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Novembre dicembre 2011

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Vita CarmelitanaPeriodico della Famiglia Carmelitana

Provincia Napoletana

Anno 73 - N. 5Novembre / Dicembre 2011

Direttore Responsabile:Angelo Renna

Direttore Editoriale:P. Enrico Ronzini

Redazione:Fr. Francesco M. Ciaccia

Carlo FasanoFloriana GrassiFiorenza IngrossoCarmela MarzicoFr. Egidio PalumboSalvatore Schirone

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70125 BariTel. 080.5424484fax 080 5562741

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Provincia Napoletanadei Carmelitani

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35, via Napoli - tel./fax 080.5213778www: levantebari.com

email: [email protected]

IInn qquueessttoo nnuummeerrooEditoriale pag. 3

Alzati e mangia

La parola di Dio Giuseppe chiede perdono ai fratelli,e riconosce la sua storia come storiadi salvezzaGn 45, 4-8.15 pag. 4di p. Cosimo Pagliara

Sale della terra

Il Vangelo nel quotidiano Attenzione all’altro e carità pag. 7di p. Riccardo Brandi

Rubrica Giustizia e paceNessuno tocchi Caino pag. 10di Mariateresa Surace

Fuoco che trasforma

La spiritualità carmelitana Povertà e possesso pag. 13di p. Carmelo Silvaggio

Rubrica Proposte di letturaTi rivelerai tra due animalidi Giuseppe Micunco pag. 16

Rubrica Profili del CarmeloBeato Angelo Paolidi fr. Francesco M. Ciaccia pag. 17

La tua bellezza sia la mia

I giovani Giovani e speranze pag. 19di Floriana Grassi

Insieme come fratelli

Notizie di cronaca Festa della Madonna del Granato pag. 22Festa del Carmine a Martina Franca pag. 24Giovani carmelitani alla GMG pag. 25Lettera ai giovani del Padre Generale pag. 27XXVI Giornata Mondiale della Gioventù pag. 29Fr. Francesco Galliano è tornato alla casa del Padre pag. 30Una vita donata a Dio e alla Verginedel Carmelo pag. 31

IN COPERTINA: foto di fr. Xavier Varella Monzonís

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NOVEMBRE / DICEMBRE 2011 3

Carissimi lettori,

Ed

itoria

le

eccoci giunti all’ultimo numero della nostra rivistadi quest’anno.

L’eco del magistero sull’impegno ad “Educare alla vita buona delVangelo” ci ha accompagnato nelle nostre riflessioni. Speriamo che gliinput della parola di Dio, della spiritualità, dell’impegno per la giustizia ela pace e delle proposte di lettura, abbiano contribuito a mantenere vivoil nostro desiderio di vivere la nostra fede e la nostra spiritualità, inmodo concreto, innanzitutto nelle nostre fraternità e nel mondo.

In questo mondo che sembra sempre più grigio e sterile, ma cheesprime il desiderio di accostarsi alla fonte della verità, per dissetarsiin conoscenza ed esperienza d’amore. Il bisogno di Dio, il tornare a guar-dare al nostro impegno educativo, allora, significa riscoprire la necessi-tà di essere sempre più missionari e testimoni di Colui che abbiamoincontrato e che ha cambiato la nostra vita.

Dire Gesù Cristo oggi significa saper testimoniare la bellezza dell’in-contro e la gioia per la propria vita trasformata da questo evento. PaoloVI ci ricordava che: «il mondo ha più bisogno di testimoni che di maestri»,per questo tutto ciò che abbiamo fatto, lo dovevamo fare, per il resto ciriteniamo servi inutili (Cfr. Lc 17,10).

Colgo l’occasione per ringraziare tutta la redazione di Vita Car me -litana, tutti i collaboratori e tutti coloro che ci hanno aiutato a rende-re piacevole e agevole la lettura, dai contenuti biblici, teologici, spiritua-li, alla veste grafica.

Infine porgo a tutti l’augurio per un fecondo periodo d’Avvento, ed ungioioso tempo di Natale che ci ricorda la volontà del nostro Dio, GesùCristo, di condividere con noi la sua stessa vita, per sperimentare la sal-vezza e la misericordia del Padre. È Lui il primo missionario e il primotestimone di Dio che è modello per la nostra vita di fede. Alla beataVergine Maria, donna dell’ascolto, affidiamo con gioia la nostra esisten-za, perché si compia in noi la volontà di Dio.

Buona lettura.P. ENRICO RONZINIPriore Provinciale

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 54

1. L’antefattoPrima di riflettere su questa pagina

che è un po’ il sigillo di tutta la storia diGiuseppe, vogliamo presentare per som -mi capi l’antefatto dei capitoli di Genesi42-44.Tutti sappiamo che Giacobbe aveva

dodici figli, avuti da molte mogli diverse.Giuseppe e Benia mi no sono i figli di Ra -chele, la donna che Giacobbe amò vera-mente, sono i più ama ti, e per questoodiati dagli altri fratelli. Nel racconto biblico, la fraternità è le -

gata al l’unico padre: noi ab biamo unostes so pa dre e abbiamo molte ma dri di -verse.Giuseppe giunge in Egitto come schia -

vo e lì ha grande successo: diventa l’am -ministratore di tutto il regno egiziano,co lui che deve preparare il paese persop portare la carestia e questo gli dà ilti tolo con cui è chiamato nei mi drash,non il sognatore, ma il nutritore.Nel frattempo la carestia, che sta col-

pendo tutti i paesi, colpisce anche i suoifratelli che vengono mandati dal padrein Egitto a cercare cibo. Giuseppe ha uncomportamento piuttosto strano: sebbe-ne li riconosca, con una mano sembrafavorirli e con l’altra li mette alla prova.

2. Le lacrimeLa prima cosa che in questo testo è

evidente è che tutti piangono, ancheGiu seppe: «non poté più contenersi da -vanti agli astanti» (45,1). I rabbini dico-no che le lacrime sono espressione del-l’anima quando non riesce più a staredentro al corpo e tenta di uscire dagli oc -chi.Io credo che sia un’immagine bellissi-

ma perché mostra Giuseppe come unuo mo che si lascia toccare, che si lasciaraggiungere. È un uomo che conosce ilprezzo del conflitto e dunque non hapau ra delle lacrime. Piange, non puòcontenersi, e si capisce bene: «Così nonrestò nessuno presso di lui, mentre Giu -seppe si faceva conoscere ai suoi fratel-li. E proruppe in un grido di pianto»(45,1-2). Vive dentro di sé un forte con-flitto che esprime con le lacrime e noncon il rancore: il contrasto interiore puòtrasformarsi in motore di vita quandosiamo capaci di far emergere la verità dinoi stessi, evitando di ritrarci, di nontrattenere le lacrime; diventa un fattorenegativo quando cediamo al rancore,che si esprime nella contrazione di sé,nel trattenere tutto dentro.Per lumeggiare questo sentimento

positivo, riportiamo un racconto trattodai Padri del deserto: «Due anacoreticam minano per le montagne. Ad un cer -to punto incrociano una donna comple-tamente nuda sull’orlo di un fiume eque sta chiede ai due santi monaci diaiutarla ad attraversare il fiume. Uno deidue dice “Non sia mai. Una donna. Perdi più completamente nuda!” e tira drit-to per la sua strada. L’altro non diceniente, la prende in braccio, la porta aldi là del fiume, la saluta e continua ilsuo cammino. I due monaci continuanoa camminare e intanto il primo rimuginal’accaduto. Dopo ore e ore di camminodice all’altro: ”Scusami, te lo devo vera-mente dire, hai fatto una cosa tremenda.Una donna, completamente nuda! Nondovevi assolutamente farlo!” e questi di -ce: “Forse hai ragione tu, forse ho sba-gliato, ma io quella donna l’ho lasciata

AAllzzaattii ee mmaannggiiaaiuseppe chiede perdono ai fratelli e

riconosce la sua storia come storia di salvezzaG

(Gn 45, 4-8.15)

� P. Cosimo Pagliara O. Carm.

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appena passato il fiume, tu la porti an -cora con te”».Il comportamento di Giuseppe che

non può contenersi, e che in questo si faconoscere dai fratelli, è il segno di unoche non tiene presso di sé il dolore, nonfa crescere il rancore. Ma, soprattutto ilpassato è stato purificato nel suo cuoree nella sua mente, il torto è stato can-cellato. Ora Giuseppe e i suoi fratelli so -no pronti per un incontro perfetto e du -raturo; la fraternità è stata ritrovata.

3. «Avvicinatevi a me»Giuseppe, liberatosi da quel contrasto

interiore, erompe in un parlare irrefre-nabile: «disse ai fratelli: “Io sono Giu sep -pe! Vive ancora mio padre?”. Ma i suoifratelli non potevano rispondergli, per-ché atterriti dalla sua presenza» (45,3).Di fronte al la loro paura di ce: «Av vi ci -natevi a me!» (45,4).La gestione di un problema, di un

con flitto, per dirlain un linguaggio at -tuale, ri chie de un e -quilibrio tra di stan -ze e vicinanze. Giu -seppe li ha tenutilontani per granparte del raccontoma, di fronte allapa ralisi provocatadalla paura, li chia-ma vicini. Questomi pare il secondoelemento che aiuta afare di un conflittoun conflitto creativo: saper equilibraregli atteggiamenti di vicinanza e di di -stan za. Giuseppe li chiama vicini, poi siabbracciano, si toccano. Per i dodici ca -pitoli precedenti li ha tenuti lontani, an -che quando, nei loro viaggi precedenti,“gli si spezzava il cuore”, dice la Bib bia,e si ritirava in un’altra stanza a piange-re, per non piangere di fronte a loro, per-ché le lacrime li avrebbero resi vicini.Un problema, un contrasto tra fratel-

li, non si risolve unicamente in un atteg-giamento di vicinanza, talvolta è neces-

saria la capacità di prendere le distanze,per poi, quando il tempo è maturo, diavvicinarsi. Solo decidendo le distanze ele vicinanze, un contrasto può diventarecreativo, può generare un rapporto fra-terno più perfetto e du raturo.

4. La storia di Giuseppe come storiadi salvezzaIl lettore, poi, è colpito dal lungo e ap -

pas sionato discorso di Giuseppe: «Fateuscire tutti…Io sono Giuseppe! Vive an -cora mio padre… Avvicinatevi a me… Ioso no vostro fratello» (45,1.3.4). I suoifratelli sono sbigottiti, sorpresi. Per que-sto tacciono. Forse si aspettavano un al -tro tipo di discorso: “Mi avete venduto daschiavo e ora venite qua a chiedere pa -ne!?” Invece lui dice: «Dio mi ha manda-to qui, prima di voi per conservarvi in vi -ta» (45,5). Giuseppe non assume un at -teggiamento mo ralistico: “Vi per dono,co me sono buono!”, ma vede nei fatti in

cui è stato protago-nista e nello stessotempo vittima, lamano provvidentedi Dio. È questo ilfilo rosso del lungoe appassionato dis-corso ai suoi fratelliche non riescono acredere a quantosta avvenendo da -vanti ai loro occhi,infatti, sono atterri-ti e Giuseppe stes soè spinto a consolar-

li e a rimanere sereni: «Non vi rattristatee non vi crucciate per avermi vendutoquaggiù» (45,5). Hanno tentato di ucciderlo, l’hanno

venduto come schiavo, ma lui dice unacosa molto semplice: «Dio mi ha manda-to qui prima di voi per conservarvi in vi -ta!» (45,5), come per dire “Voi non c’en -trate nulla! Non con tristatevi, non spre -cate nemmeno il tempo di farvi i sensi dicolpa perché quello che voi avete fatto valetto nel piano provvidenziale di Dio”.Giuseppe dall’esperienza che ha vis-

Giuseppe Beniamino e gli altri fratelli

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suto, sa trarre ilbene anche dal -la miseria uma -na: «Dio mi hamandato quipri ma di voi perassicurare so -pravvivenza…eper salvare…Non siete stativoi a mandarmiqui ma Dio…»(45,7.8). Quando si fa

ri conoscere dai suoi fratelli, esprime an -che una profonda consapevolezza deldisegno di Dio sulla sua vita; legge tuttala sua storia, non dal suo punto di vista,ma dalla prospettiva di Dio. Al lettore la storia di Giuseppe appare

in una luce nuova e caratterizzata dauna carica di positività: «Io sono Giu sep -pe vostro fratello, che voi avete vendutoper l’Egitto. Ma ora non vi rattristate enon vi crucciate, perché Dio mi ha man-dato qui prima di voi per conservarvi invita» (45,4-5). Gli effetti di tale lettura hail seguente risvolto: lui che è stato per-cosso da innocente, diventa il consolato-re di coloro che lo hanno maltrattato.Ta le risultato si realizza unicamenteper ché Giuseppe è in grado di leggere lasua vita, e le sue sventure, an dando ol -tre le umane ristrettezze men tali perguar dare le cose dal punto di vista diDio. La logica di Dio agisce in una ma -niera tale che supera di gran lunga glispazi personali della vita dell’uomo. Lavendita ai carovanieri, che si dirigono inEgitto, salva tutta la sua famiglia da unaterribile carestia che, implacabile, colpi-sce i loro territori circa trent’anni dopoche i suoi fratelli l’hanno ceduto comeschiavo. Infatti quando all’età di dicias-sette anni, Giu seppe viene abbandonatonelle mani dei mercanti, sembra che eglisubisca la più grande ingiustizia che sipossa pensare. Occorre però attenderetrent’anni, per sapere che anche quell’e-pisodio ter ribile è un elemento, incom-prensibile se considerato da solo, di una

grande disegnodi salvezza, i cuidestinatari nonsono solo i suoifamigliari, maan che gli egizia-ni insieme ai po -poli circonviciniugualmente col-piti dalla care-stia.Per giungere

alla compren-sione dei disegni

di Dio, un elemento importante è il tem -po. Per capire come Dio guida la nostravita, sono necessari tempi lunghi. Giu -seppe si astiene per circa trent’anni dalpronunciare un suo personale giudiziosu come Dio ha guidato la sua vita. Solo dopo essersi fatto riconoscere dai

suoi fratelli, egli guarda al suo passatodi sofferenza, ma con gli occhi limpidi dichi guarda le cose nella luce di Dio.Quando era stato venduto aveva dicias-sette anni, poi, verso i ventotto anni, erastato tenuto in prigione e all’età di tren-t’anni era comparso al cospetto del fa -raone, per interpretargli il sogno che loaveva inquietato; adesso, al momentodella riconciliazione con i suoi fratelli, neha circa quaranta. Solo ora, quando isuoi fratelli spinti dalla carestia vengonoper chiedere cibo e la famiglia torna ariunirsi, il disegno di Dio diventa im -provvisamente chiaro anche per lui (cfr.42,9). Alla luce di questa storia emerge un

elemento di pedagogia spirituale moltoat tuale: non è mai un atteggiamento sa -piente quello di chi giudica la propriastoria a metà del suo percorso, o primaancora d’iniziarla. Per capire la totalitàdel progetto di Dio sulla nostra vita oc -cor rono tanti elementi che si rivelano so -lo col dipanarsi degli anni. Ogni giornoDio realizza qualcosa di nuovo per noi enuovi elementi si aggiungono al grandemosaico della nostra vita. Alla fine, e solo alla fine, il quadro s -

arà davvero completo.

Giacobbe benedice i figli di Giuseppe.

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Il concetto biblico di amore-caritàapre una vastissima gamma di sfumatu-re, di insegnamenti, di esperienze. È lostesso Dio, fonte dell’amore, che giànell’Antico Testamento manifesta la suatenerezza per il singolo individuo comeper tutto il popolo di Israele, da lui scel-to e prediletto. La tenerezza per tutte lecreature, le immagini familiari dell’amo-re paterno e a volte anche materno, l’im -magine dell’amore nuziale, ci riconduco-no sempre e comunque all’unico concet-to di Dio-Carità.Il Nuovo Testamento, nella persona di

Gesù, è l’incarnazione di quest’annuncioportato alle estremecon seguenze: il sacrifi-cio di sé, poiché: «Nes -suno ha un amore piùgrande di questo: darela sua vita per i propriamici» (Gv 15,13). Par -tendo da Cristo, que-sta nuova e più pro-fonda esperienza diamore si sviluppa intutti gli scritti neote-stamentari, radicando-si nell’amore verso Dioe il pros simo (Cfr. Mt 22,37-40). In mododel tutto peculiare, l’evangelista Gio van -ni giunge alla conclusione che «Dio èamore» (1Gv 4,8); mentre l’apostolo Pao -lo sviluppa l’immagine di un “edificio” (lacomunità) costruito dalla carità (1Cor8,2) sostenuto dai carismi dei singoli(1Cor 12,4-11), per poi sfociare nellaconsiderazione del Corpo mistico e dellemembra (Cfr. 1Cor 12,12-27), con l’innoalla carità (1Cor 13,1-8), con le indica-zioni per vivere le assemblee e le collette(1Cor 16,1-3). Questo nuovo stile di vita

rende presente ed attuale la grazia salvi-fica di Cristo.Dopo questo accenno iniziale al con-

cetto e alle forme di carità, passiamo adalcune considerazioni su due brani car-dine di tutto il discorso: l’inno di sanPao lo alla carità e la parabola del buonsamaritano (Lc 10,30-37).

L’inno alla caritàLa comunità di Corinto, a cui scrive

Paolo viveva al suo interno una situazio-ne di esaltazione e di conseguente divi-sione. Alcuni credenti erano dotati di ca -rismi straordinari: il dono delle lingue,

la profezia, la guarigio-ne ed altro anco ra. Percontrastare il rischio diesaltazione, Paolo indi-ca una nuova possibi-lità di essere perfetti,che consiste nell’amo-re (1Cor 12,30-13,13).L’apostolo indica la

nullità di ogni grandez-za cristiana se privadell’amore, poiché por -ta con sé i gravi perico-li del fanatismo, del-

l’orgoglio, dell’egocentrismo. L’amore,in vece, genera magnanimità, benevolen-za, partecipazione alla gioia di chi fa ilbene, comprensione, fiducia e speranza.Allora, l’amore si rivela come dinamismoche spinge il credente a operare nei rap-porti con gli altri secondo una linea diapertura, solidarietà e partecipazione. Anche le Costituzioni dei Carmelitani

esprimono lo stesso concetto:«La fraternità, secondo l’esempio della

comunità di Gerusalemme, è una incar-nazione dell’amore disinteressato di Dio

ttenzione all’altro e carità

� P. Riccardo Brandi, O. Carm.

SSaallee ddeellllaa tteerrrraaA

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e interiorizzato attraverso un processoper manente di svuotamento dall’egocen-trismo – anche pos si bile in comune –ver so un genuino centrarsi in Dio. Cosìpos siamo manifestare la natura cari-smatica e profetica della vita consacratadel Carmelo, e possiamo inserire armo-nicamente in essa l’uso dei carismi per-sonali di ciascuno a servizio della Chiesae del mondo»1.Infine Paolo sottolinea il carattere pe -

renne e perfetto dell’amore che, a diffe-renza dei carismi, che fanno parte dellatemporaneità umana e fisica di chi lipos siede, esso non verrà mai me no.Da questo stupendo brano, ap pare

chiaro che il vero amore è certamenteesigente – perché è paziente, è benigno,tut to sopporta, ecc. – ma proprio in que-sto sta la sua bellezza: in quanto costi-tuisce il vero bene dell’uo mo e lo irradiaanche agli altri. L’amore, infatti, è veroquando crea il bene delle persone e dellecomunità; lo crea e lo dona. Questo a mo -re capace di “tutto”, è l’accoglienza dellapotente grazia di Dio, che è l’A more.

La parabola del buon samaritanoLa parabola è narrata da Gesù mentre

è in cammino verso Gerusalemme, luogodel suo sa crificio, della sua sconfitta u -mana e della sua glorificazione divina.La sua sconfitta è pe rò già anticipatadurante il viaggio: la di sputa trai suoi discepoli su chi fosse il piùgrande tra loro (Lc 9,46-48);l’impedimento degli stessi versoaltri a scacciare i de moni “nelnome di Gesù” (Lc 9,49-50); lacattiva accoglienza e l’ostilità diun villaggio samaritano perchéerano diretti a Ge ru sa lemme (Lc9,51-56); il non sa per corrispon-dere alle esigenze della vocazio-ne apostolica (Lc 9,57-62).A queste sconfitte Gesù ri -

sponde con parole e gesti di fidu-cia e di amore: la designazione dialtri 72 discepoli inviati «a due adue davanti a sé in ogni città eluogo dove stava per recarsi» (Lc

10,1); il potere di sottomettere il male ela “consolazione” dei propri nomi scrittinei cieli (Lc 10,20); l’esultanza di Gesùper la rivelazione del vangelo ai “piccoli”(Lc 10,21); il privilegio dei discepoli dipoter vedere e udire tali cose (Lc 10,23).Questo insegnamento di Gesù ci con-

duce alla parabola del buon samaritano,che è di per sé semplice nella sua espo-sizione e chiede un giudizio immediato einequivocabile, tanto che il dottore dellalegge può “giustificarsi” di fronte al pre-cetto dell’amore verso un prossimo inde-finito, ma non di fronte alla domanda di -retta di Gesù.La parabola scaturisce dalla domanda

del dottore della legge: «E chi è mio pros-simo?» (Lc 10,29) e termina con un’altradomanda di Gesù: «Chi di questi tre tisembra sia stato prossimo di colui che ècaduto nelle mani dei briganti?» (Lc10,36). Questa domanda finale cambiade finitivamente la prospettiva degli a -scoltatori: l’individuazione del prossimonon nel ferito, ma in colui che lo soccor-re, che si fa prossimo del bisognoso e delsofferente.Gesù invita a superare ogni di scus -

sione teorica ed evasiva sul contenutoreale da da re al termine “pros simo”; po -nendo la questione sulla responsabilitàdell’interlocutore: invita a «diventarepros simo» di tutti, indistintamente.

Il buon samaritano

VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 5

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Dalla domanda-alibi: «Chi è il prossi-mo?», Gesù ci spinge esi stenzial men teal la domanda-impegno: «Co me si è e ci sifa il prossimo degli altri?».Un’altra chiave di lettura della para-

bola ci è data dal fatto che più che defi-nire il prossimo, Gesù definisce se stes-so come tale: è lui il buon samaritanoche si avvicina all’uomo sofferente, mo -ribondo, lo soccorre e lo guarisce. I Padridella Chiesa hanno letto in questa para-bola un altro senso spirituale. L’uomofe rito rappresenta Adamo e, di conse-guenza, tutta l’umanità infelice che, acausa del peccato, era stata spogliatadella grazia. Il sacerdote, e il Levita si -gni ficano la vecchia legge, che non giovòalla salvezza dell’uomo, fintanto chegiun se il pietoso Samaritano a curarla:prese su di sé l’umana natura, per risa-narla a spese del suo sacrificio, e con-dusse il ferito nella sua Chie sa, e conolio lo lavò, e col vino, cioè col suo san-gue, e con la sua misericordia, fino aren dergli piena e perfetta salute. «Colui che ama il prossimo allora è

for se il ferito che, nella sua assolutaimpotenza, concede all’ altro l’occasione[...] di divenire compassionevole comeDio è compassionevole. Non abbiamoqui la rivelazione velata dell’amore uni-versale che dal crocifisso morente e im -potente scende su ogni uomo? Non ab -biamo qui l’esperienza che spesso fac-ciamo quando diciamo che stando ac -canto a un malato o a un morente sco-priamo che è più ciò che lui ha dato anoi che non il contrario?»2.

Il volto di Cristo, volto dell’uomoGuardando a Cristo, riconoscendolo e

accogliendolo, l’uomo riconosce e acco-glie se stesso e il proprio simile; così l’at -tenzione all’altro diventa anche attenzio-ne alla propria storia, capacità di guar-dare con simpatia alla propria umanità,possibilità di curare le ferite provocatedal male, dall’egoismo, dalla superficia-lità-rigidità, dalle chiusure all’accoglien-za e alla condivisione.Mentre il mondo si chiede se abbia

an cora un senso parlare di carità, se siaeffettivamente possibile un rapportoevangelico con l’altro, la Parola di Cristo,i suoi gesti, il suo volto, ci spingono adandare oltre, a non giustificarci, a nontentare l’altro, a non privarlo di ciò chegli appartiene. In questo culto di verità e giustizia, il

“sacerdote” e il “levita” (ogni ministro co -me ogni battezzato) sono chiamati a ri -manere puri davanti a Dio, incontami-nati, ma nello stesso tempo a “sporcarsile mani” e a “perdere la faccia” per ritro-varla radiosa nel giorno del Signore.

La Regola CarmelitanaChiaramente non mancano nemmeno

nella nostra Regola Carmelitana riferi-menti all’amore-carità-attenzione al l’al -tro: l’obbedienza al Priore e agli altri fra-telli, l’attenzione alle necessità dell’altro– che superano ogni legge –, la caritàdel la correzione fraterna, non essere dipeso a chi compie l’ospitalità, l’amore to -tale verso Dio e il prossimo, la carità del -la testimonianza, il farsi servo del pros-simo.Queste cose, dice la Regola, propon-

gono un metodo di vita illuminato dalladiscrezione, moderatrice delle virtù: «Sepoi qualcuno avrà fatto di più, il Si gnorestesso lo rimunererà al suo ritorno»3.

1 Costituzioni dell’Ordine dei Fratelli dellaBeata Vergine Maria del Monte Carmelo, 30.

2 Luciano Manicardi, L’umano soffrire.Evan gelizzare le parole sulla sofferenza,Qiqajon, Bose 2006.

3 Regola dei Carmelitani, 18; Cfr. Lc10,35.

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 510

Nessuno tocchi aino

� Mariateresa Surace

giustizia e pace

C Madre Teresa ha scritto: «La vita è la

vita, difendila». L’eco di queste parole ri -suona di continuo, carico di un profon-do significato. Il lettore distratto non vitrova che belle parole difficili da assapo-rare pienamente, al contrario il lettoreattento con il cuore ri -volto al cielo, percepiscein essa la divina bellezzadella vita.Nel meditare questo

pensiero di Madre Te re -sa, è grande il numerodelle emozioni che attra-versano il cuore e lamente; lei lo aveva ca -pito, sì, aveva capitoquan to valore abbia re -almente la vita uma na.Una maturità, la sua,conquistata a contattodiretto con la sofferenzae la povertà. In una so -cietà in cui tutto è rapi-do e immediato, il tempoche abbiamo a disposi-zione per ragionare sullevicende della quotidia-nità è poco, eppure, for -se proprio nel mondo dioggi, più che in quello passato, dobbia-mo afferrare il tempo, e dedicarne unaparte alla nostra formazione personale;crescere dentro per testimoniare ed es -sere autori di scelte coraggiose, medita-re per accogliere l’amore di Dio cheistruisce il cuore nel silenzio. Il rischio a cui tutti siamo sottoposti

in questo momento è quello di rimanerecome spettatori di fronte alle emergenzespirituali e materiali del nostro tempo.

Se la scienza definisce la vita come con-dizione propria della materia vivente, chela distingue dalla materia inanimata, noicattolici non ci accontentiamo di taledefinizione e, a voce alta, esprimiamo lanostra opinione.

Dio ha creato, pla-smato, l’uomo dal nulla,“a sua immagine” (Gen1, 27), lo ha reso vivo,razionale, pieno di doni,ha posto nel cuore diquesta sua piccola crea-tura, tanto amata, un te -soro immenso: l’amore.L’uomo è un piccolo gio -iello di Dio. Spesso sen-tiamo dire, quasi comeuna frase fatta, “la vita èun dono di Dio”, ma riu -sciamo davvero a co -glierne l’aspetto fonda-mentale? Essa è un verodono, gratuito, inestima-bile, unico e non nego-ziabile. Dio in prima persona

mette in guardia l’uomocon il comandamento«Non uccidere» (Es

20,13). Ecco che si propone una rifles-sione impegnativa ma necessaria; guar-dando al mondo di oggi dove la cultura,la tecnologia e la medicina hanno fattopassi da gigante, in quale punto delcam mino dell’umanità ci troviamo? Sevogliamo includere anche il progressocivile e sociale, è bello pensare di viverein una società così evoluta. Ciò non-ostante la nostra bella società è minatada alcuni aspetti negativi piuttosto seri.

Beata madre Teresa di Calcutta

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giustizia e paceSento il dovere di citare, tra i tanti, l’a -borto; attraverso questa pratica si ottie-ne l’interruzione della gravidanza, e lamorte del bambino che la madre porta ingrembo. Attualmente questo metodo èdi sciplinato da una legge, la n. 194, checonsente di effettuare l’aborto entro iprimi mesi della gravidanza, ma se con-sideriamo che la vita ha inizio con il con-cepimento, forse dovremmo aprire gli oc -chi e renderci conto che non è tutto oroquel che luccica. Questa esperienza èper mol te donne traumatica, ed ha lesue conseguenze spirituali. Le vittime inquesto caso sono due, madre e figlio espesso i traumi post-aborto rimangononascosti, celati all’interno della persona,anche per molto tempo. La risposta del-l’amore ad un tale avvenimento è la spe-ranza di rialzarsi e ricominciare da capo,riconciliarsi con Dio, nella certezza cheDio non abbandona nessuno, soprattut-to chi comprende di aver sbagliato. Il Signore attende con pazienza la pe -

corella smarrita per ricondurla a casa, equando questa ritorna, c’è grande gioiain cielo.Ovviamente il compito di ogni buon

cristiano non è quello di giudicare e con-dannare il peccatore, ma quello di con-dannare apertamente il peccato, testi-moniando la verità, la vita è un bene sa -crosanto, e va difesa con ogni mezzo.Aggiungiamo lo spunto per un’altra ri -

flessione: un bimbo piccolo non è in gra -do di comunicare i propri desideri e sen-timenti e volontà, fino al raggiungimen-to di una certa età, andando avanti nellacrescita il bimbo conserva ancora perun certo periodo di tempo, (parliamo diqual che anno), una sorta di incoscienzadella realtà circostante e della percezio-ne dei pericoli, nonché del bene e delmale, la sua vita dipende completamen-te dalle cure di un’altra persona, in que-sto caso la mamma. Se questa è la condizione di un fragile

piccolo uomo, in che stato si trova unacreatura non ancora nata? Quanto biso-gno di protezione ha un miracolo cosìgrande?

Si apre ora il fronte delle sperimenta-zioni sugli embrioni e la questione dellaclonazione umana. A tal proposito nonpossiamo dire molto se non che il dibat-tito internazionale è ancora aperto, e chela questione è molto simile a quella so -pra menzionata. Sappiamo almeno che èproibita la creazione di embrioni ai finidi ricerca. In merito alla clonazione u -mana, anche questo è un argomento chenecessita una chiara definizione. Vo glia -mo ancora aggiungere un altro tasto do -

loroso, l’eutanasia, la “morte dolce” co -me viene definita. L’umanità si trova sudue fronti distinti ad affrontare tali argo-mentazioni, lo scontro diretto tra parerifavorevoli e contrari è ancora aperto.È il caso di volgere lo sguardo anche

ad un altro tema scottante: la pena dimor te. La seguente citazione è tratta dalsito della lega internazionale Nessunotocchi Caino: «L’evoluzione positiva ver -so l’abolizione della pena di morte in attonel mondo da oltre dieci anni, si è con-fermata nel 2010 e anche nei primi seimesi del 2011. I Paesi o territori chehan no deciso di abolirla per legge o inpratica sono oggi 155»1. È un numeroconfortante considerato il numero diquelli che fanno ancora ricorso alla penacapitale. Nessuno tocchi Caino è unalega internazionale di cittadini e di par-lamentari per l’abolizione della pena dimorte nel mondo. È un’associazionesenza fini di lucro fondata a Bruxellesnel 1993 e costituente il Partito Radicale

Maternità (foto Oxfam Italia)

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 512

giustizia e paceTransazionale. L’origine del nome delgruppo è tratto dal biblico libro della Ge -nesi (Cfr. Gen 4,15) e vuol significare:giu stizia senza vendetta. Al mondo c’è un solo modo per vivere

e tanti per morire. Basta fare rapida-mente un elenco delle pene inflitte aicon dannati a morte: la lapidazione, lafucilazione, la decapitazione, l’impic ca -gione, sedia elettrica, camera a gas, inie-zione letale, tutte ancora in vigore. C’è da dire che alcuni Stati considera-

no la pena di morte come una misuraefficace ed esemplare, fortunatamentece ne sono altri checonsiderano unacon quista della civil-tà giuridica l’abo -lizione della penacapitale. Il Parla -men to europeo, nelmarzo 1992 ha adot-tato una Risoluzioneche propone l’abo -lizione della penacapitale in tutti ipaesi del mondo. I Paesi dell’Unione

Europea sono impegnati a negare l’e -stradizione agli imputati che potrebberoessere condannati a morte. Inoltre l’im -pegno per l’abolizione della pena di mor -te in tutto il mondo pone questo puntocome condizione per i negoziati con glial tri Paesi. La pena di morte oltre ad es -sere contraria ai principi morali non si èrivelata neanche una soluzione efficacecontro il crimine, come dimostrano lesta tistiche. In alcuni paesi in cui essa èin vigore il numero degli omicidi non èdiminuito. Fare giustizia in questo modoè solo un miraggio; togliere la vita ad uncondannato a morte non gli dà occasio-ne di pentirsi e di redimersi, è l’erroreche l’uomo fa troppo spesso mettendosisu un gradino troppo alto che non glispetta. Cesare Beccaria, giurista e filo-sofo del XVIII secolo, scrive: «Chi è maicolui che abbia voluto lasciare ad altriuomini l’ arbitrio di ucciderlo? Come mainel minimo sacrificio della libertà di cia-

scuno vi può essere quello del massimodi tutti i beni, la vita?»2. Alla luce di que-sti fatti, c’è ancora spazio per un’ultimaconsiderazione: quale garanzia di giusti-zia può mai dare all’uomo la pena dimorte? Quanto è giusto privare della vitaun essere umano, se questo gesto cipone esattamente allo stesso livello dichi ha commesso azioni malvagie e de -gne di essere in qualche modo punite?La risposta è dentro ognuno di noi. Il de -siderio di vendetta e con esso uno stra-no personale sen so di giustizia, spessoprevaricano la ragione, spingendo l’uo -

mo a compiere dellescelte che, possia-mo dirlo chiara-mente, sono er rate,e non possono pro-durre buoni frutti,perché la radicestessa che li generaè malata, se un’a -zione ha origine inun cattivo senti-mento, anche il ri -sultato non sarà dameno, e le conse-

guenze di scelte sbagliate non si posso-no calcolare prontamente. Forse ungior no cresceremo anche sotto questopunto di vista, e saremo capaci di gestimemorabili dettati dal perdono e dall’a-more come hanno saputo fare i santi.Alessandro Serenelli fu condannato ascontare una pena di trent’anni per l’o -micidio della giovanissima Maria Go -retti, oggi santa, sul letto di morte Mariapregò per il suo assassino, lo perdonò echiese al Signore per lui il paradiso. In -coraggiato dal vescovo del tempo, Se re -nelli maturò il pentimento e la conver-sione. Se Alessandro fosse stato condan-nato a morte non avremmo potuto testi-moniare questo miracolo dell’amore,l’in vito di Dio si rinnova sempre, dite siall’amore e alla vita.

1 http: //www.nessunotocchicaino.it/chisia mo/index.php?idtema=10319029.

2 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Mo -lini Libraio, Parigi 1780, p. 74.

Custodire la vita: nessuno tocchi Caino

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Il Regno di Dio e la Regola del Car -meloLa meta ultima di ogni cristiano è il

Re gno dei cieli, e ciascun fedele certa-mente vorrebbe raggiungere tale tra-guardo. Il Signore Gesù ha indicato conchiarezza le strade che lì conducono;una di queste è la via della povertà e -vangelica, la povertà di spirito, ma an -che la povertà materiale, la rinuncia alpossesso dei beni della terra.A riguardo della po -

vertà la Regola carmeli-tana ha una insolita e -lasticità, che non è ri -lassamento, ma at ten -zione ai bisogni dei sin-goli, nel quadro comu-ne del carisma di tutti.La povertà indicatadal la Regola è mo tivatada una ragione escato-logica, cioè dalla spe-ranza di possedere ibe ni celesti, comin-ciando a concretizzarlinell’oggi che viviamo.L’im magine proposta èquella della prima co -munità cristiana cheaveva tutto in comunee in cui nessuno dove-va essere povero, per-ché in realtà ci si pren-deva cura gli uni degli altri (cfr At 2, 44-45). Questa attenzione alla persona èim portantissima per non vivere la po -vertà in modo rigido, ma con soavità se -condo lo stile intuito dai primi eremitisul Carmelo, lasciando un certo spazio

per la diversità, per le necessità perso-nali. Ogni carmelitano è chiamato oggia fare un percorso nell’esperienza dellapovertà, sempre partendo dalla con-templazione della povertà di Cristo.

Povertà e relazioni umaneMa è necessario anche chiedersi: è

possibile indicare ancora oggi, nella no -stra società opulenta la via della pover-tà? Si può sperare di dare ai fratelli un

segno forte per ciò cheriguarda l’uso dei benimateriali? L’esperienzadi ogni giorno sembradirci di no, o almeno cifa ca pire costantemen-te che non è cosa fa -cile. An che quando cisi sforza a “vivere lapo vertà”, non si riescea incontrarla veramen-te. Bisogne rebbe purestare attenti a parlaredi essa, anche nei no -stri ambienti religiosi,dove spesso si parla acuor leggero di questecose. Bisogna stare at -tenti a parlare dellapo vertà, se non si è ve -ramente poveri. Si po -trebbe correre il ri -schio di non trovarsi al

posto di Giobbe, ma in quello dei suoiamici troppo saggi, che disquisisconosulla sua situazione senza mai real-mente comprenderla (Cfr. Gb 2,11;34,36-37). La vita povera può esserevis suta solo se si riparte da Gesù Cri -

FFuuooccoo cchhee ttrraassffoorrmmaaovertà e possesso

� p. Carmelo Silvaggio, O. Carm.

Regola Carmelitana e povertà

P

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 514

sto, che si è fatto povero. A tal proposi-to scriveva il precedente priore Gene -rale Joseph Chalmers: «Gesù ha vis sutonell’incertezza, in una si tuazione pre -caria. Ha vissuto senza una casa, co meuno straniero e un pellegrino sulla ter -ra. Seguirlo si gnifica affrontare una vitaprivata del le umane sicurezze e caratte-rizzata dalla povertà (Mt 8,20). I disce-poli del Maestro non hanno il permessodi stabilirsi confortevolmente in questomondo (Lc 9,57-58). Essi sono chiama-ti ad assumersi la responsabilità di unavita rischiosa, incerta, insicura a livellomateriale e ancor più a livello spiritua-le, nel senso che essi devono perdere lapropria vita per riceverla in abbondan-za (Mt 16,25). La povertà radicale di Ge -sù consiste nel suo autosvuotamento(Fil 2,7). In Gesù troviamo l’aiuto di Diosotto forma di povertà. Dio assume lano stra povertà e condivide con noi lasua ricchezza (2 Cor 8,9). Naturalmentela ricchezza di Dio non ha nulla a chevedere con il denaro. Per partecipare al -le ricchezze del Cristo, è necessario an -che partecipare al mistero della povertàe dell’auto-svuotamento, che ci vienecompletamente svelato con la morte diGesù in croce. Dio rivela la sua potenzanella debolezza (2Cor 12,9-10; 1Cor1,25)»1.

Le persone, anche ricche material-mente, sono spesso povere di Dio e per-ciò rinchiuse in una solitudine a voltedisperata. Noi che ci sentiamo, per gra-zia, “ricchi di Dio”, della sua Parola, deisacramenti, dell’aiuto della preghiera,dovremmo chiederci: siamo sino infond o coerenti con la responsabilità checi è affidata? Dio si dona a noi ad unacondizione: che noi lo doniamo ai fra-telli. Di fronte alla povertà di speranzache invade il nostro mondo occidentale,noi possiamo scegliere di risponderecon una vita di preghiera, che può cam-biare il corso della storia e avviare cam-mini di riconciliazione e giustizia tra ipo poli, ma questo non basta. La nostrasolidarietà con chi è “senza Dio” si devetradurre in un cammino di consapevo-lezza della nostra stessa povertà, in atticoncreti di carità. Noi sappiamo chetutti, senza distinzioni, nel giorno delgiudizio universale, saremo giudicatisul nostro amore concreto verso i fratel -li2. Sarà anzi nell’amore concretamenteesercitato che molti, in quel giorno, sco-priranno di aver di fatto incontrato Cri -sto, pur non avendolo prima conosciu-to in modo esplicito: «Ho avuto fame emi avete dato da mangiare, ho avuto se -te e mi avete dato da bere; ero forestie-ro e mi avete ospitato, nudo e mi avete

vestito, malato e mi avete visita-to, carcerato e siete venuti atro varmi. In verità vi dico: ognivolta che avete fatto queste cosea uno solo di questi miei fratel-li più piccoli, l’avete fatto a me.» (Mt 25,35-36.40) La povertà più grande di oggi

è di aver perso di vista l’im -portanza delle relazioni umanee della persona nelle sua fonda-mentale unicità. Quanti sonopo veri materialmente sonospes so più felici di molti altri, seconservano relazioni più vere efraterne, meno frettolose e su -perficiali. Noi dobbiamo sentircichiamati come contemplativi auna vita veramente fraterna, a

«Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi» (2Cor 8,9)

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ri trovare e a mettere al primo po sto que -ste dimensioni, vivendo anche il mi ste -ro del tempo come dono che non ci ap -par tiene. Spesso ci sentiamo poveri ditempo, in questa società frenetica, maesso lo vedremo moltiplicarsi se lo usia-mo per coltivare relazioni fondate sullaverità: ascoltare e accogliere ogni fratel-lo senza ansia e in totale gratuità.

Un rinnovato spirito di povertà è senza dubbio anche una fonte di paceA tale riguardo scriveva in beato Gio -

vanni Paolo II in occasione della XXVIgiornata mondiale della pace: «Nei Paesiindustrializzati la gente è oggi domina-ta dalla corsa frenetica verso il posses-so di beni materiali. La società dei con-sumi fa risaltare ancor più il divario chesepara i ricchi dai poveri, e la spasmo-dica ricerca del benessere rischia diren dere ciechi di fronte agli altrui biso-gni. Per promuovere il benessere socia-le, culturale, spirituale ed anche econo-mico di ogni membro della società, èdun que indispensabile arginare l’im mo -derato consumo di beni terreni e conte-nere la spinta dei bisogni artificiali. Lamoderazione e la semplicità devono di -ventare i criteri del nostro vivere quoti-diano. La quantità di beni, consumatida una modestissima frazione della po -polazione mondiale, produce una do -man da eccessiva rispetto alle risorse di -sponibili. La riduzione della domandacostituisce un primo passo per allevia-re la povertà, se ad essa si accompa-gnano efficaci sforzi per assicurare unagiusta distribuzione della ricchezzamondiale».Parole, queste, scritte per il 1° genna -

io del 1993, ma più che mai attuali ainostri giorni. Il Papa continuava: «IlVan gelo invita, in proposito, i credenti anon ammassare beni di questo mondoperituro: “Non accumulatevi tesori sul -la terra, dove tignola e ruggine consu-mano e dove i ladri scassinano e ruba-no; accumulatevi invece tesori nel cielo”(Mt 6,19-20). È, questo, un dovere insi-to nella vocazione cristiana non diver-

samente da quello di lavorare per scon-figgere la povertà; ed è anche un mezzomolto efficace per riuscire in tale impre-sa. La povertà evangelica è ben diversada quella economica e sociale. Mentrequesta ha caratteristiche impietose espesso drammatiche, essendo subitaco me una violenza, la povertà evangeli-ca è liberamente scelta dalla personache intende così corrispondere al moni-to di Cristo: “Chiunque di voi non ri -nunzia a tutti i suoi averi, non può es -sere mio discepolo” (Lc 14,33). Tale po -vertà evangelica si pone come fonte dipace, perché grazie ad essa la personapuò instaurare un giusto rapporto conDio, con gli altri e con il creato […] Il Si -gnore Gesù ricordò ai ricchi che l’in -ganno della ricchezza soffoca la Parola(cfr. Mt 13,22), e che per loro è difficileentrare nel Regno di Dio (cfr. Mc 10,25).L’esempio di Cristo, non meno della suaparola, è norma per i cristiani. […] Pos -sano i ricchi e i poveri riconoscersi fra-telli e sorelle, condividendo tra loroquanto posseggono, come figli di un so -lo Dio che ama tutti, che vuole il benedi tutti, che offre a tutti il dono dellapace!».

1 J. Chalmers, Il Signore ascolta il gridodel povero, Edizioni Carmelitane, Roma2006, 13.

2 Cfr. G. della Croce, Detti di luce e amoren. 59, in G. della Croce, a cura di L. Bor riel -lo, Opere complete, San Paolo, Cini sello Bal -sa mo (MI) 2001, p. 113.

«Perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9)

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 516

prop

oste

di lett

ura

Anche se i Vangeli canoni-ci di Luca e di Matteo non ciparlano dei due animali ac -canto alla mangiatoia di Gesùbambino, esiste una lungatra dizione che lo attesta e chesi poggia su un solido fonda-mento biblico. In questo stu-dio gli autori svelano la ric-chezza biblica, teologica e spi-rituale racchiusa in questidue sorprendenti animali, te -stimoni del mistero del l’In car -nazione.

Quello che colpisce mag-giormente nella lettura di que-

sto libretto sull’asino e il buenella Tradizione (con la T ma -iuscola) cristiana è il mirabileinsieme di amore, competenzaprofessionale e umana delica-tezza con cui i due studiosiSal vatore Schi rone e Ro sarioScogna mi glio, già noti per altripregevoli lavori in campo bibli-co-patristico, han no curato eproposto, come lo scriba delVangelo che, “diventato disce-polo del regno dei cieli, è simi-le a un padrone di casa cheestrae dal suo tesoro co senuove e cose antiche” (Mt 13,52).Siamo soliti considerare il

bue e l’asinello solo due gra-ziosi accessori dei nostri pre-sepi, messi lì per tradizione,ma non si sa bene perché, for -se solo per riscaldare il bambi-no e la grotta; vengono allamente, ad esempio, i versi con-clusivi della celebre filastroccadi Guido Gozzano, La NotteSanta: “Quanta neve, quan-

ta!” dice sgomento Giu seppe aMaria, ma aggiunge: “Un po’ ciscalderanno quell’asino e quelbue. Maria – conclude il poeta– già trascolora divinamenteaffranta.../ Il campanile scoc-ca la Mezzanotte Santa”. Perriscaldare il bambino e la grot-ta... ma nulla di più...Questo lavoro ci fa scoprire

che c’è invece tanto di più. Cifa scoprire quanta ricchezza ivangeli apocrifi, i Padri dellachiesa di oriente e di occiden-te, il medioevo e l’età moder-na, fino a Benedetto XVI, ab -biano tratto dal bue e dall’asi-no del presepe, mettendo in -sieme Antico e Nuovo Te sta -mento, Parola e liturgia, vitacivile e vita della chiesa, dottiscritti e semplici canti popolari,parole di ogni tempo e immagi-

ni di una preziosa iconografianatalizia.È incredibile vedere quante

riflessioni, quante intuizioni,quanti messaggi abbia susci-tato il testo di Isaia (1,3): “Ilbue conosce il proprietario el’asino la greppia del suo si -gnore”, un testo ‘accomodato’alla Natività; quante interpre-tazioni allegoriche e spiritualiabbiano avuto i due animalitra i quali, secondo un versettodel profeta Abacuc, il Signore“si rivelerà” (cfr. Ab 3, 2, LXX).Potrebbe sembrare quasi irri-verente, ma, lo sappiamo, è ilmistero abissale, inaudito,dell’abbassamento di un Dioche “apparso in for ma umana,umiliò se stesso facendosi ob -bediente fino alla morte, e allamorte di croce” (Fil 2, 7-8).Dalla mansuetudine del

bue, dalla docilità dell’asinoim pariamo anche noi l’umiltà ela mitezza, impariamo a mette-re da parte anche la superbiadi una dotta erudizione. ScriveBenedetto XVI: “nella stalla,dove è lui, non abitano le per-sone raffinate, lì sono di casaappunto il bue e l’asino”.Nasce dalla lettura di que-

ste pagine un senso e un biso-gno di adorazione del misterodel Dio fatto uomo. Dice il pre-sepiaro napoletano di SanGregorio Armeno: “Il bue e l’a -sino sono inginocchiati perché,malgrado siano semplici ani-mali, lo sanno che quel Bam -bino è Figlio di Dio e come talelo devono adorare. Non vi pa -re?”. Ad adorare le meravigliedi Dio siamo condotti per ma -no, mistagogicamente, at tra -verso queste pagine.

(Presentazione diGiuseppe Micunco, pp. 7-9)

Salvatore SchironeRosario Scognamiglio

Ti rivelerai tra due animali.L’asino e il bue nellaTradizione cristiana

Levante editori, Bari 2011Euro 6,00

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profili del carmelo

Gli anni della giovinezzaAngelo Paoli nacque in un piccolo

pae se della Toscana, Argigliano, nel1642 e fu battezzato col nome di Fran -cesco, e visse la sua fanciullezza e ado-lescenza in una famiglia profondamentereligiosa. Fin da piccolo avvertì l’esi -genza di condividere la gioia della fedecon i suoi coe ta nei, apostolato che daalcuni gli valse il titolo di be ghino, bigot-to1. Tutta la sua adolescenza fu caratteriz-

zata da eventi che ne segnarono la spiri-tualità, tra cui il dramma della mor tedella madre, quand’egli aveva an cora 14anni, che lungi dal fargli sprofondare inun dolore senza via di uscita, gli permi-se di aprirsi ulteriormente al misteroamoroso di Dio, il Si gno re della vita.

La disponibilità come vocazioneAll’età di 18 anni, abbracciò la vita re -

ligiosa nel Carmelo, scegliendo que -st’Ordine per la sua profonda spirituali-tà mariana alla quale si sentiva partico-larmente legato, e acquisì il nome di An -gelo. All’età di 29 anni ricevette il Sa -cramento dell’Ordinazione presbiterale. Nonostante mostrasse grandi attitudi-

ne agli studi, non volle conseguire piùalti gradi accademici, decidendo di con-sacrare la sua vita religiosa, e il suo mi -nistero presbiterale, alle necessità del -l’Or dine e all’accoglienza dei poveri edegli emarginati. Si contraddistinse per la sua grande

disponibilità ai progetti del suo priore,accettando in pochi anni diversi incari-chi e facendosi pellegrino tra le varie cit -tà del centro Italia. Fu maestro dei novi-

zi a Firenze, parroco a Corniola, frazionedi Empoli, successivamente a Siena, do -ve iniziò il suo apostolato per i poveri,no minato inse gnante di grammatica aMon te ca tini, fino a giungere nel Carmelodi Pisa dove riuscì a coinvolgere diversinobili alla sua causa per i poveri. Cosìscrive il suo biografo: «portavano al pa -dre Angiolo elemosine cospicue, e lui fa -ceva presto a distribuirle ai poveri: pare-va che le monete gli scottassero tra i pol-pastrelli delle dita»2. Tuttavia il suo iti-nerare non era ancora terminato, dopopo chi mesi di soggiorno a Pisa gli fuchiesto di coprire l’incarico di sacrista eorganista nel convento di Fivizzano, inprovincia di Massa Carrara, finché nel1687, proprio il Priore Generale chiese lasua presenza nel convento di S. Martinoai monti di Roma, rimanendovi per 33anni fino alla fine della sua vita terrena.Sarà questa città che ammirerà stupitalo spettacolo della sua carità3.

Padre dei poveriMinistero principale del beato carme-

litano nella città eterna fu una profondaattività di recupero sociale e religioso de -gli emarginati, soprattutto poveri e am -malati. A centinaia i mendichi si affolla-vano al cortile esterno del con ven to. At -tendevano da lui nutrimento per il corpoe per lo spirito, e la Prov vi denza non dis-attese mai le aspettative di questo picco-lo frate che confidava pienamente in co -lui che disse: «tutto quello che chiedere-te con fede nella preghiera, lo otterrete»(Mt 21,22). «Infiammato dalla fede e illu-minato dalla luce dello Spirito, scoprìche il Signore lo chiamava a vivere, po -

Beato Angelo Paoli

Beato Angelo Paoli,Padre dei poveri

� fr. Francesco M. Ciaccia, O. Carm.

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 518

tremmo dire, una vocazione speciale,quella di essere servo dei poveri»4.Tuttavia egli non era solo venerato e

amato dai poveri e dai malati, ma anchedai Papi, dai Car di nali, dai principi e dainobili romani, che beneficati da lui spi-ritualmente lo aiutavano con offerte ge -nerose: «diventava così il ponte che uni -va le mani del povero che chiedeva conle mani del ricco che donava»5.Dal genio della sua carità nacque il

con valescenziario, ovvero quel luogodove poter accudire e sfamare tutti queidegenti rimessi dagli ospedali ma chetuttavia, bisognosi di cure ricostituenti,

non potevano ancora riprendere il lavo-ro, e quindi incapaci di sostenersi eco-nomicamente (per molti di loro, in gene-re non restava che l’accattonaggio). Dap -prima cominciò a sistemare questi con-valescenti in famiglie benestanti che ac -cettavano di ospitarli per un certo nu -mero di giorni, finché nel 1710 conseguìil suo sogno, l’albergo per i convalescen-ti, il primo in Italia, che ospitava i de -genti gratuitamente fino al loro comple-to recupero.Altro aspetto fondamentale della sua

spiritualità, intrisa di profonda preghie-ra, amore eucaristico ed equilibrataascesi, era il suo amore per l’umanità diCristo, che vedeva riflessa nel volto deipoveri e dei sofferenti. Per questo motivofissò diverse grandi croci per la città diRoma, nei luoghi più significativi dellacittà in maniera che fossero visibili dalontano e richiamassero l’attenzione e gliaffetti dei cristiani durante la loro quoti-

dianità. Una di queste croci è quella chefissò all’interno del Colosseo6, dando ini-zio a quel pio esercizio che è la preghie-ra della Via Crucis che ogni anno ilSanto Padre presiede.Morì nel 1720 «come un testimone, un

profeta di speranza, un autentico segnodella tenerezza di Dio nei confronti degliultimi della terra»7, e sulla pietra lapida-ria incisero ac canto al suo nome, queltitolo per cui era conosciuto in tutta Ro -ma: “Padre dei poveri”.

L’attualità di una testimonianzaOgni vita vissuta coerentemente alla

propria vocazione battesimale è sempreattuale, in qualunque contesto storico esociale essa s’incarni, la santità infatti èla chiamata universale che accomunatutti i fedeli in Cristo, indipendentemen-te dal proprio stato di vita8.In un mondo in cui il povero diventa

sempre più misero, e il ricco continua acrescere nella propria opulenza, la testi-monianza del beato Angelo si rivela par-ticolarmente attuale, segno della cura edella predilezione di Dio per i poveri, chetuttavia non lascia di chiamare alla con-versione chi fa delle ricchezze una idola-tria, e ci invita a mettere in pratica quel-la giustizia che prima di essere religiosae cristiana, è umana e sociale in quantoa ogni uomo spetta di vivere una vitadignitosa9 e di tutelare il proprio lavorodurante il periodo della sua malattia edella degenza10.

1 Cfr. G. Papàsogli – G. Verrienti, Un Apostolo so -ciale. P. Angiolo Paoli, Milano, Ancora 1962, p. 14.

2 Ibid, p. 48.3 Cfr. A. Amato, Omelia, 27.4.2010.4 A. Vallini, Omelia, 26.4.2010.5 Ivi.6 Luogo che al tempo era erroneamente ritenuto

sede dei martirii nella prima età cristiana.7 F. Millán Romeral, Vi raccomando i miei poveri

e i miei malati..., Edizioni carmelitane, Roma 2010,p.10.

8 Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gen-tium, n. 41.

9 Cfr. Assemblea Generale delle Nazioni Unitedel 1948, Dichiarazione Universale dei Diritti del -l’Uo mo, preambolo.

10 Codice di Diritto Civile, art. 2110.

profili del carmelo

Solidarietà internazionale (foto Focsiv)

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LLaa ttuuaa bbeelllleezzzzaa ssiiaa llaa mmiiaa

Quando oggi sentiamo parlare di“nuo ve povertà”, dobbiamo sapere che cisi riferisce ad un fenomeno presentenella nostra so cietà, in particolare nellanostra Italia, che tra-scende l’aspetto pura-mente economico e com-prende una sfera piùampia che abbracciatutti gli aspetti essenzia-li della vita: la fa miglia,il lavoro, le relazioni. Lenuove po vertà sono ap -punto quelle relazionali.Le “patologie della mo -dernità”, infatti, sono laso litudine, l’isola mento,l’esclusione so ciale.Quella italiana è una

popolazione che invecchia perché leaspettative di vita aumentano ma ancheperché diminuiscono le nascite, e se que-sto accade è perché le famiglie, se equando si costituiscono, vivono situazio-ni di precarietà economico-lavorativa acausa delle quali tendono a non mettereal mondo figli per evitare di vivere e farvivere in miseria e perché non trovanonello Stato un sostegno sicuro. Lo Stato

infatti, data la maggiore presenza di an -ziani, realizza progetti di protezione so -ciale principalmente per loro e non inve-ste quanto dovrebbe nella popolazione

giovanile e in fantile,cioè nel futuro dellasocietà!È una situazione

che vuole pian pianocambiare, si stannofacendo dei piccolipassi nell’area ma -terno-infantile perin centivare la natali-tà; ma è certo che lepolitiche giovanili,cioè quelle azioni vol -te a dar valore allapresenza dei giovani

nel nostro paese e specialmente nel Me -ridione, non sortiscono gli effetti voluti. Iconfronti internazionali rivelano come l’I -talia sia il paese che destina meno risor-se alle fasce giovani della popolazione.È evidente come i giovani facciano fati-

ca a stabilizzarsi con un lavoro e con unapropria famiglia, per questo è diffusa latendenza/necessità a restare con la fa -miglia d’origine, unica fonte di sicurezza.I giovani italiani sono quelli che più alungo dipendono dai genitori e che piùritardano le tappe di transizione alla vitaadulta. Se l’azione pubblica verso i gio-vani non è quella che dovrebbe essere èanche perché molto fa affidamento sul-l’azione protettiva della famiglia. Ma aldi là dello stereotipo dei giovani italiani“mam moni”, i dati economici e occupa-zionali hanno un grande peso sulla lun -ga permanenza nella famiglia d’origine,soprattutto nel Mezzogiorno.

iovani e speranzeG� Floriana Grassi

Nuove povertà

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 520

«I giovani che restano a lungo in fami-glia mostrano un maggior livello d’in sod -disfazione e di sfiducia in se stessi e que-sto lascia pensare che in situazioni piùfavorevoli non resterebbero poi così alun go nella casa dei genitori»1.Negli studi realizzati sulle politiche so -

ciali in Europa, emerge come il Medi ter -raneo europeo, tra cui l’Italia, sia il menosviluppato sotto questo punto di vista.Al cuni studiosi in questa situazione evi-denziano l’influenza della Chiesa catto -lica.In generale, la Chiesa, dove ha avuto

reale influenza, ha sostenuto un modellofondato sul principio di “sussidiarietà”,«giustificata in quanto espressione della

responsabilitàdi ogni personaverso il benes -sere dell’altro.Questo in ragio-ne della vicinan-za della loro re -lazione. Dato che le

relazioni più vi -cine e intimes’in staurano inprimo luogo tragli individui ap -partenenti aduna famiglia, è

proprio quest’ultima ad essere chiamataa prendere su di sé la responsabilità pri-maria del sostegno sociale. Di conse-guenza il ruolo di altre istituzioni chesono più lontane è più limitato, in altreparole, queste ultime svolgono un ruolopiù “sussidiario” rispetto alle responsa-bilità primarie. Il ruolo dei servizi pubbli-ci, in particolare, è sussidiario rispetto aquello della famiglia, della comunità lo -cale, del settore privato»2.La Chiesa pone al centro la famiglia, la

comunità e il volontariato come attori vi -cini alla persona, rendendo sussidiario ilruolo dello Stato. Questo non dev’esseremotivo di deresponsabilizzazione pubbli-ca, né deve invogliare le famiglie italianea non lasciar andare e rendere autonomi

i figli. La situazione dei giovani oggi èmol to difficile ed è altrettanto difficilepar lare di speranza!«Ecco, viene l’ora, an zi è già venuta, in

cui vi dispererete ciascuno per conto suoe mi lascerete solo; ma io non sono soloperché il Padre è con me. Vi ho dettoque sto perché abbiate pace in me. Nelmondo avete tribolazioni, ma abbiate co -raggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,32-33). Gesù c’invita al coraggio! Ci chiededi non avere paura, qualunque sia la no -stra tribolazione.Quanto vane, nei momenti di maggior

sconforto, possono sembrare le sue pa -role d’incoraggiamento? Quanto difficilesembra riporre in Lui la speranza quan-do si è bisognosi di certezze immediate etangibili?L’Italia, come tutto il mondo occiden-

tale, ha una cultura individualista, cen-trata sull’io, basata sulla necessità di re -alizzazione e sul successo personale; sequesti mancano, ci si sente falliti. Bisogna sconfiggere quelle nuove po -

vertà relazionali invitando alla comunio-ne! È questa oggi la speranza da realiz-zare: fare comunione! Noi dobbiamo di -ventare corpo di Cristo! E non mi riferi-sco solo ai credenti. Teniamo semprepre senti le parole di Gesù: «In verità vidico: i pubblicani e le prostitute vi pas-sano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31);perché come ricorda il profeta Ezechiele:«Se il giusto si allontana dalla giustizia ecommette il male e a causa di questomuo re, egli muore appunto per il maleche ha commesso. E se il malvagio sicon verte dalla sua malvagità che hacom messo e compie ciò che è retto e giu-sto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto,si è allontanato da tutte le colpe com-

La Chiesa pone al centro la famiglia

Don Tonino Bello

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NOVEMBRE / DICEMBRE 2011 21

messe: egli certo vivrà enon morirà» (Ez 18,26-28)Come cristiani, io credo,

abbiamo anche la respon-sabilità nei confronti deinostri fratelli non cristianio non credenti. Quelli cheincontriamo fuori dalleparrocchie: nelle scuole,nelle università, nei posti di lavoro, nellenostre comitive, quelli che incontriamoper caso, quelli che trovano in noi unamico. Essi sono in sieme a noi corpo diCri sto, perché con dividono con noi ilviag gio in questo mondo che è la nostravita.Un bellissimo messaggio ai giovani

sul la speranza è quello di Don ToninoBello, mandato ai giovani di Azione Cat -tolica della Diocesi di Lecce in occasionedella “FestaGiò” del gennaio 1993, annodella sua morte: «Tutti quanti, co me cre-denti, siamo annunciatori della Pa roladel Signore. [...] Un credente che non tra-smette all’altro la Buona Notizia, è uncredente spento, che non dice nulla. Ilnostro annuncio, ci dice, sia audace,carico di utopia e di prassi. L’annuncioche si pratica nella contemplazione delvolto. Il volto dell’altro. Nella Bibbia noileggiamo: “Il tuo volto Signore io cerco.Fammi scorgere il tuo volto”. Noi do -vremmo dire: “Il tuo volto, fratello, io cer -co. Fammi scorgere il tuo volto”. Un vol -to, come dice Lévinas, un grande filosofocontemporaneo, che bisogna contempla-

re, che bisogna accarezza-re, col quale bisogna en -trare in rapporto dialogi-co»3.

Chiamati ad essereprofeti del cambiamento,pron ti a scrutare i cielinuovi e le terre nuove, vo -glio concludere questo

bre ve articolo con l’e sortazione dellostesso don Tonino: «Ge sù ha detto: “Iosono venuto a portare il fuoco sullaterra”. E noi che fuoco portiamo? Noisiamo cenere spenta, a vol te... viviamonei nostri bivacchi, ma sen za slanci, sen -za passioni! […] Io qualche volta sono unpo’ rattristato nel vedere i nostri giovaniun po’ stanchi, un po’ flem matici, penso-si soltanto alle loro cose, che si cintura-no di sicurezze. Vor rei esortarvi tantissi-mo ad allacciarvi in sieme con gli altri.Sperimentate il senso della comunione,con tutti. Guardate al la gente che soffre,che muore. Battetevi per loro, perchécambi la mentalità del mondo […] Voi ra -gazzi questo lo potete fa re. Potete intro-durre questi germi di novità nel nostromondo che è così triste, è così infiacchi-to. Voi questo potete far lo!»4.

1 Rapporto giovani. Sesta indagine dell’I sti tu -to Iard sulla condizione giovanile in Italia.

2 Spicker, The principle of Subsidiarity andthe Social Policy of the European Community in“Journal of European Social Policy.

3 T. Bello, Messaggio ai giovani di Azione Cat -tolica, 1993.

4 Ivi.

Il tuo volto, fratello, io cerco(cfr. Sal 26,8)

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 5

IInnssiieemmee ccoommee ffrraatteelllliiFESTA DELLA MADONNA DEL GRANATO

Sono passati, ormai, tre secoli dal lon-tano 2 maggio 1712, anno in cui, dopo ilgrande restauro, l’antica basilica ca pu -taquense (Capaccio) ad opera del suo ve -scovo, Mons. Francesco De Nicolai, furiaperta al culto.Da allora si ricorda con una festa li -

turgica, tale ricorrenza religiosa chepuntualmente si ripetean che ai nostri giorni, connu merosa partecipazionedi fedeli, provenienti oltreche dal comune di Ca -paccio anche dalle localitàche circondano l’ampiapia na del Sele che si aprenel golfo di Salerno.Preparata da un triduo

di preghiere, si è volutosensibilizzare la comunitàdei devoti a prepararsi spi-ritualmente a tale ricor-renza.Un manifesto, diffuso

nel le varie contrade, oltrea presentare il programmadei festeggiamenti, invita anche i fedeli apartecipare numerosi ai sacri riti: “LaMa dre del Bell’Amore che mostra il fruttodella melagrana, ci manifesta il dolceamore di Dio che come Padre premurosolo riversa su ognuna delle sue creature.Sul Tuo esempio o Madre, fa che tutta lanostra vita sia una risposta riconoscentea quest’amore paterno”.Il 2 maggio giorno della festa si sono

svolte numerose celebrazioni liturgiche:tre sante Messe nel mattino, una nel po -meriggio cui ha fatto seguito una devotaprocessione con la venerata immaginedella Madonna del Granato nei dintornidel santuario medesimo.Particolarità delle manifestazioni della

giornata celebrativa su riferite: � la Messa Solenne delle ore 11:00, (ani-mata dalla corale “Il Lievito” della par-

rocchia di Ponte Barizzo) è stata presie-duta dal Vescovo della Diocesi di Vallodella Lucania: Mons. Giuseppe Roc coFa vale. � Durante la processione offertoriale so -no stati presentati oltre ai doni comunidel pane, vino, candelieri e fiori, ancheun’ anfora di creta contenente l’olio

offerto dai devoti, perchéarda di continuo la lam-pada votiva davanti allastatua della Madonnadel Granato.� Non è mancato, tra ido ni, la tradizionale“cen ta”: costruzione li -gnea dalle varie forme:rotonde, ovali, piramida-li o a mo’ di barca, pienadi candele adornate difiori e nastri colorati.Nel passato, quando

non esisteva l’illumi na -zione elettrica, l’offer tadi tutta questa cera, ga -rantiva la luce nel luogo

sacro per l’e sercizio del culto.Commentava la presentazione dei vari

doni, il giornalista Dott. Pietro Comite;nel mentre, una troupe televisiva dellaRai riprendeva il sacro rito all’internodella Basilica. Al termine della celebrazione eucari-

stica, il vescovo si è recato davanti allasacra immagine della Madonna perl’incensazione; mentre il sindaco di Ca -paccio, il sig. Pasquale Marino, accende-va la lampada votiva.All’esterno, nella piazza antistante il

Santuario, erano stati allestiti deglistand per l’esposizione dei prodotti tipici“frutto santo del lavoro dell’uomo” pro-dotti nell’amena piana del Sele. La ripresa di tale servizio, verrà in

seguito trasmesso, a beneficio di tutti ife deli non presenti al culto, nelle tra-

Madonna del Granato con addobbo floreale

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NOVEMBRE / DICEMBRE 2011 23

smissioni televisive della re -gione campana. Tutte queste manifestazio-

ni tradizionali so no state or -ganizzate dal la benemeritaAsso cia zio ne: “AMICI DELCALPAZIO” i cui membri conspirito di abnegazione, daoltre un quinquennio, si pro-digano sempre più per farco noscere anche oltre il co -mune di Capaccio, la suaric ca storia e straordinariacultura che affonda le sueorigini nell’antica Paestum. Nel pomeriggio, come si è già accen-

nato, vi è stata una solenne processionein onore della Madonna del Granato.Quest’anno, per la tradizionale mani-

festazione di fede all’esterno della Ba si li -ca vi è stata una “novità” degna di no ta. L’eremita carmelitano, p. Domenico

Fio re, rettore del Santuario, venuto inpossesso di una vecchia foto della vene-

rata immagine di quella sta-tua lignea del XV secolo chefu di strutta da un paurosoincendio nel 1918, ha prov-veduto a realizzare un gran-de quadro di essa. Dopoaver proceduto alla solennebe nedizione della “nuo vaim magine”, sul sagrato delSantuario, si è dato inizioalla devota processione ma -riana.Che tale manifestazione

sia stata un vero tripudio difolla, lo prova il fatto che il 2

maggio di quest’anno, pur essendo statogiorno lavorativo, tempo minacciosa-mente inclemente, i fedeli della Ma don -na del Granato sono accorsi numerosis-simi a rendere omaggio alla loro celestePatrona, Madre dell’abbondanza dellaGrazia Divina.

Padre DOMENICO FIORE, O. Carm.

Riproduzione dell immaginedel XV secolo ritrovata

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 524

Un nuovo mantello diseta bianca tutto ricamatoin oro è stato regalato daun devoto alla statua dellaVergine del Monte Car -melo, nella chiesa del Car -mine di Martina Franca. Ilparroco, don Michele Ca -stellana, lo ha benedetto inpresenza di tutti i fedeli e,subito dopo, lo ha fatto in -dossare alla Madonna conuna cerimonia molto sem -plice.

Sot to quel manto pre-zioso, quante preghiere ab -biamo affidato a questa Venerabile Si -gnora: insieme alle tan te richieste diguarigioni dalle malattie, dai dolori e daiproblemi della vita che tanto ci angustia-no, abbiamo chie sto anche la capacità asopportare la noia, le contrarietà quoti-diane, le accuse in giuste, le tentazioniche vengono dal demonio (che è menzo-gnero e si accanisce contro i migliori) e diessere illuminati sul cam mino da intra-

prendere, specialmentequando questo ci appareoscuro e difficile. LaVergine Santa, af fac cian -dosi su questa no stra mi -sera valle di lacrime, nonmancherà certo di aiu-tarci: Lei che ha aiutatoGesù a portare la croce,aiuterà anche noi a por-tare le nostre, se con lafiducia e l’ab ban dono difigli confideremo nel suocuore materno; anche senon tutti saremo esaudi-ti, Lei addolcirà le nostre

pene aiutandoci a sopportarle.Fondamentali, durante la novena,

sono state le omelie del padre somascoVincenzo Carucci che ci ha aiutato ariflettere sulla figura di Maria attraversole meditazioni dei santi carmelitani. Essici indicano la Vergine come un modellodi perfezione cristiana da imitare: nelsuo servire gli altri dimenticandosi di sestessa, come quando, dopo che l’angelole aveva annunciato la nascita del figliodi Dio, Lei si mise in cammino verso unaregione montuosa per andare a trovarela cugina Eli sabetta e servirla e assister-la; nella sua povertà dove scopriamo cheDio compie meraviglie fra i poveri; nel-l’obbedienza alla volontà del Padre per-ché ha accolto il suo progetto di vino; maso prattutto nella sua umiltà che è la piùimportante fra tutte le virtù e senza laquale non ci può essere nes sun’altravirtù in un’anima. E in Maria, Madre diDio, fu davvero grande la sua umiltà,perché si ricordava sempre che tutto eradono di Dio! La festa religiosa è terminata con la

processione in cui hanno sfilato, per levie del paese, insieme alla statua dellaMadonna, tutti i gruppi costituenti lachiesa del Carmine: l’azione cattolica, ilterz’ordine e centinaia di confratelli econsorelle nei loro abiti di rito.

VITTORIA ROMANAZZO

FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE A MARTINA FRANCA

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Mercoledì 17 agosto, cir ca 500 perso-ne di 20 nazioni differenti, si sono riuni-ti in una scuola vicino a Ma drid per cele-brare un incontro fa mi -gliare, l’incon tro dei giovanicarmelitani. È stato il pun -to d’arrivo di un camminocominciato l’anno pas sato aRoma con il pellegrinaggiodella Speranza.L’idea nacque dalla stes-

sa Curia Generalizia inten-ta ad ascoltare la voce deigiovani, e per questo i Con -siglieri Ge nerali Raúl Ma -raví e John Keating, affida-rono la preparazione diquesto incontro a una com -missione formata da giova-ni laici e frati carmelitani,che per mesi hanno lavora-to duramente perché tuttoriuscisse nel migliore dei modi possibili.Il 16 agosto, circa 80 giovani, facenti

parte dello staff, s’impegnarono per pre-parare la struttura della scuola che ciavrebbe accolto, e far sì che ci sentissi-mo come a casa e dove ogni angolo ciricordasse il nostro DNA carmelitanoche ci unisce in una stessa famiglia, in

quello spirito che ci lega nonostante ledifferenze culturali e linguistiche.Il giorno 17 fu una giornata molto

calda, come caldo fu il benve-nuto ai distinti gruppi. Adogni giovane si consegnava, aseconda della lingua di prefe-renza (spagnolo, italiano oinglese), una cartellina con ilmateriale necessario. Co min -ciò ufficialmente la Gior nataCarmelitana con il messaggiodi benvenuto, letto nelle trelingue ufficiali del l’Or dine,per poi far entrare processio-nalmente l’icona del la Verginedella Speranza attorniata dal -le diverse bandiere dei pae sipartecipanti. Seguì una brevepreghiera perché il Signore,per intercessione della Ver -gine del Carmine, concedesse

un incontro personale ed intimo nelcuore di ogni giovane presente.Terminata la preghiera, fece la sua

entrata il Padre Generale attorniato daventi bandiere con il logo dell’incontrodei Giovani Carmelitani. Con la suagrande capacità di sintetizzare, ci spiegòil contenuto della lettera che aveva in -

viato ai giovani in oc -casione di questo in -contro. Si passò ai la -vori di gruppo avendocome riferimento lastessa lettera, che ba -sandosi sul santo diFonti ve ros, san Gio -vanni del la Croce, eradivisa in tre parti, cor-rispondenti ai verbi:guardare, contem pla -re, ama re.Il guardare di san

Giovanni designa, lamaggior parte dellevolte, il guardare diDio, che ci osservacon tenerezza, con mi -

GIOVANI CARMELITANI ALLA GMG

Logo GMG 2011 Madrid

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 526

sericordia, con amore. Losguardo di Dio, trasformai nostri occhi per con-templare il suo mistero;il contemplativo è coluiche scopre i piccoli se -gni della presenza diDio nella sua vita.Questa contemplazio-ne ci rende più umani,solidali, sensibili difronte ai drammi di que-sto mondo, ci porta ad unamore espansivo, centrifu-go, a un amore con la “a” maiu-scola. Una volta terminato il lavoro, si provò

ad esprimere per iscritto, su di un foglioche più tardi andava a formare un colla-ge, le idee principali che erano emerse.Successivamente l’icona della Vergine fuportata nel luogo della preghiera: un na -

stro rosso, che simbolizzava il cordoneombelicale ci unisce a nostra Madre uni -va i due distinti luoghi. Tutti ci situam-mo ai lati di esso facendo passare l’iconadi mano in mano fino al luogo della pre-ghiera prestabilito, dove le nostre mona-che di clausura invitavano i gruppi adunirsi alla preghiera davanti all’immagi-ne.

Nella fiera car-melitana, che oc -cupò le primedue ore della se -rata, si potevanotrovare diversi

stand divisi perstrade con nomicome “Service Street”o “Prayer Route”. Cidivertimmo nelle di -verse attività come fo -

tografia, giochi di grup-po, danza contemplativa,

canto, creare spille carmelita-ne personalizzate. C’erano anche altristand informativi: vocazionale, ONGKarit e quello della gioventù carmelitana(JUCAR). Al termine avemmo un altro momento

di preghiera attorno all’icona di colei chei carmelitani da sempre hanno ricono-

sciuto come la Signora del Luo -go. Sembrava che tutto fossefinito, quando le nostre sorellecarmelitane del Monastero diNo stra Signora delle Meraviglie,ci invitarono a terminare l’in -contro nel miglior modo possibi-le: con l’eucarestia. Così il gior-no dopo, un buon gruppo dicar melitani ci riunimmo insie-me alle nostre sorelle per cele-brare, in famiglia, il banchettodel Signore.La mia esperienza come gio-

vane carmelitano al riguardo, èmolto positiva visto che potem-mo incominciare la GMG in unamaniera più famigliare, con ino stri fratelli e le nostre sorellecarmelitane, con coloro con cui

condivido la stessa spiritualità. Siamo cresciuti come famiglia, abbia-

mo condiviso le nostre inquietudini, leno stre idee, le nostre speranze e le no -stre gioie. Ora i nostri fratelli brasilianici attendono con le braccia aperte, tradue anni torneremo a riunirci: sei pron-to? Io sì.

fr. XAVIER VARELLA MONZONÍS, O.Carm

VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 1

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GUARDARE, CONTEMPLARE ... AMARE

Cari giovani, rappresentanti delle va -rie realtà carmelitane di tutto il mondo,che partecipate a questa Gior nata Mon -diale della Gioventù 2011, a voi tuttibenvenuti a questo incontro di “giovanicarmelitani”, qui a Madrid, mia città na -tale. Che possa essere per voi un mo -mento di riflessione, arricchimento, ap -profondimento della fede ed un’op por tu -nità per fare esperienza dell’universalitàdella “Fa mi glia Carme litana”. La Spagna è “terra di santi”. Il Car -

melo in Spagna nel corso della sua sto-ria ha dato tante testimonianze sublimidi santità, in due figure soprattutto:San ta Teresa di Gesù e San Giovannidella Croce. Di quest’ultimo mi serviròper comunicare un piccolo messaggioche ci può aiutare nella riflessione inque sta giornata carmelitana. � Guardare. Il santo di Fontiveros (me -raviglioso poeta e mistico) usa con fre-quenza il verbo “guardare”. A volte, sitratta solo di un’espressione, “guarda”,come dire “presta attenzione” (A 9;41;54); altre volte, rimprovera la curiosi-tà di colui che “guarda la pagliuzza nel-l’occhio del fratello” (1N 2, 3) giudicandoi difetti del prossimo; ma prima di tutto,nella maggior parte delle volte, indica il“guardare” di Dio. Dio ci guarda con te -nerezza, con misericordia: “Quando mi

hai guardata, la tua grazia nei miei occhihai impresso” (cf. CB 32), e, così, lasguar do di Dio riveste di bellezza tutta lacreazione: “e, cercandolo, solo con la suafigura, lo lasciò vestito di bellezza” (cf.CB 5). La poesia di San Giovanni dellaCroce ci invita a lasciarci guardare daDio. Teresa di Gesù, allo stesso modo, ciricorda “guarda che ti guarda” (V 13,22). Non devi temere il suo sguardo. Dionon è un detective che va cercando ilcol pevole. Dio non guarda minaccioso enon limita la nostra libertà. “Lo sguardodi Dio dona amore e grazia” (CB 19, 6) –ci dice il santo, con parole sublimi. Lapri ma opera di Dio è guardarci. Nelguar darci, ci “adama”. Adamare -dirà ilsanto- è “amare molto; è più che amaresemplicemente, è come amare doppia-mente” (CB 32, 5). � Contemplare. Se l’unione nel suo si -gnificato più profondo, è lo “sguardo diDio sull’uomo”, la contemplazione saràlo “sguardo dell’uomo su Dio” e “su tuttal’opera che è uscita dalle Sue mani”. Losguardo di amore di Dio rende possibileai nostri occhi la contemplazione del suomistero e del mistero dell’umanità. Lo“sguardo” di Dio ha lasciato il mondopieno di segni della sua bellezza. Ab bia -mo bisogno – forse, oggi più che mai – dip. Fernando Millán Romeral

Lettera del Priore Generale, p. Fernando Millán Romeral,ai giovani carmelitani convenuti per la GMG di Madrid

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 528

poeti, mistici, contemplativi, che possa-no scoprire i piccoli segni della presenzadi Dio nelle nostre vite. Essere contem-plativo (l’ho ripetuto molte volte!) nonsignifica guardare il cielo imbambolati,ma guardare la nostra realtà e cogliere(contemplare!) questi segni, generalmen-te piccoli, deboli, fragili. Questi segni avolte possono essere ambigui e poliva-lenti, e ci richiedono un atteggiamentoserio di discernimento e di umiltà perpo terli percepire in tutta la loro bellezzae radicalità. Così, il mondo, la vita, lasto ria… diventeranno un linguaggio diDio, una sinfonia che ci parla della suapresenza amorosa nella nostra vita. Dioguarisce la miopia dei nostri occhi e nonlascia che il nostro sguardo si fermi

nella mediocri-tà, nella super-ficialità e nellavolgarità… Perlui (e in questoil santo è moltoradicale), ab -biamo bisognodi purificare ilnostro sguar-do, pulirlo dal -le nostre me -schinità ed e -go i smi.

Lo sguar-do di Dio “puli-sce, da grazia,arricchisce edillumina l’ani -ma” (CB 32, 1).La contempla-

zione cristiana non è solamente un at -teggiamento esteriore, un esercizio nar -cisista di autocompiacimento e perfezio-nismo, ma una contemplazione amorosache ci porta a sentirci più vicini agliuomini e alla donne del nostro tempo… � Amare. Dio mi guarda, io lo guardo.Dio mi ama, io lo amo. È uno scambio disguardi, un gioco fra innamorati, dovequello che scorre è l’Amore con la “a”maiuscola, e non l’egoismo. Amore cen-trifugo, espansivo, che ci mette in movi-

mento, ci alza e ci muove a servire e cosìpoter aprirci al prossimo senza barriere:“L’amore mai è ozioso ma in continuo mo -vimento” (F 1, 8). “L’amore ha occhi”, di -ceva Ugo di San Vittore, ma “anche hamani e piedi”. Amorevole cura, per colo-ro che sono affaticati ed oppressi (cf. Mt11, 28), per i poveri, per color che sof-frono il deserto della solitudine, dell’a-more infranto. Il nostro mondo è costel-lato di ferite causate dall’aver dimentica-to Dio, dal nostro peccato, dalla violenzae dall’egoismo. Per questo, il mistico e ilpoeta devono essere come un profetache denuncia il male e si fa vicino concompassione alle vittime di questo male,entrando “più dentro nella boscaglia”(CB 36). La contemplazione (se è veracontemplazione cristiana e non una fugapseudo-spirituale) ci ren de più umani,so li dali, sensibili di fronte alle nottioscure e ai drammi del nostro mondo.La con tem plazione di ven ta così un in vioe una missione: alleggerire i pe si dei no -stri fratelli, curare le ferite, aprire portee finestre alla speranza, asciugare lacri-me, accarezzare l’umanità sofferente… eaiutare gli uomini e le donne del nostrotem po ad essere pienamente persone,più libere, più giuste, più felici… con lacoscienza di essere figli del Dio che ci haregalato questo mondo meraviglioso.Così, noi vi chiediamo, giovani carmeli-tani, accettate questa sfida affascinante.

Vi auguro che possiate trovare l’i -spirazione necessaria nei santi del Car -melo, nel suo carisma e nella sua spiri-tualità. Che Maria, nostra Madre eSorella, la “Stella del Mare”, ci guidi inquesta avventura.Con affetto,

P. FERNANDO MILLÁN ROMERAL, O. Carm.

Da sinistra: J. Keating, consigliereper l’Europa; F. Millán, Priore Ge -ne rale; R. Maraví, consigliere perle Americhe

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«Firmes en la fé», fermi e radicati inCristo: questa l’esperienza personalevis suta già prima della GiornataMondiale della Gioventù di quest’anno. Igiorni che la precedettero – nella diocesidi Tarragona prima, e a Madrid poi –sono stati la ricarica di uno spirito chestava venendo meno per la stanchezzadi un anno intenso, soprattutto in ambi-to lavorativo. Aprendo una parentesi per meglio far

intendere questa stanchezza spiritualepre-GMG, devo necessariamente portar-vi a conoscenza che insegno religionenelle scuole elementari e per me è statadavvero una missione questo primointenso anno di insegnamento, visto chemolti piccoli alunni provengono dasituazioni famigliari disastrose. Ritornando alle giornate in Spagna,

devo ammettere che i primi giorni mi sipalesarono come apparentemente insi-gnificanti, probabilmente perché stavocon la testa e il cuore a casa, alla fami-glia, agli amici.

Però in compenso quei pochi volonta-ri adulti che ci accolsero, ci hanno con-sentito di stare davvero bene, ci hannofatto sentire a casa e nonostante tutto,comodi. Ciò che particolarmente ha atti-rato la mia attenzione, è stato veder la

devozione alla Madonna del Carmine.Che bella! Venendo al cuore della GMG, una ca -

techesi mi ha colpito, non tanto per lepa role in sé, comunque valide e pene-tranti, ma per il modo con le quali veni-vano dette: sicuro, confortante, credibi-

le. La catechesi alla quale mi riferisco èquella di mons. Santoro Piero. Un uomoche sa parlare ai giovani in modo sem-plice ed efficace, serio e divertente. Oltre a delle note negative come il

quo tidiano mangiare a sacco, o la catti-va organizzazione iniziale, ci son stateesperienze positive come l’uscita ingruppi, anche ampi, per le vie spagnole,i gemellaggi, le foto con i diversi ragazzidel mondo, la presenza di mons. Fran -cesco Cacucci – Arcivesco della mia dio-cesi, di Bari-Bitonto – tra di noi comeuno di noi.Ma una cosa bella ha superato tutte le

altre: la tempesta durante la veglia colPapa. Che emozione quando prima e do -po l’adorazione silenziosa c’è stata la tem -pesta di pioggia e vento, mentre durantel’adorazione assoluta serenità e calma. Il segno più forte della presenza reale

di Cristo tra di noi.GIUSEPPE CALEFATI

XXVI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

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VITA CARMELITANA - ANNO 73, N. 530

Improvvisamente, la mattina del 25no vembre u.s., il nostro carissimo Fran -cesco è ritornato alla casa del Padre.Ave va 47 anni, era nato a FrancavillaFontana (Br) il 17 febbraio 1964. Dopoun lungo cammino di ricerca spiritualeera entrato nel Carmelo emettendo i votisolenni il 25 marzo 2006. Lo ricordiamocon il suo semplice sorriso, come in que-sta foto (ultimo a destra) in compagniadi P. Domenico Fiore e fr. FrancescoCiac cia. La comunità dei frati lo ha salutato a

Mesagne, ultima sede del suo apostola-to, sabato 26 novembre alle ore 9. La ce -lebrazione è stata presieduta dal prioredella comunità, p. Riccardo Brandi.Hanno concelebrato: il priore Provincialep. Enrico Ronzini, p. Lorenzo San se vero,p. Antonio Calvieri e p. Francis Mathew;tra i ministranti, fra' Salvatore Ranieri.Tutta la comunità mesagnese e della

vi cina Torre Santa Susanna, si è strettaintorno ai padri e ai parenti di Fran -cesco, alla mamma, la signora GiacintaPastorelli e ai fratelli, Cosima e Gio van -ni. Erano presenti anche fedeli e amici dialtre comunità della provincia che cono-scevano e amavano fra' Francesco.Padre Riccardo, nell'omelia ha ricor-

dato l'ultima lectio divina tenuta Fran -cesco il mercoledì precedente, sulle let-ture della prima domenica di avvento. Eproprio queste letture sono state scelteper la celebrazione funebre, anticipandoil vespro. Commentando le parole diGesù, "Fate attenzione, vegliate, perchénon sapete quando è il momento" (Mc13,33), Francesco non poteva immagi-nare che il suo "momento" fosse così vi -cino. Ma certamente è stato trovatopron to e vigilante, nel suo umile serviziodella Parola. Padre Riccardo ha fattonotare che la lettura evangelica non erastata vissuta come una premonizione,perché la venuta del Signore è sempre, eper tutte le circostanze, imminente. Ma

ascoltarla in questo particolare frangen-te, per tutti i presenti è risultata scon-volgentemente attuale. Francesco nelsuo commento aveva messo in parallelole ore del giorno: sera, mezzanotte, albae giorno (Mc 13,35) con le ore della pas-sione di Gesù. Ogni momento del giornoè vissuto dal cristiano all'insegna deltem po di Cristo. Ogni ora è segnata dallacroce. Ma ogni ora è anche riscattatadall'inesorabile trascorrere dal tempo. Ilsacrificio di Cristo, infatti, immette neltempo l'eternità.Al termine delle celebrazione, il pro-

vinciale, p. Enrico, con visibile commo-zione ha salutato il confratello, affidan-dolo alle mani del Signore. Ha ringrazia-to tutti i presenti per l'affettuosa parte-cipazione al dolore dei famigliari e dellacomunità religiosa. Dopo la salma è stata portata nella

città natale di Francesco, FrancavillaFon tana, dove nel pomeriggio alle 15.30si è svolta un’altra celebrazione liturgicaper permettere la partecipazione dei suoiconcittadini e degli altri parenti. La cele-brazione è stata presieduta questa voltada p. Antonio Calvieri, con la presenzadegli altri frati provenienti da tutte le co -munità della Provincia. Infine, la tumu-lazione nella tomba di famiglia.

SALVATORE SCHIRONE

FR. FRANCESCO GALIANO È TORNATO ALLA CASA DEL PADRE

Da sinistra: p. Domenico Fiore, p. Francesco M. Ciaccia, fr. Francesco Galiano.

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NOVEMBRE / DICEMBRE 2011 31

Celiento Speranza fu una donnasemplice e straordinaria, nata a Cai -vano il 12.7.1912. Sin da giovane dedi-cò la sua vita agli altri, seguen-do lo stile e l’esempio di SanFrancesco e della Beata Ver -gine del Car mine. Tante le opere di carità da lei

compiute, sempre nel massimosilenzio e nella più grande ri -servatezza. Una delle tanteope re che lei ha fatto è stata,l’aiuto alla Casa Sollievo dellaSof ferenza, oltre che essere fi -glia spirituale di S. Pio da Pie -tralcina.Dopo aver intrapreso il cam-

mino di noviziato nel 1949, ed aver pro-fessato perpetuamente nel Terz’OrdineCar me li tano il 16.7.1951, da laica deci-se di donare tutta la sua vita a Dio, pro-mettendo povertà, castità e obbedienza.La sua vita fu immersa nella preghie-

ra, nella contemplazione, nella soffe-renza, nell’offrirsi vittima per i sacerdo-ti: era convinta che «se non si soffre,non si diventa maestri». Si mostrò sempre zelante per il

Santuario della Ma donna di Campi glio -ne, per il bene dei frati carmelitani oltre

che per il Terz’Ordine.A quanti la cercavano per qualunque

necessità, si rivelava sempre pronta adoffrire conforto, serenità edestrema fiducia nella miseri-cordia di Dio. «Lasciamo fare aGesù», «Fiat», ripeteva semprerestituendo il sorriso a tutticoloro che l’andavano a trova-re: presbiteri, vescovi, suore elaici. Col passare degli anni la

sua salute diventava semprepiù precaria, ma la forza inte-riore e la fiducia in Dio le con-sentirono di andare oltre talelimite fisico.

Silenziosa e discreta ha affrontato ilpassaggio della morte il 2 Agosto 2011,all’età di 99 anni, tra le braccia dellaVergine del Carmelo.Grazie Speranza per il privilegio di

averti conosciuta ed essere diventatamia sorella in Cristo e nel Carmelo, gra-zie per i tuoi consigli, per le preghiereche mi hai insegnato; ma soprattuttograzie per l’amore e la fiducia che mihai donato.

GABRIELE PELUSO

UNA VITA DONATA A DIO E ALLA VERGINE NEL CARMELO

Celiento Speranza

ospita gruppiper ritiri, esercizi spirituali e campi scuola.

Offre una capacità di accoglienza 18 posti in camere singole e multiple

con servizi in camera,e altri 46 in camere con letti a castello

e bagni comuni.

Convento Maria Immacolata dei frati CarmelitaniTorre S. Susanna (Br)

Per informazioni: tel. 0831 746026

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Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BA

Le Comunità Carmelitane della Provincia Napoletana

FRATI CARMELITANI

BARI – 70125Curia Provinciale

Corso Benedetto Croce, 180 tel/fax 080.5562741

[email protected]

BARI – 70125Parrocchia S. Maria delle Vittorie

C.so B. Croce, 180Conv. 080.5424484 - Parr. 080.5425149

[email protected]

CAIVANO (NA) – 80023Santuario S. Maria di Campiglione

Via Campiglione, 58 - tel/fax [email protected]

CAPACCIO (SA) – 84047Santuario Madonna del Granato

Eremo Carmelitano – tel. 0828.723611www.madonnadelgranato.it

FOGGIA – 71122Parrocchia Maria SS. del Carmine

Viale Primo Maggio, 37tel/fax 0881.635444

[email protected]

MESAGNE (BR) – 72023Basilica Santuario Vergine SS. del Carmelo

P.le S. Michele Arcangelo, 3Conv. 0831.776785 – Parr. 0831.771081

www.basilicacarminemesagne.it

PALMI (RC) – 89015Santuario S. Maria del Carmine

Piazza del Carmine – tel/fax 0966.45851http://digilander.libero.it/fraternita.palmi

TARANTO – 74123Parrocchia SS. Crocifisso

Via G. De Cesare, 37 - tel/fax 099.4521685www.sscrocifisso.ilbello.com

TORRE S. SUSANNA (BR) – 72028Convento Maria Immacolata

Piazza Convento, 3 - tel. 0831.746026http://carmelotorre.beepworld.it/

MONACHEOSTUNI (BR) – 72017

Monastero S. Maria Maddalena di FirenzeContrada Campanile - tel/fax 0831.301293

www.carmelitaneostuni.it

SUORE

FOGGIA – 71122Discepole di S. Teresa del Bambin Gesú

Scuola S. Maria del CarmineVia G.L. Radice, 5 – tel. 0881.636175

sito della Provincia Napoletana: www.vitacarmelitana.orgsiti dell’Ordine Carmelitano: www.ocarm.org