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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea in Giurisprudenza Tesi di Laurea MUSEI, NUOVE TECNOLOGIE E DIRITTO D’AUTORE: UN’ANALISI COMPARATA Relatore: Prof. Roberto Caso Laureanda: Francesca Dal Molin Parole chiave: Diritto dell’era digitale – Comparazione giuridica – Musei – Tecnologie digitali – Diritto d’autore Anno Accademico 2006/2007

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

MUSEI, NUOVE TECNOLOGIE E DIRITTO D’AUTORE:

UN’ANALISI COMPARATA Relatore: Prof. Roberto Caso

Laureanda: Francesca Dal Molin

Parole chiave: Diritto dell’era digitale – Comparazione giuridica – Musei – Tecnologie digitali –

Diritto d’autore

Anno Accademico 2006/2007

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Ai miei genitori, per tutto il supporto morale e materiale

che mi hanno dato in questi anni, senza chiedere in cambio niente,

se non la mia serenità Ringraziamenti: Ricordare significa far passare di nuovo dal cuore, che per gli antichi è la sede della mente… Nel mio passano tutte le inquiline di Via Diaz n. 8, grazie per l’amicizia e la spensieratezza, vi voglio bene. Grazie a Anna, Elisa, Sara, Adele, Paola. Grazie a Mariella per essermi stata vicino nei momenti duri. Grazie a Alessia e Erika. Grazie a Isabella, Anna e Veronica per avermi sopportato nelle ultime concitate fasi della stesura. Grazie a Luca e Cristina, in qualità di “scriba”! Grazie ai sorrisi e alle lacrime degli ultimi tre anni, che mi hanno fatto crescere e reso più forte. Lode e onore al VECCHIO VECCHIO ordinamento! Grazie a Don Gianni per gli strumenti informatici! Vorrei infine ringraziare la dott.ssa Alessandra Schiavuzzi, l’avv. Silvia Stabile, Davide Orlando e il dott. Paolo Guarda per la gentilezza e la disponibilità.

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“L’arte è una lotta. Nell’arte bisogna metterci la pelle. (…)

Piuttosto che esprimermi debolmente preferisco tacere”

F. Millet

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I

INDICE

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO PRIMO

BENI CULTURALI E ISTITUZIONE MUSEALE:

L’EVOLUZIONE STORICO – NORMATIVA

1.1 I beni culturali in Italia, breve percorso storico – legislativo 4

1.1.1 Dall’antichità agli Stati preunitari 6

1.1.2 Dall’unità d’Italia 15

1.1.3 Dal 1939 ai giorni nostri 20

1.2 Uno sguardo all’estero, la dimensione sovranazionale dei beni culturali 36

1.2.1 Organismi e convenzioni internazionali per la tutela dei beni

culturali 38

1.2.2 I beni culturali e l’Unione Europea 42

1.2.3 Protezione in taluni Stati europei e cenni su quella oltreoceano 46

1.3 Transizione da bene culturale a risorsa economica? 62

1.3.1 Un quadro della situazione attuale: tutela, valorizzazione, fruizione,

gestione 65

1.3.2 Gli strumenti della valorizzazione 71

1.4 Il museo: un cambio d’immagine 79

1.4.1 L’evoluzione del museo: da struttura contemplativa… 80

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II

1.4.2 (segue) …a struttura divulgativa 82

1.4.3 Il museo contemporaneo: definizione e missioni 86

1.4.4 Pubblico e comunicazione 92

1.4.4.1 Il marketing museale 97

1.4.5 Gestione e standard dei musei 100

CAPITOLO SECONDO

BENI CULTURALI, MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE

2.1 L’avvento delle nuove tecnologie 104

2.2 Europa e digitalizzazione 108

2.3 Pubblico e nuove tecnologie 113

2.4 Gli strumenti a servizio dell’utente 116

2.4.1 Collegamenti video 117

2.4.2 Banche dati e archivi online 118

2.4.3 Guide multimediali e interattive 120

a) CD rom o DVD rom 120

b) Chioschi multimediali e work stations 121

c) Audio e videoguida 122

2.4.4 Musei virtuali 125

2.4.4.1 Standard per il web 131

2.5 Vantaggi e svantaggi delle nuove tecnologie 132

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III

CAPITOLO TERZO

IL DIRITTO D’AUTORE E LA SFIDA DEL DIGITALE

3.1 L’origine e lo sviluppo dei diritti sulle opere dell’ingegno 134

3.2 I livelli di protezione: 137

a) internazionale 137

b) comunitario 139

c) nazionale 141

3.3 Copyright e diritto d’autore: concetti fondamentali 144

3.4 Musei e digitalizzazione dei contenuti 149

3.5 Proprietà intellettuale nel museo: la costruzione del sito web 158

3.5.1 I contenuti: 166

a) testi, immagini, suoni 167

b) linking e framing 175

c) nome di dominio 179

d) opera multimediale 181

e) banca dati 194

3.5.2 La tutela giuridica: che tipo di qualificazione per il museo? 201

3.6 Criticità: riproduzione e fruizione 206

a) Eccezioni e limitazioni, fair use e fair dealing 208

b) I sistemi di DRM 218

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IV

CAPITOLO QUARTO

“BEST PRACTICES” PER I MUSEI

4.1 Gestione dell’intellectual property 225

a) Pratiche di inventario della proprietà intellettuale 226

b) Politiche di gestione 233

c) Gestione e negoziazione dei diritti 235

4.2 Business opportunities 237

CONCLUSIONI 244

BIBLIOGRAFIA 251

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1

INTRODUZIONE

Questa tesi si propone di analizzare il processo evolutivo, dall’antichità ai

giorni nostri, della tutela, della fruizione e della gestione dei beni culturali,

custoditi all’interno dei musei, che risultano ora arricchirsi di nuovi significati

grazie all’avvento delle tecnologie digitali. Lo sviluppo di Internet ha permesso

loro di essere rappresentati in maniera diversa e più innovativa; e di essere altresì

utilizzati per la creazione di opere dell’ingegno, per costituire una nuova forma di

trasmissione della conoscenza. La sfida della digitalizzazione ha gettato le basi

per il futuro della comunicazione, ma il rispetto delle norme legislative non è

sempre agevole. La tutela oggi approntata deve tenere in considerazione i diritti

che ciascuna opera creata porta con sé, i quali, se correttamente applicati,

permettono una efficace predisposizione e un efficace sfruttamento dei contenuti.

La trattazione è organizzata in quattro capitoli, ciascuno dei quali prende

in considerazione una diversa fase evolutiva. Per ogni excursus storico, l’esame

partirà dai tempi più antichi, per arrivare all’uso corrente. Inoltre, talune materie

verranno affrontate attraverso una comparazione con gli Stati Uniti e l’Australia,

senza pretese di completezza e di esaustività.

Il primo capitolo illustra in dettaglio la nascita, lo sviluppo e

l’affermazione della protezione dei beni culturali nel nostro paese. È un lungo

percorso, che ha conosciuto periodi di grande incuria e momenti di sviluppo di

una efficace tutela. L’analisi prosegue attraverso l’operato delle organizzazioni

internazionali, per mezzo delle tappe fondamentali segnate dalle convenzioni

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internazionali. L’indagine si sposterà poi sul contesto degli Stati dell’Europa, del

continente australiano e dell’esperienza statunitense. La politica culturale e la

produzione normativa condurranno alla valutazione della nuova concezione di

bene culturale, che va oltre un mero criterio estetizzante ed estende il campo

d’intervento introducendo la dimensione economica. La considerazione della

dimensione economica agevolerà, poi, la strategia di sfruttamento degli stessi

beni. Lo studio si chiude con l’analisi della struttura museale, nella quale la

finalità di conservazione nel lungo periodo ha avuto una funzione preminente

sulle finalità conoscitiva e comunicativa. Oggi il museo si sostanzia in un soggetto

attivo nella creazione e divulgazione della cultura, in grado di creare un nuovo

contesto conoscitivo che può essere fruito da un gran numero di utenti.

Il secondo capitolo segna l’entrata, nel museo, di Internet e delle nuove

tecnologie, che rappresentano l’occasione per sondare un nuovo approccio col

pubblico reinventando il messaggio culturale per renderlo accessibile a tutti. Si

prenderanno in considerazione anche le politiche europee di digitalizzazione e la

reazione del pubblico a tali novità. Di seguito si proporranno alcuni esempi di

strumenti creati dalle nuove tecnologie, implementati nei musei. È importante

segnalare l’importanza dell’elemento della virtualità nei musei: fruizione virtuale

in qualche modo depotenziata rispetto all’originale, ma che elimina la passività

della mera contemplazione degli oggetti custoditi.

Nel terzo capitolo si condurrà un’analisi specifica dei diritti di proprietà

intellettuale innescati dalle nuove tecnologie, prendendo le mosse da un’analisi

generale, per giungere a scandagliare alcuni aspetti particolari. Si cercherà di

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3

delineare la fondamentale attività di digitalizzazione che caratterizza l’attività

odierna dei musei e delle altre istituzioni culturali. L’esame poi si fa più

particolare prendendo in considerazione la realizzazione del sito web e tutte le

problematiche che sorgono in relazione a questa operazione. L’ambiente digitale e

l’avvento delle nuove tecnologie impongono di rivedere taluni concetti e

comportamenti che assumono profili diversi e complessi, come l’attività di

riproduzione.

L’ultimo capitolo getta uno sguardo sulla gestione pratica dei diritti di

proprietà intellettuale. I musei dovrebbero realizzare politiche interne e strategie

di sfruttamento delle proprie risorse, tenendo presente qual è lo scopo che è stato

loro assegnato e lavorando senza far subire detrimento alla propria reputazione.

L’elaborato si chiude con alcune conclusioni.

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4

CAPITOLO PRIMO

BENI CULTURALI E ISTITUZIONE MUSEALE:

L’EVOLUZIONE STORICO – NORMATIVA

“La verità è che il museo è legato inscindibilmente alla società che lo ha istituito, ha espresso la società stessa nella sua totalità”

(G. PINNA, Per un museo moderno,

in L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal ‘500 ad oggi, Milano, 1989)

1.1. I beni culturali in Italia, breve percorso storico – legislativo

Il nostro paese racchiude al suo interno un ragguardevole patrimonio

storico, artistico e culturale, frutto della sedimentazione dei secoli e idoneo a

congiungere il “passato e il presente delle culture che popolano una nazione”,

presente che viene così arricchito “di storia e di senso”1.

Da più parti si afferma che tale patrimonio costituisce circa la metà o

addirittura la quasi totalità di quello mondiale2. Questa ricchezza non ha però

impedito, nel corso del tempo, distruzioni, saccheggi, sperperi e depauperamenti a

causa delle numerose guerre o ad opera di collezionisti senza scrupoli.

Bisogna attendere molto per una compiuta definizione del concetto di bene

culturale, così come di patrimonio3. Il percorso giuridico – legislativo è ampio e

complesso; si parla di una tradizione molto lunga che ha visto la formazione

1 V. F. BOTTARI, F. PIZZICANELLA, L’Italia dei tesori, legislazione dei beni culturali, museologia, catalogazione e tutela del patrimonio artistico, Bologna, 2002, 2. 2 Cfr. SETTIS, Italia S. p. A. L’assalto al patrimonio culturale, Torino, 2002, 14; A. TRENTINI, Codice dei beni culturali e del paesaggio, commentario ragionato del d. lgs 22 gennaio 2004, n. 42, Rimini, 2005, 21; G. MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali, Milano, 2004, 11, dato introdotto da una interessante tabella che evidenzia i primi dodici paesi per numero di siti iscritti nella lista del patrimonio culturale mondiale dell’UNESCO. 3 Il termine “bene” fu usato, per la prima volta in Italia, dalla Commissione “Franceschini” negli anni ’60, di cui si parlerà più diffusamente in seguito.

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progressiva di una coscienza civile, di un sentimento di protezione e custodia di

quel patrimonio che concorre a formare la storia, la cultura e l’identità dell’Italia.

È essenziale porre l’attenzione sull’attributo di pubblicità del patrimonio: i beni

che lo compongono devono essere in ogni caso destinati alla pubblica fruizione,

solo così si spiega la tutela anche nei confronti dei patrimoni privati.

Uno storico dell’arte c’illustra il motivo per il quale il patrimonio italiano è

tanto importante nel mondo, infatti “nel nostro Paese si è elaborata negli ultimi

secoli una cultura della conservazione molto attenta e molto sofisticata, che ha

valorizzato i singoli monumenti, grandi e piccoli, come parte di un insieme

incardinato nel territorio, di una rete ricca di significati identitari, nella quale il

valore di ogni singolo monumento od oggetto d’arte risulta non dal suo

isolamento, ma dal suo innestarsi in un vitale contesto. È questa cultura che ha in

primo luogo garantito in Italia la conservazione dei monumenti in misura

maggiore che altrove”4. Inoltre, “le regole della tutela non sarebbero mai nate

senza un forte senso civico innestato da una conservazione tanto intensa, tanto

capillare, tanto continuativa del nostro patrimonio culturale; né questa

conservazione sarebbe tanto densa e duratura, se non fosse stata garantita da

regole efficaci nel lungo corso dei secoli”5.

La cura che l’Italia dedica al proprio patrimonio è tanto importante da

venire definita “Modello Italia”6: il nostro paese possiede la legislazione più

protettiva dei propri beni culturali sebbene la maggior parte di essi sia di proprietà

di privati o di enti ecclesiastici. Il punto di forza consiste nel ritenere il patrimonio 4 V. SETTIS, cit, 14. 5 V. G. VOLPE, Manuale di legislazione dei beni culturali, storia e attualità, Padova, 2005, XVI. 6 V. SETTIS, cit., 15.

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culturale italiano “un insieme…soggetto a protezione in quanto depositario di una

memoria storica che appartiene ai cittadini”7. Ogni cittadino si sente parte di una

tradizione che lega saldamente i beni al territorio “in un continuum di musei, opere

distribuite nel territorio…ambiente e paesaggio”8 e che ogni sua espressione è

parte fondamentale di città, province, regioni.

È come possedere una sorta di eredità che si intende trasmettere ai posteri.9

Per tracciare una panoramica che abbia una parvenza di completezza

nell’oltremodo ampia tematica dei beni culturali, ritengo sia opportuno ricostruire

un quadro storico sistematico concernente l’evoluzione della legislazione, che

parte dall’antichità e arriva fino ai nostri giorni.

1.1.1. Dall’antichità agli Stati preunitari

Il punto di partenza scelto si riferisce ad un passato piuttosto lontano: la

Roma dell’età antica10, la quale ha contribuito in modo decisivo alla

configurazione e alla valorizzazione di quel patrimonio che tutto il mondo ci

invidia. L’analisi si muoverà attraverso l’età monarchica, l’età repubblicana e

quella imperiale.

La disciplina normativa prevista per quelli che oggi chiamiamo beni

culturali è frutto di una lenta evoluzione che trova radici significative nel mondo

classico ed una sintesi efficace nel diritto romano11.

7 V. VOLPE, cit., XVI. 8 V. VOLPE, cit., XVI. 9 Cfr. SETTIS, cit., 26. 10 In questo senso VOLPE, cit., 1. 11 Cfr. A. PONTRELLI, L’organizzazione e la tutela dei beni culturali, in V. CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Milano, 1999, 245.

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7

È curioso scoprire come i cittadini romani dell’inizio dell’età monarchica

non potessero liberamente dedicarsi alle cd. “arti sedentarie e illiberali”,

occupazioni manuali colpevoli di suscitare “turpi desideri” e “passioni illecite

che guastavano i corpi e le anime di quelli che le esercitavano”, così scriveva uno

storico e retore greco12. Solo le tradizionali attività dell’agricoltura e della guerra

erano in grado di portare al dominio di se stessi e condurre i cittadini”non

all’offesa reciproca ma alla ricchezza a spese dei nemici”. Nei tempi antichi

infatti prevaleva la strategia di devastazione del patrimonio, il bottino di guerra

rappresentava la finalità prevalente e gli eserciti che occupavano i paesi erano

animati dal desiderio di distruggere e depredare. Tuttavia inizialmente le opere

d’arte non possedevano un autonomo valore, erano ancora considerate inutili, al

contrario del denaro e di ricchezze di altro tipo. Solo in qualche caso si notava un

personaggio illuminato, che prestava adeguata attenzione al patrimonio artistico e

tentava una primitiva forma di tutela. Con l’avvicendarsi delle fasi storiche, poi,

passando attraverso la Repubblica, fino all’età imperiale, la visione dei cives

romani iniziava a cambiare. Cresceva l’ammirazione per l’arte dei greci, il bottino

di guerra oramai comprendeva statue greche e oggetti di lusso, sottratti con lo

scopo di abbellire la città e coadiuvare il trionfo dei generali, rimpatriati vittoriosi

dalle loro imprese. Roma non conosceva ancora una tale tradizione artistica, per

questo le opere d’arte venivano subito considerate come appartenenti alla città ed

al popolo romano.

12 Si tratta di Dionigi di Alicarnasso, v. VOLPE, cit., 1.

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Ecco come è nata l’idea di patrimonio di tutti, che spingeva le personalità

influenti, come gli stessi generali, a esortare “la pubblica fruizione di opere in

mano privata”13. Lo stesso imperatore Tiberio si era appassionato ad una statua

che aveva fatto trasportare nella sua casa, la quale, però, era stata destinata ad un

uso pubblico; il suo comportamento era talmente sgradito dal popolo romano da

imporre allo stesso principe la restituzione del bene. Ad un privato non era

consentito un siffatto comportamento, nemmeno se si trattava dell’imperatore14!

Nasceva, così, l’idea delle res populi romani facenti parte di un demanio

pubblico, che le rendeva imprescrittibili e inalienabili; le opere in mano privata

erano sottoposte a un “vincolo di destinazione all’uso pubblico” che nemmeno il

proprietario avrebbe potuto eliminare15. Si riconoscevano “profili di interesse

pubblico nel rapporto con i beni e le opere d’arte”16 e si cercava di assicurarne la

pubblica fruibilità; editti e senatoconsulti prevedevano a chiare lettere la tutela

delle opere d’arte e vi preponevano una speciale magistratura.

L’età repubblicana vedeva, quindi, l’affermazione di nuovi ideali, sensibili

alla conservazione e alla valorizzazione delle opere d’arte, alla protezione e alla

tutela di un patrimonio che ancora andava formandosi, ma già era cospicuo.

È peculiare l’uso dei concetti di vincolo e inalienabilità, fondamentali,

ancor oggi, nella politica di tutela di quelli che chiamiamo beni culturali.

Il valore sociale delle opere, assieme a quello etico e artistico contribuiva

all’affermazione di una identità culturale, un’esigenza che si avvertiva fortemente,

13 Cfr. VOLPE, cit., 3. 14 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 20. 15 In questo senso VOLPE, cit., 4. 16 Cfr. PONTRELLI, cit., 245, 246.

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in epoca romana, soprattutto nelle fasi di trasformazione politica e sociale, come il

passaggio dalla Repubblica all’Impero17.

Taluni magistrati venivano preposti alla tutela del patrimonio e avevano il

compito di dare applicazione a tutto il sistema legislativo di protezione.

Con la decadenza dell’Impero, il sistema cominciava a venire meno, così

come il godimento pubblico di opere e monumenti. Con Costantino e Teodosio I il

cristianesimo era stato, dapprima, riconosciuto e poi elevato a religione ufficiale

dell’impero18. Questo dava il via ad una progressiva attività di spoliazione di tutti

gli edifici di età pagana e di reimpiego dei materiali recuperati19, per la

costruzione di altre opere, soprattutto in onore del nuovo culto. Il sentimento di

avversione per la passata tradizione pagana concepiva la spoliazione come una

offesa e una distruzione sistematica tanto da divenire attività estremamente

diffusa. Nonostante ciò, si potevano riconoscere delle eccezioni. Per porre un

freno alla rovina di opere ed edifici venivano imposti dei vincoli ai privati, il

cittadino non poteva procedere alla distruzione del proprio edificio o alla vendita

degli ornamenti ad altri privati20. Il sentimento di conservazione e di

preservazione di un’identità era ancora forte negli animi e si contrapponeva

l’atteggiamento ormai diffuso di noncuranza, che avrebbe caratterizzato l’età nella

quale ci si stava lentamente addentrando, il Medioevo.

17 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 20, 21. 18 In questo senso VOLPE, cit., 10. 19 Spoliazione intesa come asportazione abusiva e indiscriminata di materiali di pregio dai monumenti più antichi; reimpiego inteso come pratica diffusa in età paleocristiana e medievale di riutilizzare frammenti di monumenti antichi per la costruzione e l’ornamentazione di nuovi edifici; V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 21. 20 Cfr. VOLPE, cit., 12, 13.

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10

Il re barbaro Teodorico si era impegnato nella conservazione e nella

promozione e aveva cercato di attuare un programma di valorizzazione delle

antichità romane, irrinunciabile testimonianza di un passato della civiltà. Egli

aveva disposizioni per ripristinare monumenti e sensibilizzato la cittadinanza alla

preservazione. Ma aldilà di questo interesse e dell’attività di trascrizione e

trasmissione della cultura documentaria e letteraria antica, ad opera dei conventi e

di alcune corti illuminate, durante il Medioevo erano svaniti in modo progressivo

l’azione di salvaguardia e di protezione di monumenti e opere del passato. L’unica

eccezione era costituita dalla conservazione e dalle valorizzazione in particolare di

oggetti ed edifici destinati anche al culto. Il papato in particolare aveva tentato di

promuovere un ideale di forza e grandezza, mutuandolo dal glorioso passato di

Roma, che rispecchiasse e intensificasse la sua supremazia spirituale e secolare21.

Tuttavia il degrado e l’abbandono erano tornati a ripresentarsi: nel secolo

XIV, Papa Clemente V muoveva verso Avignone dando inizio a quel periodo

chiamato “cattività avignonese”22; la città di Roma era in forte degrado per la

lontananza del papato e un tale decadimento suscitava nei cittadini il desiderio di

ritorno ai fasti del passato.

Solo nel Quattrocento, con il Concilio di Basilea e la chiusura dello scisma

d’Occidente, la crisi del cristianesimo trovava una via d’uscita e la Chiesa

manifestava unità e potenza.

21 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 24. 22 Durante questo periodo, che si sviluppa dal 1378 al 1417, si elessero due Pontefici, uno dei quali risiedeva ad Avignone, l’altro a Roma.

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11

Si delineava ormai il periodo dell’Umanesimo, gli studiosi avevano

riscoperto il rispetto e persino l’adorazione per il passato classico, declinato in

arte, poesia, bellezza; i Pontefici ponevano come uno degli obiettivi principali un

programma politico per la realizzazione di progetti urbanistici e di restauro;

nascevano mecenatismo e collezionismo di opere classiche e contemporanee; si

promuovevano, inoltre, studi archeologici.

Un intenso sentimento di rinascita e salvaguardia aveva pervaso Pontefici,

principi e signori; la loro preoccupazione era quella di riportare le città al loro

antico splendore23.

Verso la fine del Quattrocento si poteva riconoscere una vera e propria

volontà di continuità col passato che assurgeva a modello estetico di riferimento e

costituiva un insieme di ricchezze da scoprire. Si riconosceva ormai l’esistenza di

un patrimonio culturale che necessitava di essere custodito da persone

competenti, in grado di individuare cosa era degno di pregio e quindi di tutela. Si

ripresentava la misura della sottrazione di taluni beni privati per sottoporli a

vincolo pubblico, rendendoli, così, patrimonio collettivo. La costruzione di questa

consapevolezza era passata attraverso i secoli del Cinquecento e del Seicento,

caratterizzati dall’affinamento di regole giuridiche già in vigore e da tentativi di

dare sistematicità alla disciplina24.

La normativa di tutela dei beni si fondava su due punti principali: il

controllo degli scavi, per evitare i furti degli stessi beni rinvenuti, e il divieto di

esportazione.

23 In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 25. 24 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 29.

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Il Settecento, età dell’Illuminismo, pervaso da un forte senso di razionalità,

aveva concretizzato la riconduzione ad unità dell’immensa mole di interventi

legislativi.

Un editto dell’inizio del secolo “delineava una suddivisione tematica e culturale

dei beni, distinguendo le “cose” artistiche che erano frutto del genio creativo, da

quelle che erano espressione degli aspetti culturali e storici di un popolo”25.

L’arte e l’antichità assumevano un nuovo ruolo sociale di diffusione della cultura

anche in ambito internazionale; le città si arricchivano di nuovi visitatori; iniziava

il fenomeno del Grand Tour; l’Italia era divenuta una meta ambita non soltanto di

pellegrini attratti dai luoghi di culto, ma anche di intellettuali, intenditori, artisti

che visitavano le innumerevoli risorse paesaggistiche e artistiche italiane, aprendo

il mercato delle opere d’arte che contribuiva alla formazione delle collezioni,

anche straniere, meccanismo sorvegliato in malo modo dalla concessione di

licenze di esportazione, dal momento che erano cresciute le spoliazioni e le

esportazioni illegali26.

Alla fine del Settecento Napoleone, giunto al potere, aveva iniziato la sua

campagna, e con essa iniziava altresì una stagione di saccheggi e sottrazioni al

patrimonio culturale, attività da lui consentite e ritenute ordinarie, tanto da averle

trasformate in “furti legalizzati”. Molte delle opere d’arte dei paesi sconfitti, e in

particolar modo dell’Italia, venivano trasferite in Francia; la sola nazione degna di

possederle. Lo spostamento comprendeva sculture e quadri, libri, manoscritti,

25 BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 29. 26 Cfr. VOLPE, cit., 35.

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considerati “trofei in grado di risarcire i danni di guerra”27. Per evitare che si

parlasse di esproprio, Napoleone era riuscito a porre i trattati di pace come base

giuridica e successivamente, in Francia, i beni trafugati andavano a costituire la

sua collezione museale. A seguito dell’attività napoleonica di spoliazione, solo un

editto, proveniente dal Vaticano, con carattere di urgenza ed eccezionalità, aveva

provato ad arginare il fenomeno. Il provvedimento riorganizzava i principi della

conservazione, della protezione e della produzione. La tutela era estesa a tutto il

patrimonio mobile, pubblico e privato, e si affermava il criterio della protezione

preventiva. I redattori procedevano alla compilazione di un elenco dettagliato di

tutti i generi di opere che non potevano essere vendute. In più, i proprietari privati

di Gallerie o Musei o comunque di oggetti antichi di particolar pregio erano tenuti

ad autorizzare controlli periodici dello Stato, soprattutto per verificarne lo stato di

conservazione. La proprietà, in questo modo, subiva una sorta di compressione,

situazione che fino ad allora non era mai stata contemplata. Questa previsione

sembrava davvero “sancire la natura pubblica dell’interesse storico e artistico

dei beni in questione”28.

La normativa risultava in quel periodo assai utile, ma non completamente

efficace, in quanto i commerci illegali erano ancora fiorenti.

La potenza francese era stata, infine, arrestata. Napoleone aveva perso le

sue guerre, con la Convenzione di Vienna si era ristabilita la pace e con essa tutti i

Paesi privati dei loro beni artistici potevano pretendere la loro restituzione. Se per

Napoleone le opere d’arte costituivano trofei della vittoria, per i paesi depredati,

27 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 34. 28 V. VOLPE, cit., 49.

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invece, diventavano simboli della liberazione. Ogni nazione aveva, così, inviato i

propri delegati in Francia per il recupero delle opere. In ambito giuridico si faceva

strada “una prima prospettiva internazionale in fatto di tutela, con un particolare

riconoscimento del valore del patrimonio italiano”29. Il compito di recuperare i

beni saccheggiati all’Italia era stato assegnato al grande artista Antonio Canova,

che già ricopriva la carica di prefetto delle Antichità, ed era personalità di

riguardo nel campo della protezione dell’arte. Grazie al suo operato, una grande

quantità di opere era tornata sul suolo italiano. L’esperienza napoleonica aveva

aperto definitivamente gli occhi sull’importanza della salvaguardia e della tutela

dei beni culturali.

Nel 1820 il cardinale Bartolomeo Pacca aveva emanato un editto che si

riconosceva essere “pietra miliare della legislazione di tutela storico –

artistica”30. Tale normativa costituiva la prima organica sistemazione giuridica

sulla salvaguardia e l’innovazione riguardava sia l’impianto normativo, sia gli

strumenti applicativi. Per fare qualche esempio, si andava a trattare delle

esportazioni, istituendo una tassa doganale; si ponevano dei criteri guida per

l’apposizione dei vincoli sui beni privati; veniva affrontato il tema della

definizione del patrimonio da tutelare. Una struttura piramidale vigilava

sull’applicazione delle norme, c’erano tecnici ed esperti, commissioni periferiche

e una commissione permanente a cui si era affidato l’incarico di vigilare sulle

belle Arti. Si riconosceva una mancata applicazione integrale di questo editto, ma

29 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 36. 30 V. VOLPE, cit., 50.

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la sua struttura era comunque assai importante come anticipazione della

legislazione successiva31.

La sistemazione della materia dei beni culturali trova le sue origini nella

legislazione degli Stati preunitari, i quali, nella maggior parte, avevano stabilito

regole sulla circolazione e sulla conservazione delle cose d’arte e di storia, anche

se ancora non si era sviluppata pienamente l’idea di protezione di un “patrimonio

collettivo”32. Lo Stato Pontificio aveva sempre posseduto una cospicua normativa

in tema di beni culturali, che altri stati italiani preunitari avevano molto spesso

preso come esempio.

Importante era la produzione normativa del Granducato di Toscana, attento

alla salvaguardia dei propri beni mobili, e quella della Repubblica Veneta.

Quest’ultima, da sempre fondamentale snodo commerciale, possedeva un fornito

patrimonio, interamente catalogato, e per questo più accuratamente conservato33.

1.1.2. Dall’Unità d’Italia al 1939.

Dopo l’Unità d’Italia, avutasi nel 1861, era stato mantenuto pressoché

inalterato l’impianto normativo degli Stati preunitari, per quanto riguardava la

materia della tutela dei beni culturali. Continuava altresì l’applicazione del recente

editto Pacca, emanato dallo Stato Pontificio, che non aveva comunque dato

risultati incoraggianti34.

31 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 36, 37. 32 In questo senso PONTRELLI, cit., 246, 247. 33 In questo senso VOLPE, cit., 57. 34VOLPE, cit., 64.

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Nel nuovo Regno d’Italia si registravano grossi fermenti: flussi migratori,

espansione e speculazione edilizia avevano messo da parte la politica di

salvaguardia e tutela del patrimonio e si erano registrati effetti deleteri su di esso.

Paradossalmente era sanzionata maggiormente l’alienazione degli immobili

riconosciuti come beni culturali, che gli eventuali danni o le distruzioni.

Nel 1848 Carlo Alberto aveva concesso una carta costituzionale ai sudditi,

la quale sanciva, all’articolo 29, l’inviolabilità della proprietà privata. Per questo

tutti i tentativi di introdurre una disciplina organica per proteggere gli oggetti di

particolare pregio erano falliti; avrebbero infatti interferito con la sfera di libertà

dei privati35.

L’unica normativa che si proponeva di salvaguardare i beni concerneva

solo le situazioni di incuria o negligenza da parte dei proprietari, per le quali era

prevista la possibilità di espropriare la proprietà privata in tutto o in parte, in base

ad un interesse pubblico36.

Proprio la legge 25 giugno 1865, n. 2359 “Espropriazione per causa di

pubblica utilità”, aveva messo in discussione l’inviolabilità della proprietà privata,

in quanto l’articolo 83 contemplava la possibilità di esproprio da parte dello Stato

di immobili di valore storico, nel caso di incuria o negligenza da parte del privato.

Con l’entrata in vigore del codice civile, sempre nel 1865, si era verificata

l’abolizione degli istituti del fedecommesso e del maggiorascato37: secondo gli

35 Cfr. PONTRELLI, cit., 247. 36 In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 40. 37 Il fedecommesso è un istituto che riguarda il diritto successorio, regola il testamento degli eredi i quali hanno il divieto di disperdere il patrimonio familiare, se possiede una valenza storico – artistica, trasmettendolo intatto da un soggetto ad un altro; il maggiorascato è un istituto simile, la trasmissione qui avviene da primogenito a primogenito; BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 41.

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studiosi rappresentavano illegittime limitazioni del diritto di proprietà e anche

della libera circolazione dei beni. Un ravvedimento si era verificato solo nella

provincia di Roma: il vecchio Stato Pontificio disponeva di un ingente patrimonio

storico – artistico e nel 1870, per evitarne la dispersione, erano stati ripristinati gli

istituti aboliti.

Da più parti si manifestava l’esigenza di una legislazione unitaria in tutto il

Regno d’Italia. Si discutevano numerosi progetti di legge e si avvicendavano

numerosi ministri. Erano stati emanati alcuni regi decreti, caratterizzati comunque

da un impianto frammentario e provvisorio, ma non era decollata una normativa

unitaria. Il Ministro pro tempore alla Pubblica Istruzione Correnti aveva proposto

un progetto di legge molto articolato, basato sull’idea che il patrimonio dovesse

essere conservato gelosamente e preservato dalle distruzioni, ma non aveva avuto

fortuna.

Dobbiamo entrare nel ventesimo secolo per incontrare il primo sistema di

norme dotate di una certa organicità: la legge 12 giugno 1902, n. 185

“Conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte e antichità”, la quale aveva

introdotto il principio di tutela di beni mobili e immobili che avevano pregio

d’arte. Il testo presentava tuttavia alcune lacune, come il divieto di esportazione

per le sole opere di sommo pregio. L’applicazione della legge era stata

difficoltosa e non era diventata un punto di riferimento in materia.

Nel 1906 era stata nominata una commissione ministeriale, dai cui lavori

sarebbe emersa la futura legge 20 giugno 1909, n. 364 “Norme per l’inalienabilità

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delle antichità e delle belle arti”, detta comunemente “legge Rosadi”38. Tale

provvedimento e il successivo regolamento applicativo39 costituivano la prima

legge veramente organica e moderna che assicurava la protezione del patrimonio

storico – artistico nazionale. In essa era previsto, tra le altre cose, il principio della

inalienabilità di beni appartenenti a Stato, enti pubblici e privati, che la comunità

considerasse aventi un valore storico – culturale. Inoltre lo Stato aveva il dovere

di dare il proprio parere sulla gestione del bene da parte del privato e di vigilare

sulla circolazione e l’esportazione dei beni.

Le soprintendenze erano state ulteriormente perfezionate con nuove

competenze, sempre votate alla conservazione e alla tutela. Altra importante

novità era l’introduzione dell’espressione “cose mobili o immobili di interesse

storico, archeologico o artistico”, che individuava questa categoria particolare di

testimonianze uniche e irripetibili, che illustravano la cultura di un popolo ed

erano soggette alla legislazione relativa. Il patrimonio era preso in considerazione

in chiave più moderna, “come mezzo in vista di un fine conoscitivo, del quale lo

Stato doveva farsi garante, attraverso politiche mirate di protezione e di

diffusione delle conoscenze acquisite”40. Le leggi n. 185 del 1902 e n. 364 del

1909 “avevano introdotto i primi strumenti moderni di protezione per le cose

mobili d’interesse storico, archeologico e artistico, codificando il principio

dell’interesse pubblico, l’obbligo di conservazione e i necessari poteri strumentali

38 Era stata infatti proposta dal Ministro Rosadi, accanito sostenitore delle belle arti e delle bellezze naturali, cfr. VOLPE, cit., 77, 78. 39 Il regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363 “Regolamento di esecuzione delle leggi 20 giugno 1909, n. 364, e 23 giugno 1912, n. 688, per le antichità e le belle arti”. 40 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 43, 44.

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della pubblica amministrazione, e andando, infine, a costituire l’archetipo della

legislazione successiva”41.

È doveroso, però, notare che a partire dalla prima legge di tutela dopo

l’Unità, quella del 1902, e anche con la successiva legge del 1909, il termine

“museo” era scomparso dalla legislazione italiana. Era tutelato solo in quanto

“raccolta governativa” e sul piano giuridico era regredito a semplice “collezione”,

da un lato, e a “luogo”, dall’altro.

Dall’Unità d’Italia al 1939, il processo che aveva portato ad una compiuta

disciplina della materia dei beni culturali era stato lungo ed elaborato. L’opinione

pubblica aveva prestato grande attenzione al patrimonio culturale e raggiunto la

consapevolezza che esso meritava la massima considerazione. Si registravano,

però, grosse ostilità in ambito parlamentare.

Prima dell’Unità il patrimonio culturale era stato disciplinato

compiutamente con la normativa mutuata dallo Stato Pontificio: il sistema era

organico, doveva condurre ad una tutela efficace del patrimonio, ma se talune

forze spingevano in questa direzione, tal’altre contrastavano ferocemente una

siffatta organizzazione, in forza dell’articolo 29 dello Statuto Albertino, che, come

detto, sanciva l’inviolabilità della proprietà privata. I tentativi degli studiosi si

arenavano sui lavori parlamentari, a cui tali forze si opponevano.

La sistemazione odierna della materia trova importanti riferimenti negli

interventi degli Stati preunitari, la maggior parte dei quali aveva previsto forme di

controllo pubblico sulla circolazione e sulla conservazione delle cose d’arte e di

41 V. PONTRELLI, cit., 248.

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storia. Il sistema normativo di tali Stati sarebbe rimasto in vigore a lungo, in

quanto a lungo gli studiosi non erano a raggiungere un accordo sul tema della

tutela giuridica del patrimonio42.

Solo con l’inizio del ventesimo secolo, i lavori parlamentari erano giunti

all’emanazione di due importanti leggi, che erano degne di costituire un modello

per la legislazione successiva43.

1.1.3. Dal 1939 ai giorni nostri.

Nei primi decenni del XX secolo erano state emanate le prime leggi che si

riferivano ad uso, conservazione e tutela “dei beni e delle cose di interesse

storico, artistico e archeologico”44.

Nonostante le difficoltà incontrate per rendere produttivi i lavori

parlamentari, era un periodo fertile, ricco di riflessioni. La legge Rosadi denotava

già una larghezza di vedute, in quanto tendeva ad ottenere una sistemazione

integrale delle cose di interesse storico e artistico e delle bellezze naturali,

cercando di potenziare il ruolo dello Stato, prevedendo una forte organizzazione

amministrativa. Ci si stava inoltrando nel periodo fascista, particolarmente attento

alla cura della “bellezza”.

Questa normativa generale era stata integrata e corretta fino a giungere, nel

1939, alla emanazione di due leggi, che avrebbero rappresentato per oltre un

cinquantennio la principale riforma del Novecento, in tema di tutela del

patrimonio. Mi riferisco alla legge 1° giugno 1939, n. 1089 “Tutela delle cose di 42 Cfr. PONTRELLI, cit., 246, 247. 43 Idem, 247, 248. 44 V. TRENTINI, cit., 23.

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interesse artistico e storico” e alla L. 21 giugno 1939, n. 1497 “Protezione delle

bellezze naturali”. Da notare che anche in questi testi legislativi non compare la

parola museo.

Tale riforma era legata al nome di Giuseppe Bottai che se ne era fatto

promotore e garante, e che ricopriva, nel governo fascista, il ruolo di Ministro

dell’Educazione nazionale.

La trattazione introduceva la locuzione “beni culturali”, ma tale

espressione non era ancora ufficialmente comparsa e l’oggetto preso in

considerazione dalle leggi citate riguardava le “cose”: il nesso era ancora il valore

materiale. L’identificazione di tali “cose” avveniva attraverso l’utilizzo di criteri

restrittivi e classificazioni gerarchiche di natura estetica: si faceva riferimento alle

cose aventi “cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica”,

“bellezze panoramiche considerate come quadri naturali”45. Tali stringenti

caratteri permettevano la facile identificazione della cosa “di non comune pregio”

e facilitavano l’intervento sui singoli oggetti, sia per la tutela, che per il restauro o

la promozione. Anche se il linguaggio legislativo privilegiava l’elemento

oggettivo, la base d’appoggio del legislatore era costituita dalla coscienza

collettiva, che considerava le bellezze e i monumenti come “patrimonio

culturale”, il quale forniva unità e identità alla comunità.

La riforma Bottai possedeva numerosi pregi: essa, infatti, razionalizzava la

legislazione precedente, integrandola con criteri e norme che non erano stati

considerati adeguatamente. Individuava puntualmente la procedura di apposizione

45 V. M. MONTELLA, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003, 22.

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del vincolo sui beni privati, mobili o immobili, attraverso l’atto di notifica, in

modo che la fruizione diventasse pubblica. Venivano inoltre disciplinate

conservazione, esportazione, importazione ed espropriazione dei beni. Solo le

opere degli autori viventi venivano escluse dalla tutela, il commercio, infatti, ne

sarebbe risultato inevitabilmente intralciato. Infine, nel caso di mancato rispetto

dei precetti contenuti, erano previste norme sanzionatorie46.

Nonostante sulla carta la riforma si presentasse ben articolata e

promettente, la sua attuazione fu assai difficile.

C’era chi lamentava la mancata emanazione di un decreto applicativo atto

a sviluppare alcune tematiche poste solo in termini generali47, compito che

sarebbe stato comunque non facile, data la mancanza di precedenti a cui fare

riferimento48. C’era chi invece sosteneva che la legge racchiudesse lacune e

imperfezioni49 tali da incidere sul raggiungimento degli scopi prefissati50. Ma

c’era anche un altro fattore significativo di cui è necessario tenere conto: era in

atto la Seconda Guerra Mondiale, la quale non aveva certo contribuito allo

spiegamento degli effetti della legge. Anzi il periodo era funestato dalla

distruzione e dalla dispersione di un gran numero di opere51.

Se però guardiamo la riforma dalla prospettiva attuale, essa appariva

estremamente accorta e innovativa e poteva ancora rivestire il ruolo di fonte dei

46 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 46. 47 Ciò per quanto riguarda soprattutto la L. 1089, per la L. 1497, infatti, un regolamento di attuazione venne emanato, il r.d. 1357/40. 48 In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47. 49 Tra cui la mancanza di una compiuta definizione di “bene culturale”, a cui si sopperirà in seguito. 50 In questo senso TRENTINI, cit., 25. 51 Cfr. VOLPE, cit., 95.

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principi vigenti in materia di conservazione, tutela e divulgazione del

patrimonio52.

Al quadro fornito dalle leggi del ’39 si collega l’emanazione di altri due

importanti provvedimenti: il Codice Civile nel 1942 e la Costituzione nel 1948.

Il Codice Civile, attraverso gli articoli 822 e 824, ricomprende nel

demanio dello Stato i beni immobili di interesse storico, artistico e archeologico e

le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche53. Il museo

continuava ad essere considerato non in quanto istituto e servizio, ma in quanto

collezione o luogo di “custodia delle cose”.

La Costituzione, tappa basilare nella storia della Repubblica italiana,

inseriva tra i suoi principi fondamentali quelli di promozione culturale e tutela del

patrimonio. L’articolo 9 allacciava il principio della tutela del patrimonio storico e

artistico e del paesaggio al dovere di promozione dello sviluppo della cultura54.

Proprio il compito di promozione suggeriva di “utilizzare” i beni come “strumenti

di cultura”, e sulla base di questo procedere alla tutela, alla protezione ed al

rispetto dei beni stessi55. La Costituzione stabiliva un collegamento tra bene e

patrimonio culturale e definiva lo Stato italiano come “Stato di cultura”,

imponendogli l’adozione di ruolo attivo per garantire lo sviluppo della cultura e la

formazione di una coscienza collettiva che riconosca come valore quello della

protezione del patrimonio56.

52 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47. 53 Idem, 45, 46. 54 L’articolo 9 della Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. 55 In questo senso PONTRELLI, cit., 249. 56 Idem, 250, 251; cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47.

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Il contesto storico in cui si trovava ad essere promulgata la Costituzione, e

perciò anche i principi di cui abbiamo parlato, è tuttavia alquanto complesso. La

Seconda Guerra mondiale era appena terminata e molti ritenevano quantomeno

controproducente focalizzare l’attenzione e le energie su degli obiettivi così

“marginali”. Tale atteggiamento aveva portato a non applicare la legislazione,

inclusa la legge Bottai, ed a relegare i beni in uno stato di oggettivo abbandono57.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie al massiccio sviluppo economico e

sociale, si assisteva all’enorme espansione delle città, comprese le città d’arte. Di

conseguenza era cresciuta, nell’opinione pubblica, la consapevolezza della

necessità di proteggere il patrimonio. Sull’onda del movimento di opinione erano

stati organizzati convegni intorno al problema e si promuovevano studi per

conoscere a fondo il vero stato delle cose. Per perseguire efficacemente tutti gli

scopi, il Ministero aveva istituito nel 1963 una Commissione parlamentare mista,

formata da politici e studiosi, che viene ricordata con il nome di “Commissione

Franceschini”58. A quest’organo era affidato l’arduo compito di svolgere una

completa indagine sull’intera problematica dei beni culturali, e definire proposte

di legge per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali anche tramite la

revisione di leggi già esistenti59. La Commissione aveva lavorato per due anni e

pubblicato un documento in tre volumi intitolato “Per la salvezza dei beni

culturali in Italia”, in cui delineava tutta la gamma dei beni culturali. È

fondamentale notare che la Commissione definiva quelle che prima erano le “cose

57 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47, 48. 58 Dal nome dell’on. Francesco Franceschini che la presiedeva; l’istituzione avvenne con la l. 310/64. 59 Cfr. S. MUSMECI, Il concetto di bene culturale, Acireale, 1996, 15.

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di interesse storico e artistico” come beni culturali, e in modo più specifico come

beni che costituiscono “testimonianze materiali aventi valore di civiltà”, concetto

composito in cui la materialità del bene confluiva nella immaterialità del valore

ideale di civiltà60.

La locuzione bene culturale implicava una nuova e diversa nozione di

cultura, rappresentando un oggetto che include anche monumenti e cose

assoggettabili a vincolo, ma “non si esauriva né materialmente né

concettualmente nella loro somma”, “non ci si limitava più a episodi di

eccellenza estetica”, ma si andava più a fondo per cogliere l’aspetto della

“testimonianza delle passate civiltà”61. Si passava dall’uso di un criterio

“estetico” per l’individuazione del bene protetto a un criterio “storicistico”. La

definizione era aperta, il suo contenuto non poteva essere vincolante e definito62.

L’accento doveva essere posto sul valore culturale del bene, sulla sua funzione

sociale, e non sulla sua materialità. Anche l’intervento pubblico doveva essere

diverso, meno rinchiuso nella tutela, ma aperto piuttosto a garantire la fruizione

tramite le attività di valorizzazione e gestione.

La formula utilizzata dalla Commissione per descrivere i beni culturali,

ovvero “testimonianze aventi valore di civiltà”, era stata mantenuta anche in

provvedimenti molto recenti, tra cui il Testo Unico del 199963 e il recente Codice

60 È la prima volta che l’espressione “beni culturali” compare in un documento ufficiale italiano, ma in realtà la definizione è presente già nel 1954 nella Convenzione Internazionale dell’Aja per la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato, in questo senso TRENTINI, cit., 26; BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 48, 49; VOLPE, cit., 113, 114. 61 V. C. BARBATI, M. CAMMELLI, G. SCIULLO, Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2006, 2. 62 V. MONTELLA, cit., 31, 32. 63 D. lgs 29 ottobre 1999, n. 490 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell' art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352”.

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del 200464. Ciò per sottolineare ancora una volta l’abbandono della materialità e

l’adozione di una concezione più aperta e adeguata agli oggetti in questione,

poiché “il diritto è un luogo di mediazione di interessi che nascono e si

incrociano al di fuori di esso e in esso invocano riconoscimento e rispetto”65.

Purtroppo l’indagine condotta dalla Commissione non aveva portato ad

alcuno specifico provvedimento normativo. Nonostante questo, il programma

governativo non si era esaurito, nel 1968, infatti, era stata nominata un’altra

Commissione parlamentare, la “Commissione Papaldo”, a cui era affidato il

compito di proseguire il lavoro di indagine già iniziato e proporre uno schema di

legge per la riforma delle strutture dell’amministrazione dei beni culturali66.

Anche gli studi condotti da questa Commissione non approdarono a un

provvedimento definitivo e ufficiale.

Negli anni successivi, indagini e dibattiti non si erano fermati e si lavorava

alacremente per arrivare, nel 1975, all’istituzione del “Ministero per i beni

culturali e ambientali”67: il paese aveva, così, un organo specifico in grado di

indagare efficacemente lo stato dei beni culturali e di intervenire in modo mirato.

Con questa legge istitutiva del Ministero diveniva ufficiale l’uso dell’espressione

bene culturale68.

64 D. lgs 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. 65 V. VOLPE, cit., 116, 117. 66 Non esisteva infatti una struttura autonoma che si occupasse di beni culturali, essi erano ancora affidati alla pubblica istruzione, con inefficienza di mezzi e di risorse finanziarie. 67 Con la L. 29 gennaio 1975, n. 5 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 14 dicembre 1974, n. 657, concernente la istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali”. 68 In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 1.

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Di tanto in tanto venivano varate nuove leggi, che non portavano, tuttavia,

ad una vera e propria riforma del settore, in quanto piuttosto rappresentavano

delle misure di emergenza. Restava, quindi, in vigore, senza sostanziali

modifiche, la legislazione Bottai. Si giunge a qualcosa di più concreto solo

nell’ultimo decennio del Novecento: erano stati emanati una serie di

provvedimenti che anzitutto tentavano di disciplinare i rapporti tra Stato, Regioni

ed Enti Locali, nonché il coinvolgimento dei privati69.

Vanno ricordate la “legge Ronchey” nel 199370 e la “legge Bassanini” nel

199771: la prima consentiva di attivare per la prima volta una collaborazione

proficua tra il pubblico e il privato, permettendo l’ingresso nelle strutture museali

di volontari costituiti in associazioni; la seconda, invece, ribadiva il compito della

tutela come proprio dello Stato, prevedendo comunque una delega al Governo per

il possibile conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti Locali, per

la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

Successivamente era stato emanato il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento

di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in

attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, con il quale si stabilivano

le vie praticabili per una collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, che

comprendono tutela, valorizzazione, gestione e promozione. Venivano

compiutamente definiti concetti prima nebulosi, e trattati in modo sintetico: in

69 Di cui si parlerà più diffusamente in seguito, nel par. 1.3. 70 L. 14 gennaio 1993, n. 4 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 novembre 1992, n. 433, recante misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni in materia di biblioteche statali e di archivi di Stato”. 71 L. 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.

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particolare l’articolo 148 analizzava distintamente i concetti di bene culturale e

ambientale, attività culturali, tutela, gestione, valorizzazione e promozione72.

Tuttavia, nonostante le competenze fossero divise tra i diversi livelli istituzionali,

era difficile fissare dei confini operativi tra l’una e l’altra attività73. Il d. lgs 112/98

procedeva ad una ripartizione delle competenze secondo il criterio della

sussidiarietà: lo Stato aveva competenze specificamente individuate, mentre

Regioni ed Enti Locali concorrevano all’attività di conservazione, anche se, per

quest’ultima, non erano previsti né modalità, né mezzi di attuazione74. Da notare

che la funzione della gestione, in particolare di musei o altri beni culturali, era

“trasferibile”: salve le funzioni e i compiti di tutela riservati allo Stato, essa

riguardava l’autonomo esercizio delle attività concernenti, tra l’altro,

l’organizzazione ed il funzionamento, i servizi aggiuntivi, le riproduzione e le

concessioni d’uso dei beni, lo sviluppo delle raccolte museali75.

Il d. lgs. 112/98 aveva fornito anche un indiretto ma significativo contributo al

riconoscimento formale del museo come istituto76.

72 Articolo 148: “1. Ai fini del presente decreto legislativo si intendono per :

a) “beni culturali”, quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge;

b) “beni ambientali”, quelli individuati in base alla legge quale testimonianza significativa dell’ambiente nei suoi valori naturali o culturali;

c) “tutela”, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione;

d) “valorizzazione”, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione;

e) “attività culturali”, quelle rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte;

f) “promozione”, ogni attività diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali.” 73 In questo senso MONTELLA, cit., 38. 74 Cfr. T. ALIBRANDI, P. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 159 - 161. 75 V. art. 152 co.3 d. lgs 112/98. 76 In questo senso MONTELLA, cit., 53; MAGNANI, cit., 214, 215.

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Negli stessi anni in cui venivano emanati i citati provvedimenti legislativi,

si metteva in moto una riflessione tra gli studiosi sulla possibilità di allargare il

sistema dei beni culturali alle attività culturali. Tale volontà si era tradotta nel d.

lgs. 368 del 1998 “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a

norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che concerneva altresì

l’implementazione di attività come quelle teatrali, musicali, cinematografiche,

danza e altre forme di spettacolo, la fotografia, le arti plastiche e figurative, il

design industriale. Si introduceva anche la vigilanza sullo sport, competenze

derivate dal soppresso Ministero dello sport, Turismo e Spettacolo. “Si realizzava

a livello organizzativo il trapasso dal bene culturale, inteso come res, all’attività

avente valore culturale”77.

Il Ministero si occupava di tutela, gestione e valorizzazione dei beni

considerati, secondo le disposizioni del d. lgs. 112/9878 e possedeva anche

competenze e risorse in materia di diritti d’autore, attraverso la vigilanza sulla

Società per il diritto d’autore; e competenze nel campo dell’editoria79.

Recentemente, il d. lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 “Riorganizzazione del Ministero per

i beni e le attività culturali”, ha realizzato una riforma delle divisioni interne al

Ministero.

Come si può facilmente notare, gli interventi in materia di beni culturali

continuavano ad essere caratterizzati da affastellamenti di leggi e decreti che

sebbene avessero lo scopo di “rendere meno oscuro” l’ambito delle competenze

spettanti ai vari organi, non contribuivano a dare unitarietà al sistema. 77 V. ALIBRANDI, FERRI, cit., 118. 78 Ora abrogato dal d. lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. 79 Cfr. VOLPE, cit., 329.

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Alla fine degli anni Novanta, l’obiettivo dell’unitarietà sembrava meno

lontano: con l’emanazione della la legge 8 ottobre 1997, n. 352 “Disposizioni sui

beni culturali”, veniva affidato al Governo il compito dell’adozione di un decreto

legislativo recante un Testo Unico nel quale fossero riunite e coordinate tutte le

disposizioni vigenti in materia di beni culturali e ambientali80. Sebbene l’utilizzo

di un Testo Unico implicasse l’accorpamento unicamente dell’esistente con scarso

spazio per l’innovazione, era comunque un altro passo verso la riforma e la

semplificazione. Il Testo Unico emanato era contenuto nel d. lgs. 490/1999, e

trovava la sua base nella L. 1089/3981, la quale rappresentava la legislazione di

riferimento del periodo storico precedente. Per quanto riguarda i rapporti tra Stato,

Regioni ed Enti Locali, la L. 1089 affidava la tutela solo allo Stato mentre il d.

lgs. 490/99 riprendeva le disposizioni contenute nel d. lgs. 112/98 riguardo i

trasferimenti di competenza dallo Stato alle Regioni.

Qualche anno dopo, con la L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al

titolo V della parte seconda della Costituzione”, venivano nuovamente messi in

discussione e modificati i rapporti tra Stato e autonomie territoriali. Premesso

che, nell’esercitare la propria potestà legislativa, Stato e Regioni devono adeguarsi

al limite del “rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti

dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”82, si poteva

individuare un rafforzamento dell’autonomia spettante a Regioni, Province, Città

80 L’art. 1 co.1 di tale legge recita infatti: “Il Governo delle Repubblica è delegato ad emanare, entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali. Con l’entrata in vigore del testo unico sono abrogate tutte le previdenti disposizioni in materia che il Governo indica in allegato al medesimo testo unico.” 81 La quale, con l’entrata in vigore del Testo Unico, viene abrogata. 82 Art. 117 co. 1.

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Metropolitane e Comuni; con questa riforma lo Stato è tutt’ora titolare di una

potestà legislativa che può definirsi “speciale”, poiché esso è legittimato a

disciplinare in via esclusiva, con proprie leggi, solo una serie di materie

tassativamente elencate nel comma 2 dell’art. 117 Cost.. Per le restanti materie, la

potestà legislativa va alle Regioni, che si trovano perciò a disporre di una potestà

generale, che precedentemente spettava allo Stato.

In base a quanto dispone il nuovo art. 117 Cost., alla potestà legislativa esclusiva

dello Stato viene riservata la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni

culturali”83, mentre alla potestà legislativa concorrente è assegnata la

“valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “promozione e organizzazione

di attività culturali”84. La valorizzazione è ripartita tra Stato e Regioni in maniera

orizzontale, secondo il criterio dell’appartenenza del bene, e in maniera verticale

secondo lo schema della legislazione concorrente. Le materie appena citate

verranno disciplinate con legge statale solo per quanto riguarda la determinazione

dei principi fondamentali.

Il legislatore costituzionale non fa nessun riferimento alla gestione, che la

legislazione ordinaria, invece, include tra le attività delle quali possono essere

oggetto i beni culturali85.

E siamo all’ultima tappa, in ordine di tempo, del percorso di riforma e

semplificazione perseguito dal legislatore: l’emanazione di quello che viene

comunemente definito “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, entrato in

vigore il 1° maggio 2004, attraverso il d. lgs. 42/2004. Tale decreto attua la legge 83 comma 2, lett. s). 84 comma 3. 85 In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 106 – 109.

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delega 6 luglio 2002, n. 137 “Delega per il riassetto e la codificazione in materia

di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto

d’autore” che all’articolo 10 delega il Governo ad emanare uno o più decreti

legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative in

materia di beni culturali e ambientali86. Il Governo avrebbe dovuto seguire taluni

principi e criteri direttivi, tra cui: adeguamento agli articoli 117 e 118 della

Costituzione; adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi

internazionali; adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche;

aggiornamento degli strumenti per la conservazione e la protezione dei beni anche

con la costituzione di fondazioni; riorganizzazione dei servizi anche attraverso la

concessione a soggetti diversi dallo Stato87.

Il Codice è stato emanato a pochi anni di distanza dalla creazione del Testo

Unico. Le motivazioni più plausibili si rintracciano nella già citata modifica del

Titolo V parte seconda della Costituzione e nella mancanza di innovatività del

provvedimento. Gli articoli 117 e 118 in particolar modo introducevano un

riassetto delle competenze e delle funzioni in capo allo Stato e alle Regioni: l’art.

117, come abbiamo visto, modificava i criteri di ripartizione di competenze

86 Art. 10 co.1: “(Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore). 1. Ferma restando la delega di cui all’articolo 1, per quanto concerne il Ministero per i beni e le attività culturali il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e, limitatamente alla lettera a), la codificazione delle disposizioni legislative in materia di:

a) beni culturali e ambientali; b) cinematografia; c) teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; d) sport; e) proprietà letteraria e diritto d’autore.”

Art. 1 co.1: “(Deleghe di cui all’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59). 1. Il Governo è delegato ad adottare (…) uno o più decreti legislativi (…)”.

87 Cfr art. 10 co. 2 l. 137/2002.

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legislative tra Stato e Regioni, rafforzando il ruolo regionale. Veniva, infatti,

indicato un doppio elenco di materie che si riferiscono o alla potestà legislativa

esclusiva dello Stato o alla potestà concorrente, lasciando le materie non espresse

agli enti territoriali regionali. L’art. 118, invece, modificava la distribuzione di

funzioni amministrative tra centro e periferia, le quali “sono attribuite ai Comuni,

salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città

metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,

differenziazione ed adeguatezza”88; si cerca di spostare il più possibile vicino ai

cittadini il centro amministrativo referente89.

Si ritiene che il Testo Unico non sia stato innovativo: esso ha sì

razionalizzato tutto l’immenso corpus legislativo che partiva dalle leggi del 1939,

ma non ha apportato alcuna sostanziale modifica, riportando quasi inalterata tutta

la normativa90. Se lo strumento del Testo Unico è un riordinamento di leggi già in

vigore, realizzato per facilitarne la conoscenza e l’applicazione, il Codice è invece

un testo organico che ha valore normativo di per sé, senza riferimento a leggi

precedenti, diretto a regolare la totalità di un vasto campo dell’attività giuridica.

La scelta di innovare la materia ricorrendo allo strumento del Codice fa

riferimento innanzitutto ad esigenze di aggiornamento e anche di armonizzazione

della disciplina per favorirne, allo stesso tempo, analisi e comprensione in

armonia appunto con i principi di semplificazione, secondo i criteri predeterminati

88 Comma 1. 89 In questo senso G. VIVOLI, Prime riflessioni sulla tutela del paesaggio alla luce del nuovo Codice dei beni culturali e sul paesaggio (d. lgs. 42/2004), reperibile all’URL: «http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/Codice_beni_culturali.htm» 90 Idem.

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dal legislatore delegante91. La motivazione più forte rimane comunque la modifica

sostanziale della Costituzione, che ha reso necessario un adeguamento al mutato

scenario che andava creandosi.

La nozione attuale di bene culturale si desume dall’art. 2, co. 2, e dagli

artt. 10 e 11 del d. lgs. 42/2004: la definizione che troviamo riprende quella

contenuta nell’art. 148, co. 1, lett a) del d. lgs 112/9892 ed è nuova rispetto a

quella fornita dal Testo Unico, il quale si limitava ad elencare i beni agli articoli 2

e 3. Tale innovazione opera tuttavia solo sul piano formale: infatti le formulazioni

del Testo Unico vengono poi riprese negli articoli 10 e 11 del Codice e troviamo

anche l’uso dell’art. 148 del d. lgs 112/9893. Le entità che il legislatore descrive

come beni culturali sono caratterizzate dalla materialità, basti notare che gli

articoli 10 e 11 parlano di cose mobili e immobili. In ogni caso l’art. 2, co.2,

ultima parte consente la configurazione di uno o più tipi di beni culturali

immateriali, che quindi non consistono in beni mobili o immobili; possono essere,

ad esempio, opere della letteratura, della musica, dell’ingegno. C’è un altro punto

da considerare: le attività culturali, che secondo la Corte Costituzionale

“riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della

cultura”94 e non sono disciplinate dal regime giuridico dei beni culturali perché

non possono essere ricondotte ai tipi di cui si parla negli articoli 10 e 1195.

91 In questo senso TRENTINI, cit., 28. 92 Il testo integrale dell’articolo è già stato riportato precedentemente, in nota. Si noti che tale decreto legislativo è stato abrogato con l’entrata in vigore del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. 93 In questo senso, BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 2 - 3. 94 V. Corte Cost. 19 luglio 2005, n. 285; e 21 luglio 2004, n. 255; BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 4. 95 Cfr. BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 4.

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Per quanto riguarda le categorie speciali all’art. 11, vengono considerati

una serie più ampia di beni rispetto a quella che prevedeva il Testo Unico:

troviamo infatti “opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte

di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni” e “le

opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico”96.

La normativa statale ora vigente in materia di tutela, valorizzazione e

fruizione dei beni culturali e paesaggistici è quindi quella contenuta e disciplinata

nel Codice97.

Si noti che il termine “ambiente” usato per il Testo Unico, è stato sostituito

dal termine “paesaggio”. La Corte Costituzionale era già intervenuta,

riconoscendone la novità: “il paesaggio passa da una tutela puramente estetica di

cose e di luoghi, considerati ciascuno per se stesso, ad una tutela di carattere

globale”98, inoltre il sostantivo paesaggio evita la confusione tra i Ministeri, dal

momento che già esiste un Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

Nel maggio 2006 sono entrate in vigore alcune modifiche al d. lgs 42/2004

tramite il d. lgs. 24 marzo 2006, n. 156 “Disposizioni correttive ed integrative al

decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali” ed il d.

lgs. 24 marzo 2006, n. 157 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto

legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”. La riforma tocca il

procedimento di “verifica dell’interesse culturale” e di autorizzazione per

interventi edilizi sui beni tutelati; riguarda inoltre il livello di valorizzazione dei

96 Art. 11 lett. d) e lett. e). 97 Cfr. R. TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Milano, 2004, 2. 98 Idem, 149.

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beni culturali attraverso la gestione diretta o indiretta dei beni, di cui si parlerà più

diffusamente in seguito.

1.2 Uno sguardo all’estero, la dimensione sovranazionale dei beni

culturali

Nel primo paragrafo è stata trattata in dettaglio la nascita, lo sviluppo e

l’affermazione del dovere di protezione dei beni culturali nel nostro paese.

Percorso lungo, che ha conosciuto momenti storici di disinteresse, incuria e

abbandono ed altri caratterizzati, invece, da fervore e vitalità nel riconoscimento

di un patrimonio nazionale meritevole di tutela efficace, mirata e duratura.

Durante le guerre era prassi saccheggiare i paesi conquistati e

impossessarsi dei loro beni, attività considerata legittima poiché nei trattati di

armistizio erano inserite delle clausole in merito, appositamente studiate. È

possibile riconoscere un’attenuante al fautore principale di questa pratica:

Napoleone Bonaparte; egli intendeva contribuire alla crescita culturale del proprio

paese e non a caso in Francia in quel periodo erano stati istituiti alcuni tra i più

famosi musei del mondo, tra cui il Louvre. Questo museo conteneva molti

importanti collezioni artistiche appartenenti alle dinastie più antiche d’Europa,

acquisite in una prospettiva lungimirante di pubblica fruizione del patrimonio,

favorendo il passaggio verso una concezione più moderna di museo, che si

preoccupa di far progredire la società99. Col passare del tempo, in numerosi trattati

di pace erano state previste clausole di restituzione e si era affermato quindi il

99 In questo senso D. AMIRANTE, V. DE FALCO, Tutela e valorizzazione dei beni culturali, aspetti sopranazionali e comparati, Torino, 2005, 9.

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principio di ricostituzione dei singoli patrimoni nazionali, in relazione a criteri di

sovranità e proprietà, ma anche di legami con il territorio e la collettività100. Si

potevano, così, individuare un nucleo di norme, dapprima consuetudinarie, che

regolavano il comportamento delle parti a livello internazionale. Si veniva

affermando un diritto dei beni culturali, regolato dal diritto pubblico, essendo i

beni considerati oggetti di particolare pregio attribuiti alla sovranità101. Dopo le

norme di natura consuetudinaria era cresciuta l’importanza della codificazione,

attraverso la predisposizione di numerose convenzioni, ma ciò solo dalla seconda

metà del XIX secolo. Grossa influenza sulle successive codificazioni aveva avuto

la Dichiarazione di Bruxelles del 1874 che conteneva principi che per la prima

volta erano accorpati in un progetto generale su questa materia, come l’impegno

dei paesi belligeranti a prendere tutte le misure necessarie per preservare gli

edifici destinati al culto, all’educazione, alle arti. Questi principi erano stati poi

ripresi nelle due Convenzioni dell’Aja, elaborate nel 1899 e nel 1907. La tutela

durante la Prima Guerra Mondiale, però, era rivelata insufficiente. Tra le due

guerre erano stati proposti vari progetti di protezione, tra cui quello dell’Ufficio

Internazionale dei Musei che ancora però non avevano dato risultati apprezzabili.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale chiunque poteva rendersi conto della

situazione di degrado in cui versavano gli Stati e dell’enorme quantità di perdite

subite, sotto diversi punti di vista. Tale contesto aveva almeno favorito la

cooperazione tra le Nazioni, per raggiungere scopi di interesse comune, mediante

100 Cfr. M. FRIGO, La circolazione internazionale dei beni culturali, Milano, 2001, 83, 84. 101 Cfr. I. DE PAZ (a cura di), Il diritto dei beni culturali nell’Unione Europea, Genova, 2004, 18; L. MEZZETTI (a cura di), I beni culturali, esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti, Padova, 1995, XV.

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la costituzione di organizzazioni internazionali, associazioni di stati dotate di

personalità giuridica. Uno degli obiettivi principali era l’affermazione di principi

di giustizia sociale, solidarietà, dignità e libertà per ogni uomo. L’attenzione

successiva anche per i beni e il patrimonio culturale va inquadrata in questa

prospettiva più ampia di realizzazione di valori di tipo etico – sociale. Si era

realizzato in questo modo un profondo dinamismo, fondamentale sia per la

trasmissione del patrimonio alle generazioni future sia per l’individuazione delle

peculiarità legate alla fruizione, a livello nazionale e internazionale102.

Nei successivi sottoparagrafi verranno analizzate le diverse tipologie di

organizzazioni internazionali e il loro operato, assieme alle tappe fondamentali

segnate dalle convenzioni internazionali. L’indagine si sposterà poi sul contesto

europeo, attraverso la politica culturale e la produzione normativa; infine, verrà

proposta una comparazione tra alcuni paesi europei in merito alle rispettive

organizzazioni interne.

1.2.1 Organismi e convenzioni internazionali per la tutela dei beni culturali

Dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1945, è stata istituita

l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), una delle più conosciute

organizzazioni internazionali. Tra i vari compiti suoi propri troviamo la

promozione della cooperazione tra gli Stati a molteplici livelli, tra cui quello

culturale e il perseguimento della pace e della sicurezza nel mondo. È nel contesto

di collaborazione internazionale culturale ed educativa che può essere inquadrata

102 In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 5.

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un’altra organizzazione internazionale, nata nell’ambito dell’ONU:

l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura

(U.N.E.S.C.O.), istituita a Parigi sempre nello stesso anno. Anch’essa riprende

taluni degli obiettivi fatti propri dall’ONU e opera promuovendo la cooperazione

tra le Nazioni e verificando la conservazione e la protezione del patrimonio

universale formato da opere d’arte, monumenti, libri. Un efficace strumento per

realizzare questi compiti è la convenzione: si ricorda per la sua particolare

importanza la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto

armato, firmata all’Aja nel 1954, e ratificata in Italia nel 1958, che costituisce il

primo strumento internazionale interamente ed esclusivamente dedicato ai beni

culturali ed inoltre reca con sé l’utilizzo, per la prima volta in un trattato

internazionale, dell’espressione “beni culturali”, interiorizzata dagli Stati e ormai

entrata nel linguaggio comune. Sullo stesso filone riguardante la difesa del

patrimonio si pone la convenzione di Parigi del 1972, riguardante la protezione su

di un piano mondiale del patrimonio culturale e naturale. Si devono ricordare due

principi: da un lato l’esistenza di un patrimonio mondiale comune che supera le

realtà nazionali e dall’altro la presenza di un principio di sovranità degli Stati

nell’ambito dei loro territori103. I beni che rientrano nella nozione di patrimonio

culturale e naturale vengono specificati nella Convenzione stessa, in modo da

individuarne l’ambito di applicazione. Gli Stati firmatari li individuano nel loro

territorio e provvedono alla loro iscrizione in una particolare lista di beni di

“valore universale eccezionale” garantendone la protezione, la conservazione e la

103 Idem, 23, 24.

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valorizzazione. Facciamo un passo indietro, nel 1970 era stata firmata ancora a

Parigi un’altra Convenzione U.N.E.S.C.O., atta ad implementare misure da

adottare per impedire e vietare l’illecita importazione, esportazione e

trasferimento di proprietà dei beni culturali. Si era sentita, infatti, l’esigenza di

proteggere il patrimonio presente su ciascuno Stato da queste attività illegali e si

era rafforzata, così, l’idea che fosse necessario proteggere il patrimonio sia a

livello nazionale che internazionale, attuando una stretta collaborazione. La

Convenzione suddetta presentava però delle questioni irrisolte e di difficile

interpretazione: non riusciva a penetrare in profondità nelle controversie tra

privati o tra stati e privati, arrestandosi all’ambito del diritto internazionale

pubblico e attuando comunque una cooperazione generica fra gli Stati104. Questi

sono senza dubbio alcuni dei motivi che avevano spinto l’U.N.E.S.C.O. a

coinvolgere l’Istituto Internazionale per l’unificazione del diritto privato,

l’UNIDROIT, affinché elaborasse uno studio volto ad approfondire la tematica

della restituzione dei beni culturali trafugati, dal punto di vista privatistico. La

Convenzione elaborata dall’UNIDROIT nel 1995 avrebbe dovuto costituire uno

strumento complementare alla già citata Convenzione di Parigi del 1970,

attraverso l’introduzione di norme materiali uniformi nei rapporti privatistici105.

La Convenzione UNIDROIT cerca tutt’oggi di agevolare la restituzione dei beni

culturali e di rafforzare la cooperazione culturale internazionale per una più

efficace preservazione e protezione del patrimonio culturale.

104 Cfr. FRIGO, cit., 136. 105 In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 38.

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A completare il quadro delle organizzazioni intergovernative intervengono

il Consiglio d’Europa e la stessa Comunità Europea. Il Consiglio d’Europa è la

più antica organizzazione politica dell’Europa occidentale. Questo organismo è

stato istituito nel 1949 e si è distinto per l’adozione di numerose convenzioni, a

livello europeo, relative a specifici settori: archeologia, architettura, paesaggio.

Della Comunità europea parleremo in seguito, ma merita attenzione anche un altro

organismo intergovernativo: l’International centre for the study of the

preservation and the restoration of cultural property106 (I.C.C.R.O.M). Esso è

nato nel 1956, nell’ambito di una conferenza generale dell’U.N.E.S.C.O.; in

seguito ad un accordo col governo italiano, si è deciso di fondare tale centro a

Roma, nel 1959. Questo organismo si avvale dell’attività di numerosi esperti

specialisti, i quali si occupano dei problemi tecnico – scientifici di conservazione

e restauro. Le molteplici attività possono essere svolte anche in collegamento con

altri istituti come il Consiglio internazionale per i monumenti e i siti storici,

I.C.O.M.O.S., fondato nel 1965, con sede a Parigi, importante nel settore della

conservazione del restauro. Altri contributi possono derivare anche dal Consiglio

internazionale dei musei, I.C.O.M., fondato nel 1946, il cui scopo è la promozione

e lo sviluppo dei musei nel mondo e la diffusione della cooperazione fra le

istituzioni museali e gli operatori del settore. Tale struttura è affiliata a numerose

associazioni internazionali e fornisce assistenza tecnica all’U.N.E.S.C.O. e ai

paesi membri. Si ricorda soprattutto che l’I.C.O.M. ha fornito una definizione di

museo, argomento che vedremo comunque in seguito.

106 Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali.

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1.2.2 I beni culturali e l’Unione Europea

Il trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Economica Europea,

non conteneva alcuna disciplina specifica volta a regolamentare i beni culturali.

Non c’erano norme che servissero a tracciare il ruolo della Comunità rispetto agli

Stati membri e le modalità di azione della stessa in ambito culturale: gli obiettivi

perseguiti infatti erano di natura strettamente economica. Nel trattato istitutivo il

patrimonio era preso in considerazione solo come “motivo” per derogare al

principio di libera circolazione tra gli Stati membri, in questo caso libera

circolazione delle merci. Tale deroga, prevista nell’articolo 36107, imponeva

l’individuazione specifica dei beni culturali appartenenti al patrimonio, per

poterne usufruire. Numerosi sono stati i conflitti sorti sull’ampiezza di questa

deroga e altrettanto numerose le pronunce del giudice comunitario. Secondo la

Corte di Giustizia i beni di interesse storico, artistico e archeologico erano

comunque considerati merci a cui potevano essere applicati divieti o restrizioni.

Nel periodo che va dagli anni Settanta ai Novanta, la Comunità Europea

aveva avviato una discussione sulla tutela del patrimonio artistico; di fatto non era

ancora stata fissata una norma sul patrimonio culturale, che stabilisse principi,

criteri e mezzi.

Un passo importante è stato l’introduzione dell’Atto Unico Europeo nel

1986, la prima riforma ufficiale e sostanziale del settore della cultura. Esso aveva

ampliato poteri e politiche della Comunità e nella dichiarazione allegata al testo

unico si era affermato che gli stati avevano diritto di adottare le misure necessarie

107 Articolo che fa riferimento al patrimonio storico, artistico e archeologico della nazione; nella numerazione precedente, del trattato di Amsterdam, era articolo 30.

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in materia, tra le altre cose, di lotta contro il traffico di opere d’arte e di antichità.

Si discuteva inoltre sull’inserimento di un articolo specifico sulla cultura, misura

che sarebbe stata presa solo nel 1992 con il trattato di Maastricht, con il quale era

stata introdotta una vera e propria “politica culturale europea”. L’aspetto della

cultura “assurge ad interesse pubblico di rango primario”108, divenendo la

cooperazione culturale fra gli stati membri un obiettivo ufficialmente riconosciuto

dell’azione comunitaria. Il titolo XI109 all’art. 128110 sanciva gli obiettivi

dell’azione comunitaria in materia di “cultura”: il compito dell’Unione doveva

essere quello di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel

rispetto delle loro diversità culturali111, di incoraggiare la conoscenza e la

diffusione delle culture e della storia dei popoli, di conservare il patrimonio

europeo112 e infine di favorire la cooperazione tra gli stati, con i paesi terzi e con

le organizzazioni internazionali113. Tutto ciò spinto dai “vantaggi che potevano

derivare al processo di integrazione economica dal perseguimento di una forma

di integrazione culturale”114. L’art. 128115 era l’unica base sicura su cui si

fondavano le politiche culturali: esso indirizzava l’azione delle istituzioni

dell’Unione verso il sostegno sia della cooperazione fra gli stati membri, che delle

politiche nazionali in materia. Sulla base di tale articolo la Comunità aveva varato

108 Vedi A. FANTIN, La cultura e i beni culturali nell’ordinamento comunitario dopo la Costituzione Europea, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/3/fantin.htm» 109 Ora titolo XII del trattato di Amsterdam. 110 Ora art. 151 del trattato di Amsterdam. 111 Comma 1. 112 Comma 2. 113 Comma 3. 114 V. B. ACCETTURA, I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2003/2/accettura.htm» 115 Ora art. 151 del trattato di Amsterdam.

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i primi programmi di sostegno economico al settore culturale. L’articolo

prevedeva inoltre che le maggiori responsabilità e i maggiori compiti in materia

restassero affidati ai singoli Stati.

Il trattato di Amsterdam del 1997 poneva semplicemente una nuova

formulazione dei trattati precedenti e confermava il principio di tutela dei

patrimoni culturali nazionali.

La Comunità ha anche il compito di elaborare programmi comunitari in

materia di cultura. L’organo preposto a tal compito è la Direzione generale

istruzione e cultura della Commissione Europea. Questi programmi si occupano in

generale di formazione, gioventù, cultura, sport e incoraggiano la cooperazione

europea e stimolano l’innovazione116. L’azione comunitaria era già iniziata negli

anni Ottanta, con azioni finalizzate al sostegno del patrimonio e la formazione del

personale nel settore della conservazione. Dalla fine del decennio si era preferito

concentrare risorse e iniziative verso un unico tema per un anno, con criteri di

selezione e bandi pubblicitari sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità. Ricordiamo

i programmi elaborati da metà degli anni Novanta: Raffaello, per la salvaguardia e

la valorizzazione del patrimonio; Arianna, per il settore letterario; Caleidoscopio

che coinvolgeva anche il settore delle arti applicate e del multimediale. Questi

programmi hanno costituito la prima fase della realizzazione dell’azione

comunitaria nel campo culturale, tramite il rafforzamento e l’estensione delle

collaborazioni transnazionali, il miglioramento dell’accesso del pubblico alla

cultura e la promozione di attività culturali europee. Facendo tesoro delle

116 Cfr. P. GROSSI, I programmi specifici nel settore del patrimonio culturale, in DE PAZ (a cura di), cit., 53, 54.

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esperienze realizzate e con la crescente importanza del settore della cultura, la

Comunità aveva approvato il primo Programma Quadro della durata di cinque

anni, per il periodo 2000 – 2004, denominato Cultura 2000. La principale finalità

della Comunità era l’azione organica e omogenea, attraverso un unico strumento

di programmazione e finanziamento. Le attività erano realizzate con la

collaborazione di più stati e perseguivano svariati obiettivi, tra cui migliorare

l’accesso alla cultura, conservare e valorizzare il patrimonio, favorire la creazione

di prodotti multimediali, promuovere il dialogo tra le culture e diffondere con le

nuove tecnologie le manifestazioni culturali dal vivo. L’ultimo passo, in ordine di

tempo, nella politica europea, è stata l’emanazione della Costituzione Europea, la

quale, tuttavia, ha incontrato parecchie difficoltà in sede di ratifica. Essa non

presenta delle sostanziali modifiche alle disposizioni che proponeva il trattato di

Maastricht nel titolo dedicato alla cultura, resta ferma l’intenzione da parte della

Comunità di non armonizzare il settore della cultura, ma operare solamente come

sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli stati. Sono stati

promossi nuovi strumenti di programmazione e finanziamento, tra cui il

programma Cultura per il periodo 2007 – 2013, che è indirizzato alla promozione

della circolazione transnazionale delle opere d’arte e dei prodotti culturali e

artistici, a sostenere il dialogo interculturale attraverso organismi culturali attivi a

livello europeo e il programma Media 2007, che vuole incentivare la

digitalizzazione e rafforzare la competitività del settore audiovisivo117.

117 Cfr. I. QUADRANTI, La politica culturale europea nel periodo di riflessione sul futuro dell’Unione, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/3/quadranti.htm»

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1.2.3 Protezione in taluni Stati Europei e cenni su quella oltreoceano

Poniamo ora l’attenzione sui paesi che compongono l’Unione Europea. In

tutti gli Stati è riconoscibile una politica di protezione e valorizzazione dei beni

culturali; vedremo, quindi, come si declina la nozione di patrimonio culturale.

La politica che concerne beni culturali e cultura mostra effetti tangibili

solo nel lungo periodo: i benefici, infatti, non sono immediatamente percepibili e

non coincidono con i tempi ristretti del sistema politico. I costi, invece, sono

facilmente valutabili e creano comunque disaccordo e conflitto nella comunità118.

L’analisi dei concetti di patrimonio toccherà i seguenti paesi: Spagna,

Germania, Grecia, Gran Bretagna e Francia, con particolare attenzione per lo stato

francese e quello britannico.

In Francia e in Spagna, nei primi interventi legislativi, venivano fornite

delle lunghe liste di oggetti ritenuti meritevoli di interesse, per passare poi, tra

Ottocento e Novecento, all’utilizzo di termini più sobri e onnicomprensivi come

“monumenti storici”, per la Francia, o “tesoro artistico nazionale”, per la

Spagna. Nel corso del Novecento era entrata in gioco l’espressione “beni

culturali”119, ma tale locuzione era stata completamente interiorizzata solo in

Italia; Francia e Spagna, invece, preferivano fare riferimento al “patrimonio

culturale”120. Il legislatore francese, utilizzando il termine patrimonio, voleva

evocare l’idea del passaggio, della trasmissione, come se il patrimonio fosse una

sorta di eredità che va preservata per poi essere consegnata integra ai posteri, i

118 In questo senso L. BOBBIO (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, 1992, 12. 119 Introdotta, come abbiamo visto, dalla Convenzione dell’Aja del 1954. 120 Cfr. BOBBIO, cit., 15.

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quali a loro volta avranno lo stesso compito. Anche in Spagna si riconosce l’idea

dell’eredità; il valore tutelato è immateriale ed è strettamente connesso

all’interesse sociale. Si stabilisce con legge un’ampia definizione di patrimonio

culturale: “fanno parte del patrimonio storico spagnolo gli immobili e gli oggetti

mobili di interesse artistico, storico, paleontologico, archeologico, etnografico,

scientifico o tecnico”121.

In Germania ciò che viene tutelato ha un’estensione più limitata ed è anche

problematico fornirne una definizione univoca: si usa il termine “monumenti” che

non ha però un significato giuridicamente determinato. È difficile riconoscere una

corrispondenza coi beni culturali, anche perché la maggior parte delle leggi tutela

i beni immobili. La peculiarità è che il territorio statale ha subito plurime

frammentazioni e ciò non ha contribuito alla formazione di una sola espressione.

Ogni Land definisce ciò che è per esse rilevante come patrimonio e procede a

legiferare per quel settore122.

In Grecia si riconosceva già nell’Ottocento l’importanza storico – culturale

dei propri beni culturali, considerati ancora singolarmente come oggetti “di

valore” come le opere d’arte o comunque i beni archeologici. Si cominciavano a

proteggere questi beni antichi dalla sottrazione, poiché costituivano testimonianze

del passato e della civiltà. La Costituzione greca parla di “ambiente culturale” e

la giurisprudenza ha talmente esteso il concetto da influenzare e modificare la

legislazione in vigore. Oltre a beni immobili e mobili, i beni tutelati sono sempre

121 V. ACCETTURA, cit. 122 Cfr. G. COFRANCESCO, I beni culturali, profili di diritto comparato ed internazionale, Roma, 1999, 133.

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più astratti, si avvicinano alla memoria storica e all’estetica123. Nonostante

l’ampia tutela riconosciuta ai beni, non esiste una vera e propria definizione. Un

disegno di legge del 2001 proponeva una definizione che si avvicinava a quella

data dalla Commissione Franceschini: “bene culturale come testimonianza

dell’attività individuale e collettiva dell’uomo”124.

Ma approfondiamo alcuni aspetti che riguardano la tutela del patrimonio in

Gran Bretagna e in Francia.

L’interesse per le antichità è nato, in Inghilterra, nel tardo Settecento,

quando era diffusa la prassi dei Grand Tours125, alla scoperta delle antichità

greche e romane, ma solo nella seconda metà dell’Ottocento veniva fondata la

prima “Society for the protection of ancient buildings”, un soggetto privato con

finalità di conservazione del patrimonio interno allo stato.

Il Regno Unito presenta delle forti peculiarità rispetto agli altri Stati: non

esistono nozioni di patrimonio o di bene culturale paragonabili a quelle già

rinvenute, non si fissano categorie. Ne consegue che la materia possiede una tutela

“elastica”, che si adatta alle situazioni e trae gran parte della sua forza

dall’esperienza. L’unica definizione usata è “cultural heritage”, concetto

onnicomprensivo a cui si fa riferimento per fondare tutte le misure di protezione.

Si noti, però, che le forme di tutela più forti e incisive vanno verso i beni immobili

e i siti archeologici; i beni mobili, invece, non sono sottoposti a una vera e propria

protezione.

123 In questo senso MEZZETTI (a cura di), cit., 339 – 341. 124 V. ACCETTURA, cit. 125 Cfr. par. 1.1.

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Nel Regno Unito l’azione dei privati volontari è stata più tempestiva di

quella dello Stato. Le motivazioni sono prevalentemente socio culturali:

l’immobile circonda il cittadino e la sua distruzione incita un immediato

intervento. In questo paese inoltre tutelare il patrimonio immobiliare è sempre

andato di pari passo con la regolazione dello sviluppo urbanistico e architettonico

e lo sfruttamento del territorio126. Gli interventi cominciano all’inizio del

Novecento per controllare lo sviluppo delle aree urbane, compiti affidati

inizialmente a uno specifico Ministero, confluito poi nel Department of

environment, (Dipartimento dell’Ambiente), che oggi è Department of the

environment, transport and the regions127. Lo affianca, nel settore della cultura, il

Department of national heritage, che oggi è divenuto Department of national

heritage, media and sport128. Il suo segretariato di stato ha assunto talune delle

funzioni prima appartenenti al segretariato di stato per l’ambiente, come la

redazione e approvazione delle liste di edifici meritevoli di tutela129.

In Gran Bretagna ha un ruolo rilevante tutto l’apparato amministrativo

locale. Troviamo in particolare i District Councils, responsabili per la

conservazione e la tutela, i quali orientano l’urbanistica e forniscono

consulenze130. Il governo locale e quello centrale sono messi in comunicazione

attraverso delle commissioni, tra cui la Historic Buildings and monument

commission for England che nasce dalla fusione di precedenti associazioni ed è

126 Cfr. BOBBIO, cit., 118. 127 Con il relativo Secretary of State for the environment, transport and the regions. 128 Il quale è responsabile per le arti, i musei, le gallerie, le biblioteche, le esportazioni, la radiodiffusione, il cinema, lo sport e il turismo. 129 Di cui si parlerà nel prosieguo di questo paragrafo. 130 Si prendono cura, inoltre, delle Conservation areas, delle particolari zone con importanza storica, su cui un controllo locale ha sicuramente maggiore effettività.

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più nota come English Heritage, la quale amministra i fondi messi a disposizione

dal Ministero concedendo sovvenzioni e finanziamenti, detti grants, e sorveglia la

politica di conservazione. Troviamo poi il National Heritage Memorial Fund che

si occupa di prevenire la svendita del patrimonio artistico nazionale a dei privati

che abbiano finalità speculative o ad acquirenti di altri paesi. Entrambi gli

organismi sono stati creati negli anni Ottanta e sono detti quasi – autonomous non

governmental organisation, o quangos, e si occupano anche dei compiti del

governo alleggerendo così il carico di lavoro e fornendo consulenza. Le

associazioni private sono numerose e svolgono compiti indispensabili, sia

consultivi che progettuali, sia di pressione che di mobilitazione. Su scala

nazionale, l’associazione in assoluto più importante è il National trust (for place

of historical interest or naturali beauty), fondato nel 1895, la cui logica è

parzialmente commerciale, ma non ha finalità di profitto e prospettive

concorrenziali. Acquista a somme modeste degli edifici che necessitano di

intervento di conservazione e restauro e lo fa con fondi propri o provenienti dallo

stato. Se possibile, gli edifici vengono lasciati in uso e anche aperti al pubblico. A

livello locale troviamo le Amenity societies, associazioni locali e di quartiere con

funzioni simili a quelle degli enti nazionali e anch’esse si occupano di

conservazione, e hanno funzioni consultive e promozionali.

In Gran Bretagna è importante distinguere tra i compiti di tutela e di

gestione. L’intervento pubblico è forte nella tutela, ma per quanto riguarda la

gestione, la tendenza è quella di affidarla ai privati, ogni qualvolta sia possibile e

per agevolarla si concedono grants. I progetti di finanziamento e conservazione

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sono attivi in tutta la Gran Bretagna e i piani di svolgimento del progetto

comprendono anche il numero e l’entità degli investimenti.

È importante anche l’Heritage Lottery Fund, che attraverso il National Heritage

Memorial Fund distribuisce i proventi della lotteria nazionale destinati al

patrimonio culturale131. Queste associazioni sono estremamente attive in campo

culturale e predispongono dettagliati piani d’azione132.

Sono quindi tre i gruppi di soggetti che agiscono: apparati del governo

centrale, istituzioni culturali della società civile e autorità locali, il sistema

fornisce così una protezione articolata e diffusa, con attività policentrica.

È necessario specificare l’oggetto della conservazione; per farlo è

obbligatoria una primaria distinzione tra ancient monuments e historic buildings. I

primi sono edifici risalenti a un tempo precedente al 1700, di cui non si può fare

alcun uso; i secondi sono tutti gli altri edifici di interesse storico e artistico che si

prestino a qualche tipo di uso. Ad una prima distinzione ne segue una seconda,

poiché esistono due diversi modi di catalogazione: gli ancient monuments

vengono schedati in un apposito registro e appartengono così agli scheduled

monuments; gli historic buildings invece possono appartenere ai listed buildings, e

per farlo devono rispondere a particolari criteri.

131 Possiamo riconoscere una pratica simile anche in Italia, dal 1996 una legge stabiliva che “una quota degli utili derivanti dalla nuova estrazione del gioco del lotto fosse destinata al Ministero per i beni culturali, per assicurare interventi di conservazione e recupero” degli stessi. 132 Un efficace quadro di queste attività è reperibile sui siti web: «http://www.english-heritage.org.uk» e «http://www.hlf.org.uk», sito dell’Heritage Lottery Fund.

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I differenti modi di catalogazione non dipendono da una scelta legislativa,

ma dalla stratificazione culturale. Sono importanti perché per eseguire qualsiasi

modifica e intervento sui monuments è necessaria un’apposita autorizzazione133.

È possibile fare alcune osservazioni di carattere comparatistico rispetto

all’ordinamento italiano: in primo luogo vediamo che, mentre lo stato italiano

tende all’accentramento e tutti gli interventi provengono dal Ministero, nel Regno

Unito si privilegia l’azione locale. Tuttavia, negli ultimi anni, la necessità di

un’azione più effettiva ha favorito in Italia, il decentramento e l’affidamento di

compiti agli enti locali. Nel nostro paese inoltre l’intervento dei privati è

prevalentemente a scopo di lucro134 e la tutela si differenzia per i beni pubblici e

per quelli privati; i beni privati di particolare importanza hanno bisogno della

dichiarazione del vincolo, cioè di una notifica, per la tutela. In Gran Bretagna è

irrilevante che i beni siano pubblici o privati, inoltre la disciplina per la tutela dei

beni culturali fa parte della disciplina urbanistica, quindi nessun contrasto di

competenze come accade in Italia. Incontriamo una similitudine tra Italia e Regno

Unito per quanto riguarda gli edifici storici, essi devono avere eccezionale

interesse.

Passiamo a considerare qualche aspetto che riguarda la protezione del

patrimonio in Francia. Abbiamo già visto cosa intendono i francesi per patrimonio

culturale, l’idea di tramandare una ricchezza che deve essere quindi mantenuta

integra e per questo tutelata. Una vera e propria politica di tutela è riconoscibile

solo dopo la fine della Rivoluzione francese. Prima esisteva completa libertà nel

133 Cfr. BOBBIO, cit., 119 – 123; COFRANCESCO (a cura di), cit., 180 – 187. 134 Come si vedrà poi nel par. 1.3.2.

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disporre dei monumenti antichi, ma poco a poco si prende coscienza del carattere

“nazionale” del patrimonio e del fatto che la sua difesa debba essere un compito

dei poteri pubblici. A metà dell’Ottocento è stata compilata una prima lista di

monumenti protetti da una commissione che si occupa anche di esaminare progetti

di restauro e richieste di contributi135. La prima legge organica di salvaguardia

risale alla fine del secolo, ma è solo con l’inizio del Novecento che troviamo

l’emanazione della legge che ha costituito l’inizio della moderna politica di tutela

e il testo fondamentale di riferimento. Siamo nel 1913: la legge136,

successivamente integrata e modificata, dispone la protezione di “beni immobili e

mobili che rivestono un pubblico interesse dal punto di vista storico e artistico, in

particolare siti storici, artistici, pittoreschi e leggendari, le città e i quartieri

antichi”137. Si riconoscono due diversi metodi di protezione: le classement o

l’inscription sur l’inventaire supplémantaire. Il provvedimento del classement è

più incisivo, il bene che vi è soggetto infatti non può essere, per ipotesi, distrutto o

modificato senza previa autorizzazione. Anche un bene di recente esecuzione può

essere incluso, riguarda sia beni mobili che immobili, sia pubblici che privati, ed è

necessario che avvenga un riconoscimento formale. Il patrimonio è comunque

generalmente riconosciuto come immobiliare e la protezione per i beni mobili

risulta meno intensa. L’iscrizione, invece, è una misura più debole per quanto

riguarda gli effetti. Il proprietario, infatti, è tenuto solo a informare il ministero dei

lavori che intende effettuare e quest’ultimo è legittimato ad opporsi solo

procedendo alla classificazione dell’immobile. 135 Cfr. BOBBIO, cit., 71, 72. 136 Loi du 31 Décembre 1913 modifiée sur les monuments historiques. 137 Cfr. S. ITALIA, I beni culturali in Italia e in Europa, Udine, 1999, 392.

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Sia in Francia che in Gran Bretagna si assoggettano a regime di tutela i

beni che rientrano nelle definizioni fornite dalle disposizioni normative e tutto è

preceduto da una decisione pubblica, sia per i beni pubblici che privati. In Italia,

invece, il procedimento di riconoscimento del valore culturale è differente, a

seconda che si tratti di un bene di proprietà pubblica o privata, anche se, in ogni

caso, l’attività di protezione che ne consegue è la stessa138.

Le competenze relative al patrimonio inizialmente erano distribuite a vari

organi, solo nel 1959 le facoltà relative alle materie di interesse culturale vennero

riunificate in un nuovo apparato specializzato, il Ministero degli affari culturali,

che cambiò più volte denominazione fino ad approdare a quella attuale, Ministére

de la culture et de la communication.

Per quanto riguarda la ripartizione delle competenze, il sistema francese è

caratterizzato da una forma di decentramento amministrativo. Ogni regione,

infatti, ha una propria Direzione degli Affari Culturali che mette in pratica

l’attività del Ministero, con i dovuti adattamenti ai contesti regionali139. È quindi

riconoscibile una struttura che predilige l’intervento specifico, per assicurare la

tutela più efficace, similmente a quanto avviene in Gran Bretagna.

Il Ministero si compone di molte direzioni e distaccamenti, che si

occupano di settori specifici, come la Direzione del patrimonio e dei musei di

Francia. In particolare il settore dei musei riveste grande importanza, la Reunion

des Muséès nationaux svolge funzioni di carattere commerciale, raccoglie e

distribuisce le entrate, organizza mostre, svolge il servizio di accoglienza.

138 Cfr. AMIRANTE, DE FALCO, cit., 200 e 205. 139 Cfr. ACCETTURA, cit.

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La società francese è molto sensibile alle tematiche culturali e alla

valorizzazione del patrimonio, tanto da creare veri e propri enti pubblici140.

L’intervento dello Stato è molto forte, sia per quanto riguarda il controllo tecnico

e scientifico sull’attività museale, sia perché lo stato destina alla cultura circa

l’1% del suo bilancio. Le attività culturali, poi, risultano connesse ai servizi

museali141.

Nel 1946 è stata emanata la Costituzione, nella quale il diritto alla cultura

risulta sancito e garantito, similmente a quanto avviene anche in Italia e si

demanda allo Stato la predisposizione dei mezzi che consentano ai cittadini di

godere del diritto sancito.

Infine con l’ordinanza n. 178 del 20 gennaio 2004 è stato adottato il “Code

du patrimoine”, il codice che regola e unisce in un compiuto sistema beni

culturali, archivi, biblioteche, musei, beni archeologici e siti, spazi protetti;

riprendendo le norme preesistenti.

Possiamo rilevare alcuni elementi di comparazione: in Italia e Francia è

sempre lo Stato, attraverso il Ministero, ad agire per la protezione e la gestione. In

Gran Bretagna le competenze gestionali, come si è visto, sono affidate alle

amministrazioni locali o agli enti autonomi. La Francia permette a qualsiasi ente

pubblico di intervenire: il suo problema però è il coordinamento delle azioni tra i

vari livelli di gestione.

Nel trattare la protezione oltreoceano ci si riferirà sia agli Stati Uniti, sia

all’Australia. Ciò servirà da introduzione per la parte finale della trattazione.

140 Come è successo per il museo del Louvre. 141 Cfr. ACCETTURA, cit.; F. BENHAMOU, L’economia della cultura, Bologna, 2001, 135.

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L’Australia da sempre è vista come una terra lontana e sconosciuta, che

esercita un certo fascino nell’immaginario collettivo. Gli aspetti più rilevanti sono

i contrasti tra città molto moderne e la natura indomita, tra valori dell’occidente e

la spiritualità aborigena. Non è, quindi, un paese riconducibile ad una sola

immagine stereotipata, che comunichi immediatamente il suo spirito. La

convivenza di molte etnie diverse, con differenti origine, lingue e culture ha fatto

sì che potessero convivere insieme sia le più antiche tradizioni culturali sia una

mescolanza di culture portata dagli emigranti142.

Le fonti del governo mettono a disposizione cospicue somme di denaro per

finalità artistiche, culturali e di conservazione del patrimonio; si cerca anche di

sostenere e sviluppare la vita culturale e incoraggiare la partecipazione, secondo

una visione del patrimonio come “our legacy from the past, what we live with

today, and what we pass on to future generations”143. I Governi australiani ai vari

livelli sono impegnati nella conservazione del patrimonio culturale della nazione e

nel renderlo accessibile al pubblico144.

Il Dipartimento amministra le leggi del governo australiano che si

occupano della conservazione del patrimonio australiano naturale, indigeno e

storico. Ciò include la protezione nei seguenti ambiti: “World Heritage”,

“National Heritage”, “Commonwealth Heritage”, “Indigenous Heritage”,

“Movable Heritage” e “Shipwrecks”.

142 Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, About World Heritage, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au». 143 Idem. 144 Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Australian Heritage, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au/heritage/index.html».

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Tra queste si segnalano le leggi sulla “Commonwealth Heritage”.

L’Australia è una nazione complessa, composta da popolazioni indigene ed

immigrate da quasi duecento paesi. Nonostante la mescolanza di tradizioni

diverse, si individua un patrimonio comune che distingue tutta la popolazione e la

qualifica come “australiana”. Il sistema australiano prevede un database145 che

fornisce informazioni riguardo a particolari luoghi protetti. È stata inoltre

implementata una fototeca digitale contenente fotografie di luoghi protetti146 e una

lista di luoghi o gruppi di luoghi con valore eccezionalmente rilevante per la

nazione147, sia naturali che indigeni, storici o derivati dall’unione di questi. I

luoghi presenti sulla lista sono protetti con tutti i poteri di cui dispone il governo

federale148.

Il Commonwealth regola anche la “Movable Heritage”. Data la presenza

di crescenti traffici commerciali, numerosi oggetti sono stati trafugati e

continuano ad esserlo, perciò può agire per far tornare in patria gli oggetti

esportati illegalmente. Altra peculiarità australiana è la presenza di migliaia di

relitti storici, compresi nelle leggi di protezione, appunto, sugli “Shipwrecks”,

oltre le spiagge della nazione, che vengono protetti come parte fondamentale del

patrimonio149. Ci sono inoltre programmi che stanziano fondi da assegnare a

individui o gruppi per la protezione di luoghi e oggetti di rilevanza storica.

145 Australian Heritage Database. 146 Australian Heritage Photo Library. 147 National Heritage List. 148 Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Australian Heritage, cit. 149 Idem.

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In Australia tutti i livelli di governo si prendono cura del patrimonio. Il sito

da cui sono tratte queste informazioni è gestito dal Governo Australiano150. Sul

sito è presente anche una Australia Heritage Directory contenente una lista di

agenzie che si occupano del patrimonio. È presente anche un database per

rintracciare un particolare luogo e vedere se è considerato protetto o meno.

Consulente principale del Governo Australiano è l’Australian Heritage Council, il

quale valuta l’introduzione nelle varie liste esistenti di nuovi posti protetti o

l’esclusione da essa, si occupa della protezione di essi sotto qualsiasi forma151.

Cerchiamo ora di capire la nascita e lo sviluppo della politica dei beni

culturali negli Stato Uniti152. Innanzitutto è necessario chiarire che l’esperienza

statunitense è nata essenzialmente come imitazione di altre esperienze,

essenzialmente europee, per poi diversificarsi e assumere proprie peculiarità.

Nell’esperienza statunitense esiste una pluralità di fonti normative, si devono

infatti tenere presenti tre livelli: federale, statale e locale153. Inoltre, a differenza

della tradizione europea, i privati svolgono da sempre un ruolo estremamente

rilevante nella gestione dei beni. Il modello è fortemente decentrato per rispondere

a diverse esigenze. Per quanto riguarda la nozione di bene culturale, si desume

che sia diffusa una coscienza di “valore culturale” in relazione ai beni immobili e

150 «http://www.environment.gov.au». 151 COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, The Australian Heritage Council, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au». 152 Il testo sugli Stati Uniti fa riferimento a Mottola Molfino, cit., 240, ss. 153 Si ricorda che la Costituzione federale sta al vertice delle fonti. Subito sotto si trovano le leggi federali adottate in attuazione di essa e i trattati internazionali. A un livello inferiore ci sono le Costituzioni degli Stati e più sotto regolamenti e decreti adottati dalle amministrazioni locali. C’è però differenza di competenza legislativa per materia: infatti la competenza federale è eccezionale rispetto a quella statale. Ma anche nelle materie riservate al livello federale gli Stati possono legiferare, senza però contraddire la legge federale.

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luoghi teatro di importanti avvenimenti per la nazione, come testimonianze del

passato da lasciare alle future generazioni.

Per quanto riguarda il primo livello, quello federale, la tradizione di

conservazione e tutela del patrimonio era riconoscibile solo dalla metà del 1800.

Erano protetti inizialmente i luoghi storici legati alla guerra. Con questo e altri atti

successivi, come la destinazione ad uso pubblico di determinate aree, si andava

sviluppando la politica di riconoscimento di valori naturali, storici e culturali

associati al territorio, invece di uno sfruttamento a scopo di lucro.

All’inizio del Novecento era intervenuto il Congresso con l’Antiquities Act

che permetteva al presidente di dichiarare monumenti nazionali località o edifici.

Tuttavia non si era conseguentemente registrato un aumento della tutela, cosa che

invece si era realizzata solo nel 1916, con la creazione del National park service,

uno strumento operativo del Ministero degli Interni, col compito di promozione e

gestione di monumenti, parchi e riserve naturali. Tale ente era stato poi

riorganizzato e gli era stata attribuita la facoltà di acquisire beni immobili tramite

donazione, acquisto o altre modalità. Le sue mansioni si erano molto sviluppate,

esso poteva svolgere ricerche sulle località archeologiche; raccogliere materiale

come foto, disegni, mappe; stipulare contratti o accordi di cooperazione con Stati,

Comuni e associazioni per la protezione adeguata dei luoghi, tramite fondi

stanziati dal Congresso.

Nel 1949 era stato creato un altro organo, il National trust for historic

preservation, il quale si caratterizzava per una natura mista pubblico - privata ed

aveva il compito di conservare luoghi, edifici, oggetti ad esso affidati, a beneficio

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pubblico. Ciò tramite donazioni in denaro, titoli o altri beni da parte dei soci o

successivamente dal Ministero. Qualche anno dopo National park service e

National trust for historic preservation potevano collaborare.

Negli anni Sessanta del Novecento lo spirito di conservazione storica era

universalmente diffuso, il Congresso ne aveva preso atto e aveva anche compreso

che a minacciarlo ormai erano la crescente urbanizzazione e la crescita del sistema

dei trasporti. Si emanavano così leggi per il controllo di questi fenomeni. Il

Ministero dei Trasporti da poco istituito doveva vigilare sulle opere e minimizzare

i danni.

Nel 1966, si emanava il National historic preservation act che poneva le

basi in materia di conservazione valide ancora oggi. È importante ricordare che lo

spirito di questo provvedimento incoraggiava iniziative individuali e collettive

alla conservazione, con mezzi privati, e a favorire la convivenza tra il passato e il

futuro per le nuove generazioni. Con esso si introducevano l’ Advisory council on

historic preservation e la cosiddetta “Sezione 106”. Il primo è l’unico organismo

federale competente solo per la conservazione storica, e il suo compito era di

compattare tutte le richieste che giungevano dai vari livelli: federale, statale e

locale.

La “Sezione 106” serviva a conciliare esigenze di sviluppo e necessità di

tutela dei beni, tramite una procedura di commutazione. Era divenuta importante

anche l’inventariazione di tutti i beni di valore storico, per poi inserirli nel

National register of historic places.

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Negli anni successivi, tramite diversi provvedimenti, si allargava a

molteplici soggetti la possibilità di partecipare ai processi decisionali del

Governo: amministrazioni locali, privati proprietari, semplici cittadini sono solo

alcuni tra essi.

Per quanto riguarda il secondo livello, quello statale, è riconoscibile un

effettivo intervento solo dalla metà del 1900. L’importante National historic

preservation act, emanato a livello federale, aveva determinato un aumento delle

attività di conservazione degli Stati, e l’assegnazione di contributi finanziari aveva

incentivato la creazione di registri statali dei beni di interesse storico-artistico. Da

allora tutti gli Stati avevano iniziato a dotarsi di legislazione sulla conservazione,

legislazione che si presentava fortemente diversificata nei diversi territori. A

livello statale era molto forte la partecipazione dei privati, riuniti in associazioni

per la conservazione sia come singoli cittadini per provvedere ai restauri tramite

donazioni. Si possono trovare delle similitudini tra gli Stati: si ricorda che tutti

utilizzavano e utilizzano lo strumento dell’espropriazione per ottenere la proprietà

di un territorio da proteggere e che tutti prevedevano vari tipi di esenzioni o

incentivi fiscali ad esempio per donazioni di proprietà. I proprietari di località

storiche, inoltre, godono di speciali trattamenti tributari.

Gli Stati hanno anche un altro importante compito: la tutela dei beni

sommersi, presenti in grande quantità nelle acque navigabili. L’azione di recupero

dei privati però si era ben presto trasformata in saccheggio per prelevare gli

oggetti di maggior valore. Il problema era la mancanza di obblighi specifici per gli

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Stati, anche in collegamento con la legislazione più generale, e quindi il problema

è a tutt’oggi aperto.

Il terzo livello, quello delle amministrazioni locali, è intuitivamente ancora

più frammentato. Sono autorizzate a operare sia su previsione federale che statale.

Il potere espropriativo è limitato, per l’elevato costo, ma è invece utilizzabile

quello di pianificazione del territorio , per la conservazione delle località storiche.

A tale scopo si creano distretti storici che servono a controllare le modifiche agli

edifici, ma non si verifica l’uso che viene fatto degli stessi.

1.3 Transizione da bene culturale a risorsa economica?

Fino agli anni Settanta non molte persone possedevano gli strumenti

informativi e formativi necessari per apprezzare i beni culturali; solo negli anni

Ottanta, grazie all’interessamento delle imprese, dei politici e dei mezzi di

comunicazione, il settore era divenuto degno di nota e meritevole di

valorizzazione. La stessa locuzione “bene” evoca una dimensione che va oltre un

mero criterio estetizzante, estende il campo d’intervento e introduce anche la

dimensione economica154. Si era diffusa, così, velocemente la consapevolezza del

valore economico dei beni e contemporaneamente è stata coniata un’espressione

assai evocativa per descriverli, “giacimenti culturali”. Negli anni Novanta,

l’attenzione è stata ancora più viva, e considerando gli insuccessi del passato, è

stato perseguito l’obiettivo della valorizzazione. I beni sono stati al centro di varie

154 S. DAGNINO, Nascita ed evoluzione dell’Unione Europea, in DE PAZ (a cura di), cit., 19.

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dispute fra i fautori di tutela e conservazione e i fautori di gestione e

valorizzazione, più favorevoli ad uno sfruttamento più o meno razionale155.

Scrivono Domenico Amirante e Vincenzo De Falco in Tutela e

valorizzazione dei beni culturali, aspetti sovranazionali e comparati156: i beni

culturali sono “vittime del loro successo”, colpevoli di attrarre il turismo di massa

e di vivere un’epoca di “forti pressioni e grandi contraddizioni” in cui cresce la

“consapevolezza della importanza della loro protezione” e altresì la “richiesta di

consumo”. Negli ultimi decenni, specularmene al crescente riconoscimento del

loro valore civile e sociale, per lo sviluppo culturale, si è andato affermando

l’interesse per il loro valore economico. I beni vengono visti come strumenti “il

cui godimento e la cui utilizzazione corrispondono ad una risorsa a cui

attingere”157, per uno sviluppo economico della collettività nazionale, ma anche e

soprattutto della collettività territoriale. C’è però chi esorta a percepire “una

differenza fra economia e cultura” perché “il valore non si esaurisce nella sua

quantificazione economica”, ciò non toglie che “il valore attribuito al bene

culturale sia influenzato dalla società in cui si vive”158.

È difficile non cedere alla tentazione di considerare i beni una risorsa a cui

attingere nei momenti di necessità, dei “gioielli di famiglia”, come qualcuno li ha

definiti159.

155 In questo senso C. BODO, C. SPADA (cura di), Rapporto sull’economia della cultura in Italia, 1990-2000, Bologna, 2004, 198. 156 V. AMIRANTE, DE FALCO, cit., XI. 157 V. G. PASTORI, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/3/pastori.htm» 158 V. MONTELLA, cit., 62, 63. 159 In questo senso SETTIS, cit., 7.

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La normativa e la riflessione su questi temi cercano di stabilire un

equilibrio tra sfruttamento e protezione. Il valore economico tende in ogni caso ad

imporsi, vediamo, appunto, che anche a livello costituzionale, nel nuovo art.

117160, il concetto di “valorizzazione” evoca una dimensione in cui il bene è visto

come risorsa e servizio per la società.

Anche il documento di programmazione economico finanziaria per gli

anni 2003 – 2006 ridefinisce il comparto dei beni e delle attività culturali,

affermando che “in termini qualitativi dovrà passare da spesa tradizionalmente

“corrente” a spesa prevalentemente “per investimento” in quanto di importanza

strategica per lo sviluppo di rilevanti settori economico finanziari, dal turismo

alla promozione nazionale e internazionale di gran parte delle attività produttive

associate al marchio made in Italy” e continua promuovendo la “costruzione di

efficaci strumenti per favorire l’acquisizione di risorse private, quali la

partecipazione del Ministero dei Beni e delle attività Culturali a fondazioni e

società nonché l’affidamento in concessione a privati della gestione di servizi

finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica dei beni culturali”161.

160 Dopo la già citata riforma cost. del 2001, l. cost. 3/2001. 161 Documento di programmazione economico finanziaria per il 2003 – 2006, 5 luglio 2002, in CD rom allegato a TRENTINI, cit.

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1.3.1 Un quadro della situazione attuale: tutela, valorizzazione, fruizione,

gestione.

Tutela, valorizzazione, gestione sono nozioni utilizzate nel d. lgs.

112/98162 per definire il regime giuridico delle diverse forme dell’intervento

pubblico. In generale possiamo dire che la valorizzazione è fondamentale per

migliorare la conoscenza e la conservazione ed incrementare, così, la fruizione

collettiva, cioè un uso generale dei beni. Essa guarda al bene come risorsa e come

servizio, comprende tutta una serie di attività, diverse tra loro e con l’ambizione di

aumentare l’utilizzo dei beni culturali. Utilizzo può essere inteso come diffusione

della conoscenza con attività didattiche e divulgative e tutela della loro

integrità163. La tutela, invece, riguarda tutto ciò che è regolazione e

amministrazione giuridica dei beni, sul loro uso e la loro circolazione, e intervento

di protezione e difesa dei beni stessi, per prevenirne il deterioramento164. È

laborioso scindere il concetto di tutela da quello di valorizzazione, anche perché

quest’ultima è considerata una “forma dinamica di tutela”165, ed è persino

dannoso, come suggeriscono taluni autori166. Tale divisione è stata però messa in

atto con la già più volte citata riforma costituzionale, ed è ripresa dal Codice dei

beni culturali e del paesaggio, di recente emanazione. La prima parte del codice si

occupa, nelle disposizioni generali, artt. 3 – 8, di ripartire le attribuzioni fra Stato,

Regioni ed Enti territoriali. Gli artt. 3 (tutela del patrimonio culturale) e 6

162 Che ricordiamo è stato abrogato dall’entrata in vigore del d. lgs 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. 163 In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 221. 164 Cfr. PASTORI, cit. 165 V. AMIRANTE, DE FALCO, cit. 221. 166 Tra cui SETTIS, cit., 79 e 108; e Battaglie senza eroi, Milano, 2005, 17.

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(valorizzazione del patrimonio culturale)167 definiscono gli ambiti di queste

funzioni, collegandosi sia alla riforma costituzionale del 2001 sia a quanto

disposto dall’art. 148 lett. c) ed e) d. lgs 112/98168. Le definizioni vanno anche

oltre: la tutela è individuata come intervento di protezione e difesa e alla

valorizzazione spetta una posizione di completamento. Per questo si riconosce che

i due tipi di azione si integrano nelle funzioni e formano un compito unitario che

ha come scopo finale la “messa in valore” dei beni169. Ma il codice è riuscito a

creare questo sistema integrato di tutela e valorizzazione? La sua impostazione

cerca di rendere manifesta la valenza duplice e collegata dei beni culturali, come

valore e servizio, e altresì di costruire una sistema che integri tutela e

valorizzazione. Tali funzioni vengono infatti concepite per convergere l’una

nell’altra. La finalità sembra unitaria e sembra anche ben esplicita, purtroppo però

le competenze di governo e amministrazione non sono distribuite secondo un

sistema policentrico “a rete”, in cui istituzioni centrali, regionali e locali 167 “Articolo 3 (Tutela del patrimonio culturale): 1. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. 2. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale; Articolo 6 (Valorizzazione del patrimonio culturale): 1. La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. 2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale.” 168 “Articolo 148 (Definizioni): “1. Ai fini del presente decreto legislativo si intendono per :

c) “tutela”, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione;

e) “valorizzazione”, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementare la fruizione.”

169Cfr. PASTORI, cit.

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realizzano una proficua collaborazione. Il disegno ripercorre ancora l’assetto

tradizionale, il “modello binario di spartizione delle competenze”170. Uno dei

pochi segni di apertura è la facoltà per il Ministero di attribuire l’esercizio di altre

funzioni alle Regioni; in pratica una sorta di delega, conferita non con legge ma

con atto amministrativo.

L’articolo 111, contenuto nel titolo II (fruizione e valorizzazione) del capo

II (principi della valorizzazione dei beni culturali), descrive in modo più specifico

l’attività di valorizzazione, dà gli elementi generali di disciplina. L’articolo

assomiglia molto alla definizione che veniva data dell’attività di gestione nel d.

lgs 112/98. La differenza è che oggi gli interventi tendono alle finalità proprie

della valorizzazione e non sono solo più funzionali alla tutela. Si è accennato alla

fruizione: essa consiste nell’insieme delle attività che della tutela rappresentano lo

sbocco necessario: si individua, si protegge e si conserva il bene culturale affinché

possa essere offerto alla conoscenza ed al godimento collettivo. Così la fruizione

funge da congiungimento della “frattura” tra tutela e valorizzazione. La gestione

del bene non è un’autonoma funzione, è un insieme di attività strumentali di tutela

e valorizzazione. Quindi il punto di sintesi tra tutela e valorizzazione, nella

gestione del bene, è dato dalla nozione di servizio pubblico di fruizione del bene

culturale171. La gestione non viene appunto menzionata come funzione a sé stante

e non è considerata nemmeno dalla Costituzione. Si potrebbe perciò pensare che

sia stata fusa all’interno del concetto di valorizzazione172. Effettivamente la

170Idem. 171 In questo senso VOLPE, cit., 282. 172 Cfr. C.BARBATI, L’attività di valorizzazione (art.111), reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/1/art.111.htm»

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gestione non ha più una sua propria identità e deposita molti dei suoi contenuti

nella valorizzazione e nella fruizione. Ciò è abbastanza evidente se si analizzano

gli articoli che appartengono al capo II, in cui sono presenti molte attività prima

appartenenti alla gestione, come i servizi aggiuntivi. Anche questo riporta la

possibilità di riconoscere un ruolo ai privati in materia di valorizzazione, cosa già

individuata in precedenza dall’articolo 6. I privati possono intervenire in maniera

attiva, se la parte pubblica necessita di risorse esterne, umane, tecniche ed

economiche. Ciò può essere visto come introduzione all’art. 115 la cui rubrica

recita “forme di gestione” ed è inserito nel capo II che riguarda i principi della

valorizzazione173. L’attività di gestione è un insieme di compiti in cui tutela e

valorizzazione tendono a completarsi vicendevolmente ed entrambe ricevono

supporto dalla gestione174. L’attività di gestione è propedeutica a tutela e

valorizzazione, inoltre mira ad assicurare la fruizione dei beni culturali. È

necessario predisporre un’organizzazione di risorse materiali e umane, essenziale

alla tutela e alla valorizzazione175. L’espressione forme di gestione descrive tutto

il complesso di provvedimenti, sia organizzativi, sia procedimentali, sia finanziari,

attraverso i quali i diversi soggetti, pubblici e privati, organizzano o collaborano

all’esercizio di attività riconducibili all’ambito della valorizzazione. Le

disposizioni che riguardano la gestione hanno avuto una gestazione molto lunga e

sono state ulteriormente corrette col d. lgs 24 marzo 2006, n. 156 recante

“Disposizioni correttive ed integrative al d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in

173 Idem. 174 In questo senso VOLPE, cit., 289. 175 Cfr. P. CARPENTIERI, Servizi: passa la pluralità dei modelli di gestione, in Guida al dir., fasc. spec. n. 4/2004, 122.

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relazione ai beni culturali”. Ma sembra che il percorso relativo a quest’argomento

non possa ancora considerarsi concluso176.

L’articolo 115, nella sua riformulazione, è la disposizione tramite la quale

il legislatore statale disciplina il modo in cui gestire le attività di valorizzazione

dei beni culturali di appartenenza pubblica. Vengono delineate due possibilità:

gestione diretta o gestione indiretta, ciascuna delle quali possiede particolari

caratteristiche. Nel secondo comma si descrive la gestione diretta: un intervento di

un ente pubblico per gestire attività e/o servizi, realizzato basandosi su

articolazioni interne fornite di autonomia e con idoneo personale. Con le

modifiche del 2006 si rende possibile realizzare tale tipo di gestione in forma

associata, mediante la creazione di un consorzio. Questo ente, pur essendo

funzionale alle amministrazioni che lo costituiscono, deve avere autonoma

personalità giuridica pubblica, un proprio statuto e propri organi.

Il terzo comma introduce la gestione indiretta, la quale prevede la

concessione a terzi delle attività di valorizzazione, tecnica che viene definita

esternalizzazione o outsourcing, avvalersi cioè di risorse esterne, in modo

particolare ricorrendo alle risorse finanziarie o alle esperienze e ai mezzi

privati177. La scelta fra le due diverse tipologie dipende dal risultato di una

valutazione comparativa per la sostenibilità economico – finanziaria e una

valutazione di efficacia in base a obiettivi posti come base. La pratica

dell’esternalizzazione nel settore della cultura risale nel tempo agli anni Novanta,

periodo in cui si pongono le prime disposizioni sulle forme di gestione e si profila

176 Cfr. BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 197. 177 Idem, 197.

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in modo più incisivo il possibile intervento dei privati. Troviamo dapprima la cd.

“Legge Ronchey” che si occupava dell’affidamento dei servizi di fruizione per il

pubblico, denominati servizi aggiuntivi, ai privati; successivamente il d. lgs. 20

ottobre 1998, n. 368, che istituisce il Ministero per i beni culturali, estende

l’esternalizzazione al settore della cultura, all’articolo 10. Paradossalmente si

preferisce affidare la gestione dei beni ai privati piuttosto che alle autonomie

territoriali, introducendo la possibilità per il Ministero di stipulare accordi soggetti

privati per la valorizzazione dei beni culturali178. Il percorso continua con la legge

finanziaria per il 2002, l. 28 dicembre 2001, n. 448, che all’art. 33 ha cercato di

rendere operante l’art. 10 già citato aprendo la possibilità di affidare a soggetti

“diversi da quelli statali” la gestione di servizi finalizzati “al miglioramento della

fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico come definiti

dall’art. 152 d. lgs. 112/98”, andando a stabilire un nuovo rapporto pubblico –

privato nel settore dei beni culturali179. L’articolo ha suscitato numerose

perplessità da parte degli studiosi e degli operatori, che constatavano una difficile

realizzazione e ravvisavano profili di incostituzionalità.

La complessità intorno al concetto di gestione non è invece presente in

Francia. Sebbene siano assegnate specifiche competenze, ogni amministrazione

può predisporre interventi sui beni, senza essere limitata dall’attribuzione di

quella specifica competenza a un altro soggetto istituzionale. Sono inoltre istituiti

appositi enti pubblici di cooperazione istituzionale, che coordinano gli interventi

178 Idem, 198. 179 Cfr. M. CAMMELLI et alii, Beni culturali e imprese, una collaborazione “virtuosa” tra pubblico e privato, Roma, 2002, 19.

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sui beni, a differenza dell’Italia dove ci si limita ad accordi tra le

amministrazioni180.

1.3.2 Gli strumenti della valorizzazione

Abbiamo visto che la gestione ha, per così dire, un carattere neutro, non è

un’autonoma funzione ma un combinazione di attività e operazioni che integrano

tutela, fruizione e valorizzazione del bene culturale. La stessa valorizzazione

concepisce il bene come una risorsa e tramite la predisposizione di risorse sia

umane che finanziarie, tenta di aumentare il suo valore economico e sociale.

Una delle prime leggi che ha avuto come obiettivo la valorizzazione

culturale ed economica è la già citata “Legge Ronchey”181, L. 14 gennaio 1993, n.

4, recante “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali e disposizioni in

materia di biblioteche statali e archivi di stato”. Questa disposizione normativa

determina una svolta nel panorama culturale italiano di quel periodo introducendo

importanti novità per i musei statali e i beni culturali. Lo Stato dà la possibilità,

per la prima volta, di assicurare “l’apertura quotidiana, con orari prolungati” di

musei e biblioteche e archivi di stato e di stipulare accordi con volontari ad

integrazione del personale della pubblica amministrazione e di istituire servizi

aggiuntivi offerti al pubblico a pagamento.

I servizi aggiuntivi possono essere ricondotti a quattro ambiti principali:

accesso al museo, con riferimento ai servizi informativi e di prenotazione

della visita;

180 Cfr. AMIRANTE, DE FALCO, cit., 222 - 226. 181 Proposta da Alberto Ronchey, all’epoca Ministro per i beni culturali.

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divulgazione e didattica, relativamente ai servizi di organizzazione delle

visite didattiche e di produzione e noleggio delle audioguide;

comfort e relax, ovvero i servizi di guardaroba (comunemente offerti senza

il pagamento di un corrispettivo da parte degli utenti) e di bar, caffetteria e

ristorante;

shopping, attraverso la vendita di libri o oggettistica (bookshop),

evoluzione storica della tradizionale attività di vendita di souvenir (ricordi

di viaggio) che fin dal Settecento ha accompagnato il fenomeno

turistico182.

Queste attività di supporto, che rappresentano tutte quelle attività commerciali

collaterali ai normali servizi culturali di un museo, vengono concesse a soggetti

privati o enti pubblici economici anche costituenti società o cooperative, mediante

l’appalto e poi la gestione. Si può quindi parlare di esternalizzazione o

outsourcing e dell’ingresso all’interno dei musei della logica imprenditoriale183.

Si noti che gli scopi più generali previsti sono individuabili nel rendere più

completa e gradevole l’esperienza di visita del museo, predisporre uno strumento

di comunicazione e promozione dell’immagine del museo e fornire redditi

aggiuntivi al bilancio del museo stesso. Da tutto ciò può derivare miglioramento

della qualità della visita per l’utente, che avrà a disposizione numerosi servizi a

suo vantaggio che matureranno un giudizio positivo sulla visita complessiva184.

182 Vedi R. GROSSI (a cura di), Politiche, strategie e strumenti per la cultura, secondo rapporto annuale federculture 2004, Torino, 2004, 174. 183 Cfr. G.MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali, l’ambiente normativo e culturale: opportunità e vincoli per il management delle istituzioni culturali, Milano, 2004, 35-38. 184 In questo senso L. CARLINI, Primo rapporto Nomisma sull’applicazione della legge Ronchey, anno 2000, reperibile all’URL: «http://www.musei-it.net/docs/nomisma/»

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L’importanza era già stata avvertita in alcuni paesi europei come la

Francia, dove, infatti, uno dei primi compiti dello Stato è garantire la fruizione del

patrimonio culturale, e la Gran Bretagna.

Nel 1995, con l’art. 47 quater del d.l. 23 febbraio, n. 41, si è esteso

l’elenco dei servizi aggiuntivi e si è introdotta la possibilità di affidamento in

gestione a fondazioni culturali e bancarie, società o consorzi, che potevano essere

costituiti per tali finalità. Qualche anno dopo, si sono raggiunti ulteriori sviluppi

attraverso il loro inserimento nell’art. 112 del d. lgs. 490/99 recante il “Testo

unico per i beni culturali e ambientali”, con la denominazione “Servizi di

assistenza culturale e di ospitalità”, che oggi, dopo l’emanazione del codice dei

beni culturali e del paesaggio si trovano all’art. 117 e sono rubricati come “Servizi

aggiuntivi”185.

La legge ha incontrato delle difficoltà iniziali e il primo servizio aggiuntivo è stato

attivato solo qualche anno dopo. Tuttavia, da allora, la loro crescita per numero,

diffusione e qualità è stata piuttosto significativa, tanto da rendere ottimistiche le

185 Il cui testo ribadisce la tipologia dei servii aggiuntivi già previsti dall’art. 112. “Articolo 117 (Servizi aggiuntivi): 1. Negli istituti e nei luoghi della cultura indicati all’ Articolo 101 possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico. 2. Rientrano tra i servizi di cui al comma 1: a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; d) la gestione dei punti vendita e l’utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; g) l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali. 3. I servizi di cui al comma 1 possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria. 4. La gestione dei servizi medesimi è attuata nelle forme previste dall’Articolo 115. 5. I canoni di concessione dei servizi sono incassati e ripartiti ai sensi dell’Articolo 110.”

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ricerche condotte sul loro funzionamento, a distanza di poco tempo

dall’attivazione dei servizi186. In verità i risultati dell’applicazione della legge

sono stati piuttosto eterogenei: le gare di concessione degli appalti hanno

coinvolto strutture sia principali che minori, con scarso equilibrio e necessità di

trovare nella prassi gli elementi necessari anche a causa della rapida evoluzione

politica e legislativa. Si può comunque riconoscere che l’effetto positivo legato

alla presenza dei servizi aggiuntivi si riflette a livello di sistema e migliora

l’immagine del museo come istituzione culturale e la sua percezione come

apprezzabile alternativa di utilizzo del tempo libero187. Per quanto riguarda

l’andamento dei servizi, si riscontra una sostanziale stabilità degli incassi

complessivi e se da un lato ciò indica che gli utenti mostrano apprezzamento e

seguitano a farne uso, dall’altra, in una prospettiva di redditività e sviluppo futuri

potrebbe individuare come insostenibile la presenza dei privati. Sarà necessario

riflettere sull’andamento degli ultimi anni e cercare di coniugare i diversi interessi

in gioco, a vantaggio di utenti e operatori188.

Negli stessi anni andavano sviluppandosi i fenomeni della

sponsorizzazione. Questa pratica è oggi definita come una “forma di

comunicazione pubblicitaria rivolta alla divulgazione del nome di un soggetto

produttore di beni. Viene attuata attraverso appositi contratti con i quali una

parte, lo sponsor, si obbliga solitamente al pagamento di somme di denaro, al fine

di ottenere la divulgazione del proprio marchio in occasione delle attività svolte

186 In questo senso CARLINI, cit. 187 In questo senso R. GROSSI (a cura di), cit., 177. 188 Idem, 184-185.

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dallo sponsorizzato”189. I gestori inizialmente erano riconoscibili in mecenati che,

col tempo, hanno iniziato a delineare un’ottica imprenditoriale in cui disporre i

loro contributi in denaro o servizi, con la convinzione che fossero investimenti

sull’immagine. Si era avvertita poi la necessità di trasformare in contratto la

sponsorizzazione. Le prime forme avevano ancora un costo molto basso e c’era

larga disponibilità ad accogliere le necessità esposte dal direttore del museo,

naturalmente per finalità di fruizione e valorizzazione del bene. Oggi la situazione

è più complessa e si lavora con più sponsor che intervengono con somme diverse

per richieste specifiche190. Il codice tratta l’argomento all’articolo 120191,

inquadrando la sponsorizzazione come una delle modalità con le quali può

esplicarsi la partecipazione dei privati alle attività da valorizzazione e anche alla

tutela. E si specifica inoltre che la finalità del contributo deve essere la

progettazione o la realizzazione di una iniziativa di tutela o valorizzazione del

bene in questione192.

189 V. voce “sponsorizzazione” in, Enciclopedia Universale, Le Garzantine, Milano, 2005, 1448. 190 Cfr. P. BISCOTTINI, Note di museologia, Milano, 2004, 40 - 41. 191 “Articolo 120 (Sponsorizzazione di beni culturali): 1. E’ sponsorizzazione di beni culturali ogni forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti privati alla progettazione o all’attuazione di iniziative del Ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività dei soggetti medesimi. 2. La promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell’immagine, dell’attività o del prodotto all’iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione. 3. Con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo nonché le forme del controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si riferisce.” 192 In questo senso G. PIPERATA, Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/1/piperata.htm»

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Il codice suggerisce ulteriori fattispecie di sostegno alle attività di

valorizzazione dei beni culturali, ad esempio all’articolo 121193, dove si

prevedono protocolli di intesa tra il Ministero, le Regioni ed altri enti pubblici

territoriali, ciascuno nel proprio ambito. Da una parte troviamo tali enti, dall’altra

le fondazioni bancarie che sono istituzioni benemerite che svolgono compiti

specifici nel settore della cultura. Il codice si è preoccupato di attivare un

meccanismo che preveda il coinvolgimento diretto delle fondazioni con le

istituzioni pubbliche.

Nella prassi, le situazioni delineate spesso si intrecciano fra loro e non

sono facilmente inquadrabili nell’una o nell’altra delle categorie indicate.

Il significato più profondo delle innovazioni di cui si è parlato è quello di avere

recepito a livello di norma il concetto di investimento culturale.

Il codice dei beni culturali tuttavia non racchiude in sé la disciplina di tutti

gli strumenti che è possibile utilizzare per la valorizzazione dei beni. Ci sono altri

provvedimenti degni di nota, che riguardano in particolar modo il patrimonio

immobiliare pubblico. Il termine valorizzazione, applicato ai beni pubblici, è

normalmente utilizzato per indicare quelle diverse attività che intendono

trasformarli in fonti di reddito, tramite strumenti che assicurino una gestione

proficua, o l’alienazione. La gestione dei beni di proprietà pubblica è da sempre

193“Articolo 121 (Accordi con le fondazioni bancarie): 1. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, ciascuno nel proprio ambito, possono stipulare, anche congiuntamente, protocolli di intesa con le fondazioni conferenti di cui alle disposizioni in materia di ristrutturazione e disciplina del gruppo creditizio, che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell’arte e delle attività e beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale e, in tale contesto, garantire l’equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione. La parte pubblica può concorrere, con proprie risorse finanziarie, per garantire il perseguimento degli obiettivi dei protocolli di intesa.”

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uno dei settori più improduttivi e dispendiosi per l’amministrazione, che spesso

non conosce la reale entità dei propri possedimenti. Fino agli anni Ottanta vigeva

una politica di quasi totale inutilizzabilità economica, solo dopo si introdusse nelle

politiche pubbliche la consapevolezza della necessità che un tale patrimonio

dovesse essere valorizzato in termini economici. Verso la fine degli anni Novanta,

poiché i conti pubblici versavano in condizioni disastrose, l’impulso verso la

privatizzazione del patrimonio immobiliare si fece sempre più pressante, suggerita

a più parti per risanare la finanza pubblica194. Il legislatore si mette così all’opera

per predisporre una normativa che permetta le dismissioni immobiliari, basata, ad

esempio, sul principio di dismissione in blocco unico del patrimonio immobiliare

mediante il conferimento ad una i più società veicolo appositamente costituite.

La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria nata nell’esperienza dei

paesi anglosassoni e arrivata nel nostro paese alla fine degli anni Novanta,

applicata ai proventi delle dismissioni immobiliari, trasforma i beni in strumenti

finanziari da collocare sul mercato195. I passaggi più importanti dal punto di vista

normativo sono stati due: la L. 23 novembre 2001, n. 410196 con la quale si

autorizza il Ministero dell’Economia a costituire società allo scopo di realizzare

operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del

patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici; e la L. 15 giugno 2002,

n. 112197 con la quale si è prevista la possibilità di cedere il patrimonio dello Stato

194 Cfr. A. SERRA, Scip, Patrimonio Spa e Infrastrutture Spa: le società per la “valorizzazione” dei beni pubblici. L’impatto sul regime dei beni trasferiti, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/2/serra.htm» 195 Vedi SERRA, cit. 196 Che ha convertito il D.L. 25 settembre 2001, n. 351. 197 Che ha convertito il D.L. 15 aprile 2002, n. 63.

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a due società per azioni create per l’occasione, “Patrimonio dello Stato Spa” e

“Infrastrutture Spa”. Alla prima possono essere trasferiti tutti i beni immobili, il

tutto può essere ulteriormente trasferito a “Infrastrutture Spa”, società creata per

finanziare la realizzazione di opere pubbliche e aperta anche al capitale privato. Il

patrimonio che viene conferito include tutto, dai parchi alle coste, dagli edifici

storici ai musei. C’è però una particolarità, nel caso di beni culturali di

“particolare valore storico e artistico”: il loro trasferimento dovrebbe avvenire

d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali. Secondo le intenzioni del

Governo, la creazione di queste società di capitale pubblico, ma di diritto privato,

dovrebbe servire a valorizzare e gestire il patrimonio pubblico italiano, anche se

non sono ben chiari i meccanismi che regolano le operazioni di vendita. Il nuovo

codice, per tutelare i beni di particolar pregio, introduce un necessario passaggio

attraverso la verifica dell’interesse culturale, a cui consegue un regime di

alienabilità “controllata” o libera, a seconda dell’esito. L’introduzione di questa

pratica ha infiammato l’opinione pubblica e suscitato le ire di molti studiosi198.

Tornando indietro nel tempo, altre forme di valorizzazione dei beni del

patrimonio risalgono al 1997, con la l. 8 ottobre, n. 352, che ha istituito la società

Sibec per la promozione e il sostegno finanziario e organizzativo di progetti di

intervento di restauro, di recupero e di valorizzazione dei beni culturali. Tale

norma è stata poi sostituita nel 2003, dalla l. 16 ottobre, n. 291, con successive

innovazioni, che ha previsto la costituzione della società Arcus Spa, per lo

sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo. Anch’essa, come la Sibec,

198 Tra cui SETTIS, più volte citato, che ha risposto al provvedimento con la pubblicazione del libro Italia Spa, l’assalto al patrimonio culturale, cit., che contiene forti invettive.

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rappresenta uno strumento finanziario che si preoccupa di agevolare l’utilizzo e il

reperimento di risorse economiche, sia pubbliche che private. Tali risorse vengono

raccolte e investite per fini di restauro, recupero e, in genere, di promozione dei

beni culturali, per questo può essere considerata strumento di valorizzazione199.

1.4. Il museo: un cambio d’immagine

Il museo è cambiato. Ed è tuttora in trasformazione. Lo sterile contenitore

di oggetti visto da sempre come luogo polveroso e tutt’altro che invitante,

frequentato solo dagli studiosi, non esiste più. Si rivela, invece, l’esistenza di una

struttura viva e funzionale, in grado di organizzare in maniera unitaria azioni e

servizi per la tutela, la fruizione e la valorizzazione dei beni in essa racchiusi. La

trasformazione era iniziata dalla presa di coscienza, da parte della collettività,

dell’importanza del concetto di bene culturale200 e dal conseguente interesse verso

il patrimonio, dal punto di vista sociale, politico ed economico. La maggiore

conoscenza di questi temi aveva accresciuto la domanda culturale da parte del

pubblico, rappresentato da strati di popolazione con esigenze e livelli culturali

differenti, espressa nella richiesta di fruizione dei beni.

Il museo si trova oggi ad essere una struttura polifunzionale: un luogo

fisico, un servizio, un luogo d’incontro. Ha, inoltre, svariate funzioni:

199 In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 224. 200 Enucleato per la prima volta, come abbiamo visto, negli anni Sessanta, dalla Commissione Franceschini.

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conservazione degli oggetti e della memoria, esposizione, promozione culturale e

comunicazione, opportunità economica201.

Il ricordo si intreccia con l’avvenire, la staticità incontra la dinamicità; nel

contesto di questa macchina complessa. Tutte queste attività contribuiscono alla

stessa finalità, cioè alla trasmissione alle generazioni che verranno del significato

che il patrimonio porta con sé.

Esso è anche il luogo delle mille definizioni, che cercano “un equilibrio,

sempre provvisorio, ma possibile tra istanze che sembrano inconciliabili:

conservazione e fruizione, sicurezza e accessibilità, decontestualizzazione e

ricontestualizzazione, distanza e familiarità, interpretazione ed esperienza”202.

Vedremo più in dettaglio la nascita delle prime strutture, l’evoluzione del

concetto di museo, la relativa legislazione e tutte le altre funzioni.

1.4.1 L’evoluzione del museo: da struttura contemplativa…

Cominciamo dal nome. La parola museo ricorda le muse, che nella

mitologia greca erano le nove figlie di Zeus, padre degli dei, e di Mnemosine, dea

della memoria. Letteralmente le muse erano “coloro che meditano, che creano con

la fantasia”; in senso più esteso fungevano da protettrici ed ispiratrici delle arti.

Era dedicato a loro il famoso “Mouseion” ad Alessandria d’Egitto, il palazzo

reale che accoglieva il più famoso circolo intellettuale dell’antichità203. La

struttura era sorta nel IV secolo a.C., al tempo di Tolomeo I Sotere, ed era

201 Cfr. L. CATALDO, M. PARAVENTI, Il museo oggi. Linee guida per una museologia contemporanea, Milano, 2007, 42. 202 V. M. V. MARINI CLARELLI, Che cos’è un museo, Roma, 2005, 7. 203 Idem, 9.

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impiegata dagli scienziati e dai letterati per esercitare le loro discipline senza

doversi preoccupare del sostentamento. Alessandria era, così, diventata la patria

delle scienze pure e applicate e constava di biblioteca, osservatorio astronomico,

giardino botanico e zoologico. Entrando nell’età romana, il circolo si era

arricchito anche di studi geografici e filosofici; e le opere degli artisti erano ivi

conservate. Anche se non è certo che fra le sue attività si trovasse l’esposizione di

cimeli e opere d’arte per fini educativi e culturali, è da lì che deriverebbe la

“sacralità del museo” e la sua funzione contemplativa204.

A Roma era diffusa la pratica di spoliazione delle città vinte. Si

trasportavano in patria numerosi oggetti e opere d’arte che alimentavano il

collezionismo privato, con successiva esposizione al pubblico. L’uso di

raccogliere antichità si era mantenuto anche durante il Medioevo, anche se il loro

impiego era prevalentemente strumentale, generalmente per il riutilizzo dei

materiali; e sono le chiese e le cattedrali a svolgere la funzione di conservazione.

L’uso moderno del termine museo era iniziato nel periodo del

Rinascimento: si era elaborato un nuovo modello culturale, si studiava, si

ricostruiva, si raccoglieva l’antico, le vestigia delle antichità romane erano

diventate oggetto di culto. “Si colleziona da sempre per lo stesso motivo:

prestigio, status symbol, studio. L’oggetto collezionato, inoltre, perdendo la

propria collocazione originaria, acquisisce nuovi significati”205. Proprio questa

pratica rappresentava il motore propulsivo e costitutivo del museo. Dal XV secolo

rinasceva la volontà di tutta una serie di personalità come sovrani, studiosi, artisti

204 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 3-4. 205 V. A. PIROZZI, Elementi di museotecnica, Napoli, 2002, 7.

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di tutta Europa di collezionare tesori dell’arte contemporanea e antica206. Le

ricche famiglie aristocratiche erano entrate in competizione per aggiudicarsi i

pezzi migliori, che erano conservate nelle gallerie dei palazzi e poi talvolta

venivano anche esposti al pubblico.

1.4.2 (segue) …a struttura divulgativa.

Dal XVII secolo, si era fatta strada l’idea della raccolta destina al pubblico,

perché l’esperienza diretta poteva favorire la conoscenza e l’istruzione.

In Inghilterra, ad Oxford, nel 1683, Elias Ashmole aveva fatto diventare

pubblica la sua collezione e fatto nascere ufficialmente il museo. L’ingresso era

possibile a tutti, non solo agli studenti, con pagamento di un biglietto d’ingresso.

Gli oggetti potevano essere osservati e toccati: ecco lo scarto dalla struttura

sacrale e silenziosa a cui i frequentatori erano avvezzi!

In tutta Europa la divulgazione del sapere era considerata una

responsabilità pubblica. Le collezioni diventavano strumento per l’identità

collettiva e con l’influenza dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese nasceva

l’idea di museo in senso moderno, un luogo pubblico in cui venivano conservate

le memorie del passato207. Rispondeva a questa definizione il Louvre di Parigi,

seguito dal British Museum, fondato nel 1759. Entrambi erano nati in

conseguenza di trasformazioni della società e per soddisfare le nuove esigenze

culturali. Francia e Inghilterra erano in competizione per soffiarsi i reperti

archeologici e si proponevano come custodi di una cultura universale, salvando

206 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 119 – 124. 207 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 18.

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ciò che per ignoranza il paese d’origine aveva trascurato. Le diverse visioni della

funzione comunicativa erano peculiari. In maniera diversa da oggi, comunicare

un’idea o un concetto, all’interno dei musei, era comunque importante. L’uso

strumentale del museo aveva portato la Francia ad autocelebrarsi, a magnificarsi

l’imperialismo, il potere e la superiorità. L’Inghilterra invece si preoccupava di

fornire l’idea dello sviluppo progressivo dell’arte, gradino dopo gradino, per

giungere all’esaltazione della classicità greca. Era importante mostrare la distanza

rispetto alla perfezione. Il concetto però arrivava al visitatore senza mediazione, si

dava per scontato che chi entrava nel museo sapesse già cosa cercare208.

All’inizio del XX secolo non c’era più il frenetico accumulo di oggetti, le

pratiche di spoliazione si erano arrestate, si era quindi realizzato

l’approfondimento della ricerca scientifica209.

Negli Stati Uniti, le prime strutture museali erano nate come imitazione di

quelle europee, con la differenza di non avere mai avuto finalità politiche, ma

piuttosto didattiche. I musei più importanti erano nati a metà del 1800: il Museum

of Modern Art, Moma, di New York, il Museum of Fine Arts a Boston, l’American

Museum of Natural History. I fondatori e i gestori erano soggetti privati210.

L’attività europea di recupero reperti si era rivelata utile anche per i musei

statunitensi: questi avevano, infatti, così potuto acquistare numerosi pezzi che

favorivano la rassomiglianza tra i musei europei e americani211. Gli stessi privati,

inoltre, avevano iniziato a viaggiare per l’Europa alla ricerca di opere d’arte. Si

208 In questo senso K. SCHUBERT, Il museo. Storia di un’idea. Dalla rivoluzione francese a oggi, Milano, 2004, 20–34. 209 Idem. 210 I maggiori musei erano infatti nati dall’idea dei soci di club privati. 211 Cfr. SCHUBERT, cit., 47-50.

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può individuare anche una peculiarità: la creazione di luoghi che racchiudevano al

loro interno tutta una serie di curiosità e stranezze212. Negli Stati Uniti

l’imitazione era comunque sempre presente, sia per ammirazione della storia e

della tradizione europea, sia per una sorta di senso di inferiorità. Ciò si constatava

anche nell’allestimento delle cosiddette period rooms213: ricostruzioni di

particolari ambienti, riprodotti nei minimi dettagli.

Con l’infuriare della seconda Guerra Mondiale, i capolavori europei erano

stati inviati ai musei americani, notevolmente più sicuri. Estremamente

danneggiati dalla guerra, i musei europei non risultavano più inseriti, come quelli

americani, in un “contesto produttivo che ne valorizzi le funzioni e ne definisca i

compiti”214. Così, mentre negli Stati Uniti si era creato un “rapporto dinamico

tra mercato dell’arte, industria culturale, università e musei, nell’Europa sempre

più “vecchia” i musei tendono a diventare polverosi depositi di cose morte”215.

Durante la ricostruzione, in Europa, i musei restano privi di finanziamenti e di

personale e… “muoiono davvero”216.

Negli anni Settanta il percorso di ricostruzione poteva considerarsi

concluso. Entrava nella disponibilità della gente il tempo libero, e quindi la

possibilità di dedicarsi al turismo. Il museo era tornato ad essere un luogo

212 Sono i “Dime museums” che presentavano varie e particolari attrazioni, come la donna barbuta, i gemelli siamesi, i night-blooming cactus, i cani sapienti. E se queste attrazioni sembrano un fenomeno mostruoso, si ricordi che, etimologicamente, la parola “mostruoso” proviene dal latino “monstrum”, cioè mirabile, da mostrare, un fenomeno contro natura, ma anche un prodigio! Tali luoghi si sono evoluti, in tempi recenti, nei parchi a tema, come Disneyland, che presentano “il surreale quotidiano, il sogno senza costrutto, il kitsch, la trasgressione”; V. A. MOTTOLA MOLFINO, Il libro dei musei, Torino, 1991, 172-186. 213 Presenti anche in Gran Bretagna. 214 V. L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal 500 ad oggi, Milano, 1989, 70. 215 Idem. 216 Idem, 71.

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destinato all’apprendimento ma anche al divertimento; un luogo “orientato non

soltanto alla ricerca e all’esposizione, ma molto più attento al pubblico

all’interno, in una prospettiva di servizio”217.

Il museo moderno deve accattivarsi schiere di pubblico identificando

desideri e preferenze del pubblico. I cambiamenti economici e sociali218 avevano

influito sul suo aspetto: possibilità di efficace illuminazione, i servizi di assistenza

al visitatore come presenza di supporti tangibili. La fotografia aveva permesso di

riprodurre le opere in cataloghi e libri d’arte. Gli allestimenti nelle strutture erano

stati semplificati per valorizzare gli oggetti. Venivano facilitati i percorsi visivi e

studiate le condizioni di illuminazione219. Si organizzavano sempre più spesso

mostre temporanee, l’arte non era più solo per pochi, il museo non rappresentava

più un luogo di meditazione esclusivo, ma assumeva una nuova funzione: si era

desacralizzato ed era diventato spazio culturale con una propria utilità sociale220.

Il museo rappresenta, ora, un luogo d’incontro che fa parte della vita

quotidiana, e queste funzioni continuano ad essere mantenute, anzi, vengono

sempre più perfezionate e adattate alle esigenze degli utenti. Si effettuano ricerche

e indagini per controllare la risposta dei visitatori ai servizi e alle mostre. Ci sono

uffici addetti al marketing e alla comunicazione, come al Moma di New York o

alla Tate Gallery di Londra221.

217 V. SCHUBERT, cit., 80. 218 Cfr. SCHUBERT, cit., 93, 94. 219 In questo senso C. S. BERTUGLIA, F. BERTUGLIA, A. MAGNAGHI, Il museo tra reale e virtuale, Roma, 1999, 100-101. 220 In questo senso PIROZZI , cit., 12. 221 Cfr. SCHUBERT, 93 - 95.

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In seguito si vedrà anche come le nuove tecnologie abbiano arricchito il

panorama dei servizi offerti al visitatore, cercando di sviluppare al massimo le

conoscenze e le percezioni.

1.4.3 Il museo contemporaneo: definizioni.

Abbiamo visto come il museo, nato come luogo per l’ispirazione e la

creatività, si sia a poco a poco trasformato nel luogo della memoria e della

conoscenza. Questa memoria si tramanda attraverso le testimonianze del passato e

la conoscenza si apprende per mezzo di quelle stesse testimonianze222.

Vedremo i molteplici modi di descrivere la struttura museale, di mezzi e

servizi, organizzati per soddisfare le esigenze degli utenti, e tutto il complesso in

cui si articola il cosiddetto sistema-museo. Sistema, perché è costituito da un

insieme di attività che interagiscono tra loro e cercano di raggiungere gli obiettivi

prefissati. È una realtà complessa che ha però una struttura abbastanza semplice

perché si fonda sulla sua collezione, quindi il suo contenuto, sulla sua sede, sul

pubblico e sulla sua gestione223.

Innanzitutto, “non si può parlare di museo (…) se non si ammette che siamo noi –

la società entro cui vive e opera (…) – gli artefici di ciò che esso è, di ciò che

rappresenta, di ciò che conserva e di come lo racconta”224. Il museo degli inizi,

infatti, aveva già cominciato a seguire il flusso dei cambiamenti sociali e delle

diverse politiche adottate dagli Stati, ora autocelebrative, ora propagandistiche,

222 Cfr. F. SISINNI, Presentazione, in Il museo, 1992, 0,1-2. 223 Temi trattati in questo e nei prossimi paragrafi. 224 V. P. C. MARANI, R. PAVONI, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Venezia, 2006, 23.

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ora didattiche. E questo suo oscillare tra le diverse funzioni cambia la definizione

che il museo dà di sé stesso nel tempo.

Durante i primi cento anni di sviluppo della struttura non sono mai state

analizzate le premesse o gli intenti. Ciò è avvenuto solo in anni recenti, con la

nascita di discipline come la museologia225 si è proposta l’analisi del museo come

soggetto storico226.

Il museo è “specchio e metafora della società in cui è inserito”227 e lo

stesso allestimento degli oggetti non rimanda una realtà o verità assoluta, ma è

sempre mediata da ideologie, politiche, tradizioni o tensioni228. Si percepiscono,

inoltre, maggiormente i cambiamenti nell’approccio, se si vanno ad osservare i

diversi allestimenti visibili in un certo arco di tempo, all’interno della stessa

struttura museale.

Si trovano tantissimi modi per descrivere il museo: “un luogo di incontro

umano, una memoria collettiva, un luogo di espressione collettiva nel quale si

rispecchiano la storia civile e intellettuale di una comunità, la vitalità culturale di

questa comunità, la sua capacità di legare il passato storico alla realtà del

momento attuale”229 e lo si istituisce per il “desiderio di raccogliere e

conservare, in luoghi idonei, quanto è ritenuto espressione significativa dell’arte,

allo scopo di preservarlo all’ingiurie del tempo e degli uomini, di consentire alle 225 La museologia fa parte, assieme alla museografia e alla museotecnica, delle discipline che riguardano la vita e l’organizzazione del museo. La museologia è una scienza che studia i contenuti e la storia degli oggetti del museo e individua il modo in cui questo sapere dev’essere trasmesso all’esterno; la museografia progetta gli spazi espositivi con un legame logico e semantico tra architettura del museo e contenuto; e la museotecnica comprende le attività e le conoscenze che riguardano i problemi espositivi. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 70. 226 Cfr. SCHUBERT, cit., 33-34. 227 V. M. L. TOMEA GAVAZZOLI, Manuale di museologia, Milano, 2003, XIII. 228 In questo senso MARANI, PAVONI, cit., 23. 229 V. BINNI, PINNA, cit., 77.

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varie generazioni di avere testimonianze dell’attività umana nello scorrere degli

anni e di accrescere il benessere intellettuale”230. È una “raccolta di oggetti e

(…) di informazioni” che sono “il risultato di una scelta”231. Ma “non è un

deposito o un semplice contenitore di cose, ma una struttura o un’istituzione che

raccoglie una ben precisa selezione di testimonianze a cui sia attribuito valore di

civiltà”; è anche “un servizio offerto, da enti pubblici o privati, alla comunità, la

cui funzione sociale e culturale consiste nel garantire la conservazione dei beni e,

nel contempo, il loro godimento”232. È “l’arca di Noè che protegge ciò che sta al

suo interno dalle forze del mondo ostile circostante. È l’agente della società

impegnato a contrastare la naturale tendenza al decadimento delle cose. È fonte

di stabilità e dunque di rassicurazione”233.

In Italia il museo gode di una tradizione di eccellenza nella qualità e di

un’estensione capillare su tutto il territorio. Si possiedono innumerevoli collezioni

artistiche ed è inoltre molto diffuso il flusso di nuove acquisizioni. Queste

derivano da scavi archeologici, donazioni o reperimenti fortuiti.

Almeno dalla fine dell’Ottocento, fino alla Repubblica, la legislazione

statale aveva fatto scomparire il termine “museo” per farlo regredire a “raccolta

governativa”, a “collezione” aperta al pubblico, o “luogo” accessibile tramite

pagamento di una tassa d’ingresso. A poco a poco tutti i musei, anche quelli degli

enti locali, che inizialmente avevano mantenuto un’identità in qualche modo

distinta, erano diventati solo “contenitori di cose”. A metà degli anni Sessanta si

230 V. V. MILONE, Il museo. Da entità statica a istituzione dinamica, Bari, 2004, 11. 231 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 17. 232 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 101. 233 V. BALBONI BRIZZA, Il museo come forma complessa, in Nuova museologia, 2003, 3, 18, reperibile all’URL: «http://www.nuovamuseologia.org»

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era aperto il dibattito: era inoltre stata emanata un’importante legge, che

riconosceva formalmente i musei “non statali”234 anche se le innovazioni erano

poche e i risultati modesti e disattesi. Solo alla fine degli anni Ottanta il museo era

riconosciuto come “entità”, e si erano fatte strada le istanze di autonomia.

All’inizio degli anni Novanta la legge Ronchey aveva presentato tutto l’ambito

del servizio pubblico e innovato la pratica della gestione; con i decreti Bassanini e

le prime forme di decentramento il museo era finalmente riconosciuto come

istituto, e si prevedevano le prime forme di autonomia235.

Dopo la lunga “dimenticanza” della legislazione, la prima fonte normativa

statale che aveva dato una definizione al museo era stata il d. lgs. 490/99, il quale

all’art. 99 co. 2 lett. a, lo descriveva come una “struttura comunque denominata

organizzata per la conservazione, valorizzazione e fruizione di raccolte di beni

culturali”. Era una definizione “povera”, che tralasciava organizzazione e

gestione, il museo continuava ad essere una articolazione interna dell’ente a cui

apparteneva. È poi intervenuto il d. lgs. 42/2004, il Codice dei beni culturali e del

paesaggio, che individua all’art. 101, co. 2 lett. a, gli istituti e i luoghi della

cultura, definendo il museo: “una struttura permanente che acquisisce, conserva,

ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”. I comma 3

e 4 inoltre qualificano il museo come bene d’interesse pubblico, a prescindere

dall’appartenenza pubblica o privata. La definizione proposta dal Codice è in linea

234 Li divideva in quattro categorie: multipli, complessi di musei con un’unica direzione; grandi, medi e minori, a seconda dell’importanza delle loro collezioni e impegnava gli enti proprietari a predisporre un regolamento di organizzazione e funzionamento che contemplasse persone, mezzi e sede. 235 Cfr. D. JALLA, Il regolamento del museo come strumento di gestione: dimensione giuridica e strategica., reperibile all’URL:«http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it /pdf/sani/musei%20e%20codice.pdf»

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con quella fornita dall’ICOM, già nel 1986, ma rivisitata nel 2004, nell’art. 2 del

suo statuto: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al

servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche

che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo

ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di

studio, educazione e diletto”.

È importante però notare, come sottolinea il prof. Jalla236, che tra le

funzioni del museo evidenziate dall’art. 2, co. 2, lett. a, del Codice, manca la

ricerca; e tra le finalità non si trova il diletto, “condannando i curatori a mere

funzioni burocratiche e di conservazione e i visitatori alla noia”237. Sono due

assenze importanti, che hanno spinto l’ICOM Italia a richiedere l’integrazione

della definizione.

Anche negli Stati Uniti troviamo varie definizioni di museo. L’American

Association of Museums nel suo “Code of Ethics for Museums” afferma che i

musei americani sono tra loro molto diversi, ma hanno un comune denominatore:

“making a unique contribution to the public by collecting, preservative, and

interpreting the things of this world”238. Questo codice, inoltre, riconosce la

varietà di grandezza e di tipo e a livello federale, il Museum and Library Service

Act definisce il museo come: “a public or private non profit agency or institution

organized on a permanent basis for essentially educational or aesthetic purposes,

236 Idem. 237 V. F. NICCOLUCCI, Biblioteche digitali e musei virtuali, in Digitalia, 2006, 2, 40, reperibile all’URL: :«http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf». 238 V. AAM, What is a museum?, reperibile all’URL: «http://www.aam-us.org».

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which, utilizing a professional staff, owns or utilizes tangible objects, cares for

them, and exhibits them to the public on a regulator basis”239.

La definizione dell’ICOM, valida ovviamente anche per gli Stati Uniti, ci

propone anche la cosiddetta missione del museo, insita nella sua stessa

definizione: deve svolgere le funzioni istituzionali che gli sono proprie, che sono

regolate dalla legislazione interna alla Stato, e che possono essere la

conservazione, la tutela e la promozione dei beni. La consapevolezza che tutte le

scelte si riflettono sulla collettività e le future generazioni, impone che la missione

debba essere contenuta formalmente nell’atto costitutivo o nel regolamento del

museo. Ciò è quanto ci dice il D.M. 10 maggio 2001 “Atto di indirizzo sui criteri

tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art. 50

co. 6, d. lgs. 112/98). In genere la missione segue le previsioni della Costituzione,

quindi il museo deve tendere a:

“conservare il patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale;

promuovere la valorizzazione e la diffusione dei contenuti culturali del

patrimonio storico”240.

I musei statunitensi sentono l’idea di missione molto più di quelli italiani. Ogni

istituzione ha la propria, ma quasi tutte condividono il principio dell’educazione,

assieme a quello conservativo, che deve arrivare all’utente attraverso una

piacevole esperienza. È significativa, a tale scopo, questa citazione: “We believe

in the power of art to ignite the imagination, stimulate thought, and provide

239 Idem. 240 V. F. CAPOROSSI GUARNA, F. DAINELLI, I. SANESI, L’economia del museo. Gestione, controllo, fiscalità., Milano, 2002, 19.

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enjoyment”241. Ma definizione in assoluto più evocativa è il “museo come terra

dei sogni”242.

1.4.4. Pubblico e comunicazione

Il museo è un sistema di comunicazione: gli oggetti che esso espone243

comunicano un messaggio, sempre diverso, a seconda delle finalità che intende

perseguire. L’atto del comunicare abbraccia tutti gli aspetti del suo

funzionamento, e se il suo ruolo attuale è quello di essere un servizio pubblico,

com’è negli intendimenti dell’ICOM, servizio che si riconosce essere necessario,

altrettanto necessario è il ruolo comunicativo insito in esso.

Quanti tipi di comunicazione esistono? Esistono diversi tipi di approcci, che non

possono essere trattati in questa sede; ci si limita ad individuare essenzialmente

due modi di trasmettere il messaggio: una comunicazione “interna” ed una

“esterna”. La prima ha a che fare con l’allestimento e l’esposizione degli oggetti,

quindi riguarda anche la funzione didattico - educativa. La seconda, invece,

rimanda all’impatto del museo all’esterno: dall’architettura materiale a quella

virtuale. Ad entrambe le modalità si applicano le nuove tecnologie, via

privilegiata di comunicazione del museo contemporaneo244. C’è un elemento che

è fondamentale, assieme agli oggetti245 per l’esistenza del museo, e che con essi si

relaziona: il pubblico. Vale la pena soffermarsi su questo punto per chiarire che

241 V. C. ACIDINI LUCHINAT, Il museo d’arte americano. Dietro le quinte di un mito, Milano, 1999, 40; Cfr. TOMEA GAVAZZOLI, cit., 8, 9. 242 V. BALBONI BRIZZA, cit., 18. 243 O anche la mancanza di oggetti tangibili come per i musei virtuali, che vedremo in seguito. 244 Di cui si tratterà in seguito, dal par. 1.5. 245 Materiali o virtuali.

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esso è cambiato rispetto al passato, e la sua evoluzione la si può distinguere in tre

fasi:

1. è inizialmente rappresentato da un’èlite intellettuale: studiosi, artisti. I

visitatori sono affini al personale scientifico, e in grado di decifrare i

messaggi trasmessi attraverso le raccolte. Il grande pubblico, invece, vede

il museo con un sentimento di soggezione e lo considera lontano dalla

realtà;

2. diventa poi una massa da educare, sia nel comportamento, sia nelle

modalità di apprendimento. Il visitatore deve solo imparare, non può

valutare criticamente;

3. infine viene considerato fruitore, ma anche utente. Egli può richiedere ed

esigere dei servizi dal museo, ma resta comunque un ricettore passivo di

contenuti.

Oggigiorno il pubblico è diventato interlocutore, può interagire col museo. È più

vasto, caratterizzato da diversa preparazione culturale, e gli devono essere forniti

gli strumenti utili per decifrare i vari messaggi che gli vengono proposti246.

Ma passiamo alle modalità di comunicazione.

La comunicazione “interna” si confronta continuamente con l’allestimento

degli spazi, e diventa così visiva. Deve, inoltre, essere anche integrata da quella

verbale, scritta od orale. La distribuzione degli oggetti secondo particolari

tematiche, ciascuna delle quali ha il suo percorso espositivo, è compito della

museologia; il modo con cui questo viene comunicato al visitatore appartiene alla

246 In questo senso MARINI CLARELLI, cit., 17.

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museografia247. Poiché le opere d’arte sono “segni”, proprio per questo sono

naturalmente predisposte alla comunicazione. Bisogna “far parlare” le opere per

“trasmettere cultura”248. Tali segni contribuisco a raccordare il gruppo sociale alla

sua storia e per l’attività educativa dell’utente durante la sua visita è necessario:

individuare il tipo di pubblico, individuare gli obiettivi che si vogliono

raggiungere, e infine la metodologia per conseguirli. Solo così un’attività didattica

potrà funzionare.

Il pubblico che ci si può trovare davanti, quindi, è piuttosto eterogeneo. Da

quando si è cominciato a prestare attenzione alla didattica all’interno del

museo249, l’obiettivo sono diventate le giovani generazioni: bambini ed

adolescenti. Entrano in gioco qui numerose teorie sull’apprendimento e studi

pedagogici per supportare l’applicazione dell’apprendimento museale al mondo

della scuola. Vengono proposti laboratori o seminari che sviluppino nel soggetto

la creatività e gli permettano di creare associazioni tra ciò che vede e ciò che fa250.

Nel dibattito si citava spesso un proverbio cinese: “Se ascolto, dimentico. Se

vedo, ricordo. Se faccio, capisco”. Come esempio, qui nel Trentino Alto Adige, e

più precisamente a Trento, è possibile citare il Museo Tridentino di Scienze

Naturali. È un validissimo esempio di didattica museale applicata, per i bambini.

Vengono proposte numerosa attività: laboratori creativi per famiglie, visite

247 Cfr. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI cit., 33, 34. 248 V. F. ANTINUCCI, Comunicare nel museo, Roma-Bari, 2004, X. 249 In Italia è successo circa venticinque anni fa, periodo in cui avevano luogo i primi convegni sul tema. 250 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 197, 198.

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notturne, possibilità di interagire con gli oggetti251. Le attività possono anche

essere previste solamente per gli adulti252.

Il mondo anglosassone ha sempre rivolto ampia attenzione alla dimensione

educativa. Il museo americano, per esempio, è esso stesso nato come strumento

divulgativo, per elevare la cultura della cittadinanza. I direttori propongono molte

attività per i bambini, assolutamente efficaci in quelle zone degradate che

potrebbero “deviare” la cultura. Deve essere, inoltre, sempre più perfezionata la

formazione degli operatori dell’educazione e della comunicazione.

Per comunicare il proprio messaggio, il museo deve decidere di attivare

delle mostre temporanee, per veicolarlo più agilmente. In questo caso, infatti, il

linguaggio è “più immediato ed emozionale, basato sull’attualità della

conoscenza e sull’evoluzione delle scoperte, concentrato sulla suggestione

dell’approfondimento di un tema”253.

Per quanto riguarda la comunicazione esterna, l’incidenza architettonica è

fondamentale. Nel museo contemporaneo il progetto dell’edificio non è

assolutamente indifferente alla natura degli oggetti esposti. Si può dire che: “la

funzione cognitiva dell’architettura deve coniugarsi con la funzione di

rappresentazione”254. Se il museo è situato in un’area facilmente accessibile della

251 Cito solo alcune delle iniziative: “Una giornata da primati. Alla conquista dell’altro sesso”. Tecniche di seduzione: le forme più strane e curiose di comunicazione amorosa fra gli animali; “Discovery room”, una stanza delle scoperte per vivere in maniera ludico – creativa il mondo degli scimpanzè. Oppure posso citare le iniziative in collaborazione con il Museo dell’aeronautica G. Caproni, sempre a Trento: “Pianeti giganti”, visita guidata al planetario starlab; “Indizi al volo…con merenda”, caccia al tesoro tra gli aerei. 252 Iniziativa attivata al Museo Tridentino di Scienze Naturali: “Aperitivo al museo”, sfizioso drink tra arte e scienza per un momento di intelligente relax a fine giornata. 253 V. SISINNI, cit., 2. 254 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI cit., 111.

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città assurge a istituzione chiaramente didattica255, e non è più solamente un

contenitore. Oggi la struttura è più complessa e perfezionata. Negli Stati Uniti i

musei sono stati trasferiti nelle aree centrali della città. Molti di loro hanno

un’opulenta architettura che ricorda quella dei templi greci.

La parte più importante resta comunque la predisposizione di

un’accoglienza di tipo commerciale: librerie, auditorium, caffetterie e ristoranti.

Qui sono indispensabili mentalità economica e strumenti di gestione, come per il

marketing; Inoltre, la comunicazione esterna, mettendosi anche in rapporto con il

territorio che ospita il museo, si lega intimamente altresì alla missione

dell’istituzione museale che, abbiamo visto, deve diffondere la cultura nel

territorio e preservarla.

Nei musei italiani, solo dagli anni ’90, sono state avviate politiche di

valorizzazione del patrimonio attraverso un rafforzamento delle politiche

promozionali, un’offerta di migliori condizioni di fruibilità dei musei, la dotazione

di “servizi aggiuntivi” per l’utenza per aumentare il grado di soddisfazione e

diversificare le fonti di entrata. La svolta all’innovazione è stata data dal Trattato

di Maastricht, che ha ripensato il rapporto tra cittadini e Pubblica

Amministrazione256.

I museum stores, i negozi del museo, si articolano generalmente in

bookshop o giftshop, cioè libreria o articoli da regalo. In gran parte si trova un

unico grande negozio che li contiene entrambi. Ci sono altri tre formati: vendita

tramite distributori automatici, per piccoli libri od oggetti, e-commerce (i

255 Idem, 112. 256 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 264.

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cataloghi del Moma), e vendita tramite negozi esterni, collegati comunque al

museo257.

In Italia troviamo musei statali, di proprietà dello Stato. Essi hanno

contenuto per lo più artistico e archeologico e le collezioni sono un patrimonio

direttamente alle dipendenze del Ministero. Qui i bookshop sono stati attivati con

la legge Ronchey che prevedeva la gestione di competenza della direzione del

museo o affidata in concessione a soggetti privati esterni.

Poi i musei civici di proprietà delle municipalità, dove la gestione dei negozi è di

pertinenza della direzione del museo, ma può essere esternalizzata e affidata a

soggetti privati258.

I bookshop comunque non costituiscono una fonte di entrata da consentire

autonomia finanziaria al museo stesso, e non potranno mai esserlo259.

1.4.4.1 Il marketing museale.

Alla comunicazione “esterna” appartiene anche il marketing, definibile

come “un processo non casuale finalizzato al raggiungimento della missione, che

si pone al servizio del museo, e cerca di avvicinare l’offerta ai desideri di alcuni

segmenti-obiettivo individuati”260. È necessario, quindi, stabilire le finalità che il

museo si propone di raggiungere, per poi fissare i metodi per il loro

raggiungimento. Il museo offre “prodotti culturali” che devono essere forniti a chi

257 Idem, 17, 18. 258 Idem, 39, 40. 259 Idem, 47. 260 V. S. BAGDADLI, Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, 1997, 115.

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li desidera e secondo determinate modalità. Il museo deve perciò comportarsi

come un’azienda e conoscere le strategie di mercato261.

Il museo contemporaneo è rivolto al maggior numero di persone possibile.

Anche l’architettura, anch’essa, come visto, fattore di comunicazione, cerca di

provvedere ad un allestimento che accolga efficacemente il pubblico. Quando un

soggetto decide di visitare un museo, compie una esperienza lunga, che non può

essere definita nella durata. Sceglie il museo, sceglie quando raggiungerlo e poi

effettua la visita. È intorno a questo processo che ruota tutta una serie di servizi di

supporto, dalla prenotazione on-line, per esempio, fino all’acquisto, al termine

della visita, di souvenir262. Nei musei contemporanei troviamo librerie, negozi di

articoli che riproducono ciò che il soggetto ha visto durante la visita, caffetteria, e

nei casi di strutture più complesse anche auditorium, ristoranti e gallerie

commerciali. Quindi, proprio per la presenza di queste strutture, è necessario che

il museo disponga di una “mentalità economica” e che la metta in pratica con

adeguati “strumenti di gestione”263.

Negli Stati Uniti il settore dei negozi museali è una realtà complessa e

articolata. Anzi si discute se l’eccessiva commercializzazione dei musei ne abbia

compromesso il potenziale ruolo educativo, che è una delle caratteristiche

principali della missione di quei musei. Bisogna anche rilevare, però, che prima di

essere un’analisi per verificare i bisogni del pubblico e aumentarne la

soddisfazione, il marketing è stato un utile strumento per migliorare la situazione

261 In questo senso PIROZZI, cit., 67, 68. 262 In questo senso C. MAURI, A. CIRRINCIONE, Shopping nei musei. Emozioni e acquisti nei museum shop, Milano, 2006, 9. 263 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 113.

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economico-finanziaria, in passato in forte dissesto. Biglietti d’ingresso, attività

accessorie e mostre temporanee si erano rivelate molto redditizie264; infatti la

comunicazione ha anche la funzione di convincere il pubblico ad “assumere

determinati comportamenti d’acquisto”265. In Italia queste attività non sono così

sviluppate da poter consentire ai musei un’autonomia finanziaria. La prevalenza

dei musei, poi, non è privata, e non potrebbe comunque raggiungere

l’indipendenza.

Le strategie di marketing dei musei americani si rivolgono anche ai

potenziali sostenitori del museo. Infatti, gli stessi opuscoli di talune strutture

illustrano la possibilità di diventare membri dell’associazione museale, secondo

diverse formule ad ognuna della quali corrisponde un pacchetto diverso di

agevolazioni. Oppure viene proposta la possibilità di diventare membri del

Volunteer Activities Council e di scambiare il proprio tempo per attività di

supporto all’istituzione museale. Infine, è possibile affittare taluni ambienti del

museo per incontri d’affari o ricevimenti266. I musei americani, infatti, sono quasi

tutti privati e appartengono al settore delle organizzazioni non-profit, che è

definito il terzo settore dell’attività americana. Tali strutture hanno, quindi,

bisogno di reinvestire i guadagni per lo sviluppo dell’istituzione stessa. Sono

possedute da un board of trustees, cioè un gruppo di persone che contribuiscono

personalmente alle finanze del museo e sollecitano finanziamenti altrui. Talune

strutture sono talmente grandi da essere suddivise in dipartimenti, ciascuno dei

quali è presieduto da uno dei trustees. Il collegamento tra il gruppo e il museo è 264 In questo senso BAGDADLI, cit., 116, 117. 265 V. BAGDADLI, cit., 107. 266 Cfr. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 116.

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dato dal direttore o dalla direttrice, che opera nella maggior parte dei casi con un

rapporto fiduciario senza contratto267.

In Italia non si vedono questi soggetti come un gruppo specifico verso cui

indirizzare sforzi o progettazione delle offerte, dato che comunque il 90% dei

finanziamenti proviene dallo Stato. La concentrazione è rivolta, invece, al

pubblico che risulta essere disomogeneo e quindi dovranno essere fatti notevoli

sforzi per servirlo al meglio268.

Prima di procedere alle attività vere e proprie di marketing è necessario

effettuare un’analisi che riveli “i fattori critici di successo” e il “sistema di

minacce - opportunità”269. Si deve prestare attenzione alle necessità dei vari

gruppi di soggetti che hanno a che fare col museo, quindi la domanda; i soggetti

contribuiscono a formare la domanda, e infine le “dinamiche competitive”270, con

altri soggetti atti a soddisfare gli stessi bisogni. È necessario lavorare su questi

fattori ed elaborare un piano che riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati.

1.4.5 Gestione e standard dei musei.

In Italia è lo Stato che gestisce le raccolte museali, gestione che risulta

meno forte dove la proprietà del museo è di enti pubblici o territoriali. Il museo

statale non ha una propria autonomia giuridica, né un suo bilancio, né un budget

per le attività che vorrebbe svolgere. Le competenze di gestione spettano

comunque al Ministero, articolato in dipartimenti e direzioni. Il funzionamento

267 In questo senso ACIDINI LUCHINAT, cit., 11-12. 268 Cfr. BAGDADLI, cit., 113, 114. 269 V. CATALDO, PARAVENTI, cit., 280. 270 Idem.

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delle strutture è, quindi, legato alle attività ed alle risorse finanziarie del

Ministero. Siamo ancora lontani da una gestione dinamica e con carattere di

managerialità. Per i musei degli enti locali, lo Stato tutela e controlla le raccolte,

mentre la competenza legislativa appartiene alle regioni. Secondo l’art. 117 della

Costituzione, infatti, lo Stato può emanare solo disposizioni legislative di

principio, la cui attuazione è affidata alle regioni. Per quanto riguarda musei e

beni culturali i principi a cui devono fare riferimento le normative regionali sono

individuati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

I musei locali sono molto numerosi e con strutture, modalità di esposizione

e gestione diversificate271. Grazie a una ridefinizione del rapporto tra Stato ed Enti

locali, questi ultimi sono stati indotti ad una valorizzazione del patrimonio

museale ed a cercare di avviare un modello di gestione integrata dei servizi272. Per

cercare di superare la gestione centralizzata si era attivata una procedura per

trasferire la gestione di musei e beni statali agli enti locali. I risultati però non

sono stati quelli sperati.

I musei statali hanno esclusivamente forma gestionale diretta o “in

economia” ed è anche maggioritaria nei musei degli enti locali. La gestione

indiretta è giustificata solo se garantisce più efficacia e sostenibilità economico-

finanziaria. Stato, Regioni ed enti pubblici possono però stipulare accordi di

valorizzazione dei musei pubblici e anche privati273.

271 Cfr. MILONE, cit., 60-62. 272 Idem. 273 Cfr. A. GARLANDINI, L’intervento delle Regioni a favore dei musei, uno scenario in profondo cambiamento, 2006, 2, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/2/garlandini.htm»

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I criteri di gestione per i musei sono stati definiti dagli Standard Museali,

pubblicati come “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di

funzionamento e sviluppi dei musei”274. Tale documento è frutto di un lungo

processo e di un dibattito nazionale e internazionale che a portato anche a redigere

“carte dei servizi”275. L’atto è una sintesi tra esigenze di conservazione, fruizione

e promozione dell’istituto museale moderno e individua otto ambiti di riferimento,

con relative linee guida per la definizione degli standard, ed è valido per tutti i

musei italiani, indipendentemente dal loro regime di appartenenza.

Gli ambiti riguardano:

1. Status giuridico: previsto anche dall’ICOM, serve per dotare i musei di

statuti, regolamenti o altri documenti per riconoscere loro uno status. Essi

devono indicare, tra le altre cose, le finalità, le funzioni e le attività.

2. Assetto finanziario: ovvero la messa a punto dei bilanci preventivo e

consuntivo.

3. Strutture del museo: per raggiungere garanzie di qualità, tramite procedure

e risorse specifiche.

4. Personale: deve essere qualificato e l’impiego dipende dalla dimensione

del museo, dall’importanza delle collezioni, e dalle responsabilità della

struttura.

5. Sicurezza del museo: riguarda la salvaguardia degli edifici, dei contenuti,

degli occupanti, nonché il restauro dei primi.

274 D.M. 10 maggio 2001 (art. 150 co. 6, d.lgs. 121/98). 275 Più diffuse in Gran Bretagna, sono tentativi di ridare efficacia alla Pubblica Amministrazione facendo partecipare gli utenti al controllo del servizio.

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6. Gestione e cura delle collezioni: implica il rispetto di standard relativi allo

status giuridico, alle finanze, al personale, alle strutture e alla sicurezza.

Risulta fondamentale un documento con gli indirizzi relativi alla gestione

e alla cura delle collezioni per raggiungere gli obiettivi di conservazione e

fruizione.

7. Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi: missione,

informazione, accesso e fruizione.

8. Rapporti con il territorio: centri di interpretazione del territorio stesso con

l’attivazione di indagini di ricerca e di conservazione276.

276 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 75-82.

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CAPITOLO SECONDO

BENI CULTURALI, MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE

“il virtuale non “sostituisce” il “reale”: moltiplica le occasioni di attualizzarlo”

(P. LÉVY, Cybercultura. Gli usi sociali delle

nuove tecnologie, Milano, 1999) 2.1 L’avvento delle nuove tecnologie

Abbiamo visto nel paragrafo 1.4.4 come l’architettura contribuisca alla

creazione di un “museo – ambiente funzionale alla comunicazione intesa come

continuità fra contesti espositivi e spazi dedicati al pubblico”277. A coadiuvare

quella che abbiamo definito “comunicazione esterna”, troviamo i cosiddetti

“media digitali”: le nuove tecnologie. Solo un decennio fa espressioni come

cyberspazio, realtà virtuale, new media, ci erano quasi sconosciute, mentre oggi

fanno sempre più parte della nostra realtà quotidiana.

Innovazione e tecnologia rappresenta un binomio su cui da tempo si punta:

le nuove tecnologie, intese come un mezzo per raggiungere gli obiettivi e non

come un fine a sé stante278, trasformano i sistemi tradizionali di tutela, gestione e

valorizzazione dei beni culturali, poiché cambiano i modi di produrre e diffondere

la cultura.

Sono stati attribuiti alcuni caratteri essenziali al nostro presente, tra cui

“società dell’informazione” ed “era digitale”: è questo il concetto chiave su cui è

necessario fare una breve riflessione, poiché intorno ad esso ruota tutta

277 V. S. MONACI, Il futuro nel museo. Come i nuovi media cambiano l’esperienza del pubblico, Milano, 2005, 27. 278 In questo senso S. BODO (a cura di), Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee, Torino, 2000, 83.

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l’innovazione di cui andiamo discutendo. Il termine “digitale”279 caratterizza “un

segnale, una misurazione o una rappresentazione di un fenomeno attraverso i

numeri”280, grazie alla digitalizzazione delle informazioni e quindi al loro

inserimento nella rete informatica, avviene l’incontro tra le tecnologie

informatiche e le tecnologie della comunicazione. Tramite le reti di computer, i

contenuti trasformati in bit possono viaggiare e trasferire dati molto velocemente,

migliorando il grado di accessibilità dei contenuti, e in questo caso di quelli

culturali. All’interno di questo processo si inseriscono efficacemente le tecnologie

dell’informazione e della comunicazione281 che sfruttano la tecnologia digitale e

consistono in sistemi multimediali interattivi, realtà virtuale, connessione

telematica su larga scala attraverso la condivisione di un protocollo comune di

comunicazione, come Internet282. Queste tecnologie hanno avuto un impatto

profondo con la società e, in questo caso, col settore dei beni culturali283.

279 La cui derivazione è anglosassone, anche se l’etimologia è Latina: da “digitus” che significa “dito” e che quindi “serve per numerare”. 280 V. PASCUZZI, cit., 17. Più specificamente, il codice digitale che sta alla base del funzionamento dei computer e di altri dispositivi odierni è un codice di tipo binario che utilizza i due stati fondamentali in cui si può venire a trovare un dispositivo che funziona con la corrente elettrica: zero – uno. Qualsiasi informazione può essere ridotta a una sequenza di zero e uno. Il termine “binario” è l’inglese binary digit, da cui bit, la più piccola quantità di informazione scambiabile attraverso la rete informatica. 281 ICT, Information and Communication Technologies. 282 Tematiche di cui si tratterà più diffusamente in seguito. 283 P. LÉVY nel suo libro Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, cit., 26, è contrario all’uso del termine “impatto”. Egli sostiene che, in questo modo, la tecnologia sarebbe paragonabile a un proiettile e la società a un bersaglio. È quindi evocata una metafora errata. È invece corretto pensare che è ”impossibile separare l’essere umano dal suo ambiente materiale, dai segni e dalle immagini tramite cui conferire senso alla vita e al mondo”. Il mondo materiale e artificiale non può essere separato dalle idee con cui gli oggetti tecnici vengono realizzati, le tecnologie sono quindi il prodotto di una data società o cultura.

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Tutti questi fenomeni comunque non sono da intendere come qualcosa che

si è sviluppato ex novo, dal nulla, ma rappresentano il risultato di un processo che

ci accompagnano da più di un trentennio 284.

Le prime applicazioni delle nuove tecnologie riguardavano sistemi di

conservazione e gestione degli archivi, con lo scopo di produrre maggiore

efficienza e qualità dei servizi offerti. Si è cercato di sviluppare e migliorare le

modalità di ricerca e recupero delle informazioni, con l’ausilio di complesse e

sofisticate metodologie per indicizzare e strutturare i dati. Ulteriori applicazioni

hanno poi portato alla costruzione di banche dati tematiche consultabili on -

line285. Tali strumenti hanno poi cominciato ad interessare le biblioteche ed infine

i musei. Abbiamo visto, infatti, come sia oggi di vitale importanza catturare

l’interesse dell’utente, proporgli un’accattivante presentazione dell’opera, e

conquistarlo con un’esperienza che lo coinvolga, e desti il desiderio di ripeterla.

Con l’introduzione dei nuovi modelli di fruizione delle opere e più in generale del

patrimonio, questo è diventato possibile.

Si ricordi che dalla nascita del collezionismo, gli oggetti sono stati

presentati come finalizzati a se stessi, anzi trasportati dai luoghi di provenienza

verso altri stati. Nell’epoca del digitale di può invertire la tendenza e creare

“musei trasversali” in cui si possono raggiungere in modo virtuale fonti

d’informazione sparse per tutto il pianeta, ma collegate in rete286.

284 In questo senso L. GRANATA, Dopo i beni culturali. Biblioteche e musei nell’era di Internet, Napoli, 2001, 19. 285 Cfr. A. MACCANICO, Tecnologie, beni culturali e memoria, in P. GALLUZZI, P. A. VALENTINO, I formati della memoria. Beni culturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio, Firenze, 1997, 4. 286 Idem, VII.

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Secondo Antinucci si possono individuare tre caratteristiche fondamentali

che differenziano le tecnologie applicate ai beni culturali287:

1. sono “a base visiva” quindi “mettono al centro della

comunicazione e della elaborazione l’immagine anziché il testo”;

2. sono “interattive” cioè richiedono all’utente di “agire, scegliere e

rispondere ad ogni passo della comunicazione facendola così

strutturare a lui stesso in una illimitata varietà di percorsi”;

3. sono “connesse” in modo tale che un “numero illimitato di fonti di

informazione di tutti i tipi sia accessibile in tempo reale e in forma

interattiva”.

Ciò è assai importante perché in questo settore gli oggetti con cui si ha a che fare

sono principalmente di natura visiva. Inoltre, grazie all’interattività, si modifica il

tradizionale tipo di comunicazione in quanto l’utente è chiamato ad interagire,

quindi deve sviluppare un modo di apprendimento che si definisce “senso –

motorio”288.

287 Cfr. F. ANTINUCCI, Beni artistici e nuove tecnologie, in GALLUZZI, VALENTINO, cit., 121-122. 288 La mente umana, durante i processi di apprendimento ed elaborazione può procedere con due modi, molto differenti: Un primo modo detto “simbolico – ricostruttivo” e un secondo modo detto “senso – motorio”. Con il primo modo si legge un testo con un’informazione conoscitiva, lo si comprende, si elabora nella mente e si apprende quanto letto; è il comune “studio individuale”. Con il secondo modo, si osserva un oggetto, lo si percepisce con i propri sensi e si interviene sull’oggetto stesso con la propria azione motoria. Dopodichè si osservano le conseguenze della propria azione. Quest’ultimo è il modo più naturale per l’uomo, è quello messo in atto dai bambini nei primi anni di vita, è il comportamento di tutte quelle persone che preferiscono tentare di utilizzare un oggetto senza leggere le istruzioni! Dall’invenzione della stampa, le conoscenze sono state fatte passare in forma testuale, anche se le conseguenze non sono di poco conto, bisogna infatti fare i conti con difficoltà, lentezza e fatica dell’apprendimento simbolico – ricostruttivo!

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2.2 Europa e digitalizzazione

Le nuove tecnologie della comunicazione possono davvero offrire

all’Europa l’opportunità di puntare sulla riscoperta e sulla valorizzazione del

patrimonio culturale comune. Per mezzo di questi strumenti le inevitabili lacune

di coesione e di identità tra gli Stati membri potrebbero essere colmate; e le

possibili strategie di sviluppo sarebbero dotate di maggiore effettività. Ne sono

convinti i rappresentanti di tali Stati, riuniti dalla Commissione europea, dal 2001,

nel cosiddetto “Gruppo europeo dei rappresentanti nazionali per la

digitalizzazione del patrimonio culturale” (NRG); e nominati da ciascuno stato

dell’Unione.

L’istituzione di tale organo rispondeva all’esigenza espressa da una

raccomandazione contenuta nel piano d’azione eEurope che, a partire dall’anno

2000, mira a creare tra gli Stati membri meccanismi di coordinamento di

programmi e progetti nazionali per facilitare la creazione di contenuti digitali a

disposizione dei cittadini europei. È, infatti, diventata centrale, per le politiche

europee, la fruizione del patrimonio culturale comune attraverso la sua

digitalizzazione, e perciò è necessario “riunire le forze” per perseguire obiettivi

comuni.

Nel 2001, nella cittadina svedese di Lund, sono stati elaborati importanti

principi su questo argomento, e un piano d’azione per attuarli: l’attività dell’NRG

si basa proprio su di essi ed ha il compito di custodirne l’effettività. Si prevede

come punto principale l’adozione di standard comuni e l’avanzamento verso una

piattaforma europea, costituita per mezzo di una serie di linee guida e

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raccomandazioni289. I primi progetti di applicazione delle tecnologie al settore dei

beni culturali risalgono agli anni Ottanta, ma è solo con il riconoscimento formale

della cultura come oggetto di azione dell’Unione, da parte del trattato di

Maastricht290, che l’intervento della Comunità si è fatto più incisivo. Si prevede la

disposizione di programmi quadro che si estendono per determinati periodi di

tempo, nei quali rientrano numerosi diversi progetti291.

Nell’ambito del quadro di riferimento europeo descritto si inserisce il

progetto “Ministerial Network for Valorising Activities in digitisation”

(MINERVA)292 che ha il compito di coadiuvare l’attività dell’NRG. È un progetto

nato nel 2002 e terminato nel 2006, finanziato dalla Commissione europea e dagli

Stati membri con lo scopo di facilitare una comune visione europea nella

definizione di azioni e programmi nel campo dell’accesso e fruizione in rete del

patrimonio culturale. L’obiettivo è quello di delineare possibili soluzioni che

consentano di raggiungere un equilibrio tra fruibilità del patrimonio culturale e

scientifico e tutela dei diritti, in particolare dei diritti di proprietà intellettuale. Si

riconosce, infatti, che l’individuazione dei diritti è fondamentale nel momento di

erogazione e gestione dei servizi, da parte delle istituzioni. Queste stesse

istituzioni, in particolare archivi, musei, biblioteche, necessitano inoltre di poter

contare su un modello di licenza o contratto delineato e condiviso dai Ministeri

289 Cfr. MINERVA EUROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities in digitisation. Attività 2003-2004, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/minervabooklet2003-2004-i.pdf» 290 V. art. 151 (ex 128), par. 1.2.2. 291 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 49. 292 Nato all’interno del programma quadro eContent.

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della Cultura europei che rispetti gli interessi delle parti in gioco e che salvaguardi

il diritto all’informazione per tutti i cittadini europei293.

MINERVA ha dato vita a una rete di Ministeri europei della cultura,

coordinati dal Ministero italiano, con l’obiettivo di armonizzare le attività di

digitalizzazione. I contatti con gli altri paesi, con organismi internazionali, con

altri progetti con scopo simile hanno favorito la convergenza fra archivi,

biblioteche, musei, siti archeologici, in una prospettiva di integrazione dei

servizi294. Tali indicazioni favoriscono lo sviluppo di contenuti interoperabili e lo

scopo di promuovere approcci che supportino la conservazione a lungo termine

dei materiali digitali. Nel 2004 è stata realizzata un ampliamento del progetto

MINERVA, attraverso “MINERVAplus”, per estendere i risultati ottenuti ai nuovi

paesi entrati a far parte dell’Unione Europea. Le linee d’azione dei due progetti

proseguono comunque in sintonia, i nuovi partner sono impegnati nelle stesse

tematiche del precedente progetto, ma focalizzano l’attenzione su argomenti

specifici295. MINERVAplus in particolare ha condotto uno studio sui sistemi di

293 Cfr. MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, Relazione informativa. Digital Rights Management, reperibile all’URL: «http://www.innovazione.gov.it/ita/intervento/normative/pubblicazioni/digital_rights/digital_rights_management_full.pdf» 294 Taluni dei prodotti concreti di MINERVA sono stati: “Handbook for quality in cultural website”, “Ten cultural websites’ quality principles”, “Linee guida tecniche per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali”. Per maggiori informazioni: «http://www.minervaeurope.org/events/parma/parmaconference.htm» «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria-i.htm» «http://www.minervaeurope.org/publications/technicalguidelines.htm»; v. anche par. 2.4.4.1. 295 Cfr. MINERVA EUROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities in digitisation. Attività 2003-2004, cit.

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Digital Rights Management per definire i bisogni delle istituzioni culturali e

testare le piattaforme tecnologiche296.

Nel 2003, durante la presidenza italiana, l’NRG ha elaborato un nuovo

documento strategico, la “Carta di Parma”. Essa rappresenta l’evoluzione dei

“Principi di Lund” e serve a consolidare gli obiettivi raggiunti e ad individuare

quelli da raggiungere. È importante sottolineare che, tra gli altri principi, la Carta

propone di “trovare un giusto equilibrio tra il diritto di accesso al patrimonio

culturale e scientifico e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale”; a tal

proposito sostiene “tutte le azioni rivolte ad incrementare l’accessibilità e

superare le barriere legislative e normative, incoraggia il dialogo tra esperti di

diritti di proprietà intellettuale, imprese che applicano sistemi di Digital Rights

Management e imprese produttrici di contenuti”297.

Nel 2004 è stato avviato un altro progetto: “Multilingual Inventory of

Cultural Heritage in Europe” (MICHAEL) all’interno del programma quadro

Electronic trans-european networks (eTen). Esso si avvale del sostegno dell’NRG

e del progetto MINERVA fra il Ministero italiano per i beni e le attività culturali,

il francese Ministére de la culture et de la communication e il Museums libraries

and archives council del Regno Unito. Fondandosi sui risultati raggiunti dal

progetto MINERVA nel campo degli inventari di collezioni digitali e degli

standard tecnici per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali,

MICHAEL ha l’obiettivo di creare un portale trans-europeo per l’accesso online

296 MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org». 297 V. MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, Relazione informativa. Digital Rights Management, cit.

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multilingue ai contenuti culturali digitali di Francia, Italia e Regno Unito. In

questo modo, attraverso l’adozione di standard condivisi, MICHAEL porterà

all’allineamento e all’interoperabilità dei portali culturali nazionali, permettendo

ai cittadini europei di “navigare e compiere ricerche nell’ambito delle collezioni

culturali digitali dei paesi aderenti”298. Nel 2005 si è esteso il progetto in

“MICHAELplus”, attraverso il coinvolgimento di altri paesi europei proposto dal

Ministero per i beni e le attività culturali (MiBAC)299. Il progetto quindi censisce

e dà accesso alle collezioni digitali, intendendo per “collezione digitale” una

“aggregazione di oggetti digitali. Il termine collezione indica che la risorsa

digitale è descritta collettivamente; le sue parti possono comunque essere

descritte e “navigate” indipendentemente”300.

Nel 2005 è stato predisposto un nuovo Piano d’azione, il “Dynamic Action

Plan”, che approfondisce e sostituisce i “Principi di Lund” e cerca di eliminare

gli ostacoli individuati nel tempo, tracciando la rotta da seguire nei prossimi anni.

L’obiettivo resta quello di assicurare ai cittadini europei un accesso facile e

immediato al patrimonio culturale301.

I progetti, nel loro complesso cercano di individuare e rimuovere gli

ostacoli al mantenimento delle risorse culturali digitali, assieme al bisogno di

individuare soluzioni tecnologiche e modelli di sviluppo economico. Sempre

298 V. l’URL: «http://www.michael-culture.org» e v. R. CAFFO, Il Piano d’azione dinamico per il coordinamento europeo della digitalizzazione di contenuti culturali e scientifici, in Digitalia, 2006, 1, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20061_globale.pdf» . 299 L’estensione coinvolge Finlandia, Germania, Grecia, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria. 300 V. R. CAFFO, Progetto MICHAEL, reperibile all’URL: «http://www.michael-culture.org». 301 Cfr. R. CAFFO, Il Piano d’azione dinamico per il coordinamento europeo della digitalizzazione di contenuti culturali e scientifici, cit.

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maggiori quantitativi di informazioni, infatti, sono “collezioni digitali primarie”

(born digital) e la loro conservazione è necessaria, non solo per il settore

culturale. Si prospetta, quindi, una collaborazione con progetti internazionali ed

europei sul tema della conservazione a lungo termine302. Inoltre, l’Italia si è

proposta per guidare gli studi che riguardano la sostenibilità dei contenuti digitali,

facendo tesoro delle esperienze maturale attraverso il progetto MINERVA, il

quale si è occupato di copyright e diritto d’autore; e quello dell’abbattimento dei

costi della digitalizzazione, cercando di creare una struttura europea per la

digitalizzazione.

2.3 Pubblico e nuove tecnologie

Nella nostra società la trasmissione di messaggi culturali passa necessariamente

attraverso le nuove tecnologie. Nonostante la nostra età sia stata denominata

“società dell’informazione”, esiste ancora, in realtà, un forte deficit di

informazione e conoscenza: si registra un elevato divario tra il sapere detenuto dai

soggetti. Tuttavia, la domanda culturale è in continuo aumento, intesa come

rivolta al patrimonio fisico e ai fenomeni come mostre ed esposizioni temporanee.

La richiesta di cultura domina le motivazioni principali di spostamento dei turisti,

che sono sempre più “maturi, consapevoli ed esigenti”303. Il visitatore, infatti,

parte provvisto di una approfondita ricerca di informazioni che riguardano tutti gli

302 MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione, cit. 303 V. A. GRANELLI, F. TRACLÒ (a cura di), Innovazione e cultura. Come le tecnologie digitali potenzieranno la rendita del nostro patrimonio culturale, Milano, 2006, 2.

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aspetti della sua visita e, per farlo, si avvale, prevalentemente, di strumenti

informativi che trova in rete.

Proviamo ad analizzare questo soggetto: il visitatore di un museo304.

Secondo un’efficace figura evocativa utilizzata da Bertuglia il museo

rappresenterebbe un “giacimento di informazioni” e le nuove tecnologie

sarebbero gli “strumenti per estrarre le informazioni dal museo” 305.

Possiamo distinguere due tipi ideali di utenti:

l’utente diretto;

l’utente remoto.

L’utente remoto è una nuova figura che scaturisce dall’impiego delle nuove

tecnologie: la capillare diffusione di Internet306 nella società e la digitalizzazione

del patrimonio hanno permesso alle istituzioni culturali come i musei di

condividere con il pubblico un flusso pressoché illimitato di informazioni e ha

permesso agli individui di procedere a un “consumo a domicilio”307 di cultura.

Questo segna una svolta rispetto al passato: l’utente può scegliere il momento del

consumo, la durata, l’oggetto, riducendo tempo e costi. Le conoscenze in cui si

imbatterà potranno essere fine a se stesse o indurre il soggetto a una visita diretta

nei luoghi di cui si sono individuate le informazioni. In questo caso l’utente si

trasforma in utente diretto. È, quindi, possibile che un soggetto possa

rappresentare, al tempo stesso, entrambe le tipologie, facendo precedere la visita

304 Che da ora chiameremo “utente”. 305 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 154. 306 Su cui si farà un breve approfondimento in seguito. 307 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 163.

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da una ricerca; ma è anche possibile che l’utente remoto non diventi mai utente

diretto.

Tutto ciò permetterà di valorizzare non solo i grandi musei, ma anche e soprattutto

quelli di piccole dimensioni che acquisteranno una “visibilità insperata”308.

Per quanto riguarda l’utente diretto, egli si trova all’interno del museo ed è a

stretto contatto con gli oggetti. Le nuove tecnologie gli permettono di esaminare i

beni da un punto di vista diverso o in modo più approfondito.

L’utente remoto, invece, può stabilire diversi tipi di contatto col museo e con gli

oggetti:

può stabilire una relazione precedente di preparazione a una visita;

può stabilire una relazione che è fine a se stessa e che:

non porterà a una visita futura,

porterà a una visita futura;

come abbiamo visto, ma

può stabilire una relazione successiva alla visita per rielaborare ciò che ha

visto309.

Questo stesso utente può rappresentare una fatta di popolazione molto

eterogenea. L’età è un elemento fortemente discriminante: è, infatti, facilmente

intuibile come i giovani siano i più stimolati all’uso delle nuove tecnologie, in

quanto portatori di una cultura più orientata all’utilizzo dell’informatica, grazie

alla scuola e ai media di comunicazione, come la televisione. Gli anziani, invece,

308 Idem, 161. 309 Idem, 149-151.

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incontrano diverse barriere tra cui la complessità di utilizzo o la non

comprensione delle informazioni310.

I nostri comportamenti sono in linea con quelli degli Stati dell’Europa

centrale, ma notevolmente diversi da quelli dell’Europa del nord e degli Stati

Uniti, dove si riscontra una penetrazione decisamente maggiore dei computer, e

dell’informatica in generale, nelle famiglie. Si può prevedere, però, che col tempo

l’alfabetizzazione informatica crescerà e farà sempre più parte della vita

quotidiana e che, quindi, tutti un giorno ne saranno coinvolti311.

2.4 Gli strumenti a servizio dell’utente

In che cosa consistono le nuove tecnologie, applicate ai musei, o che ad essi si

collegano? Stiamo parlando di:

Collegamenti video

Banche dati e archivi ondine

Guide multimediali e interattive

a) CD rom o DVD rom

b) Chioschi multimediali e work stations

c) Audio e videoguide

Musei virtuali

Tra queste si possono individuare le tecnologie per la fruizione in loco, come

collegamenti video, chioschi o audio e videoguide e tecnologie per la fruizione

“da remoto”, come CD rom e DVD rom, banche dati, musei virtuali.

310 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 13-21. 311 Idem.

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Collegamenti video, banche dati e musei virtuali saranno esposti ciascuno in un

separato paragrafo; CD rom e DVD rom, chioschi e audio e videoguide invece

sono partizioni del paragrafo intitolato Guide multimediali o interattive.

Ritengo opportuno soffermarmi brevemente ad illustrare la tecnologia che

supporta in gran parte questi strumenti: Internet.

Internet è la più importante rivoluzione tecnologica della nostra società ed

è il simbolo dell’era digitale. Essa può essere intesa come una rete di reti collegate

fra loro che usano dei protocolli di comunicazione comuni312. Internet è nata da

presupposti di tipo strategico – militare, negli anni Sessanta negli Stati Uniti. Già

negli anni Settanta è divenuta un mezzo dagli usi più svariati, non militari. Il suo

successo è stato decretato dalla crescita esponenziale dei computer connessi e

dalla conseguente circolazione di innumerevoli informazioni. Per aiutare gli utenti

a districarsi tra esse sono stati perfezionati dei cosiddetti “software di

navigazione”; quello attualmente più diffuso è il World Wide Web, da cui si inizia

la navigazione verso altri siti. Il protocollo di comunicazione del “www” è detto

“http” HyperText Transfer Protocol313.

2.4.1 Collegamenti video

Nei musei, in particolare all’interno di una mostra, i collegamenti video

possono essere intesi come pannelli che rimandano immagini delle opere,

immagini dell’autore o degli autori coinvolti nell’evento. Spesso sono coadiuvate

312 I protocolli di comunicazione sono un’insieme di regole per comporre dei messaggi e consentirne lo scambio tra due macchine. L’insieme dei protocolli di comunicazione di base, usati da Internet, è TCP/IP Transmission control protocol/Internet protocol. 313 Cfr. PASCUZZI, cit., 22,23; GRANATA, cit., 38, 39.

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da musica ed effetti sonori, creati per l’occasione o raccolti tra gli esistenti, che

creano una particolare e studiata atmosfera e favoriscono l’immersione dell’utente

nell’ambiente.

Come abbiamo visto, il museo contemporaneo può anche ospitare

“strutture per l’intrattenimento” del pubblico, come un auditorium. Esso può

essere impiegato anche per, ad esempio, mostrare il lavoro compiuto dai

conservatori o mostrare il loro lavoro ancora in corso, a cui assiste il pubblico, che

può porre delle domande.

Possiamo inserire in questo ambito anche le videoconferenze, importanti

per consolidare i rapporti tra le singole istituzioni museali e per l’interscambio

professionale314; così pure il servizio di fruizione di spettacoli on - line, per

l’utente connesso ad Internet, siano essi mostre, documentari o informazioni

culturali. I video sono già registrati e pubblicati in rete, la loro fruizione è

possibile con due modalità: in tempo reale attraverso Internet oppure tramite

previo download sul proprio computer315.

2.4.1 Banche dati e archivi online

L’art. 2, n. 9, della legge 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto

d’autore e di altri diritti concessi al suo esercizio”, definisce le banche dati come

“raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o

metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o

in altro modo”. 314 In questo senso A. FAHY, Leggibilità e accesso: le tecnologie dell’informazione e della comunicazine al servizio del museo d’arte, in BODO, cit., 92 - 97. 315 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 110, 111.

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Nel corso degli ultimi decenni e grazie allo sviluppo delle tecnologie

informatiche e quindi del fenomeno della digitalizzazione, sono andate assumendo

importanza sempre maggiore. I siti web dei musei riescono a predisporre banche

dati e gli utenti registrati possono anche estrarre, previa accettazione di una

licenza d’uso e con il pagamento di una determinata somma, delle immagini

digitali che riproducono opere del museo316.

Si può trovare, così, un inventario visivo completo delle collezioni e

l’insieme dei dati costituisce il patrimonio del museo. Si noti che la dottrina

qualifica le mostre e le raccolte d’arte come “banche dati” e ciò si può applicare

anche alle esposizioni virtuali o ai musei virtuali317.

Inizialmente non è stato facile organizzare degli archivi, a causa delle

difficoltà incontrate per la conversione dal cartaceo al digitale. Inoltre mancavano

degli standard univoci da seguire. Ma con la progressiva diffusione di Internet e

con tutte le potenzialità offerte dalle tecnologie telematiche il processo di

conversione ha subito un’accelerazione. La definizione di un protocollo comune

ha reso meno difficile il conseguimento di obiettivi come accessibilità e fruizione.

In Italia non esiste una rete di risorse a livello nazionale, ma sono in atto

esperienze e progetti collegati a particolari istituzioni318.

316 Cfr. S. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. Ind., 2002, 3, 302. 317 Cfr. S. STABILE, G. GUERZONI, I diritti dei musei. La valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, 243. 318 Cfr. MONACI, cit., 88-90.

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2.4.2 Guide multimediali e interattive

I musei producono tutta una serie di materiali audiovisivi, multimediali e

interattivi che hanno il compito di coadiuvare l’attività e la missione del museo.

Ho diviso questi strumenti in tre parti:

a) CD rom e DVD rom

b) Chioschi multimediali e work stations

c) Audio e videoguide

a) CD rom e DVD rom

Facciamo un po’ di chiarezza: con il termine “multimedialità” si intende “la

possibilità di produrre e di ricevere informazione e di comunicare attraverso testi

scritti, voci, musica, immagini o grafica, utilizzando lo stesso supporto fisico o gli

stessi canali di trasmissione”319. Si possono, quindi, trovare media differenti: se

almeno due di questi elementi sono presenti, allora il documento può essere

definito “multimediale”.

Tutti questi elementi sono in formato digitale e, nel caso di CD rom e

DVD rom, fissati su un supporto ottico.

I prodotti multimediali sono quasi sempre anche interattivi e ciò indica

l’interazione di un soggetto con un oggetto, o meglio una macchina, e la macchina

risponde in un determinato modo che innesca nel soggetto un nuovo

comportamento. Il tutto andrà a creare una sorta di “circolarità comunicativa”320.

319 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 156. 320 V. CD rom allegato a P. A. BERTACCHINI, E. BILOTTA, P. PANTANO, Il museo nell’era digitale, Catanzaro, 1997.

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CD rom e DVD rom rappresentano il punto di arrivo di ricerche

abbastanza recenti. Questi supporti sono comparsi negli anni Ottanta, permettono

di registrare dati eterogenei321 in forma digitale che una volta registrati non sono

più modificabili322. Il DVD è una variante “ad alta densità” di caricamento dei

dati, è cioè più capiente e può contenere tracce video e audio di qualità superiore.

Esso permette anche all’utente di muoversi all’interno del disco tra titoli e

capitoli323. Possiamo trovarci di fronte a visite virtuali, percorsi interattivi che

offrono approfondimenti sulle opere di una collezione324, giochi interattivi e

servizi didattici, rivolti ad un pubblico di giovani o giovanissimi. L’ultimo

impiego citato vuole avvicinare i ragazzi al mondo dell’arte e realizzare quello

che oggi viene chiamato “edutainment”325, in altre parole “imparare divertendosi”

e può essere anche applicato alle finalità del museo virtuale.

Tali elementi sono un valido veicolo di trasmissione della conoscenza e di

diffusione della cultura. La loro realizzazione deriva da un progetto che molto

spesso è orientato alla promozione di una istituzione museale e perciò suscita, o

dovrebbe suscitare, nell’utente la curiosità e la voglia di visitare la struttura.

b) Chioschi multimediali e work stations

Chioschi multimediali e work stations, appartenendo alla fruizione in loco,

sono situati all’interno del museo.

321 Come si è visto testi, immagini, suoni. 322 Rom infatti significa read only memory. 323 Cfr. GRANATA, cit., 33-34. 324 Approfondimenti che spesso non sarebbero realizzabili all’interno di una esposizione. 325 È un neologismo nato dalla fusione dei termini inglesi education e entertainment e indica tutta quella serie di attività che servono per un apprendimento ludico e sono supportate dall’informatica e rivolte a un pubblico giovane.

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Le due tipologie sono similari e consistono in postazioni computerizzate

che utilizzano le nuove tecnologie per mostrare contenuti testuali e grafici, audio e

video e danno informazioni relative ai materiali esposti. Possono anche fornire

servizi informativi su come orientarsi all’interno della struttura museale e su come

usare i media presenti al suo interno.

Sono utili all’approfondimento delle tematiche trattate, per esempio, in una

mostra temporanea: talune postazioni possono essere anche fornite di stampante

per portare con sé le informazioni raccolte326.

c) Audio e videoguide

In generale, le audio guide permettono all’utente di una struttura museale,

di una città d’arte o di un altro luogo significativo, di effettuare la visita

utilizzando come supporto una guida audio che fornisce spiegazioni e

informazioni su quanto si sta vedendo.

Questo strumento è in forte evoluzione: esso si è, infatti, aggiunto

all’ascolto di voci e suoni anche la visione di immagini, filmati e collegamenti in

rete. La tipologia più utilizzata permette un ascolto e una visione individuale da

parte dell’utente ed è programmabile secondo le sue richieste, in un’ottica di

“personalizzazione del servizio che offre al visitatore libertà rispetto alla

fruizione della visita”327.

326 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 170; CATALDO, PARAVENTI, cit., 240-241. 327 V. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 164.

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Cito due esempi particolari di applicazione di questo strumento, uno

previsto per la fruizione in loco, all’interno del museo, l’altro per la fruizione

all’aperto, per un’area cittadina o più estesa.

Il primo esempio concerne una video-guida su palmare implementata

all’interno del Museo Didattico della Seta, con sede a Como328. Tale innovativa

guida è denominata i-muse, interactive museum, e costituisce il progetto

imprenditoriale di Davide Orlando, Guido Panini, Luca Fadigati e Paolo

Sinigaglia. Nel mese di agosto 2007 si sono conclusi i test di usabilità dello

strumento, prove a cui ho partecipato personalmente e con entusiasmo. La

piacevole voce di una guida virtuale, Chiara, presenta all’utente il museo in cui è

entrato, la sua storia, e lo indirizza verso la possibilità di personalizzare il palmare

modificandone talune impostazioni. È possibile cambiare lingua d’ascolto,

volume dell’audio, impostazione del touch screen per persone che utilizzano l

mano sinistra. Inoltre è previsto un servizio “preferiti”, grazie al quale il

visitatore, durante la visita, può apporre un “segnalibro” ad un particolare

argomento che lo ha colpito, il segnalibro salva immagini e informazioni in una

speciale pagina, che potrà essere in qualsiasi momento consultata, e che conterrà il

contenuto che l’utente ha più apprezzato329. La struttura museale330 è mappata da

una serie di segnalatori, contrassegnati da un numero progressivo, il palmare è in

grado di captare il segnale collocato in un particolare punto di attrazione, accanto

al numero, collocato su di un pannello, in prossimità di determinati oggetti.

328 «http://www.museosetacomo.com» 329 Nelle intenzioni dei progettatori c’è anche la possibilità, se l’utente ne manifesta il desiderio, di inviargli via e-mail le informazioni e le immagini, salvate durante la visita, in modo da poter conservare i contenuti ritenuti più significativi. 330 Durante i test le sale coinvolte erano solo tre, sulle nove presenti.

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Ricevuto il segnale, viene inviato il corrispondente programma audio e video che

avrà come punto di partenza l’oggetto accanto al quale è stato posto il segnale.

Seguendo i punti di attrazione in ordine numerico, la descrizione avrà anch’essa

un ordine cronologico.

Le informazioni sono estremamente interessanti e riescono ad essere

accattivanti, fornendo anche immagini, filmati e musiche d’epoca331; la

comprensione risulta, così, più intuitiva e semplice.

Alla fine della visita è proposta la compilazione di un questionario per

cogliere pregi e criticità del servizio e renderlo ancora più funzionale332.

Altro esempio è una guida multimediale, prevista come sistema di

promozione territoriale per il Trentino Alto Adige333. Tale progetto coinvolge il

centro di ricerca “Fondazione Bruno Kessler”334- IRST Centro per la ricerca

scientifica e tecnologica, è finanziato dalla provincia di Trento e si inserisce

nell’ambito dello studio “PEACH” Personal Experience with Active Cultural

Heritage. Tale studio è stato condotto nel quinquennio 2001 – 2005 e ha prodotto

un prototipo concepito per la visita al Castello del Buonconsiglio, in particolare

per la visione degli affreschi, del XV secolo, di Torre Aquila che presentano il

famoso “ciclo dei mesi”. La ricerca, però, ora si è ampliata, il progetto

attualmente in atto studia una guida capace di fornire informazioni su tutto il

territorio, non solo nei musei, che hanno comunque bisogno di essere messi in

331 Si parla, infatti, della coltivazione del baco da seta e della successiva produzione e stampatura del filato. 332 Per maggiori informazioni è possibile visitare il blog di uno dei progettatori, Davide Orlando, «http://blog.albegor.com» 333 Un esempio estero di guida outdoor lo si ritrova in Grecia, tramite “archeoguide” fornite ai visitatori di siti archeologici, con informazioni e ricostruzioni in 3D. 334 Conosciuta come ITC Istituto Trentino di Cultura, fino al 1° marzo 2007.

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contatto con esso, per una fruizione più completa. Vi sono coinvolte istituzioni,

associazioni, enti di promozione e musei. Inoltre le APT335 sono chiamate a

fornire informazioni, percorsi culturali e aggiornamenti degli stessi, garantendo

qualità dei contenuti e promuovendo la guida tra i cittadini e i turisti.

Dovrebbe essere un’unica piattaforma a servizio del turista, noleggiabile, e

con informazioni su cinema, teatro, eventi, sport.

La tecnologia utilizzata dal palmare è quella GPRS/GPS con dispositivo di

rilevamento satellitare e di auricolare. È anche in previsione la possibilità di

fornire i servizi attraverso cellulare, il turista potrebbe, infatti, scaricarvi un menu

di informazioni.

2.4.4 Musei virtuali

Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha portato anche all’affermazione di

tutti quei fenomeni riconducibili sotto l’espressione generale di “museo virtuale”.

Ciò è stato possibile per due ragioni:

l’introduzione di una tecnologia capace di elaborare immagini

statiche e in movimento;

lo sviluppo di capacità e velocità delle reti di interconnessione tra

computer, l’avvento di Internet e il suo forte impatto sociale.

La tecnologia ha, quindi, cominciato a supportare altre modalità336.

Come già si è ricordato, il modo più diffuso di apprendimento è quello

“simbolico – ricostruttivo”337. Ad un certo punto, però, la tecnologia è stata

335 Aziende Provinciali per il Turismo. 336 Cfr. F. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, in Sist. Int., 1998, 2, 282.

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capace di supportare l’altra modalità di apprendimento, quella “senso – motoria”,

con la conseguente possibilità di interagire con gli oggetti percepiti coi sensi.

Quindi tecnologia delle immagini e interazioni con esse338.

Tale tecnologia, avendo a che fare con oggetti visivi, si coniuga

perfettamente ai musei, i quali, perlopiù, hanno a che fare con opere d’arte

figurativa. Anzi questo settore beneficia più di altri di questa novità, poiché la

modalità di apprendimento “simbolico – ricostruttiva” non è altrettanto

intuitiva339.

Sotto il concetto di museo virtuale possiamo individuare diverse

elaborazioni. Innanzitutto parliamo di informazioni presenti in rete e più

precisamente su Internet: il museo smette di essere istituzione statica e ha, invece,

la possibilità di veicolare un’immagine di sé più nuova e dinamica.

Si può operare una distinzione tra:

musei che hanno un referente reale e decidono di “sdoppiarsi”

creando una loro versione virtuale;

musei che non esistono nella realtà, ma solo sul web;

ricostruzioni virtuali di monumenti andati perduti o non visitabili.

Per quanto riguarda il primo punto, si è scritto340 che “il museo nell’era

telematica non può essere il clone digitale del museo così come esso esiste

attualmente. Sarebbe una visione limitata e di scarsa fruibilità, si intende invece

uno strumento capace di togliere l’oggetto museale dall’isolamento e dalla 337 V. par. 1.5.1. 338 Cfr. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, cit., 283. 339 Idem, 284. 340 V. A. CONCINA, Le tecnologie per la cultura o una nuova cultura delle tecnologie?, in Econ. Cult., 1996, 1, 63.

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situazione di alienazione e di sradicamento nella quale si trova all’interno, per

restituirgli i parametri e i riferimenti necessari per leggerlo e quindi apprezzarlo

nelle sue caratteristiche, ponendo il museo in una funzione centrale nella

produzione e nella diffusione della cultura”341.

Considerando, invece, l’ultimo punto, ci sono opere che non sopportano la

presenza di molti visitatori, per questioni fisico – ambientali. La riproduzione

mediante le nuove tecnologie può risolvere il problema. Si deve comunque fare in

modo di restituire all’utente le stesse condizioni, percettive e visive, che

assumerebbe nella visita reale; infatti, e questo vale anche per CD rom e DVD

rom, senza alcun “valore aggiunto”, dopo l’impatto della novità, “resteranno solo

frustrazione e noia”342.

Le tecnologie disponibili per creare musei e collezioni virtuali sono,

infatti, sostanzialmente tecnologie di visualizzazione, impiegate per offrire

rappresentazioni visive globali, di particolari e dettagli o ricostruzioni dell’aspetto

passato di oggetti343; colmando, così, le lacune dovute all’inaccessibilità o alla

lontananza o alla distruzione totale o parziale degli stessi344.

341 Si noti che sebbene un artefatto digitale sia solo un sostituto parziale di un’opera d’arte originale, è utile ricordare che il valore assegnato ad un’opera d’arte deriva in gran parte da concezioni sociali che riguardano il valore speciale, l’autorità e la presenza della copia originale come opposta agli artefatti. Gli artefatti digitali, però, abbracciano e ingrandiscono simili valori espressivi, estetici e storici che tradizionalmente definiscono l’interesse del pubblico nella conservazione culturale delle opere tangibili. E un interesse simile esiste anche per le opere che sono “born digital” e non esiste un corrispondente reale, lo vedremo dopo al par. 3.5, in questo senso G. PESSACH, Museums, Digitization and Copyright Law – Taking Stock and Looking Ahead, 2007, reperibile all’URL: «http://wwwssrn.com/abstract=961328». 342 V. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, cit., 288, 289. 343 Siano essi pezzi di una collezione, monumenti o siti storici-archeologici. 344 Si parla, in questi casi, di “augmented reality”, in cui vengono mescolati elementi visivi reali e altri digitali virtuali, per “aumentare”, appunto, la comunicazione del patrimonio culturale; cfr. F. NICCOLUCCI, cit., 41, 42.

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Legati al museo troviamo poi numerosi altri servizi, come la prenotazione

e l’acquisto di biglietti, spesso gestita da concessionari che adottano criteri di

efficacia ed efficienza. I servizi tecnologici utilizzati sono di vario tipo e variano a

seconda delle infrastrutture tecnologiche possedute del gestore345. C’è poi la

possibilità, per gli utenti, diretti e remoti, di condividere informazioni attraverso

l’uso di forum e mailing list, dando origine a gruppi di discussione346.

Le distinzioni prima considerate si possono articolare in:

pagine elettroniche che contengono informazioni essenziali

sul museo;

guide digitali con riproduzioni del museo reale sul web, con

immagini di collezioni e mostre temporanee;

cataloghi elettronici con descrizioni delle collezioni

possedute e con banche dati di ricerca,

ipertesti sviluppati347 con rimandi, magari, a opere esterne

alla collezione;

visite virtuali;

giochi interattivi;

rimandi sui restauri in corso348.

345 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 155. 346 Posso affermare in prima persona l’utilità di questi strumenti: tramite l’iscrizione alla mailing list del sito «http://www.musei-it.net», che si occupa di musei e nuove tecnologie, sono venuta a conoscenza della possibilità di poter effettuare un test di usabilità della videoguida su palmare al Museo Didattico della Seta di Como, di cui ho parlato precedentemente nel par. 2.4.2 sub c). 347 Ogni pagina del Web è, infatti, strutturata in modo ipertestuale: si trova un sistema di organizzazione delle informazioni che permette un collegamento ad altri documenti consimili, tramite parole – chiave che vengono registrate da un sistema informatico chiamato “motore di ricerca” e che contiene le informazioni relative. Il percorso di consultazione può essere semplice e lineare e più complesso, cioè fatto secondo associazioni di idee. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 242.

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In tutti i casi è comunque necessario predisporre una replica digitale di

oggetti reali, l’esempio più semplice può essere un’opera d’arte figurativa, da

utilizzare nella presentazione del museo. La semplicità, tuttavia, è solo apparente:

ci sono delle “sfide tecnologiche” da vincere. Innanzitutto si deve focalizzare

l’attenzione sulla qualità delle immagini; realizzare di immagini di alta qualità

corrisponde alla realizzazione di archivi di grosse dimensioni che rallentano le

prestazioni informatiche e fa cadere l’interesse del visitatore349. È quindi di vitale

importanza la ricerca del miglior trade-off tra qualità e prestazioni. Altro

importante aspetto riguarda la proprietà intellettuale delle opere che vengono

rappresentate, soprattutto su Internet, dove tutti possono facilmente accedere alle

immagini ed impiegarle anche in usi non consentiti350.

Proviamo ora a dare una definizione di “museo virtuale”: è “un ambiente

informatico caratterizzato da una struttura ipertestuale e ipermediale ed un

sistema di interfacce e di metafore che si avvalgono di una rappresentazione

grafica più o meno intuitiva e che consentono la navigazione all’interno di tale

ambiente, ovvero la possibilità da parte del visitatore di compiere delle azioni e

quindi di interagire col contesto potendolo anche modificare”351.

Un museo può considerarsi virtuale se è “interattivo, polisemico,

multidisciplinare e capace di attivare i diversi sensi del visitatore virtuale352; se

permette l’accesso a dati invisibili e la contestualizzazione delle informazioni,

348 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 101. 349 Cfr. F. NICCOLUCCI, cit., 42. 350 Di questo argomento si tratterà in seguito, in modo più approfondito. 351 V. M. FORTE, M. FRANZONI, Il museo virtuale: comunicazione e metafore, in Sist. Int., 1998, 2, 208. 352 Diventando, quindi, multisensoriale.

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l’interscambio con altri ambienti reali e virtuali e la leggibilità delle opere e degli

episodi dinamici che contiene. Inoltre deve essere multitemporale, capace di far

evolvere le informazioni nel tempo353, di renderle indipendenti dal territorio e di

connetterle infine per rendere il museo uno spazio conoscitivo che si incrementa

di significati e conduce, attraverso l’uso di metafore semplici, verso informazioni

più complesse”354.

La realtà virtuale può rafforzare le potenzialità comunicative del museo e

insegnare un atteggiamento creativo. Permette di imparare in modo più semplice

di come sarebbe possibile nella realtà fisica. Tutto ciò può essere di grande aiuto

all’istituzione culturale, per il raggiungimento della sua missione. Per realizzare

questi obiettivi è necessario prestare molta attenzione alle modalità della

comunicazione: si deve narrare una storia in formato digitale che prenda spunto

dalla materialità e abbandoni lo stile un po’ pedante che ha in passato

caratterizzato l’informazione museale355.

Fino a una decina di anni fa la presenza di un museo on - line non era di

grande rilievo: i materiali forniti erano pochi e l’interazione con l’utente scarsa.

Era poco più che una vetrina elettronica delle tradizionali informazioni contenute

in opuscoli e depliant. Secondo alcuni studi, specialmente nel nostro paese, il

museo virtuale tende ancora ad essere una mera riproduzione di quello reale, di

cui si ripropone la struttura tridimensionale. È questa la maggiore criticità di

questo strumento, di cui, forse, devono ancora essere comprese e applicate

appieno le potenzialità, nonostante gli studi approfonditi. 353 Che si traduce in dinamicità. 354 V. FORTE, FRANZONI, cit., 208. 355 In questo senso NICCOLUCCI, cit., 47.

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2.4.4.1 Standard per il Web

Nell’ambito del progetto europeo MINERVA è stato messo a punto un

documento di indirizzo dal titolo “Musei & Web”, per orientare sia la

progettazione dell’architettura del sito, sia la realizzazione pratica; sfruttando

modelli messi a disposizione online e personalizzabili.

Un museo on - line, quindi, dovrebbe essere composto dalle seguenti aree:

informazioni su accesso, collocazione, orari e servizi del museo,

con eventualmente servizi di prenotazione o acquisto dei biglietti;

informazioni storiografiche, istituzionali, logistiche e spaziali sul

museo, con mappe e foto;

informazioni e descrizioni delle collezioni permanenti, con

cataloghi e inventari. Possono essere presenti descrizioni per

ciascuna opera, sia catalografiche che di commento e illustrazione;

informazioni sulle mostre non permanenti, con note relative allo

scopo e al fondamento teorico della mostra, che tendenzialmente si

rifanno al contenuto del cataloghi stampati;

strumenti didattici per fini educativi e divulgativi che aiutano la

comprensione delle opere;

sezioni per il merchandising, con possibilità di e-commerce;

sezioni per studiosi con link a risorse più approfondite o a

biblioteche e archivi museali e servizi specifici di riproduzione

fotografica delle opere;

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132

sezioni per il rapporto con il pubblico, con indirizzi e-mail per

raggiungere gli “addetti ai lavori”, questionari di raccolta di

reclami o proposte356.

2.5 Vantaggi e svantaggi delle nuove tecnologie

Alla fine della trattazione, possiamo enucleare una serie di vantaggi e di svantaggi

legati all’introduzione delle nuove tecnologie negli ambienti museali e non solo.

Cominciamo con i vantaggi:

le tecnologie permettono di “parlare linguaggi differenti dal

tradizionale” e di realizzare nuovi servizi e prodotti357;

creano collegamenti spazio temporali che si adattano di più a un

modello di apprendimento di un pubblico giovane, e sono capaci di

destare l’attenzione358;

possono offrire infiniti livelli di apprendimento, per incontrare le

diverse esigenze di pubblico che può essere più qualificato, o con

generico interesse all’apprendimento, o più anziano359;

possono essere studiate soluzioni personalizzate per un determinato

settore di riferimento, con desideri ed esigenze chiari e definiti;

è possibile accrescere la professionalità del personale occupato e

offrire nuove possibilità di occupazione;

possono coadiuvare il museo nel compimento della sua missione.

356 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 254 - 255. 357 In questo senso GRANELLI, TRACLÒ, cit., 27. 358 Idem. 359 Idem.

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133

Passiamo ora agli svantaggi:

il contatto indiretto con un museo può raggiungere un grado tale di

soddisfazione da scoraggiare quello diretto;

i costi di produzione e di aggiornamento dal punto di vista

tecnologico360 e contenutistico361 possono diventare molto alti;

un eccesso di informazioni può portare alla neutralizzazione e alla

saturazione, negative per la comprensione dell’opera;

l’uso di tecnologie troppo avanzate e “invadenti” può allontanare

gli utenti meno esperti;

può diventare alto il costo per l’aggiornamento del personale;

infine la criticità più forte di tutte le altre, insita nello stesso

sviluppo della digitalizzazione, la circolazione dell’informazione nel

momento in cui le tecnologie diventano obsolete, da questo dipende la

sopravvivenza di tutti i documenti. È necessario pensare a dei supporti

che possano leggere anche le informazioni prodotte molto tempo prima

e che, con la velocità di trasformazione delle tecnologie, possono

considerarsi espresse con tecnologia già “vecchia”.

360 Nel web, infatti, le tecnologie evolvono rapidamente. 361 Se le sale cambiano la disposizione bisogna modificare la ricostruzione.

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CAPITOLO TERZO

IL DIRITTO D’AUTORE E LA SFIDA DEL DIGITALE

“Il diritto d’autore è sempre stato in guerra con le tecnologie”

(P. Cerina, Protezione tecnologica delle opere e

sistemi di gestione dei diritti d’autore nell’era digitale: domande e risposte, in Dir. Ind., 2001, 1)

3.1 L’origine e lo sviluppo dei diritti sulle opere dell’ingegno

Gli antichi non conoscevano forme di tutela della proprietà intellettuale; le

opere venivano, infatti, spesso trasformate e manipolate. Ciò che davvero contava

era il ricordo dell’opera e del messaggio che essa voleva veicolare362.

Anche nell’età romana non erano riconosciuti diritti all’autore sull’opera

da lui prodotta. Tale comportamento era dovuto in gran parte alle difficoltà nella

duplicazione dell’opera stessa, pratica che più di ogni altra farà discutere, nel

tempo, gli studiosi. L’unica via praticabile era, invero, la copiatura a mano del

testo, fatta dagli schiavi. Essendo molto laboriosa tendeva a raggiungere un costo

identico a quello dello scritto in sé, quindi era davvero poco conveniente363.

Il diritto d’autore è un concetto che si sviluppa in epoca più tarda,

precisamente nell’età moderna. Con l’avvento della stampa a caratteri mobili, la

riproduzione e la distribuzione delle opere letterarie diventa più facile, molto

remunerativa e custodita da nuove figure che andavano assumendo grande

importanza nella società: stampatori ed editori. Essi avevano ottenuto dai sovrani

362 In questo senso L. CHIMIENTI, La nuova proprietà intellettuale nella società dell’informazione. La disciplina europea e italiana, Milano, 2005, 29. 363 Cfr. U. IZZO, Alle radici della diversità tra Copyright e diritto d’autore, in G. PASCUZZI, R. CASO (a cura di), I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritti d’autore italiano, Padova, 2002, 44.

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taluni “privilegi di stampa”364 per trarre profitto dall’attività di creazione e

controllare la circolazione delle idee365.

Il sistema dei privilegi durò fino al XVIII secolo, periodo in cui si

emanavano le prima leggi nazionali. Il complesso di concessioni e licenze in capo

agli editori costituiva il primo nucleo concettuale su cui poi si sarebbe sviluppata

la tutela delle opere dell’ingegno366.

La legge più antica sul tema è lo Statute of Anne, emanato in Inghilterra

nel 1710; seguito dal Federal Copyright Act, negli Stati Uniti nel 1790 e dalle

leggi francesi rivoluzionarie del 1791 e del 1793. Questi atti legislativi iniziavano

a delineare i due differenti modelli giuridici di common law e civil law. Mentre le

prime due leggi privilegiavano una visione patrimonialistica della tutela,

attraverso il “diritto alla copia”, il copy - right appunto; le altre due erano rivolte

maggiormente alla considerazione della personalità dell’autore, creando un diritto

“morale” distinto da quello patrimoniale, poiché “chi crea ha diritto – per il sol

fatto di aver creato – di vedersi riconosciuta una serie di tutele”367.

In seguito il modello di civil law sarà ripreso dagli altri paesi continentali,

inclusa l’Italia368. Negli Stati Uniti, invece, si rielaborava il modello di common

law. Nati come colonie britanniche, essi avevano conservato per molto tempo una

sorta di “dipendenza culturale” dalla madrepatria, della quale cercarono di

364 Che comprendevano concessioni e licenze per la stampatura, la distribuzione e i successivi investimenti. 365 In questo senso A. SIROTTI GAUDENZI, Il nuovo diritto d’autore. La tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione, Rimini, 2005, 30, 31. 366 In questo senso IZZO, cit., 49. 367 V. SIROTTI GAUDENZI, cit., 31. 368 Si rimarca che copyright inglese e diritto d’autore francese costituiranno gli archetipi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cfr. IZZO, cit., 50.

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disfarsi. Dopo la Guerra d’Indipendenza i fermenti autonomistici si erano fatti più

incisivi e pressoché tutti gli Stati avevano provveduto all’emanazione di proprie

leggi, senza ancora, però, elaborare una concezione univoca di copyright369. Con

l’emanazione del Copyright Act del 1790 si optò per la separazione tra i termini

“proprietor” e “author”, per sottolineare la differenza fra i due soggetti370.

Dunque, mentre la tradizione “europea” riconosceva un diritto innato

all’autore dell’opera e lo teneva distinto da un successivo diritto patrimoniale; nei

paesi anglosassoni il riconoscimento dei diritti si caratterizzava per connotati

prevalentemente utilitaristici: i diritti sono attribuiti perché il soggetto promuova

l’economia e la cultura nella società, la quale, per il proprio progresso preferisce

chiudersi alle influenze straniere371.

Nella penisola italiana un primo decreto in materia di diritto d’autore

veniva emanato dal Governo rivoluzionario piemontese nel 1799, seguito da una

legge più completa, promulgata nel 1801 dalla Repubblica Cisalpina. In seguito

tutti gli Stati pre-unitari si dotarono di proprie leggi; tuttavia questa pratica aveva

impedito di realizzare una visione d’insieme della materia, che continuava a

rimanere frammentaria372. La prima legge italiana risale al 1865 e disciplina in

modo organico la tutela della proprietà intellettuale. È stata poi tradotta nel Testo

Unico 19 settembre 1881, n. 1012, rimasto in vigore fino al 1925373.

369 In questo senso R. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, in PASCUZZI, CASO (a cura di), cit., 133 – 144. 370 Idem, 152. 371 Idem. 372 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE SUI CONTENUTI DIGITALI NELL’ERA DI INTERNET, I contenuti digitali nell’era di Internet, 2005, 30, reperibile all’URL: «http://www.innovazione.gov.it» 373 Idem.

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137

3.2 I livelli di protezione

Come per i paragrafi 1.2.1 e 1.2.2 andiamo brevemente ad analizzare la

dimensione normativa sopranazionale, in questo caso del diritto d’autore.

Attualmente il quadro normativo del diritto d’autore risulta essere

abbastanza complesso. Quello che verrà descritto è il riflesso del frenetico

progresso tecnologico che ha fornito nuovi stimoli e nuove opportunità ai creatori

e ai fruitori delle opere dell’ingegno, la cui diffusione molto spesso supera i

confini nazionali374. Questa nuova “Società dell’informazione” va ad intrecciare

scenari internazionali, comunitari e nazionali differenti, ma che si compenetrano e

si influenzano a vicenda. L’analisi si snoderà, appunto, attraverso la prospettiva

internazionale, comunitaria e nazionale, includendo in quest’ultima anche il

livello di protezione fornito negli Stati Uniti e in Australia.

È importante rimarcare che non può trattarsi di divisioni nette, poiché

talune normative dipendono o derivano da altre, e solo per chiarezza verranno

trattate separatamente.

a) internazionale

Apriamo il quadro normativo con la prospettiva internazionale.

I provvedimenti più risalenti nel tempo risalgono alla fine dell’Ottocento:

la “Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale” del 1883

e la “Convenzione di Berna per la creazione di una unione internazionale per le

374 Idem.

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opere letterarie e artistiche” del 1886, che rappresenta la più antica fonte di

diritto internazionale in tema di diritto d’autore.

Si ricorda poi la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”

dell’ONU, nel 1948; la quale riconosceva, all’art. 27, il valore della proprietà

intellettuale e dal cui spirito nascerà, poi, nel 1952, la “Convenzione universale

del diritto d’autore” di Ginevra375.

Nel 1967 veniva firmata a Stoccolma la Convenzione istitutiva

dell’”organizzazione mondiale della proprietà intellettuale” (OMPI), più

conosciuta come “World Intellectual Property Organization” (WIPO), che si

proponeva di tutelare la proprietà intellettuale nel mondo. Successivamente, nel

1996, a Ginevra, venivano adottati due trattati WIPO che rivestono un ruolo

centrale nel panorama internazionale. Si tratta del “WIPO Copyright Treaty”376e

del “WIPO Performances and Phonograms Treaty”377.

Si ricorda che l’aumentato rilievo economico della protezione dei diritti

d’autore, dovuto in gran parte alla crescita degli scambi commerciali, ha favorito

l’adozione di due accordi: l’”Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual

Property Rights”, il cosiddetto TRIPs Agreement, e l’”Agreement on Trade and

Triffs” (GATT). Questi accordi erano allegati all’accordo istitutivo della “World

375 Revisionata, poi, nel 1971 e ratificata dall’Italia nel 1977, in vigore dal 1980. Si rammenta che tutte la Convenzioni citate sono state poi oggetto di revisione negli anni successivi; cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 40 – 47. 376 Trattato WIPO – OMPI sul diritto d’autore. 377 Trattato WIPO – OMPI sulle interpretazioni, le esecuzioni e i fonogrammi.

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Trade Organization”378e il tentativo era quello di armonizzare le normative

nazionali in tema di proprietà intellettuale379.

La WIPO portava avanti un piano di lavoro, la cosiddetta “WIPO Digital

Agenda”, per studiare le questioni che sorgevano dall’utilizzo della rete Internet

nella commercializzazione e fruizione delle opere protette dal diritto d’autore380.

b) comunitario

Un altro apporto scientifico sull’argomento era stato dato anche

dall’Unione Europea per mezzo dei suoi “Libri Verdi in materia di diritti d’autore

e società dell’informazione”.

È importante ricordare il “Libro Verde sul diritto d’autore e le sfide della

tecnologia – problemi di diritto d’autore che richiedono un’azione immediata”,

del 1988. Da qui parte tutta la riflessione europea, la quale tendeva

all’armonizzazione della normativa tra gli Stati membri, poiché la disomogeneità

e l’incertezza dissuadevano dall’utilizzazione economica dei diritti. Questo lavoro

ha creato un contesto favorevole per l’innovazione e la creatività garantendo un

buon livello di protezione. Negli anni la riflessione ha prodotto alcuni

aggiornamenti dell’iniziale Libro Verde, che andavano ad occuparsi anche dei

diritti connessi. Gli sforzi si sono, inoltre, concentrati sulla tutela delle banche dati

e sulla durata della protezione del diritto d’autore381.

378 Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). 379 Cfr. P. MARZANO, Diritto d’autore e Digital Technologies. Il Digital Copyright nei trattati OMPI, nel DMCA e nella normativa comunitaria, Milano, 2005, 7. 380 Idem, 21. 381 In questo senso COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 31, 32.

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Nel frattempo erano stati recepiti a livello comunitario i trattati

internazionali WIPO.

Si sentiva la necessità di “delineare con chiarezza un diritto esclusivo che

consentisse di governare con efficacia la comunicazione al pubblico delle opere

dell’ingegno tramite Internet e di stabilirne, in maniera armonica con quanto

previsto per il diritto di riproduzione, le eccezioni ed i limiti”382. Il prodotto di

questa riflessione è la direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001

sull’”Armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi

nella società dell’informazione”. Essa regola gli aspetti economici legati al diritto

d’autore, cioè diritti esclusivi di sfruttamento economico delle opere protette,

eccezioni al diritto d’autore nel contesto delle utilizzazioni libere, misure

tecnologiche di protezione. Tale direttiva si basa su principi e regole già

considerati in precedenza dall’Unione Europea, attraverso altre importanti

direttive383; e l’ultimo aggiornamento è stato fatto con la direttiva 2004/48/CE, sul

rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

Si prenderà, in seguito, in esame la direttiva 2001/29/CE perché affronta

temi che possono rivelarsi molto importanti per istituzioni culturali come i musei.

Essa è stata recepita in Italia tramite il d. lgs. 9 aprile 2003, n. 68, “Attuazione

della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

382 V. MARZANO, cit., 23. 383 Direttiva 91/250/CEE sulla tutela giuridica dei programmi per elaboratore; direttiva 92/100/CEE relativa al diritto di noleggio, prestito e diritti connessi al diritto d’autore in materia di proprietà intellettuale e di alcuni diritti connessi; direttiva 98/83/CEE sul diritto d’autore nell’ambito della radiodiffusione via satellite e nelle trasmissioni via cavo; direttiva 93/98/CEE riguardante l’armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi; direttiva 96/9/CE sulla tutela delle banche dati.

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sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi

nella società dell’informazione”.

c) nazionale

In Italia il corpus legislativo di riferimento è costituito dalla l. 22 aprile

1941, n. 633 “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio” e successive modifiche e integrazioni384. Essa tutela le opere

dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica,

alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne

sia il modo o la forma di espressione. Inoltre, sono protetti i programmi per

elaboratore in virtù della Convenzione di Berna, nonché le banche dati che, per la

scelta o la disposizione del materiale, costituiscono una creazione intellettuale

dell’autore385.

La normativa italiana in tema di diritto d’autore riconosce all’autore i

diritti patrimoniali e i diritti morali sull’opera realizzata. Disposizioni sul diritto

d’autore si trovano anche nel nostro Codice Civile del 1942 agli artt. 2575 – 2583.

La prospettiva nazionale coinvolge anche la comparazione con i modelli

nordamericani ed australiani, espressioni differenti del modello giuridico di

common law, nei quali si realizzano diversi adattamenti del copyright.

384 Specialmente ad opera delle direttive dell’Unione Europea, che sono integrate nella legislazione statale anche grazie all’opera del “Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore”, ai sensi degli artt. 190 e 193 della l. 633/41, costituito presso il Ministero dei beni e delle attività culturali, al cui interno è presente una Commissione speciale che elabora le proposte ai fini della revisione; cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 31. 385 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 30.

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Si effettuerà, quindi, una breve introduzione alla protezione attuale del

copyright in questi paesi.

L’analisi delle origini si era arrestata al Copyright Act statunitense del

1790. Le modifiche del secolo successivo ancora non avevano incluso il diritto

morale e non avevano aderito alla Convenzione di Berna386, rafforzando la

volontà di isolazionismo387. Nel 1909 era intervenuta una modifica del Copyright

Act, che ancora omette i diritti morali e anche connessi. Nello stesso periodo, in

Australia, veniva emanato un Copyright Act, più volte revisionato, che

riconosceva il copyright sulle opere pubblicate e non pubblicate.

Successivamente, nel 1968, si promulgava il Copyright Act che è ritenuto la legge

più importante, sul diritto d’autore, grazie anche all’azione di talune Commissioni

di indagine in grado di elaborare proposte da riferire al governo, sulle più

importanti questioni che richiedevano immediata attenzione388. Si segnala in

particolare l’introduzione, negli anni successivi, di eccezioni al copyright per

quanto concerne la riproduzione, che riguardano le biblioteche (“libraries”) e

successivamente anche gli archivi (“archives”). Si nota che il termine “archives

means four listed archives and public museums and galleries more generally”389.

386 Contrariamente allo stato australiano 387 In questo senso CASO, cit., 167. 388 Come “Spicer Committee” o “Franki Committee”, cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, 2006, 10, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=881699». 389 Secondo il Copyright Act 1968; inoltre il termine publico intende indicare istituzioni senza scopo di lucro; cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Without walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, 2007, 205, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=1007391».

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La costituzione degli Stati Uniti sancisce che il primo scopo della legge sul

copyright è “to promote the progress of Science and the Useful Arts”390, La

versione australiana “lacks the poetry of the foregoing”391 e stabilisce solamente

che il Commonwealth ha il potere di legiferare per governare in modo efficace la

nazione, includendo la possibilità della normazione relativa a brevetti, copyright e

simili392.

Negli Stati Uniti, nel 1976, era intervenuta una vasta novellazione del

Copyright Act “domestico”, che introduce la dottrina del “fair use”393, ma non

dava ancora spazio ai diritti morali. Veniva, inoltre, inserita la protezione del

copyright anche nello “United States Code”, title 17. Si assicurava protezione agli

autori di “original works of authorship, including literary, dramatic, musical,

artistic and certain other intellectual works”394.

Dagli anni Ottanta le due tradizioni giuridiche realizzavano un parziale

riavvicinamento. Iniziavano ad entrare in gioco le tecnologie digitali per

elaborare, riprodurre e diffondere le opere dell’ingegno. Gli Stati Uniti

possedevano già una crescente potenza nel settore dell’informatica e davano il via

ad una intensa legislazione e la Comunità Europea preparava la sua attività di

armonizzazione che teneva conto delle innovazioni tecnologiche e della

introduzione di Internet395. Da ultimo, nel 1990, gli Stati Uniti introducevano il

390 M. M. LEAN, Copyright and the World Wide Web, 1995, reperibile all’URL: «http://ausweb.scu.edu.au/aw95/future/lean/». 391 Idem. 392 Idem. 393 Vedi par. 3.6 a). 394 V. COPYRIGHT OFFICE, Copyright Office basics, reperibile all’URL: «http://www.copyright.gov/help/faq». 395 In questo senso CASO, cit., 168.

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“Visual Artist Right Act” che conteneva un nucleo di diritti morali per l’autore di

opere d’arte figurativa396 e, nel 1998, il “Digital Millennium Copyright Act”

(DMCA), normativa molto complessa su cui ancor oggi si dibatte, che riguarda i

sistemi tecnologici di protezione397.

All’inizio del Duemila, in Australia veniva implementato un altro

emendamento che “confirmed that digitisation introduced a technology – neutral

“right of communication” (which includes publishing material on the Internet);

introduced an enforcement regime in relation to anti – circumvention devices and

electronic rights management information; and extended the libraries and

archives provisions to the digital environment”398.

3.3 Copyright e diritto d’autore: concetti fondamentali

La proprietà intellettuale esiste per incentivare lo sviluppo della cultura e

stimolare la “creatività della società”, nel rispetto della “libertà di ogni forma

espressiva, anche artistica, dell’intelletto umano”399. Con l’avvento della società

dell’informazione e delle nuove tecnologie, il tipo di beni considerato diviene

ancora più effimero, o forse dotato di una “nuova materialità”, perché affidato a

un supporto digitale.

Si tenterà di delineare il sistema giuridico della proprietà intellettuale, che

costituisce la base e la fonte di tutti i diritti dei musei, che sono oggetto

dell’indagine.

396 Erano, comunque, diritti rinunciabili. 397 Vedi par. 3.6 b). 398 V. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit., 10. 399 V. GUERZONI, STABILE, cit., 89.

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La legge italiana sul diritto d’autore400 prevede in capo all’autore

dell’opera un fascio di diritti:

1. di natura morale o personale;

2. di natura economica o patrimoniale

1. I diritti morali attengono al riconoscimento della paternità all’autore

dell’opera, sono inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, irrinunciabili,

di durata illimitata e si trasferiscono agli eredi. Tendono inoltre al

mantenimento dell’integrità dell’opera, infatti, qualora i diritti patrimoniali

fossero stati ceduti, l’autore potrà in qualunque momento rivendicare la

paternità dell’opera, negare modificazioni, mutilazioni o deformazioni di

essa che pregiudichino il suo onore o la sua reputazione.

2. I diritti patrimoniali attribuiscono all’autore dei diritti “esclusivi” di

utilizzazione e sfruttamento dell’opera. Sono limitati nel tempo,

trasmissibili, cedibili, rinunciabili e soggetti a decadenza. Hanno una

specifica durata che corrisponde alla vita dell’autore più i settant’anni

successivi alla sua morte. Alcuni esempi di tali diritti sono: il diritto di

riproduzione, di comunicazione, di distribuzione, di traduzione, di

noleggio, di prestito.

Esistono anche delle eccezioni al diritto d’autore, previste dalla legge, le

cosiddette “utilizzazioni libere”401 in cui si fanno rientrare gli usi liberamente

esercitabili dai terzi, poiché non creano concorrenza economica delle opere402. Nel

sistema della proprietà intellettuale si inserisce anche la proprietà industriale, la 400 L. 633/41. 401 O fair use o fair dealing, di cui si parlerà in seguito. 402 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 79.

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quale comprende invenzioni e modelli industriali, nuove varietà vegetali,

topografie di prodotti a semiconduttori, marchi, denominazioni d’origine

geografica, protetti dal complesso di norme che è il diritto brevettale. Mentre il

diritto d’autore nasce contemporaneamente alla nascita dell’opera, il diritto

brevettale prevede invece che sia lo Stato, e seguito della richiesta del soggetto, a

concedere la protezione403.

Da ultimo si analizzano i “diritti connessi”, i quali pur avendo ciascuno

una diversa natura giuridica e un diverso contenuto, presentano una connessione

diretta o indiretta con l’esercizio o l’oggetto del diritto d’autore. Essi sono legati

ad attività funzionali e connesse alla creazione, alla riproduzione e alla

divulgazione dell’opera dell’ingegno. Sorgono da un’attività che contiene un

grado di espressione creativa e di interpretazione personale che legittima la

nascita di un diritto di esclusiva sui frutti di questa attività404. Possono sorgere, ad

esempio, in capo a chi presta il proprio contributo, che può essere anche

finanziario e non creativo, nell’ambito di opere tutelate dal diritto d’autore405.

In Australia la proprietà intellettuale è il nome che si dà a tutta una serie di

leggi che riguardano “patents, trademarks, designs, circuit layouts, plant breeder

and copyright”406. Il copyright, quindi, è un’area dell’intellectual property, che

403 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 8, 9. Ai nostri fini, tale tipo di protezione entra in gioco, per quanto riguarda i musei, ad esempio nella gestione dei marchi per la vendita del merchandising o per l’assegnazione di un nome di dominio, che si rifanno a questo sistema di norme. 404 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 9. 405 Come per i costitutari di banche dati, anche se la questione è ancora controversa; o interpreti e d esecutori. 406 V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Copyright law in Australia. A short guide, 2005, reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au/copyright/shortguide».

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147

attribuisce un fascio di “exclusive economic rights”407 per esercitare determinate

attività come “the right to copy, publish, comunicate (eg broadcast, make

available online) and publicly perform the copyright material”408. I diritti

assicurati non sono dissimili da quelli italiani. Si prevedono anche dei diritti

morali, introdotti nella legislazione solo dall’anno 2000. Ne sono previsti di tre

tipi: il diritto di paternità, il diritto contro la falsa attribuzione di paternità, il

diritto di integrità. Non solo l’“author” li possiede, ma anche “makers of a film”,

è quindi possibile che vi siano più proprietari dei diritti morali. Sono considerati

diritti aggiuntivi a quelli previsti dal Copyright Act: la persona che li possiede,

infatti, può, in certe circostanze, rinunciarvi409.

Anche negli Stati Uniti è possibile rinunciare ai diritti morali, i quali sono

presenti in maniera molto sfumata, non esistendo un sistema generale di diritti

morali. Inoltre non sono contenuti nella legge fondamentale sul copyright, ma in

un atto separato da essa, il “Visual Artist Right Act”, come abbiamo visto; e i

diritti ivi menzionati riguardano solo paternità e integrità e possono legittimare gli

usi commerciali delle opere protette, come la riproduzione in libri e riviste410.

Si nota che la normativa statunitense richiede inoltre che l’opera venga

fissata “in any tangibile medium of expression (sec. 102 (a))”411, mentre in Italia

l’atto stesso della creazione fa sorgere i diritti. La protezione del copyright è data

dal title 17 dello United States Code agli autori di “original works of authorship”,

407 Idem. 408 Idem. 409 Cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit., 106, 107. 410 Cfr. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cit., 190. 411 Idem, 173.

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including literary, dramatic, musical, artistic, and certain other intellectual

works”412, La protezione vale sia per le opera pubblicate che non pubblicate. C’è

inoltre la sezione 106 del Copyright Act che si occupa di fornire dei diritti al

proprietario del copyright, che a sua volta può autorizzare terzi a compiere le

medesime attività. Si tratta di: “to reproduce the work in copies or phonorecords;

to prepare derivative works based upon the work; to distributed copies or

phonorecords of the work to the public by sale or other transfer of ownership, or

by rental, lease or lending; to perform the work publicly, in the case of literary,

musical, dramatic, and choreographic works, pantomimes, and motion pictures

and other audiovisual works; to display the work publicly in the case of literary,

musical, dramatic, and choreographic works, pantomimes and pictorial, graphic,

or sculptural works, including the individual images of a motion picture or other

audiovisual work; and in the case of sound recordings, to perform the work

publicly by means of a digital audio transmission”413. Inoltre “certain authors of

work of visual art have the right of attribution and integrity as described in

section 106A of the 1976 Copyright Act”414.

412 V. COPYRIGHT OFFICE, cit. 413 Idem. 414 Idem.

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149

3.4 Musei e digitalizzazione dei contenuti

Nell’era digitale, la tutela della proprietà intellettuale è condizionata in

ugual misura dal diritto e dalla tecnologia.

Se, come abbiamo visto, il museo moderno ha cambiato la sua funzione e

le sue attività, rispetto al passato415; oggi, grazie alla comparsa di Internet, viene

spinto in una sorta di “postmodernità” in cui è coinvolto in attività che risultano sì

facilitare ancor più la sua missione, accelerando e ampliando la diffusione delle

opere, ma che, dall’altro canto, presentano notevoli problemi da un punto di vista

giuridico. E questo proprio perché hanno a che fare con l’immaterialità e col

carattere pubblico dei beni416.

Il copyright agisce direttamente e indirettamente nel formare il contenuto

delle collezioni digitali e delle attività delle istituzioni culturali, le quali sono state

definite “Without Walls”417. Un museo potrebbe decidere di digitalizzare le sue

raccolte più rinomate per aumentare il numero di visitatori, oppure per ridurre il

numero di quelli che richiedono la visione diretta dei pezzi più fragili o

deteriorabili, o ancora per fare da supporto alla ricerca e all’educazione, che

permetterebbe loro di conseguire la propria missione418.

Quando si parla di diritti di proprietà intellettuale, all’interno dei musei, si

fa generalmente riferimento:

415 V. paragrafi 1.4.1, 1.4.2, 1.4.3. 416 In questo senso CONCINA, cit., 63. 417 V. HUDSON, KENYON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit.. 418 In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, Manuale di buone pratiche per la digitalizzazione del patrimonio culturale, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/goodpract/document/buonepratiche1_3.pdf »; A. T. KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, 2004, reperibile all’URL: «http: //ssrn.com/abstract=603861».

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1. ai diritti di noleggio, prestito e uso e di autorizzazione degli stessi419;

2. ai diritti di pubblicazione, anche in raccolta420 e di autorizzazione degli

stessi;

3. ai diritti di riproduzione, diffusione e distribuzione su supporti off - line421

e on - line422;

4. i diritti di uso commerciale di marchi, loghi e riproduzioni423;

5. i diritti di traduzione424;

6. i diritti di elaborazione425;

7. i diritti sugli allestimenti museali;

8. i diritti d’autore su progetti ed eventi espositivi auto e coprodotti426.

In questa sede mi occuperò prevalentemente dei diritti descritti al punto 3,

su supporti online.

Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha trasformato il quadro della tutela

del diritto d’autore, a causa:

della quantità dei diritti coinvolti;

della varietà di essi;

del numero dei titolari di essi;

del modo in cui le collezioni sono acquisite, preservate e

interpretate;

419 Ad esempio per loghi e marchi istituzionali, riproduzioni di ogni tipo, pezzi originali dati in prestito per mostre temporanee. 420 Su libri, cataloghi, materiale didattico, audiovisivi. 421 Come per stampe fotografiche, diapositive, nastri, calchi, rilievi. 422 Come per cataloghi online o raccolte di immagini. 423 Come per la produzione di oggettistica e merchandising. 424 Sui testi, su progetti e d eventi espositivi, su software proprietari. 425 Su testi, riproduzioni, progetti. 426 Cfr. GUERZONI, cit., 34 - 35.

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delle nuove modalità di distribuzione e fruizione dei contenuti;

delle difficoltà della conservazione a lungo termine delle risorse

digitali427.

Elaborare progetti di digitalizzazione può rendere questo scenario piuttosto

complesso: si intrecciano interessi privati e istituzionali che sollevano numerosi

problemi sia per i percorsi normativi da seguire, sia per l’assicurazione del

rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e del diritto di accesso all’informazione

e alla conoscenza428. Si rivela di vitale importanza l’individuazione di punti di

equilibrio tra le diverse esigenze dei portatori di interessi sui contenuti culturali

digitali.

Per quanto riguarda il panorama italiano, il problema più grave è

rappresentato dall’”assenza di una basilare conoscenza dei diritti”429 e “lo

sviluppo delle competenze sui principi fondamentali della proprietà intellettuale è

essenziale se i musei vogliono rispettare e mantenere i legami legali che

definiscono e governano la pluralità dei differenti ruoli che vanno ed andranno

ad assumere”430. Le “nostre” istituzioni culturali sono state, in qualche modo,

“prese alla sprovvista” dalla rapidità con cui le tecnologie hanno reso allettanti le

loro collezioni e i relativi diritti e sono state forzate a riflettere sulle possibilità che

si aprivano loro e sui rischi che comporta il processo della digitalizzazione431.

427 In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, Tutela dei dati e dei diritti di proprietà intellettuale in relazione all’accesso in rete del patrimonio culturale. Prime considerazioni, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/servprov/ipr/documents/wp4ipr040615.pdf ». 428 Idem. 429 V. G. GUERZONI, Diritti di proprietà reale e intellettuale dei musei, in Econ. Cult., 2003, 1, 34. 430 Idem, 34. 431 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 57.

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Rischi di cui è ben conscia, invece, la nazione australiana, il cui governo propone

una politica di persuasione verso le istituzioni culturali affinché “diventino

digitali”432. Un emendamento al copyright del 2000, il Digital Agenda Act, aveva

lo scopo di assicurare che le istituzioni culturali potessero promuovere l’accesso

al materiale nell’ambiente digitale “on reasonable terms”433, tenendo conto dei

benefici che ciò poteva portare all’accesso pubblico e promettendo un’adeguata

remunerazione per i creatori e gli investitori. L’Australia ha anche condotto uno

studio sulla digitalizzazione nei musei434, attraverso l’intervista a numerosi

operatori del settore culturale. L’eterogeneità delle istituzioni coinvolte ha rivelato

che non tutte svolgono quotidianamente pratiche di digitalizzazione o sviluppano

progetti a lungo termine, ma il settore è, comunque, fortemente permeato e

sensibile a queste pratiche435.

Cerchiamo ora di concretizzare qualche spunto tra quelli offerti finora.

Innanzitutto, rileviamo che l’innovazione apportata da Internet e dalle

nuove tecnologie ha messo i musei di fronte alla possibilità di:

digitalizzare le loro collezioni;

renderle disponibili sul web, potenzialmente per gli utenti

di tutto il mondo.

Tali nuove opportunità sollevano, tuttavia, degli interrogativi; ci si chiede se è più

consono alla struttura del museo commercializzare le immagini o implementare

432 “become digital”, v. E. HUDSON, A. T. KENYON, The impact of copyright on Digitisation Practices in Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, 2007, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=1065622 ». 433 Idem. 434 E nelle altre istituzioni culturali. 435 In questo senso HUDSON, KENYON, The impact of copyright on Digitisation Practices in Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, cit.

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un regime di accesso libero per gli utenti o quale collocazione dare ai nuovi tipi di

intermediari, nel campo del patrimonio culturale; che Pessach436 definisce “neo –

commercialized intermediaries, profit – motivated” nel campo della “knowledge

retrieval”, come Google e i progetti che ha avviato437, o “civic – engaged and

common – based activities” come The Internet Archive e Wikipedia. Ciò che più

interessa il museo è, però, la determinazione dei diritti di proprietà sugli oggetti e

sui contenuti. Solo così sarà in grado di impostare e realizzare i progetti di

digitalizzazione. Sebbene i musei si siano sempre confrontati con il copyright in

contesti come cataloghi stampati, pubblicità o merchandising; quando si passa alla

sfera digitale, le attività si complicano, tecnicamente e giuridicamente e li

costringe a confrontarsi con la copyright law ad ogni passo e per ogni azione che

compiono438. Un bene culturale, dotato di materialità, può diventare oggetto di

una riproduzione, e se questa riproduzione è digitale, essa “è soggetta a una

distinta disciplina e tutela rispetto al bene culturale riprodotto e in sé

considerato”439. È di fondamentale importanza chiarire che le istituzioni molto

spesso posseggono fisicamente i materiali protetti da copyright, ma assai

raramente sono proprietari dei diritti immateriali di un’opera440. E questo è

pacifico, sia nei paesi appartenenti all’Unione Europea, che in Australia o nel

Nordamerica.

I musei possono essere considerati come:

436 Cit. 437 Google Library Project, Google News Archive Search, Google Scholar sono solo alcuni di essi. 438 Cfr. PESSACH, cit. 439 V. GUERZONI, STABILE, cit., 184. 440 In questo senso A. PINNA, Problemi relativi alla riproduzione on line di opere museali protette dal diritto d’autore, in Nuova Museologia, 1999, 1, 11; A. T. KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.; GUERZONI, STABILE, cit., 184.

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1. utenti di materiale protetto da copyright;

2. proprietari di materiale protetto da copyright.

La più comune utilizzazione di materiale protetto da copyright è la riproduzione di

un’opera per la costruzione di una collezione di immagini digitali sul sito web del

museo. Tale riproduzione, però, è permessa solo al proprietario dei relativi diritti

d’autore sull’opera originale441. Ad avallare questo presupposto troviamo, ad

esempio, negli Stati Uniti, il “public display right”442, il diritto di esporre al

pubblico un’opera443, da cui si evince che anche l’esibizione degli artefatti digitali

nel website del museo può essere considerato un atto che richiede l’autorizzazione

dai relativi copyright owners. È possibile anche estendere l’obbligo a tutte le

nazioni che aderiscono al WIPO Copyright Treaty , poiché, all’art. 8, esso cita

questo diritto: “making a work available to the public”, sul quale può essere

condotto lo stesso ragionamento444. In Italia si può accostare a questi diritti quello

previsto dall’art. 16 co. 1 della legge sul diritto d’autore445, il quale prevede “il

diritto esclusivo di comunicazione al pubblico”. Sebbene “la diffusione a distanza

non comprenda espressamente la trasmissione online dell’opera dell’ingegno”446,

un tale principio può essere suggerito dal prosieguo dell’articolo: “la messa a

disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi

accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”. In Australia, tra i diritti 441 Cfr. PINNA, cit., 11; KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.; PESSACH., cit.; cfr. Sec. 17 United States Code. 442 Sec. 17 U.S.C. 443 Sec. 101 U.S.C. “to “display” a work means to show a copy of it (...)”, cfr. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cit., 175. 444 In questo senso PESSACH, cit. 445 L. 633/41. 446 V. E. GUERINONI, G. MORETTINI, La nuova legge sul diritto d’autore nell’era multimediale, in G. CASSANO (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002, 971.

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esclusivi assicurati al proprietario c’è quello di comunicazione al pubblico:

“making digitised content available online, for instance on publicly – accessibile

websites, will costitute “communication to the public”447 and, possibly,

publication of the work”448.

Il Digital Agenda Act, a cui si è fatto riferimento all’inizio del paragrafo,

ha ampliato i diritti dei titolari di copyright in vari modi. Innanzitutto l’atto,

specificando che “converting a work into, or from, a digital form reproduces the

work”449, ha assicurato che per digitalizzare qualsiasi tipo di materiale è

necessario chiederne il consenso al legittimo proprietario, similmente a quanto

accade in Italia o negli Stati Uniti. Inoltre, “enforcement measures”450 sono state

imposte per proteggere la loro posizione di forza, le quali comprendono le misure

tecnologiche di protezione che, per prevenire o inibire l’infrazione del copyright,

usano meccanismi di controllo dell’accesso e della copia451.

Quindi l’estremo potere e la libertà di decisione nelle mani dei proprietari,

i quali, fondamentalmente, possono dettare le circostanze nelle quali la

digitalizzazione e la comunicazione hanno luogo452, sono motivo di

preoccupazione in dottrina, dove i “copyright pessimists” parlano di “digital

lockup”453, il “digitale chiuso a chiave”!

Se ottenere la disponibilità del materiale diventa, per i musei, alquanto

macchinoso, non resta loro altro da fare che:

447 V. Copyright Act ss 31(1). 448 V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit. 449 V. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 450 Idem. 451 V. par. 3.6 b). 452 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 453 In questo senso KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.

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affidarsi alla negoziazione di un “accordo” con i proprietari,

tale tipo di accordo è una licenza;

scegliere di digitalizzare materiale che è già nel “pubblico

dominio”, poiché si sono estinti i diritti d’autore su di esso.

Si rimarca che, comunque, la negoziazione delle licenze rappresenta una

pratica onerosa per il museo, a causa della difficoltà ad identificare, localizzare e

contattare i proprietari. Può, inoltre, sorgere il problema delle “opere orfane” delle

quali non si conosce l’autore, o il cui autore è impossibile da individuare e

contattare; e in mancanza di una autorizzazione devono essere messe da parte454, e

ciò può avere conseguenze ancora più spiacevoli: “la mancata concessione di

autorizzazioni per la digitalizzazione e la pubblicazione sul web, può provocare il

fallimento del progetto stesso”455.

Resta da analizzare la posizione del museo come proprietario di materiale

protetto da copyright. In questo caso, la discussione si sposta sul prodotto della

digitalizzazione, e ci si chiede se sia dotato di sufficiente originalità, requisito

presente in tutte le legislazioni456. La questione è ancora aperta e dibattuta, per

quanto riguarda l’Unione Europea, dal momento che si riconosce un indipendente

“diritto sui generis” sulla banca dati457, e volendo intendere il museo come un

database di immagini digitali, ci si chiede se esista un unico diritto, che sarà

detenuto dal museo che l’ha creata, o se ne esista uno per ogni immagine che la

454 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 455 V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 456 Sec. 17 U.S.C., sec. 32 Copyright Act, art. 1 L. 633/41 a cui si fa riferimento alla “creatività”. 457 V. par. 3.5.1 sub e).

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compone458. Negli Stati Uniti grazie alla giurisprudenza, è stato introdotto il

requisito della creatività per la protezione del copyright; e i databases sono stati

introdotti tra le opere “non –creative”, ma il problema è tuttora in discussione459 .

Inoltre spesso la mera riproduzione di fotografie e immagini non incontra

il requisito dell’originalità. Pur tenendo conto degli sforzi e dell’abilità per

produrle, nel caso delle fotografie, esse mancano di creatività.

Rimane complicato descrivere la posizione dei musei come proprietari,

soprattutto perché questa condizione si scontra con la loro ragione di esistere più

profonda: “most museums are public charitable organizations with the pur pose

of furthering cultural, educational and scientific values”460.

Un ultimo punto da trattare riguarda l’accennata difficoltà della

conservazione a lungo termine delle risorse digitali461. La tecnologia cambia

rapidamente, e il supporto digitale diventa fragile. In Italia manca, ad oggi, una

specifica politica finalizzata ad assicurare la conservazione delle risorse digitali, la

quale favorirebbe la sicurezza dei contenuti, a vantaggio di proprietari ed utenti462.

Tuttavia, si possono individuare alcune linee guida, individuate dalla “Carta di

Firenze”, per l’Unione Europea, dalla biblioteca nazionale australiana di Canberra

e dall’UNESCO, le quali suggeriscono:

1. una copia periodica dei dati, per trasferire le informazioni da un supporto

che rischia l’obsolescenza, ciò vale soprattutto per CD e DVD;

458 In questo senso PESSACH, cit. 459 Idem. 460 V. PESSACH, cit. 461 A cui si era già accennato nel par. 2.5. 462 In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, cit.

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2. migrazione e conversione dei dati alla modificazione delle tecnologie

software;

3. conservare almeno un esemplare dell’ambiente software originale con cui

si sono prodotti i dati463.

3.5 Proprietà intellettuale nel museo: la costruzione del sito web

Le istituzioni culturali, e in particolare i musei, che gestiscono le risorse

digitali hanno a che fare con:

risorse digitali di riproduzione dei beni culturali;

risorse “born digital”, cioè che nascono su un supporto

digitale.

Ai nostri fini, tra le risorse “born digital” si possono riconoscere siti web, banche

dati, come quelle di immagini, opere multimediali464.

Per realizzare, sviluppare e rendere operante un sito web, un museo può

utilizzare proprie risorse interne, o affidarsi a società specializzate nella sua

creazione465:

per tutti gli aspetti che risultano coinvolti;

attraverso una collaborazione con la società stessa466.

463 Cfr. GRUPPO DI LAVORO SULLA DIGITALIZZAZIONE DEL MATERIALE CARTOGRAFICO, Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale cartografico, 2004, 15, reperibile all’URL: «http://193.206.221.20/PDF/Linee_guida_cartografia.pdf». “Conservare il file master e i metadati (che rappresentano l’informazione che descrive un insieme di dati, normalmente al fine di raggiungere gli obiettivi di ricerca dell’esistenza di un documento, localizzazione dello stesso e selezione) corrispondenti significa evitare di dover digitalizzare nuovamente ciascun esemplare, proteggendo, così, gli originali in condizioni delicate ed evitando di dover ripetere il pesante lavoro di informatizzazione”, V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 464 Idem. 465 I soggetti coinvolti sono, in realtà, di varia natura giuridica: soggetti istituzionali, società, editori, consulenti.

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Una tale opera è molto complessa, data la mole dei diritti coinvolti. I

soggetti che si apprestano a progettare un sito web culturale, siano essi i musei

stessi o altri, devono individuare i diritti collegati alle risorse create ed assicurarsi

di non incorrere nell’infrazione del diritto d’autore.

Nell’Unione Europea, i gruppi di lavoro del progetto MINERVA hanno

elaborato un “Manuale di buone pratiche per la digitalizzazione del patrimonio

culturale”467, che si rivolge ai gruppi di lavoro costituiti all’interno delle varie

istituzioni culturali, o che operano attraverso di esse, che hanno in previsione o in

corso di realizzazione progetti di digitalizzazione di documenti e di materiale

iconografico. Oltre a questo, anche un manuale sui principi da seguire per coloro

che si trovano a dover realizzare siti web culturali468; tali regole sono state create

in vista di un’applicazione a tutte le istituzioni culturali, compresi, quindi, i musei,

e sono volutamente generali, in modo che possano essere utilizzate per qualsiasi

tipo di sito web: “the present document (…) is designed for all cultural

institutions which are building or maintaining a Website which presents their

assets and/or initiatives on the Internet”469. Inoltre, sono stati concepiti per

realizzare degli standard comuni nella pratica di digitalizzazione, negli Stati

dell’Unione Europea: “The availability of high-quality Websites encourages

466 Idem, cfr. GUERZONI , STABILE, cit., 233. 467 V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 468 A cui è stato fatto cenno in precedenza, nel par. 2.4.4.1, MINERVA WORKING GROUP 5, Quality principles for cultural websites: a Handbook, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycommentary/qualitycommentary050314final.pdf ». 469 V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.

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European citizens to discover, to explore and to benefit from online material

representing the inique diversità of European culture”470.

Le linee guida, le indicazioni, gli standard applicabili all’Italia e a cui il

nostro paese fa riferimento, sono previste per l’utilizzo da parte di tutti gli Stati

dell’Unione. Lo scopo è, come è stato segnalato, la creazione di pratiche comuni

in tutti i paesi, i quali però sono provvisti di organi, tradizioni e patrimoni

differenti.

Le pratiche nordamericane e australiane, invece, sembrano avere più

familiarità col nuovo contesto digitale471. In Italia non si ha ancora una visione

complessiva del problema e non si sono ancora individuate chiaramente le figure

professionali deputate alla gestione pratica della situazione472.

Secondo il “Manuale di buone pratiche” di MINERVA, nel pianificare un

progetto di digitalizzazione, in questo caso un sito web, è di fondamentale

importanza che l’istituzione coinvolta si ponga alcune domande, prima di iniziare

il lavoro:

“Cosa (va fatto)?

Chi (dovrebbe farlo)?

Dove (lo si dovrebbe fare)?

Quando (dovrebbe aver luogo)?

Come (sarà fatto)?”473

470 V. MINERVA WORKING GROUP 5, cit. 471 Come è emerso dall’emendamento del 2000 al Copyright Act, a cui si è fatto riferimento al par. 3.4. 472 In questo senso GUERZONI, cit., 34; GUERZONI, STABILE, cit., 19. 473 V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.

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161

Mete o obiettivi dovrebbero essere assolutamente chiari, poiché avranno un

impatto diretto sulla selezione del materiale, sul diritto di riproduzione e sulla

pubblicazione. È inoltre importante esaminare progetti analoghi precedenti, per

evitare di commettere gli stessi errori e sollecitare la nascita di nuove idee.

Riguardo la distribuzione del contenuto su Internet, l’istituzione deve

chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze sullo stesso progetto, per un uso

scorretto del materiale, senza, cioè, l’autorizzazione dei proprietari e se sono stati

fatti tentativi per individuare i detentori dei diritti474.

L’altro lavoro di MINERVA, “Quality priciples for cultural websites: a

Handbook”, propone dieci qualità importanti che un sito culturale dovrebbe avere,

per essere di buona qualità:

1. “transparent;

2. effective;

3. maintained;

4. accessible;

5. user – centred;

6. responsive;

7. multi – lingual;

8. interoperable;

9. managed;

10. preserved”475.

474 Idem. 475 V. MINERVA WORKING GROUP 5, cit.

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162

Deve identificare l’identità, lo scopo del sito e l’organizzazione preposta alla sua

gestione; deve rendere il contenuto valido per gli utenti e rispondere ai loro

bisogni, in modo che possano facilmente trovare le informazioni, deve essere

costantemente aggiornato; deve tener conto delle eventuali disabilità degli utenti;

deve fornire un accesso in più lingue differenti; deve fornire informazioni nella

rete delle istituzioni culturali; deve essere gestito nel rispetto dei diritti di

proprietà intellettuale; deve essere prevista la conservazione a lungo termine del

contenuto476. Rispetto a quest’ultimo punto, si è resa importante l’estensione del

“deposito legale” per tale tipo di risorse culturali in rete. La Comunità Europea ha

finanziato vari progetti per inquadrare la questione e proporre soluzioni tecniche e

giuridiche. Alcuni fattori sono generalmente di ostacolo a una soluzione

soddisfacente per le istituzioni culturali e per gli editori e/o i produttori:

complessità tecnica e onerosità economica della “cattura”477

dei siti web. Il più recente esempio di cooperazione

transnazionale per coordinare la “cattura” del web è dato

dal Consorzio Internatinal Internet Preservation

Consortium (IIPC)478, che vede la partecipazione e il

contributo economico di istituti e biblioteche nazionali

come Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Library of

Congress, Library and Archives Canada, National Library

of Australia, Internet Archive;

476 Idem. 477 Detta “harvesting”. 478 V. «http://www.netpreserve.org».

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ingenti interessi economici della parte privata in gioco, a

fronte di un budget sempre più contenuto delle istituzioni

culturali;

mancanza di un quadro giuridico a favore delle istituzioni

culturali per la raccolta delle risorse elettroniche, la

catalogazione, la fruizione e la conservazione nel lungo

periodo.

Quando la creazione del sito web è affidata a soggetti esterni, per stabilire

gli impegni e le competenze, il museo si affida a specifici contratti con la società

che dovrà eseguire il lavoro. Le parti contraenti possono anche affidarsi a modelli

internazionali di contratto che vengono definiti “Museum Web Site Development

Agreements”479. Essi fissano e disciplinano i seguenti principali aspetti: “l’aspetto

tecnico concernente la grafica e il design del sito, nonché la loro trasformazione

in forma codificata (software); la consegna e accettazione, da parte del museo,

del sito web; i servizi accessori relativi alla manutenzione e all’hosting del sito

web presso la società o il provider con il quale la società ha stipulato appositi

contratti; la regolamentazione dei diritti di proprietà intellettuale con riguardo

alla creazione e allo sviluppo del sito web (sia con riferimento alla grafica, al

design e sia in riferimento allo sviluppo di software), la registrazione, in nome e

per conto del museo, del nome di dominio relativo, sotto il top level domain

“.org” o il nuovo top level domain “.museum”, quest’ultimo dedicato alle

organizzazioni che svolgono, in modo prevalente, l’attività di conservazione,

479 V. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 301; GUERZONI, STABILE, cit., 233.

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valorizzazione e fruizione pubblica di raccolte di beni culturali”480. Si prevedono,

poi, tutta una serie di procedure di consegna e accettazione del sito, fasi di test e

installazione finale e messa a disposizione del pubblico. I “Museum Web Site

Development Agreements” fanno parte di uno studio promosso dalla WIPO e

iniziato dal Dr. Michael S. Shapiro, segretario dell’Intellectual Property

Institute481. Più specificamente, tale accordo contiene queste parti:

1. introduction, dove si individuano i soggetti, il museo committente e la

società che deve sviluppare il sito;

2. definitions, in cui si analizzano varie espressioni come web site o web

page, per allontanare qualsiasi fraintendimento nello svolgimento del

lavoro;

3. design and development, in cui si specifica il lavoro che la società è tenuta

a fare e si stabilisce quale materiale il museo è tenuto a fornirle;

4. delivery and acceptance, in cui la società si impegna a consegnare il

prodotto in tutti i suoi elementi costitutivi e a consegnare altresì un

modello dimostrativo del sito proposto. Se il museo ravvisa delle

imprecisioni, deve comunicarle per iscritto alla società in modo che essa

possa apportare le adeguate correzioni. Una volta che il museo ha dato la

sua approvazione finale, la società realizzerà concretamente il sito, in

conformità a quanto stabilito. Dopo la consegna, il museo ha a

disposizioni ulteriori dieci giorni per ispezionarne il funzionamento ed

480 Idem 302; idem, 233, 234. 481 V. M. S. SHAPIRO, Museums and the Digital Future, reperibile all’URL: «http://www.wipo.org».

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ordinare eventuali altre correzioni. È la società stessa ad essere incaricata

dell’installazione del sito sul server del museo.

5. hosting and maintenance [optional], in cui è affidato alla società il

compito della conservazione e del mantenimento del sito, che deve essere

disponibile per gli utenti 24 ore su 24 e deve essere aggiornato con nuovo

materiale entro 3 giorni lavorativi, a partire dal suo ottenimento.

6. intellectual property rights, in cui il museo stabilisce che la società è

autorizzata ad utilizzare le immagini e la documentazione solo per le

attività connesse allo sviluppo del sito. Tutti gli altri usi non specificati

sono da considerarsi non consentiti e riservati al museo. Proprio il museo è

il solo ed esclusivo proprietario del sito, inclusi i diritti di copyright,

marchi, brevetti o ogni altro diritto di proprietà intellettuale. La società è

tenuta a trasferire il “source code” del sito al museo, il quale potrà anche

creare altro materiale derivato, realizzare adattamenti, modifiche e

aggiornamenti;

7. domain name registration, in cui la società è tenuta ad eseguire tutte le

azioni necessarie per la registrazione del nome di dominio;

8. compensation and payment, in cui si specifica l’ammontare del prezzo

della realizzazione e le modalità di pagamento;

9. term and termination, in cui si specifica che tale accordo è rinnovabile,

anche se per un massimo di cinque volte. Si specificano anche i casi di

rottura anticipata e gli effetti;

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10. representation and warranties, in cui si specifica che la società sarà la sola

ad occuparsi della realizzazione del sito e che non verranno infranti diritti

di proprietà intellettuale, marchi, diritti di privacy, diritti morali. Il museo

deve garantire che non infrangerà il copyright e si specifica che non è

responsabile per i compiti che è la società a dover eseguire;

11. indemnification, in cui si specifica che la società si deve preoccupare dei

rimedi risarcitori per il museo e il suo staff da eventuali responsabilità,

danni, costi e spese;

12. insurance, in cui si specifica che viene attivata una polizza assicurativa

per la durata dell’accordo che copra dei particolari rischi;

13. general provisions, in cui si vieta alla società di subappaltare il lavoro

senza il preventivo consenso del museo, e si danno altre informazioni

generali482.

3.5.1 I contenuti

Nel tracciare il sito web come “contenitore”, mi occuperò di diversi

aspetti. La riproduzione delle immagini è, senza dubbio, il tema centrale intorno a

cui ruota tutta l’attività del museo digitale. Nella costruzione del sito entrano in

gioco anche riproduzioni di testi e suoni, che, assieme alle immagini, aiutano il

museo a diffondere ancor più il suo messaggio. Tutti questi elementi possono,

inoltre, essere contenuti all’interno di banche dati e opere multimediali, forme

espressive in cui si può declinare la forma del museo stesso. Infine, si considerano

482 Idem.

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elementi che attengono alla attivazione e gestione del sito, come nomi di dominio,

linking e framing.

a) testi, immagini e suoni

Pressoché tutte le attività digitali che hanno a che fare con i beni culturali

sottintendono un’attività di riproduzione. L’immagine del bene culturale su

supporto materiale che viene riprodotta attraverso la tecnica digitale è soggetta ad

una disciplina e tutela diversa rispetto al bene culturale che è stato riprodotto483.

Il mercato delle immagini, è “business to business”, poiché non si rivolge

al consumatore finale, bensì ad altri soggetti, siano essi istituzioni pubbliche,

organizzazioni non profit, aziende, grafici, web designer, produttori e licenziatari

di merchandising, e così via484. Fino a poco tempo fa, la maggior parte delle

riproduzioni derivava da agenzie fotografiche locali, che operavano sul mercato

da molto tempo, tanto da creare una situazione di monopolio. Le attività erano

comunque legate alla dimensione fisica del supporto e al sistema territoriale di

tutela del diritto d’autore. Ora la maggior parte delle immagini utilizzate deriva da

formati digitali ed è offerta da specifici fornitori, la cui attività non è più legata a

specifici contesti territoriali485. Il prezzo delle immagini dipende

dal loro utilizzo,

dalla risoluzione,

dalla quantità dei diritti negoziati,

483 In questo senso STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 303. 484 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 37. 485 Idem, 38.

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dalla possibilità di utilizzi suppletivi486.

Gli operatori riconoscibili, nell’ambito museale possono essere divisi in tre

categorie487:

1. Soggetti profit, sia pubblici che privati:

il museo deve fronteggiare la nascita di “commercial digital images agencies”

come Corbis o Getty Images, agenzie specializzate nella gestione dei diritti di

riproduzione e uso delle immagini, che raccolgono, digitalizzano e poi danno in

licenza, sia per usi commerciali che privati, opere d’arte, fotografie, immagini.

Nonostante la digitalizzazione sia un sistema tecnicamente complesso e costoso,

specialmente per le istituzioni con risorse limitate come i musei, tali agenzie sono

pronte ad investire grosse somme di denaro per produrre e gestire banche dati di

immagini digitali dei musei. Spesso, inoltre, le agenzie chiedono e ottengono di

essere le sole proprietarie dei diritti intellettuali sulle immagini digitalizzate, e di

gestire, quindi, l’intero patrimonio iconografico del museo. E finiscono, così, per

diventare la risorsa maggiore dalla quale i musei possono trarre materiale

culturale per le loro attività e le stesse agenzie scelgono spesso musei e altre

istituzioni culturali come mercato di riferimento488. Troviamo anche collecting

societies di proprietà pubblica, come la SIAE.

486 Ad esempio il merchandizing su diverse linee di prodotti. 487 In questo senso GUERZONI, cit., 43, 44. 488 Cfr. PESSACH, cit.

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2. Soggetti non profit:

sono consorzi o federazioni di istituzioni museali o culturali come AMICO489,

NINCH490, o CANCOPY491 che “sono state costituite al fine di scorporare le

attività di tutela e gestione dei diritti per delegarle ad organismi più

rappresentativi, dotati di competenze specifiche, capaci di codificare standard

contrattuali e negoziali, in grado di far valere il proprio maggior peso

contrattuale in sede negoziale e redistributiva”492. Secondo alcun ricerche, queste

agenzie agiscono come “raccoglitori” di materiale iconografico e documentale per

poi destinarlo ad usi educativi, didattici e scientifici.

3. Soggetti misti:

rappresentano “soggetti giuridici e capitali pubblici e privati in forme societarie o

consortili”493; alcuni esempi possono essere le agenzie pubbliche come Réunion

des Musèes Nationaux, che raccolgono risorse e finanziano progetti. Sono

organismi di grandi dimensioni che sono sostenute dagli enti pubblici che li hanno

formati e che possono contare su una certa indipendenza: situazione difficilmente

realizzabile in Italia, senza un adeguato impegno statale494.

489 Art Museum Image Consortium, è un’organizzazione non profit nata nel 1997 che raggruppa le istituzioni culturali del Nordamerica e d’Europa, proprietarie di collezioni d’arte che collaborano per promuovere usi didattici, educativi e scientifici dei loro materiali; cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 63. 490 National Iniziative for a Networked Cultural Heritage, è un consorzio nato negli Stati Uniti nel 1993 che raggruppa archivi, biblioteche, musei, fondazioni private e agenzie governative. Ne fa parte anche l’AMICO e AAM (American Association of Museums). Promuove l’accesso a fonti comuni, attraverso le nuove tecnologie. 491 Canadian Copyright Licensing Agency, agenzia non profit fondata nel 1988 da scrittori ed editori canadesi per la concessione di licenze di pubblico accesso ad opere coperte da copyright; idem. 492 V. GUERZONI, cit., 43. 493 Idem, 44. 494 Idem.

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Nel caso della pubblicazione dei testi, è necessario acquisire

preventivamente i diritti di utilizzazione economica dai legittimi titolari. Per

l’introduzione nel sito web bisogna negoziare anche alcuni diritti più specifici: il

consenso alla trasformazione in linguaggio binario; il consenso a diffondere

l’opera al pubblico attraverso la rete telematica; il consenso a possibili

modificazioni e/o adattamenti all’opera. Lo stesso procedimento va ripetuto per

l’acquisizione dei suoni495. Per gestire gli eventuali suoni da inserire nel sito web,

è consigliabile affidarsi ad un intermediario specializzato, come la SIAE, in Italia,

per la corretta individuazione di autori e/o interpreti dei brani e per la cessione dei

diritti di utilizzazione economica496.

Nel predisporre i contenuti del sito, quindi, si deve tenere presente che

tagliare, incollare, rielaborare, tradurre o adattare un lavoro soggetto a diritti

d’autore, richiede un preventivo permesso.

Si possono, invece, pubblicare liberamente:

testi ufficiali di atti dello Stato e delle amministrazioni

pubbliche, sia italiane che straniere497;

opere poste dall’autore nel pubblico dominio, attraverso una

dichiarazione esplicita dell’autore stesso;

opere su cui sono decorsi i termini per la protezione legale

dei diritti patrimoniali. Bisogna però prestare attenzione ai

495 Cfr., S. CERUTTI, Aspetti legali dell’opera multimediale, 2002, in CASSANO, (a cura di) cit., 1014. 496 Cfr., L. TURINI, L’opera telematica, 2002, in CASSANO (a cura di), cit., 989. 497 Si noti, però, che in Australia è necessario chiedere il permesso al Governo per la pubblicazione, anche su Internet, della legislazione, cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Copyright law in Australia. A short guide, cit.

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diritti morali, non soggetti a prescrizione. E’ necessario

indicare la paternità dell’opera, non intervenire con

modifiche non autorizzate, non pubblicare opere inedite che

l’autore, finché era ancora in vita, ha voluto restassero

inedite.

Si noti che in Australia il copyright prevede delle eccezioni all’infrazione

del diritto morale. “The purpose for which the work is used”498 può dare la

possibilità di infrangere il copyright. È necessario, tuttavia, un consenso scritto.

Ciò vale anche per coloro che hanno creato un’opera “in the course of

employement”499.

Sempre per quanto riguarda il diritto morale, si noti che sia in Australia

che in Italia è importante soffermarsi sul diritto all’integrità, quando si tratta del

processo di digitalizzazione. Un autore, infatti, potrebbe non apprezzare il fatto

che di una sua opera vengano, all’interno della pagina web, modificati i colori,

proprio a causa della digitalizzazione e della riduzione in bit; o l’opera venga

troncata, per un più agile inserimento su Internet500.

Ci sono poi opere il cui utilizzo è compreso sotto le cosiddette utilizzazioni

libere501 come:

riproduzione di articoli di attualità di carattere economico,

politico o religioso a meno che la loro utilizzazione non sia

498 Cfr., HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions Guidelines for digitisation, cit. 499 Idem, 113. 500 In questo senso LEAN, cit. 501 V. anche par. 3.6 a).

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stata espressamente riservata. Bisogna, in ogni caso,

indicare fonte, data e nome dell’autore;

discorsi di interesse politico o amministrativo tenuti in

pubblico ed estratti di conferenze aperte al pubblico;

riassunti o citazioni di brani di opere a scopo di

informazione o critica, sempre che tale comportamento non

costituisca concorrenza all’utilizzazione economica

dell’opera. È necessario, altresì, indicare autore, titolo ed

editore.

Il museo molto spesso affida l’attività di sviluppo delle immagini digitali

ad una società specializzata. Tra i due soggetti interviene, quindi, un accordo,

detto Digital Images Devolopment Agreement, il quale tratta alcuni aspetti

principali:

1. “diritti di proprietà intellettuale sulle immagini che riproducono i beni

culturali oggetto del patrimonio artistico e culturale del museo;

2. le specifiche tecniche relative allo sviluppo delle immagini (risoluzione

delle immagini; adattamenti e modificazione consentite, quali la

correzione dei colori, le sfumature e le ombreggiature; uso di sistemi di

watermarking502 ed altri mezzi utili alla protezione dei diritti generati dal

bene culturale);

3. gli standard di qualità delle immagini in formato digitale (conformità al

prototipo approvato dal museo);

502 V. par. 3.6 sub b).

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4. i corrispettivi dovuti a fronte dell’attività prestata dalla società fornitrice

dei servizi e gli ulteriori corrispettivi per la cessione a titolo definitivo dei

diritti d’autore sulle immagini così sviluppate ovvero per le relative

licenze d’uso, qualora le parti non si siano accordate a favore di un

trasferimento a titolo definitivo dei diritti di proprietà intellettuale a

favore del museo;

5. le garanzie e le responsabilità concernenti la corretta esecuzione del

contratto”503.

Nel caso inverso, può anche essere il museo a mettere a disposizione le

immagini in formato digitale. I destinatari possono essere gli utenti o le stesse

agenzie. In questi casi viene implementata una licenza d’uso, la quale specifica:

il numero delle immagini coinvolte,

gli scopi dell’utilizzazione,

il periodo di tempo in cui è possibile lo sfruttamento,

il territorio (che può comprendere internet) e

il pagamento504.

Un’ultima considerazione riguardo la formazione e la fruizione del

prodotto digitale.

Nel processo di digitalizzazione è importante considerare la qualità

dell’immagine, la cosiddetta risoluzione. Ci sono numerosi fattori che entrano in

gioco; e il livello della qualità che si può ottenere dipende da tutto il processo

tecnico di acquisizione in digitale che è molto complesso. Normalmente le

503 V. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 304. 504 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 240

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richieste inoltrate a coloro che digitalizzano le immagini si fermano a pixel e

profondità del colore505. Tenere conto, invece, di tutti gli aspetti tecnici

garantirebbe un certo livello di qualità delle immagini, che, tuttavia, deve essere

scelto ponderando le disponibilità tecnologiche ed economiche e gli obiettivi del

progetto. Negli ultimi anni sono state sviluppate tecnologie che rendono la

fruizione delle immagini più veloce, poiché nuove soluzioni di memorizzazione e

di software riescono ad elaborare le richieste in modo più efficiente e per

un’utenza differenziata506. Assai innovativa è, inoltre, la possibilità di

decomprimere il file in molti modi507, che dipendono dal tipo di utente che ne fa

richiesta508. Generato il file compresso, si può “progettare a piacere la sequenza

di decompressione secondo un preciso ordine di risoluzione, qualità, scala

cromatica, etc., così da poter stabilire diversi livelli di fruizione”509. Ad esempio,

si potrà vedere un’icona prima in gradazioni di grigio, poi aggiungervi il colore,

poi zoomare. E tutto ciò solo seguendo le istruzioni per passare all’azione

successiva, senza comprimere di nuovo l’immagine. Ciò permetterebbe, quindi, di

fornire un’immagine che si avvicini il più possibile a quella originale, per rendere

la maggior quantità di informazioni possibile, come se si avesse di fronte il bene

autentico.

Questo settore di sviluppo delle immagini e concessione delle stesse tramite

licenza è un settore che si sta espandendo velocemente e le istituzioni italiane

505 Cfr. F. LOTTI, La qualità delle immagini dei progetti di digitalizzazione 2006, 2, 22, 23, in DigItalia, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf». 506 Idem, 29. 507 Progetto JPEG2000. 508 Utente generico, abilitato, pagante, e così via. 509 V. LOTTI, cit., 34.

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dovrebbero approfittarne, data la mole di patrimonio che potrebbe essere

digitalizzato e reso fruibile in maniera innovativa, per il pubblico.

b) linking e framing

Si passa ora a trattare un’altra tipologia di infrazione al diritto d’autore510,

che attiene specificamente alla gestione del sito web.

Con l’avvento di internet e dell’era digitale, sono aumentare a dismisura le

informazioni che possono essere reperite sul web. Mentre “naviga”, l’utente

prende visione di contenuti che non sono posti in un’unica lineare sequenza, come

potrebbe accadere per un testo cartaceo, ma possono essere scelti autonomamente,

essendo interconnessi gli uni agli altri. Tramite una connessione attraverso un

link, il soggetto crea un proprio percorso di lettura. Questo è l’elemento che

caratterizza un ipertesto, come suggerisce la parola stessa, qualcosa che va al di là

del semplice testo: un insieme di informazioni interconnesse511.

Lo stesso creatore di un sito web sa che il suo prodotto non sarà

completamente nuovo, ma si baserà, in parte, sull’assemblaggio di parti già

esistenti. Se questo soggetto si limita a copiare, egli è perseguibile ai sensi di

legge; se però effettua solo dei rimandi, può non incorrere nell’infrazione; ma

dipende dal tipo e dalle modalità con cui ciò viene effettuato512.

510 Rispetto a quelle viste nel par. 3.4 e 3.5. 511 In questo senso A MUSSO, Ipertesti e thesauri nella disciplina del diritto d’autore, in AIDA, VII, 1998, 211. 512 In questo senso TURINI, cit., 994.

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È bene ricordare che in passato si riteneva che anche il semplice

caricamento di una pagina web nella memoria RAM513, data la riproduzione

temporanea dell’opera, poteva costituire violazione del copyright.

Successivamente, però, riconosciuto il valore fondamentale del link per operare su

Internet, si è stabilito che un utente, per il fatto stesso di essere sul web, realizza

una “licenza implicita” per tale pratica514.

Il rimando è effettuato tramite il link, un “collegamento ipertestuale ad

uno spazio internet, strumento fondamentale e indispensabile per la

comunicazione in rete”515, che permette di “navigare” tra le pagine del World

Wide Web.

Esistono diversi tipi di collegamenti e di classificazione dei link.

Innanzitutto si suole distinguere tra:

link interni, che sono collegamenti tra le pagine di uno stesso sito e

link esterni, che spostano l’utente nelle pagine di un sito diverso da

quello iniziale.

Per quanto riguarda i link interni, tutto ciò che viene richiamato rientra

nell’ambito della titolarità del gestore di quello spazio web. Non c’è bisogno di

una licenza, implicita o esplicita, poiché si tratta del modo normale di costruire un

sito ipertestuale516. Riguardo i link esterni, l’utente è rinviato presso contenuti che

513 Random Access Memory, la memoria “volatile” del computer in cui vengono memorizzati i dati, ad esempio, sul documento su cui si lavora in quel momento. 514 In questo senso TURINI, cit., 996; PESSACH, cit.; T. J. WALTON, Copyright, reperibile all’URL: «http://netatty.com/copyright.html». 515 V. TURINI, cit., 994. 516 Cfr. TURINI, cit., 995; G. DE FRANCESCO, Siti web e diritti di proprietà intellettuale, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria_i/indice0512/defrancescositiwebipr.html».

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non sono propri del titolare del sito che ha apposto il link. E in questi casi possono

configurarsi alcuni illeciti517.

Si distingue ulteriormente tra surface link, deep link e framing.

Il surface link consente all’utente di entrare in un sito diverso, comprendendo il

passaggio dalla home page del sito “chiamato”. Questo causa generalmente pochi

problemi, perché tale sito potrebbe essere interessato dall’acquisita visibilità. La

forma di collegamento del deep link è insidiosa: ci si collega alla pagina di un

altro sito , ma senza transitare dalla home page518. La giurisprudenza italiana ha

dimostrato un atteggiamento non uniforme riguardo a queste situazioni,

configurandole o come illecita forma di concorrenza o come assoluta liceità519.

Con il framing, la pagina richiamata attraverso il link viene inserita all’interno

della struttura della pagina web attraverso la quale si è effettuato il link, e diventa

parte integrante della stessa.

Negli Stati Uniti il deep link, se non viene espressamente autorizzato dal

titolare del sito a cui si rimanda, è considerato illecito520.

In Italia esiste la pratica dell’accordo fra i proprietari dei siti, sul modo di

apporre i link, citare e riprodurre i documenti, all’interno delle proprie pagine521.

Il framing, negli Stati Uniti come in Italia, è anch’esso considerato illecito,

senza espressa autorizzazione. “In entrambi i casi sussiste una situazione di forte

incertezza nel visitatore che non ha agilmente modo di comprendere quale sia la

517 Cfr. M. S. SPOLIDORO, Il sito WEB, in AIDA, 1998, VII, 188, 189. 518 Cfr. TURINI, cit., 995; SIROTTI GAUDENZI, cit., 259, 260, MUSSO, cit., 248, 249. 519 Cfr. TURINI, cit., 995 520 Anche se, secondo alcune opinioni, il deep link è l’unico modo per citare la fonte. 521 Cfr SIROTTI GAUDENZI, cit., 260.

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vera fonte del materiale visualizzato”522. Si ritiene, comunque, che il framing

violi il diritto d’autore se non viene resa esplicita la fonte dell’informazione che si

visualizza. Inoltre, diventa concorrenza sleale quando serve a sfruttare la notorietà

di un altro sito o dei servizi da questo offerti, senza autorizzazione o senza versare

un corrispettivo523.

Date le questioni giuridiche sorte, gli operatori hanno elaborato un tipo di

accordo, detto “Web linking agreement”, che stabilisce le condizioni per

effettuare link senza rischi di infrazione524. Questo tipo di accordo si rivela

necessario per tutti coloro che devono creare un sito web e cercano di fornire

all’utente il maggior numero di informazioni possibili; come nel caso del sito

istituzionale di un museo, che può avvalersi anche di risorse esterne, che non gli

appartengono direttamente, per diffondere il suo messaggio e portare a

compimento la sua missione. Esso potrebbe, infatti, inviare l’utente a contenuti su

cui non possiede il copyright, ed in questo modo:

non controllare la possibilità di scaricare informazioni che,

forse, il proprietario non voleva distribuire o

facilitarlo nell’usare materiale per scopi diversi da quelli

coperti da utilizzazioni libere, fair use o fair dealing525.

522 V. TURINI, cit., 996 523 Cfr. DE FRANCESCO, cit. 524 Idem. 525 V. par. 3.6 a).

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c) nome di dominio

Ogni computer connesso alla rete è fornito di un indirizzo IP526, cioè una

sequenza di numeri che lo identificano. Dal momento che si rivela difficoltoso

ricordare una serie di numeri, mentre è più semplice memorizzare una parola,

sono state associate a quei numeri sigle o parole527.

Partendo da questo esempio, «http://www.ambientediritto.it», i nomi di

dominio sono così strutturati:

la parte a destra del punto, “.it”, è detta Top Level Domain, che

indica l’area geografica, come in questo caso528, o l’area tematica

di appartenenza529;

la parte a sinistra del punto , “ambientediritto”, è detta Second

Level Domain, espressione alfabetica scelta autonomamente

dall’utente, che identifica delle particolari pagine.

Ogni parte dell’IP numerico è unica, quindi ogni computer della rete è

identificato da un unico e particolare nome di dominio530.

Secondo la giurisprudenza, il nome di dominio ha anche una funzione di

segno distintivo, rispetto alla possibilità di attrarre l’interesse degli utenti della

rete. Pertanto, in questo campo occorre rispettare le normative a tutela della

proprietà intellettuale, ma anche del nome, dei segni distintivi e dei marchi531.

526 Internet Protocol, protocollo di comunicazione che serve a spostare pacchetti di dati da una macchina all’altra, cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 235. 527 Idem. 528 “.it” per l’Italia, “.fr” per la Francia, e così via. 529 Come “.com” per indicare le attività commerciali. 530 cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 236. 531 In questo senso, DE FRANCESCO, cit.

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180

È necessario specificare che, nell’andare alla caccia di un nome per il sito,

non è possibile utilizzare il titolo stesso di un’opera dell’ingegno, senza il

permesso dell’autore; ciò vale anche per denominazioni di organizzazioni o

prodotti identificabili come marchi o insegne, e pertanto tutelati ai sensi della

normativa sulla proprietà industriale532. L’uso di un marchio altrui come nome di

dominio è, generalmente illecito: gli utenti, infatti, visiterebbero il sito credendo

che sia di proprietà del titolare del marchio e ciò potrebbe creare confusione

relativamente all’associazione erronea tra diversi segni distintivi e circa la

provenienza dei prodotti, dei servizi, per non parlare del danno alla reputazione.

Secondo l’esperienza statunitense, in generale i nomi di dominio registrati che

contengono un marchio di fabbrica, rappresentano una violazione. Le corti

americane, tuttavia, non detengono una visione univoca del problema e non hanno

avuto molto successo nel forzare i proprietari del nome di dominio, che

rappresenta una presunta violazione, ad abbandonare l’uso del nome registrato.

L’ICANN533, autorità che si occupa, negli Stati Uniti, dell’assegnazione dei nomi

di dominio, ha istituito una procedura di arbitraggio per determinare se il

proprietario di un marchio abbia la facoltà di eliminare un nome di dominio. Se,

poi, le corti americane sollevano obiezioni sulla decisione raggiunta, il sito resta

tale534.

532 Idem. 533 International Corporation of Assignad Names and Numbers, responsabile dell’assegnazione dei nomi di dominio negli USA. IANA (Internet assigned Numbers Authority), è l’autorità che sta al vertice nell’assegnazione dei nomi di dominio; essa ha delegato le sue funzioni a distinte autorità continentali, europea e sud-asiatica, da cui dipende, ad esempio il GARR in Italia. 534 In questo senso T. J. WALTON, Trademark, 2000, reperibile all’URL: «http://www.netatty.com/trademark.html».

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181

La WIPO ha acutamente chiamato il nome di dominio “the human form of

Internet address. Like commercial entities in cyberspace, domain names serve not

only as the street and houses on the Internet but also as the signposts for

electronic business”535. Nel cyberspazio è di fondamentale importanza, per I

musei, avere un’identità certa, sicura e appropriata, che permetta agli utilizzatori

di confidare sulle risorse dell’istituzione. L’ICANN ha approvato la costituzione

di un Top Level Domain “.museum”, che favorirebbe l’istituzione culturale nel

registrare i propri nomi di dominio, il riconoscimento di un’identità sicura e

l’assicurazione di autenticità dei contenuti536. L’organizzazione preposta a rendere

operativa tale iniziativa è MuseDoma537, la quale aspira a stabilire “a cultural

sector on the Internet”538. Essa deve anche vigilare su eventuali comportamenti

illeciti: “there are persons all toot eager to appropriate the name, the goodwill,

and intellectual assets of museums for their own purposes”539; tali pratiche

possono, infatti, danneggiare la reputazione del museo, per questo devono

investire tempo e risorse per difendere i loro nomi di dominio.

d) opera multimediale

Il museo dell’era digitale, sia che crei un suo “alter ego” su Internet o che

proponga nuove e diverse attività sul suo sito web o nei suoi locali, è

ripetutamente coinvolto nell’utilizzo e nella costruzione di opere multimediali.

535 Cfr. SHAPIRO, cit. 536 Idem. 537 Museum Domain Management Association. 538 V. C. KARP, Launching the Top - Level Domain . museum, 2001, reperibile all’URL: «http:// icom.museum/». Il top level domain dell’ICOM ne rappresenta un esempio. 539 V. SHAPIRO, cit.

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182

Pensiamo, ad esempio, alla visita virtuale di una galleria d’arte, nella quale

possiamo:

vedere le riproduzioni digitali delle opere ivi custodite,

ascoltare una voce narrante e/o

leggere una didascalia che ci spieghi la storia dell’opera,

dell’autore o del luogo in cui è presente,

essere accompagnati da un sottofondo musicale.

Si prenda altrimenti come esempio la video guida multimediale realizzata al

Museo della Seta di Como, che ho illustrato al par. 2.4.3 sub c). In quell’esempio

l’utente è coinvolto in una visita reale al museo, ma attraverso una videoguida su

palmare, che permette di selezionare autonomamente gli argomenti, è in grado di

ascoltare le spiegazioni sugli oggetti custoditi ed ottenere anche informazioni

aggiuntive. Tutto ciò accompagnati anche da filmati dell’epoca, riprodotti su

palmare, e dalla possibilità di interagire con lo strumento scegliendo lingua,

percorsi, argomenti.

L’opera multimediale è fonte di molteplici informazioni, di cui il

museo si avvale per la sua straordinaria capacità di restituire immediatezza nella

ricezione delle informazioni e di rendere l’utente attivo attraverso la scelta del

proprio autonomo percorso, fino a diventare lui stesso “creatore” dell’itinerario

conoscitivo. In questo modo il museo è anche facilitato nel compito di

raggiungere la sua missione e diffondere il suo messaggio, sia ad utenti che lo

visitano realmente, sia a coloro che non avrebbero voluto visitarlo ma attraverso

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Internet ne stanno considerando l’eventualità, sia a coloro che non ne hanno la

possibilità540.

La scoperta dell’opera multimediale, tuttavia, non è recentissima. Già

da più di dieci anni si produce materiale multimediale come i CD rom, che poi si è

perfezionato fino ad approdare alla rete Internet541.

Sempre in quel periodo, i creatori di opere multimediali riportavano

una percentuale molto alta di rifiuti nell’accordare loro, da parte degli autori dei

contenuti che avrebbero dovuto essere utilizzati, i permessi per lo sfruttamento.

Molto probabilmente la causa si riconnette alla mancata comprensione dei reali

diritti coinvolti, data la novità dell’utilizzo di quel tipo di tecnologia, perciò il

rifiuto sembrava la strada più sicura da percorrere. Si segnala che ciò accadeva

anche nella costituzione di banche dati e website542.

Facciamo una piccola premessa. È necessario specificare di quale tipo

di opera stiamo parlando. La riflessione dottrinale sulla della tecnologia digitale

ha dato origine ad una nuova categoria di “beni immateriali” la cui caratteristica è

la “dematerializzazione” del tradizionale supporto materiale in cui sono immessi,

dato il processo di “digitalizzazione” delle informazioni a cui sono sottoposti, che

prevede la riduzione in bit. Come efficacemente descritto da Nivarra, “impiego

della tecnica digitale che annulla la specificità di ogni singolo linguaggio sia esso

musicale, testuale, visivo, nelle sue ininterrotte catene di 0 e 1”543. Queste nuove

forme di elaborazione e trasformazione dell’opera hanno portato alla nascita dei

540 V. par. 2.3. 541 V. par. 2.4.3. sub a), cfr. R. E. PANTALONY, Wipo Guide on Managing Intellectual Property for Museums, 2007, reperibile all’URL: «http: //www.wipo.int/copyright/museums_ip/guide.html» 542 In questo senso LEAN, cit. 543 V. L. NIVARRA, Le opere multimediali su Internet, in AIDA, 1996, V, 136.

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cosiddetti “beni informatici”, strutturabili attraverso un computer, entro cui si

possono comprendere opere multimediali, banche dati, software544. Solo le prime

due tipologie saranno oggetto di specifica analisi, in questo e nel prossimo

paragrafo.

È necessario trovare una collocazione giuridica per i beni informatici, i quali

vengono,così, trasformati in beni giuridici informatici. Tale nozione, nel mondo

anglosassone è resa con “legal hybrid”545.

Nel cercare di definire tale tipo di opera, partiamo dall’attributo

“multimediale”. Il relativo termine “multimedia” deriva dal mondo anglosassone,

ma ancor prima da quello latino: “media”, il plurale di “medium”, significa

mezzo; ed indica, insieme al termine “multi”, più mezzi di comunicazione che

veicolano il proprio messaggio e vengono incorporati, poi, in un unico supporto

che fonde insieme i vari messaggi, creandone uno nuovo generale. I messaggi,

però, grazie alle scelte che l’utente pone in essere, possono diventare

molteplici546.

Nonostante tale prodotto non rappresenti più una novità547

l’inquadramento sistematico548 di tale opera è problematico ora come lo era dieci

anni fa549.

544 In questo senso M. BARCAROLI, Problemi di Diritto Comparato di autore nell’opera multimediale, in Riv. Dir. Aut, 1999, 2, 181; C. DI COCCO, Multimedialità e diritti d’autore, in Dir. Int., 2007, 3, 298; B. CUNEGATTI, G. SCORZA, Multimedialità e diritto d’autore. Multimedia, banche di dati, software e mp3 alla luce della direttiva 2001/29/CE, Napoli, 2001, 5; M. D’ANNIBALE, La classificazione delle opere multimediali nella legge sul diritto d’autore, in Dir. Aut., 2007, 3, 369. 545 Cfr. BARCAROLI, cit, 189. 546 Idem, 186; DI COCCO, cit., 298. Intesi come testi, immagini, suoni, sono, secondo Nivarra “la traduzione visiva di quelli intreccio di relazioni e di assonanze di cui si alimenta la conoscenza” cit, 138. 547 Cfr. NIVARRA, cit., 139.

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E oltre ad indagare il suo possibile inquadramento, c’è chi si chiede

anche se la figura dell’informatico sia assimilabile a quella dell’autore550.

Ma analizziamone le caratteristiche. Essa è caratterizzata da:

digitalità, che riguarda la sua necessaria forma di espressione in

linguaggio binario, il quale permette al computer di raccogliere ed

elaborare le informazioni;

multimedialità, che fa riferimento alla sua composizione in

immagini, testi, suoni, connessi tra loro e che rappresentano opere

protette dal diritto d’autore551;

interattività, che sta ad indicare che l’opera funziona attraverso un

cd. “software gestionale”, che permette all’utente, grazie anche

all’ipertestualità, di creare percorsi di consultazione sempre

personalizzati, diventando egli stesso, come abbiamo visto

all’inizio, creatore. Si riconosce una “creatività multiforme” perché

l’utente può compiere tutte le scelte consentite dal software

gestionale552.

Si specifica, inoltre, che l’opera multimediale può essere realizzata off-

line, intendendo con questo l’utilizzo di CD rom o DVD; oppure on - line quindi

su Internet, strumento che la rende ivi realizzabile553.

548 Sia per qualificazione giuridica che disciplina normativa. 549 Cfr. DI COCCO, cit., 297; BARCAROLI, cit., 183; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 5. 550 In questo senso, M. D’ANNIBALE, cit., 370. 551 I dati, una volta digitalizzati: “divengono dati svincolati dalla realtà materiale, indipendenti dal supporto sul quale sono inizialmente registrati ed estremamente permeabili a qualunque tipo di operazione” , v. DI COCCO, cit., 299. 552 V. D’ANNIBALE cit., 381; cfr. BARCAROLI, cit., 155-188; SIROTTI GAUDENZI, cit., 215. 553 Cfr. D’ANNIBALE, cit., 373; BARCAROLI, cit., 384.

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Queste due tipologie configurano, rispettivamente, la multimedialità

statica554 e dinamica555.

Le caratteristiche dell’opera fuse insieme costituiscono il prodotto

multimediale, che si distingue per due elementi:

1. il “contenuto informativo”, che rappresenta la totalità dei dati

digitalizzati provenienti da opere o porzioni di esse che sono

fruibili dall’utente attraverso una “navigazione reticolare”556;

2. il “programma di gestione”, cioè la componente software, un

sistema informatico che coordina le parti e i contenuti in modo

che possano essere utilizzati dall’utente.

Tali due componenti sono “interdipendenti, in quanto l’una è del tutto

inutile senza l’altra, e fra loro deve sussistere una forte integrazione perché il

multimedia possa essere utilizzato efficacemente dall’utente finale”557.

“Although multimedia products are of such great economic

importance, there is no direct legislation to protect them”558. Ciò non significa

però che non ci sia un qualche tipo di protezione a questi prodotti. Ma la

protezione trovata, in Italia come negli altri paesi e nei trattati internazionali, è

essenzialmente un miscuglio degli esistenti regimi di protezione per altre simili

opere dell’ingegno559.

554 Che fa riferimento al medium che la incorpora. 555 Che fa riferimento allo spazio extra geografico a cui è possibile accedere attraverso Internet; cfr. CERUTTI, cit., 1012. 556 V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 6. 557 V. DI COCCO, cit., 299 558 V. I. A. STAMATOUDI, Copyright and Multimedia Products A Comparative Analysis, Cambridge, 2002, 5 559 In questo senso STAMATOUDI, cit., 5; NIVARRA, cit., 136; DI COCCO, cit., 304; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 10.

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Innanzitutto l’opera multimediale può essere considerata opera

dell’ingegno poiché è dotata di creatività560: infatti, come dice Nivarra, dà vita ad

“una creazione originale frutto di progetto culturale anche di livello elevato (…).

E questo valore aggiunto creativo, a sua volta, non deriva da un lavoro di mero

coordinamento”561 anzi molto spesso il livello di creatività sul prodotto finito può

essere anche superiore a quello che potrebbe potenzialmente derivare dalla somma

delle sue componenti562.

Il progetto creativo è generalmente imputabile al cosiddetto “regista

multimediale” che sviluppa l’idea principale563 e genera l’idea che sarà poi

realizzata con l’aiuto di grafici, esperti software ed esperti di contenuti.

Raramente è realizzata da un solo soggetto, a cui spetterebbero, pacificamente,

alla fine, tutti i diritti sull’opera.

Quindi alla realizzazione dell’opera partecipa un gruppo di soggetti,

ciascuno dei quali fornisce il proprio contributo intellettivo originale per la

realizzazione. C’è infine poi, il finanziatore, o produttore multimediale che mette

a disposizione i mezzi finanziari e successivamente ne cura l’edizione564.

Diversi esperti per diversi tipi di contenuti; proviamo ora a cercare una

definizione: l’opera multimediale è “la combinazione e la gestione simultanea, ad

560 Altresì se dotata di creatività di modesta entità, come richiesto nei paesi di common law, dove si prevede solo che l’opera non sia copiata. 561 V. NIVARRA, cit., 137 562 In questo senso DI COCCO, cit., 304. 563 V. idem, BARCAROLI, cit., 210. 564 Cfr. DI COCCO, cit., 305.

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opera di un programma, di porzioni di opere appartenenti a diverse tipologie,

tradizionalmente veicolate da media differenti,resi in formato digitale”565.

Ancora, è “un’opera realizzata dall’ingegno di un uomo che può

essere consultata in modi diversi (audio, video, lettura, narrazione, animazione,

storia, arte, dizionario) e non in un modo unico come un film, un libro, la radio, o

la televisione, a seconda degli interessi di chi la fruisce”566.

Ancora, è un’opera che “combine on a single medium more than one

different kind of expressions in an integrated digital format, and which allow their

users, with the aid of a software tool, to manipulate the contents of the work with

a substantial degree of interactivity”567.

La definizione normativa dell’opera multimediale è, tuttavia, una

questione aperta; non esistono fonti specifiche o norme che le attribuiscono uno

specifico regime giuridico.

In Italia, in realtà, il termine “multimediale” è apparso per la prima

volta nel 2000, in un testo legislativo568 trasposto poi nell’art. 17 ter l. 633/41. Era

il primo riconoscimento formale da parte del legislatore, il quale, tuttavia, non ha

introdotto una definizione o ne ha specificato una disciplina giuridica. L’unico

modo per trovare una disciplina, dunque, è fare una comparazione con i modelli

esistenti.

Innanzitutto, la Convenzione di Berna prevede la protezione per

materiale originale che sia “literary and artistic works, meaning every production

565 V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 6 566 V. V. SPATARO, Opera Multimediale, reperibile all’URL: «http: //www.civile.it/ilaw/diziovisual.asp?num=764» 567 Definizione di I. A. STAMATOUDI, in DI COCCO, cit., 301. 568 D. lgs 248/2000.

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in the literary, scientific and artistic domain, whatever its form or mode of

expression”569. Qualsiasi opera che possegga tali caratteristiche viene protetta,

senza che venga fatta una preventiva classificazione dell’opera.

In Europa la visione è simile alla Convenzione, per cui una preventiva

classificazione non è richiesta. Così accade anche negli Stati Uniti, i quali però

prevedono dei requisiti forse ancora più restrittivi: la section 102 del Copyright

Act assegna tre caratteristiche alle opere per poter essere protette:

“it has to be a work

it has to be original

it has to be fixed in a tangible medium of expression”570.

Tenendo conto, però del concetto molto largo di originalità, la

restrittività viene allentata.

L’individuazione del regime giuridico si rivela fondamentale sia per

una corretta protezione, sia per una sviluppo più generale del mercato poiché gli

imprenditori non resterebbero bloccati dalla mancanza di chiarezza legislativa.

Nel scegliere il regime più adatto, la maggiore difficoltà è data dal

rapporto che si realizza tra le sue più componenti. È importante ricordare che

l’opera multimediale è composta, nella maggior parte dei casi, da altre opere che,

a loro volta, sono protette dal diritto d’autore. E ciò accade a prescindere dalla

protezione che verrà accordata all’opera, nel suo complesso. Inoltre, non si

possono trascurare i diritti che appartengono ai singoli autori dei contenuti

569 V. STAMATOUDI, cit., 187. 570 Idem, 88.

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utilizzati. Sembra ad oggi, che nessuna categoria italiana di opera dell’ingegno

possa ritenersi adatta.

Questa può rivelarsi un’operazione ardua, poiché:

è necessario ottenere almeno il consenso per la riproduzione e alla

elaborazione delle opere;

si ravvisa frammentarietà e pluralità di diritti, sia d’autore che

connessi, in capo a molteplici soggetti, da qui la difficoltà di

ottenere tutti i consensi;

la necessità dell’acquisizione dei diritti per ogni territorio nel quale

l’opera sarà usata, complica lo sfruttamento della stessa sul web,

poiché si rende indispensabile raccogliere i diritti praticamente per

tutti i paesi del mondo, con le connaturate differenze degli stessi;

poiché la realizzazione dell’opera impone una modificazione dei

materiali originali, coloro che hanno acquistato dei diritti di

sfruttamento sugli stessi e a cui andrebbero indirizzate le richieste

potrebbero non disporre anche del diritto di modifica571.

Innanzitutto, è possibile far rientrare l’opera multimediale all’interno

delle opere derivate, figura prevista dal diritto d’autore, al di là delle previsioni

per ogni singola tipologia. Essa infatti, utilizzando contenuti preesistenti e

rielaborandoli creativamente presenta le sue caratteristiche tipiche572.

571 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 119, 120; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 14, 15. 572 Idem 119; idem 19, 20.

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Ma poiché l’opera multimediale è dotata delle caratteristiche di

digitalità e interattività, diventa difficile inquadrarla in una delle figure

tradizionali:

Opera comune o opera in collaborazione o opera in comunione.

È un’opera creata attraverso il contributo “indistinguibile e inscindibile di più

persone”573. Però il ruolo che copre il soggetto che cura l’ideazione e la

realizzazione dell’opera multimediale risulta incompatibile con quest’opera, dove

tutti i soggetti danno lo stesso tipo di contributo. Inoltre nell’opera multimediale

non c’è una “fusione irreversibile delle singole porzioni”574

Opera collettiva

È costituita da una riunione di opere o di parti di esse, che rimangono

individuabili e riconoscibili. Se sulla carta sembrerebbe adattarsi alle opere

multimediali, sorgono delle perplessità nel caso in cui le attività di coordinamento

e organizzazione dell’opera siano svolte da un programma per elaboratore

individuato appositamente, eventualità non prevista dal legislatore.

Nonostante ciò, la figura che ne coordina la realizzazione trova, invece,

riconoscimento575.

Opera composta e in particolare opera cinematografica

E’ costituita da una pluralità di contributi distinti tra loro ma connessi strettamente

per una unica e precisa finalità espressiva576. Si riscontra una fusione di elementi

letterali, figurativi e musicali; ma mentre nell’opera cinematografica le immagini

573 V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 21. 574 V. DI COCCO, cit., 305 575 Cfr. DI COCCO, cit., 305; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 23. 576 Cfr. E. FALABELLA, N. PEDDE, Il giurista Multimediale, Roma, 2001, 42.

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sono montate per seguire una sequenza, l’opera multimediale trae la sua

peculiarità dall’interattività e, quindi, dalla non linearità577.

Opera audiovisiva

E’ un’opera che può essere fruita con diversi mezzi come la televisione o un

apparato informatico, ma non ha la caratteristica dell’interattività e non c’è la

componente del software578.

Opera letteraria

In questo caso l’opera multimediale potrebbe essere considerata un insieme di dati

omogenei, espressi in forma digitale. In tal maniera viene considerato letterario

anche il software.

Ma c’è da notare che la semplice digitalizzazione non può modificare la natura

giuridica dell’opera e quindi una tale riqualificazione potrebbe essere fatta solo in

base ad una espressa disposizione normativa579

Programma per elaboratore

In questo modo viene enfatizzato il ruolo svolto dal software che consente la

consultazione dell’opera multimediale, e ricondotto l’intero prodotto a questa

disciplina, a prescindere dal contenuto.

Non bisogna però dimenticare che il programma rappresenta solo una parte

dell’insieme580.

577 In questo senso CUNEGATTI, SCORZA, cit., 30, 31; DI COCCO, cit., 308. 578 Cfr. DI COCCO, cit., 308. 579 Idem, 307; cfr. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 33. 580 Cfr. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 28, 29.

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Resta un’ultima ipotesi per cercare di trovare una tutela per le

opere multimediali: comprenderle all’interno della protezione

offerta alla banche dati.

Dal punto di vista della struttura e del contenuto le due tipologie di opere

presentano notevoli affinità. Si ravvisano queste caratteristiche: opera composita,

contenuto informativo digitalizzato, software preposto alla fruizione, lavoro di

équipe, con ruoli diversi per ciascun soggetto. Si è ritenuto che questa fosse

l’unica assimilazione possibile, ma anche qui, in realtà, ci sono diversi problemi.

Innanzitutto le informazioni, i dati o le opere che romano l’opera

multimediale “non sono necessariamente indipendenti e/o individualmente

accessibili”581.

In più la definizione di banca dati comprende anche la forma non

informatizzata, ciò è rilevante se si pensa che uno degli elementi portanti

dell’opera multimediale è il software gestionale, il quale, tra l’altro, per espressa

previsione della normativa, non riceve diretta protezione.

Non resta altro da fare che condurre l’indagine con riferimento ai

singoli casi di opere multimediali, perché di volta in volta potranno occorrere le

condizioni che configurano un’opera o un’altra.

“Ciò che caratterizza l’opera multimediale in quanto “prodotto” non

è la sua struttura, bensì il modo di utilizzazione”582.

581 V. DI COCCO, cit., 309. 582 V. M FABIANI, Banche dati e multimedialità, in Riv, Dir. Aut., 1999, 1, 11.

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Quindi si procederà per affinità, oppure, come suggerisce Stamatoudi,

“a new classification must be introduced for the group of new technological

productions”583.

e) banca dati

Abbiamo visto nel capitolo 2 come le banche dati possano

rappresentare una forma di impiego delle nuove tecnologie, che permette al museo

di coadiuvare l’utente nella ricerca di determinati tipi di materiale e di trasmettere

il proprio messaggio.

Si parla delle banche dati on - line, dalle quali gli utenti,

preventivamente registrati sul sito web, possono ottenere, a determinate

condizioni, previste in una licenza584, immagini di riproduzione dei beni culturali

o altro materiale585.

Questa è la forma “tradizionale” delle banche dati, tuttavia, grazie ad

una esposizione virtuale o all’eventualità che il museo stesso “si trasferisca” su

Internet, può essere realizzata un’altra tipologia di banche dati. Tali modalità sono

strettamente connesse alla possibilità, offerta dalla legislazione, di tutelare non

solo le banche dati incorporate in un supporto materiale, ma anche in “qualsiasi

altra forma”586.

Ma vediamo qual è la protezione giuridica prevista per questo

strumento.

583 V. STAMATOUDI, cit., 194. 584 Ad esempio, il pagamento di una certa somma. 585 Cfr. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 302. 586 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 243. Per una trattazione più ampia v. par. 3.5.2.

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Il primo riconoscimento normativo per le banche dati è stato fornito a

livello internazionale dagli accordi GATT/TRIPs del 1994587. Essi affidano588 loro

protezione come “creazioni internazionali in quanto la selezione o

l’organizzazione del loro contenuto rappresentino un’opera dell’ingegno”589;

subito dopo sono intervenuti i trattati WIPO590: il Copyright Treaty, infatti, all’art.

5 dispone che “le compilazioni di dati o altro materiale, in qualsiasi forma, che a

causa delle selezione o della disposizione del loro contenuto costituiscono

creazioni intellettuali sono protette in quanto tali. La protezione non copre i dati

o il materiale stesso e non pregiudica i diritti d’autore eventualmente esistenti sui

dati o sul materiale contenuti della compilazione”591.

Si è, poi, fatto avanti il legislatore comunitario, che fornisce protezione

legale alle banche dati con la direttiva 1996/9/CE, recepita in Italia con il d. lgs 6

maggio 1999, n. 169592. Il decreto ha modificato taluni articoli della l. 633/41; la

quale ora dispone che sono protette dal diritto d’autore anche “le banche dati che

per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione

intellettuale dell’autore”.

La definizione completa di banca dati è, invece, sancita nell’art. 2 n. 9

della stessa legge, il quale precisa che sono protette “le banche dati di cui al

secondo comma dell’articolo 1 intese come raccolte di opere, dati o altri elementi

indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente

587 General Agreement on Tariffes and Trade (GATT); Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS); v. par. 3.2 sub a). 588 All’art. 10 paragrafo 2. 589 V. B. CUNEGATTI, Le Banche di dati, in CASSANO (a cura di), cit., 1023. 590 World Intellectual Property Organization, v. par 3.2 sub a). 591 V. CUNEGATTI, cit., 1023. 592 “attuazione della direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati”

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accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo” si precisa, inoltre che “la

protezione non si estende al contenuto della banca dati e lascia impregiudicati i

diritti esistenti sullo stesso”593. È la prima definizione completa che si trova in

una normativa.

Negli Stati Uniti, la Circolare 65594 del Copyright Office dà una

definizione di “automated databases”: “un corpo, costituito da uno o più files, di

fatti, dati o altre informazioni assemblati in una forma organizzata che ne

consente l’utilizzo in un computer”595.

In Australia i databases sono protetti come “compilations, often of vast

amounts of information, stored in electronic format”596.

Nonostante il Copyright Office avesse prodotto una definizione di

automated database; a livello federale le banche dati non sono soggette a

protezione. Il database è proteggibile solo quando assume i caratteri di una

“compilation”, che è definita, invece, come “costituita dalla raccolta e

dall’assemblaggio di materiali preesistenti o di dati selezionati, coordinati o

arrangiati in maniera tale che l’opera risultante costituisca l’espressione di una

creazione originale”597. È proprio su quest’ultimo concetto che occorre

soffermarsi. Una banca dati è protetta se è frutto di una creazione intellettuale

dell’autore598. Sebbene la direttiva 96/9/CE non utilizzi espressamente il termine

originale, si considera che essa si riferisca al requisito dell’originalità, che è il

593 Idem. 594 Copyright Registration for Automated Databases. 595 V. L. MANSANI, La protezione dei database in Internet, in AIDA, 1996,V, 149. 596 V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit. 597 V. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153. 598 Cfr. art. 3 par. 2 della direttiva.

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presupposto alla sussistenza del quale si procede alla tutela secondo il diritto

d’autore599. Infatti, per scegliere o disporre il materiale, occorre che l’autore

utilizzi un certo grado di originalità600. Anche la tradizione statunitense segue

questa impostazione, sebbene il concetto di originalità abbia seguito una

particolare evoluzione. Da circa metà del 1980, la giurisprudenza statunitense

sosteneva la “sweat of the brow doctrine”601, un orientamento secondo il quale “il

presupposto della creatività sussisterebbe per il solo fatto che la raccolta di dati

sia frutto di “industriosità”, “fatica”, “lavoro e spese” da parte del

compilatore”602. Questa dottrina assicurava una protezione tanto ampia da

abbassare significativamente il livello i creatività richiesto per la protezione del

copyright, ed era stata invocata in uno storico caso americano del 1991603 in cui la

Corte Suprema ha affermato che una compilazione di dati che consiste in una

guida telefonica non merita la tutela del copyright, poiché mancava l’elemento

della creatività, benché modesto, “che è preteso dal criterio dell’originalità

dell’opera e che si ricava dalla clausola della Costituzione che tollera i diritti di

privativa (copyright e brevetto) se funzionali al “progresso della scienza e delle

599 In questo senso F. RONCONI, Trapianto e rielaborazione del modello normativo statunitense: il diritto d’autore di fronte alla sfida digitale, in PASCUZZI, CASO (a cura di), cit., 272. 600 Si noti che è sufficiente che l’originalità riguardi o la scelta delle materie o la disposizione delle stesse. 601 La “dottrina del sudore della fronte”. 602 Cfr. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153. 603 Feist v. Rural Telephone Co. 111 S. Ct. 1282 (1991), nel quale la società Feist era accusata di aver copiato senza la necessaria autorizzazione grosse porzioni di un elenco telefonico utilizzato in precedenza dalla società concorrente Rural. Rural aveva invocato la “sweat of the brow doctrine”, assumendo di aver sostenuto notevoli sforzi anche economici per la raccolta delle informazioni e chiedeva che il concorrente non potesse avvantaggiarsi dei risultati tramite la riproduzione. L’argomento è stato rigettato dalla Corte Suprema.

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arti””604. Dopo questo episodio le corti americane, per un certo periodo, non

hanno mantenuto un orientamento unitario; ma nonostante l’abbassamento della

soglia della creatività richiesta per la protezione, il copyright continuava ad essere

assicurato a banche dati, raccolte, repertori, cataloghi, e così via, sia in forma

analogica che digitale, che potevano essere avvicinate alla definizione di

compilation605.

In Australia si è verificato il caso esattamente contrario. La Corte

Federale606 ha stabilito che un elenco telefonico è sufficientemente originale per

ottenere la protezione del copyright. Ciò se è stato compiuto un sufficiente sforzo

intellettuale nella selezione e nell’organizzazione dei fatti, o se l’autore ha

realizzato un lavoro sufficientemente dispendioso in termini di sforzi e spese607.

Inoltre, la banche dati sono protette come originali opere letterarie.

Si noti che sia in Italia che in Australia, se la banca dati contiene opere

che sono protette dal diritto d’autore, la protezione continua a sussistere su ogni

singolo elemento608.

Negli Stati Uniti sono esclusi dalla protezione i dati normalmente

fattuali609.

604 V. J. H. REICHMAN, La guerra delle banche dati. Riflessioni sulla situazione americana, in AIDA, 1997, V, 226. 605 I cui caratteri sono: selezione delle informazioni contenute; coordinamento di tali informazioni; loro arrangiamento e adattamento per consentirne il reperimento con un sistema di ricerca; originalità creativa del contenuto. Cfr. REICHMAN, cit., 227; MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153. 606 Nel caso Desktop Marketing Systems v. Telstra Corporation [2002] FCAFC 112. 607 Cfr. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit. 608 La direttiva all’art. 3 par. 2 dice che la tutela “non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”. 609 Cfr. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 156

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Ma la vera differenza realizzata dalla direttiva 96/9/CE riguarda il

riconoscimento di un diritto speciale, il cosiddetto diritto “sui generis”, in capo

all’autore della banca dati610.

In base ad esso l’autore ha il diritto esclusivo “eseguire o autorizzare:

la riproduzione permanente o temporanea, totale o parziale, della banca di dati

con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma; la sua traduzione, il suo adattamento,

una sua diversa disposizione e ogni altra modifica, oltre a qualsiasi riproduzione,

distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico dei

risultati di queste operazioni; la distribuzione al pubblico dell’originale o di

copie della banca di dati; la presentazione, la dimostrazione o la comunicazione

in pubblico della banca di dati, ivi compresa la sua trasmissione effettuata con

qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma”611.

La finalità di un tale riconoscimento è di tutelare l’investimento

compiuto dall’autore612, il quale può estrinsecarsi attraverso l’impiego di mezzi

finanziari, tempo, lavoro ed energie613.

Tale diritto è indipendente dal fatto che il contenuto sia,

autonomamente, coperto dal diritto d’autore. Si noti che questa esclusiva

dell’autore ha una durata di quindici anni, ma può durare potenzialmente

all’infinito, infatti qualora lo stesso autore apporti al contenuto un’integrazione o

un aggiornamento sostanziale, il termine può decorrere nuovamente.

610 Artt. 7 e ss. della direttiva. 611 V. CUNEGATTI, cit., 1025, 1026. 612 Denominato costitutore. 613 In questo senso MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 157; CUNEGATTI, cit., 1027.

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200

Il diritto del costitutore della banca dati si avvicina alla dottrina,

precedentemente esposta, “sweat of the brow”, che aggiunto alla lunga durata,

realizza una tutela molto protezionistica. La strada seguita dagli Stati Uniti, così

come dall’Australia, è più liberale e permette una più facile circolazione delle

informazioni614. Se la tutela assicurata negli Stati Uniti riguarda solo la struttura e

l’organizzazione della banca dati, altre possibili forme di tutela sono ravvisabili

nella misappropriation, nell’unfair competition e nelle tutele contrattuali615.

Dal momento che la nostra attenzione è rivolta alle banche dati su

Internet, si nota che il “principio dell’esaurimento comunitario”616 che riguarda la

distribuzione al pubblico, deve sottostare ad alcuni limiti:

il diritto di controllare il noleggio non si esaurisce;

l’esaurimento non opera nel caso in cui la banca dati è distribuita

on - line617. Questa ipotesi, infatti, configura una presentazione di

servizi e non una consegna di beni618.

Per quanto riguarda, invece, il diritto di comunicazione, dimostrazione

e presentazione in pubblico, il d. lgs 169/99 all’art. 4619 di recepimento della

direttiva ha specificato che si tratta di “trasmissione effettuata con qualsiasi

mezzo e in qualsiasi forma”. Si ritiene inoltre che non possa verificarsi

l’esaurimento in ambito telematico nemmeno in quest’ipotesi620.

614 Idem. 615 Cfr. RONCONI, cit., 295, nota 414. 616 Secondo cui “la prima vendita di una copia di una banca dati nella comunità da parte del titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di controllare all’interno della comunità la rivendita della copia”, art. 5 lett. c) della direttiva. 617 Contrariamente a quanto accade a quelle fissate su supporto materiale. 618 Cfr. RONCONI, cit., 279; CUNEGATTI, cit., 1026. 619 Che corrisponde all’art. 64 quinquies l. 633/41. 620 Cfr. RONCONI, cit., 279; CUNEGATTI, cit., 1026.

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Rispetto al diritto dell’autore di vietare le attività di estrazione della

totalità o di una parte sostanziale del contenuto su un altro supporto; esso è

particolarmente significativo se applicato alle banche dati on line, poiché spesso

l’utente privato può “assumere la veste di “produttore secondario” e quindi di

potenziale concorrente del costitutore della banca dati”621, grazie alla facilità con

cui le informazioni possano essere copiate e assemblate.

Si ricorda, inoltre, che esistono delle eccezioni ai diritti esaminati, in

capo all’utente legittimo, che può agire senza la previa autorizzazione dell’autore.

Tali eccezioni fanno parte delle libere utilizzazioni622.

3.5.2 La tutela giuridica: che tipo di qualificazione per il museo?

La creazione di un sito web, come può essere quello del museo, è

assimilabile ad una qualsiasi altra attività creativa di opere protette dal diritto

d’autore.

Esso è composto, come abbiamo visto, da diversi elementi, a partire

dai più semplici, quali immagini, testi, suoni, sino ad arrivare ai più complessi,

quali banche dati e opere multimediali, che realizzano l’unione di più elementi.

C’è anche da considerare il software, che può essere utilizzato per le trasmissioni

via Internet o sviluppato appositamente per la pubblicazione del sito web.

Ci sono diverse attività che coinvolgono il sito:

Web content, la messa a disposizione dei contenuti;

Web publishing, pubblicazione on line di informazioni e dati;

621 V. RONCONI, cit., 291, nota 399. 622 Che verranno trattate più diffusamente nel par. 3. 6 a).

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Web design, elaborazione grafica dei contenuti.

Possono essere, quindi, riuniti in una stessa pagina, diversi diritti di

sfruttamento economico delle opere ivi contenute623.

È ovvio che, nella fase della progettazione è necessario verificare la provenienza

dei materiali che si intendono utilizzare, individuarne i titolari dei diritti e ottenere

le indispensabili liberatorie624.

Si è visto che per la realizzazione di opere multimediali e di banche

dati entrano in gioco un gran numero di diritti e altrettanti titolari e rintracciarli

può diventare complicato. Una volta realizzato il sito nel rispetto dei diritti

detenuti sui contenuti incorporati, si potrà provvedere ad assicurare il rispetto dei

diritti sull’opera creata e sui materiali pubblicati.

Per identificare quale sia la tutela che la legge può offrire al sito web, è

necessario analizzare le caratteristiche dell’opera che il sito del suo insieme la

rappresenta, tenendo conto anche del requisito dell’originalità.

Ci sono degli orientamenti che accostano il sito web alla banca dati625.

Prima di circostanziare l’affermazione, specifichiamo che nel nostro

ordinamento “musei, esposizioni, collezioni private ed altre raccolte di opere

d’arte aventi il carattere di creazioni intellettuali per la scelta o la disposizione

dei materiali che li compongono sono tutelati (…) come opere dell’ingegno in

base agli articoli 1 e 3 della l. 633/41”626. Ciò viene interpretato in modo da

fornire la protezione concessa dall’art. 2 par. 5 della Convenzione di Berna, 623 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 142, 143 624 Cfr. DE FRANCESCO, cit. 625 Cfr. P. GALLI, Musei e banche dati, in AIDA, 2004, XIII; C.E. MAYR, Banche dati e musei, in AIDA, 1997, VI. 626 V. L. MANSANI, Musei, esposizioni e banche dati, in AIDA, 1999, VIII, 191.

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secondo la quale “le raccolte di opere letterarie o artistiche (…) che, per la scelta

o la disposizione della materia, abbiano carattere di creazioni intellettuali, sono

protette come tali”627.

Il museo, come in precedenza628, è un’istituzione culturale che

colleziona le opere, le conserva, le esibisce al pubblico, raccoglie documentazione

e rende, in questo modo, beneficio alla collettività, senza contare la diffusione del

suo messaggio629. Tutto il complesso di azioni che l’istituzione pone in essere, ad

esempio per realizzare le esposizioni, comprende sforzo creativo dei curatori,

scelta del tema, individuazione del percorso critico, selezione e acquisizione delle

opere e costituisce una elaborazione di dati630. E in questo senso possono essere

considerate banche dati. Inoltre, musei, collezioni ed esposizioni sono tutti

definibili “raccolte”, quindi come “insiemi unitari di opere, l’utilità ed il valore

dei quali, proprio in virtù della loro unitarietà, è superiore a quello della somma

delle opere che li compongono”631.

La definizione della direttiva 96/9/CE menziona espressamente il

termine “raccolta” e lo accosta alla assistenza di altri tre fattori:

Raccolta di opere o di altri elementi indipendenti

Il museo la più antica espressione della conservazione degli oggetti,

esso raccoglie opere fornite di dati e indicazioni per comprenderne il significato e

per offrire al visitatore la possibilità di fruirle in modo indipendente l’una

dall’altra; 627 Idem. 628 V. paragrafi 1.4 ss. 629 In questo senso MAYR, cit., 112. 630 Idem. 631 V. MANSANI, cit., 184.

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Sistematicità o metodicità della disposizione

Specialmente per quanto riguarda le esposizioni dedicate ad un tema

specifico, vengano riunite opere piuttosto omogenee tra loro, in cui la

sistematicità può risultare più facile; ma anche opere ed elementi più vari che

seguono un filo logico ricostruito ad hoc. In generale comunque, nessun museo

tende ad esporre gli oggetti in modo disordinato.

Accessibilità individuale delle opere

Ogni pezzo infatti ha una sua autonomia e può essere apprezzato

singolarmente632. C’è chi sostiene che l’accessibilità individuale delle opere

diventi, per quanto riguarda il museo, piuttosto macchinosa, perché non si ritiene

che il sistema di reperimento dei dati sia sufficientemente valido633.

Generalmente, però, le raccolte del museo sono ordinate secondo

criteri sistematici e facilitano l’utenza nella ricerca634.

In generale, quindi, l’organizzazione di una raccolta di opere o di un

evento espositivo riflette un impegno culturale creativo, mediante la raccolta di

opere ed elementi in maniera sistematica e metodica che sono accessibili

individualmente.

Grazie ad Internet le opere, prima esclusivamente esposte al pubblico

locali del museo, sono ora oggetto di diffusione on - line. La disciplina delle

banche dati è, perciò, applicabile non solo ad esposizione di opere fisicamente

tangibili, ma anche ad esposizioni virtuali o ai musei virtuali.

632 Cfr. MAYR, cit., 117; GALLI, cit., 519 – 521. 633 In questo senso MANSANI, cit., 187. 634 In questo senso GALLI, cit., 525.

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La protezione della direttiva, infatti, è accordata a prescindere dalla

“materialità” della stessa banca dati che è considerata di per sé635.

Il museo come banca dati può essere anche inteso come la traduzione

in formato elettronico del catalogo dell’istituzione, sia esso testuale e/o figurativo,

che permetta agli utenti di interagire per ottenere le informazioni desiderate636.

La definizione di raccolte, data in precedenza, richiama l’attenzione

anche su un altro fattore: il valore aggiunto che acquistano le opere nel contesto di

un’esibizione ciò ricorda la descrizione delle opere multimediali, secondo la quale

la riunione delle componenti realizzerebbe un livello di creatività superiore alle

singole parti, nonché di qualità diversa. Taluni altri orientamenti, infatti, quando il

museo acquista il valore aggiunto dell’interattività, accostano il sito all’opera

multimediale637. Le mostre virtuali possono essere realizzate come opere

multimediali, le quali riceveranno una protezione ricavata dal modello di opera

dell’ingegno a cui più si avvicina.

La presenza dell’opera multimediale può:

inglobare l’intero sito web

occuparne solo una parte

essere contenuta in una banca dati.

Nel primo caso riceverà la protezione appena vista, ma se il sito del

museo, che può rappresentare lo stesso museo in forma virtuale ingloba

un’esposizione, che nella realtà fisica riceve la protezione come banca dati, la

635 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 243. 636 Cfr. L. SOLIMA, E. SANSONE, I musei ed Internet: un’indagine sperimentale, in Econ. Cult., 2000, 1, 84. 637 Cfr. DE FRANCESCO, cit.

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trasposizione su Internet rende la protezione un po’ incerta. L’opera, in questo

caso l’opera multimediale, per i caratteri di affinità con la tutela delle banche dati,

potrebbe essere avvicinata a questo tipo di protezione, inglobando la banca dati.

Nel caso l’opera multimediale occupasse solo una pare del sito, è

necessario tentare di qualificare l’opera per affidarle una protezione adatta, mentre

il resto delle pagine sarà tutelato in base all’opera di elaborazione e creazione

della struttura del sito, in cui le opere sono contenute.

Se invece l’opera si trova a far parte di una banca dati, come abbiamo

visto il contenuto della banca dati rimane impregiudicato, quindi l’opera sarà

tutelata di per se, senza dipendere dalla tutela fornita alla banca dati.

Si noti, tuttavia, che un sito non esiste se non in un ambiente digitale e

richiede un software per essere fruito ed è in genere caratterizzato

dall’interattività, tutte caratteristiche che lo avvicinano all’opera multimediale638.

Si riconosce anche il diritto “sui generis” del costruttore, il quale

abbia posto in atto un investimento rilevante sotto il profilo quantitativo e

qualitativo639, il quale risulta, nella più parte dei casi, piuttosto rilevante.

3.6 Criticità: riproduzione e fruizione

Si è visto che i diritti di proprietà intellettuale permettono agli autori di

opere dell’ingegno di proteggere le loro creazioni. Tali diritti indicano cosa è

lecito fare con tali opere. Con l’avvento di Internet, e la conseguente possibilità di

accedere ad un ampio numero di informazioni è diventato molto più difficile

638 Cfr. DE FRANCESCO, cit. 639 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 244.

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raggiungere un equilibrio tra protezione e fruizione. Le tecnologie digitali, grazie

alla separazione dell’opera dal suo supporto materiale, permettono di copiare in

modo perfetto, economico e illimitato i contenuti e di disseminarne facilmente le

copie. Senza adeguata protezione, gli autori potrebbero decidere di non rendere

più disponibile il loro contenuto on - line, in forma digitale: infatti, “the web can

be converted into an inexpensive and widespread distribution medium”640.

La rivoluzione tecnologica ha profondamente modificato le modalità di

protezione del diritto d’autore: con l’eliminazione del supporto materiale, ciò che

ora si tende a commercializzare è il diritto d’accesso all’opera, il diritto di

riproduzione e di diffusione, i quali diventano tutti concetti chiave.

In questo contesto sono anche stati sviluppati dei sistemi di protezione

tecnologica dei contenuti, in risposta alla diffusione illegale del materiale

attraverso le reti641.

Sono già state descritte le difficoltà, incontrate dai musei, in riferimento

alla riproduzione delle opere, in un’ottica di digitalizzazione crescente all’interno

delle istituzioni culturali. Per il museo come utilizzatore di contenuti protetti da

copyright è difficile riconoscere i diritti e richiederne i relativi permessi senza

impiegare considerevoli sforzi, anche economici.

Si riconoscono, tuttavia, delle situazioni in cui viene a cadere il diritto

esclusivo di utilizzazione economica dell’opera, poiché il comportamento posto in

essere dal soggetto che ha a che fare con un determinato contenuto rientra tra la

640 V. N. LUCCHI, Intellectual property rights in digital media: a comparative analysis of legal protection, technological measures and new business models under E.U. and U.S. law, 7, reperibile all’URL: «http: //papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=704101». 641 In questo senso COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit..

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cosiddette “utilizzazioni libere”, o per meglio dire nelle “eccezioni e limitazioni

del diritto d’autore”. Questo principio si ritrova anche nell’ordinamento

statunitense, e va sotto il nome di “fair use”, e in quello australiano, declinato nel

“fair dealing”. Verranno analizzate queste tipologie di tutela nei diversi

ordinamenti, prendendo in considerazione anche le previsioni in tema di

protezione dei contenuti, sia attraverso l’adozione di misure tecnologiche, sia

attraverso la conclusione di licenze che permettono un legittimo sfruttamento del

materiale.

a) Utilizzazioni libere, fair use e fair dealing

Il diritto d’autore nella società dell’informazione ha dato origine ad un acceso

dibattito per quanto riguarda le eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Si

sosteneva, infatti, che queste avrebbero dovuto essere limitate, poiché i nuovi

media mettono a disposizione le opere dell’ingegno a condizioni più vantaggiose

per gli utenti642. Esse dovrebbero rappresentare un punto di equilibrio tra

l’esigenza di tutela del creatore dell’opera, che vanta un interesse esclusivo allo

sfruttamento, e del pubblico interesse, che “in astratto imporrebbe la libera

fruibilità dell’opera medesima”643. Ma il mezzo tecnologico permette che il

documento digitale elimini tutti i vincoli impliciti che stanno a fondamento della

disciplina in materia di eccezioni, come:

la creazione di entità necessariamente materiali e

permanenti dell’opera; 642 In questo senso MARZANO, cit., 251. 643 V. L. NIVARRA, V. RICCIUTO, Internet e il diritto dei privati. Persona e proprietà intellettuale nelle reti telematiche, Torino, 2002, 171.

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la presenza di costi creazione;

la possibilità di creare una ridotta quantità di opere;

la qualità più bassa della riproduzione rispetto all’originale;

il costo di trasmissione e distribuzione dell’opera copiata644.

Attraverso gli strumenti informatici l’utente può facilmente rielaborare e

trasmettere i contenuti, diventando, in qualche modo, creatore degli stessi. È

difficile, così, nell’ambiente digitale, distinguere tra uso privato e uso

commerciale, concetto fondamentale per la disciplina delle eccezioni645.

Per andare alle radici di questa tematica, bisogna considerare ciò che è

stato previsto dai trattati internazionali.

Dal momento che il materiale digitale, che è protetto da copyright, può

essere facilmente spedito da un capo all’altro del globo, esso diventa parte

importante del commercio internazionale. Si è cercato, perciò, di creare un

sistema sopranazionale di protezione, all’interno del quale il materiale protetto in

uno Stato ricevesse effettiva protezione anche da parte degli ordinamenti degli

altri. Ci sono numerose convenzioni, di cui Italia, Australia e Stati Uniti risultano

sottoscrittori, che contengono standard comuni per stabilire eccezioni e limitazioni

al copyright. Ci riferiamo alla Convenzione di Berna, del TRIPs Agreement, del

WIPO Copyright Treaty e al WIPO Performances and Phonograms Treaty646 e

infine all’Australia – U.S. Free Trade Agreement647. Tutte queste convenzioni

illustrano il cosiddetto “three – step test”, un insieme di indicazioni disegnate

644 Idem, 173. 645 Idem. 646 Convenzioni di cui si è parlato al par. 3.2 sub a). 647 Di cui, però, l’Italia non fa parte.

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210

come aiuto per l’applicazione di eccezioni e limitazioni. Secondo il test ci si deve

limitare:

1. “to certain special cases,

2. which do not conflict with a normal explotation of the work, and

3. do not unreasonably prejudice the legitimate interests of the right

holder”648.

Le proposte per nuove eccezioni o per la modificazione di quelle esistenti deve

essere conforme a questo tipo di test.

In Italia, il tema delle eccezioni e limitazioni ha subito una sostanziale

modifica attraverso il decreto di recepimento della “direttiva 29/2001/CE

sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi

nella società dell’informazione”. Il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68649 ha

modificato la L. 633/41. La direttiva regola gli aspetti economici del diritto

d’autore, quindi i diritti esclusivi di sfruttamento economico delle opere;

disciplina le eccezioni al diritto d’autore650; inserisce novità in materia di misure

tecnologiche651 e di informazione sui diritti.

Il modello degli Stati Uniti, per quanto riguarda il tema delle utilizzazioni libere,

si discosta profondamente da quello italiano. Nel title 17 dell’U.S.C. alla section

107 si trova la difesa generale della “fair use doctrine” che non è accostata ad usi

648 V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exeptions. An examination of fair use, fair dealing and other exeptions in the Digital Age, 2005, reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au». 649 “Attuazione della direttiva 29/2001/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”- 650 Che non possono essere applicate se arrecano nocumento agli interessi legittimi dei titolari dei diritti o contrastano col normale sfruttamento economico di opere e materiali protetti. 651 Che saranno trattate nel prossimo sub paragrafo.

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specifici, ma resta una clausola generale. Il modello open – ended statunitense è

influenzato in parte dalla protezione più ampia che gli Stati Uniti danno al “free

speech”, la libertà di parola, e in parte dall’azione, nel corso del tempo, di gruppi

di pressione, specifici ed organizzati652.

L’Australia prevede le “statutory exeptions”, in particolare le previsioni

del “fair dealing”. Una “statutory exeption” permette ad un soggetto di porre in

essere taluni atti esclusivi riservati al possessore del copyright. Queste eccezioni

non sono contenute in un’unica sezione del Copyright Act, ma sono ivi disperse;

inoltre il “fair dealing” è racchiuso al loro interno. Molto importanti per le

istituzioni culturali sono le “libraries and archives provisions”, contenute sempre

all’interno del Copyright Act, in tre distinte parti. La normativa australiana ha

recentemente subito una modifica proprio sul tema delle eccezioni al copyright:

nel 2006 il Copyright Act è stato emendato attraverso l’introduzione di

“exceptions for cultural and educational institutions”653.

Secondo la section 107 dell’U.S.C., il fair use costituisce una

combinazione di questioni legali e fattuali: “(…) the fair use of a copyrighted

work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by other

means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news

reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or

research, is not an infringement of copyright. In determining whether the use

made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered

shall include: 652 Cfr. CASO, cit., 185; KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.. 653 Cfr. HUDSON, KENYON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit.

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1. The purpose and character of the use, including whether such use is of a

commercial nature or is for non – profit educational purposes;

2. The nature of the copyrighted work;

3. The amount and substantially of the portion used in relation to the

copyrighted work as a whole; and

4. The effect of the use upon the potential market for or value of the

copyrighted work.

The fact that a work is unpublished shall not itself bar a finding of fair use if such

finding is made upon consideration of all the above factors.”654

Quando la corte sarà chiamata a pronunciarsi sul fair use dovrà tener conto di

ciascun fattore rilevante rispetto a ciascuna delle indicazioni fornite dal testo della

legge, e si ritiene inoltre che questi criteri di valutazione siano i più importanti, ma

non gli esclusivi, per stabilire se c’è stata o meno violazione del copyright.

L’analisi tiene anche in considerazione il criterio del pubblico interesse, che sta

alla base della tutela fornita al creatore e del principio della libertà di parola, su

cui si basa il fair use. Con l’emersione delle possibilità offerte dai nuovi mezzi

tecnologici, il concetto del fair use si è fatto ancora più ampio e non ha fatto altro

che aumentare anche le riflessioni su cosa, di volta in volta, possa essere

ricompreso sotto questa eccezione655.

Nell’ordinamento australiano comportamento “fair” dipenderà da vari fattori,

incluso il carattere del comportamento, i suoi effetti sul mercato per l’opera, e la

possibilità di ottenere l’opera in un tempo ragionevole ad un prezzo commerciale 654 V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exemptions. An examination of fair use, fair dealing and other exemptions in the Digital Age. 655 In questo senso NIVARRA, RICCIUTO, cit., 179, 180.

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ordinario656. I caratteri si avvicinano a quelli proposti dagli Stati Uniti, ma si

ravvisa un ridimensionamento con riguardo ai comportamenti concreti; le

eccezioni di fair dealing “apply to dealings undertaken for the purposes of:

research or study;

criticism or review;

reporting the news or

the giving of professional advice by a lawyer, patent

attorney or trade mark attorney.

They do not apply to dealings performed for other purposes, regardless of how

fair these dealings might be”657. Già questa precisazione si trova in contrasto con

la clausola generale di fair use degli Stati Uniti.

Sebbene siano limitate a quattro scopi, le eccezioni di fair dealing sono

viste come una promozione della creazione di nuove opere basate su opere

esistenti superando le difficoltà nella negoziazione delle licenze per ogni uso del

materiale protetto da copyright. Tali eccezioni, tuttavia, sono viste anche come

elemento centrale nella definizione dei diritti dei proprietari di copyright658.

Il fair dealing non costituisce l’eccezione più importante per le istituzioni

culturali, per due principali ragioni:

innanzitutto, sorge solo per accordi all’interno di uno dei

quattro scopi previsti, che non coprono molte delle attività

delle istituzioni;

656 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 657 V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for digitisation, cit. 658 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.

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inoltre lo scopo rilevante riguarda il momento in cui le

istituzioni culturali hanno a che fare con opere protette da

copyright per conto di terze parti659. In questo caso, infatti,

le istituzioni culturali devono contare su altre condizioni

statutarie per evitare la responsabilità.

Le eccezioni più rilevanti, come abbiamo già accennato, sono le “libraries and

archives provisions”, presenti nel Copyright Act sin dalla sua realizzazione. Esse

puntano a promuovere gli interessi pubblici nell’essere capaci di accedere al

materiale protetto da copyright, e permettono alle istituzioni culturali di fare un

qualche uso del materiale senza pagare i proprietari. Per esempio, certe

riproduzioni potrebbero essere fatte per fornire agli utenti della biblioteca di

condurre ricerca o studio660, o per fornire ad altre biblioteche di aumentare le loro

collezioni661. Le istituzioni potrebbero inoltre fare conservazione o sostituzione

delle copie di materiale nelle loro collezioni662. Tali condizioni sono molto

dettagliate, e permettono alle istituzioni attività come: “responding to user

requests for copies of published works and articles; participation in the

interlibrary loan scheme; preservation of manuscripts, original artistic works,

sound recordings held in the form of a “first record” and films held as a “first

film”; replacement of published items that are not commercially available; and

reproduction of literary, dramatic, musical and artistic works for administrative

659 Come, ad esempio, la copia di articoli per fornirli agli utenti che ne fanno richiesta. 660 Copyright Act ss 49, 50. 661 Copyright Act ss 50. 662 Copyright Act ss 51A, 110B.

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purposes”663, tutte previsioni contenute all’interno del Copyright Act. Non si

applicano, però, a biblioteche ed archivi che sono for profit.

Per quanto le richieste degli utenti, la riforma del 2006 ha allargato le

eccezioni esistenti, prevedendo una sorta di nuovo diritto di comunicazione al

pubblico. Le provision sono state estese alla riproduzione digitale del materiale, e

non meramente analogica, ed esteso la possibilità di “comunicarlo

digitalmente”664. Se un utente richiede una copia di un determinato materiale è

possibile fornirgliela in formato digitale, ma una volta che il materiale viene

fornito, la copia digitale deve essere distrutta. Questo perché è proibita la

creazione di collezioni digitali. Inoltre, un’opera può essere resa disponibile

mediante l’utilizzo di terminali situati all’interno dell’istituzione (in queste

macchine è impossibile fare copia del materiale visionato); oppure la copia

dell’opera può essere fatta per scopi di conservazione, ma solo se l’originale è

andato perduto o è talmente deteriorato da non poter essere esposto665.

In Italia si rinviene una visione simile a quella considerata. Bisogna

innanzitutto specificare che la direttiva 29/2001/CE666 impone agli Stati membri

di disporre una propria disciplina per tre diritti esclusivi: diritto di riproduzione667,

diritto di comunicazione668 e diritto di distribuzione669; e prevede, all’articolo 5,

eccezioni e limitazioni in relazione a questi tre diritti. L’articolo 5, par. 3, lett. n,

663 V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for digitisation, cit 664 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 665 Anche queste previsioni sono contenute nel Copyright Act; Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 666 Attuata in Italia mediante il d. lgs. 68/2003. 667 Art. 13 della l. 633/41, conforme all’art. 2 direttiva 29/2001/CE. 668 Art. 16 della l. 633/41, conforme all’art. 3 direttiva 29/2001/CE. 669 Art. 17 della l. 633/41, conforme all’art. 4 direttiva 29/2001/CE.

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attua un’armonizzazione del diritto d’autore che può essere applicato alla

comunicazione delle opere al pubblico, il quale è rilevante tanto quanto il diritto

di riproduzione, nel contesto digitale. Tale diritto di comunicazione comprende

“tutte le comunicazioni al pubblico non presente nel luogo in cui esse hanno

origine, comprendendo qualsiasi trasmissione”670; ciò significa che risulta

compresa altresì la trasmissione “on – demand”, cioè su richiesta dell’utente,

anche on - line ed interattiva. Queste trasmissioni, infatti, presuppongono che

l’utente possa accedervi nel luogo e nel momento scelti individualmente. La

comunicazione o messa a disposizione di materiali, prevista però per singoli

individui, è possibile all’interno delle istituzioni culturali come biblioteche, istituti

di istruzione, musei e archivi; ma su terminali dedicati solo a scopi di ricerca o

attività privata di studio. Inoltre i materiali devono essere appartenenti alle loro

collezioni e non sottoposti ad accesso consentito sulla base di accordi contrattuali

di licenza o cessione671.

Passando al diritto di riproduzione, ora si prevede che la fotocopia di opere

esistenti all’interno degli enti non profit, quali ad esempio biblioteche aperte al

pubblico, musei o archivi pubblici è libera672. La peculiarità di tale disposizione

consiste nella sua limitazione a casi specifici presi in considerazione dal diritto di

riproduzione e “non comprende l’utilizzo eseguito nell’ambito della fornitura o

messa a disposizione on line di opere o altri materiali protetti, ricompresi nel

diritto di comunicazione al pubblico”673. Le eccezioni previste per le istituzioni

670 V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 91. 671 Art. 71 ter della l. 633/41. 672 Art. 68 co. 2 l. 633/41, conforme all’art. 5 par. 2 lett. c) della direttiva 29/2001/CE. 673 V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 96.

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culturali non comprende l’utilizzo posto in essere nell’ambito della fornitura o

messa a disposizione on-line, la tutela fornita dal diritto di comunicazione, quindi,

è esclusa da quello di riproduzione. In dottrina ciò è giustificato sostenendo che il

diritto di riproduzione da solo non riuscirebbe a “compenetrare i diversi aspetti

necessari alla protezione dell’utilizzazione a distanza on demand”674. Si ritiene

inoltre che sarebbe stato più proficuo generare un nuovo “diritto di trasmissione

telematica”675 che prendesse in considerazione tutti gli aspetti innovativi apportati

dal mezzo tecnologico.

L’unica eccezione prevista al diritto di riproduzione che riguarda la

fornitura di servizi on - line riguarda la liceità di “atti di riproduzione transitori

ed accessori che non hanno un proprio valore economico e non creano dunque

concorrenza all’opera originaria protetta”676, con ciò comprendendo non solo la

memorizzazione transitoria nella memoria del computer677 ma anche tutti i meri

atti che facilitano la navigazione in rete e il funzionamento dei sistemi di

trasmissione.

Si può, tuttavia, concludere che non è stato introdotto un modello simile a

quello statunitense di open – ended fair use, le condizioni applicate, infatti, sono

piuttosto restrittive.

In Australia, grazie alla riforma del 2006, è stata introdotta una sorta di

“flexible dealing”678 per le istituzioni culturali, il quale permette l’utilizzazione di

674 V. CHIMIENTI, cit., 31. 675 Idem. 676 V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 92. 677 Alla stessa conclusione era già arrivata, peraltro, la dottrina, v. par. 3.5.1 b). 678 Espressione non esplicitamente contenuta nel testo della legge; cfr. Cfr. KENYON, HUDSON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit.

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materiale protetto “for certain socially useful purposes”679. Le eccezioni devono

sottostare a due limiti, ossia l’uso deve essere:

“made “by or on behalf of the body administering a library

or archives”;

made “for the purpose of maintaining or operating the

library or archives (including operating the library or

archives to provide services of a kind usually provided by a

library or archives)”; and

not made “partly for the purpose of the body obtaining a

commercial advantage or profit”680.

Il punto che riguarda la fornitura di servizi solitamente offerti dall’istituzione

comprende non solo gli usi amministrativi interni ma anche la somministrazione

di servizi agli utenti. Quanto detto potrebbe quindi comprendere la realizzazione

di riproduzioni pubblicamente accessibili, aprendo la discussione sul fatto che la

riproduzione compiuta dalle istituzioni culturali ricada sotto una eccezione.

Inoltre, la gestione delle risorse degli istituti culturali risulterebbe più facile,

poiché la digitalizzazione diventerebbe la strada praticabile nel caso la

tradizionale forma di licenza non fosse disponibile.

b) I sistemi di DRM

L’espressione Digital Rights Management può avere vari significati e varie

funzioni. Una definizione condivisa può essere quella di “sistemi tecnologici in

679 Idem. 680 Idem.

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grado di definire, gestire, tutelare e accompagnare le regole (in gergo: diritti) di

accesso e di utilizzo su contenuti digitali (e. g., testi, suoni, immagini e video)”681.

Gestire i diritti significa distribuire contenuti digitali per la fruizione tramite

protezioni tecnologiche e mediante la stipulazione di contratti che, nel campo

digitale, normalmente avviene in maniera automatica682.

Le misure tecnologiche di protezione sono create per prevenire l’accesso

all’opera protetta o al dispositivo in cui viene incorporata; oppure riguardano i

meccanismi di controllo dell’uso che ne viene fatto683. Esse vengono

generalmente ricompresse nella più generale definizione di Digital Rights

Management Systems e sono usate in combinazione con altri sistemi tecnologici

che servono a gestire informazioni per individuare l’opera, i diritti esistenti, i

soggetti a cui appartengono, e così via684. La differenza tra misure tecnologiche di

protezione e sistemi di DRM si trova nel fatto che tali sistemi non solo proteggono

il contenuto digitale ma costituiscono anche l’infrastruttura tecnologica del

mercato di questi contenuti685. Si opera una distinzione tra misure tecnologiche di

protezione e informazioni elettroniche sul regime dei diritti. Nelle prime rientrano

tutte le misure deputate a prevenire o limitare l’accesso alle opere o al materiale

protetto o ad impedire procedimenti diretti di riproduzione delle opere e dei

681 V. R. CASO, Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, Padova, 2004, 5. 682 Idem. 683 Cfr. F. BRAVO, DRM, contrattazione telematica e contrattazione mediante agenti software nella distribuzione B2C, in S. BISI, C. DI COCCO (a cura di), La gestione e la negoziazione automatica dei diritti sulle opere dell’ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici, Bologna, 2006, 79. 684 Idem. 685 Cfr. R. CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, in Foro it., 2004, II, 611.

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materiali686; le altre invece prevedono delle informazioni sul copyright inserite

nelle opere e nei materiali, in formato elettronico687. La distinzione, perciò, è

effettuata sulla base dei compiti che svolgono e delle finalità a cui tendono, anche

se, spesso, tali attività sono svolte dallo stesso strumento688.

L’architettura informatica del DRM non ha una precisa regolamentazione,;

le misure tecnologiche, invece, sono contemplate dalla normativa degli Stati; e ciò

è il riflesso della pressioni esercitata dalla digitalizzazione689.

La conformità alla legge di tali previsioni deriva dall’articolo 11 del WIPO

Copyright Treaty690, il quale statuisce che “contracting parties shall provide

adequate legal protection ed effective legal remedies against the circumvention of

effective technological measures that are used by authors in connection with the

exercise of their rights under this Treaty or the Berne Convention and that restrict

acts, in respect of their works, which are not authorized by the authors concerned

or permitted by law”. La norma prende in considerazione la condotta

dell’aggiramento delle misure anti – elusione, quindi la condotta finale

dell’utente, che può essere destinata ad impedire il compimento di quegli atti che

non siano stati autorizzati espressamente del detentore dei diritti sull’opera o che

non sia consentita dalla legge691. Secondo l’opinione maggioritaria, in questo

articolo la protezione delle misure tecnologiche deve essere garantita solo col

686 Come l’encryption technology, la criptazione del contenuto che necessita di una chiave per la decriptazione. 687 Come watermarking, (l’apposizione di una filigrana digitale permanente nei dati digitali). 688 Cfr. BRAVO, CIT., 80. 689 Cfr. CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, cit., 612. 690 Contiene previsioni simili anche l’art. 18 del WIPO Performances and Phonograms Treaty. 691 Cfr. MARZANO, cit., 201, 202.

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rispetto delle tecnologie usate dai proprietari del copyright in relazione

all’esercizio di un diritto protetto dalla copyright law692. La protezione sembra,

perciò, coincidere con lo scopo del copyright, e l’elusione di una misura

tecnologica per far uso di un’opera, mentre ci si sta già avvantaggiando di

un’eccezione al copyright, teoricamente non è proibito dall’art. 11693. Il trattato

WIPO, tuttavia, lascia aperta la questione che riguarda il tipo di atti che viene

proibito, se si tratta degli atti di elusione in sé o la messa a disposizione di

strumenti atti alla circonvenzione delle misure tecnologiche. I vari Stati hanno

implementato il principio in maniere differenti.

La direttiva 29/2001/CE introduce nuove norme riguardo alle misure

tecnologiche, introdotte nella legge 633/41 attraverso il d. lgs. 68/2003. Negli

Stati Uniti è stato emanato, nel 1998, il Digital Millennium Copyright Act

(DMCA), che ha aggiunto la section 1201 al Copyright Act, e, come la direttiva

europea, è basato sull’articolo 11 del WIPO Copyright Treaty. In Australia le

norme che riguardano le misure tecnologiche sono previste all’interno del

Copyright Act, e hanno anche subito delle recenti modifiche nel 2006. Tutte

queste normative cercano di assicurare un ambiente digitale sicuro per la

trasmissione delle informazioni.

692 E non ci saranno rimedi legali quando l’elusione consenta un atto che è permesso sulla base delle limitazione alla legge sul copyright. 693 Cfr. K. J. KOELMAN, A hard nut to crack: the protection of technological measures, reperibile all’URL: «http://www.ivir.nl/publications/koelman/hardnut.html»; L. GUIBAULT, The nature and scope of limitations and exceptions to copyright and neighbouring rights with regard to general interest missions for the transmission of knowledge: prospects for their adaptation to the digital environment, 2003, 32, reperibile all’URL: «http://portal.unesco.org/culture/en/files/17316/ 108747977511_guibault_en.pdf/l_guibault_en.pdf».

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222

È importante specificare che nel DMCA si sancisce il divieto all’elusione

delle misure tecnologiche che controllino l’accesso ad un’opera protetta694 e il

divieto alla fabbricazione, importazione o distribuzione di un “congegno” che

permetta di eludere la misura tecnologica695. Si segnala che in certi casi come la

salvaguardia di alcuni interessi propri delle istituzioni educative696 è possibile

procedere alla circonvenzione delle misure tecnologiche per l’applicazione del

fair use697. Anche l’Australia prevede delle circostanze nelle quali un congegno

per l’elusione delle misure tecnologiche può essere legalmente prodotto e

distribuito, sebbene siano stati ridotti i casi in cui è possibile. Questa nazione

prevedeva sanzioni solamente contro il traffico di congegni per l’elusione; ora,

invece, si sanziona anche tutto ciò che riguarda l’elusione all’accesso698. In Italia

le previsioni sulle misure tecnologiche sono state implementate nella legge 633/41

nello stesso modo dell’art. 6 della direttiva. Per misure tecnologiche si intendono

gli atti che impediscono o limitano i comportamenti non autorizzati dal titolare del

diritto d’autore, dei diritti connessi o del diritto sui generis, senza comunque

inibire il normale funzionamento dei mezzi tecnologici. L’art. 102 quinquies

permette ai titolari del copyright di inserire informazioni elettroniche per la

694 Access – control measures e Anti – circumvention provisions. Sono misure che non proibiscono o impediscono all’utente l’utilizzazione, ma identificano le copie non autorizzate dei materiale protetti. 695 Questo congegno, inoltre, deve avere limitati utilizzi commerciali oltre a quello di eludere le misure di protezione e commercializzato da qualcuno che sia al corrente dell’utilizzo che ne viene fatto. Sono le rights – control measures e anti – device provisions. 696 In cui, probabilmente, possono essere inseriti anche i musei. 697 Eludere, quindi, le access – control measures; Cfr. G. SPEDICATO, Le misure tecnologiche di protezione del diritto d’autore, in BISI, DI COCCO (a cura di), cit., 187. 698 Cfr. AUSTRALIAN COPYRIGHT COUNCIL, Information Sheet. Copyright Amendment Act 2006, 2007, reperibile all’URL: «http://www.copyright.org.au».

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223

protezione delle opere e sanziona le misure di elusione all’accesso e la messa a

disposizione di congegni per l’elusione699.

L’operato dei musei nell’ambiente digitale risulta piuttosto compromesso

dall’apposizione di misure tecnologiche sui contenuti, poiché esse creano

difficoltà nella gestione dei contenuti, e di conseguenza nella diffusione del loro

messaggio culturale700.

Si è visto che i musei possono essere sia utilizzatori di materiale protetto

che produttori di esso. In ognuno di questi casi701 essi hanno a che fare con licenze

che permettono lo sfruttamento del materiale; proprio perché il contenuto di cui

dispongono ha un alto valore educativo, devono impiegare molta attenzione nella

negoziazione, pena la perdita della reputazione. Il problema molto spesso riguarda

le gestione delle tecnologie di protezione che non tiene conto delle eccezioni di

cui dispongono le istituzioni culturali ed impediscono al pubblico dei musei di

usufruirne appieno. Può inoltre capitare che le eccezioni di cui si parla non siano

nemmeno prese in considerazione dal contratto con cui si stabilisce che uso può

esser fatto del materiale. Il potere contrattuale sta in mano a chi detiene i

contenuti, che fornisce la chiave di accesso ad essi e, se le condizioni non sono

rispettate, può anche negare completamente l’accesso. Sempre più spesso la

tecnologia “don’t discriminate between good users and bad. So if we built

constraints into our computer systems that prevent infringement, we’re also

699 Cfr. SPEDICATO, cit., 202. 700 In questo senso R. E. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4, 13, 14. 701 Sebbene i musei siano, generalmente, più degli utilizzatori che dei produttori.

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making it possible for users to engage in all sorts of lawful copying”702 , allo

stesso modo non risulta semplice distinguere tra “tecnologia “buona” e

tecnologia “cattiva””703 quando le informazioni sono controllate in modo

assoluto, senza tenere conto degli interessi delle parti.

I progetti elaborati da una istituzione culturale possono avvalersi

dell’utilizzo di sistemi di DRM per gestire la loro proprietà intellettuale, cercando

di comprendere anche il raggiungimento del loro scopo. Proprio per questo e per

la doppia situazione di utilizzatori e possessori, l’approccio di un museo è più

complicato di quello di una impresa, la quale non è incaricata di una missione. I

musei risultano, così, “not the driving force in the development of commercially

oriented digital rights management technologies”704, ma possono essere,

comunque, d’aiuto nello sviluppo di tecnologie flessibili che permettano lo

sfruttamento del contenuto per l’educazione, tenendo conto degli interessi delle

parti in gioco705.

702 V. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4, 14. 703 Idem; CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, cit., 612. 704 V. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4, 18. 705 Idem.

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225

CAPITOLO QUARTO

“BEST PRACTICES” PER I MUSEI

“Unpalatable as some may find the thought,

money does matter in museums”

(S. WEIL, Making museums matter, Washington D.C., 2002)

4.1 Gestione dell’intellectual property

L’analisi fin qui condotta ha accertato che il museo è innanzitutto attività;

esso realizza tutta una serie di atti legati gli uni agli altri e finalizzati al

raggiungimento di un determinato scopo culturale. Tali attività sono, comunque,

complesse, dal momento che dietro a funzioni principali, come possono essere la

conservazione e la promozione dei beni che custodiscono, stanno numerosi doveri

di rispetto dei diritti di utilizzazione, per mantenere intatta la loro reputazione706.

Sebbene ogni museo custodisca oggetti differenti e proponga servizi ed

attività diverse, sulla base di proprie richieste interne di politica culturale, ci sono

dei compiti che dovrebbero tendere all’applicazione uniforme in tutti gli istituti

culturali, perché necessari alla sua sopravvivenza e al suo stesso sviluppo.

Ciò che si intende suggerire è una gestione solida e sicura dell’intellecual

property (IP); una serie di processi che aiutano ad identificare, organizzare ed

arricchire la comprensione del patrimonio di un museo. Nel passato i musei

identificavano maggiormente la loro proprietà e le loro collezioni come attività

tangibili e materiali: proprietà immobiliari, locazioni, prestiti. Con l’avvento delle

nuove tecnologie e la crescente consapevolezza dei problemi complessi di IP, si

706 In questo senso G. OLIVIERI, M. STELLA RICHTER, I marchi dei musei, in AIDA, VIII, 1999, 224.

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riconoscono come necessari nuovi processi di gestione dei beni e delle

responsabilità connesse707. Il museo incontra, quindi, come abbiamo visto, il

diritto d’autore sempre più spesso: produzioni multimediali, pubblicazioni,

gestione dei siti web. Queste attività, insieme alle altre, più tradizionali, hanno

bisogno di essere progettate e gestite efficientemente, perciò il museo deve

sviluppare delle “best practices” per non sprecare tempo, denaro ed energie, ma

puntare dritto ai suoi obiettivi.

La gestione dell’IP si inserisce nel cosiddetto “rights management”708, che

si snoda attraverso diverse fasi:

a) pratiche di inventario della proprietà intellettuale;

b) politiche di gestione;

c) gestione e negoziazione dei diritti.

In questo contesto si suole parlare di “slicing” dei diritti, una

“quotazione/suddivisione” che “identifica un processo plurifase che modernizza e

sostanzia i termini degli accordi tra istituzioni titolari dei diritti (right holders) e

loro controparti (right buyers)”709.

a) Pratiche di inventario della proprietà intellettuale;

“The IP audit serves many functions. It tells you exactly what IP you have

and where it came from. It also triggers actions that make a museum more

accountable for its assets and helps facilitate creative projects using

707 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.. 708 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 247. 709 Idem.

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“rediscovered” assets. In addition, it helps an institution monitor compliance with

IP laws and avoid infringements”710.

In queste poche righe sta racchiuso tutto il significato del monitoraggio,

dell’individuazione e della classificazione dei beni e dei servizi posseduti o posti

in essere dall’istituzione.

Se un museo non è consapevole delle attività di IP che gestisce, o dei

termini e delle condizioni di esse, esso si trova in una posizione di svantaggio,

poiché non può sfruttare appieno le opportunità del mercato711.

Si procede quindi ad un inventario dei beni materiali712 e immateriali713,

dei servizi e delle attività714.

Condurre questo tipo di ricerca è molto complesso, ma nonostante ciò, il

museo deve essere censito il più frequentemente possibile, senza aspettare che

richieste esterne lo impongano, “the short message is “don’t wait for a triggering

event”715.

Di seguito, un esempio di revisione riportato da Guerzoni e Stabile indica

quali categorie sono prese in considerazione.

I generi di beni e servizi analizzati riguardano:

gli equipaggiamenti strutturali: impianti di riscaldamento e

climatizzazione; impianti idrici, elettrici e di illuminazione;

sistemi di sicurezza e di vigilanza;

710 V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit 711 Idem. 712 “beni mobili e immobili, opere, documenti,vfondi archivistici, spazi, riproduzioni di ogni tipo, eventi espositivi, allestimenti, ecc”, in GUERZONI, STABILE, cit., 248. 713 “basi di dati, archivi digitali, siti web, marchi, loghi, brevetti, know how, ecc”, idem. 714 “scientifiche, editoriali, didattiche, educative, divulgative, conservative, ecc”, idem. 715 V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..

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228

gli immobili posseduti: spazi destinati alle attività

dell’istituzione oppure ad attività per il pubblico; parchi e

terreni;

le mostre e collezioni che sono state prodotte, avendo cura

di distinguere se il supporto è materiale o immateriale, gli

autori, le date di realizzazione e acquisizione: ad esempio

libri, riproduzioni, cataloghi, brochure, locandine, riprese

cinematografiche;

tutte le attività amministrative svolte dal museo: pulizia e

vigilanza, conservazione e restauro, catalogazione e

archiviazione, attività di divulgazione;

tutte la attività per il pubblico: gestione delle prenotazioni e

vendita dei biglietti, attività di trasporto e parcheggio,

attività di accoglienza e informazione, servizi di guida e

assistenza didattica, programmi di formazione;

le attività di comunicazione e promozione: il sito web,

materiali messi a disposizione, sia cartacei che digitali;

le attività di ricerca, promozione e consulenza;

i loghi, i marchi, i nomi di dominio, i software proprietari, il

know how, i brevetti, le prestazioni professionali, le licenze,

il merchandising;

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le riproduzioni, i testi, il materiale video sia on - line che off

- line716.

Eseguita questa operazione, è indispensabile procedere alla creazione di un

secondo inventario, che consideri i diritti che il museo possiede, e quelli a cui si

può dare origine, in relazione ai beni e ai servizi considerati. Si suole prendere in

considerazione:

il diritto di riproduzione;

il diritto di noleggio e prestito;

i diritti di locazione;

i diritti di prima pubblicazione e di pubblicazione in

raccolta;

i diritti di riproduzione su supporti off- line e on - line;

i diritti di comunicazione al pubblico e di diffusione;

ogni altro diritto di sfruttamento commerciale717;

i diritti di traduzione;

i diritti di elaborazione;

i diritti d’autore sugli allestimenti museali718;

i diritti d’autore su progetti ed eventi espositivi719.

Con il termine diritti si intendono tutte le opportunità di sfruttamento dei beni e

dei servizi, sebbene non siano ancora stati attuati. C’è anche, quindi, una forte

716 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 248, 249. 717 Come la produzione su licenza di oggettistica. 718 Che, si ricorda, sono protetti come banche dati. 719 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 250.

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componente progettuale, in questa operazione. Oltre all’individuazione dei diritti

è necessario verificarne la disponibilità, la negoziabilità, il valore720.

La guida WIPO per la gestione della proprietà intellettuale721 propone una

regola da seguire, che, alla stregua del metodo giornalistico, suggerisce di porre

queste domande: “Why, Who, When, Where, What” 722:

Perché si dovrebbe condurre una revisione dell’IP? Per

sapere cosa si possiede e da dove viene; per facilitare i

processi creativi utilizzando il materiale esistente; per

controllare il corretto uso dell’IP ed evitare infrazioni; per

creare una accurata politica di gestione.

Chi dovrebbe condurla? Qualcuno che abbia a che fare con

queste attività o ne tragga beneficio nel corso della loro

realizzazione.

Quando deve essere fatta? Prima di iniziare un determinato

affare, per difendersi da un’accusa di infrazione del

copyright, ma più in generale occorrerebbe eseguirla in

maniera regolare.

Dove di trova l’IP di un museo? Per scoprirlo bisogna

conoscere esattamente tutte la componenti del museo

stesso.

720 Idem. 721 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit. 722 Idem.

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231

Cosa si cerca in particolare? Marchi, nomi di dominio,

copyright, websites, database, conferenze, e così via723.

Vengono, poi, proposti due modelli di inventario, che devono portare ad una

valutazione successiva e ad una strategia di gestione:

“sample inventory sheet 1

Artist name;

Type of work;

Copyright owner and contact info;

Copyright expiration;

Public domain?

License and duration of term;

Restrictions on use;

Electronic rights?”

“sample inventory sheet 2

Episode;

Segment name;

Contract type;

Music title (publisher and composer)

Public rights;

Society/collective

License and licensor

Distribution

723 Idem.

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232

Restriction on use

Electronic rights?

End of term/renewals

Critical clause

Any works in public domain?

Notes”724

L’Italia, nella costante ricerca di adeguamento alle pratiche seguite in

ambito internazionale, rispetto ai ritardi accumulati negli anni, sviluppa

un’ispezione che è molto approfondita. Si stimano beni, servizi, attività e solo in

un secondo momento i diritti collegati alle categorie esaminate. Il mondo

statunitense, più avvezzo a tematiche di questa tipologia, dà per scontata

un’analisi di beni e servizi, focalizzando l’attenzione direttamente sulla proprietà

intellettuale, per una valutazione complessiva più immediata. Trovandosi spesso

al centro di contese a accuse per infrazione del copyright, gli Stati Uniti decidono

di studiare a fondo le tematiche che in assoluto risultano più controverse.

La chiave per condurre una revisione adeguata si trova anche nella ricerca

e nell’utilizzo del materiale adatto. Per trovarlo si deve fare affidamento su gli

archivi di proprietà del museo, accordi di autorizzazione passati e presenti,

informazioni e dati dei titolari dei diritti, accordi di esposizione, ricevute di

pagamento di tasse di ogni tipo, relazioni di conferenze, lettere o email per dar

prova dell’intenzione delle parti725. Il problema maggiore è stato lo sviluppo

dell’esperienza nel trattare la proprietà intellettuale. È di estrema importanza

724 Idem. 725 Idem.

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segnalare che la gestione dell’IP che ogni museo conduce influenzerà tutta la sua

amministrazione futura, perciò si rivela necessario prestare estrema attenzione e

valutare correttamente le questioni che, di volta in volta, si presentano. Si rivela

necessario, perciò, che ogni istituzioni sviluppi questo genere di pratica, al fine di

evitare di nuocere ad un’altra istituzione o di subire detrimento dall’inefficienza di

una istituzione con cui si relaziona.

b) Politiche di gestione

A questo punto è necessario predisporre una strategia di gestione.

Non ci sono fasi fisse da seguire, una politica può essere creata ad hoc per

una situazione particolare o risultare da studi approfonditi. Si possono, però,

individuare degli elementi guida:

Una volta realizzata, una strategia ha bisogno di essere

frequentemente aggiornata, per farla stare al passo con le

modifiche della legislazione e delle pratiche di mercato;

È necessario anche individuare personale specifico e

specializzato che si occupi di sostenerla e svilupparla; che

sia al corrente delle tecniche già utilizzate e sia informato

delle eventuali problematiche sorte. Questo staff può avere

le competenze più diverse: responsabili della gestione dei

diritti di riproduzione, responsabili delle attività didattiche,

responsabili di marketing e comunicazione, registrars e

curatori delle collezioni;

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È necessario che la strategia derivi dall’inventario condotto,

per essere certi che le determinate questioni siano state

accuratamente esaminate;

È necessario che la strategia rispecchi la missione del

museo, tenendo in considerazione le politiche

amministrative e economiche esistenti726.

È necessario considerare la gestione delle richieste di fair

use per scopi didattici, scientifici, filantropici, e definirli in

modo chiaro, per evitare future infrazioni727.

Dalla realizzazione di una strategia, si deve passare alla definizione delle

politiche tariffarie e alla distribuzione dei compiti. Per farlo, devono essere

stabilite e definite nei minimi dettagli le seguenti questioni: gli utilizzi728, gli

acquirenti729, gli utenti finali730, le forme di distribuzione731, le dimensioni dei

mercati individuati732, la durata delle concessioni, la tipologia di rapporto con gli

acquirenti733. È una fase delicata, poiché bisogna bilanciare diversi interessi:

aderire pienamente alle strategie studiate e predisposte, ma anche realizzare dei

formulari standard di contratto, per agevolare la negoziazione, aumentare il potere

di contrattazione dell’istituzione e facilitare ipotetiche future controversie. Si può

anche cercare di realizzare un insieme di pacchetti di offerta, per adeguarsi ancor

726 Idem. 727 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 254. 728 Scientifici, educativi, commerciali. 729 Profit, non profit, misti (v. par. 3.5.1 a)), aziende, privati. 730 Per esempio ubblico di massa o di nicchia. 731 Off line o on line. 732 Nazionali, internazionali o locali. 733 Soggetti con cui si è già collaborato o partner occasionali.

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meglio alle necessità e alle richieste dell’istituzione, degli acquirenti, dei

proprietari dei diritti. L’alto livello di accuratezza di ogni pacchetto, tuttavia,

richiede moltissimo lavoro consultivo734.

c) Gestione e negoziazione dei diritti

La gestione effettiva delle politiche interne è affidata o a professionalità

nell’istituzione, oppure a soggetti esterni, con i quali vengono stipulati vari tipi di

accordi e contratti.

Solamente le istituzioni di piccole dimensioni riescono a porre in essere

una gestione interna, proprio perché la loro limitata grandezza fa si che non vi

siano grosse trattative da coordinare. Le istituzioni di grandi dimensioni

potrebbero provvedervi autonomamente, poiché riescono a reggere i necessari

investimenti per dar vita e mantenere l’organizzazione. Nonostante questo,

preferiscono affidarsi ad una gestione esterna, ritenuta più efficiente. È il caso dei

musei americani, dove la figura dell’agente735 è molto sviluppata e si sta sempre

più specializzando per questo settore. Il mandato d’agenzia permette di seguire

precise questioni di politica amministrativa e dedicare maggiore attenzione alle

pratiche contrattualistiche. Egli, inoltre, “delimita i contorni del mercato, ne fissa

gli standard e ne accredita gli attori, ponendo le basi non solo per un’efficace

opera di tutela, ma contribuendo allo sviluppo di sistemi di licenza capaci di

tenere il passo, più spesso la corsa, dei progressi tecnologici”736. Nel nostro

paese è ancora poco diffusa, ciò è dovuto in gran parte alla mancata definizione 734 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 254 – 257. 735 I soggetti agenti sono stati trattati nel par. 3.5.1 a). 736 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 262.

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precisa dei diritti e dei problemi in gioco. I paesi anglosassoni hanno a che fare

con queste figure da più tempo, grazie ad una gestione più accurata dei diritti.

I soggetti che procedono alla gestione, siano essi interni od esterni,

pongono in essere tutta una serie di compiti:

realizzazione una stima dei piani d’azione e, se necessario,

migliorarli. Ciò si concretizza nell’analisi delle strategie

passate, nella valutazione di differenti possibilità e

differenti concorrenti sul mercato;

predisposizione una consulenza permanente sui principi di

libera utilizzazione, nel contesto delle nuove tecnologie e di

Internet, sulle possibilità di riproduzione digitale dei

materiali protetti e sull’allestimento di nuove proposte;

preparazione e fornitura di diversi pacchetti di diritti e

contratti, comprensivi di accordi di trasferimento o licenza

d’uso;

controllo dei pagamenti e delle attività di clienti e

licenziatari;

consulenza legale sui temi più problematici, in base ad una

comparazione con la prospettiva internazionale del diritto

d’autore, consulenza fiscale e processuale737.

Quando ogni aspetto è stato valutato, predisposto e negoziato, si procederà a

distribuire i contratti, inventariarli, verificarne le scadenze, tutelare le attività e

737 Idem, 264, 265.

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segnalarne infrazioni, attuare rinegoziazioni nel caso di scadenze, incassare i

pagamenti, mantenere i contatti con i clienti e organizzare incontri periodici738.

Al termine dell’analisi, possiamo concludere che se saranno applicate

coerentemente tutte le fasi descritte, il museo riuscirà senza dubbio a mitigare i

rischi di infrazione in cui può incorrere e a mantenere alta la sua reputazione

attraverso un’efficace trasmissione del suo messaggio. I diritti e le obbligazioni

dell’istituzione verranno chiarificati e non ci sarà spazio per fraintendimenti o

inefficienza.

4.2 Business opportunities

Lo sviluppo delle nuove tecnologie e di Internet, la facilità nello scambio

delle informazioni, dei beni e dei servizi, hanno permesso ai musei, negli ultimi

dieci anni, di confrontarsi con un nuovo potenziale mercato.

I musei oggi sono obbligati ad “explore their ability to engage in

commercial opportunities”739, purché le loro missioni non ne risultino

compromesse. In questo contesto, come può l’istituzione assicurarsi di continuare

a rispettare gli stessi standard di qualità e integrità? Il professor Stephen Weil

dello Smithsonian Institute ha sviluppato una formula per capire se un museo

continua a seguire standard di qualità. Esso deve essere:

1. “Purposeful

2. Capable

3. Effective

738 Idem, 268. 739 V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..

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4. Efficient”740.

Lo scopo rende il museo responsabile e lo obbliga a rispettare in ogni

momento la sua programmazione. La capacità si sostanzia nel know-how

intellettuale e nelle risorse umane e finanziarie che gli permettono di realizzare

esibizioni, di cooperare con i suoi partner, ma soprattutto nel raggiungimento

della sua missione. L’efficacia è il criterio più difficile da misurare, poiché i

musei generalmente sono istituzioni non profit, ma soprattutto non c’è un

consenso generalizzato sul metodo da utilizzare per effettuare questa verifica.

L’ultimo requisito è l’efficienza: essendo il museo non profit, non è una

caratteristica assolutamente prioritaria. Non si tratta di avere un approccio

“business like”, ma di fornire agli utenti un’alta qualità nell’esperienza vissuta

all’interno dell’istituzione, sia essa fisica o virtuale741.

Nel mondo for profit, per determinare se un’opportunità d’affari potrà

essere un successo, è indispensabile eseguire tutta una serie di prove ed analisi per

determinare il suo potenziale. Le opportunità rilevate sono spesso derivate dai

piani gestionali dell’impresa, e la verifica della potenzialità serve a capire se la

base su cui si sta per costruire è solida e razionale. Nel caso dei musei

quest’operazione è ancora più intricata, poiché, come abbiamo visto, ci sono tutta

una serie di requisiti da rispettare, per scongiurare una perdita di reputazione. Si

rivela arduo mettere insieme in modo armonioso sostenibilità finanziaria e scopo

culturale.

740 Idem. 741 Idem.

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Prima di analizzare le opportunità che un museo può incontrare, è

necessario specificare alcuni concetti. Innanzitutto, l’istituzione, una volta che si

impegna in una attività, deve assicurarsi di realizzare un “return on investment”;

deve cioè fornire un servizio che si riveli prezioso e apporti un valore aggiunto

alle attività del museo. È, poi, necessario allocare una determinata quantità di

fondi per coprire i costi di lancio del servizio, siano essi privati o pubblici. Si noti

che un partner privato potrebbe anche decidere di non impegnarsi nella

sovvenzione, se il museo non ha compiutamente svolto la sua attività di revisione

e predisposto una chiara politica d’azione. Si deve, perciò, tener conto delle

aspettative che il mercato può creare, nei confronti dell’istituzione.

Ci sono dei mercati potenziali in cui il museo si potrebbe impegnare:

produzione e distribuzione di prodotti tangibili associati al museo o alla sua

collezione, “image licensing” e “museum’s co- branding commercial

partnership”742.

La prima possibilità è da tempo considerata dai musei italiani: a partire

dalla legge Ronchey743 si è dato il via al fenomeno dei cosiddetti servizi

aggiuntivi, come bookshop e commercializzazione dell’oggettistica legata al

museo. Le risorse coinvolte sono, in larga parte, di natura pubblica, essendo

ancora marginale il raccoglimento di fondi da altre fonti. Inizialmente la legge

prevedeva la sola realizzazione di librerie, ma tramite modifiche successive, il

novero dei prodotti contemplati si è fatto più ampio. Generalmente i musei hanno

affidato la gestione di queste attività a terzi, a causa della mancanza di

742 Idem. 743 V. par. 1.3.2.

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competenze specifiche nella conduzione di un punto vendita e della carenza di

capitali da investire. Con il nuovo codice dei Beni Culturali e del Paesaggio744, in

vigore dal 2004, il negozio all’interno del museo comprende la vendita di tutta

una serie di oggetti in linea con la collezione dell’istituzione, avvicinandosi, così,

lentamente, all’esperienza americana. È stata inoltre costituita una società di

diritto privato, la Arcus Spa745 che ha tra i propri scopi quello di valorizzare

commercialmente il patrimonio culturale, cominciando dallo sfruttamento sotto

forma di merchandising. Ora si prevede come prassi normale l’affidamento a terzi

della gestione dei negozi, ma si apre anche la possibilità a società miste di

gestione. Saranno, di fatto, società costituite fra i musei e i soggetti privati, con lo

scopo della gestione di tutte la attività connesse con il museo746.

Negli Stati Uniti i museum stores sono assolutamente differenti da quelli

italiani: la maggiore superficie a disposizione per i negozi e il maggior fatturato

segnano già un distacco che sarà difficile colmare. La realtà americana è più

complessa e articolata e beneficia da molto più tempo dell’intervento dei privati

nel settore, che realizza l’autonomia finanziaria delle istituzioni, traguardo a cui i

nostri musei non potranno mai arrivare747. Le compagnie americane hanno inoltre

sfruttato il settore con la produzione di beni di marca con prezzi medi, abbordabili

per il pubblico di massa, spingendosi fino alla realizzazione di interior designs. Il

settore museale americano, inoltre, si trova anni luce avanti all’Italia per quanto

riguarda l’e – commerce, la vendita on - line dei prodotti. Anche attraverso questa

744 V. par. 1.1.3. 745 V. par. 1.3.2. 746 Cf. MAURI, CIRRINCIONE, cit., 42 – 47. 747 Idem, 50.

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modalità i musei realizzano grosse entrate, che permettono di mantenere

l’autonomia finanziaria748.

Un’altra attività che impegna il museo è l’”image licensing”. Con lo

sviluppo di Internet, i mercati anglosassoni hanno, per primi, intuito il potenziale

sfruttamento dell’immagine nella rete. Si sono profilate interessanti opportunità di

reddito nel realizzare un sistema di autorizzazione e licenza d’uso delle immagini,

nei vari mercati commerciali e dell’istruzione. Abbiamo già analizzato la

difficoltà dei musei di gestire i diritti di proprietà intellettuale riguardo questi

temi, soprattutto per la presenza di numerosi diritti in capo a proprietari differenti

che necessitano di autorizzazione. Un’immagine elettronica, per esempio,

presenta diritti a livelli multipli per esempio sull’opera d’arte stessa o su una

fotografia dell’opera, tenendo sempre presente la differente protezione dei diritti

di proprietà intellettuale nei diversi paesi. Per questi motivi è necessario creare

una efficiente strategia di gestione, per evitare che le entrate realizzate dal museo

vengano rapidamente erose dalla negoziazione di questi diritti multipli749.

Per coadiuvare queste attività la WIPO ha predisposto dei modelli di

licenza, che tengano in considerazione tutti gli aspetti rilevanti. Ne abbiamo

considerati degli esempi ai paragrafi 3.5 e 3.5.1 sub a), i quali concernono le

immagini e lo sviluppo di un sito web. Altri formulari sono predisposti per banche

dati, dove spesso sono contenute le immagini o per opere audiovisive750.

L’ultima frazione di mercato che si analizza riguarda “museum’s co-

branding commercial partnership”. Internet, come mezzo di accesso, ha fornito ai 748 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit. 749 Idem. 750 Cfr. SHAPIRO, cit.

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proprietari di contenuto di sviluppare opportunità legate alla pubblicità e alla

promozione, fondamentali per chiunque voglia operare efficientemente on - line.

Se i contenuti sono interessanti , ben posizionati e resi disponibili attraverso i

motori di ricerca, il pubblico potrà facilmente fruirne e ripeterà l’esperienza. Il

sito del museo, quindi, assurgerebbe ad opera di riferimento, attirando

inserzionisti e promotori che uniranno il loro nome a quello dell’istituzione,

realizzando un vantaggio per entrambi nell’aumento della popolarità e

dell’affidamento del pubblico. Queste relazioni vantaggiose possono, poi,

permettere al museo di mettere a disposizione gratuitamente immagini e contenuti

per gli utenti non profit, ponendo in essere una attività che aiuta l’istituzione a

diffondere il suo messaggio; e continuare a dare in licenza i contenuti per gli

utenti for profit751.

Nell’entrare in affari con un partner commerciale, il museo deve tener

presente:

che la relazione può apportare notevoli benefici, non solo

economici, ma anche di know how, oltre alla diffusione

della missione tra il pubblico;

che è necessario mantenere intatta l’integrità del marchio

del museo, impegnandosi in attività che non comportino

detrimento;

751 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..

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che è necessario sviluppare un’abile strategia per non

lasciarsi condizionare dalle logiche di mercato a scapito

della cultura;

che è di vitale importanza elaborare una efficace strategia

promozionale per far progredire l’unione realizzata752.

752 Idem.

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CONCLUSIONI

L’Italia possiede una quota rilevante del patrimonio culturale di tutto il

mondo. Nella nostra storia, la protezione dei beni culturali è passata attraverso

tempi di abbandono ed altri di fervido attivismo. Al giorno d’oggi, la

consapevolezza di “maneggiare” una risorsa inestimabile risulta piuttosto diffusa:

si comincia a capire che le istituzioni culturali svolgono un ruolo insostituibile

nella società dell’informazione, anche partecipando alle dinamiche del mercato,

ma senza abdicare agli importanti compiti educativi e di promozione e diffusione

della conoscenza.

Tuttavia, a dispetto di questa consapevolezza non è stata finora

implementata nessuna seria politica di tutela e valorizzazione dei diritti connessi

alle opere, nonostante le richieste insistenti del mercato e del potere crescente

della tecnologia. Il quadro che abbiamo ricostruito, infatti, delinea, soprattutto per

il nostro paese, più dubbi che certezze.

Come abbiamo visto, l’innovazione apportata da Internet e dalle nuove

tecnologie consente ai musei di digitalizzare le loro collezioni e renderle

disponibili sul web e dunque (potenzialmente) agli utenti di tutto il mondo.

Ciò che si rivela fondamentale, nell’era digitale, è la gestione dei diritti di

intellectual property, i quali, se non sono amministrati correttamente, non

permettono un preciso sfruttamento delle opportunità offerte dalle tecnologie

dell’informazione e della comunicazione. Una corretta gestione potrebbe

consentire di rinforzare e consolidare l’abilità dell’istituzione di comunicare con il

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suo pubblico, aspetto centrale al fine di cercare di raggiungere il suo scopo,

assicurando l’efficacia e l’efficienza del museo. Se queste priorità verranno

rispettate, si raggiungeranno successo e qualità, sfruttando le opportunità offerte

dal mercato, ma bilanciandole con la responsabilità di promozione del patrimonio

culturale, uno dei primi scopi dell’esistenza stessa dei musei.

È necessario, quindi sviluppare solide pratiche per favorire la

digitalizzazione. Come si è visto, in Australia, dottrina e legislatore sono

intervenuti per assicurare la volontà di progredire nel processo di digitalizzazione,

assicurando per tutti accesso e fruizione. Grazie alla riforma recentemente

avvenuta, lo Stato australiano può anche permettere la reale fruizione dei

contenuti ai suoi utenti, per mezzo di un ampliamento del concetto di libera

utilizzazione, che si avvicina a quello statunitense. Anche nel nostro sistema

giuridico sarebbe d’aiuto una politica più aperta alla libera fruizione, poiché le

istituzioni culturali risultano non troppo favorite dalle recenti modificazioni

normative introdotte con il d. lgs. 68/2003 di recepimento della direttiva

29/2001/CE. Dovremmo imparare dalle esperienze straniere, ma il continuo

rafforzamento delle normative europee ed interne relative alla proprietà

intellettuale, rende non facile un cambio di rotta.

Per quanto riguarda la riproduzione, le istituzioni italiane presentano una

debolezza nella contrattazione che dipende, per la maggior parte, dal cattivo stato

in cui versano gli archivi iconografici. Gli originali spesso non sono registrati,

inventariati, catalogati, o addirittura mancano, poiché detenuti da fotografi o

agenzie; numerose riproduzioni versano in cattive condizioni e non vengono

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correttamente conservate. In questa situazione risulta difficile difendere i propri

diritti. Si rivela, perciò necessario un intervento strutturale per incentivare i

processi di recupero e sistemazione degli archivi, e che si impegni in campagne di

ripresa tali da fornire originali nuovi, di buona qualità, disponibili in più formati,

specialmente on line e che si continuino gli interventi di restauro e di pulizia. Per

questo motivo, approfittando della situazione di incertezza, molte produzioni

risultano da acquisizioni abusive del materiale e molti archivi stranieri conservano

materiale proveniente dal nostro paese, ma acquistato da intermediari di dubbia

reputazione753. Se, dopo un’accurata politica di recupero e “rigenerazione dei

diritti”754, i potenziali acquirenti fossero informati dell’esistenza di una nuova

offerta di materiale, potrebbe crearsi un giro d’affari di riproduzioni nuove, di

ottima qualità, disponibili in diversi formati e imporre la propria presenza sul

mercato. Si può registrare comunque la volontà di cambiare la situazione

esistente; ad esempio il progetto europeo DADDI, Digital Archivi Trough Direct

Digital Imaging, che è nato nel 2000 con lo scopo di realizzazione di un archivio

digitale delle immagini di tutte le opere della Galleria degli Uffizi, da pubblicare,

successivamente, nel nuovo sito Internet del museo che avrebbe dovuto presentare

importanti cambiamenti rispetto agli argomenti e alla loro presentazione, alle

modalità di navigazione, alle tecnologie usate. Il progetto è frutto di una

collaborazione tra la Soprintendenza di Firenze e partner stranieri. L’idea era

quella di realizzare all’interno del sito del museo un vero e proprio motore di

ricerca di immagini interattive ad altissima risoluzione acquisite nel corso del 753 Cfr. GUERZONI, Diritti di proprietà reale ed intellettuale dei musei, cit., 39; GUERZONI, STABILE, cit., 269, 270. 754 V. GUERZONI, STABILE, cit.., 269.

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progetto DADDI. Il sito del museo in realtà non è ancora stato rimodernato

tuttavia è stato creato un archivio digitale delle opere acquisite nel progetto

DADDI. Tutti gli aspetti relativi alla gestione dell’archivio sono stati poi

progettati da una società specializzata. Questo progetto ha dimensioni importanti,

che la nostra esperienza non è in grado di sostenere da sola, ma esistono anche

delle modalità di realizzazione meno imponenti ma ugualmente efficaci. Ci si può

anche affidare a piccoli progetti, studiati nei minimi dettagli, integrati con fondi

europei all’uopo predisposti, o con congiunzioni con sponsor dedicati. “La

miglior difesa è l’attacco, la produzione di contenuti di qualità, attenti alle

possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma protetti da contratti e schemi

negoziali capaci di garantirne l’integrità e salvaguardarne nel tempo il valore

economico”755. Qui tocchiamo un’altra nota dolente. Gli schemi negoziali

attualmente presenti nella nostra esperienza non sono uniformi e standardizzati.

La relativa inesperienza del nostro paese si può intuire anche dai numerosi

progetti avviati a livello europeo, come MINERVA, che cercano di traghettare il

nostro paese verso il futuro della trasmissione della cultura e della gestione della

proprietà intellettuale. Questo progetto ha svolto e sta svolgendo un notevole

lavoro di cooperazione tra Stati e istituzioni per indirizzare verso pratiche comuni

e minimizzare i rischi e le criticità.

La digitalizzazione dei materiali comporta un’analisi dei diritti a livelli

multipli, necessari per cercare di evitare un’infrazione del copyright. Anche la

WIPO ha studiato il problema, e ha proposto degli schemi di contrattazione,

755 V. GUERZONI, STABILE, cit., 270.

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alcuni dei quali sono stati analizzati. Essi rappresentano linee generali che si

auspica vengano implementate in modo generale e perfezionate, se necessario. Il

mercato delle informazioni, infatti, è in continua espansione, e l’offerta di

assistenza nel porre in essere queste nuove attività è basilare per la buona riuscita

dei progetti.

Per gestire correttamente i diritti delle risorse culturali, i progetti devono

innanzitutto identificare e registrare i diritti esistenti sui materiali. Se necessario, i

progetti devono negoziare l’utilizzo con i detentori dei diritti per ottenere il

permesso all’utilizzazione, il permesso deve essere registrato in una licenza che

specifichi la natura e lo scopo, il modo in cui può essere usato, l’estensione

geografica dei diritti, la durata della licenza e la tassa da pagare. Bisogna tenere

sempre presente ciò che si è negoziato e come, per potervi porre rimedio e

rinegoziare, se necessario, oppure per far fronte a citazioni in giudizio.

I diritti negoziati devono essere protetti. Nel networked environment, ogni

contratto che coinvolge la proprietà intellettuale per sua natura è un contratto sulla

trasmissione di diritti di esclusiva.

L’esperienza statunitense ha maturato una certa abilità su questi temi, che

sono all’ordine del giorno da molto tempo. È necessario tenere in considerazione

che è stata introdotta la formula dell’agenzia e dell’agente, che si è rivelata

vincente. L’agente può svelarsi fondamentale per una gestione collettiva dei

diritti, per una più incisiva opera di tutela, per una pratica di standardizzazione

contrattuale e un’equa raccolta e redistribuzione ai titolari delle tasse di

utilizzazione. Oltreoceano si punta all’alta specializzazione di determinati

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soggetti, i quali, a loro volta, sono deputati alla creazione di modelli contrattuali

altamente specializzati. Se non è possibile trapiantare interamente questa pratica, è

consigliabile almeno osservarne il lavoro e tenerne conto per impostare le proprie

politiche di gestione.

Il web e le nuove tecnologie in generale mostrano un’altra serie di

problematiche. Talune hanno a che fare con la conservazione nel tempo dei

contenuti. Il problema risiede nella veloce obsolescenza delle tecnologie, tanto da

mettere a rischio la salvaguardia dei contenuti e delle produzioni dei nuovi

prodotti multimediali. Si è parlato dell’ingente spesa che comporta la

conservazione e della difficoltà di raggiungere una soluzione comune. La

problematica, quindi, dovrà essere risolta; ma in un futuro prossimo, poiché la

produzione di materiale aumenta di giorno in giorno e la improvvisa scomparsa

dello stesso potrebbe non essere così inverosimile.

Tal’altre riguardano la qualificazione giuridica da applicare ai nuovi

prodotti multimediali e allo stesso sito web. È necessario adeguare le norme

esistenti al mondo tecnologico, che presenta aspetti intricati e stratificazione dei

diritti. È difficile tutelare gli autori e le creazioni in questione. La legge non

stabilisce nulla per quanto riguarda le pagine web756, né tantomeno per le opere

multimediali. Inoltre, le mostre e le esposizioni sul web rientrano nella tutela delle

banche dati, quindi si realizza una sovrapposizione di diritti e di differenti tipi di

tutela che devono essere chiarificati. L’avvento di Internet ha creato

preoccupazioni per quanto riguarda la reale applicabilità delle norme: la

756 Che tendono, comunque, ad essere paragonate a delle opere multimediali.

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deterritorializzazione causata dall’esistenza di questo mezzo di comunicazione

che rappresenta un non–luogo, minaccia l’effettività delle norme; inoltre la

mancanza di un qualche tipo di sovranità sfida l’applicabilità del diritto statale, a

maggior ragione perché i beni e le attività in questione sono entità sprovviste di un

qualche tipo di supporto, dematerializzate appunto757. Ci si chiede se sia

necessario adattare le leggi esistenti o sia invece più propizio elaborare una nuova

concezione che comprenda queste nuove produzioni e le protegga in maniera

efficace.

Come si può agevolmente inferire dal tono di queste brevi conclusioni, c’è

molto lavoro da fare. L’attività delle istituzioni culturali presenta numerosi aspetti

controversi, che è necessario ridefinire puntualmente. Ci si può però auspicare che

la consapevolezza acquisita negli ultimi anni e la considerazione delle esperienze

maturate all’estero, sia a livello legislativo che operativo, possano assistere

l’impegnativo ma fondamentale cammino che le istituzioni devono percorrere per

diventare competitive e raggiungere in modo davvero efficace la loro missione.

757 In questo senso PASCUZZI, cit., 182 – 187.

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