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Progetto Li.Gu.Med. P roduzione e Implementazione, D i ffusione e Applicazione di Linee Guida in Medicina Interna Generale e Specialistica Unità Operativa N° 4 MALATTIE GASTROENTERICHE E DEL FEGATO Responsabile: Giorgio Marenco LINEA GUIDA SU: NEOPLASIE DEL COLON Coordinatori: F. Boccardo, L. De Salvo, R. Fiocca, A. Gramegna, G. Menardo, V. Savarino, V. Vitale Estensori: V. Bachi, F. Boccardo, A. Canepa, L. De Salvo, R. Fiocca, A. Giacosa, A. Gramegna, C. Mareni, F.P. Mattioli, P. Michetti, G.A. Rollandi, V. Savarino, V. Vitale LINEEGUIDASANITÀ REGIONE LIGURIA

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ProgettoLi.Gu.Med.

P roduzione e Implementazione,D i ffusione e Applicazione di Linee Guida

in Medicina Interna Generale e Specialistica

Unità Operativa N° 4MALATTIE GASTROENTERICHE E DEL FEGATO

Responsabile: Giorgio Marenco

LINEA GUIDA SU:NEOPLASIE DEL COLON

Coordinatori:F. Boccardo, L. De Salvo, R. Fiocca, A. Gramegna,

G. Menardo, V. Savarino, V. Vitale

Estensori:V. Bachi, F. Boccardo, A. Canepa, L. De Salvo, R. Fiocca,

A. Giacosa, A. Gramegna, C. Mareni, F. P. Mattioli, P. Michetti, G.A. Rollandi, V. Savarino, V. Vi t a l e

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Le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico,prodotte allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere qualisiano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circo-stanze cliniche.

Sviluppare processi che migliorino la qualità dell’assistenza utilizzandoal meglio le risorse disponibili, informare il personale sanitario e i pazien-ti sulle diverse possibilità di diagnosi e cura: questi i principali obiettivi chel’esperienza di altri paesi europei ha dimostrato essere effettivamente con-seguibili.

Il progetto Li.Gu.Med. promosso dalla Regione Liguria d’intesa con ilMinistero della Sanità in collaborazione con l’Università di Genova –Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, l’AziendaOspedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche UniversitarieConvenzionate e l’Azienda Ospedaliera Ospedale Santa Corona di PietraLigure, si propone di raggiungere questi obiettivi nei confronti degli uten-ti, del personale sanitario e degli amministratori sanitari, coinvolgendoanche il mondo dell’informazione per accrescerne l’obiettività e la com-pletezza nella comunicazione.

La presenza di esperti autorevoli – alcuni dei quali con esperienza spe-cifica nell’elaborazione di linee guida in ambito nazionale ed internazio-nale – ne assicura la qualità clinica e scientifica. La collaborazione attivadei medici di famiglia garantisce la diffusione e l’attuazione delle lineeguida sul territorio. Inoltre, viene dato ampio spazio al coinvolgimento eal consenso di amministratori, operatori sanitari, associazioni di pazienti,ordini professionali, società scientifiche.

Nello sviluppo del progetto, ha un ruolo determinante la medicina “basa-ta sull’evidenza”, cioè fondata su procedure diagnostiche e terapeuticheritenute ottimali sulla base di studi clinici convalidati dalla letteratura scien-tifica internazionale.

Articolato in 6 unità operative che agiscono parallelamente per raggiun-gere gli obiettivi prefissati, il progetto ha previsto in una prima fase la ste-sura di linee guida diagnostiche e terapeutiche relative ad alcune tra lepatologie più rilevanti in Liguria; di tali linee guida si intende poi incorag-giare la diffusione e l’utilizzo. Il conseguimento degli obiettivi viene valu-tato mediante indicatori specifici per ciascuna linea guida.

Responsabile del Progetto è il Dott. Sergio Vigna della Regione Liguria,responsabile scientifico è il Prof. Giacomo Deferrari dell’Università diGenova; il Gruppo di Coordinamento del progetto è inoltre costituito dairesponsabili delle unità operative, da esperti di statistica , comunicazioneed economia sanitaria e da rappresentanti dei Medici di Medicina Generalee dell’Ordine dei Medici, e delinea le tappe di svolgimento dell’attività ene cura la corretta diffusione.

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1. PremesseLe evidenze scientifiche sulle quali sono formulate le presenti linee

guida sono classificate sulla base del tipo di studio da cui sono ricavate epertanto sulla loro "forza" di indicazione, secondo la classificazione pre-sentata nella Tabella 1. Tabella 1 . C ATEGORIE DI EVIDENZA E FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE

Categoria di evidenza *I. 1 o più trials clinici randomizzati ben disegnati o metanalisiII. 1 o più studi controllati non randomizzati o altri studi che non rag-

giungano il livello IIII.studi non sperimentali descrittivi o di casistica (studi comparativi, studi

di correlazione, studi caso-controllo) o analisi di sottogruppi di trialsrandomizzati

IV. rapporti di esperti o su pochi casi (< 10)Forza della raccomandazione

A. Basata direttamente su evidenze di cat. IB. Basata direttamente su evidenze di cat. II e/o raccomandazioni estra-

polate da evidenze di cat. IC. Basata direttamente su evidenze di cat. III e/o raccomandazioni estra-

polate da evidenze di cat. I o IID. Basata direttamente su evidenze di cat. IV e/o raccomandazioni estra-

polate da evidenze di cat. I, II o III

* Modificato da:- Canadian Task Force on the Periodic Health Examin., 1979- US Department of Health and Human Services, 1992- Canadian Hypertension Society Consensus Conference, 1993- Shekelle PG, Woolf SH, Eccles M, Grimshaw J, BMJ, 1999

2. Screening, diagnosi e sorveglianza del cancro del colon e del retto (CCR)Esistono sicure evidenze che è possibile ridurre la mortalità da CCR con l’i-

dentificazione e il trattamento del cancro in fase precoce e con l’identifica-zione e la rimozione dei polipi adenomatosi che sono i precursori del CCR.

2.1. Impatto della malattiaIl carcinoma del grosso intestino rappresenta una delle principali cause

di morte da neoplasia nei Paesi occidentali. In Italia si ammalano di CCRda 20 a 30 mila persone ogni anno, circa la metà muore per questa malat-tia. L’incidenza è di 30 - 50 nuovi casi per anno per 100.000 abitanti.

2.2. Fattori di rischioI fattori di rischio per il CCR sono: età oltre i 50 anni, storia familiare di

neoplasia del colon-retto, storia personale di pre g ressa resezione di CCR odi polipi adenomatosi o di lunga storia di colite ulcerosa o di colite di Cro h n .

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2.3. Basi molecolari dei tumori del colon-rettoGli studi attuali riguardanti l’epidemiologia e l’eziologia del CCR sono volti

soprattutto a individuare soggetti ad alto rischio che possano beneficiare diun programma di prevenzione e di diagnosi precoce; un notevole contribu-to è stato dato dalla genetica molecolare; una frazione di carcinomi si svi-luppa certamente per predisposizione genetica: non è chiaro quale sia laquota di tumori ereditari, ma si pensa che nell’1-10% dei CCR siano coinvoltigeni di suscettibilità. Fra le sindromi caratterizzate da tale pre d i s p o s i z i o n euna delle più frequenti è il CCR ereditario senza poliposi (HNPCC).

Tale sindrome presenta una trasmissione autosomica dominante ed ècaratterizzata dallo sviluppo di tumori del colon-retto che insorgono soli-tamente prima dei 50 aa, ma anche da tumori dell’endometrio, stomaco,tenue, sistema biliopancreatico e urinario. E’ impossibile distinguere sullabase delle sole caratteristiche cliniche pz con CCR sporadico dai pzHNPCC con CCR. La sindrome viene diagnosticata in base alla storia fami-liare. Allo scopo di uniformare la diagnosi sono stati identificati criteri,cosiddetti di Amsterdam, secondo i quali viene definita HNPCC una fami-glia in cui: 1) il CCR compare in almeno 3 individui uno dei quali è paren-te di primo grado degli altri 2; 2) sono coinvolte almeno due generazioni;3) il CCR viene diagnosticato in uno dei pz prima dei 50 anni.

La malattia è determinata da mutazioni germinali in geni del sistema dic o r rezione di appaiamenti sbagliati che avvengono tra le basi costitutive delDNA durante la replicazione. Questi geni detti del mismatch repair (MMR)sono: hMSH2, hMLH1, hPMS1, hPMS2 e hMSH6. Nelle famiglie HNPCC sit rova mutazione dei geni MMR in circa 50% dei casi. Il difetto dei geni MMRconferisce al tessuto neoplastico una caratteristica particolare: l’instabilità disequenze del DNA dette microsatelliti (MSI). La MSI può essere considera-ta come la traccia di un fenotipo mutatore, caratterizzata cioè da unaaumentata instabilità genetica ed aumentata mutabilità del genoma.

La diagnosi di HNPCC basata sulla storia familiare è spesso incompleta perd i fficoltà delle verifiche anamnestiche o per la presenza di piccoli nucleifamiliari per cui in mancanza di una storia familiare sicura, per la diagnosidi eventuale HNPCC si possono considerare due elementi: l’età di insorg e n-za precoce (< 45 anni) e la presenza di tumori sincroni e/o metacro n i .

2.4. Fattori ambientaliI Paesi con alta incidenza di CCR (USA, Canada, Europa occidentale,

Uruguay, Australia, Nuova Zelanda e Argentina) hanno in comune una dietaricca di grassi animali, di proteine e relativamente povera di frutta e verdu-ra. Gli emigranti da Paesi a bassa incidenza di CCR come il Giappone che sitrasferiscono negli Stati Uniti, nel giro di una generazione diventano a rischio

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come i residenti dai quali hanno assunto le abitudini alimentari. Altri fattoridi rischio sono l’obesità, il fumo e l’alcool assunto in quantità elevata.

Studi epidemiologici, esperimenti su animali e alcuni studi di prevenzio-ne suggeriscono che un certo numero di alimenti e di farmaci abbiano unruolo protettivo nei confronti del CCR, fra questi: le vitamine antiossidan-ti A, E, C, l’acido folico, la vitamina D, il calcio, il selenio, l’aspirina e altriFANS e la terapia ormonale sostitutiva nelle donne in menopausa.

2.5. Polipi colorettali e prevenzioneQuasi tutti i CCR si sviluppano su polipi benigni adenomatosi che nasco-

no e crescono nel colon per anni prima di diventare cancri. I polipi solooccasionalmente danno sintomi, generalmente un sanguinamento, la mag-gior parte sono silenti e vengono scoperti durante uno screening o incorso di un esame dell’intestino fatto per altri motivi. Questa sequenzaadenoma→carcinoma offre una opportunità unica di prevenzione secon-daria che non è possibile nella maggior parte delle altre neoplasie. Studiclinici controllati dimostrano che la ricerca e l’asportazione di questi poli-pi precancerosi riduce l’incidenza di CCR.

2.6. Perché lo screeningLa maggior parte dei polipi e dei cancri in fase precoce sono asintoma-

tici e devono essere cercati mediante screening.Le persone con sintomi che fanno sospettare CCR o polipi devono avere

una adeguata valutazione diagnostica. I candidati allo screening dovre b b e-ro avere adeguate informazioni su rischi e benefici delle pro c e d u re stesse.

Raccomandazione A:Lo screening per il CCR e per i polipi deve essere proposto a tutti,uomini e donne senza fattori di rischio, a cominciare dall’età di 50 anni.Una sorveglianza adeguata dovrebbe essere attuata dopo il trattamentodi CCR o dopo l’asportazione di polipi adenomatosi o se il pz è aff e t t oda condizioni pre c a n c e rose come le malattie croniche infiammatoriedel colon.

2.6.1. Ricerca del sangue occultoLa ricerca annuale del sangue occulto su due campioni di feci raccolti

nel corso di 3 defecazioni consecutive seguita da colonscopia in caso dipositività del test del sangue occulto, ha dimostrato in tre studi clinici con-trollati di ridurre la mortalità per CCR. Gli svantaggi di questa strategiasono che i test disponibili non sono in grado di svelare molti polipi e alcu-ni cancri e d’altra parte alcune persone con il test per la ricerca del san-gue occulto positivo si dovranno sottoporre inutilmente ad una colonsco-pia in assenza di CCR e di polipi adenomatosi.

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Il test per il sangue occulto deve essere fatto ogni anno perché, studi cli-nici controllati, hanno dimostrato che se fatto una volta ogni 2 anni è menoefficace. La reidratazione (delle feci) accresce la sensibilità a spese dellaspecificità. Una dieta speciale può ridurre i falsi positivi. I test di nuovagenerazione possono aumentare la sensibilità con perdite minime dellaspecificità.

2.6.2. Procedura diagnostica in caso di sangue occulto positivo

Raccomandazione A:Le persone a basso rischio con test positivo (anche in un solo cam-pione di feci) dovrebbero essere incoraggiate a sottoporsi ad unesame completo dell’intero colon e del retto mediante colonscopia.Un’alternativa è il clisma opaco a doppio contrasto, preferibilmen-te con rettosigmoidoscopia.

La colonscopia può esaminare l’intero colon con pochi falsi negativi ofalsi positivi e permette contemporaneamente il trattamento definitivo deipolipi e di alcuni cancri. L’efficacia della colonscopia diagnostica abbinataallo screening della ricerca del sangue occulto nelle feci è stabilita da trestudi clinici randomizzati e da uno non randomizzato.

Anche il clisma opaco a doppio contrasto consente di esaminare l’interocolon con buona sensibilità e specificità per i grossi polipi (> 1 cm) e per icancri. Il clisma opaco è meno rischioso e meno costoso della colonscopia,ma è meno utile come riportato successivamente. Aggiungendo al clismaopaco la rettosigmoidoscopia con endoscopio flessibile si raggiungono sen-sibilità diagnostiche simili a quelle della colonscopia. Bisogna sempre ricor-d a re che entrambe le pro c e d u re risentono dell’abilità degli operatori.

2.6.2.1. Sigmoidoscopia con endoscopio flessibile

Raccomandazione A:O ff r i re una rettosigmoidoscopia con endoscopio flessibile ogni 5 anni.I polipi < 1 cm devono essere asportati. Se si trovano polipi adenoma-tosi di > 1 cm o cancri, il pz deve essere invitato a sottoporsi a pan-colonscopia per rimuovere i polipi, biopsiare i cancri ed esplorare ilresto dell’intestino.

Due studi clinici controllati hanno dimostrato una riduzione della mor-talità da CCR in pz sottoposti a screening e nei quali i polipi erano statirimossi. Peraltro la sigmoidoscopia da sola scopre solo metà dei cancri edei polipi. Un intervallo di 5 aa fra una sigmoidoscopia e la successivaderiva dalla evidenza basata su studi randomizzati che la colonscopia hala stessa efficacia se fatta ogni anno o ogni 3 aa e che i polipi per cresce-

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re e trasformarsi in cancri hanno bisogno di almeno 5 aa.

Raccomandazione A:Offrire uno screening che comprenda contemporaneamente laricerca del sangue occulto nelle feci e la sigmoidoscopia.

La combinazione dei due metodi può correggere le limitazioni insite inognuno dei due usati da soli.

2.6.2.2. Ruolo del clisma opaco a doppio contrasto

Raccomandazione D:Proporre un clisma opaco a doppio contrasto ogni 5-10 anni.

Non ci sono studi controllati che abbiano valutato se lo screening conclisma opaco a doppio contrasto possa ridurre la mortalità da CCR in pz abasso rischio di malattia. Questa strategia si basa sull’evidenza che loscreening con clisma opaco può visualizzare l’intero colon e scoprire can-cri e polipi di grosse dimensioni altrettanto bene che la colonscopia emeglio della ricerca del sangue occulto e della sigmoidoscopia. Questametodica è probabilmente più sicura dell’endoscopia, ma può non visua-lizzare polipi di piccole dimensioni, non permette la rimozione dei polipio la biopsia dei cancri e più facilmente della colonscopia dà falsi positivi(artefatti o residui fecali) obbligando il pz ad una successiva colonscopia.

L’aggiunta al clisma opaco a doppio contrasto della sigmoidoscopiaaumenta la sensibilità, ma non è facilmente accettata.

2.6.2.3. Colonscopia

Raccomandazione C:Proporre una pancolonscopia ogni 10 anni.

Razionale:1) Non ci sono studi che valutino la capacità della colonscopia da sola di

ridurre la mortalità da CCR in pz a basso rischio.2) La colonscopia era parte integrante degli studi controllati sulla ricer-

ca del sangue occulto che hanno dimostrato una ridotta mortalità neipz scrinati.

3) La colonscopia, che può visualizzare tutto il colon, è simile nei risulta-ti alla sigmoidoscopia la quale si è dimostrata in grado di ridurre lamortalità da CCR.

4) La colonscopia si è dimostrata in grado di ridurre l’incidenza del CCRin una coorte di persone con polipi adenomatosi.

La colonscopia comporta più rischi e disagi della sigmoidoscopia e nontutti gli esami consentono di visualizzare tutto il colon.

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2.6.3. Pz a rischio aumentato di CCR

Raccomandazione A:Ai soggetti con parenti di I° grado (genitori, fratelli o figli) con cancroo polipi adenomatosi del colon dovrebbe essere raccomandato unos c reening come ai soggetti a basso rischio, ma cominciando a 40 aa.

Razionale: vi sono evidenze, derivanti da studi di coorte e da studi casocontrollo, che i parenti di I° grado di pz affetti da CCR hanno un rischioaumentato di sviluppare un CCR e presentano la malattia in età più giova-ne delle persone senza una storia famigliare di CCR. Nelle persone con unsolo famigliare di I° grado malato, l’incidenza del cancro a 40 aa è similea quella delle persone senza storia famigliare di CCR a 50. Vi sono evi-denze che le persone con un parente di I° grado che ha presentato polipiprima dei 60 aa sono ad aumentato rischio di CCR. Le persone con paren-ti di I° grado affetti da CCR o da polipi in giovane età dovrebbero avereuna valutazione periodica del colon anche se non disponiamo di studi cheavvalorano questa strategia.

2.6.3.1. Persone con storia di poliposi adenomatosa famigliare (FAP)

Raccomandazione A:1) Le persone con storia famigliare di FAP devono sottoporsi a stu-

dio genetico per valutare se sono portatori del gene poiché lamalattia è ereditaria e trasmessa come carattere autosomicodominante. Sono disponibili studi genetici in grado di stabilire seun pz è portatore del gene. Gli individui a rischio sono ricono-sciuti e definiti tali in seguito ai risultati dei tests genetici oppuredopo esame del pedigree famigliare correttamente ricostruito.

2) Individui portatori del gene si devono sottoporre a sigmoidosco-pia flessibile a cominciare dai 10-15 aa ogni 1 o 2 aa fino a com-parsa degli adenomi e al momento dell’intervento chirurgico(Colectomia totale). Individui a rischio determinato dal pedigreedevono sottoporsi a sigmoidoscopia flessibile a cominciare dai10-15 aa ogni 1 o 2 aa sino a 30 aa, quindi ogni 3-5 aa sino a 40aa. Oltre i 40 aa la frequenza può essere allungata o può essereprevista l’interruzione in base alla storia familiare. Le personecon FAP hanno il 100% di possibilità di sviluppare un CCR.

3) Poiché i polipi adenomatosi si sviluppano in tutto il colon e pre-cedono il cancro, la sorveglianza endoscopica con sigmoidosco-pia nei portatori del gene è sufficiente per scoprire se il pz svi-luppa la sindrome. La colectomia totale è la sola prevenzionepossibile del cancro e deve essere fatta il più presto possibile nonappena la sindrome viene confermata.

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2.6.3.2.Persone con storia famigliare di CCR ereditario senza poliposi(HNPCC)

Raccomandazione C:1 ) Le persone con storia famigliare di CCR in diversi parenti di I°

grado e in generazioni diverse, specie se i cancri si sono svilup-pati in età giovanile dovre b b e ro ricevere una valutazione geneti-ca e pre n d e re in considerazione l’esecuzione di test genetici perHNPCC. A questi pz deve essere proposta un’esplorazione dell’in-t e ro colon ogni 1-2 aa cominciando tra i 20 e i 30 aa.L’esplorazione del colon deve diventare annuale dopo il 40° anno.

2 ) Data la localizzazione di queste lesioni, la sorveglianza deve esse-re fatta con colonscopia. La sigmoidoscopia è insufficiente e lar i c e rca del sangue occulto nelle feci ha una sensibilità tro p p obassa per i polipi pre c a n c e ro s i .

Razionale: i cancri sono preceduti da polipi adenomatosi e sia i cancriche i polipi sono prevalentemente prossimali alla flessura splenica. Ilrischio di cancro in queste famiglie è aumentato dopo i 21 anni e diventamolto elevato dopo i 40. Gli individui sono identificati sulla base dell’a-namnesi famigliare e i test genetici sono positivi solo nel 50% di questefamiglie. Poiché i criteri di Amsterdam sono molto stretti e possono esse-re falsamente negativi in alcune famiglie, i medici dovrebbero valutareattentamente e testare geneticamente anche le famiglie che non hanno tuttii criteri di Amsterdam.

Gli intervalli tra le endoscopie devono essere più brevi che per le per-sone a basso rischio in quanto ci sono evidenze che i polipi si possonoformare e diventare cancri rapidamente nelle persone con HNPCC. Non cisono studi che indichino con precisione l’intervallo tra un’endoscopia el’altra in questi casi.

2.6.3.3. Persone con una storia di polipi adenomatosi

Raccomandazione A:I pz nei quali sono stati asportati durante colonscopia un polipogrande ( > 1 cm) o polipi multipli dovrebbero sottoporsi ad unesame del colon 3 aa dopo la prima colonscopia. L’intervallo tra isuccessivi esami dipende dal tipo dei polipi che sono stati trovati. Seil primo controllo è normale o viene trovato un singolo, piccolo,adenoma tubulare, il prossimo esame può essere fatto dopo 5 aa. Incircostanze speciali (polipi con cancro invasivo, grossi polipi ade-nomatosi sessili o numerosi adenomi), un intervallo più breve puòessere necessario, valutati il giudizio del medico e i desideri del pz.

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Razionale: la polipectomia endoscopica e la sorveglianza hanno dimo-strato di essere in grado di ridurre la successiva incidenza di CCR. Vi sonoforti evidenze, derivanti da studi clinici randomizzati, che lo sviluppo diadenomi con alterazioni patologiche importanti dopo una polipectomia èlento negli anni e che non esiste vantaggio a controllare i pz dopo 1 e 3aa rispetto a un solo controllo dopo 3 aa.

2.6.3.4. Persone con storia personale di CCR

Raccomandazione A:1) I pz con CCR che hanno subito una resezione con intenti curati-

vi (ma che non hanno avuto una completa e adeguata colonsco-pia prima o durante l’intervento) dovrebbero avere un esamecompleto del colon entro 1 anno dalla resezione del tumore. Sela pancolonscopia eseguita prima dell’intervento o quella esegui-ta entro 1 anno dopo sono normali, il successivo esame del colondovrebbe essere fatto dopo 3 aa, e se normale, ogni 5 aa.

2) La decisione sull’opportunità di seguire questi pz ad alto rischiocon clisma opaco a doppio contrasto o colonscopia deve esserepresa tenendo conto delle diverse possibilità diagnostiche e tera-peutiche delle due metodiche.

3) L’esecuzione contemporanea di rettosigmoidoscopia con stru-mento flessibile più clisma a doppio contrasto aumenta la sensi-bilità, ma non è facilmente accettata. Bisogna utilizzare la tecni-ca endoscopica che permetta la visualizzazione dell’anastomosidel precedente intervento di resezione.

Razionale: vi è buona evidenza che l’incidenza del CCR è aumentata dopoun primo cancro (a parte la recidiva del primo). I cancri successivi, come delresto il primo, sono preceduti da polipi adenomatosi che si sviluppano conf requenza superiore alla norma. Non ci sono evidenze che facciano pensa-re che questi polipi, che si sviluppano su un intestino precedentemente ope-rato di cancro, diventino maligni più rapidamente dei polipi che si svilup-pano su persone che non hanno precedentemente avuto un cancro .

2.6.3.5. Persone con malattie croniche infiammatorie dell’intestino

Raccomandazione A:1) Nei pz con malattie croniche infiammatorie del colon estese e

che durano da lungo tempo la sorveglianza endoscopica direttaalla ricerca di displasia quale marcatore di rischio di CCR deveessere presa in considerazione a seconda della estensione e delladurata della malattia.

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2) E’ pratica comune fare una sorveglianza mediante colonscopiaogni 1-2 aa cominciando dopo 8 aa di malattia nei pz con panco-lite o dopo 15 aa di malattia nei pz con colite sinistra.

Razionale: ci sono sicure evidenze che dimostrano un’aumentata inci-denza di CCR nei pz con malattie croniche infiammatorie dell’intestino.L’aumentata incidenza di cancro è proporzionale alla durata e alla esten-sione della malattia. L’aumentata frequenza nelle endoscopie di sorve-glianza deriva dalla difficoltà di evidenziare il cancro o la displasia in ognisingolo esame, tuttavia non vi è evidenza diretta che questa pratica riducala mortalità CCR in questi pz.

2.7. Raccomandazioni conclusive per i pz ad aumentato rischio di CCR

RACCOMANDAZIONI

Colonscopia 3 aa. dopo la resezione e poi ogni 3-5 aa.N.B.: la presenza di un “colon pulito” cioè senza altrelesioni deve essere accertata mediante colonscopiaprima, durante o dopo l’intervento (entro 1 anno).

Colonscopia ogni 3-5 aa. N.B.: si deve partireda un “colon pulito” senza altre lesioni che sepresenti saranno prima bonificate.

Colonscopia ogni 1-2 aa con biopsie sistema-tiche per ricerca della displasia

RACCOMANDAZIONINel sospetto di FAP il pz deve essere avviato adun centro di riferimento regionale per consulen-za genetica e per l’esecuzione del test moleco-lare per la ricerca di mutazioni del gene APC.

Nel sospetto di HNPCC il pz deve essere avviatoad un centro di riferimento regionale per consu-lenza genetica e per esecuzione del test mole-colare per la ricerca di mutazioni nei geni MMR.Sorveglianza endoscopica: Colonscopia ogni 2aa a partire da 25 aa, oppure 5 aa prima dell’etàdi insorgenza del cancro nel parente che nellafamiglia si è ammalato in più giovane età.Colonscopia ogni anno dopo i 40 aa.

Colonscopia ogni 3-5 aa cominciando 10 aaprima dell’età del parente che ha avuto il cancroin giovane età.

STORIA PERSONALE

Pregresso CCR

Pregresso adenoma

Colite ulcerosa (>8 aa) estesa atutto il colonColite ulcerosa sinistra (>15 aa)

STORIA FAMIGLIAREFAP

HNPCC

Parenti di I° grado con CCRsporadico o con adenomaprima di 60 aa.Più parenti di I° grado con CCRo con adenomi.

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2.8. Quando interrompere lo screeningI polipi impiegano circa 10 anni per diventare cancri, non vi è quindi nes-sun vantaggio a trovare polipi nelle persone la cui speranza di vita è infe-riore al tempo che un polipo impiegherebbe per trasformarsi in cancro.Non ci sono sicure evidenze sul tempo al quale interrompere la sorve-glianza e lo screening, ma le considerazioni dette sopra sembrano ragio-nevoli anche tenendo conto del fatto che lo screening e i test diagnosticiad esso connessi sono mal sopportati dalle persone anziane affette da altrepatologie concomitanti.

2.9. Bibliografia1. Winawer SJ, Fletcher RH, Miller L, et al. Colorectal cancer screening:

Clinical guidelines and rationale. Gastroenterology 1997; 112:594-642.2. Byers T, Levin B, Rothenberger D, et al: American Cancer Society

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3. Criteri per la diagnosi istopatologicaVengono qui considerati i criteri di campionamento e di diagnosi isto-

patologica relativi a polipectomia e resezione chirurgica che fanno riferi-mento alle linee guida recentemente edite dal GIPAD (Gruppo ItalianoPatologi dell'Apparato Digerente, operante nell’ambito della SocietàItaliana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica) e recentementepubblicate (25).

3.1 Adenomi del retto-colonNelle polipectomie endoscopiche i requisiti minimi della diagnosi isto-

patologica sono:a) la definizione di istotipo: distinguere gli adenomi dai polipi iperplasti-

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ci, infiammatori, amartomatosi etc.b) negli adenomi, caratterizzare: gli aspetti macroscopici (sessile, pedun-

colato, piatto); il tipo istologico architetturale (tubulare, villoso, tubulo-villoso); il grado di displasia; la presenza di carcinoma (adenoma can-cerizzato), specificando i fattori predittivi di metastatizzazione; lo statodel margine di resezione.

3.1.1. Esame macroscopicoL’asportazione completa della lesione è essenziale per una corretta valu-

tazione istopatologica. Prelievi bioptici, anche multipli, della testa del poli-po non consentono la definizione del tipo istologico e del grado di displa-sia e, soprattutto, la sicura esclusione di una componente carc i n o m a t o s a .

Nota: In questi casi il giudizio diagnostico dovrà forzatamente essere limitato adelementi descrittivi dei campioni in esame (es.: "Frammenti di tessuto adenomato-so, ad architettura tubulare, con displasia lieve")

3.1.1.1. Rilievi macroscopici:a. dimensioni: vengono definite dal maggior diametro e, se significativi,

dai due diametri minori, escludendo dalle misurazioni i segmenti dipertinenza del peduncolo, ove macroscopicamente identificabili.

b. estrinsecazione: presenza (misurazione di lunghezza e diametro) /assenza di peduncolo.

c. margine di resezione endoscopica. La sua identificazione, agevole nellelesioni peduncolate appena resecate, può diventare problematica dopofissazione in formalina. E' auspicabile che la marcatura (con colorantevitale o idoneo repere) venga effettuata dall'endoscopista prima dellafissazione.

Il campionamento, preferibilmente sulla lesione fissata, deve consentirela valutazione di: a. margine di resezioneb. rapporti tra epitelio ed asse stromale. Il metodo più sicuro consiste nella sepa-

razione delle due calotte laterali del polipo dalla porzione centrale. Le sezio-ni istologiche di quest'ultima porzione, che inizialmente si avvicineranno sem-p re più al centro dell'asse stromale, garantiscono che l'interfaccia epiteliostro-ma sia valutata su una ampia superficie. Ulteriori sezioni parallele al tagliosagittale sono auspicabili per i polipi di diametro trasversale superiore ai 2 cm.La settorializzazione della sezione medio-sagittale è prevista per polipi didimensioni tali da non potere essere inclusi in un unico blocchetto.

3.1.2. Esame microscopicoI criteri di riferimento sono quelli proposti nella seconda edizione del

fascicolo WHO "Histological Typing of Intestinal Tumors".

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3.1.2.1. Tipo istologico dell'adenomaLa rigorosa valutazione degli aspetti istologici architetturali è finalizzata

al riconoscimento di una significativa componente villosa, essendo taletipo di architettura correlata al potenziale di trasformazione maligna delpolipo e, soprattutto, di sviluppo di lesioni adenomatose colorettali sin-crone e/o metacrone.a. Tubulare: > 80% architettura tubulare.b. Villoso: > 80% architettura villosa.c. Tubulo-villoso: due componenti, ciascuna<80%.

Istotipi infrequenti derivano dalla commistione, in una singola formazio-ne poliposa, di componenti adenomatose con cripte iperplastiche (polipimisti iperplastico/adenomatosi) o da aspetti architetturali di tipo iperpla-stico associati a caratteristiche cito-cariologiche tipicamente displastiche(c.d. adenomi serrati).

3.1.2.2. Grading della displasiaNegli adenomi colorettali la displasia è graduata in lieve, moderata e

grave. L'accorpamento dei vari gradi in due sole categorie, "basso grado"(lieve e moderata) ed "alto grado" (grave) trova tuttavia ragione in consi-derazione della scarsa riproducibilità della distinzione tra lieve e modera-ta. Allo stato attuale delle conoscenze non appare fondata la ponderazio-ne differenziata dei parametri architetturali della displasia (ramificazioni egemmazioni delle cripte, back-to-back, crescita intraghiandolare) rispetto aquelli cito-cariologici (stratificazione, ipercromasia, perdita di polaritànucleare, mitosi atipiche, alterazioni della differenziazione etc.): di conse-guenza tutti i parametri vengono considerati cumulativamente nel grading.a. Displasia lieve. Architettura generale relativamente conservata, con tubuli

ghiandolari solo lievemente allungati o tortuosi ed iniziali accenni alla gem-mazione; perdita del gradiente di diff e renziazione cellulare dalla base dellacripta alla superficie. Nuclei allungati, ingranditi, polarizzati e stratificati.

b. Displasia moderata. Le caratteristiche morfologiche sono intermedie traquelle della lieve e della grave.

c. Displasia grave. Cripte con ramificazioni e gemmazioni irregolari, varia-mente coalescenti. Nuclei francamente iperc romici, tondeggianti od ovali,m a rcatamente ingranditi, nucleolati, per lo più privi di orientamento pola-re. Le cellule, stratificate, hanno citoplasma omogeneamente denso, senzad i ff e renziazione mucipara. Strutture epiteliali complesse (aspetti cribrifor-mi, crescita back-to-back) costituite da cellule meno diff e renziate e piùp o l i m o rfe di quelle della displasia grave sono spesso riportate come" C a rcinoma in situ". Sicura infiltrazione neoplastica limitata alla tonaca

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p ropria o che dissocia, ma senza superarla, la muscolaris mucosae vienespesso riferita come "Carcinoma intramucoso del colon". Dal punto divista istologico entrambe le definizioni sono corrette, ma siccome il carc i-noma in situ e nel grosso intestino anche il carcinoma intramucoso, sonoprivi di potenzialità metastatica, se ne sconsiglia l'uso nel referto finale,c o m p rendendo entrambe le lesioni nella dizione di displasia grave. Ina l t e rnativa, l'utilizzo dei termini "Carcinoma in situ" o "Carcinoma intra-mucoso" dovrebbe sempre essere accompagnato dal commento: "Lesionepriva di malignità biologica: non necessita di ulteriore trattamento".

E' comune identificare differenti gradi di displasia nel contesto di un sin-golo adenoma: il grado diagnostico è basato sulla componente più alta-mente displastica osservabile, indipendentemente dalla sua estensione neltessuto adenomatoso.

3.1.2.3. Adenoma cancerizzatoAdenoma comprendente area di carcinoma invasivo che supera la

muscolaris mucosae e si estende alla tonaca sottomucosa*; costituisce laforma più precoce di carcinoma, dotato di potenzialità metastatiche. Ilrischio di metastasi linfonodali è complessivamente del 10%. Si possonotuttavia, sulla base delle caratteristiche patologiche, suddividere due grup-pi: uno a basso rischio ed uno ad alto rischio. Tale distinzione è utile alfine di programmare le successive scelte terapeutiche (resezione chirurgi-ca vs follow-up clinico-endoscopico).

I parametri istologici maggiormente predittivi del rischio di metastasi lin-fonodali e che definiscono un adenoma cancerizzato “ad alto rischio” sono:a. Stato del margine di resezione endoscopica: specificare se indenne, ade-

nomatoso o carcinomatoso. Quest'ultima evenienza si realizza eff e t t i v a-mente quando si identifichino cellule carcinomatose a meno di 1 mmdal margine, oppure nel contesto della banda di diaterm o c o a g u l a z i o n e .

b. Grado istologico di differenziazione del carcinoma (Grado I e II versusIII; il carcinoma a cellule ad anello con castone è equiparato al GradoIII); segnalazione di eventuale componente anaplastica, anche minima.

c. Embolizzazione neoplastica (linfatica e/o venosa). Di minore rilevanza prognostica devono considerarsi:

a. Il livello di infiltrazione del peduncolo: terzo superficiale, medio e pro-

* Nota: A seguito di ripetute torsioni cui vanno incontro, prevalentemente ma nonesclusivamente, gli adenomi con lungo peduncolo può verificarsi la dislocazione o lae rniazione nella sottomucosa di isole di tessuto displastico (c.d. Pseudoinvasione). Seil tessuto distopico è ad alto grado di displasia la diagnosi diff e renziale con il carc i-noma invasivo è piuttosto impegnativa. Caratteristiche a favore della pseudoinvasio-ne sono: assenza di reazione desmoplastica nello stroma, stroma con le caratteristichedella lamina propria attorno alle ghiandole displastiche, depositi emosiderinici.

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fondo (per definizione il livello negli adenomi cancerizzati ad estrinse-cazione sessile è da considerarsi "profondo").

b. Il rapporto quantitativo Tessuto Adenomatoso/Carcinoma. Lesioni conpiccoli focolai di carcinoma invasivo hanno un potenziale metastaticopiù basso dei polipi costituiti in prevalenza da carcinoma invasivo.

Una lesione poliposa costituita interamente da carcinoma infiltrante lasottomucosa in assenza di residui di tessuto adenomatoso viene classifica-ta come "Carcinoma polipoide": la terapia ed il follow-up dipendono daglistessi parametri prognostici dell'adenoma cancerizzato.

3.2. Carcinoma del retto-colon (CRC)

3.2.1. Descrizione delle procedure chirurgicheTipo di resezione: emicolectomia destra, colectomia trasversa, emicolec-

tomia sinistra, sigmoidectomia, resezione anteriore del sigma-retto, rese-zione addomino-perineale, colectomia totale o subtotale.

3.2.2 Esame Macroscopico

3.2.2.1. Pezzo operatorioa . s p e c i f i c a re come è stato inviato: fresco, fissato, chiuso, aperto, e l'orien-

tamento indicato dal chirurg o .b . i d e n t i f i c a re e misurare (lunghezza e diametro) il segmento di colon re s e-

cato ed eventuali altri segmenti intestinali (ultima ansa ileale, appendi-ce e canale anale) od organi (utero, vescica etc.), indicando se escissi inblocco o separatamente e distinguendo: 1) colon destro, costituito da:cieco, ascendente, trasverso; 2) colon sinistro, costituito da: discenden-te; sigma; 3) retto, inizia alla fine del mesosigma e misura circa 16 cm.

c . d e s c r i v e re la superficie esterna segnalando l'aspetto della siero s a .d . segnalare la presenza di ostruzione, dilatazione a monte di un tratto

stenotico.e . s e g n a l a re la presenza di perf o r a z i o n i .f . a p r i re il segmento inviato, evitando quando possibile di sezionare la

lesione, identificandola palpatoriamente e poi sezionando il segmentonel versante opposto alla neoplasia.

3.2.2.2. Tumorea. localizzazione: specificando le varie sedi, la distanza da punti di repe-

re anatomici quali la linea pettinata e la valvola ileo-ciecale.b. configurazione: vegetante (polipoide o sessile), ulcerato, a placca, ad

anello o a manicotto (stenosante), tipo linite plastica.c. dimensioni: se possibile tre (longitudinale, trasversale, spessore), altri-

menti il diametro maggiore.

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d. distanza dai margini di resezione distale, prossimale, radiale.e. livello di infiltrazione della parete, ed i rapporti con la sierosa e con

altri organi o strutture asportate.Note: - Neoplasie multiple devono essere singolarmente descritte.- Per margine radiale (o circonferenziale o laterale) si intende nel retto il piano dei

tessuti molli perirettali in cui è stata effettuata la resezione chirurgica. Un margi-ne di resezione radiale è identificabile anche nei segmenti colici solo parzial-mente rivestiti dalla sierosa peritoneale (ad esempio colon ascendente e discen-dente). Nei segmenti colici completamente rivestiti da sierosa, si riconosce inve-ce un margine di resezione mesiale, che è in genere a notevole distanza dallaneoplasia e di scarsa rilevanza clinica.

- Può essere utile la marcatura dei margini di resezione con inchiostro di china. Inparticolare si raccomanda questa procedura per la valutazione del margine radia-le nei tumori rettali.

3.2.2.3. Colon non-carcinomatosoDescrivere altri processi patologici eventualmente presenti, quali polipi,

colite cronica, diverticoli, stenosi, ulcere.

3.2.2.4.Linfonodi perivisceraliDescrivere dimensioni, numero e aspetto dei linfonodi periviscerali.

3.2.2.5.Altri organi asportatiValutare la presenza di metastasi o di altri tipi di patologia.

3.2.3.Campionamento

3.2.3.1.TumoreAlmeno due sezioni che comprendano il livello di massima infiltrazione

(con l'eventuale sierosa) e la transizione tumore/mucosa normale.

3.2.3.2. Margini- distale e prossimale solo se distano <2.5 cm dalla neoplasia (con pre l i e v o

longitudinale se la neoplasia è vicina al margine, tangenziale se più distante)- radiale: nel retto è necessario effettuare un prelievo che comprenda la

zona in cui il tumore arriva più vicino al margine di resezione; negli altridistretti solo quando l'infiltrazione tumorale si estende sino in prossimi-tà del margine di resezione.

3.2.3.3.LinfonodiTutti i linfonodi reperiti.

3.2.3.4.Altri processi patologici colorettaliPolipi, diverticoli, anomalie mucose tipo malattie infiammatorie croniche etc.

3.2.3.5.Mucosa apparentemente sanaNon indispensabile.

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3.2.4. Esame microscopico

3.2.4.1. Tumorea.Tipo istologico (sec. WHO)

- Adenocarcinoma, non altrimenti specificato (NAS)- Adenocarcinoma mucoide (o mucinoso), quando la componente

mucoide costituisce più del 50% del tumore- Carcinoma a cellule ad anello con castone (disperse mucosecernenti,

signet ring cell carcinoma), quando la componente a cellule ad anellocon castone costituisce più del 50% del tumore

- Carcinoma squamoso - Carcinoma adenosquamoso, quando sono presenti una componente

adenocarcinomatosa ed una a cellule squamose. Adenocarcinomi confocali aspetti di differenziazione squamosa sono classificati adenocar-cinomi NAS.

- Carcinoma a piccole cellule, con caratteristiche istologiche simili aquelle del carcinoma a piccole cellule del polmone

- Carcinoma indifferenziato- Altri tipi: specificareLa grande maggioranza dei CCR sono adenocarcinomi NAS, circa il 10%

a d e n o c a rcinomi mucoidi, mentre gli altri istotipi sono molto rari. I carc i-nomi a cellule ad anello con castone ed i carcinomi a piccole cellulehanno prognosi sfavorevole. Gli adenocarcinomi mucoidi hanno un com-portamento clinico sostanzialmente simile agli adenocarcinomi NAS, purd i ff e renziandosi da questi per numerose caratteristiche patologiche, bio-logiche, genetiche.b.Grado di differenziazione. Secondo i criteri di Jass gli adenocarcinomi

NAS vengono classificati in:- Ben differenziati: costituiti da ghiandole semplici o complesse, regola-

ri, con polarità nucleare conservata e nuclei di dimensioni uniformi.- Moderatamente differenziati: costituiti da ghiandole semplici o com-

plesse, regolari o modicamente irregolari, con polarità nucleare par-zialmente conservata o assente.

- Scarsamente differenziati: con ghiandole marcatamente irregolari osenza formazione di strutture ghiandolari; polarità nucleare assente.

Dal momento che le indicazioni prognostiche derivano principalmentedalla individuazione della categoria degli adenocarcinomi scarsamente dif-ferenziati, è possibile utilizzare, come suggerito anche dalla WHO, unasuddivisione in due sole classi: adenocarcinomi bene o moderatamentedifferenziati (basso grado) ed adenocarcinomi scarsamente differenziati(alto grado).

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Note: Quando sono presenti aree con diverso grado di differenziazione, il tumoreviene classificato in base alle caratteristiche dell'area peggiore, cioè con il minorgrado di differenziazione. Tuttavia, la presenza di ghiandole disorganizzate al mar-gine di infiltrazione non comporta una classificazione di scarsa differenziazione.

c.Livello di infiltrazione. Determinato secondo la classificazione TNM.pTis: adenocarcinoma non infiltrante o con infiltrazione della tonaca

propria della mucosa o della muscolaris mucosae*pT1: infiltrazione della sottomucosapT2: infiltrazione della tonaca muscolarepT3: infiltrazione a tutto spessore della tonaca muscolare ed invasione

della sottosierosa o del tessuto adiposo pericolico o perirettale nonrivestito da sierosa

pT4: infiltrazione della sierosa e/o di altri organi e strutture. Particolareattenzione deve essere posta all’individuazione dell’infiltrazionedella sierosa peritoneale, che è un importante fattore prognosticosfavorevole.

d.Invasione vascolare. E' soprattutto la invasione delle vene extramuraliche va attentamente ricercata, perché significativa per la prognosi.

e.Tipo di crescita. Viene classificata come:1.espansiva, quando il margine di infiltrazione tumorale è regolare, ben

demarcato o solo lievemente irregolare.2.infiltrativa, quando i margini di infiltrazione sono marcatamente irre-

golari e non ben identificabili. Caratteristica è la presenza di elementighiandolari, o aggregati di cellule tumorali isolati nel tessuto adiposoperiviscerale, spesso localizzati in sede perivascolare o perineurale. Lacrescita infiltrativa si associa a prognosi peggiore.

f. Infiltrazione linfocitaria peritumorale. Si distinguono:- Infiltrazione linfocitaria al bordo di invasione tumorale. Viene classificata

come marcata quando si osserva un significativo numero di linfociti eda l t re cellule infiammatorie. Negli altri casi o quando è evidente solo inuna parte del tumore viene classificata come moderata, scarsa o assente.

- Infiltrazione linfocitaria "tipo Crohn". Intensa: numerosi e voluminosiaggregati linfocitari, spesso con centro germinativo, situati alla perife-ria del tumore, principalmente localizzati al margine esterno dellatonaca muscolare. Lieve: occasionali aggregati linfocitari, prevalente-mente di piccole dimensioni e senza centri germinativi. Assente: aggre-

* Nota: Sebbene la stadiazione TNM preveda questa categoria, come precedente-mente puntualizzato, si sconsiglia l'uso dei termini carcinoma in situ e carcinomaintramucoso comprendendo entrambe le lesioni nella dizione di displasia grave, inaccordo con le raccomandazioni dell'Association of Directors of Anatomic andSurgical Pathology.

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gati linfocitari molto rari e di piccole dimensioni o completamenteassenti.

Entrambi i tipi sono fattori prognostici favorevoli, purché l'infiltrazionelinfocitaria sia marcata.

3.2.4.2. Margini di resezioneSpecificare la adeguatezza dei margini di resezione prossimale, distale e

radiale. In particolare è fondamentale la valutazione del margine radialenel carcinoma del retto, essendo un importante fattore predittivo di reci-diva locale. Nelle neoplasie rettali è opportuno in tutti i casi riportare ladistanza minima del tumore da questo margine di resezione.

3.2.4.3. Linfonodi regionaliSpecificare il numero di linfonodi esaminati ed il numero di linfonodi

metastatici. L'esame istologico dovrebbe comprendere almeno 12 linfono-di regionali: la più recente classificazione TNM (1997) indica che 12 o piùlinfonodi devono essere esaminati per classificare un tumore come pN0.Lo stato linfonodale ha una notevole importanza nella pianificazione tera-peutica postoperatoria del pz ed anche il numero di linfonodi metastaticiè un rilevante fattore prognostico. Secondo la classificazione TNM, i nodu-li tumorali nel tessuto adiposo pericolico e perirettale di dimensioni > 3mm senza evidenza istologica di residue strutture linfonodali devono esse-re classificati come linfonodi metastatici; se < 3 mm devono essere consi-derati come estensione in discontinuità della neoplasia.

3.2.4.4. Metastasi a distanzaSpecificare gli organi interessati.

3.2.4.5. Altri processi patologici colorettaliR i p o r t a re la presenza di polipi (e il tipo) se la neoplasia è insorta nel con-

testo di una colite ulcerosa o morbo di Crohn, o altre patologie di rilievo.

3.2.5. StadiazioneL'applicazione di uno specifico sistema di stadiazione tumorale è facolta-

tiva. E’ importante che il referto fornisca dati sufficienti per l'applicazionedei sistemi di stadiazioni più utilizzati e che il sistema di stadiazione even-tualmente impiegato sia specificato con esattezza dal patologo. E' tuttaviada rilevare la sempre più ampia diffusione del sistema di stadiazione TNM,di cui si raccomanda l'utilizzo. In aggiunta, è possibile stadiare i CCR secon-do i criteri di Dukes (1) e classificarli secondo i gruppi proposti da Jass (13).

3.2.6. Criteri Diagnostici MinimiSono da considerarsi criteri diagnostici minimi, cioè parametri che devo-

no essere sempre riportati nella refertazione di resezioni chirurgiche per

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CCR:- istotipo- grado di differenziazione- livello di infiltrazione della parete e della sierosa e/o di altri organi e

s t r u t t u re- adeguatezza dei margini di resezione prossimale, distale e radiale (nel

retto)- numero di linfonodi metastatici e di linfonodi esaminati.

Altri parametri che dovrebbero essere compresi nel referto sono:- dimensioni (diametro maggiore)- presenza di perforazione macroscopica- distanza dal margine di resezione prossimale o distale più vicino- distanza dal margine di resezione radiale (nel retto)- stadiazione patologica (TNM o altro sistema specificato).

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4. Terapia Chirurgica del CCR

4.1. Preparazione (EVIDENZA B)La preparazione intestinale è indispensabile alla buona riuscita dell’in-

tervento.Essa può essere ottenuta tramite lavaggio osmotico (PEG) o p p u re tramitesomministrazione di fosfato di sodio, o con s e n n o s i d i con risultati para-g o n a b i l i .

4.2. Cancro del colon

4.2.1. Tecnica e tattica chirurgica generaleResezione radicale: asportazione del tumore con margine adeguato di

colon normale col peduncolo vascolare e le strutture linfatiche corrispon-denti. L’estensione della demolizione è determinata dalle legature vascola-ri (EVIDENZA C).

Resezione palliativa: asportazione della neoplasia limitata al colon oeventuale by pass che si esegue quando sono presenti metastasi epatichemultiple (> 3) e/o bilaterali, peritoneali e polmonari (EVIDENZA C).

La no touch tecnique non migliora significativamente sopravvivenza eincidenza di ripresa della malattia, pur essendo riportata una minore e piùtardiva insorgenza di metastasi a distanza, tanto che alcuni ne consiglianol'adozione (EVIDENZA B).

La resezione en bloc di tutte le strutture aderenti alla neoplasia miglio-ra la sopravvivenza dei pz (EVIDENZA C).

4.2.2. Colon destroLa resezione comprende l'asportazione del tumore con un margine ade-

guato di colon (10 cm) con peduncoli vascolari e strutture linfatiche corri -spondenti. Studi retrospettivi sembrano suggerire un beneficio dalla lin-foadenectomia estesa (EVIDENZA C).

4.2.3. SigmaNon c’è differenza prognostica fra EMI SN e resezione di sigma, pur

essendo state documentate metastasi nei linfonodi all'origine dell'arteriamesenterica inf. nel 14-22% dei casi (EVIDENZA C).EMI SN = legatura alta della mesenterica inferiore, all’origine (EVIDENZA A).RESEZIONE DI SIGMA= legatura bassa della mesenterica inferiore, dopol’origine della colica sn. (EVIDENZA A).

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4.2.4. Occlusione colica sin. (EVIDENZA C)La più elevata morbilità e mortalità complessiva degli interventi chirurgi-

ci sequenziali (in due o più tempi), la necessità di ripetute ospedalizza-zioni e la significativa percentuale dei pz che non completano l'iter chi-rurgico, consigliano l'esecuzione di anastomosi primaria anche in condi-zioni di urgenza. Le opzioni chirurgiche sono il lavaggio colico intraope-ratorio, oppure la colectomia subtotale in caso di lesioni diastasiche delcieco, di tumori sincroni o di lesioni ischemiche. Controindicazioni all'a-nastomosi primaria sono esclusivamente la presenza di una peritonite dif-fusa o le gravi condizioni cardiache o respiratorie del pz.

4.3. Cancro del retto

4.3.1. Sede della neoplasia- Retto alto (sopra la riflessione peritoneale) = come per il COLON.- Retto basso (sotto la riflessione peritoneale).

Sarebbe opportuno osservare una distanza di 5 cm dal margine distaledella neoplasia. Qualora ciò comportasse la resezione degli sfinteri, si puòscendere a 2 cm di margine (EVIDENZA A).

4.3.2. Tecnica e tattica chirurgicaSe il tumore non invade lo sfintere e/o se non è fisso, si può procedere

ad un intervento di Sphincter Saving Procedure (S.S.P.). Alcuni autoriritengono che anche un margine di 1 cm. sia sufficiente, soprattutto dopoterapia neoadiuvante. Le S.S.P. vanno attuate in pz non incontinenti (utileuna accurata esplorazione rettale o una manometria prima dell’intervento)(EVIDENZA B).

La Total Mesorectal Excision (TME) con anastomosi ultrabassa, a livel-lo degli elevatori, è in grado di aumentare la radicalità chirurgica ( E V I-DENZA A). Essendo stata dimostrata la diffusione tumorale in senso dista-le per 4 cm nel grasso del mesoretto, la TME è indicata sempre nei tumoridel retto basso, anche quando l'anastomosi viene effettuata al di sopra dellivello degli elevatori. Nei tumori del retto alto ciò comporta una re s e z i o n edi mesoretto distale per almeno 5 cm dalla neoplasia (EVIDENZA C). Incaso di anastomosi ultrabassa è raccomandata una stomia di protezione. Ilrinforzo dell’anastomosi con omento non sembra aumentare la sicurezza or i d u r re il numero della deiscenza delle anastomosi colo-rettali. La radicalitàlocale è assicurata da un m a rgine circ o n f e renziale (o radiale) libero dialmeno 1 cm. Ciò comporta una resezione più ampia della TME qualorala neoplasia superi il foglietto viscerale della fascia pelvica che delimita ilm e s o retto (EVIDENZA C). La TME comporta una dissezione con tecnica“nerve sparing” nei tumori che non superino la fascia mesorettale, anche in

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pz anziani (EVIDENZA B).L’escissione transanale con metodica tradizionale o TEM può essere

indicata nelle neoplasie mobili, occupanti meno di un terzo della circon-ferenza rettale, di diametro inferiore a 3cm, altamente/moderatamente dif-ferenziate, con stadiazione T1 (eco endoanale). L’estensione alle neoplasieT2, associata alla radioterapia adiuvante, necessita di ulteriori validazioni(EVIDENZA C).

Anastomosi coloanale : i risultati funzionali, soprattutto nei primi dueanni, sono migliori dopo anastomosi colo-anale su J pouch rispetto all’a-nastomosi colo-anale diretta, rispetto alla frequenza delle evacuazioni,all’urgenza, al soiling notturno e alla necessità di un trattamento farmaco-logico antidiarroico. Probabilmente il volume ottimale della tasca colica èdi circa 8 cm (EVIDENZA B).

4.3.3. Terapia neoadiuvanteE' stato proposto trattamento radiante (RTX) preoperatorio (neoadiuvan-

te) nei tumori rettali, stadio clinico-radiologico Dukes B-C o II-III del TNM,con aumento della sopravvivenza e riduzione delle recidive locali (EVI-DENZA A).

E' stato anche proposto trattamento neoadiuvante RXT+CHT con risulta-ti incoraggianti -risposte complete- (EVIDENZA C).

4.4. Metastasi epaticaE’ possibile procedere ad una resezione sincrona di 1 – max 3 metasta-

si superficiali in un unico lobo epatico (EVIDENZA B).

4.5. Raccomandazioni generali (UKCCR, 1996)

4.5.1. Criteri preoperatori:1. Determinare la distanza tra la neoplasia e il margine anale mediante

colonscopio rigido.2. Interessamento circonferenziale: si dovrebbero sempre indicare il

numero e la posizione dei quadranti del lume intestinale interessatidalla neoplasia.

3. Fissità: descrivere la mobilità della neoplasia secondo i seguenti criteri:a) mobile (neoplasia limitata alla parete intestinale); b) ipomobile(affiorante la sierosa e parzialmente fissa); c) fissa (adesa alle strutturecircostanti).

4. Istologia: definire la natura ed il grado di differenziazione della neo-plasia tramite biopsie endoscopiche.

5. Escludere radiologicamente la presenza di eventuali secondarietà pol-monari.

6. Valutare la presenza di metastasi epatiche tramite: TC addome, RMN

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addome. Se non disponibili tali metodiche eseguire Etg addome. Inseguito classificare il pz secondo i seguenti criteri: a) presenza di meta-stasi epatiche; b) dubbio sulla presenza di metastasi epatiche; c) assen-za di metastasi epatiche.

7. Va l u t a re la concentrazione ematica del CEA: valori > 50ng/ml sono sug-gestivi di malattia metastatica, anche in casi di negatività radiologica.

8. Escludere la presenza di lesioni sincrone tramite: a) colonscopia, se tec-nicamente possibile (neoplasia valicabile dallo strumento); b) clismad.m.c. nei casi in cui non sia tecnicamente possibile eseguire colon-scopia; c) palpazione intraoperatoria del colon o colonscopia postope-ratoria o clisma d.m.c. dopo 6 mesi dall’intervento, nei casi di neopla-sia invalicabile.

4.5.2. Criteri intraoperatoriIl chirurgo dovrebbe sempre descrivere le seguenti condizioni:

1. Definire il regime dell’intervento: a) elezione; b) urgenza.2. Posizione della neoplasia; nel caso di neoplasie del retto descrivere se

è localizzata prima o dopo la riflessione peritoneale.3. Grado di fissità della neoplasia: mobile, ipomobile, fissa. Negli ultimi

2 casi descrivere a quali organi o strutture è adesa. In biopsie intrao-peratorie specificare se il materiale proviene dall’area di infiltrazione odi aderenza della neoplasia.

4. L’eventuale associazione della neoplasia ad: a) ascessi locali; b) per-forazioni iatrogene della stessa; c) ascite.

5. Presenza di carcinosi peritoneale. Se esiste il sospetto, eseguire unabiopsia.

6. Aumento di volume dei linfonodi pre-aortici o di altri linfonodi.Eseguire una biopsia se tali linfonodi non sono inclusi nella resezione.

7. Metastasi epatiche: stabilire numero e localizzazione ed eseguire biopsie.8. Descrivere l’interessamento di altri organi e se si esegue la loro par-

ziale o totale resezione.9. Descrivere l’intento dell’intervento: curativo o palliativo. Nei casi di

intervento palliativo eseguire biopsie sull’area residua interessata dallaneoplasia.

10.Il numero dei flaconi di sangue trasfuso durante l’intervento.

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5. Terapia adiuvante e palliativa

5.1 Terapia adiuvante del carcinoma del colon

5.1.1. Storia naturaleC i rca il 35% dei pz operati radicalmente sviluppa una ripresa di malattia e

la stragrande maggioranza di essi muore per estesa diffusione metastatica. Ilrischio di recidiva e di morte è funzione dello stadio patologico. Infatti, lasopravvivenza a 5 aa scende dal 90% negli stadi A e B1 di Dukes (pT1- p T2,pN0, M0) al 40-50% nello stadio C (qualunque T, pN1- p N3, M0). Anche lecaratteristiche istopatologiche (grading, invasione vascolare e linfatica, isto-tipo) del tumore e la presentazione clinica (occlusione o perforazione) sonoc o r relate alla prognosi. Recentemente è stato evidenziato il possibile ruolop rognostico di alcuni fattori biologici legati al cariotipo e all’attività pro l i f e-rativa della neoplasia, nonché all’espressione di alcune oncoproteine (comela proteina p53), ovvero ad alcune attività enzimatiche come la timidilato-sintetasi. Tuttavia, il significato prognostico di questi fattori è oggetto di con-t roversia e il ruolo nella pratica clinica ancora da definire .

5.1.2. Stato dell’arteNel 1990 una Consensus Conference promossa dall’NIH di Bethesda ha

raccomandato l’impiego della combinazione 5-fluorouracile (5-FU) piùlevamisolo (LEV) come trattamento di scelta per i pz allo stadio C. Questaraccomandazione era basata sui risultati di tre studi clinici randomizzatiche avevano dimostrato come questo regime terapeutico fosse in grado diridurre del 41% l’incidenza delle recidive e del 33% la mortalità.

L’utilizzo del 5-FU e dell’acido folinico (AF) in adiuvante trova un razio-nale nella maggior efficacia di questa combinazione rispetto al 5-FU dasolo anche nella malattia metastatica. Tre studi collaborativi (IMPACT,INTERGROUP-USA e NSABP C-03) hanno dimostrato come la combina-zione 5-FU/AF sia in grado di ridurre significativamente la recidività e lamortalità dopo chirurgia. I risultati di questi studi sono comparabili, non-ostante i diversi schemi del 5-FU e dell’AF. Lo studio NSABP C-03 ha infat-ti utilizzato uno schema settimanale di 5-Fu 500 mg/m2 e AF 500 mg/m2

per 12 mesi , lo studio INTEGROUP ha utilizzato il 5-FU 425 mg/m 2 e l’AF20 mg/m2 per 5 giorni ogni 4 settimane per 6 mesi e, infine, gli studiIMPACT hanno utilizzato il 5-FU 370-400 mg/m2 e l’AF 200 mg/m2, sempreper 5 giorni ogni 4 settimane per 6 mesi. Lo schema con AF a basse dosiha comportato una maggiore incidenza di stomatite e granulocitopenia, maè più maneggevole rispetto alla schedula settimanale e meno costosorispetto allo schema che impiega dosi intermedie di AF.

Una generazione successiva di studi controllati (NSABP C-04,

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NCI/NCCTG) ha confrontato gli schemi 5-FU/AF (sia nella schedula setti-manale che nello schema con AF a basse dosi) con lo schema 5-FU/LEV ocon la combinazione 5-FU/LEV/AF. I risultati preliminari di questi studisembrano indicare che la combinazione 5-FU/AF è superiore allo schema5-FU/LEV e che il ruolo del LEV, quando impiegato insieme a 5-FU e AF, ètrascurabile. Pertanto, sei mesi di terapia con la combinazione 5-FU/AFsono sufficienti e comparabili, in termini di efficacia, ai trattamenti pro t r a t-ti per 12 mesi.

Poiché il fegato rappresenta la sede più frequente di metastasi nei pz conCCR, numerosi studi hanno valutato l’utilità della somministrazione intra-portale del 5-FU, associato o meno ad altri farmaci citotossici. Una recen-te metanalisi tuttavia, non sembra dimostrare un vantaggio significativo diquesto approccio.

Negli ultimi anni sono stati introdotti nella pratica clinica nuovi agentiantitumorali (raltitrexed, irinotecan, oxaliplatino, anticorpi monoclonali)che, almeno nella malattia avanzata, hanno dato interessanti risultati in ter-mini di efficacia. Circa nuove modalità di somministrazione dei farm a c i ,rispetto al tradizionale bolo, è anche da segnalare il trial randomizzato inter-gruppo di fase III EORTC-GITCCG 40963: PETACC 2 che confronta, semprein adiuvante, schemi infusionali diversi di 5-FU associati o meno al leuco-vorin vs lo standard FU/AF. Tuttavia, nessuno di questi farmaci o di questenuove modalità di somministrazione può essere oggi proposto in fase adiu-vante nella pratica clinica, alla luce anche dei maggiori costi e soprattuttop e rché nessuno studio ha ancora dimostrato la loro equivalenza o superio-rità rispetto agli schemi tradizionali basati sull’uso del 5-FU ‘a bolo’. Le stes-se raccomandazioni valgono per l’uso di questi farmaci in combinazionecon gli schemi tradizionali. Le stesse riserve valgono per l’uso in adiuvantedi altre forme di immunomodulazione, nonostante i risultati a lungo term i-ne ottenuti con il BCG in uno studio francese, soprattutto nei pz allo stadioC, nei quali il trattamento immunomodulante è risultato in grado di ridurresensibilmente il rischio di recidiva e la sopravvivenza dei pz.

Come si è visto precedentemente, la maggior parte degli studi con 5-FU/LEV o 5-FU/AF ha dimostrato un vantaggio per la chemioterapia solonei pz allo stadio C. Tuttavia, l’analisi combinata dei 4 studi clinici condottidal NSABP (C-01, C-02, C-03, C-04) ha documentato un beneficio sovrap-ponibile per lo stadio B e C.

Raccomandazioni:1) Il trattamento adiuvante postchirurgico deve essere considerato

elettivo nei pz allo stadio C, purché non esistano controindica-zioni legate all’età o allo stato di salute del pz (A).

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2) Nella pratica clinica, al di fuori di studi controllati, l’indicazioneal trattamento adiuvante può essere estesa anche ai pz in stadioB2-B3 (pT3, pT4) con caratteristiche prognostiche sfavorevoli (ele-vati valori preoperatori di CEA, presenza di componente mucino-sa, basso grado di diff e renziazione = G3, aneuploidia, elevatoindice di proliferazione, perdita di alleli dei cromosomi 5, 17 e 18,elevati livelli di timidilato-sintetasi, perforazione colica) che tut-tavia devono essere correttamente informati sui potenziali rischie sul fatto che il grado di evidenza scientifica è inferiore (B).

3) 6 mesi di trattamento con 5-FU/AF sono sufficienti. Questi sche-mi sembrano essere superiori rispetto allo schema tradizionalecon 5-FU/LEV per 12 mesi e la compliance sembra essere supe-riore, anche per la minore durata del trattamento. Lo schemacon 5-FU e AF a basse dosi della Mayo Clinic (5-FU: 425 mg/m 2 evgg 1-5/AF: 20 mg/m2 ev gg 1-5: ogni 4 settimane) fornisce risulta-ti sostanzialmente comparabili allo schema tipo “Machover” (5-FU: 370-400 mg/m2 ev gg 1-5/AF: 200 mg/m 2 ev gg 1-5: ogni 4 set-timane) anche se la tossicità è diversa. Entrambi questi schemisono in grado infatti di ridurre il rischio di mortalità del 30% (A).

5.2. Terapia adiuvante del carcinoma del retto

5.2.1. Storia naturaleLa diversa storia naturale del carcinoma del retto giustifica un differente

approccio nel trattamento postchirurgico di tale neoplasia. In particolare,il riscontro di una recidiva locale della malattia è una evenienza che simanifesta molto più frequentemente per i tumori a partenza dal retto, conun rapporto di 3 a 1 rispetto a quelli di derivazione dal colon. Questadiversa evoluzione della malattia comporta la necessità di prendere in con-siderazione l’inserimento di un trattamento radiante allo scopo di megliocontrollare localmente la malattia.

Il fattore prognostico più importante è sicuramente lo stadio della malat-tia. L’insorgenza di una recidiva locale è strettamente correlata allo stadioiniziale della malattia, aggirandosi per lo stadio A di Dukes (I stadio TNM)intorno al 5-10%, per lo stadio B (II stadio TNM) intorno al 25-30% e perlo stadio C (III stadio TNM) intorno al 50%. L’istotipo muciparo della neo-plasia, la grandezza del tumore e la sua distanza dal margine anale (mag-giore è la distanza, minori sono le recidive) sono fattori prognostici pre-dittivi di recidiva altrettanto importanti. Non meno significativa è la corret-ta e completa exeresi chirurgica del tumore primitivo e del mesoretto. Glistessi fattori di ordine biologico citati per il carcinoma del colon sono incorso di migliore definizione anche in questa patologia.

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5.2.2. Stato dell’arteÈ noto che la radioterapia effettuata dopo trattamento chirurgico radica-

le è in grado di ridurre l’incidenza di recidive locali, anche se purtropponessuno studio clinico controllato ha fino ad oggi dimostrato in modo ine-quivocabile che ciò si traduca anche in un aumento della sopravvivenzaglobale. Come trattamento complementare postoperatorio negli stadiB2/B3 e C infatti, la radioterapia è in grado di dimezzare il tasso delle reci-dive pelviche attese dopo la sola chirurgia radicale (valutabili intorno al30%); con la tecnica a campi multipli, alla dose di 45-55 Gy in 5 settima-ne entro 1-3 mesi dall’intervento chirurgico, rappresenta pertanto nel sud-detto sottogruppo di pz uno degli standard terapeutici.

L’associazione della chemioterapia alla radioterapia nei medesimi stadidi malattia è pertanto stata proposta con la duplice finalità di aumentarel ’ e ffetto locale della radioterapia e di ridurre il rischio di metastasi adistanza. In particolare, l’utilizzo di schemi contenenti 5-FU (somministra-to in bolo prima e durante la radioterapia) ha determinato negli stadi B2e C una riduzione del rischio di recidiva locale pari al 46%, del rischio dimetastasi a distanza del 37% e della mortalità globale del 29%.Impiegando inoltre l’infusione continua del 5-FU per tutta la durata dellaradioterapia, a sua volta preceduta e seguita da somministrazioni settima-nali di 5-FU in bolo, si sono ottenuti risultati migliori, con un vantaggio a4 anni di follow-up pari a circa il 10% sia in termini di sopravvivenza libe-ra da malattia (63% vs 53%) sia di sopravvivenza globale (70% vs 60%), ap rezzo peraltro di una maggiore tossicità.

L’utilizzo della radioterapia pre-operatoria ha visto negli ultimi anni unc rescente interesse. Alcuni studi hanno infatti evidenziato un vantaggionell’impiego di tale modalità terapeutica in termini di riduzione delle re c i-dive locali e uno studio svedese anche in termini di sopravvivenza glo-bale. I potenziali vantaggi della radioterapia preoperatoria consistononella possibilità di ridurre il volume tumorale e migliorare la re s e c a b i l i t à .I n o l t re, il trattamento preoperatorio è in grado di diminuire la vitalità dellecellule tumorali eventualmente disseminate al momento dell’intervento,nonché l’incidenza delle complicanze aderenziali e dei danni tardivi inte-stinali, che nel caso della radioterapia postoperatoria sono legati alla fis-sità delle anse intestinali. Non ancora ben definito è invece il ruolo dellachemioterapia neoadiuvante che, in associazione alla radioterapia, èattualmente oggetto di studi clinici contro l l a t i .

Raccomandazioni:1) Il trattamento adiuvante postchirurgico deve essere considerato

elettivo nei pz allo stadio B2-B3 e C (pT3, pT4, qualunque T in pre-

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senza di metastasi linfonodali), purché non esistano controindi-cazioni legate all’età o allo stato di salute del pz (A).

2) Lo standard terapeutico è rappresentato dall’associazione dellaradioterapia (45-55 Gy in 5 settimane) con gli schemi di chemio-terapia a base di 5-FU comunemente impiegati nel carcinoma delcolon (A).

3) La chemioterapia e la radioterapia devono essere iniziate entro 3-10 settimane dall’intervento chirurgico. Alcuni schemi prevedo-no l’uso del 5-FU, a bolo o in infusione continua, in concomitan-za con la radioterapia (A).

4) Anche se uno studio randomizzato ha evidenziato un impattof a v o revole della radioterapia preoperatoria sulla sopravvivenza,il grado di evidenza a supporto di questa tecnica è pro b a b i l m e n t ei n f e r i o re rispetto a quello relativo alle combinazioni chemio-radioterapiche postchirurgiche. Tale tecnica non appare pertantoraccomandabile come “standard terapeutico”. Tuttavia, nei Centridove esista una adeguata esperienza, la radioterapia pre o p e r a t o-ria può essere un’alternativa alla radioterapia postoperatoria. Inquesto caso è raccomandata una stadiazione clinica quanto piùpossibile esauriente, perché la stadiazione patologica all’inter-vento potrebbe portare ad una sottovalutazione dello stadio all’e-s o rdio. Il volume irradiato comprende il retto e le stazioni linfo-nodali pelviche con schermatura per quanto possibile della vesci-ca. Il regime di irradiazione può essere ipofrazionato, con inter-vento precoce, o simile a quello suggerito in postoperatoria, conintervento 4 settimane dopo la fine della irradiazione (B).

5.3. Terapia palliativa del CCR

5.3.1. Storia naturaleIn generale, la sopravvivenza mediana dei pz con CCR avanzato è intor-

no ai 10-12 mesi e l'impatto della chemioterapia sulla prognosi è da molticonsiderato irrilevante. Infatti, nella maggior parte degli studi la percen-tuale di risposte complete è risultata intorno al 5%, con il 20% di risposteparziali ed un altro 30% di stabilizzazioni. La durata delle risposte è purerisultata limitata a 4-6 mesi, ed il tempo a progressione è anch'esso intor-no ai 4 mesi.

Tuttavia, in 3 studi randomizzati, la sopravvivenza mediana dei pz nontrattati è stata la metà circa di quella dei pz sottoposti a chemioterapia pal-liativa; inoltre il trattamento ha indotto una risposta soggettiva nel 50% deicasi circa, prolungando la sopravvivenza libera da sintomi e consentendo aipz asintomatici di mantenere più a lungo una normale qualità di vita.

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Pertanto, se da un lato è bene non dimenticare che la chemioterapiadella malattia in fase avanzata ha solo un intento palliativo, dall'altro vatenuto ben presente che quando ci si astiene dal trattare il pz si rinunciaalla possibilità di raddoppiare la sopravvivenza attesa e di assicurare unbeneficio clinico concreto.

In generale, i pz con malattia massiva, metastatica a più organi, condi-zioni generali scadenti (basso PS), sintomatici, con elevati livelli basali diCEA, LDH e globuli bianchi hanno ben poche possibilità di trarre benefi-cio dalla chemioterapia palliativa. In queste condizioni è ben difficile otte-nere più del 5-10% di risposte, mentre la probabilità di gravi effetti colla-terali è molto elevata, intorno al 40-50%. La situazione opposta ribalta ilrapporto efficacia/tossicità: a fronte di concrete possibilità di ottenere unabuona palliazione (50% circa), il rischio di effetti collaterali gravi è mode-sto (10% circa). I problemi decisionali più complessi riguardano ovvia-mente i casi intermedi.

5.3.2. Stato dell’arte

5.3.2.1. Terapia di prima lineaAl momento, la combinazione 5-FU/AF rappresenta la chemioterapia di

prima linea più comunemente utilizzata. In una serie di studi clinici l'ag-giunta di leucovorin al FU sembra aumentare la risposta dal 10-20% al 20-40%, sebbene non venga aumentata in modo significativo la sopravviven-za mediana raggiunta dal FU da solo (Advanced Colorectal Cancer Meta-Analysis Project, 1992).

La modalità più comune di somministrazione del FU è quella endove-nosa in bolo, in combinazione con il leucovorin. Il trattamento in bolo oin infusioni di breve durata dovrebbe essere somministrato in regimeambulatoriale, eccetto che nei pz in fase postoperatoria precoce o, quan-do sia necessario monitorare la reazione del pz agli effetti collaterali, all'i-nizio del trattamento.

Alcuni regimi terapeutici, basati sulla infusione continua, possono richie-dere la ospedalizzazione ad intervalli regolari. L'infusione continua puòessere presa in considerazione all'interno di studi clinici o in pz nei qualiil rischio di tossicità rappresenta una particolare preoccupazione. Va tenu-to presente che le considerazioni tecniche riguardo all'infusione continuapossono rendere difficile l'applicazione di questa modalità di somministra-zione. Complessivamente sembra che le risposte obiettive siano superioriimpiegando le alte dosi infusionali.

Il raltitrexed può essere considerato una alternativa alla combinazione 5-FU/AF. Raltitrexed ha una maggiore specificità per la timidilato-sintetasirispetto al 5-FU. Studi clinici controllati con raltitrexed hanno evidenziato

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percentuali di risposta obiettiva confrontabili con quelle ottenute conFU/AF, e una sopravvivenza mediana compresa tra 9,7 e 11,2 mesi.

Al momento attuale non esistono dati che supportino un vantaggio dinuovi farmaci antitumorali in monochemioterapia rispetto al 5-FU/AF.Peraltro, uno studio randomizzato recente ha dimostrato che la combina-zione di 5-FU/AF infusionale ad alte dosi settimanale o quindicinale conirinotecan è significativamente superiore al medesimo regime con 5-FU/AFsia in termini di risposte obiettive (49% verso 31%) che in termini disopravvivenza, durata della risposta e stabilizzazione di malattia. Questo èil primo studio che mostra un regime chemioterapico più attivo ed effica-ce in prima linea nella situazione metastatica rispetto ad un regime consolo 5-FU o 5-FU/AF. Studi sono in corso con la combinazione 5-FU e oxa-liplatino, raltitrexed ed irinotecan ed i risultati definitivi saranno disponi-bili a breve termine. Analogamente, sono in corso studi di combinazionedi nuovi farmaci che rappresentano pro-farmaci del 5-FU (capecitabina,UFT, eniluracile) con il vantaggio della somministrazione con irinotecan eoxaliplatino; perlatro, esistono già studi controllati che hanno dimostratoeguale attività ed efficacia di tali profarmaci vs. la combinazione 5-FU/AF.

5.3.2.2. Terapia di seconda lineaLe possibili scelte chemioterapiche di seconda linea dipendono sostan-

zialmente da due fattori: la chemioterapia impiegata in prima linea e lecondizioni generali (performance status).

Il performance status di per sé può rappresentare il fattore decisionalepiù importante: infatti un trattamento chemioterapico di seconda linea puòessere dannoso qualora le condizioni generali del pz siano particolarmen-te precarie.

Per quanto concerne il trattamento in prima linea, è opportuno ricorda-re che il 5-FU può avere differente meccanismo biochimico d'azione aseconda della modalità di modulazione scelta (AF, Methotrexate) e dellamodalità di somministrazione (bolo, infusione continua); è quindi possibi-le ottenere una seppur bassa percentuale di risposte cambiando la moda-lità di modulazione del 5-FU.

Sicuramente i nuovi farmaci che agiscono con meccanismi d'azione com-pletamente differenti rappresentano una seconda linea chemioterapicaconsigliabile. Promettenti sono anche i dati relativi alla combinazione diFU infusionale con la mitomicina C e con l'oxaliplatino. Anche se i datisono preliminari, suscitano grande interesse gli studi con fluoropirimidinesomministrabili oralmente, per la potenziale assimilabilità ai regimi infu-sionali.

La cronomodulazione, nella quale la somministrazione dei farmaci viene

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aggiustata secondo il ritmo circadiano del metabolismo dei farmaci e dellasintesi del DNA delle mucose e del midollo osseo, può aumentare l'attivi-tà dei farmaci e ridurne la tossicità. Gli schemi terapeutici di terapia cro-nomodulata contenente FU, oxaliplatino e acido folinico hanno riportatouna percentuale di risposta superiore al 50%, permettendo una resezionechirurgica curativa di metastasi considerate non resecabili nel 13-25% deipz. Al momento comunque, la cronomodulazione rimane una tecnica dariservare a studi clinici.

5.3.2.3. IrinotecanIl farmaco è registrato come terapia di seconda linea dopo progressione

al 5-FU. Sono state riportate percentuali di risposta del 17-20% anche incaso di malattia resistente al 5-FU e studi recenti riportano un incrementostatisticamente significativo della sopravvivenza rispetto alla "best suppor-tive care". Il beneficio clinico sembra essere consistente, nonostante il far-maco sia gravato da importanti effetti collaterali quali diarrea di grado III-IV nel 22-24% dei casi e una analoga percentuale di neutropenia grave.

5.3.2.4. Chemioterapia locoregionaleLe metastasi epatiche rappresentano una delle principali cause di mor-

bidità e di morte nei pz affetti da CCR; per tale motivo le lesioni possonoessere aggredite con efficacia attraverso una chemioterapia locoregionale,utilizzata da sola o in combinazione con schemi di terapia sistemica. Almomento tuttavia, si è ancora in attesa di risultati definitivi da studi clinicisull'efficacia e l'ottimale disegno di regimi di chemioterapia locoregionale.La terapia intrarteriosa necessita di un intervento per il posizionamento delcatetere e può essere gravata da sequele chirurgiche e da complicanze cor-relate al catetere stesso: pertanto questa metodica non è giustificata in tuttii pz portatori di metastasi epatiche. In ogni caso, se un pz viene operatocon intento palliativo o per un tentativo di resezione chirurgica di meta-stasi epatiche che siano poi non resecabili, il posizionamento rappresentaprobabilmente il miglior approccio terapeutico.

Raccomandazioni1) Soprattutto se il pz è anziano ed asintomatico, la decisione di

attendere alcuni mesi e di iniziare la chemioterapia quando lamalattia divenga sintomatica, può essere la scelta migliore (A).

2 ) Il trattamento chemioterapico dovrebbe essere somministrato ini-zialmente per alcuni mesi e continuato fino a pro g ressione dimalattia, con adattamento della posologia alla tolleranza del pz (A).

3) La combinazione 5-FU/AF rappresenta la modalità più comune ditrattamento. L'uso del 5-FU per infusione continua dovrebbe

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essere riservato ai pz a rischio di tossicità. In ragione del mag-giore costo, l’altitrexed dovrebbe essere riservato ai pz non can-didabili al 5-FU. L'uso della chemioterapia locoregionale dovreb-be essere riservato ai pz con sole localizzazioni epatiche e solo acasi selezionati (A).

4) Il trattamento di seconda linea dovrebbe essere subordinato allecondizioni cliniche del pz e alle sue attese. Le opzioni terapeuti-che vanno adattate alle singole situazioni cliniche e devono averecome obiettivo primario il mantenimento di una buona qualitàdella vita. Se è indicato un trattamento, va tenuto presente che il5-FU può avere differente meccanismo biochimico d'azione aseconda delle modalità di modulazione (AF, methotrexate) e disomministrazione (bolo, infusione continua); è quindi possibileottenere una seppur bassa percentuale di risposte cambiando lamodalità di modulazione del 5-FU. I nuovi farmaci che agisconocon meccanismi d'azione complementare differenti rappresenta-no una seconda linea chemioterapica consigliabile (A).

5.4. Bibliografia1. AA.VV. La terapia adiuvante dei tumori del colon-retto. Lettera

Terapeutica 9 (Suppl), 1998.2. AA. VV. Colon cancer adjuvant therapy. Ca Cancer J Clin 47: 243-256,

1997. 3. AA.VV. Il trattamento del paziente affetto da carcinoma del colon-retto.

Tumori 84 (Suppl 1), 1998.4. AA.VV. Trattamento adiuvante del carcinoma del colon. Stato dell’arte

e prospettive future. Tumori 85: A1-A6, 1999.