità dell’individuo,

anche se l’individuo poi, al momento in cui assume il ruolo le adatta in base a come le

percepisce, in relazione a quelle che sono le sue aspettative, alla situazione specifica e

non ultimo in relazione al suo sistema di risorse individuali posseduto e prospettico.

Il comportamento individuale è, quindi, condizionato dalla efficacia con cui si svolge il

processo di assunzione dinamica del ruolo (Katz and Kahn, 1966) che è comunque

sempre riferibile ad un ufficio o posizione identificata all’interno di un’organizzazione

economica. La dimensione gerarchica e funzionale (Schein, 1980) dei ruoli lavorativi è,

quindi, sempre presente.

La personalità dell’individuo, e più in generale il suo sistema organizzato di risorse

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individuali può influenzare le modalità con cui il ruolo viene “interpretato”, ma non può

influire sul fatto che il ruolo venga svolto o meno (Mintzberg, 1973, p. 54). Gli attori

organizzativi, quindi, interpretano gli stessi ruoli in maniera differente.

Vale la pena di osservare che un ruolo può essere internamente segmentato, per fini

analitici, in altri sub-ruoli, classificando le aspettative di cui si compone per gruppi

omogenei.

Tale scomposizione è importante anche perchè può aiutare i manager stessi a svolgere il

loro lavoro in maniera più efficace. L’azione del capo reparto, può essere analizzata

seguendo il modello proposto da Mintzberg (1973). Per gestire la propria unità ed

allinearla coerentemente con l’ambiente, il manager è considerato in questo modello

come la persona formalmente incaricata di gestire un reparto, unità organizzativa o

azienda. (Mintzberg, 1973).

I ruoli del capo reparto sono suddivisi in tre gruppi: a) quelli che riguardano

prevalentemente le relazioni interpersonali; b) quelli che sono riferiti principalmente al

trasferimento delle informazioni; c) quelli relativi al processo decisionale.

I ruoli informativi legano fra loro tutti i ruoli manageriali. I ruoli interpersonali

assicurano che tutte le informazioni siano fornite, mentre i ruoli decisionali garantiscono

un uso significativo delle informazioni.

Accanto ai ruoli definiti da Mintzberg sono stati individuati due “ruoli” specifici

dell’azienda Alfa: quello relativo al “presidio della qualità del servizio”, inserito fra i

ruoli interpersonali, e quello di “osservatore della concorrenza”, inserito tra i ruoli

informativi.

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Tabella 8 I profili di ruolo secondo la percezione dei titolarie dei capi negozio

Ruoli Manageriali B A C. NEG.

Ruoli Interpersonali1. Rappresentate del reparto verso l’esterno 3,4 4,1 7,82. Liason con altri reparti 4,4 4,5 6,53. Leader del reparto 14,2 18,0 16,14. Tutore della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente

32,9 18,7 25,5

Ruoli Informativi5. Ricercatore e selezionatore di informazioni 3,6 4,9 5,36. Osservatore dei punti di forza della concorrenza 0,6 2,3 3,77. Diffusore di informazioni e valori ai collaboratori 8,3 6,3 8,38. Trasmettitore di informazioni all’esterno del reparto 6,2 3,8 3,1Ruoli Decisionali9. Decisore delle strategie del reparto 1,7 4,6 7,110. Gestore degli imprevisti 16,8 7,3 711. Organizzatore del lavoro 8,3 16,6 14,212. Negoziatore 3,6 8,86 6,9

In sintesi la tabella 8 mostra i profili dei 12 ruolo dei capi reparto dei due gruppi

individuati con la valutazione del job holder e “dell’organizzazione” (Capi Negozio).

Tale valutazione potrebbe essere considerata come grado di importanza attribuita dai

soggetti ai singoli ruoli.

I ruoli interpersonali sono visti in relazione alla autorità formale riferita alla posizione

del capo reparto ed al relativo status organizzativo. Il primo di questi ruoli, definito

figurehead (rappresentante), considera il capo reparto come simbolo del reparto che

deve assolvere anche una serie di obblighi che riguardano le relazioni interpersonali.

Il secondo ruolo, quello di leader, identifica il capo reparto nella relazione con i propri

collaboratori, gli addetti, nel momento in cui cerca di guidarli, formarli, ascoltarli,

stimolarli, motivarli e nell’attività di coordinamento delle loro attività.

Infine il ruolo di liason (collegamento), è relativo alla capacità del capo reparto di

crearsi una rete di relazioni e quindi è riferito alla cooperazione che il capo reparto ha

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con i colleghi degli altri reparti, in generale con le altre unità o sub unità organizzative e

con le persone esterne all’organizzazione al fine di conseguire vantaggi ed informazioni.

Dall’analisi dei dati rileviamo intanto che i ruoli interpersonali hanno la priorità sugli

altri ruoli. Il gruppo B spende oltre il 54% del proprio tempo nei ruoli interpersonali,

contro il 45% del gruppo A, e questo risultato è prevalentemente attribuibile al ruolo di

tutore della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente. Per quanto riguarda

l’ordine di priorità attribuito ai singoli ruoli non si evidenziano differenze fra i due

gruppi.

Il capo reparto, sia per la posizione che occupa all’interno dell’organizzazione, sia per

interpretare i ruoli interpersonali appena descritti si colloca in una posizione

privilegiata, unica, in relazione ai flussi informativi aziendali.

I ruoli informativi evidenziano proprio questa centralità a livello di comunicazioni.

Mintzberg individua tre ruoli informativi: il monitor, il disseminator e lo spokeman. Il

monitor, identifica il manager come soggetto che riceve, ricerca e raccoglie le

informazioni provenienti dalle diverse fonti e se ne serve per comprendere in maniera

accurata ed approfondita sia l’organizzazione che gestisce sia l’ambiente esterno.

Il disseminator, è il ruolo di “trasmissione delle informazioni” all’interno della propria

organizzazione mentre quello di spokeman è relativo alla “diffusione delle

informazioni” organizzative verso l’ambiente esterno dell’organizzazione (in questo

caso ad esempio i clienti).

Dai dati si evidenzia come questi ruoli non siano particolarmente interpretati dai due

gruppi. Il gruppo B spende circa il 18,7% del proprio tempo nei ruoli informativi mentre

il gruppo A circa il 17,3%. In termini di priorità su questi ruoli c’è accordo sul ruolo di

diffusore di informazioni e valori ai collaboratori e di osservatore dei punti di forza

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della concorrenza che risultano avere rispettivamente la priorità più alta e più bassa.

L’autorità, lo status, la posizione anche in termini di accesso ad alcune informazioni

colloca il capo reparto in una posizione significativa, anche se non prevalente all’interno

dell’organizzazione, per ciò che riguarda la formulazione delle decisioni anche

strategiche.

I ruoli decisionali che vengono evidenziati sono: l’entrepreneur, il disturbance handler,

il resources allocator ed il negotiator. Attraverso il ruolo di entrepreneur

(imprenditore) il manager implementa e guida il cambiamento nella propria unità

operativa; il disturbance handler (gestore degli imprevisti) rappresenta il ruolo che il

capo reparto interpreta quando si presentano situazioni problematiche ed imprevedibili

(conflitti fra i collaboratori, assenze impreviste, reclami dei clienti, ecc.); il ruolo di

resources allocator (l’organizzatore) riguarda le decisioni riferibili all’allocazione delle

risorse organizzative a disposizione dell’unità di appartenenza attraverso i processi di

programmazione, autorizzazione, organizzazione del lavoro, ecc.; il ruolo di negotiator

(il negoziatore) consente al capo reparto di gestire come metodo ma anche con

risolutezza ed autorità i rapporti con i fornitori, altri soggetti esterni al reparto ed

all’azienda come ad esempio i clienti.

I dati riferiti a questi tipi di ruolo mostrano intanto che vi è una significativa

discordanza sulle priorità. Il gruppo B prioritariamente svolge il ruolo di gestore degli

imprevisti e successivamente quello di organizzatore del lavoro, di negoziatore e quindi

di decisore delle strategie del reparto. Il gruppo A invece impiega la maggior parte del

tempo ad allocare le risorse, quindi a negoziare e gestire gli imprevisti ed infine a

decidere le strategie del reparto.

Valutando i due profili nel loro insieme possiamo affermare che il gruppo B si

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caratterizza per essere un soggetto che presidia la qualità del servizio e la soddisfazione

del cliente, per la gestione degli imprevisti ed essere leader del reparto. Questi tre ruoli

saturano circa i due terzi del tempo speso dai CR del gruppo B. Il gruppo A, invece, è

sempre prioritariamente un tutore della qualità del servizio e della soddisfazione della

clientela, quindi un leader ed un organizzatore del lavoro. Questi tre ruoli, però,

saturano circa la metà del tempo degli A.

Analizzando, invece, i dati sulla base delle differenze relative tra i gruppi B ed A (tab.

9) si evidenziano alcuni elementi di riflessione interessanti.

Tabella 9 Differenze relative fra i CR e dissimilarità con i CN

Ruoli Manageriali Differenze relative (Gruppi B e A)

GruppoB vs CN

Gruppo A vs CN

Ruoli Interpersonali1. Rappresentate del reparto verso l’esterno -0,093 -0.564 -0.4742. Liason con altri reparti -0,011 -0.323 0,3083. Leader del reparto -0,118 -0,118 0,1184. Tutore della qualità del servizio e della soddisfazione del cliente

0,275 0,390 0,267

Ruoli Informativi5. Ricercatore e selezionatore di informazioni -0,153 -0,321 -0,0756. Osservatore dei punti di forza della concorrenza -0,586 -0,838 0,3787. Diffusore di informazioni e valori ai collaboratori 0,137 0 -0,2418. Trasmettitore di informazioni all’esterno del reparto

0,240 1 0,226

Ruoli Decisionali9. Decisore delle strategie del reparto -0,460 -0,761 -0,35210. Gestore degli imprevisti 0,394 1,4 0,04311. Organizzatore del lavoro -0,333 -0,415 0,16912. Negoziatore -0,419 -0,478 0,284

Il ruolo discriminante l’efficacia della prestazione è quello di gestore degli imprevisti,

quindi il tutore della qualità del servizio, il “trasmettitore delle informazioni del reparto

verso l’esterno (clienti)” ed infine il ruolo di diffusore delle informazione e dei valori ai

collaboratori.

Il ruolo che discrimina maggiormente il gruppo A invece è relativo all’osservatore dei

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punti di forza e di debolezza della concorrenza.

La compilazione del questionario sui ruoli manageriali è stata realizzata anche dai capi

negozio. Da tale analisi si è tentato di far emergere la prospettiva dell’organizzazione e

le aspettative aziendali rispetto al ruolo oggetto del presente studio al fine di

comprendere il grado di “allineamento” o di dissimilarità dei CR con le aspettative

dell’organizzazione.

Secondo i loro superiori gerarchici (tab. 8) i capi reparto dovrebbero assolvere in primis

un ruolo di tutore della qualità del servizio dedicandovi circa un quarto del loro tempo

lavorativo. Gli stessi capi reparto dovrebbero poi assumere il compito di guida del

proprio gruppo di lavoro e dedicare a questa attività circa il 16% del proprio tempo,

dovrebbero quindi allocare le risorse.

L’aspetto più interessante del confronto (tabella 9, colonne 2 e 3) fra i gruppi dei CR

con le aspettative dei responsabili di negozio (CN) è, a nostro avviso, relativo al

maggior grado di scostamento che il gruppo dei B evidenzia rispetto al gruppo degli A.

In sostanza, il CR del gruppo B sembra interpreti il proprio lavoro con un maggior

grado di “discrezionalità” (in maniera più “personale” che “aziendale”) rispetto al capo

reparto del gruppo A.

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Fig. 2 I profili di ruolo dei gruppi A e B (autopercezione)

5. CONCLUSIONI

Coerentemente con quanto sostenuto dalla scuola di processo l’azione del manager di

linea ha rilevanza in quanto finalizzata a creare e gestire a livello operativo le condizioni

per generare e sostenere vantaggi competitivi. Avendo scelto un approccio basato

sull’attore, senza tralasciare le contingenze organizzative, l’analisi ha cercato di

individuare i profili di competenza e di ruolo che sottostanno l’azione di due gruppi di

manager distinti per prestazione.

In sintesi l’azione efficace sembra “alimentata” da un profilo di competenza e di ruolo

prevalentemente di natura sociale. Questo aspetto della socialità sia verso l’interno che

verso l’esterno (clienti) rappresenta per questa job il vero fattore critico di successo.

Emergere, inoltre con forza, che il CR del gruppo B è prevalentemente uno specialista

della qualità del servizio e della customer satisfaction. Tale ruolo tra l’altro discrimina

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sensibilmente l’efficacia delle azioni ai fini di una performance superiore alla media.

Se poi, escludiamo il ruolo specifico di tutore della qualità del servizio, abbiamo per il

gruppo B una tipologia di leader che è sempre pronto ad intervenire in ogni circostanza

per garantire che il lavoro venga svolto senza interruzioni focalizzato sulla risoluzione

di situazioni problematiche ed impreviste che, se non opportunamente arginate, possono

influire negativamente sulla qualità del servizio offerto. In tale contesto egli si “ritaglia”

maggiori spazi di discrezionalità rispetto al CR del gruppo A.

Secondo Mintzberg questi tipi di manager (definiti Real Time Manager5) si ritrovano in

organizzazioni o unità organizzative che operano in ambienti fortemente dinamici e

competitivi, come sono appunto quelli della distribuzione commerciale moderna.

Il gruppo A invece evidenzia un leader impegnato a mantenere ordine nelle operazioni

interne (Mintzberg lo definisce Insider), un leader cioè più portato alla stabilità.

L’azione efficace, inoltre, nell’Azienda Alfa, si definisce quindi con un profilo di CR

che può essere considerato per la sua centralità nelle relazioni sociali (Social Network)

più che per la sua centralità nelle reti informative. Tra l’altro i due aspetti non sono

disgiunti. Mintzberg sostiene ad esempio che i ruoli interpersonali assicurano che tutte

le informazioni siano fornite ai vari attori organizzativi.

In conclusione vogliamo provare ad effettuare una riflessione più ampia sull’azione

manageriale che rappresentare più uno stimolo di discussione su un possibile percorso

di ricerca alternativo che un risultato.

Tale riflessione parte dalla considerazione che la salda continuità nel tempo di un

sistema può essere ulteriormente specificata considerando la nozione di prerequisiti 5 Secondo Mintzberg è possibile osservare l’esistenza di un raggruppamento naturale di tipologie manageriali, in cui le somiglianze compensano le differenze.Egli definisce così una serie di otto tipi di manager, in cui si nota la prevalenza di uno o di due ruoli manageriali sugli tutti gli altri. Tra questi troviamo il Real Time Manager che vede prevalere il ruolo di gestore degli imprevisti e quello di Insider che vede prevalere il ruolo di Allocatore di Risorse. Rimandiamo su tale punto all’opera dell’autore (Mintzberg, 1973, p. 127).

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funzionali che l’organizzazione deve soddisfare per sopravvivere, o meglio per

conseguire differenziali competitivi. Adattando a questo caso uno schema interpretativo

proposto da Strand (1993) che riprende alcuni contributi proposti da altri autori

(evidente è ad esempio il riferimento a Parson) definiamo quattro gruppi di funzioni

organizzative essenziali per la continuità nel tempo dell’organizzaizione con le

corrispondenti azioni manageriali che allineano ed orientano l’organizzazione verso le

stesse per il sostenimento di vantaggi competitivi.

Le azioni sono individuate rispetto a due dimensioni: la dimensione interno/esterno e la

dimensione cambiamento/stabilità (fig. 3). Sulla base di questa distinzione

classifichiamo quattro tipologie di azioni: l’azione di sviluppo, quella di integrazione,

quella produttiva e quella amministrativa.

interne esterne

cambiamento AZIONI DI INTEGRAZIONE AZIONI DI SVILUPPO

stabilità AZIONI AMMINISTRATIVE AZIONI PRODUTTIVE

Fig. 3 L’azione manageriale e le funzioni organizzative di base

Assumendo che questi pre-requisiti di base possano in qualche modo essere evidenziati

attraverso l’azione del middle manager è possibile quindi descrivere gli individui e dare

significato alle loro azioni considerando il contesto organizzativo in senso più ampio.

Se lo riferiamo al nostro caso a noi sembra che rispetto alle azioni individuate, il gruppo

B presidi con maggiore efficacia del gruppo A le azioni di sviluppo (che impattano

soprattutto sulla creazione di valore attraverso la soddisfazione del cliente) e di

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integrazione (ciò è visibile ad esempio dai dati relativi alla tipologia dei contatti ed al

peso dei ruoli interpersonali).

Viene comunque osservato che concentrarsi eccessivamente su una sola tipologia

d’azione, a scapito di altri può portare a disfunzioni all’interno dell’organizzazione.

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