Upload
paolo-fiorillo
View
150
Download
4
Embed Size (px)
Citation preview
1
Seconda Università degli Studi di Napoli
Dipartimento di Economia
Corso di Laurea in Economia Aziendale
TESI DI LAUREA
IN
ANALISI ECONOMICO-FINANZIARIA D'AZIENDA
Avviamento: principali criticità dell'attuale trattamento
contabile
2
INDICE
INTRODUZIONE ......................................................................................... 4
CAPITOLO 1
COS’È L’AVVIAMENTO ........................................................................... 7
1.1 IL CONCETTO DI AVVIAMENTO ..................................................... 8
1.2 LA VALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO .................................... 12
1.2.1 CAPITALE NETTO .......................................................................... 13
1.2.2 CAPITALE ECONOMICO ............................................................... 15
Metodi diretti ............................................................................................... 16
Metodi indiretti ............................................................................................ 20
E.V.A. .......................................................................................................... 27
Ulteriori considerazioni............................................................................... 32
1.3 I MOTIVI PER VALUTARE L’AVVIAMENTO ............................... 32
CAPITOLO 2
TRATTAMENTO CONTABILE ATTUALE ........................................... 38
2.1 PREMESSA .......................................................................................... 38
2.2 L’AVVIAMENTO ACQUISITO E QUELLO INTERNAMENTE
GENERATO ............................................................................................... 39
2.3 LA RECOGNITION DELL’AVVIAMENTO ...................................... 43
2.4 TRATTAMENTO CONTABILE SUCCESSIVO ............................... 53
2.5 DISCLOSURE ...................................................................................... 63
3
CAPITOLO 3
ATTUALI CRITICITÀ............................................................................... 68
3.1 IL RUOLO DELL’AVVIAMENTO NELLA CRISI FINANZIARIA 73
3.2 CRITICITÀ DELL’IMPAIRMENT-ONLY APPROACH .................. 80
3.3 LA REINTRODUZIONE DELL’AMMORTAMENTO PER IL
GOODWILL ................................................................................................ 86
3.4 IL RUOLO DEL GOODWILL NEI CONFLITTI DI AGENZIA ........ 97
CONCLUSIONI ........................................................................................ 105
RIFERIMENTI ......................................................................................... 109
4
5
INTRODUZIONE
L’avviamento è certamente elemento in merito al quale, tutt’oggi, molti dibattiti
sono ancora aperti e lo riguardano in maniera trasversale: dal suo inquadramento
concettuale fino ai giudizi circa l’adeguatezza del suo trattamento contabile in relazione
anche alle criticità emerse dall’analisi delle evidenze empiriche. Formalmente, si tratta di
un elemento che figura in bilancio tra l’ampia categoria delle immobilizzazioni
immateriali pur presentando, rispetto alla quasi totalità degli altri elementi dell’attivo e
del passivo, la peculiarità di non essere ricollegabile ad alcun diritto giuridico, tratto che
rende l’avviamento un item non osservabile e scarsamente propenso ad una traduzione
numeraria oggettiva e, quindi, attendibile. Trattasi, inoltre, di elemento la cui rilevanza
all’interno della dottrina economico-aziendale è indiscussa in quanto parte
imprescindibile del processo di valutazione della dinamica aziendale: la sua esistenza è,
se vogliamo, ricollegata al concetto stesso di azienda come entità sinergica e coordinata
e non come mero raggruppamento dei singoli beni ivi ricompresi. Tale principio
dottrinale ha delle implicazioni per quanto concerne la determinazione del valore
dell’impresa, il quale non può essere ricondotto a quello dei suoi fattori osservabili ma
deve ricomprendere elementi intangibili e non quantificabili ma essenziali al fine di creare
quelle condizioni ottimali che consentano all’azienda di poter essere definita come tale.
L’avviamento racchiude proprio quest’ultima essenza: esso è dato dal surplus che il
valore dell’impresa assume rispetto a quello delle singole parti che la compongono. Il
valore complessivo dell’impresa è dato, a sua volta, dalla sua capacità di creare ricchezza
in quanto attitudine, quest’ultima, che meglio di altre esprime l’abilità nel gestire e
combinare i singoli fattori aziendali in modo da creare un sistema efficiente e coordinato.
Con queste prime osservazioni non si vuole, di certo, pretendere di fornire un
inquadramento esaustivo del concetto di avviamento. Tuttavia, esse contribuiscono già
da ora a rendere un’idea della particolarità di questo elemento e delle conseguenti
problematicità in merito ad una sua “traduzione” nel linguaggio contabile. In merito a
quest’ultimo punto è bene sottolineare come l’impresa non debba in nessun caso includere
in bilancio il proprio avviamento: ciò contrasta con le finalità del bilancio stesso tra le
quali non vi è quella di delineare un quadro della capacità dell’impresa di produrre
6
guadagni futuri. L’inclusione del goodwill nell’attivo patrimoniale è giustificata soltanto
dalla messa in atto di operazioni interaziendali (come le acquisizioni aziendali) attraverso
le quali due o più imprese divengono parte di un unico business. Tali pratiche sono
divenute sempre più frequenti1 alla luce del recente processo di globalizzazione che ha
portato alla deregolamentazione e l’apertura dei mercati internazionali agli investimenti
esteri. Si tratta di considerazioni di carattere macroeconomico ma che rendono
maggiormente rilevante il goodwill in relazione al ruolo svolto dallo stesso
nell’informativa di bilancio.
Peculiarità concettuali, difficoltà di realizzare una quantificazione oggettiva e
pienamente condivisibile e ruolo assunto in relazione alle problematiche emerse
dall’osservazione delle evidenze empiriche sono gli elementi principali che rendono
necessaria una messa in discussione dell’attuale modo di intendere l’avviamento in
contabilità. La presente discussione si propone di evidenziare le principali criticità
dell’attuale trattamento contabile, cercando, se possibile, di porre un po’ d’ordine
all’interno delle varie linee di pensiero esistenti in materia. Ricerche empiriche e
considerazioni accademiche attinenti l’argomento verranno prese in considerazione al
fine di realizzare un analisi più esaustiva attraverso una discussione della quale si illustra
brevemente il modo in cui si è deciso di strutturarla in questa sede.
Anzitutto si tenterà di realizzare un inquadramento del concetto di avviamento in
senso strettamente economico e tralasciando, per il momento la sua definizione contabile.
Nel farlo saranno indispensabili alcuni richiami alla dottrina economico-aziendale ad
integrazione dei quali si proporranno considerazioni di carattere finanziario. Se è vero
che le modalità di trattamento contabile di qualsiasi elemento riflettono i tratti qualitativi
di quest’ultimo, allora andare a delineare questo inquadramento concettuale è premessa
imprescindibile per valutare la conformità dell’avviamento al suo attuale trattamento
contabile, che rappresenta il passaggio successivo. Nel fare ciò si procederà con il
1R. Caiazza, Cross-Border M&A. Determinanti e fattori critici di successo, Torino, Giappichelli Editore,
2011. L’autore sottolinea come il fenomeno delle operazioni che giustificano il sorgere in bilancio di un
valore di avviamento sia divenuto rilevante nell’ultimo decennio: “Dopo il trend negativo che ha
caratterizzato il triennio 2001-2003, il fenomeno delle fusioni e acquisizioni ha cominciato a crescere
nuovamente dal 2004, raggiungendo il suo picco nel 2007 per poi decrescere per effetto della grande crisi
mondiale del 2009. Tale ondata è stata caratterizzata da operazioni di natura cross-border quale risposta
all’integrazione dei mercati, alla necessità di consolidare il core business attraverso l’unione con i
concorrenti, dalla maggiore dimensione delle operazioni, dal crescente ruolo degli investitori istituzionali
e dall’ingresso di operatori provenienti da paesi a sviluppo emergente, quali PECO e Cina, che nelle scorse
decadi erano rimasti fuori dalla competizione globale.”
7
seguente ordine: anzitutto verranno delineate le modalità di prima iscrizione e, quindi, il
modo in cui è determinato il valore di bilancio dell’avviamento; in seguito si procederà
ad evidenziare quanto attualmente previsto per il suo trattamento contabile successivo la
recognition e, infine, si illustrerà quanto i documenti contabili dispongono in materia di
disclosure. Nel fare tutto ciò si prenderanno in considerazione i documenti contabili
nazionali dell’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) e quelli internazionali, gli
IAS/IFRS emessi dall’International Accounting Standard Board; verranno, quindi,
evidenziate le principali differenze di trattamento contabile tra i due ambiti alla luce della
crescente necessità di convergenza delle pratiche di redazione del bilancio a livello
globale dettata da circostanze quali l’avvicinamento dei mercati internazionali e
l’aumento degli investimenti esteri che amplificano l’esigenza di rendere i bilanci
comparabili anche a livello internazionale. Soltanto in seguito potranno essere formulati
giudizi circa l’adeguatezza dell’attuale trattamento contabile per il goodwill alla luce della
definizione concettuale proposta nella prima parte della discussione. Discutendo delle
attuali criticità si farà riferimento, in particolare, ad un modello concettuale che offre una
visione originale e, a parere di chi scrive, esaustiva del concetto di avviamento: è sulla
base di tale modello, denominato discernible-element approach, che verranno mosse
molte delle critiche relative al modo di intendere il goodwill negli standard internazionali.
Ma la messa in discussione dell’attuale trattamento contabile verrà fatta anche in
relazione ad alcune tendenze macroeconomiche (dettate, a loro volta, da aspetti di natura
comportamentale) che sono state rilevate, in particolare, negli anni successivi lo scoppio
della crisi finanziaria del 2007 e che hanno fatto emergere problematiche non di poco
conto.
8
CAPITOLO 1
COS’È L’AVVIAMENTO
Le problematiche relative all’identificazione dell’avviamento e alla sua
successiva misurazione contabile derivano dalle difficoltà di realizzare appieno ed in
maniera condivisa un suo inquadramento concettuale. Ragionando in termini astratti resta
pacifico che qualsiasi posta di bilancio necessiti di essere definita in termini qualitativi
affinché si possa pervenire ad una corretta riconversione quantitativa della medesima;
affinché la si possa, in altri termini, tradurre in numeri. Del resto, ciò rispecchia l’essenza
stessa del sistema di contabilità in senso lato come analisi della dinamica economica
dell’azienda prima ancora che come mero adempimento legislativo. In questi termini la
ragioneria si pone come medium dell’analisi aziendale: essa è, infatti, da un lato, risultato
del processo di conversione degli aspetti qualitativi in termini numerari, e, dall’altro,
punto di partenza per la successiva riconversione degli stessi in dinamica economica2.
Ora, se è vero che sono questi i compiti ai quali ogni sistema di contabilità deve
adempiere, risulta chiara l’importanza di una corretta definizione in chiave concettuale di
ogni singolo elemento aziendale come condizione imprescindibile per una sua successiva
conversione in numeri.
Ecco perché dell’avviamento si cercheranno di comprendere, prima ancora
dell’attuale metodo di rilevazione e misurazione, i suoi tratti fondamentali ed il suo ruolo
nella realtà economica aziendale. Soltanto successivamente potranno essere formulati
giudizi circa eventuali inadeguatezze nell’attuale trattamento contabile.
2 E. Giannessi, 1960 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 2010
9
1.1 IL CONCETTO DI AVVIAMENTO
Nel definire cosa sia l’avviamento risulta necessario capire il modo in cui esso è
inteso nella dottrina economico-aziendale, ove l’obiettivo di fornirne un adeguato
inquadramento concettuale è subordinato, anzitutto, alla discussione circa le diverse
configurazioni di capitale e le relazioni intercorrenti tra le stesse. Soltanto in questo modo
risulterà possibile pervenire ad una chiara interpretazione dei dettati normativi in materia,
i quali, considerati isolatamente, risultano inadeguati nell’ottemperare allo scopo.
Passando in rassegna un breve richiamo delle fonti normative in materia contabile,
infatti, ci si accorge subito della peculiare natura di tale elemento se lo si confronta agli
altri elementi aziendali. Al par. 7 del documento “OIC 24 Immobilizzazioni immateriali”
ne viene data una prima definizione, ove esso è inteso come “l’attitudine di un’azienda a
produrre utili che derivino […] da incrementi di valore che il complesso dei beni
aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni in virtù
dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”. Si potrebbero, idealmente,
discernere dalla definizione proposta dall’OIC 24 due chiavi di lettura delle quali una è
squisitamente economica mentre l’altra è legata all’ottica manageriale. Fermo restando la
stretta interconnessione tra le due.
Ed è già dalla prima che si possono riscontrare profondi elementi di discontinuità
tra l’avviamento e gli altri fattori aziendali. Questa discontinuità attiene al fatto che,
tenendo a mente l’idea di contabilità in senso lato accennata poc’anzi, se l’analisi della
dinamica aziendale presuppone la conversione in numeri dei fattori aziendali che,
congiuntamente, concorrono a definire l’attitudine dell’azienda stessa a produrre
ricchezza, l’avviamento è definito proprio come tale attitudine e non come singolo
elemento della realtà aziendale. In particolare, il suo sorgere presuppone la capacità di
chi fa impresa di “mettere insieme nel modo giusto” (volendo esprimere il concetto in
modo molto basilare) i vari fattori aziendali in modo da ottenere dei profitti maggiori di
quelli che si otterrebbero utilizzando i vari fattori come elementi a se stanti piuttosto che
come parte di un più complesso schema di combinazione. Altrove questo concetto viene
ricondotto all’espressione di “excess earning power” (tradotto letteralmente: capacità di
guadagni in eccesso), espressione con la quale molti identificano, in pratica, l’avviamento
stesso.
10
Per quanto attiene l’ottica manageriale essa fa riferimento alla capacità da parte
del management di far sì che i vari fattori aziendali interagiscano tra di loro all’interno
dell’azienda formando una combinazione che meglio di altre consenta il raggiungimento
dello scopo economico di creazione di valore. Ecco perché si afferma che la definizione
stessa del concetto di azienda non si esaurisce nei fattori che essa possiede ma nella
modalità in cui essi vengono combinati al fine di creare valore3. Ma accanto a questa
prospettiva intra-aziendale, se ne instaura un’altra che attiene ai rapporti tra l’impresa e
gli stimoli che promanano dall’ambiente circostante (sul quale essa esercita un’influenza
ed è, a sua volta, influenzata in maniera più o meno rilevante a seconda di fattori quali la
prossimità dell’ambiente considerato o le dimensioni dell’azienda stessa) e la capacità del
management di gestire la complessità di questi rapporti che, se inadeguatamente
fronteggiati, compromettono il processo di creazione di valore.
Di tutto ciò tiene in considerazione anche la definizione, già citata, fornita
dall’OIC 24 quando, nel prosieguo dello stesso paragrafo, specifica le possibili
motivazioni che potrebbero giustificare il pagamento di un corrispettivo che superi il
valore della somma dei singoli elementi dell’azienda nell’ambito di un’ipotetica
acquisizione aziendale: “extra reddito generato da prodotti innovativi o di ampia
richiesta, creazione di valore attraverso sinergie produttive o commerciali, ecc.”. Ecco
perché, come si diceva in precedenza, nel tentare di fornire una definizione
dell’avviamento non si può far riferimento soltanto ai dettami normativi ma si necessita
che essi siano letti alla luce della dottrina economico-aziendale. Del resto la discussione
non fa riferimento ad un elemento al quale è riconducibile un costo o specifiche tutele
legali, bensì a un’attitudine aziendale, derivante da fattori spesso non osservabili e
quantificabili.
Il problema (se di problema si può parlare) è che anche elementi quali capacità e
competenze nel gestire la combinazione dei fattori aziendali sono essi stessi fattori
aziendali, al pari di un macchinario o delle scorte di magazzino, in quanto, esattamente
come questi ultimi, concorrono a consolidare la capacità dell’impresa di produrre valore.
Volendo, infatti, intraprendere un ragionamento a ritroso, ricordando quelli che vengono
definiti come “fattori aziendali primigeni”, vale a dire capitale e lavoro, possiamo con
ragionevolezza ricondurre le capacità imprenditoriali alla seconda categoria.
3 E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
11
Essendo, in sintesi, pacifico che, al pari della dotazione fisica e finanziaria, anche
elementi meno visibili quali l’esperienza o la conoscenza sono legittimati ad essere
ricompresi nell’accezione “fattore aziendale”, è altresì palese che questi ultimi, così come
i primi, concorrano ugualmente allo svolgimento dell’attività aziendale e, quindi, alla
creazione di ricchezza, rilevando sulla determinazione del valore stesso dell’impresa. Ma
mentre la dotazione fisica (impianti, macchinari, scorte, ecc.) ben si presta ad essere
ricondotta oggettivamente a valori numerici, non si può dire lo stesso per tutti i fattori
aziendali, tra i quali ve ne sono alcuni la cui stima deve necessariamente basarsi su
congetture più o meno realistiche (si pensi a molte delle attività intangibili) ed altri ai
quali risulta pressoché impossibile pervenire ad una quantificazione attendibile nemmeno
operando congetture e semplificazioni (si pensi alle capacità manageriali).
Orbene, premesso che, come già ricordato, il valore dell’impresa va oltre il valore
delle sue singole parti, e considerato che molte delle componenti della realtà aziendale
mancano dei requisiti che le consentirebbero di essere tradotte in valori numerari e,
quindi, per forza di cose sono escluse dal bilancio stesso dell’impresa, emerge una
discrepanza tra il valore contabile dell’impresa e il suo valore economico, inteso
quest’ultimo come valore dell’insieme di fattori che, opportunamente combinati tra di
loro, concorrono a formare la capacità della stessa di creare ricchezza.
Volendo ragionare in termini di singoli fattori produttivi possiamo affermare che
la suddetta discrepanza sorge in quanto il valore di un fattore di produzione non dipende
soltanto dalla natura dello stesso ma dall’utilizzo per il quale è preposto. Ciò significa
che, se considerato parte integrante di una più complessa organizzazione produttiva (c.d.
use in combination), esso assume un valore maggiore rispetto all’ipotesi in cui sia
considerato come elemento a se stante (c.d. stand alone basis). E significa, altresì, che
un’ipotetica valutazione al fair value4 di tutti i fattori aziendali andrebbe probabilmente a
ridurre (ma non ad annullare) la suddetta discrepanza. Valutare un’attività aziendale al
fair value, infatti, vuol dire operare una stima che rifletta il valore assunto nella
combinazione aziendale e che, quindi, ne massimizzi l’utilizzo o il valore di presumibile
realizzo in caso di cessione nel caso in cui l’acquirente ne vada a fare un uso analogo,
4IASB, IFRS 13 Fair Value Measurement. Il documento fornisce una esplicita definizione del concetto di
fair value: “The price that would be received to sell an asset or paid to transfer a liability in an orderly
transaction between market participants at the measurement date.”
12
oppure, nel caso di una passività, operare una stima del corrispettivo che, al tempo
presente, sarebbe necessario per estinguere tale obbligazione.
In senso lato è comunque da sottolineare come sia ipotesi irrealistica
l’incorporazione del valore economico dell’impresa in bilancio in quanto definita in
assenza dei principi di ragionevolezza e prudenza: se è vero che una pervasiva valutazione
a fair value avvicinerebbe5 il valore del capitale netto aziendale a quello economico, è
anche vero che nella determinazione di quest’ultimo si deve ancora tener conto di quei
già citati fattori non incorporabili in bilancio (capacità imprenditoriali, esperienza, know-
how…) che continuano a giustificare l’esistenza di tale differenza e, quindi,
dell’avviamento. Tale ipotesi comporterebbe, come logica conseguenza, l’anticipazione
dei redditi futuri, quelli per i quali, cioè, se ne presume ragionevolmente la realizzazione
futura ma comunque subordinata al completamento di processi produttivi non ancora
ultimati. In altre parole, presuppone un mancato rispetto del principio della competenza
economica.
L’ipotesi di una valutazione al fair value di tutti gli elementi patrimoniali
contribuisce a fornire una differente prospettiva della questione di fondo, che, come già
discusso, attiene alla presenza di una discrepanza tra i due modi di intendere il capitale
aziendale, ovvero come somma dei valori delle singole parti, da un lato, e come valore
intrinseco dell’azienda che si manifesta nella sua capacità di generare ricchezza dall’altro.
Questa differenza attiene, tra le altre cose, all’impossibilità oggettiva di valutare
taluni fattori aziendali, alla quale si affianca l’inopportunità di suddetta valutazione,
derivante dalla presa d’atto che sarebbe controproducente unificare i valori di capitale
netto e capitale economico in un unico ammontare per le ragioni di cui si è parlato poco
fa.
A ciò si aggiunga una ulteriore riflessione: l’inesistenza, come vedremo, di una
metodologia condivisa che permetta di giungere alla determinazione di un valore
economico del capitale aziendale univoco ha come conseguenza l’impossibilità di trovare
per l’avviamento un valore altrettanto condiviso. Esistono, piuttosto, differenti tecniche
valutative, ognuna delle quali parte da presupposti e basi teoriche differenti, così come,
5 Si badi: “avvicinerebbe” e non “farebbe coincidere” in quanto, anche nel caso di una valutazione a fair
value di tutti gli elementi patrimoniali, la differenza tra capitale netto e valore complessivo aziendale
continuerebbe ad essere alimentata dalla presenza dei già citati fattori aziendali che, seppur non
comparendo negli schemi di bilancio, concorrono comunque alla creazione di valore.
13
del resto, sono differenti i punti di vista di chi muove tale analisi. Ecco, quindi, che la
valutazione dell’avviamento presuppone di tenere in considerazione non soltanto la
tipologia del modello valutativo ma anche gli interessi particolari dei soggetti che, a vario
titolo, sono interessati a conoscere l’entità di questo elemento. In linea di massima si
potrebbe abbreviare la questione semplicemente costatando l’esistenza di due gruppi di
soggetti interessati a valutare l’azienda nel suo complesso e, quindi, l’avviamento:
soggetti interni all’azienda, la cui esigenza può essere, ad esempio, di natura strategica o
di valutazione della bontà delle operazioni di gestione poste in essere; soggetti esterni
all’azienda, tra i quali si instaurano, a vario titolo, analisti finanziari, potenziali investitori
oppure potenziali acquirenti dell’azienda stessa. Comunque si tenterà nel seguito del
capitolo di illustrare più nel dettaglio sia le differenti metodologie di valutazione sia i
potenziali interessi in capo a chi effettua tale analisi.
In ogni caso, la discrepanza tra le due configurazioni di capitale ci fornisce
un’indicazione di massima di quanto l’azienda sia legittimata ad essere considerata tale
piuttosto che un semplice raggruppamento di vari elementi: ci dice, insomma, se essa sia
o meno avviata e in che misura. Ecco perché suddetta differenza viene identificata con il
termine “avviamento”.
1.2 LA VALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO
La discussione appena proposta può essere sintetizzata nella seguente definizione,
che vede l’avviamento come “l’eccedenza del valore del capitale economico del
complesso, rispetto al valore delle singole parti patrimoniali che lo compongono […]
esso indica di quanto l’insieme vale più della somma delle parti6”. Per dirlo in altri
termini, la differenza tra il valore dell’insieme e quello delle singole parti suggerisce se e
di quanto l’impresa è avviata. Ci suggerisce, altresì, che la problematica principale circa
la valutazione dell’avviamento presuppone la “corretta” valutazione delle singole parti e
6 A. Amaduzzi, 1960 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
14
quella dell’insieme. E prima ancora, una specificazione adeguata dell’aggettivo
“corretta”.
Si tenterà, quindi, di cogliere i tratti essenziali di quei concetti senza la cui
determinazione risulta impossibile la quantificazione dell’avviamento aziendale, ovvero:
il capitale netto e le sue opportune riqualificazioni; il valore economico del capitale, al
quale è riconducibile, in sostanza, il valore stesso dell’azienda.
1.2.1 CAPITALE NETTO
E’, in linea di massima, identificabile con la ricchezza direttamente riconducibile
agli shareholder, ovvero a ciò che è iscritto nello Stato Patrimoniale civilistico sotto il
nome di Patrimonio Netto. Tale grandezza può essere variamente intesa: oltre alla
definizione appena proposta può essere definita come il capitale conferito nella fase di
avvio dell’attività di impresa dai soci con l’aggiunta dei conferimenti successivi e degli
utili conseguiti trattenuti in azienda a titolo di rifinanziamento; oppure come la somma
delle attività nette (decurtate delle passività).
Riprendendo quest’ultima definizione (attivo meno passivo) risulta chiaro come
la corretta stima del capitale netto dipenda da quella operata per le attività e le passività,
ove il termine “corretta” usato (forse impropriamente ma volutamente) fino a questo
punto fa riferimento ad una stima che presenti un elevato grado di attendibilità; il quale,
a sua volta, presuppone che “l’assegnazione dei valori agli elementi del capitale venga
definita in funzione di quelli da assegnare al reddito di periodo7”. Suddetta assegnazione
deve avvenire, in altri termini, rispecchiando i principi di ragionevolezza e prudenza che
consentano di imputare al periodo in corso solo gli utili conseguiti a seguito di processi
produttivi ultimati nell’arco temporale di riferimento, rispettando il principio della
competenza economica: in altre parole, per una corretta valutazione dell’avviamento il
7 E. Ardemani, 1978 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
15
capitale netto deve il più possibile rispecchiare quello di funzionamento la cui
determinazione è comunque condizionata dall’impossibilità di ricondurvi “quelle risorse
immateriali accumulate in maniera graduale e spontanea nel tempo […] riconoscibili e
valutabili con maggiore difficoltà e la loro considerazione mal si concilia con le esigenze
di oggettività delle determinazioni di reddito di periodo”8 . In ogni caso, essa è comunque
orientata dai dettami normativi la cui stesura, sia in ambito nazionale che internazionale,
è in linea di massima indirizzata affinché siano rispettati diversi principi tra i quali
troviamo anche quelli appena citati9.
Nonostante la sua determinazione sia guidata dai dettami normativi, non sempre
il capitale netto risulta essere un valore univoco in senso assoluto. Esso risulta, in un certo
senso, influenzato dalle necessità di chi muove l’analisi. Per cui se la sua determinazione
viene effettuata ai fini dell’adempimento dell’obbligo di comunicazione imposto dal
legislatore, allora i dettami normativi cui si è appena fatto riferimento svolgono un ruolo
“unificatore” in quanto la loro ottemperanza non consente a chi svolge l’analisi di
discostarsi da un certo range di valori. Ma in altri casi l’analisi viene condotta per scopi
diversi dall’adempimento burocratico e il valore del capitale netto andrà a rispecchiare le
diverse esigenze conoscitive di chi ne effettua la quantificazione, come si avrà modo di
osservare nel prosieguo.
1.2.2 CAPITALE ECONOMICO
8 Lucio Potito, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli editore, 2014 9 Ciò è riscontrabile tanto nel Conceptual Framework for Financial Reporting dello IASB quanto nel
documento 11 dell’OIC nonostante i due Board seguano palesemente una diversa impostazione concettuale.
Se è, infatti, esplicito il fine perseguito dal primo, ossia, in sostanza, quello di statuire standard contabili
che agevolino la lettura dei bilanci a chi deve prendere decisioni economiche inerenti l’azienda (e, quindi,
di agevolare le decisioni di un potenziale investitore che deve decidere di finanziare a titolo di proprietà o
di debito) è chiara, invece, l’impostazione seguita dall’OIC di elevare a stakeholder primari i creditori
impostando i principi contabili al fine della loro tutela. Il che genera differenze, talvolta sostanziali, che
fanno riferimento, ad esempio, ad una maggior enfasi posta in ambito nazionale sul requisito della prudenza
rispetto a quello della tempestività dell’informazione, rimarcato con maggior forza dal Framework. Ma,
nonostante queste peculiarità, principi quali comparabilità, chiarezza, rappresentazione fedele sono comuni
ad entrambi.
16
Si potrebbe dire che la differenza più rilevante tra questa configurazione di
capitale e quella di cui si è appena discusso sta nel rispetto del principio della competenza
economica. Se esso è imprescindibile nella definizione dei valori di bilancio, non lo è,
invece, nella definizione del valore globale dell’impresa che, anzi, si riflette proprio nel
valore della ricchezza che essa presumibilmente produrrà in futuro. A tal proposito è bene
segnalare che, proprio per la caratteristica di essere influenzato da stime e congetture sui
redditi futuri, non esiste un modo univoco di definizione del capitale economico.
Esistono, piuttosto, differenti metodologie caratterizzate da un grado più o meno elevato
di discrezionalità e, quindi, di attendibilità. In aggiunta, c’è da sottolineare che si tratta
pur sempre di metodi riconducibili alla dottrina economico-aziendale o all’ambito
finanziario, scarsamente suscettibili di una “traduzione” in ambito normativo: il che
genera rilevanti ripercussioni nel modo in intendere l’avviamento negli standard
contabili, come si avrà modo di vedere più avanti.
Pur tenendo presente la già citata mancanza di univocità nel metodo di
determinazione del valore economico del capitale, è generalmente condivisa l’idea che
essa debba avvenire ispirandosi quanto più possibile ai criteri seguenti10:
a) Generalità: la valutazione deve prescindere da effetti contingenti di domanda e
offerta e in particolare, qualora la valutazione sia finalizzata alla determinazione
di un corrispettivo per l’acquisto di un’azienda, deve essere indipendente dagli
interessi specifici delle parti, dal loro potere contrattuale e, più in generale, dalle
loro caratteristiche;
b) Razionalità: la valutazione deve seguire un metodo valido concettualmente e
dotato di consistenza teorica, secondo uno schema logico, chiaro e condivisibile;
c) Obiettività: fa riferimento alla concretezza nell’applicabilità del metodo e a questo
principio si ricollegano quelli di dimostrabilità (attinente alla credibilità ed
oggettività sui quali si fondano i valori e le quantità inclusi nel metodo stesso) e
stabilità (i valori e le quantità inclusi nel metodo devono quanto più possibile
rispecchiare eventi che raffigurino una prospettiva temporale orientata alla
10 La digressione circa la determinazione del capitale economico trae spunto, in particolare, da: Luigi
Rabuini, Metodologie di stima del capitale economico delle aziende, 2008, in www.borsaitaliana.it
17
continuità, escludendo, quindi, quelle componenti di natura straordinaria ed
occasionale).
Fatta questa dovuta premessa, nella prassi i differenti metodi di valutazione del
capitale economico di un’azienda o ramo d’azienda possono essere ricondotti a due
macro-classi: metodi diretti e indiretti. A loro volta, da tali macro-classi si dipartono
tecniche di valutazione differenti: così, mentre nella prima categoria possiamo distinguere
tra i metodi diretti in senso stretto e quelli fondati su moltiplicatori empirici, nella seconda
troviamo metodi basati su grandezze flusso e metodi basati su grandezze stock, oltre che
una terza tipologia che costituisce una sorta di incrocio tra le due metodologie indirette
(c.d. metodi misti). In ogni caso si tenterà di illustrare tali tecniche valutative nel
prosieguo.
Metodi diretti
Sono compresi in questa categoria tutti quei metodi la cui valutazione si basa su
dati desunti dall’esterno, ricorrendo a paragoni con altre imprese simili alla valutanda per
caratteristiche qualitative e quantitative. In particolare, i dati in questione fanno
riferimento a valori formatisi in due differenti contesti di mercato:
a) Il mercato di borsa per le imprese quotate, cui segue l’utilizzo di multipli di
borsa (stock market multiples);
b) Il mercato del controllo per le imprese non quotate, cui segue il riferimento a
transazioni aventi ad oggetto imprese comparabili (deal multiples).
Nell’ambito della categoria dei metodi diretti, ulteriore distinzione può essere fatta
tra quelli in senso stretto e quelli fondati su moltiplicatori empirici.
18
Con i metodi diretti in senso stretto il capitale economico dell’impresa valutanda
viene stimato sulla base del valore complessivo delle sue azioni (nel caso in cui,
ovviamente, l’impresa sia quotata) oppure sulla base del valore complessivo delle azioni
di imprese similari a quella oggetto di valutazione. Volendo tradurre in numeri, indicando
il capitale economico con W, abbiamo:
𝑊 = ∑ 𝑃𝑖 ∗ 𝑚𝑖
𝑛
𝑖=1
dove:
𝑃𝑖 è il prezzo di mercato di un’azione della tipologia i (ordinaria, privilegiata, di
risparmio…)
𝑚𝑖 è il numero di azioni della tipologia i
Qualora sia possibile operare tale confronto senza discostarsi dai criteri guida di
valutazione del capitale economico precedentemente elencati, il metodo risulta possedere
un elevato grado di validità in quanto tipicamente i prezzi delle azioni, così come valutati
da mercati efficienti in cui è riscontrabile la sostanziale assenza di asimmetrie
informative, riflettono le potenzialità attuali e future dell’azienda: ricalcano, in altre
parole, la definizione stessa di “capitale economico”.
Nel caso in cui l’azienda oggetto di valutazione non sia quotata il suo capitale
economico può essere stimato approssimandolo a quello di altre imprese le cui
caratteristiche quali-quantitative risultino essere simili. Algebricamente il metodo è
caratterizzato da una media aritmetica, semplice o ponderata, in una maniera che ricalca
la seguente:
𝑊 =∑ 𝑊𝑠
𝑛𝑖=1 ∗ 𝑝𝑖
∑ 𝑝𝑖𝑛𝑖=1
19
dove:
𝑊𝑠 indica i valori economici del capitale delle aziende prese in considerazione sulla
base di transazioni aventi ad oggetto imprese simili
𝑝𝑖 indica i pesi attribuiti a ciascuna valutazione
Per quanto riguarda i metodi diretti fondati su moltiplicatori empirici, essi si
basano sui c.d. multipli come punto di riferimento per la valutazione del capitale
economico. Tali multipli sono, in pratica, calcolati come il rapporto tra il valore
economico di un campione di imprese similari alla valutanda (con riferimento a imprese
facenti parte del mercato borsistico o di quello di controllo a seconda del fatto che la
valutanda sia o meno quotata) ed alcune variabili relative alle imprese stesse (fatturato,
risultato operativo, margine operativo lordo, cash flow, ecc.; è intuitivo il perché tra tali
variabili non sia stato menzionato il risultato netto: in quanto tale, esso incorpora anche
elementi facenti riferimento alla gestione extra-caratteristica e il suo impiego
comporterebbe, quindi, il mancato rispetto del requisito della stabilità). Dopo aver stimato
il multiplo, il valore economico del capitale si ottiene moltiplicandolo per la stessa
variabile considerata in precedenza ma stavolta riferita all’impresa oggetto di valutazione.
Analiticamente:
𝑊 = (𝑃/𝑘)𝑠 ∗ 𝑘
dove:
(𝑃/𝑘)𝑠 è il moltiplicatore di mercato di un campione di imprese simili alla
valutanda per caratteristiche quali-quantitative ottenuto mettendo a rapporto il prezzo di
mercato di tali imprese (𝑃𝑠) desunto dal contesto di mercato cui si è fatto riferimento e la
grandezza, tra tutte quelle espressive del valore di tali imprese, ritenuta più appropriata
per la valutazione (𝑘𝑠)
20
𝑘 rappresenta la stessa caratteristica usata per la stima del moltiplicatore ma
riferita all’impresa valutanda
A tale metodo vi si fa anche riferimento con l’espressione equity approach to
valuation, in quanto consente di pervenire direttamente alla stima del capitale economico,
a differenza di un’ulteriore metodologia fondata anch’essa sui moltiplicatori empirici,
denominata entity approach to valuation che consente di pervenire, invece, alla stima
dell’enterprise value (valore di mercato del capitale operativo) e, quindi, sottraendo a
quest’ultimo il valore dei debiti finanziari, al capitale economico nella maniera seguente:
𝑊 = [(𝑃 + 𝐷)/𝑘]𝑠 ∗ 𝑘 − 𝐷𝑡
dove:
𝐷𝑠 è il valore di mercato dei debiti finanziari delle imprese-campione
𝐷𝑡 è il valore di mercato dei debiti finanziari dell’impresa valutanda
In conclusione, possiamo affermare che, con i metodi di valutazione diretti, il
valore del capitale economico di un’impresa è desunto da valori reperiti in specifici
contesti di mercato. Nel caso in cui l’impresa oggetto di valutazione è quotata in borsa,
ciò equivale ad affermare che il suo valore economico si approssima al prezzo teorico
delle azioni determinatosi sul mercato borsistico. Ma la correttezza nella determinazione
di tale prezzo teorico è subordinata al corretto funzionamento del mercato stesso che, a
sua volta, dipende dall’esistenza di determinate condizioni quali l’assenza di asimmetrie
informative che rende ogni operatore onnisciente e razionale o la concorrenzialità di tale
mercato. Nella realtà, tuttavia, l’assenza di tali tratti inficia l’attendibilità delle
metodologie di valutazione di cui si è appena discusso.
Metodi indiretti
21
La presa d’atto della possibile presenza di imperfezioni nei mercati finanziari
rende necessaria la definizione di metodi di stima del capitale economico che annullino
la loro dipendenza dai dati desunti da tali mercati ma che si basino, invece, su dati di
natura endogena all’azienda opportunamente rielaborati. In estrema sintesi possiamo
distinguere tre differenti metodologie indirette di stima del valore economico del capitale:
a) Metodi basati su grandezze flusso
b) Metodi basati su grandezze stock (patrimoniali)
c) Metodi di valutazione misti
Possiamo, poi, ulteriormente scindere la categoria sub. a) a seconda dei valori
considerati nella valutazione fermo restando che l’impostazione di fondo del processo
resta invariata, in quanto essa atterrà comunque all’attualizzazione dei presumibili valori
di flusso futuri. Avremo, quindi:
1) Metodi reddituali
2) Metodi finanziari
Nel primo caso si perviene alla stima del valore economico del capitale
attualizzando i flussi di reddito normalizzati che si presume l’impresa riuscirà a
conseguire in futuro. La valutazione complessiva di un’azienda, lo ricordiamo, attiene, in
estrema sintesi, alla capacità di creare ricchezza attraverso l’attività di gestione sulla quale
la stessa fonda l’oggetto della sua esistenza. Attraverso, cioè, quella sequenza di
operazioni coordinate e sinergiche di cui se ne dà per scontata la ripetizione in un arco di
tempo relativamente lungo. E’ soltanto l’attività tipica di gestione dell’azienda che deve
essere presa in considerazione per la sua valutazione complessiva, motivo per il quale
risulta necessario normalizzare le grandezze reddituali per epurarle dalle componenti
atipiche di gestione attraverso procedimenti quali l’eliminazione di oneri o proventi
estranei alla gestione tipica oppure la riconsiderazione degli oneri fiscali (ad esempio,
22
considerando solo quella parte degli stessi che, in maniera proporzionale, può essere
ricondotta al reddito operativo).
Fatta questa dovuta premessa possiamo esprimere in formule il tutto:
𝑊 = 𝑅1𝑣1 + 𝑅2𝑣2 + … + 𝑅𝑛𝑣𝑛 + 𝑃𝑛𝑣𝑛
dove:
𝑅1, 𝑅2, … 𝑅𝑛 sono i flussi futuri di reddito (normalizzati) che si ritiene l’impresa
sia in grado di realizzare
𝑃𝑛 è il valore di realizzo dell’azienda alla fine dell’arco temporale entro il quale
viene condotta la valutazione (n), decurtato delle riserve formate dagli utili non distribuiti
in quanto elementi, questi ultimi, già incorporati nella definizione di R
𝑣1, 𝑣2, … 𝑣𝑛 sono i coefficienti di attualizzazione dei flussi reddituali
Il metodo finanziario ricalca esattamente la stessa metodologia con la differenza
che debbono essere considerati i flussi di cassa (cash flow) anziché quelli reddituali. Si
arriva così alla definizione squisitamente finanziaria di DCF (Discounted Cash Flow).
Si fa convenzionalmente riferimento a tali metodologie di valutazione con
l’espressione metodi fondamentali teorici, di cui si rende necessaria una ulteriore
precisazione. Se è pacifica la loro validità concettuale in quanto rispecchiano appieno la
definizione di capitale economico, sorgono delle difficoltà in merito alla loro applicazione
dal momento che il metodo presenta evidenti limiti legati alla sua soggettività e
imprevedibilità. La soggettività si traduce nel mancato rispetto del requisito della
generalità in quanto la determinazione dei valori potrebbe oltremodo essere influenzata
dagli interessi particolari che guidano la motivazione stessa della valutazione.
L’imprevedibilità lede, invece, il requisito della dimostrabilità in quanto i flussi reddituali
(o monetari) sono difficilmente prevedibili e di certo non possono essere stimati
esclusivamente sulla base di informazioni passate e presenti. Ne deriva una mancanza di
oggettività nella stima del capitale economico che si traduce nell’impossibilità di definire
23
un valore univoco per l’avviamento che da questo punto di vista sembra quasi risultare
un valore di compromesso tra le molteplici metodologie di valutazione del valore
complessivo aziendale dettate dalle differenti esigenze di tutti coloro che risultano
interessati alla quantificazione di tale valore.
Alla metodologia fondamentale si affiancano i metodi semplificati (puri) che
partono dall’assunto di un arco temporale infinito e ai flussi reddituali (o finanziari)
determinati in previsione di ogni singolo periodo se ne sostituisce uno che ne rappresenta
una sintesi (c.d. reddito medio prospettico). La formula è quella della rendita perpetua:
𝑊 =𝑅
𝑖
dove:
𝑅 è il flusso reddituale o finanziario
𝑖 è il tasso di capitalizzazione (o di sconto)
In entrambi i casi, oltre alla normalizzazione dei flussi considerati, è fondamentale
stimare la misura del fattore di sconto, di cui si accenna brevemente qui di seguito.
Esso deve incorporare due profili di rischio:
a) Il rischio sistematico (o non diversificabile), ovvero quello che non può essere
ridotto dalla diversificazione; per la sua stima si fa riferimento al rendimento dei
titoli privi di rischio presenti sul mercato (generalmente i titoli di stato)11;
b) Il rischio specifico (o diversificabile), ovvero il rischio che può essere ridotto
tramite la diversificazione; esso fa più esplicitamente riferimento al rischio
11 Lucio Potito, Economia Aziendale, op.cit. Come osservato dall’autore, la convenzione di associare il
tasso privo di rischio a quello dei titoli di stato era accettabile fino al momento in cui la crisi finanziaria ha
posto in evidenza come nemmeno questi ultimi possano essere ritenuti sicuri in senso assoluto.
24
ricollegabile all’attività d’impresa e viene stimato con metodologie quali il
CAPM12 (Capital Asset Pricing Model).
A differenza dei metodi reddituali e finanziari, il metodo patrimoniale perviene
alla stima del capitale economico attraverso una opportuna rielaborazione degli elementi
dell’attivo e del passivo patrimoniale dai quali, per differenza, si determina il capitale
netto a sua volta rettificato. Tale rielaborazione è finalizzata alla riformulazione degli
elementi patrimoniali a valori correnti. Ciò significa stimare13:
a) I fattori aziendali destinati allo scambio al loro valore di presumibile realizzo;
b) I fattori aziendali destinati a prestare la loro utilità per più esercizi al loro valore
di sostituzione;
c) Le passività aziendali al loro valore corrente di estinzione.
Riprendendo la metodologia pura basata su valori di flusso e ipotizzando una
continuazione dell’attività aziendale che non vede limiti temporali (n tende a infinito)
abbiamo che:
𝑊 =𝑅
𝑖
12In: www.borsaitaliana.it Più specificamente tale modello mostra la relazione tra il rendimento di un titolo
ed il rischio associato in ipotesi di assenza di imperfezioni nei mercati finanziari (assenza di asimmetrie
informative e costi di transazione, omogeneità delle aspettative, divisibilità all’infinito dei titoli…). In
formule:
𝑟 − 𝑟𝑓 = 𝛽(𝑟𝑚 − 𝑟𝑓)
dove il termine a sinistra rappresenta il premio per il rischio specifico, dato dalla differenza tra il rendimento
del titolo specifico e quello free risk e indica il rendimento aggiuntivo richiesto per investire in un titolo
rischioso anziché in uno sicuro; il termine a destra esprime il premio per il rischio di mercato (la differenza
tra parentesi, detto anche market risk premium) moltiplicato per 𝛽, ossia la misura della reattività del
rendimento del titolo rispetto ai movimenti del mercato (in altri termini, il rischio sistematico del titolo
stesso). 13 Ovviamente ciò si traduce in procedimenti di stima ad-hoc per ogni singolo elemento patrimoniale sui
quali si è ritenuto inopportuno soffermarsi in questa sede.
25
da cui:
𝑅 = 𝑊𝑖
Indicando, ora, con 𝐾𝑡 il patrimonio netto dell’azienda valutanda opportunamente
rettificato in modo da rispecchiare il suo valore economico (𝑊 ≅ 𝐾𝑡) possiamo riscrivere
in questo modo la precedente uguaglianza:
𝑅 = 𝐾𝑡𝑖
In altri termini, il metodo patrimoniale parte dall’assunto che il reddito atteso sia
uguale al tasso di sconto moltiplicato per il capitale netto rettificato.
Il metodo appena proposto è definito semplice e, opportunamente integrato,
consente di pervenire alla stima del capitale economico secondo la metodologia definita,
invece, complessa. Tale integrazione attiene all’aggiunta di quegli elementi intangibili
non rilevati negli schemi contabili ma che incorporano in sé parte delle potenzialità
aziendali che, in sinergia con le altre, consentono il corretto funzionamento dell’impresa.
Anche in questo caso è palese la validità concettuale del metodo che risulta, tuttavia, non
applicabile se non ricorrendo a stime e congetture. Del resto risulta necessaria anche in
questo caso, oltre alla valutazione degli elementi non inseribili in bilancio in quanto
scarsamente suscettibili di quantificazione monetaria per le loro caratteristiche, la stima
dei flussi reddituali futuri, il che porta, tendenzialmente, ad una coincidenza tra i risultati
ottenuti con i metodi reddituali e quelli ottenuti con i metodi patrimoniali.
Questi ultimi possono, poi, venire considerati congiuntamente nel processo di
stima dando vita ai c.d. metodi di valutazione misti in cui, appunto, vengono presi in
considerazione valori sia di flusso che di stock.
26
Uno di questi è il metodo del valore medio che consiste in una sintesi tra il metodo
patrimoniale semplice e quello di attualizzazione dei futuri flussi di reddito. In tal caso il
valore economico del capitale è dato da:
𝑊 = 𝑘𝑡 + 𝑅/𝑖
2
formula che, se rielaborata, può essere espressa anche nel modo seguente:
𝑊 = 𝑘𝑡 +1
2(𝑅/𝑖 − 𝑘𝑡)
dove il termine tra parentesi (differenza tra flussi futuri di reddito attualizzati e
capitale netto espresso a valori correnti) rappresenta proprio l’avviamento. Per cui:
se 𝑅/𝑖 > 𝑘𝑡 vi è la presenza di un goodwill (avviamento
positivo); l’azienda, nel suo complesso, vale più della somma del valore delle sue
parti stimate a prezzi correnti;
se 𝑅/𝑖 < 𝑘𝑡 vi è la presenza di un badwill (avviamento
negativo); il valore economico del capitale è inferiore al valore corrente delle sue
parti.
In questo caso l’avviamento è considerato solo per metà del suo valore totale a
differenza di quanto accade, invece, nell’utilizzo del metodo della stima autonoma
dell’avviamento14. Tenendo a mente che il valore economico di un’azienda è dato dalla
somma del suo valore patrimoniale (ove i valori sono espressi a prezzi correnti) e
l’avviamento (𝑊 = 𝐾𝑡 + 𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙) quest’ultimo è definito come segue:
14 Nella illustrazione di tale metodologia si è fatto riferimento, in particolare, a: D. Balducci, La Valutazione
dell’Azienda, Milano, FAG editore, 2012
27
𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙 = (𝑅 – 𝐾𝑡𝑖)𝑎𝑛┐𝑖’
dove:
𝑎𝑛┐𝑖’ indica il valore attuale di una rendita con durata definita in n anni con un
tasso di sconto pari a 𝑖’15, mentre 𝑖 rappresenta il tasso di remunerazione del capitale
investito.
Sommando all’avviamento il valore patrimoniale rettificato 𝐾𝑡 otteniamo il valore
complessivo dell’azienda. E’ da notare che in tale formula si suppone che l’extra-reddito
da cui scaturisce l’avviamento sia conseguibile solo per un arco temporale circoscritto
(indicato con n): per questo motivo il metodo è anche detto di durata limitata
dell’avviamento e la sua applicazione è subordinata alla possibilità di poter quantificare
in maniera ragionevole la misura di tale extra-reddito e il periodo di tempo in cui
l’impresa potrà beneficiarne. Qualora non fosse possibile formulare tali supposizioni
basandole su dati oggettivi, si può ricorrere, anche in questo caso, ad un metodo di calcolo
che ricalca quello della rendita perpetua, ipotizzando cioè che l’attività d’impresa continui
a svolgersi in futuro per una durata illimitata o, comunque, indefinita. In formule:
𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙 =(𝑅 – 𝐾𝑡𝑖)
𝑖’
15R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, Mc-Graw Hill, 2010. Più
precisamente, supponendo di dover attualizzare ad un tasso 𝑖 una rendita annua unitaria il cui primo
pagamento avviene nell’anno 𝑛, abbiamo che il suo valore attuale (che indichiamo con V) è pari a:
𝑉 =1
𝑖
1
𝑖(1 + 𝑖)𝑛
Ora, dato che questa formula fa riferimento ad un arco temporale che va da 𝑛 a infinito, basta sottrarla a
quella della rendita perpetua per trovare il valore attualizzato facente riferimento ad un arco temporale che
va da 0 a 𝑛. Per cui:
𝑎𝑛┐𝑖 = 1
𝑖−
1
𝑖
1
𝑖(1 + 𝑖)𝑛
28
In questo modo l’avviamento è espresso come valore attuale dell’eccedenza del
reddito medio prospettico sul rendimento normalizzato del capitale netto rettificato a
valori correnti. Come in precedenza, occorre prestare attenzione alla differenza fra il tasso
di sconto utilizzato per attualizzare tale eccedenza (la 𝑖’ al denominatore) e il tasso di
remunerazione del capitale netto rettificato (la 𝑖 al numeratore). Mentre il primo è desunto
da considerazioni di carattere prettamente finanziario (incorpora sia il rischio specifico
dell’attività tipica dell’azienda oggetto di valutazione sia il rischio sistematico) il secondo
indica il rendimento normalizzato del capitale investito. Inoltre la formula fa riferimento
alla rettifica del patrimonio netto a valori correnti, senza però specificarne le modalità.
Come già osservato, tale rettifica può avvenire tramite metodo patrimoniale semplice
rielaborando le voci patrimoniali che figurano in bilancio a valori correnti (vedi sopra)
ovvero metodo patrimoniale complesso sommando al valore ottenuto tramite il metodo
semplice i valori di quelle componenti intangibili che, seppur non figurando in bilancio,
concorrono alla determinazione del valore aziendale complessivo.
E.V.A.
Tra le metodologie di determinazione del valore economico dell’azienda si è
scelto di dare maggiormente risalto a quella dell’Economic Value Added (E.V.A.) per via
del suo crescente grado di utilizzo, dovuto ai numerosi vantaggi a cui tale metodologia è
legata. Uno di questi è quello di fornire una valutazione in termini assoluti, ovvero che
non necessita di termini paragoni in quanto punto terminale (e non di partenza) del
processo valutativo. Inoltre essa possiede carattere globale: la rielaborazione contabile di
alcuni aspetti sui quali si fonda consente il superamento della problematica legata alla
discrezionalità nell’applicazione dei principi contabili che differiscono da paese in paese.
Per tali caratteristiche il metodo si pone come risolutore di alcune questioni dettate dalla
progressiva globalizzazione e apertura dei mercati, primo su tutti la comparabilità
internazionale degli investimenti. Tale possibilità risulta, infatti, preclusa con l’utilizzo di
29
indicatori quali R.O.E. e R.O.I.16 certamente più diffusi ma il cui calcolo è fortemente
condizionato dalla normativa contabile.
Il metodo si fonda sul concetto di “reddito economico” che esprime la redditività
nella logica dello “shareholder value, sintetizzando decisioni operative e decisioni di
investimento, livello di rischio e di rendimento in un unico indicatore di performance”17.
In modo molto sintetico si può affermare che tramite l’E.V.A. si determina la misura del
reddito residuo, ovvero quella ricchezza aggiuntiva che resta dopo aver remunerato tutti
i finanziatori dell’azienda, sia quelli che hanno prestato denaro a titolo di prestito, sia
quelli che hanno finanziato a titolo di proprietà. Il costo complessivo del capitale così
determinato è riassunto in un indicatore chiamato WACC18 (Weighted Average Cost of
Capital):
𝑊𝐴𝐶𝐶 = 𝑟𝑑(1 − 𝑡𝑐)𝐷
𝐷 + 𝐸+ 𝑟𝑒
𝐸
𝐷 + 𝐸
dove:
𝑟𝑑 è il costo del debito
𝑡𝑐 è l’aliquota fiscale in capo all’impresa
𝑟𝑒 è il costo opportunità del capitale investito a titolo di rischio (di proprietà) e
indica il rendimento richiesto dagli investitori per intraprendere questo tipo di
investimento nell’azienda oggetto di valutazione piuttosto che investimenti alternativi
simili
𝐷 ed 𝐸 sono i finanziamenti attinti a titolo, rispettivamente, di debito e di rischio
Premesso ciò, possiamo definire l’E.V.A. come:
16 R.O.E. e R.O.I. sono, rispettivamente, misura della redditività netta e di quella operativa. Il primo è dato
dal rapporto reddito netto/equity, il secondo da quello reddito operativo/capitale investito. 17 A. Tami, 2001 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit. 18 R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, op. cit.
30
𝐸𝑉𝐴 = 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑜 = 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑔𝑢𝑎𝑑𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜 − 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜
dove:
𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 ∗ 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
In formule:
𝐸𝑉𝐴 = 𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 − 𝑊𝐴𝐶𝐶 ∗ 𝐶𝐼
da cui:
𝐸𝑉𝐴 = (𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇
𝐶𝐼− 𝑊𝐴𝐶𝐶) ∗ 𝐶𝐼
dove:
𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 sta per Net Operative Profit After Taxes (reddito operativo al netto delle
imposte)
𝐶𝐼 è il capitale investito
Risulta utile esprimere l’equazione secondo questa ultima forma funzionale in
quanto evidenzia un aspetto alquanto importante. Essendo pacifico che l’E.V.A.
rappresenti il valore creato dall’impresa in un dato periodo (valore determinato al netto
del costo complessivo del capitale che, lo ricordiamo, viene inteso qui come
remunerazione sia del debito sia delle aspettative di guadagno iniziali degli shareholder)
possiamo apprezzare come tale valore dipenda dallo spread tra il rendimento del capitale
investito (il rapporto tra parentesi) e il relativo costo (espresso dal 𝑊𝐴𝐶𝐶). Se il termine
31
tra parentesi è positivo vuol dire che, nell’arco temporale di riferimento, l’azienda ha
creato ricchezza; viceversa, l’azienda ha distrutto ricchezza.
Anche in questo caso il legame tra tale metodo misto di valutazione e
l’avviamento si evince estendendo l’orizzonte temporale dell’analisi. Più precisamente è
possibile calcolare autonomamente l’avviamento tramite l’attualizzazione del valore
degli E.V.A. futuri attesi (tale valore prende il nome di Market Value Added, M.V.A.)
determinando così la presenza di un goodwill (MVA > 0) o di un badwill (MVA< 0).
Sommando a tale valore il capitale investito è possibile pervenire all’Enterprise Value
(EV) ossia una misura del valore della società senza considerare il suo indebitamento:
rappresenta, cioè, il prezzo che dovrebbe pagare chi volesse acquisire la società senza
debiti19. In altri termini, abbiamo:
𝑀𝑉𝐴 = (𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 − 𝑊𝐴𝐶𝐶 ∗ 𝐶𝐼)𝑎𝑛┐𝑖’
𝐸𝑉 = 𝐶𝐼 + 𝑀𝑉𝐴
𝑊 = 𝐸𝑉 − 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜
Questi sono i passaggi per pervenire alla stima del valore economico del capitale
partendo dal metodo dell’Economic Value Added. Ai fini della trattazione si sottolinea
come lo schema logico consenta di arrivare ad una stima autonoma dell’avviamento
tramite l’attualizzazione degli E.V.A. futuri, cosicché abbiamo:
𝑎𝑣𝑣𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 = 𝑀𝑉𝐴
In aggiunta, tale metodo ci consente di apprezzare le variabili da cui l’avviamento
stesso (e, di conseguenza, il valore dell’azienda) dipende, costituendo, secondo questa
19 Fonte: www.borsaitaliana.it
32
prospettiva di osservazione, uno strumento di controllo rilevante anche in chiave
strategica in quanto costituisce, tra le altre cose, punto di partenza per l’individuazione di
quelle leve ritenute determinanti ai fini della quantificazione della performance dalla
quale dipende, in ultima analisi, il valore del complesso aziendale. E’ stato ritenuto
opportuno rimarcare questo aspetto in quanto ad esso è strettamente collegata la durata
dell’avviamento. Essa dipende, infatti, dalla possibilità da parte del management
aziendale di influire su queste leve che, a sua volta, è collegata alla natura di queste ultime.
Se sono intese come fattori capaci di influenzare la misura della capacità di generare
redditi in eccesso (concetto al quale abbiamo in precedenza fatto riferimento con
l’espressione “excess earning power”) risulta chiaro che tra questi fattori molti risultano
essere esogeni all’azienda, in quanto collegati, ad esempio, a fattori macro-ambientali su
quali il management non può esercitare alcun effetto.
In generale, possiamo dire che sono molteplici i fattori che influenzano la capacità
dell’impresa di creare ricchezza in eccesso, ognuno dei quali esercita sulla stessa un certo
grado di incidenza. Tali fattori possono avere un livello di prossimità spaziale all’impresa
più o meno rilevante20, il che li rende, a volte, scarsamente controllabili, con il rischio di
minare il valore dell’avviamento dell’azienda senza che quest’ultima possa avere
possibilità di replica. E’ in base alla natura di questi fattori e del relativo grado di controllo
esercitabile che il management deve stimare la durata dell’avviamento21: maggiore risulta
essere tale grado di controllo, più lungo sarà il periodo di tempo in cui l’impresa potrà
beneficiare dell’avviamento.
Tutto ciò rileva ai fini della scelta del metodo di valutazione del capitale
economico. A questo punto risulta chiaro che, nel caso in cui, ad esempio, la redditività
aziendale dipende da fattori poco controllabili o temporanei, è preferibile evitare l’utilizzo
di metodi di valutazione basati sulla rendita perpetua e tener conto di tale aspetto
20 S. Sciarelli, La Gestione dell’Impresa, Padova, CEDAM, 2011. In particolare tali fattori esogeni possono
far riferimento al micro o al macro-ambiente, ove il primo è composto dall’ambiente transazionale e da
quello competitivo, mentre il secondo da tutti quei fattori riconducibili ad una molteplicità di ambienti
(politico-istituzionale, socio-demografico, culturale, tecnologico…) su cui l’impresa può esercitare un
effetto molto limitato.
21 D. Balducci, La Valutazione dell’Azienda, op. cit. Nello specifico, l’autore distingue, un avviamento
stabile e durevole da uno volatile. Nel primo caso esso deriva da fattori direttamente influenzabili da chi
gestisce l’azienda e, in via approssimativa, la sua durata viene stimata in 5-8 anni. Nel secondo, invece,
essa viene stimata in 3-5 anni e si specifica come la volatilità non derivi soltanto da fattori la cui limitata
possibilità di controllo sia legata alla distanza tra i fattori stessi e l’azienda, ma dalla fonte degli stessi (se
la fonte della maggior redditività è da ricondurre alle capacità manageriali, ad esempio, la volatilità
dell’avviamento deriva dal fatto che non si possono costringere tali manager a restare in azienda in eterno).
33
temporaneo nella scelta delle modalità di attualizzazione dei flussi reddituali (o monetari)
futuri e dell’orizzonte temporale entro cui orientare la stima.
Ulteriori considerazioni
Anche in questo caso, tuttavia, pur con i pregi legati al metodo dell’E.V.A.
evidenziati in precedenza, la stima dell’avviamento e, in ultima analisi, del valore
complessivo dell’azienda è soggetta ad ampi margini di discrezionalità in quanto
imprescindibile da processi di attualizzazione di flussi economici o finanziari futuri. In
questo senso, le tre linee guida che dovrebbero essere seguite nel determinare un metodo
di valutazione del valore economico aziendale (requisiti di generalità, obiettività e
razionalità) sembrano fungere solo da precetto che impedisca di formulare stime
irrealistiche in quanto resta presente la componente soggettiva nella valutazione
dell’avviamento aziendale la cui quantificazione, in sintesi, difficilmente può essere
scissa dagli interessi particolari di chi muove l’analisi.
1.3 I MOTIVI PER VALUTARE L’AVVIAMENTO
Discutendo dei metodi di stima del capitale economico e dei numerosi modi di
intendere quello netto non si è comunque riusciti a fornire una definizione universale del
concetto di avviamento. Non basta, infatti, identificarlo nello spread intercorrente tra le
due configurazioni di capitale dal momento che anche queste ultime possono essere
variamente intese: i valori patrimoniali possono essere espressi tanto al fair value quanto
al loro costo storico, così come le diverse metodologie di calcolo del valore complessivo
dell’azienda permettono di pervenire a soluzioni simili ma non omogenee. Tale assenza
34
di univocità nella quantificazione dell’avviamento sembra, in effetti, testimoniata da
numerosi studi e ricerche da parte di chi si è variamente cimentato nel definire con
precisione questa attitudine implicita dell’azienda. Vengono proposte nel prosieguo
alcune definizioni, fermo restando che, in molti casi, chi definisce il goodwill enfatizza la
differenza tra quello acquisito (purchased goodwill) e quello internamente generato
(internally generated goodwill). Per il momento non prenderemo in considerazione
questa distinzione in quanto essa presuppone alcune implicazioni sul piano contabile che
verranno trattate successivamente.
Volendo partire da una definizione ufficiale, possiamo riprendere quella, già
fornita, che ne dà il documento 24 dell’OIC quando specifica che il goodwill deriva “da
incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma
dei valori dei singoli beni in virtù dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”.
Formula che sembrava tanto precisa all’inizio e tanto vaga adesso, in virtù delle difficoltà
nella definizione:
a) del valore del complesso dei beni aziendali;
b) della somma del valore dei singoli beni.
Si potrebbe obiettare che la definizione del punto sub. b) possa essere ricondotta
agli standard dallo stesso OIC ma tali standard sono dettati per esigenze diverse rispetto
alle quelle di un potenziale osservatore che voglia effettuare un analisi oggettiva del
valore dell’avviamento. Ma l’incertezza resta anche se spostiamo l’attenzione agli
standard internazionali, dove esso è definito soltanto in via residuale rispetto agli altri
asset intangibili22, quasi come se il suo inserimento tra questi ultimi fosse un fatto solo
convenzionale, dando vita, inoltre, ad una discussione circa la sua conformità alla
definizione di attività proposta nel Framework. I principi contabili, pur specificandone il
trattamento contabile, non riescono a fornire una definizione esaustiva del concetto,
scopo, invece, perseguito da molti studiosi il cui confronto neanche in questo caso riesce
a dare univocità.
22 IASB, IAS 38 Intangible Assets
35
C’è chi identifica nell’avviamento un “premio in termini di maggior valore” che
scaturisce principalmente dalla reputazione aziendale e quantifica tale maggior valore
nella semplice differenza tra il valore complessivo dell’azienda ed il fair value delle
attività nette identificabili23. Altri cercano di fornire definizioni più approfondite. Reilly
e Schweihs, ad esempio, pur specificando l’assenza di definizioni “universali”,
identificano nel goodwill la presenza di tre componenti24:
1) il going-concern value, ovvero la presenza di fattori produttivi pronti all’uso;
2) l’excess economic income ovvero quella parte di ricchezza la cui creazione non
può essere ricondotta ad alcun asset identificabile specifico;
3) le aspettative circa eventi futuri non correlati direttamente alle operazioni
aziendali.
Se i primi due elementi sono strettamente collegati al concetto generale di
avviamento, è il terzo a rappresentare un elemento di discontinuità. Secondo gli autori,
infatti, il valore del goodwill incorpora anche le aspettative circa possibili eventi futuri
che in qualche modo possono influenzare l’attività dell’azienda e il suo valore. Nel
prosieguo è specificato meglio il concetto: “Investors (and owners) assign a goodwill
value to a business if they expect net present value of the income associated with the
future events to be positive”. Per capire meglio tale affermazione si faccia riferimento ad
uno dei metodi c.d. fondamentali teorici, quello che stima il valore dell’impresa nel valore
attuale dei suoi flussi di reddito futuri. Tale metodo presuppone delle supposizioni circa
la misura di tali redditi. Ebbene, Reilly e Schweihs ci dicono semplicemente che la stima
di suddetti flussi deve incorporare anche le aspettative di chi muove l’analisi circa
probabili accadimenti futuri (non meglio specificati ma si suppone che possano far
riferimento a quelli già citati discutendo del metodo dell’E.V.A.) che si ritiene possano,
positivamente o negativamente, influenzare la capacità dell’impresa di produrre
ricchezza. Tale definizione probabilmente rende un ottimo contributo all’inquadramento
dell’avviamento in chiave concettuale ma è evidente come non si possa dire lo stesso
anche dal punto di vista pratico. Se, come affermano i due autori, l’avviamento è
23 Definizione tratta da: J.M. Samuels, R.E. Brayshaw, J.M. Cramer, Financial Statement Analysis in
Europe, Chapman & All, 1995 24 R. Reilly, R. Schweihs, Valuing Intangible Assets, Mc-Graw Hill, 1998
36
assimilabile alla somma delle tre componenti e, volendo ragionare per assurdo, si ritiene
di poter assegnare alle prime due valori precisi ed univoci, è la presenza delle aspettative
che non ci consente di limitare il margine di discrezionalità associato alla sua
misurazione. Anche in questo caso a rilevare è il punto di osservazione dal quale si pone
chi muove l’analisi: il manager dell’impresa oggetto di valutazione e un analista esterno,
ad esempio, possono essere in possesso di informazioni discordanti che portano,
innanzitutto, a delle differenze nel modo in cui essi formano le loro aspettative sul futuro
(siano esse strettamente collegate all’impresa in questione o facenti parte del più
complesso ambiente economico e le cui ripercussioni sulla stessa avvengono solo in un
secondo momento) e, quindi, al modo in cui essi riflettono le loro aspettative sulle analisi.
Altra definizione che, per sommi capi, ricalca il concetto generale di avviamento
definito fin ora è quella fornita da Johnson e Petrone, che lo definiscono come “la capacità
di un’azienda di conseguire un tasso di rendimento maggiore da un insieme di attività
nette rispetto a quello conseguibile se tali attività fossero acquisite separatamente
(riflettendo le sinergie di tali attività nette e i fattori correlati alle imperfezioni di mercato,
ad esempio quando un’azienda possiede la capacità di conseguire profitti monopolistici o
quando esistono barriere all’entrata di quel determinato mercato per i potenziali
competitors)”25. Anche in questa definizione viene enfatizzato il ruolo giocato da
elementi esogeni all’azienda (si parla genericamente di imperfezioni di mercato legate,
probabilmente, a tutte le condizioni che allontanano la struttura del mercato dalla visione
utopistica della perfetta concorrenzialità) che influiscono sul modo in cui la stessa riesce
a sfruttare le sinergie produttive da cui deriva l’abilità di ottenere tassi di rendimento
superiori al normale, dove il normale è inteso nell’ipotesi in cui i fattori produttivi siano
acquisiti al di fuori della combinazione produttiva (il concetto di stand-alone basis già
menzionato nella trattazione).
A parere di chi scrive, il trait d’union di tutte le analisi proposte fino a questo
punto sta nella presenza di una sorta di proporzionalità inversa tra la validità concettuale
della definizione di avviamento e la possibilità di ricondurvi un metodo di quantificazione
25 L.T. Johnson, K.R. Petrone, Commentary: is Goodwill an Asset? Accounting Horizons, 1988. Essi
definiscono il goodwill come: “the ability of a stand-alone business to earn a higher rate of return on an
organized collection of net assets than would be expected if those assets had to be acquired separately
(reflecting the synergies of the net assets of the business and factors related to market imperfections, such
as where a business has the ability to earn monopoly profits or where there are barriers to entry to the
market by potential competitors)”.
37
attendibile, un metodo, cioè, che incorpori in toto i principi di razionalità, obiettività e
generalità. Se è vero che il valore dell’avviamento incorpora le aspettative su eventi futuri
formulate da chi muove l’analisi (come evidenziato da Reilly e Schweihs), è altresì vero
che a tali aspettative non può essere ricondotto un metodo affidabile di valutazione; per
cui la componente soggettiva risulta inscindibile dalla valutazione stessa (inconveniente
al quale, come si vedrà, i principi contabili stessi rispondono operando supposizioni e
semplificazioni).
E’ per questi motivi che si richiama una definizione di avviamento azzardata in
precedenza, in cui esso risulta derivare da una sorta di compromesso tra i dati contabili,
da un lato, e gli interessi particolari di chi ne effettua l’analisi, dall’altro. Si ritiene che
tali interessi vadano a formare la componente soggettiva accennata in precedenza e che
conferisce valori differenti all’avviamento a seconda del punto di vista dal quale ne viene
condotta l’analisi. Si ritiene utile, dunque, un accenno a tali possibili interessi citando
ancora una volta Reilly e Schweihs, i quali forniscono diverse ragioni che possono far
nascere l’esigenza di analizzare l’avviamento, tra le quali vengono menzionate:
- Damage analysis: il verificarsi di un fenomeno, sia esso di natura macro-
ambientale o anche più circoscritto in termini spaziali (si fa riferimento, nel testo,
a disastri naturali, scioperi ma anche violazione di accordi contrattuali e altri
accadimenti simili) che riguarda direttamente l’impresa, fa nascere la necessità di
valutare l’avviamento per capire se è stata lesa la capacità di produrre ricchezza
extra. All’occorrenza può essere utile effettuare una comparazione tra il valore
dell’avviamento prima e dopo il manifestarsi di tale evento per capire non solo se
l’impresa ne abbia risentito, ma anche in che misura.
- Business or professional practice merger and separation: nel caso di fusione tra
imprese è necessario stimare il valore complessivo dell’impresa fusa e, quindi,
anche il suo avviamento in modo tale da poterlo riallocare sulla base del contributo
che è in grado di garantire ai partner. Anche nel caso di una scissione è
fondamentale conoscere il valore del goodwill in modo da poterlo ripartire
secondo le stesse considerazioni fatte nel caso della fusione.
- Solvency test: in linea generale, la capacità dell’impresa di tener fede agli obblighi
assunti verso terzi deriva dal suo valore complessivo.
38
- Transfer price: ovviamente, nel caso di acquisto di azienda o ramo d’azienda, il
compratore deve conoscerne il valore complessivo per determinare un adeguato
corrispettivo.
- Bancarotta e riorganizzazione: se l’impresa è in bancarotta la stima del goodwill
presente o di quello potenzialmente ottenibile a parità di condizioni produttive
presenti è utile per capire se vale la pena cimentarsi in una riorganizzazione
aziendale per renderla nuovamente funzionante oppure se procedere alla
liquidazione.
- Business enterprise valuation: attiene alle numerose prospettive esterne che
possono spingere alla determinazione del valore complessivo dell’impresa (ad
esempio, da parte di un ipotetico soggetto che deve decidere se finanziarla o
meno).
39
CAPITOLO 2
TRATTAMENTO CONTABILE ATTUALE
In questo capitolo si tenterà di analizzare l’attuale disciplina inerente il trattamento
contabile dell’avviamento in ambito nazionale ed internazionale. Nel fare ciò verranno
presi in considerazione i documenti OIC (che, in conformità ai dettami del Codice Civile,
statuiscono le modalità di redazione del bilancio) e quelli dell’IAS/IFRS e si tenterà di
analizzare le principali differenze di trattamento.
2.1 PREMESSA
Gli standard contabili sono soggetti ad una continua messa in discussione dettata
dai numerosi mutamenti nello scenario economico che richiede alle imprese di adeguarsi
alle nuove esigenze conoscitive e di cambiare il loro modo di porsi nei confronti
dell’ambiente esterno. Ciò è vero, soprattutto, alla luce dell’attuale processo di
globalizzazione che, con l’abbattimento delle distanze geografiche e l’introduzione di
nuovi strumenti contrattuali, ha radicalmente cambiato il modo di intendere la
comunicazione aziendale vincolata: è in tale contesto che ci si accorge di come il modello
di bilancio presenti evidenti carenze strutturali. La conseguenza più rilevante è stata la
40
recente presa d’atto della necessità di un’unificazione dei principi contabili a livello
internazionale che consenta la comparabilità dei bilanci tra imprese per le quali, come si
è detto, la distanza geografica è divenuta un elemento sempre meno divisivo. Sempre più
imprese dislocate in paesi o continenti diversi intraprendono tra di loro rapporti
commerciali e nella scelta dei loro partner internazionali fanno affidamento a svariate
fonti informative, prima fra tutte il bilancio. Motivo per il quale quest’ultimo necessita di
essere comprensibile anche all’estero e deve essere capace di fornire informazioni che
siano rilevanti e non influenzate dalla particolarità dei principi contabili del paese in cui
esso è redatto: è in questa chiave di lettura che assume un ruolo centrale la comparabilità
dello stesso a livello internazionale. Ecco perché, pur conservando alcuni tratti distintivi,
la fondazione OIC si propone come obiettivo quello di emanare standard che avvicinino
il più possibile il modo di intendere il bilancio in ambito nazionale con quello in ambito
internazionale.
Uno degli argomenti in esame nell’ambito dell’abbattimento di tali discrepanze
informative è proprio il goodwill le cui difformità inerenti il suo trattamento contabile
sono state analizzate e discusse, tra gli altri, dall’OIC in concerto con lo standard setter
giapponese (ASBJ) e dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) in
un discussion paper. La necessità di mettere in discussione il modo di intendere
l’avviamento nei principi contabili deriva da fattori non soltanto di natura contabile ma il
cui effetto è percepibile a livello macroeconomico. Essi saranno comunque trattati nel
prosieguo. Si illustrerà, anzitutto, l’attuale disciplina contabile.
2.2 L’AVVIAMENTO ACQUISITO E QUELLO INTERNAMENTE
GENERATO
La discussione circa il trattamento contabile dell’avviamento presuppone
l’introduzione della distinzione tra due tipologie di avviamento, rimarcata con forza sia
41
dagli standard sia dagli studiosi che si sono variamente cimentati nel definire un quadro
concettuale dell’argomento in questione:
a) l’avviamento internamente generato (internally generated goodwill);
b) l’avviamento acquisito (purchased goodwill).
A ben vedere, il concetto stesso di avviamento non cambia: in entrambi i casi
siamo di fronte all’attitudine dell’azienda di generare, tramite la combinazione dei vari
fattori aziendali, utili in eccesso (excess earning power) rispetto a quelli ottenibili
secondo una prospettiva stand-alone basis. Cambia, piuttosto, il punto di osservazione.
Mettendoci nei panni di un’impresa che deve redigere il proprio bilancio, l’avviamento
sub. a) rappresenta quello formatosi a seguito dell’attività dell’impresa stessa, mentre
quello sub. b) fa riferimento all’avviamento di un’ipotetica azienda o ramo d’azienda che
l’impresa si accinge ad acquisire. Tuttavia la distinzione ha importanti implicazioni per
quanto attiene al trattamento contabile in quanto a tal fine è rilevante solo l’avviamento
acquisito: solo questo può comparire in bilancio mentre in nessun caso è ammessa la
contabilizzazione dell’avviamento generato internamente. Si tratta, a ben vedere, di una
sorta di trait d’union tra i diversi standard setter ognuno dei quali rimarca con forza questo
aspetto: in effetti è uno dei pochi tratti che accomuna la disciplina civilistica a quella
internazionale, a dispetto delle numerose difformità attinenti altri aspetti delle due
discipline contabili. Nell’ambito nazionale, ad esempio, prima ancora che i documenti
OIC, è lo stesso codice civile a stabilirne l’acquisizione a titolo oneroso come condizione
necessaria ai fini della sua iscrizione26.
Ma al di là dei precetti normativi, le ragioni che motivano questo trattamento sono
comunque chiare: andare ad esporre in stato patrimoniale, accanto a tutti i valori dei fattori
aziendali, anche quello del proprio avviamento, significa comunicare all’esterno una
stima del valore complessivo dell’azienda. Stima, per altro, soggettiva e mai condivisibile
in senso assoluto. Una esposizione in bilancio come quella appena proposta sarebbe
26 Art. 2426 Cod. Civ. Criteri di valutazione: ”l'avviamento può essere iscritto nell'attivo con il consenso,
ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e
deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni”.
42
profondamente discordante con le finalità dello stesso, che, in linea di massima, possono
essere ricondotte ad una rappresentazione dei valori incentrata alla determinazione del
risultato netto d’esercizio rispettando, tra gli altri, il principio di competenza economica.
Ebbene, ricordando che alla quantificazione del valore dell’avviamento vi si perviene
attraverso un processo di attualizzazione dei redditi che si presume saranno conseguiti in
futuro, esporre in bilancio anche il proprio avviamento significherebbe anticipare al
presente tali redditi futuri: la conseguenza sarebbe una (inopportuna) convergenza tra il
valore dell’equity contabile dell’impresa e la sua capitalizzazione di mercato. Inoltre,
sempre in ambito nazionale, la capitalizzazione dell’internally generated goodwill
allontanerebbe dallo scopo che lo stesso OIC attribuisce al bilancio attraverso la
statuizione di postulati quali la prudenza, la verificabilità e, in linea con questa
discussione, “l’incompatibilità delle finalità del bilancio di esercizio con l’inclusione
delle valutazioni prospettiche dell’investitore”27. A riprova, si richiama, in ambito
internazionale, un dettato del Conceptual Framework for Financial Reporting, il quale
esplica chiaramente che uno dei propositi degli standard IAS/IFRS, che ad esso devono
conformarsi, deve essere quello di una valutazione oggettiva degli elementi dell’azienda,
ma non del suo valore economico. A supporto di quanto stabilito dalle fonti normative
c’è anche chi aggiunge che un altro motivo della sua non inclusione in bilancio è
rappresentato dalla difficoltà di stabilire con precisione i processi e le modalità con le
quali esso si è venuto a formare (ovvero se esso sia da ricondurre principalmente alle
sinergie intercorrenti tra i vari fattori aziendali oppure al valore di elementi immateriali
non suscettibili di identificazione e, in quanto tali, non esposti in bilancio): la logica
conseguenza è l’impossibilità di ricondurvi una voce di costo e, quindi, di poterne stimare
il valore in modo attendibile28. Inoltre, come evidenziato da altri studiosi, andare ad
esporre in bilancio l’avviamento internamente generato significherebbe, in pratica,
attuare una duplicazione dei valori sintetizzanti la performance aziendale e un’ipotetica
attuazione di tale metodo in maniera pervasiva comprometterebbe la comparabilità dei
bilanci e le valutazioni circa i rendimenti29.
27 OIC 11 Bilancio d’esercizio: finalità e postulati 28 R.V. Ratiu, A. Tiron Tudor, The Classification of Goodwill: an Essential Accounting Analysis, Review
of Economic Studies and Research Virgil Madgearu, 2013 29 M. Bloom, Double Accounting for Goodwill: a problem redefined, United Kingdom, Routledge, 2008.
43
In sintesi, è pacifico che l’avviamento internamente generato non rileva ai fini del
trattamento contabile in quanto non è presente, tra gli scopi della contabilità intesa in
senso generale, quello di mostrare il valore economico del capitale di un’azienda.
Se, dunque, tra le immobilizzazioni immateriali del bilancio di un’azienda
compare l’avviamento vuole dire che la stessa lo abbia rilevato nell’ambito di
acquisizione di altra azienda o ramo d’azienda (o ancora a seguito di un’operazione di
conferimento, fusione o scissione). Secondo quanto stabilito dall’OIC 24
Immobilizzazioni Immateriali tale avviamento si identifica nella “parte di corrispettivo
riconosciuta a titolo oneroso, non attribuibile ai singoli elementi patrimoniali acquisiti
di un’azienda ma piuttosto riconducibile al suo valore intrinseco”. Lo stesso documento
integra, poi, tale definizione quando, nell’ambito della rilevazione e valutazione, specifica
che ai fini dell’iscrizione in bilancio è necessario che:
a) il valore dell’avviamento sia quantificabile in quanto incluso nel corrispettivo
pagato;
b) sia costituito da costi ad utilità differita nel tempo, che generino, cioè, utili futuri
o risparmi di costo;
c) sia soddisfatto il principio della recuperabilità del relativo costo, ovvero non vi si
trovi in presenza di cattivo affare.
Nel prosieguo viene poi specificato che il valore dell’avviamento da iscrivere in
stato patrimoniale è dato dalla differenza tra il corrispettivo pagato ed il valore corrente
attribuito agli altri elementi patrimoniali attivi e passivi che vengono trasferiti.
Anche in questo caso si può notare come, per forza di cose, lo standard sia
costretto a lasciare un certo margine di discrezionalità circa la rilevazione o meno
dell’avviamento. In particolare il principio di recuperabilità del costo come condizione
necessaria per la sua capitalizzazione presuppone valutazioni inerenti l’entità dei
probabili benefici economici futuri. Ma ovviamente il fatto di non poter quantificare con
oggettività tali benefici fa sì che il valore dell’avviamento sia ancorato a quello del
corrispettivo deciso di pagare dall’impresa che lo ha acquisito a seguito della
44
contrattazione tra le parti interessate. Anche gli IAS/IFRS operano in maniera simile a
quanto accade in ambito nazionale avallando tale supposizione, dettata anche qui
dall’impossibilità di definire in maniera chiara ed univoca una valore economico del
capitale per l’impresa acquisita. Tale tematica sarà, tuttavia, approfondita discutendo
circa la recognition dell’avviamento.
2.3 LA RECOGNITION DELL’AVVIAMENTO
Sia in ambito nazionale che internazionale l’avviamento è incluso, qualora se ne
presentino le condizioni, nell’attivo dello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni
immateriali. La sua inclusione in tale categoria, però, è tutt’ora oggetto di discussione. Si
è ampiamente discusso di come esso non possa essere ricondotto ad un’attività o fattore
specifico ma piuttosto ad un’attitudine dell’azienda, una sua qualità intrinseca. Resta da
capire se questo modo di intenderlo possa cambiare se lo si osserva, nell’ottica contabile,
non più come avviamento aziendale in senso generico ma come avviamento acquisito
dall’esterno. Il motivo per cui si ritiene utile cimentarsi in questa discussione non è tanto
l’inclusione formale dell’avviamento nell’attivo immobilizzato, quanto, piuttosto, la
valutazione della sua conformità in termini qualitativi agli altri elementi appartenenti a
tale categoria al fine di poter stabilire l’adeguatezza dell’attuale metodo di trattamento
contabile.
In ambito nazionale, il codice civile parla, in maniera generica, di elementi
patrimoniali quando, all’art. 2424 bis comma 1, specifica che quelli “destinati ad essere
utilizzati durevolmente devono essere inclusi nelle immobilizzazioni” lasciando, in
pratica, allo standard setter l’onere di definire con precisione i requisiti affinché
un’immobilizzazione immateriale possa essere identificata come tale. Ed, in effetti,
secondo la definizione fornita dall’OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali l’avviamento
sembra legittimato ad essere incluso in tale categoria. Il documento pone tre requisiti:
45
a) la mancanza di tangibilità;
b) il sostenimento di costi per la loro acquisizione o produzione interna e la capacità
di identificare e misurare tali costi;
c) l’utilità pluriennale, ovvero la capacità di generare benefici economici futuri in
termini di maggiori ricavi o minori costi rispetto a quelli che si avrebbero in
assenza.
Si può osservare che l’avviamento rispecchia tutti e tre i requisiti richiesti, per cui
è pienamente legittimato, in ambito nazionale, ad essere incluso formalmente e
sostanzialmente tra le immobilizzazioni immateriali; il che, come verrà meglio
evidenziato nel prosieguo, giustifica un trattamento contabile in linea di massima similare
con gli altri elementi inclusi in tale categoria.
In ambito internazionale il discorso merita opportune precisazioni. Infatti, a
differenza delle prescrizioni civilistiche e di quelle fornite dall’OIC, gli standard dello
IASB forniscono definizioni più dettagliate e criteri più specifici, sia per quanto attiene
alla definizione di asset che a quella di intangible asset. Si discute della conformità
dell’avviamento alle due definizioni proposte.
Innanzitutto il Conceptual Framework for Financial Reporting specifica che ci si
trova in presenza di un asset quando tale risorsa:
1) sia controllata dall’azienda;
2) sia il risultato di eventi passati;
3) ci si aspetta generi benefici economici futuri.
Appurato che gli eventi passati di cui si parla possono essere ricondotti al
sostenimento di costi per acquisizione o produzione interna e che anche il requisito dei
benefici economici futuri è comune a quanto richiesto dall’OIC, l’unico punto di
discontinuità è rappresentato dal requisito del controllo che, come inteso nel Framework,
è correlato alla capacità da parte dell’impresa di beneficiare, in via esclusiva, dei vantaggi
46
economici futuri derivanti proprio dall’esistenza di un avviamento. Viene, altresì,
puntualizzato come il supporto offerto da tutele legali o comunque da altri strumenti
normativi possa rinforzare il controllo sull’asset in questione. In effetti la presenza
dell’avviamento nel bilancio di un’impresa non è supportata dalla presenza di uno
strumento contrattuale o altro tipo di supporto legale né tantomeno essa può essere
giustificata dalle tutele legali collegate alle altre attività e passività la cui acquisizione ha
dato origine all’avviamento stesso. Tuttavia, nel prosieguo, il documento puntualizza che
il possedimento del requisito della controllabilità non sia necessariamente correlato alla
presenza di tali fattori30 per cui da questo punto di vista non sembra preclusa la possibilità
di identificare il goodwill come un asset a pieno titolo. In quest’ultima affermazione è,
inoltre, racchiuso il principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma
giuridica, rimarcato a grandi linee dal Framework: pur non essendo presenti elementi di
natura giuridica o legale che supportino la presenza di tale attività in bilancio, è palese
che, indipendente da quest’ultimo aspetto, la stessa rappresenti fonte di probabili benefici
economici futuri ricollegabili a maggiori ricavi o minori costi dei quali l’impresa potrà
beneficiare e ciò è sufficiente a comprovare la conformità dell’avviamento alla
definizione di asset.
Tale conformità è posta, tuttavia, come condizione necessaria ma non sufficiente
ai fini della recognition, ovvero del processo di incorporazione in bilancio degli elementi
patrimoniali e reddituali. Quest’ultima, infatti, è subordinata all’esistenza di due ulteriori
requisiti:
a) la probabilità dell’esistenza di benefici economici futuri collegati all’asset in
questione;
b) l’affidabilità della misurazione del suo costo o valore.
Per quanto attiene al requisito sub. a) esso è collegato al grado di incertezza circa
la possibilità che i benefici economici in questione fluiranno o meno all’impresa. Tale
grado di incertezza dipende, a sua volta, dalle caratteristiche dell’ambiente specifico in
30 Oltre che dal Framework tale aspetto è rimarcato anche dal documento IAS 38 Intangible Assets.
47
cui l’impresa stessa svolge la sua attività operativa. Il rispetto del requisito sub. b), invece,
impone la non inclusione in bilancio di tutte quelle poste il cui costo o valore non può
essere attendibilmente misurato, fermo restando la possibilità di sottolinearne comunque
l’esistenza includendole in altri sistemi di rilevazione al di fuori del bilancio. Ritornando
alla discussione circa la conformità dell’avviamento a questi requisiti, è da notare come
il Framework parli genericamente di “probabilità dell’esistenza di benefici futuri”, senza
richiederne una quantificazione attendibile del valore. Dei dubbi restano per ciò che
riguarda il grado di attendibilità con il quale si può decretare la reale presenza di tali
benefici futuri e circa la conformità dell’avviamento al requisito dell’affidabilità, dal
momento che la misurazione del suo valore è soggetta ai numerosi processi valutativi
discrezionali di cui si è ampiamente discusso. Tali dubbi vengono, tuttavia, dissipati
quando il documento specifica che i criteri per la recognition devono essere letti alla luce
della supposizione che il management aziendale prenda solo ed esclusivamente delle
decisioni mirate all’ottenimento di benefici economici futuri. Riconsiderando i requisiti
esposti fino ad ora alla luce di quest’ultima chiave di lettura si può affermare che
l’avviamento è qualitativamente conforme a tali requisiti. Infatti, secondo questa
interpretazione, è da ritenere palese che il management paghi un certo corrispettivo per
l’acquisizione di altra azienda solo qualora ritenga che esso possa essere pienamente
recuperato in futuro.
Valutata la conformità dell’avviamento alla definizione di asset, resta ora la
discussione circa la sua inclusione tra gli Intangible Assets. Secondo quanto disposto
dallo IAS 38, un’attività immateriale si caratterizza per:
a) l’assenza di sostanza fisica
b) l’identificabilità
A sua volta, quello dell’identificabilità è uno dei requisiti da rispettare affinché un
attività immateriale si possa considerare come tale. Gli altri due attengono alla
controllabilità e ai benefici economici futuri e vengono ripresi dal Framework nell’ambito
dell’identificazione degli asset e dei quali si è già discusso. Lo IAS 38 Intangible Assets
48
definisce con più precisione il requisito sub. b) quando afferma che un asset è
identificabile quando:
a) è separabile, ovvero capace di essere separato o diviso dall’impresa e ceduto,
trasferito, dato in licenza, affittato o scambiato, o individualmente o assieme ad
altro elemento ad esso collegato (contratto, attività identificabile o passività)
indipendentemente dal fatto che l’impresa intenda farlo o meno; oppure
b) sorge da contratti o altri diritti legali, indipendentemente dal fatto che questi ultimi
possano essere o meno trasferibili o separabili dall’azienda o da altro fattore.
Ovviamente l’avviamento non accoglie nessuna delle due definizioni: esso manca
del requisito di identificabilità. Anzi, è lo stesso documento che sottolinea come il rispetto
dello stesso requisito presupponga la separabilità del goodwill dagli altri intangibles: in
altri termini, un asset immateriale è definibile come tale solo se può essere tenuto distinto
dall’avviamento. Il che consente di notare come sia quasi convenzionale il suo
inserimento tra gli intangibles a differenza di quanto, invece, accade in ambito nazionale
dove, si è visto, esso risulta pienamente conforme alla definizione di “Immobilizzazione
immateriale” fornita dall’OIC 24. Tant’è vero che lo stesso IAS 38 si limita a rimarcare
il divieto tassativo di capitalizzare il goodwill internamente generato ma non
approfondisce la tematica relativa alla recognition dello stesso se non rinviando la
discussione ad un altro standard, l’IFRS 3 Business Combination. Tale standard nella sua
attuale formulazione, è quello che più di altri si sforza di delineare un quadro completo
circa la recognition del goodwill, anche perché la pratica dell’aggregazione aziendale è
forse quella che più di altre giustifica il sorgere dello stesso nel bilancio aziendale: la
presenza del purchased goodwill (l’unico a rilevare per fini contabili) presuppone, infatti,
l’acquisizione di un’azienda o ramo d’azienda.
Innanzitutto lo standard fornisce una definizione di business combination con la
quale si propone anche di tener separata tale pratica da un qualsiasi altro tipo di
transazione. In pratica l’esistenza di un’aggregazione aziendale presuppone:
49
a) la presenza di almeno due parti delle quali una può essere identificata come
l’impresa acquirente (acquirer) e l’altra come quella acquisita (acquiree);
b) una transazione avente ad oggetto attività e passività che, al momento
dell’aggregazione, formano un business;
c) l’ottenimento del controllo dell’impresa acquisita da parte dell’acquirer.
Ad integrare questa definizione ne viene poi fornita un’altra integrativa del
concetto di business, inteso come “un insieme integrato di attività capace di essere gestito
allo scopo di fornire un rendimento in termini di dividendi, minori costi o altri benefici
economici direttamente riconducibili ai proprietari”.
Ebbene, la discussione circa gli elementi preliminari caratterizzanti il processo di
Business Combination fornisce il punto di partenza per poterla definire con precisione.
Nello specifico, vengono ricompresi sotto l’espressione di acquisition method quella serie
di atti sequenziali attinenti al trattamento contabile relativo all’intero processo di
aggregazione. I vari passaggi caratterizzanti l’acquisition method sono:
a) identificazione dell’acquirer;
b) determinazione della data di acquisizione (acquisition date);
c) riconoscimento e misurazione delle attività identificabili acquisite, delle passività
trasferite e di qualsiasi altra quota di minoranza;
d) riconoscimento e misurazione del goodwill o di un guadagno su acquisto a prezzi
favorevoli.
Mentre l’identificazione dell’acquirer è elemento intrinseco della definizione di
aggregazione aziendale proposta dal documento e presuppone l’identificazione, altresì,
dell’acquiree e del business oggetto di trasferimento, l’acquisition date fa riferimento al
momento in cui si ottiene il controllo dell’impresa acquisita. Per quanto attiene alla
recognition, l’acquirente ha l’obbligo di valutare tutti gli elementi oggetto del
trasferimento al loro fair value alla data di acquisizione avendo cura:
50
1) di includere nel proprio bilancio solo quegli elementi che soddisfano i criteri di
riconoscimento e la definizione di asset statuiti nel Conceptual Framework;
2) di includere nel proprio bilancio anche elementi che, pur essendo coerenti con tali
criteri, non erano stati inclusi nel bilancio dell’ acquiree in precedenza.
È evidente il proposito dello standard di minimizzare il valore dell’avviamento
che l’impresa acquirente andrà ad includere nel proprio attivo patrimoniale. Infatti,
essendo questo valore correlato, tra gli altri, al quello delle attività nette oggetto di
trasferimento, risulta chiaro come il tendere del valore di tali attività a quello del
corrispettivo pagato riduce l’ammontare di quella differenza riconducibile all’avviamento
stesso. Con la prescrizione di cui al punto 2, il documento invoglia il management
dell’impresa acquirente ad operare tale minimizzazione del valore del goodwill attraverso
la recognition di più elementi possibili riconducibili all’azienda acquisita, anche se non
inclusi precedentemente nel bilancio di quest’ultima e purché essi siano conformi alla
definizione di asset. In questo modo, parte del valore che, in assenza di tale prescrizione,
sarebbe da imputare all’avviamento, viene, invece, ricondotto ad elementi la cui
identificazione e quantificazione risulta più agevole. Tale proposito ben si concilia con la
volontà dello IASB di massimizzare l’affidabilità e la rilevanza della misurazione e, in
ultima analisi, la sua utilità a fini esterni.
Per quanto riguarda la recognition di eventuali quote di minoranza, un’alternativa
al fair value è data dalla possibilità di misurarle in maniera proporzionale rispetto
all’ammontare delle altre quote dell’impresa acquisita che conferiscono diritto di
controllo. Inoltre, la valutazione al fair value alla data di acquisizione è prevista anche
per il corrispettivo trasferito e, nel caso in cui esso preveda degli accordi preliminari sul
corrispettivo potenziale, stesso metodo di valutazione deve essere impiegato anche per
questi ultimi.
L’IFRS 3 giunge, quindi, a delineare una precisa definizione di avviamento,
identificandolo come l’eccedenza di (a) su (b) che sussiste alla data di acquisizione. Gli
elementi da cui ricavare, per differenza, il valore del goodwill sono così descritti:
51
a) la somma:
1) del corrispettivo trasferito;
2) dell’ammontare del valore di qualsiasi altra quota di minoranza;
3) nel caso di un’aggregazione realizzata in maniera graduale, il fair value alla
data di acquisizione di tutte le quote di controllo già detenute in precedenza
nell’impresa acquisita;
b) il valore netto delle attività e passività oggetto dell’aggregazione misurate al fair
value al momento della acquisition date;.
A seconda che la differenza tra l’aggregato a) e quello b) sia positiva o negativa,
l’acquirer dovrà riconoscere:
un avviamento (se a > b)
un bargain purchase, vale a dire un guadagno derivante da acquisto a prezzi
favorevoli (se a < b)
Tuttavia, nel caso ci si trovi nell’ipotesi sub. b), l’acquirer dovrà effettuare una
ulteriore verifica circa l’attendibilità del valore attribuito sia agli elementi dell’acquiree
che sono stati oggetto del trasferimento sia del corrispettivo pagato per l’acquisizione. Lo
scopo di tale verifica, come espressamente rimarcato, è quello di garantire che la
misurazione di suddetti elementi rifletta in maniera appropriata tutte le informazioni
disponibili dalla data di acquisizione. Essa potrebbe essere interpretata nel modo
seguente: dal momento che l’ipotesi in cui il valore del corrispettivo pagato sia inferiore
a quello delle attività nette dell’impresa oggetto di acquisizione è inverosimile e
certamente meno diffusa rispetto al caso opposto, viene introdotto l’obbligo di questa
verifica aggiuntiva per comprovare la reale esistenza di un guadagno a prezzi favorevoli
derivante dal fatto che si acquisisce un’azienda pagandola meno di quanto valga almeno
52
dal punto di vista contabile. Diversi potrebbero essere i motivi a causa dei quali ci si
potrebbe trovare in questa situazione: ad esempio, è possibile che il corrispettivo rifletta
realmente il valore economico dell’azienda acquisita, la quale sarebbe, quindi, avviata
negativamente; oppure quest’ultima potrebbe essere stata costretta ad accettare una
somma palesemente inferiore al suo valore per qualche altro motivo non meglio
identificabile. Si è ritenuto, in questa sede, opportuno formulare queste due ipotesi a titolo
esemplificativo in quanto funzionali alla comprensione dell’approccio seguito dallo IASB
nella recognition del goodwill. In effetti, da un punto di vista pratico, si dovrebbe
considerare come bargain purchase soltanto la seconda ipotesi e non quella in cui
l’azienda presenti un badwill. Nel modo in cui lo standard è impostato, tuttavia, ci si trova
in presenza di un guadagno a prezzi favorevoli in entrambe le circostanze, in quanto, con
riferimento alla prima, si ritiene che l’acquirer, sebbene l’acquiree sia avviato
negativamente, abbia scelto ugualmente di procedere all’acquisizione perché ritiene di
poter recuperare in futuro tale investimento in quanto ritenuto fonte di benefici economici
futuri derivanti, ad esempio, dalle sinergie scaturenti con l’impresa madre.
Si tratta di una evidente applicazione del principio di attendibilità della
misurazione, la quale è comprovata anche quando si dispone circa il periodo di
misurazione (measurement period). In altri termini è stabilito che eventuali cambiamenti
di valore riguardanti tutti i fattori coinvolti nell’aggregazione e giustificati da nuove
informazioni aggiuntive sopravvenute dopo la data di acquisizione devono essere rilevati
entro il termine di un measurement period, il quale parte dalla acquisition date e si protrae
fino a quando si ravvisa l’impossibilità di ottenere informazioni aggiuntive o, comunque,
si stabilisce che tutte le informazioni ritenute rilevanti ai fini dei cambiamenti di valore
in oggetto siano già state interamente acquisite. In ogni caso tale periodo non può
eccedere l’anno. In altri termini, la precisazione appena riportata suggerisce l’esistenza di
una sorta di distinzione tra l’aggregazione aziendale intesa in senso, se vogliamo, legale,
e quella intesa in senso contabile. Ciò ha delle importanti implicazioni circa la recognition
dell’avviamento e, quindi, la sua prima iscrizione in bilancio. Intesa nella prima
accezione, l’aggregazione aziendale termina nel momento in cui l’acquirer ottiene il
controllo sull’acquiree, ovvero al momento di quella che viene identificata dall’IFRS 3
come la acquisition date. Ma dal punto di vista contabile il procedimento assume un
profilo temporale differente in quanto esso si conclude solo al termine del measurement
period, oltre il quale, per definizione, è preclusa ogni possibilità di effettuare rilevazioni
53
aggiuntive circa elementi non precedentemente identificati nel bilancio dell’azienda
acquisita o correzioni di valore di elementi che, invece, vi erano già ricompresi. Solo al
termine di tale arco temporale si può statuire un valore definitivo per l’avviamento al
quale ancorare il trattamento contabile successivo. Tutto ciò è conforme con quanto detto
in precedenza, ovvero con la volontà da parte dello IASB di incentivare la
contabilizzazione del maggior numero possibile di elementi dell’attivo in modo tale da
ridurre il valore dell’avviamento andando ad incrementare l’affidabilità della misurazione
e, quindi, l’utilità dell’informazione fornita.
La definizione dell’avviamento delineata dall’IFRS 3 deve essere letta alla luce
della semplificazione operata dal Conceptual Framework quando assume che i
procedimenti di recognition and measurement devono tener conto del fatto che il
management prenda solo ed esclusivamente delle decisioni economiche vantaggiose per
la propria impresa. In quest’ottica di lettura diviene chiaro il perché viene proposta una
distinzione tra goodwill e bargain purchase e non una tra goodwill e badwill. Un ipotetico
investitore che si accinge a rilevare un’azienda, agendo con il solo scopo di ottenere
benefici economici futuri per la sua impresa da tale acquisizione, formulerà un’offerta di
acquisto che non superi il valore economico dell’impresa target. Se il valore economico
di tale impresa è inferiore del suo capitale netto valutato a prezzi correnti, l’impresa
presenterà un badwill (avviamento negativo): ebbene, questo valore che, ragionando in
termini esclusivamente economici, è stato in precedenza etichettato come avviamento
negativo, in questo caso, secondo le disposizioni dell’IFRS 3 è da considerarsi come
bargain purchase e, quindi, come guadagno da rilevare in conto profitti e perdite. A ben
vedere la semplificazione operata dal Framework va oltre. Leggendo le disposizioni in
materia di recognition dell’avviamento alla luce di tale supposizione, il documento
assume in pratica che anche qualora si possa utopisticamente identificare un valore ben
preciso di capitale economico per l’acquiree ed anche se l’acquirer formulasse un
corrispettivo d’acquisto palesemente superiore a questo valore, è legittimo assumere
come certo che chi formula tale corrispettivo ritiene che esso possa essere comunque
recuperato in futuro in quanto l’ammontare dei benefici economici derivanti
dall’acquisizione della nuova azienda saranno maggiori rispetto all’ammontare del
corrispettivo stesso.
54
Una ulteriore precisazione va fatta in merito alla determinazione del valore
dell’avviamento. Esso, il linea di massima, viene identificato come l’eccedenza del
corrispettivo pagato sul valore delle attività nette coinvolte nell’acquisizione, entrambi
valutati al fair value alla data di acquisizione. Tuttavia, qualora nell’arco temporale
identificato come measurement period sopraggiungano eventuali rivalutazioni
(svalutazioni) che coinvolgano alcune di tali attività nette, queste si riflettono
direttamente in incrementi (decrementi) del valore dell’avviamento inizialmente rilevato
e non in un guadagno (perdita) da riportare in conto profitti e predite. Cosicché, se un
attività viene rivalutata (o una passività svalutata) tale incremento di valore si riflette in
un decremento di pari ammontare nel valore dell’avviamento inizialmente rilevato.
Inoltre, sono da ricomprendere nel goodwill anche quegli elementi di cui sia appurata
l’esistenza ma che non possono essere rilevati in bilancio in quanto non soddisfano i
requisiti esposti nel Conceptual Framework.
2.4 TRATTAMENTO CONTABILE SUCCESSIVO
Si è proceduto a delineare innanzitutto il modo in cui le fonti normative nazionali
ed internazionali interpretano l’avviamento in quanto, di regola, è la determinazione dei
tratti concettuali di un elemento che giustifica il suo particolare trattamento contabile
dopo il riconoscimento e la prima inscrizione in bilancio.
In effetti il fatto che, in ambito italiano, sia pacifica la sua inclusione sostanziale,
prima ancora che formale, nella categoria delle immobilizzazioni immateriali si traduce
in un trattamento contabile in linea di massima conforme a quello che il documento 24
dell’OIC prevede per gli altri elementi immateriali. Innanzitutto si ricorda che ai fini della
sua inclusione nell’attivo patrimoniale esso, oltre, ovviamente, ad essere stato acquisito a
titolo oneroso (con un valore iniziale corrispondente all’eccedenza del corrispettivo
pagato sul valore corrente delle attività nette acquisite), non deve rappresentare un cattivo
55
affare, bensì un costo sostenuto in quanto si ritiene probabile il conseguimento di benefici
economici futuri che eccedano tale costo, legittimandone la capitalizzazione e non
l’imputazione a conto economico.
Il fatto che l’avviamento sia concettualmente inteso alla stregua delle altre
immobilizzazioni immateriali, data la sua conformità concettuale alle stesse, fa sì che i
precetti generali riguardanti i metodi di ammortamento per questi ultimi siano rivolti
anche ad esso. Per cui anche per l’avviamento vale il precetto della sistematicità
dell’ammortamento, il quale deve riflettere il modello di consumo atteso per l’elemento
in questione e, quindi, il timing entro il quale produrrà i benefici economici per i quali è
stato acquisito. È altresì specificato come la sistematicità non sia, comunque, correlata
all’obbligo di un metodo di ammortamento a quote costanti: eccezion fatta per quello a
quote crescenti (in quanto tende a porsi in contrasto con il principio della prudenza dal
momento che è ragionevole supporre che i benefici economici derivanti dallo stesso siano
maggiori in un arco temporale più prossimo al momento in cui esso è stato rilevato) e per
altre tipologie “dove le quote di ammortamento sono commisurate ai risultati di esercizio
della società o di un suo ramo o divisione”, è ammesso il metodo a quote decrescenti
qualora si ritenga che esso realizzi “una migliore correlazione tra ammortamento del
costo del bene e relativi benefici attesi”. È, altresì, evidenziato che “l’ammortamento
decorre dal momento in cui l’immobilizzazione è disponibile e pronta per l’uso”31. Dal
momento che esso rappresenta un’attitudine aziendale e non un fattore produttivo
suscettibile di “essere usato”, restano dubbi sulla data di decorrenza del relativo periodo
di ammortamento in merito al quale non vengono fornite ulteriori specificazioni. Dalla
formulazione usata dall’OIC 24 si presume essa possa essere ricercata tanto nella data di
chiusura dell’operazione (es. acquisizione aziendale) che ne ha giustificato l’esistenza
quanto nel momento in cui sono pronti all’uso tutti i fattori coinvolti nella suddetta
operazione. In questo ultimo caso si darebbe credito a quanto disposto dal documento
mentre, nella prima ipotesi, verrebbe ritenuto escluso da tale affermazione il proposito di
disciplinare anche il trattamento contabile dell’avviamento. Maggiore è, invece, la
precisione con la quale sono stabiliti i limiti temporali massimi relativi al periodo di
ammortamento per tutti i fattori aziendali trattati dal documento. Per quel che riguarda
l’oggetto della presente discussione, ci pensa, innanzitutto, il Codice Civile a fissarne in
31 OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali, par. 80
56
cinque anni la durata massima lasciando, però, ampi margini di discrezionalità quando
afferma che “è tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l’avviamento in un
periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l’utilizzazione
di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa”32. A rendere
più agevole la comprensione di tale affermazione ci pensa poi l’OIC 24 quando:
a) statuisce che, in ogni caso, il periodo di ammortamento non può superare i venti
anni e che periodi di durata superiore ai cinque anni sono consentiti “qualora sia
ragionevole supporre[…]che la vita utile dell’avviamento sia senz’altro superiore
ai cinque anni”.
b) fornisce precisazioni in merito alle informazioni da fornire in nota integrativa
quando impone di comunicare le “condizioni specifiche e ricollegabili
direttamente alla realtà e tipologia dell’impresa”33 che hanno giustificato il
ricorso a tale possibilità di deroga.
In merito a quest’ultimo punto, il documento fornisce anche degli esempi delle
possibili condizioni per le quali si è ricorso alla deroga in oggetto (imprese con cicli
operativi di lungo periodo, settori in cui è poco rilevante il grado di progresso
tecnologico): preme sottolineare che si tratta di motivi che, seppur specifici, non
obbligano l’impresa a comunicare all’esterno alcuna informazione strategicamente
rilevante. Tale tematica sarà comunque ripresa in seguito.
Spostando l’attenzione agli standard internazionali il discorso cambia
drasticamente. Come già evidenziato, l’ammissione di una difformità concettuale tra il
goodwill e gli altri intangibles, chiaramente esplicitata dallo IAS 38 Intangible Assets (in
particolar modo nella definizione del requisito dell’identificabilità, necessario per
l’inclusione in tale categoria), giustifica un trattamento radicalmente differente per
l’avviamento rispetto a ciò che accade in ambito nazionale. In pratica, tale trattamento si
pone in linea con quello che lo stesso standard riserva alle attività immateriali a vita utile
indefinita nella cui categoria ricadono tutte le attività per le quali non è possibile stabilire
32 Art. 2426 comma 6, Cod. Civ. 33 OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali par. 92
57
in maniera attendibile un arco di tempo preciso entro il quale esse genereranno benefici
futuri per l’azienda (in altri termini, un periodo di ammortamento): per tale motivo
l’avviamento non è soggetto ad ammortamento ma deve essere testato per impairment
ogni anno ed ogni qualvolta si verifichino delle circostanze che ne facciano presagire una
perdita di valore (cc.dd. indizi di impairment). La non inclusione del goodwill tra gli
intangibles è, probabilmente, anche motivo per il quale lo stesso IAS 38 si limita a farvi
riferimento soltanto quando ricorda il tassativo divieto di capitalizzare quello
internamente generato ed in poche altre occasioni, rimandandone l’analisi circa il
trattamento contabile e la disclosure ad altri standard, come l’IFRS 3 Business
Combination (del quale si è già accennato) e lo IAS 36 Impairment of Assets.
In particolare, dal momento che, in ambito internazionale, è previsto per
l’avviamento un trattamento contabile successivo alla recognition esclusivamente basato
sull’impairment test, tale modalità di trattamento è da ricercare essenzialmente nelle
disposizioni dello IAS 36 Impairment of Assets: esso è l’unico a fornire una trattazione
organica attinente alle tematiche suddette. Si cercheranno, quindi, di cogliere i tratti
essenziali dell’avviamento alla luce di tale standard.
Altra premessa è, però, d’obbligo. Le tematiche trattate dallo IAS 36 sono riprese
in maniera organica, in ambito nazionale, dal documento OIC 9 Svalutazioni per perdite
durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali34, il quale, come
espressamente dichiarato, prende spunto proprio dallo IAS 36. In effetti, a grandi linee,
si può affermare che sono poche le differenze tra i due standard in materia di trattamento
contabile delle perdite di valore degli elementi di bilancio. È anche vero, però, che tali
differenze si acuiscono proprio con riferimento al trattamento contabile del goodwill in
virtù della già citata divergenza del modo di intendere lo stesso nei due contesti e, in
particolare, circa l’ammissione dell’ammortamento come criterio di ripartizione del
valore per gli esercizi futuri.
Lo IAS 36 si propone di definire un preciso metodo di trattamento nel caso in cui
un’attività (o gruppo di attività)35 necessiti di essere svalutata a seguito del verificarsi di
34 L’OIC 9 (2013) è stato emanato diversi anni dopo l’ultima revisione dello IAS 36 (2008) e molti anni
dopo l’emanazione di quest’ultimo (2004) allo scopo di contribuire al processo di convergenza degli
principi contabili nazionali con quelli internazionali. 35 Nel documento si puntualizza l’uso convenzionale del termine asset in quanto esso fa riferimento anche
a gruppi di attività o a quelle che, nel prosieguo, vengono definite come CGU (Cash Generating Units)
58
determinate condizioni alle quali si fa riferimento con l’espressione “indizi di
impairment”, riconducibili tanto a fattori endogeni all’azienda quanto a fattori esogeni.
Nel primo caso (fattori interni) essi fanno riferimento a:
a) evidenze circa l’obsolescenza o il danneggiamento fisico di un’attività;
b) cambiamenti interni, siano essi voluti o meno, che influenzeranno negativamente
l’attitudine dell’attività di produrre benefici futuri;
c) evidenze circa delle eventuali compromissioni della performance economica
dell’attività;
Gli elementi esogeni all’azienda sono da ricercare, invece, in eventuali:
a) indicazioni oggettive circa la possibile misura di un decremento di valore
dell’attività eccedente quello normalmente previsto in sede di formulazione del
suo piano di ammortamento;
b) cambiamenti significativi a livello micro o macro-ambientale (ambiente
tecnologico, legale, ma anche a livello del singolo mercato in cui l’azienda opera)
direttamente e negativamente riguardanti l’attività imprenditoriale in oggetto;
c) variazioni nei tassi di interesse o tassi di rendimento del mercato (che, come si
vedrà, possono generare ripercussioni nella determinazione del valore d’uso
dell’attività);
d) differenze tra valori di bilancio e capitalizzazione di mercato.
Si sottolinea come, tuttavia, tali elementi non corrispondano ad una trattazione
esaustiva di tutti i possibili “indizi di impairment”, i quali possono basarsi anche, ad
esempio, su eventuali discrepanze tra le valutazioni effettuate dal management in sede di
stesura dei piani di budget e la realtà effettiva dei fatti. Si tratta, più che altro, di elementi
esposti a titolo esemplificativo e non vincolante di tutte le possibili condizioni che
possano portare a rilevare una perdita di valore (impairment loss).
59
Il verificarsi di eventi assimilabili a quelli appena citati fa sorgere la necessità da
parte dell’impresa di procedere all’impairment test relativamente all’asset, CGU (Cash
Generating Unit) o gruppo di CGU coinvolti. Nell’ambito della valutazione di eventuali
perdite di valore di una specifica attività, una cash generating unit è definita come il più
piccolo aggregato di beni al quale suddetta attività appartiene e per la quale, in ipotesi di
continuità di impiego, sia possibile identificare i flussi di cassa largamente indipendenti
da altre unità aziendali. L’identificazione della CGU può avvenire anche isolando quel
gruppo di attività al cui operato è attribuibile il conseguimento di un certo output per il
quale è identificabile un determinato mercato di riferimento (indipendentemente dall’uso
che ne viene fatto: è, dunque, indifferente se l’impresa venda tale output oppure lo usi
come input per altro processo aziendale). Ebbene, l’impairment test consiste
essenzialmente nel confronto (ovviamente reso necessario dalla presenza di un “indizio
di impairment”) tra il valore di bilancio dell’attività o della CGU con il suo valore
recuperabile: se quest’ultimo è inferiore al primo allora si procede a rilevare una perdita
dell’ammontare pari a tale differenza. A sua volta, il valore recuperabile è definito come
il maggiore tra:
a) il fair value al netto dei costi di dismissione;
b) il valore d’uso.
Se il procedimento di stima del fair value è disciplinato dall’IFRS 13 Fair Value
Measurement, maggiori difficoltà si prospettano per il calcolo del valore d’uso.
Quest’ultimo è dato dal valore attuale dei flussi di cassa futuri derivanti dall’utilizzo
dell’elemento oggetto di valutazione, attualizzati ad un tasso che rifletta sia il valore
temporale del denaro sia il rischio specifico connesso all’attività: il valore di tale tasso di
sconto può essere desunto dal mercato o, qualora ciò non fosse possibile, lo IAS 36 indica
metodi di valutazione alternativi (come il Capital Asset Pricing Model) diffidando
dall’incorporare lo stesso fattore sia nei flussi di cassa attesi sia nell’entità del tasso di
sconto. In ogni caso, mentre modelli come il CAPM possono essere agevolmente
utilizzati per pervenire ad una misura del rischio specifico (e possono, opportunamente,
essere integrati dall’utilizzo di tassi di crescita previsti), l’altro profilo di rischio (quello
60
sistematico) è, in genere, desunto dal tasso d’interesse sui titoli di stato in quanto si
ritengono convenzionalmente sicuri.
Delineata una definizione generale di impairment test, è necessario osservare
come la sua applicazione all’avviamento presuppone l’allocazione dello stesso ad una
specifica CGU (o gruppi di CGU). Infatti, seppur molto spesso il test venga correlato in
via esclusiva all’avviamento stesso (è oramai usuale dire, ad esempio, “il goodwill deve
essere testato per impairment”), la rilevazione di una eventuale perdita di valore per lo
stesso non può, in realtà, essere altro che conseguenza della necessità di rilevare una
impairment loss per tutta la CGU e non soltanto per l’avviamento. In ogni caso, per
comodità, nel prosieguo non si terrà conto di questa distinzione terminologica la quale,
tuttavia, ha delle implicazioni anche dal punto di vista contabile. Infatti, nell’effettuare il
test per il goodwill il valore recuperabile deve fare riferimento all’intera cash generating
unit e non certo alla somma degli elementi ivi ricompresi. Questo vale sia nel caso in cui
il Recoverable Amount venga assunto come pari al fair value al netto dei costi di
dismissione sia nel caso in cui esso sia parametrato al value in use: in tale ultima ipotesi
si deve tener conto dei flussi di cassa riconducibili all’intera CGU.
Innanzitutto il goodwill deve essere testato per impairment annualmente ed ogni
qualvolta si presentino eventuali indizi di impairment (è soggetto, cioè, al c.d.
impairment-only approach). A ben vedere, questa è l’unica differenza sostanziale
intercorrente tra il trattamento contabile successivo dell’avviamento in ambito
internazionale e quello in ambito nazionale, ove l’OIC 9 specifica chiaramente che
l’impairment test36 affianca l’ammortamento e non lo sostituisce in nessun caso, così
come il fatto che il suo valore sia ripartito negli esercizi successivi tramite, appunto,
l’ammortamento non deve far desistere dall’effettuare il test ogni qualvolta se ne
presentino le circostanze37: ciò significa che il test deve essere effettuato solo qualora
vengano rilevati indizi che lascino presagire una perdita di valore (e non a cadenza
annuale come avviene, invece, in ambito internazionale) e la svalutazione rilevata a Conto
Economico deve riflettersi semplicemente in un decremento delle quote di ammortamento
36 Il documento parla, genericamente, di svalutazioni per perdite durevoli e non di impairment test anche
se il procedimento è sostanzialmente analogo. 37 OIC 9 Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, par. 24:
“L’ammortamento dell’avviamento non è in alcun modo sostitutivo del test di verifica della sua
recuperabilità”.
61
annue stabilite in sede di prima iscrizione con la determinazione della vita utile senza la
necessità per quest’ultima di essere rivista (amortisation and impairment approach).
Inoltre, fin dal momento della sua recognition, esso necessita di essere allocato ad una
determinata CGU oppure, qualora il measurement period si estenda oltre l’esercizio in
cui si è verificata l’acquisizione, tale allocazione deve comunque avvenire entro questo
periodo. Nell’ottica dell’attribuzione del relativo avviamento, la CGU (o gruppo di CGU)
è definita come unità la quale:
a) deve rappresentare il livello minore al quale il goodwill è monitorato per scopi
interni;
b) non deve superare, per dimensioni, un settore operativo38.
Lo standard parla di scopi interni per evidenziare che l’allocazione
dell’avviamento ad una CGU (o gruppi di CGU) deve riflettere le aspettative del
management circa il contributo che esso può fornire e non deve tener conto, invece, della
destinazione riservata agli altri assets coinvolti nell’acquisizione aziendale che ha
generato il goodwill.
Si è volutamente parlato di CGU o gruppi di CGU in quanto è talvolta ragionevole
supporre che sia troppo riduttivo allocare l’avviamento ad una sola unità quanto,
piuttosto, ad più unità alle quali esso contribuisce. Anzi, può anche accadere che il livello
minore citato nella definizione precedente coincida, nell’ottica di allocazione del
goodwill, a tutta l’azienda. Ecco perché ogni qualvolta esso necessita di essere testato per
impairment, il test va svolto per tutta la Cash Generating Unit o per tutte le Cash
Generating Unit presso cui esso è allocato. Qualora venga evidenziato che il Recoverable
38 Un settore operativo è definito dall’IFRS 8 Operating Segments come “una componente dell’impresa:
a) Che intraprende attività imprenditoriali generatrici di ricavi e costi (compresi ricavi e costi
riguardanti operazioni con altre componenti dell’impresa”
b) I cui risultati operativi sono rivisti periodicamente da un più alto livello decisionale per valutarne
la performance e decidere l’assegnazione di risorse; e
c) Per la quale sono disponibili informazioni di bilancio separate.
Un settore operativo può intraprendere attività imprenditoriali a seguito delle quali non ha ancora
conseguito ricavi”
62
Amount è inferiore al Carrying Amount si procede ad una svalutazione di una misura pari
a tale differenza nel modo seguente:
a) innanzitutto si procede a svalutare l’avviamento prima degli altri asset presenti
nell’unità;
b) se il valore dell’avviamento è inferiore all’ammontare della svalutazione, ciò vuol
dire che persiste ancora un ammontare da svalutare, ammontare che va ripartito in
maniera proporzionale a tutti gli altri elementi dell’unità.
Il goodwill va svalutato anche ogni qualvolta un elemento appartenente alla CGU
presso il quale è allocato viene ceduto: in questo caso si determina la percentuale del
valore dell’elemento ceduto rispetto alla somma degli altri elementi e si procede a
svalutare l’avviamento secondo tale percentuale. Se, ad esempio, il valore di bilancio
iniziale della somma delle attività presenti nella CGU è di 400 e viene ceduto un elemento
inscritto in bilancio per un valore di 100, allora il goodwill va svalutato del 25%. Ma
esiste anche una differenza di trattamento tra asset o CGU il cui valore, al momento
dell’analisi, è in linea con quanto disposto dal piano di ammortamento iniziale (ovvero
non è sopraggiunto alcun elemento straordinario che ne abbia giustificato un
cambiamento di valore) e quelli che, in accordo con altri standard, sono stati rivalutati.
Nel primo caso, l’impairment loss (perdita di valore) va direttamente imputata al conto
profitti e perdite mentre nel secondo si procede innanzitutto a ridurre il valore della riserva
di rivalutazione creata in precedenza. In ogni caso, come disposto dal par. 105 del
documento, il Carrying Amount (valore di bilancio) di un asset non può essere portato al
di sotto del valore più alto tra:
a) il fair value al netto dei costi di dismissione;
b) il value in use;
c) zero.
63
Un'altra prescrizione circa il timing dell’impairment test afferma che, nel caso in
cui un asset presente in un unità ove è stato allocato un avviamento necessità di essere
testato assieme all’unità stessa in quanto ci sono evidenti segnali che portano ad una
probabile svalutazione, si procede innanzitutto a svalutare tale elemento e, solo dopo,
tutta l’unità. Stesso discorso vale anche nel caso in cui il test si rende necessario per una
CGU ove l’avviamento è presente solo in una parte del suo valore totale in quanto allocato
in maniera trasversale ad altre unità aziendali: anche in tal caso si procede prima a
svalutare prima la CGU direttamente interessata e, poi, il gruppo di CGU ove il goodwill
è allocato.
Vengono, poi, elencate le procedure nel caso in cui si ritenga possibile una ripresa
di valore per un’attività (o unità) precedentemente svalutata: ciò avviene solo quando
vengono meno le cause che hanno portato alla precedente svalutazione. Per quel che ci
riguarda, il documento vieta tassativamente di registrare qualsiasi ripresa di valore per
l’avviamento ma di rivalutare, in maniera proporzionale al loro valore corrente, solo le
attività presenti nell’unità. L’intento dello standard è chiaro: alla luce di quanto disposto
dallo IAS 38 Intangible Assets è vietata qualsiasi capitalizzazione dell’avviamento
internamente generato. Si ritiene, quindi, che una eventuale ripresa di valore sia da
attribuire direttamente all’attività aziendale e, di conseguenza, a fattori o circostanze
esclusivamente attinenti l’azienda oggetto di valutazione e non a quella acquisita: per cui
ogni incremento del valore recuperabile dell’avviamento è considerato come un internally
generated goodwill e, come tale, in nessun caso si deve tradurre in un incremento del suo
valore di bilancio. Stesso approccio viene seguito anche in ambito nazionale, dove l’OIC
9 vieta la rilevazione di riprese di valore per l’avviamento e, nel motivare tale scelta,
richiama la prescrizione del Codice Civile che, a sua volta, vieta la recognition per
l’avviamento internamente generato: anche qui, dunque, è perseguito con questo
approccio l’intento di non capitalizzare l’internally generated goodwill.
64
2.5 DISCLOSURE
La comunicazione all’esterno di informazioni aggiuntive e complementari rispetto
a quelle fornite negli schemi di bilancio è necessaria per la comprensione degli elementi
ivi ricompresi e del loro valore. Ciò è particolarmente vero con riferimento
all’avviamento dal momento che la determinazione del suo valore, sia in sede di prima
iscrizione che in momenti successivi, richiede procedimenti valutativi molto spesso
complessi e frutto di decisioni discrezionali da parte del management. Un ipotetico
stakeholder interessato a conoscere la dinamica economica aziendale deve, tra le altre
cose, osservare il goodwill: ma ciò non significa soltanto conoscerne il valore; significa,
altresì, essere a conoscenza del modo in cui esso si è formato ed è stato valutato
successivamente. Soltanto in questo modo si potranno azzardare giudizi circa
l’andamento aziendale e, nello specifico, circa l’adeguatezza o meno dell’operazione che
ne ha giustificato la recognition. Sia gli standard IAS/IFRS che quelli dell’OIC hanno
statuito delle regole al riguardo.
In particolare, in ambito nazionale, la relativa vaghezza con la quale l’avviamento
è disciplinato a partire dalla sua prima iscrizione in bilancio si riflette in indicazioni
altrettanto vaghe e generiche circa la mole di informazioni aggiuntive che l’impresa è
obbligata a fornire al riguardo. A questo proposito si ricordi che tale elemento è definito
dall’OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali come una qualità dell’azienda e, nello
specifico, come “l’attitudine di un’azienda a produrre utili che derivino…da incrementi
di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori
dei singoli beni in virtù dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”. La
discrezionalità lasciata al management aziendale nel decretare che ci si trovi di fronte a
tali condizioni e non ad un cattivo affare è comprovata dall’assenza di obblighi di
comunicazione circa questa valutazione: in pratica, la decisione da parte del management
di capitalizzare l’avviamento implica, di per sé, il fatto che ci si aspettino ritorni
economici dallo stesso, ritorni economici la cui esistenza non potrebbe essere
ulteriormente giustificata se non esponendo informazioni strategicamente rilevanti per
l’impresa e potenzialmente compromissive per la sua posizione competitiva. Motivo per
il quale gli unici vincoli circa ciò che deve essere esposto in Nota Integrativa riguardano
65
specificazioni circa il metodo e la durata dell’ammortamento ed eventuali svalutazioni
occorse:
a) per quanto riguarda l’ammortamento, occorre specificare i motivi per i quali,
eventualmente, si è scelta una durata superiore ai cinque anni; non è, invece,
richiesta alcuna specificazione circa il metodo utilizzato, eccezion fatta per
quello a quote decrescenti: in tale ultima ipotesi, sorge l’obbligo di comunicare
in nota integrativa “le ragioni che giustificano tale criterio” che devono
essere “specifiche e ricollegabili direttamente alla realtà e tipologia della
società”.
b) Per quel che riguarda le eventuali svalutazioni occorse per l’avviamento in
conformità con quanto disposto dall’OIC 9, bisogna specificare l’ammontare
della svalutazione e i motivi per i quali si è resa necessaria, oltre ai possibili
riflessi sul risultato economico d’esercizio; inoltre, sono richieste
informazioni circa le modalità con le quali si è pervenuti alla quantificazione
del valore recuperabile e, quindi, circa le tecniche utilizzate per la
determinazione del fair value e del valore d’uso, con particolare riferimento
ai tassi d’attualizzazione utilizzati (compresi eventuali tassi di crescita tenuti
in considerazione nel calcolo) e alla durata dell’orizzonte temporale preso a
riferimento per la stima dei flussi finanziari futuri.
Anche in ambito internazionale, la quantità di informazioni che si richiede di
comunicare in merito al goodwill in aggiunta a quelle fornite dagli schei di bilancio riflette
la complessità metodologica nella rilevazione e valutazione dello stesso. A ben vedere,
mentre i documenti OIC lasciano ampia discrezionalità nella determinazione di un
modello di ammortamento, quest’ultimo non è ammesso negli IAS/IFRS nei quali
l’avviamento è soggetto ad impairment-only approach. Tutto ciò si riflette sulla
disclosure: dal momento che l’impairment test richiede che si tengano in considerazione
numerose informazioni, è necessario che esse siano illustrate in supporti informativi
complementari al bilancio al fine di veicolare i potenziali investitori verso una corretta
66
valutazione della dinamica economica aziendale dal momento che la sola presa d’atto del
valore dell’avviamento è palesemente insufficiente.
Anzitutto, in merito alla disclosure per il goodwill è ripreso l’obiettivo generale
posto dal Conceptual Framework: le informazioni da esporre devono essere tali da
consentire al lettore di valutare oggettivamente la natura e gli effetti finanziari
dell’operazione che ha giustificato il sorgere in bilancio di un avviamento. È questo il
principio, se vogliamo, regolatore dei successivi requisiti specifici richiesti, avvalorato
dall’obbligo di fornire ogni informazione disponibile che possa consentire l’ottemperanza
allo scopo qualora essa non sia garantita nemmeno dal rispetto di tutti gli altri requisiti
statuiti in merito alla diffusione di informazioni aggiuntive. È possibile, già da ora, notare
come, a differenza di quanto accade in ambito italiano, in tale contesto il management sia
invogliato dagli standard a fornire più informazioni possibili anche se queste risultano
strategicamente rilevanti e la cui divulgazione potrebbe essere lesiva della posizione
competitiva dell’impresa: la logica conseguenza è la possibilità che di tali obblighi ne
venga avallata una visione restrittiva che si tradurrebbe in un comportamento mirato alla
non ottemperanza degli stessi con il limitarsi alla divulgazione di informazioni basilari
ma non esaustive e, quindi, non funzionali allo scopo generale rimarcato poc’anzi. Tutto
ciò, ancora una volta, è vero con particolare riferimento all’avviamento, il cui sorgere in
bilancio è conseguenza, in linea di massima, di operazioni finalizzate alla ricerca di un
vantaggio competitivo di cui fruire in via esclusiva. In definitiva, se da un lato vige la
necessità di mettere al riparo l’impresa dall’obbligo di comunicare informazioni la cui
divulgazione potrebbe essere potenzialmente lesiva per la stessa, dall’altro è comunque
da tutelare l’obiettivo generale perseguito dal Framework prima ancora che dai singoli
standard trattanti l’avviamento.
Nello specifico, al fine di valutare la bontà dell’operazione posta in essere bisogna
comunicare i motivi per i quali la stessa è stata intrapresa: ciò si traduce, in merito
all’avviamento, nella necessità di specificare, dal punto di vista qualitativo, i fattori che
ne hanno giustificato la recognition, ad esempio le sinergie attese tra le due imprese.
Inoltre è necessario evidenziare ogni possibile fattore che abbia causato un cambiamento
nel valore del goodwill dalla data di acquisizione fino al termine dell’esercizio
amministrativo: vale a dire specificare eventuali cambiamenti nella valutazione occorsi
durante il measurement period oppure evidenziare eventuali impairment loss occorse.
67
In merito alla divulgazione di informazioni aggiuntive circa il trattamento
contabile dell’avviamento, è, in pratica, richiesto di specificare tutte le informazioni
relative agli impairment test effettuati relativi allo stesso, dai motivi che li hanno resi
necessari fino all’ammontare delle svalutazioni rilevate. In particolare, è necessario
comunicare:
a) I motivi che hanno giustificato la necessità di effettuare il test (ciò comporta
di specificare se il test sull’avviamento è stato effettuato in quanto
sopraggiunta la cadenza annuale oppure in quanto si è verificata una qualsiasi
circostanza riconducibile ad un indizio di impairment).
b) L’ammontare svalutato e le eventuali riprese di valore (è un precetto generale
che, ovviamente, è riferibile all’avviamento solo nella sua prima parte dal
momento che non è ammessa la rilevazione di riprese di valore per
quest’ultimo).
c) La composizione e la natura della CGU (o delle CGU) presso cui il goodwill
è allocato.
d) Il metodo di determinazione del valore recuperabile.
Molto dettagliata è la descrizione delle informazioni che si richiede di divulgare
in merito al procedimento di determinazione del Recoverable Amount, ove è richiesto di
specificare se esso equivale al valore d’uso oppure al fair value al netto dei costi di
dismissione39. Nel primo caso il management deve fornire informazioni circa:
a) Il modo in cui è pervenuto alla quantificazione dei flussi finanziari (o
reddituali) futuri da attualizzare e l’arco temporale preso a riferimento nel
calcolo degli stessi.
b) La modalità di determinazione del tasso di sconto.
c) Le metodologie valutative utilizzate (ad esempio, il CAPM).
39 Ovviamente con riferimento alla CGU (o alle CGU) presso cui l’avviamento è allocato in quanto sarebbe
inverosimile parlare di flussi futuri con riferimento ad un singolo asset.
68
d) Tutte le ipotesi o considerazioni aggiuntive tenute in conto in merito alla
determinazione sia dei flussi futuri sia del tasso di sconto.
Infine, è necessario specificare se, eventualmente, parte del goodwill riconosciuto
in sede di Business Combination non è ancora stato allocato a nessuna unità: in questo
caso occorre sottolineare sia l’ammontare di tale valore residuo sia i motivi di questa
mancata ripartizione.
69
CAPITOLO 3
ATTUALI CRITICITÀ
Le discussioni precedenti hanno quantomeno cercato di porre un po’ d’ordine
circa il concetto di avviamento e il modo in cui esso si riflette sull’attuale trattamento
contabile, dalla recognition alla disclosure. In particolare, l’impossibilità di ricondurvi
una definizione univoca giustifica l’adozione di alcune semplificazioni metodologiche da
parte degli standard setter dei quali si è tenuto conto nella discussione. Se ciò è vero con
riguardo ai documenti dell’OIC, dove la definizione sommaria e aperta a margini di
discrezionalità più o meno ampi è accompagnata solo dalla prescrizione circa il periodo
massimo entro il quale tale elemento può essere ammortizzato, lo è ancor di più negli
standard internazionali, ove è dubbia la sua conformità alla definizione di “asset” prima
ancora che di “asset immateriale” e la sua recognition è in qualche modo favorita solo da
supposizioni circa le intenzioni e l’operato del management nel compimento di quelle
operazioni che giustificano il sorgere di un purchased goodwill.
Probabilmente è proprio questa palese difficoltà di operare una conciliazione tra
la definizione concettuale di avviamento e il suo trattamento contabile conseguente che
sta alla base di molte problematiche connesse all’attuale formulazione degli standard
contabili dello IASB. Tutto ciò si riflette in ciò che, in precedenza, è stata proposta come
quella sorta di proporzionalità inversa tra la validità concettuale della definizione di
avviamento e la possibilità di ricondurvi un metodo di quantificazione attendibile. A
parere di chi scrive, se è vero che gli elementi peculiari di ogni elemento devono riflettersi
nel suo modo di essere trattato in contabilità, sembra che più ci si avvicini ad una
definizione dettagliata di cosa sia l’avviamento più ci si allontani dalla possibilità di
stabilire per esso un trattamento contabile conforme a tale definizione. Ed è partendo
70
proprio dalla seguente osservazione che risulta quasi obbligato il ricorso alle supposizioni
appena richiamate. Sempre a parere di chi scrive, questa visione risulta avvalorata, altresì,
dall’osservazione del fatto che essa si rifletta nell’adozione, da parte dello IASB (ma non
solo), di una prospettiva di osservazione (quasi forzata) dell’avviamento esclusivamente
di natura top-down dove quest’ultimo è semplicemente considerato come “ciò che
residua da”.
A questo proposito si richiamano Johnson e Petrone40 i quali, ad integrazione della
definizione di avviamento già citata in precedenza, sostengono che esso può essere visto
secondo due prospettive: una, appunto, di tipo top-down e l’altra di tipo bottom-up. La
prima prospettiva parte dal considerare l’investimento effettuato in sede di aggregazione
aziendale come un unicum dal quale distinguere le varie componenti coinvolte a vario
titolo nell’operazione: tra queste componenti, accanto ad attività e passività assunte, è
presente anche l’avviamento che è definito come quella parte dell’investimento basata
sulle aspettative dell’acquirer circa l’impresa acquisita e le sinergie potenziali ottenibili
dall’operazione. Secondo la prospettiva bottom-up, invece, esso è definito come la
somma di varie componenti che, insieme, formano il c.d. “purchase premium”. Ma si
badi: nel loro articolo gli autori specificano come la semplice somma di tali componenti
consente di pervenire ad una definizione di avviamento in senso lato e sono attenti a
puntualizzare che, così inteso, esso è cosa ben diversa dal c.d. “core goodwill”. Seppur
non ne viene fornita esplicita definizione, è palese la differenza tra i due elementi: mentre
il “core goodwill” è quello che incorpora i benefici economici futuri derivanti sia
dall’excess earning power dell’acquiree sia dalle potenziali sinergie ottenibili tra le due
aziende e, quindi, incarna la definizione classica (se vogliamo) di avviamento, l’altro
(l’avviamento inteso come “purchase premium”) comprende anche elementi facenti
parte dell’investimento ma non direttamente ricollegabili alla prima tipologia. Ma
procediamo con ordine. Nello specifico, Johnson e Petrone ritengono che il goodwill sia
formato da sei componenti, delle quali solo alcune riconducibili al core goodwill. Esse
sono:
40 L.T. Johnson, K.R. Petrone, Commentary: is Goodwill an Asset? art. cit.
71
1) La differenza positiva tra il valore delle attività nette valutate al fair value e il
valore contabile delle stesse alla data di acquisizione;
2) Il fair value di altre componenti che l’acquiree non aveva rilevato in precedenza;
3) Il fair value del fattore continuità (“going concern element”) dell’acquiree alla
data di acquisizione che ricalca la capacità di quest’ultimo di generare un surplus
di rendimento derivante dalla combinazione degli asset;
4) Il fair value delle sinergie e di altri benefici economici attesi dalla combinazione
tra le due aziende;
5) L’eventuale sopravvalutazione del corrispettivo pagato dall’acquirer derivante da
errori di valutazione in sede di determinazione dello stesso;
6) Pagamenti eccessivi oppure troppo bassi effettuati dall’acquirer.
Alla luce della definizione proposta di core goodwill e quella di asset fornita dal
Conceptual Framework e tenendo conto dei requisiti richiesti affinché un elemento possa
essere capitalizzato in bilancio, risulta chiaro come tra queste componenti né le prime due
né tantomeno le ultime due siano ricomprese nel concetto di core goodwill. Innanzitutto
sia l’eccesso di fair value sul valore contabile delle attività nette dell’acquiree sia il fair
value di altri elementi non precedentemente rilevati non rappresentano altro che rettifiche
di valore per elementi che, prima della data di acquisizione, erano stati valutati in
difformità dal criterio di misurazione cardine proposto dallo IASB oppure non erano stati
valutati affatto. È pacifico che al valore di tali rettifiche non possano essere associati
elementi in grado di procurare vantaggi economici futuri aggiuntivi a favore dell’impresa
acquirente La logica conseguenza sarebbe quella di rifletterne l’ammontare in un
cambiamento di valore per l’avviamento: così, nel caso in cui ci si accorgesse, in un
momento successivo all’acquisition date, che il fair value di una qualsiasi attività sia
superiore al valore per il quale era iscritta sino a quel momento in bilancio, essa andrà
rivalutata e tale rivalutazione dovrà riflettersi in un decremento di pari ammontare per il
goodwill41. Per quanto riguarda le ultime due componenti esse sembrano sorgere,
piuttosto, da errori commessi dal management nella valutazione del corrispettivo
(componente 5) o nella sua determinazione (componente 6). In particolare la
41 Tale circostanza fa riferimento alla prima componente del goodwill ma le conclusioni cui si perviene
sarebbero analoghe anche con riferimento alla seconda componente, ovvero nel caso in cui si debbano
includere in bilancio elementi non identificati dall’acquiree prima dell’aggregazione aziendale.
72
sopravvalutazione del corrispettivo può avvenire in genere quando nello stesso sono
inclusi elementi non monetari valutati inadeguatamente al momento della sua definizione,
mentre un pagamento eccessivo rispetto alle valutazioni formulate dal management
dell’impresa acquirente può avvenire, ad esempio, nel caso in cui si scateni un’asta per
aggiudicarsi il controllo dell’acquiree: in questi ultimi due casi (tre, se si considera
l’ipotesi meno realistica ma comunque prospettabile di un pagamento eccessivamente
basso) la soluzione logica sembra essere l’inclusione di tali oneri aggiuntivi al conto
profitti e perdite e non una loro capitalizzazione. Risulta chiaro come, invece, le
componenti sub. 3) e 4) rispecchino appieno non soltanto la definizione di core goodwill
ma anche quella di asset fornita nel Conceptual Framework. Infatti:
a) la componente sub. 3) è, in pratica, assimilabile all’avviamento dell’azienda
acquisita, indipendentemente dall’aggregazione aziendale. Essa riflette la capacità
dell’acquiree di ottenere un surplus di rendimento derivante dalla combinazione
posta in essere dei vari fattori che la compongono ed il suo valore è quantificabile
proprio nel valore dell’avviamento; mentre
b) la componente sub. 4) fa riferimento alle sinergie e agli altri benefici derivanti
dall’azione congiunta dei due business.
A ben vedere entrambe le componenti riflettono investimenti volutamente
intrapresi dal management in quanto ritenuti fonte di ritorni economici futuri eccedenti
l’investimento stesso e che incorporano i motivi principali ai quali ricondurre l’avvenuta
aggregazione aziendale. Essi formano il core goodwill e soltanto a loro dovrebbe essere
limitata la capitalizzazione e la successiva ripartizione del costo sostenuto per la loro
acquisizione lungo l’arco di tempo entro il quale si ritiene saranno consumati (la loro vita
utile). A questo metodo di determinazione del valore dell’avviamento si fa riferimento
con il nome di “discernible-element approach”.
Il metodo risulta valido dal punto di vista concettuale ma, spostando l’attenzione
ad un possibile trattamento contabile da associare ad esso, è evidente come ciò faccia
riferimento ad una visione alquanto utopistica. Considerare l’avviamento non come un
unicum interamente da capitalizzare ma bensì valutarlo nelle sue diverse componenti e
73
trattare in bilancio queste ultime separatamente richiederebbe un altissimo grado di
soggettività, con il management aziendale che sarebbe chiamato ad esprimere giudizi
personali e probabilmente opportunistici sulla natura di tali componenti, data
l’impossibilità di stabilire per essi un metodo di quantificazione valido tanto da poterlo
includere come regola imperativa all’interno degli standard contabili. Inoltre, un’ipotetica
concessione ad operare con tali margini di discrezionalità, anche se accompagnata da
requisiti di disclosure stringenti andrebbe con ogni probabilità a compromettere la
comparabilità dei bilanci, ledendo il principio di utilità dell’informazione che il
Conceptual Framework rimarca a grandi linee. Tutto ciò presupporrebbe, altresì, un
allontanamento dal rispetto di una delle caratteristiche qualitative fondamentali statuite
dal Framework stesso, vale a dire la rappresentazione fedele dei fenomeni economici
aziendali: la sua massimizzazione si ottiene fornendo un tipo di informazione che sia, tra
le altre cose, neutrale, ovvero non condizionata dagli interessi particolari di chi opera tali
valutazioni.
Al di là di tutte le limitazioni pratiche appena discusse, si è comunque ritenuto
opportuno citare il discernible-element approach in quanto consente ancora una volta di
pervenire alla costatazione che, in tema di trattamento contabile dell’avviamento, un
incremento nella validità concettuale presuppone un allontanamento dalla possibilità di
definire un metodo contabile altrettanto valido. Se, in teoria, le componenti non
riconducibili al “core goodwill” dovrebbero essere escluse dalla capitalizzazione, in
pratica gli standard IASB, alla luce della supposizione secondo la quale il manager agisce
sempre e comunque per massimizzare il valore della sua impresa, assumono che anche
quelle porzioni di corrispettivo pagato che, alla luce di un’analisi imparziale, sarebbero
da considerare eccessi di pagamento vengono invece considerate come un investimento
capace di generare in futuro ritorni economici per l’impresa acquirente e, di conseguenza,
ne viene legittimata la capitalizzazione e la successiva ripartizione del costo. Più
semplicemente, in sede di acquisizione aziendale avremmo bisogno di conoscere con
certezza almeno tre valori: il capitale netto dell’impresa acquisita, il suo valore economico
del capitale e il corrispettivo pagato per l’acquisizione. Pur tenendo in conto le specifiche
difficoltà valutative (relative, ad esempio, alla conversione del valore degli elementi
dell’acquiree al loro fair value) è possibile identificare con precisione l’entità della prima
e della terza componente ma non del valore economico per il quale, per i motivi di cui si
è già ampiamente discusso, è possibile pervenire ad una stima non sempre condivisibile
74
in senso assoluto. Ebbene, gli standard IASB operano, in pratica, nella direzione di
assumere il valore economico del capitale dell’impresa acquisita pari al corrispettivo
pagato42, supponendo che in nessun caso chi determini tale corrispettivo incorra in un
investimento che ritiene non recuperabile in futuro: in altri termini, supponendo di poter
identificare un valore quantomeno approssimativo del capitale economico dell’azienda
acquisita, secondo l’attuale formulazione degli standard internazionali si ritiene che anche
qualora il corrispettivo pagato sia di gran lunga superiore a tale valore, il management
che decide di procedere ugualmente all’acquisizione lo fa ritenendo che tale maggior
costo sia ugualmente recuperabile in futuro.
A ben vedere, si tratta di una problematica dalla quale si può pervenire ad una
generalizzazione: l’impossibilità di definire per l’avviamento un trattamento contabile
che riesca ad ottemperare a tutti i requisiti richiesti dal Conceptual Framework fa sorgere
la necessità di trovare un compromesso tra tali requisiti, nel senso di favorirne alcuni
ritenuti più idonei alla massimizzazione dell’utilità dell’informazione, a scapito di altri.
La valutazione del fatto che un determinato requisito possa essere ritenuto prioritario
rispetto ad un altro deve, inoltre, tener conto di considerazioni di ordine empirico e,
quindi, facenti riferimento alla specifica realtà macroeconomica il cui mutamento può
incidere sul ruolo stesso dell’informazione di bilancio.
3.1 IL RUOLO DELL’AVVIAMENTO NELLA CRISI
FINANZIARIA
La logica conseguenza derivante dal discorso con il quale si è chiusa la precedente
discussione consiste nel valutare la conformità dei requisiti contabili alla luce della
nascita di nuove esigenze (o l’arricchimento di quelle già esistenti) che sono dettate da
42 Anche qualora fosse possibile affermare con ragionevolezza che i due valori sono palesemente differenti.
75
avvenimenti la cui incisione sull’ambiente economico è significativa. È questa la
direzione seguita da molti studiosi che, a vario titolo, si sono cimentati nell’analisi
dell’attuale trattamento contabile dell’avviamento alla luce delle questioni emerse a
seguito della crisi dei subprime del 2007 e i cui effetti si stanno ancora protraendo. La
crisi finanziaria ha rappresentato uno degli input principali dai quali sono stati tratti
numerosi spunti critici che, in un modo o nell’altro, alimentano la discussione circa
l’opportunità di un adeguamento dell’attuale metodo di trattamento contabile per il
goodwill. In particolare, dubbi sono stati sollevati con riferimento alla presunta
inadeguatezza dell’attuale impairment-only approach introdotto nel 2004 con
l’emanazione della prima formulazione dell’IFRS 3 Business Combination oppure quelli
relativi al fatto che molte delle supposizioni necessarie per la determinazione di alcuni
valori (si pensi, ad esempio, alla stesura dei flussi di cassa prospettici nella
determinazione del Recoverable Amount) non sarebbero avvalorate da adeguati requisiti
di disclosure. Ma procediamo con ordine.
Come già più volte rimarcato, il Conceptual Framework for Financial Reporting
formula le linee guida alle quali l’informativa di bilancio deve conformarsi. Esso, più
precisamente, stabilisce alcuni principi il cui rispetto è necessario al fine di veicolare
potenziali investitori a prendere decisioni economicamente corrette. Innanzitutto esso si
propone di massimizzare l’utilità dell’informazione. Informazione utile è quella:
a) comparabile, in quanto i fruitori trovano utile analizzare i valori di un’impresa
con quelli di altra impresa operante nello stesso settore (comparabilità spaziale)
oppure della stessa impresa ma riferiti a periodi antecedenti l’analisi
(comparabilità temporale) in modo da valutare la validità economica delle
operazioni poste in essere;
b) verificabile, in quanto consente ai fruitori di constatare l’attendibilità di quanto
comunicato all’esterno attraverso l’osservazione diretta del fenomeno
(verificabilità diretta) oppure attraverso le opportune precisazioni fornite in sede
di disclosure (verificabilità indiretta);
c) tempestiva, in quanto consente ai fruitori del bilancio di assimilarla in tempo in
modo da potervisi adeguare o, comunque, in modo da poterla influenzare;
76
d) comprensibile, in quanto un’informazione presentata in modo chiaro e con
accurato consente di ottemperare al meglio alle esigenze valutative dei c.d.
stakeholder primari.
Il rispetto di questi quattro requisiti è ritenuto dallo stesso Framework condizione
necessaria affinché il bilancio possa ottemperare a quelle che vengono definite come le
caratteristiche qualitative fondamentali per l’utilità dell’informazione, ovvero:
a) rilevanza, cioè la capacità dell’informazione di “fare la differenza” nelle decisioni
di potenziali investitori. L’informazione è ritenuta rilevante se essa possiede
carattere non soltanto confermativo ma anche predittivo e se la sua omissione
compromette le funzioni principali alla quale il bilancio è destinato (requisito
della materialità);
b) rappresentazione fedele dei fenomeni economici aziendali, la cui
massimizzazione si ottiene se l’informazione è completa, neutrale e libera di errori
e rispetta, inoltre, i principi di accuratezza e chiarezza.
È stato ritenuto opportuno formulare questo breve excursus su quanto statuito nel
Conceptual Framework in quanto si intende ora proporre la seguente osservazione: i
principi appena citati sono sostanzialmente finalizzati al raggiungimento dello scopo
principale del bilancio, ovvero favorire ipotetici investitori (che, a vario titolo, possono
decidere di mettere a disposizione i loro capitali per una determinata attività
imprenditoriale) nel prendere decisioni economicamente corrette; a tal fine è forse
necessario “accantonare” alcuni di questi principi quando si ritiene che lo scopo
principale sopra citato possa essere meglio perseguito quando si ritiene che una piena e
incondizionata ottemperanza agli stessi principi sia ritenuta d’intralcio? A ben vedere, se
riportiamo solo per un attimo l’attenzione a quanto disposto in ambito nazionale la
risposta è palesemente affermativa in quanto è espressamente consentito derogare ad
alcuni dei principi contabili statuiti dall’OIC43 qualora si ritenga che in tal modo si possa
43 OIC 11 Bilancio d’esercizio: finalità e postulati
77
meglio aderire alla c.d. clausola generale attinente alla chiarezza ed alla rappresentazione
veritiera e corretta.44 Tale soluzione non è esplicita nell’ambito degli IAS/IFRS ma
sarebbe ragionevole ritenerla comunque consentita alla luce dell’enfasi posta sul
raggiungimento dello scopo principale del bilancio più volte richiamato.
Ecco che finalmente si è maggiormente in grado di circoscrivere la questione al
trattamento contabile dell’avviamento paragonato con le nuove esigenze conoscitive
poste dalla recente crisi finanziaria in tema di informazione di bilancio. Più nello
specifico, a parere di chi scrive, diviene obbligatorio porsi la seguente domanda: dal
momento che da più parti si è sollevata l’opinione che il trattamento contabile attuale
dell’avviamento abbia avuto un effetto pro-ciclico in relazione alla recente crisi
finanziaria, è forse opportuno che tale trattamento venga messo in discussione in modo
tale da favorire la tempestività dell’informazione ad esso correlata piuttosto che una sua
rappresentazione fedele? Nel prosieguo si tenterà di analizzare la questione con l’aiuto di
varie ricerche effettuate in materia.
La necessità di porsi questo tipo di domanda nasce da alcune evidenze empiriche
che ci mostrano come molto probabilmente il riconoscimento e la contabilizzazione di
perdite durevoli circa l’avviamento avvengano in maniera troppo tardiva rispetto al
verificarsi della circostanza specifica che giustifica la rilevazione di un’impairment loss.
Questo è, in pratica, ciò che è stato costatato qualche anno dopo lo scoppio della crisi
finanziaria. Quest’ultima, iniziata nel 2007, si è rapidamente propagata dagli Stati Uniti
al resto del mondo cominciando progressivamente a trasformarsi in crisi economica ed è
proprio quest’ultimo passaggio a rilevare maggiormente ai fini della presente discussione:
la compromissione dello scenario economico porta come logica conseguenza una
revisione in negativo delle stime future circa il rendimento delle attività aziendali, dalle
quali ci si aspettano flussi in entrata minori rispetto a quelli preventivati nel momento
della loro acquisizione, quando la crisi economica non si era ancora manifestata. In
termini contabili questo vuol dire che, alla luce dei mutamenti dello scenario
macroeconomico, sorge l’opportunità di rivedere in negativo le stime del recoverable
amount di molte attività in quanto esso sarà ora, molto probabilmente, al di sotto del loro
valore di bilancio (carrying amount). Sorge, in definitiva, la necessità di rilevare una
44 Tale obbligo di deroga è stabilito dall’art. 2423 comma 3 Cod, Civ. a rafforzamento della portata della
clausola generale.
78
perdita durevole (impairment loss). Ma è stato notato che tutto questo succede con
notevole ritardo o, peggio, non succede affatto: in un suo studio, la banca d’investimento
Houlihan Lokey45 ha rilevato che un incremento significativo delle rilevazioni di perdite
durevoli si è verificato solo quattro anni dopo lo scoppio della crisi, ovvero nel 2011, e
sempre nello stesso studio è specificato come i bilanci di molte società (non solo quelle
appartenenti al settore finanziario) sembrino essere più compromessi in quest’anno
piuttosto che negli anni immediatamente successivi al 2007 (viene altresì rilevato come
l’ammontare delle impairment loss rilevato nel 2011 con riferimento al campione di 600
imprese sul quale è stata condotta l’analisi sia maggiore di ben cinque volte di quello
rilevato l’anno precedente). Altra ricerca che mostra in maniera chiara questa tendenza è
quella condotta dall’European Securities and Markets Authority (ESMA) su un campione
di 235 imprese operanti in differenti settori46. Essa mostra chiaramente il persistere della
presenza di numerose imprese con una capitalizzazione di mercato inferiore al valore del
patrimonio netto contabile anche dopo diversi anni dallo scoppio della crisi: nello
specifico si evidenzia, sempre nell’anno 2011, come tale caratteristica sia comune al 43%
delle imprese appartenenti al campione analizzato (rispetto al 30% del 2010) e come il
rapporto tra equity e capitalizzazione di mercato dello stesso sia aumentato, in media, dal
100% di fine 2010 al 145% di fine 2011. Sempre nello stesso arco di tempo è, inoltre,
salito da 22 a 40 il numero di imprese il cui valore contabile dell’equity superava di ben
due volte la capitalizzazione di mercato, numero significativo se si pensa che rappresenta
quasi il 20% del campione. In termini assoluti le impairment loss registrate a fine 2011
ammontavano a poco più di 40 miliardi di euro a fronte della presenza, tra i bilanci delle
imprese analizzate, di un valore di avviamento pari a quasi 790 miliardi (con un
impairment rate del 5,1%).
Ma il dato più significativo evidenziato dal report è che l’incremento medio del
rapporto equity/capitalizzazione di mercato nel periodo 2010-2011 sembra non sia stato
affatto accompagnato da un adeguato livello di impairment loss rilevate entro la fine di
quest’ultimo anno: in particolare si osserva come, del totale delle imprese la cui
capitalizzazione di mercato è al di sotto del loro patrimonio netto contabile, solo il 47%
di esse abbia rilevato una svalutazione per perdite durevoli circa l’avviamento. Una
45 http://hl.com/us/press/insightsandideas/3408.aspx; rapporto della banca d’investimento Houlihan Lokey
circa le impairment loss registrate negli anni successivi lo scoppio della crisi del 2007 46 ESMA, ESMA Report: european enforcers review of impairment of goodwill and other intangible assets
in the IFRS financial statements, 2013
79
percentuale di gran lunga insufficiente se si pensa a quanto stabilito nello IAS 36
Impairment of Assets:
a) anzitutto lo standard specifica chiaramente come gli indizi interni ed esterni di
impairment elencati nello stesso abbiano sostanzialmente valore esemplificativo
ma non esaustivo, ragione per la quale il verificarsi di altro evento non
direttamente riconducibile ad uno di quelli elencati esplicitamente nel documento
deve, al pari di questi ultimi, essere tenuto in adeguata considerazione dal
management in quanto fonte di eventuale necessità di rilevare una impairment loss
se si ritiene che esso possa essere lesivo della capacità dell’impresa di generare
quei flussi di ricchezza futuri preventivati precedentemente, in assenza di tale
circostanza; ma al di là di questo lo standard elenca chiaramente, tra gli indizi di
impairment di natura esterna, la circostanza in cui il valore del patrimonio netto
contabile dell’impresa sia al di sotto del valore della sua capitalizzazione di
mercato47; inoltre
b) neanche la prescrizione che impone l’utilizzo del più alto tra il value in use e il
fair value al netto dei costi di dismissione come valore recuperabile sembra aver
stimolato una rilevazione di svalutazioni per perdite durevoli quantomeno
conforme alla tendenza macroeconomica in atto.
Secondo il report ESMA la costatazione di cui al punto b) sembra quasi
giustificare il fatto che un decremento del valore di capitalizzazione di mercato non debba
necessariamente portare ad effettuare un impairment test in quanto a tale decremento
possono essere associate circostanze non ritenute rilevanti dal management, come ad
esempio l’incertezza degli investitori o la loro avversione al rischio: in altri termini,
suddette circostanze possono essere ritenute fondamentali dai mercati finanziari che,
dunque, le riflettono in un decremento dei prezzi di mercato ma non altrettanto
fondamentali dal management che, per svariati motivi, potrebbe optare per la non
revisione al ribasso delle stime formulate prima del verificarsi di tali circostanze. Queste
47 IASB, IAS 36 Impairment of Assets, par. 12: “In assessing whether there is any indication that an asset
may be impaired, an entity shall consider, as a minimum, the following indications:
[…] d) the carrying amount of the net assets of the entity is more than its market capitalisation”.
80
ultime richiamano, poi, alla discussione fatta al punto a), in quanto l’interpretazione degli
indizi di impairment potrebbe essere stata letta da molti alla luce del loro carattere non
vincolante, autorizzando a non procedere alla rilevazione di perdita alcuna anche quando
è palese il manifestarsi di uno di tali indizi. A tutto questo va aggiunto che l’inadeguatezza
del valore delle perdite rilevate nell’anno 2011 circa l’avviamento è ancor più evidente
se letto alla luce di una ulteriore prescrizione dello IAS 36 che impone, con riferimento
alla CGU entro la quale il goodwill è allocato, di svalutare anzitutto il valore di
quest’ultimo e, solo successivamente, procedere a svalutare anche gli altri elementi ivi
ricompresi in maniera proporzionale al loro valore.
È chiaro, a questo punto, che l’attuale metodologia di trattamento contabile
prevista per l’avviamento non è in grado di riflettere adeguatamente ed in maniera
tempestiva il modo in cui i mutamenti di carattere macroeconomico incidono sulle
aziende. Di fronte a tale evidenza empirica molte sono state le questioni poste e i dubbi
da più parte sollevati. In particolare lo studio condotto da Houlihan Lokey e citato in
precedenza (le cui osservazioni e conclusioni sono sostanzialmente analoghe a quelle
rilevate dal report ESMA) individua quattro possibili motivazioni dell’esistenza di tali
problematiche, chiedendosi se la causa di tali problematiche vada ricercata:
a) nel fatto che i mercati dei capitali siano troppo conservativi ed incapaci di
prendere adeguatamente in considerazione i possibili cambiamenti negli scenari
economici futuri;
b) nell’eccessivo ottimismo da parte dei manager nella formulazione delle loro stime
previsionali, ottimismo, forse, collegato al loro essere particolarmente ambiziosi;
c) nella mancanza di comunicazione tra i mercati dei capitali e le imprese che ha
come conseguenza il riflettere fonti informative diverse nella determinazione dei
valori aziendali.
Nello studio ci si chiede, inoltre, per quanto tempo possano continuare a persistere
queste pratiche contabili evidentemente fonte di un’inadeguatezza informativa del
bilancio prima che gli investitori e gli altri stakeholders inizino a richiedere dei
cambiamenti.
81
Ma, in sostanza, trascendendo dalle problematiche legate al comportamento dei
mercati finanziari o all’eccessiva discrezionalità dei manager nel formulare le previsioni
per il futuro la questione sembra essere molto più chiara e la problematica viene
perfettamente riassunta da una dichiarazione del presidente dello IASB Hans Hoogervost,
quando nel 2012 dichiara che le impairment loss per l’avviamento vengono rilevate
spesso con eccessivo ritardo durante le crisi finanziarie. Volendo riassumere quanto detto
fin ora anche alla luce di tale dichiarazione si potrebbe effettivamente sostenere questo:
nella maggior parte dei casi le aziende hanno incominciato a riflettere buona parte degli
effetti economici della crisi all’interno dei propri bilanci soltanto quattro anni dopo lo
scoppio della stessa. Di conseguenza, risultano tutt’altro che prive di fondamento le
osservazioni avanzate da chi sostiene che l’attuale trattamento contabile dell’avviamento
abbia avuto un ruolo pro-ciclico dal momento che gli effetti di un suo deterioramento
sono stati rilevati con eccessivo ritardo rispetto al verificarsi della circostanza che ne ha
determinato il decremento di valore.
3.2 CRITICITÀ DELL’IMPAIRMENT-ONLY APPROACH
La possibilità da parte di ipotetici investitori (o comunque di tutti i soggetti che
vengono indicati dal Conceptual Framework come stakeholder primari) di poter prendere
decisioni economicamente corrette circa l’impiego dei loro capitali dipende di gran lunga
dal numero delle fonti dalle quali essi possono attingere informazioni in grado di renderli
capaci di realizzare un’analisi completa ed accurata circa la realtà economica di una
determinata impresa e delle sue potenzialità in merito alla creazione di flussi di ricchezza
futuri. E dipende, ovviamente, dall’attendibilità di tali fonti. È in quest’ottica che ci si
accorge di come l’informativa di bilancio svolga un ruolo fondamentale e di come
altrettanto fondamentale sia stabilire per essa dei criteri che le consentano di adempiere
nel modo migliore a tale compito.
82
Con riferimento all’avviamento la problematica diviene quella di stabilire per esso
un trattamento contabile che ne massimizzi l’utilità informativa all’esterno: il che
significa, tra le altre cose, trovare una sorta di compromesso tra tutti i principi statuiti dal
Framework in quanto l’elevato grado di soggettività nella determinazione del suo valore
non consente di ottenere contemporaneamente sia l’ottemperanza a tali principi sia la
massimizzazione della sua utilità informativa. Questo è proprio ciò che è emerso dalle
osservazioni fatte nel precedente paragrafo: l’impossibilità di stabilire con precisione un
modello di consumo per l’avviamento ha orientato lo standard setter internazionale
all’adozione dell’impairment-only approach in quanto ritenuto maggiormente in grado di
fornire una rappresentazione fedele del fenomeno economico sottostante; ma il costo
connesso al conseguimento di tale obiettivo è stata la totale perdita della rilevanza
dell’informazione in quanto priva di valore predittivo. Una tardiva rappresentazione in
bilancio dei fenomeni economici può indurre a prendere decisioni di investimento
sbagliate: rilevare nel 2011 perdite durevoli di valore derivanti da accadimenti occorsi
diversi anni prima significa, in pratica, fornire un’immagine dell’azienda “meno
compromessa” di quanto non lo sia effettivamente in realtà. Ma non solo. Si è detto poco
fa che l’attuale trattamento contabile dell’avviamento sembra essere orientato alla
massimizzazione del rispetto del requisito della rappresentazione fedele a scapito di
quello della rilevanza: anche questo aspetto sembra presentare ampi margini di
discussione. Come già evidenziato, il Conceptual Framework reputa fedele
l’informazione che è, tra le altre cose, neutrale: alla luce di quanto discusso fin ora, anche
volendo tener conto della semplificazione operata dal Framework risulta difficile ritenere
il processo di impairment test completamente neutrale in quanto chi è chiamato ad
effettuarlo è altresì legittimato a porre in essere delle stime e delle congetture circa la
determinazione del valore recuperabile che potrebbero risultare tutt’altro che
condivisibili. Nulla vieta, a chi formula tali stime, di tenere in considerazione aspettative
di lungo termine troppo ottimistiche o, addirittura, opportunistiche. Del resto gli standard
internazionali possono proporre l’utilizzo di determinati metodi valutativi o imporre il
non utilizzo di altri: il trait d’union è che nel processo di impairment è comunque
necessario il ricorso a metodi riconducibili alla dottrina economico-aziendale (si pensi
all’attualizzazione dei flussi finanziari o di reddito nella stima del valore d’uso) ed è
difficile, se non impossibile, scindere la componente soggettiva dai metodi in modo tale
da definirne uno che sia pienamente affidabile e neutrale.
83
A parere di chi scrive, la logica conseguenza del discorso fin qui proposto è il
riconoscere che la prevalenza dell’elemento comportamentale su quello computazionale
nella statuizione di un trattamento contabile per l’avviamento rende necessario il ricorso
a semplificazioni concettuali nella determinazione di un modello di consumo adeguato,
dove l’adeguatezza fa riferimento alla bontà di tale modello nel soddisfare lo scopo
cardine della comunicazione di bilancio così come statuito nel Framework. Nel 2004, con
la prima emanazione dell’IFRS 3 Business Combination, lo IASB decise di escludere il
metodo dell’ammortamento dal trattamento contabile dell’avviamento in quanto riteneva
inattendibile e carente di oggettività ogni tentativo di formulare una stima sulla vita utile
dello stesso. Ma il trattamento contabile attuale si basa esclusivamente sul processo di
impairment test il quale, oltre a non contribuire significativamente all’eliminazione di tali
tratti di soggettività, crea ulteriori distorsioni informative. Ecco perché molti sono stati
gli studi recenti che hanno provato ad analizzare nel dettaglio questa problematica. Tra
questi, oltre al già citato report dell’European Securities and Markets Authority, viene
ritenuto meritevole di approfondimento in questa sede quello proposto da un Research
Group composto da esponenti dell’European Financial Reoprting Advisory Group
(EFRAG), dello standard setter italiano e di quello giapponese (Accounting Standard
Board of Japan, ASBJ)48.
Il Research Group espone, sotto forma di un Discussion Paper (DP), delle
riflessioni circa il grado di adeguatezza dell’attuale impairment-only approach partendo,
anzitutto, dal modo in cui esso è stato adottato. I motivi della sua adozione, infatti, vanno
da ricercare ancor prima dell’emanazione dell’IFRS 3 e, più precisamente, nel 2001, con
l’introduzione di tale metodo di trattamento da parte dello standard setter statunitense49
che fu accompagnata dal FASB dalle seguenti motivazioni:
a) sia nelle analisi svolte da soggetti esterni all’azienda che in quelle svolte dal
management per misurarne la performance operativa venivano ignorati i costi
connessi all’ammortamento dell’avviamento;
48 EFRAG, OIC, ASBJ, DP: Should Goodwill still not be Amortised? Accounting and Disclosure for
Goodwill, 2014 49 Introduzione avvenuta con l’emanazione dello SFAS 142 Goodwill and Other Intangible Assets
84
b) si riteneva che l’ammortamento dell’avviamento causasse una sorta di
duplicazione dei costi tale da inficiare la validità delle misure di performance
rilevate dopo la cessazione della sua vita utile e ritenute non conformi ad una
rappresentazione fedele;
c) la presenza di un adeguato impairment test annuo era ritenuta sufficiente, qualora
accompagnata da un appropriata disclosure, a fornire una rappresentazione utile a
coloro che facessero affidamento all’informazione di bilancio.
Dal momento che l’IFRS 3 Business Combination del 2004 è stato emanato con
lo scopo, tra gli altri, di creare convergenza tra i principi contabili internazionali e quelli
statunitensi, i motivi dell’adozione dell’impairment-only approach da parte del FASB
sono quelli che ne giustificano l’adozione anche da parte dell’IASB che ha, però,
specificato come tale orientamento sia stato avvalorato dalla costatazione che questo
metodo fosse quello ritenuto più credibile rispetto agli altri due proposti, ovvero:
a) ammortamento a quote costanti integrato da impairment test qualora emergessero
indizi di impairment;
b) un metodo che rappresentasse una sintesi di quello di cui al punto a) e di quello
attualmente in uso.
Per la verità, il metodo che ha trovato maggiore condivisione già durante le
consultazioni in sede di emanazione dell’IFRS 3 è stato quello basato sull’amortisation
and impairment approach; tuttavia ha prevalso l’idea che l’impossibilità di determinare
un modello di consumo e di preventivare una vita utile per il goodwill in maniera adeguata
ha fatto sì che l’IASB rimanesse irremovibile sulle sue convinzioni.
Ma i dubbi circa l’inadeguatezza dell’attuale trattamento contabile emersi già
durante il periodo della sua introduzione sono via via andati amplificandosi e con la crisi
finanziaria del 2007 si è resa necessaria una discussione più approfondita in relazione al
ruolo pro-ciclico avuto nella stessa. Questa ultima osservazione diviene ancor più
rilevante in relazione al trend che vede operazioni di fusione o acquisizione che
85
giustificano il riconoscimento in bilancio dell’avviamento sempre più frequenti (tant’è
vero che spesso le aziende si servono di soggetti deputati proprio a questo ed è addirittura
sorta la figura professionale del raider, ovvero di colui che è delegato ad investire nella
ricerca di altre imprese la cui acquisizione può essere fonte di vantaggio competitivo per
l’impresa madre). È in virtù di tutto questo che diviene sempre più importante definire un
trattamento contabile adeguato per il goodwill e nel farlo, il Research Group parte, in
primis, dall’analisi delle debolezze di quello attuale.
Anzitutto, molto semplicemente, le impairment loss sono spesso rilevate troppo
tardi ed assumono un valore meramente confermativo e non predittivo. Si tratta di un
problema di enorme rilevanza se lo si immerge nel contesto macroeconomico attuale,
contesto dove fattori quali l’abbattimento delle distanze geografiche dovuto alla
globalizzazione ed il boom tecnologico causano un progressivo deterioramento del
vantaggio competitivo50 delle aziende dal punto di vista temporale: in altri termini, capita
sempre più che, soprattutto in settori cc.dd. hi-tech, la possibilità di detenere una fonte di
vantaggio competitivo e di sfruttarla per ottenere una redditività superiore ai concorrenti
è circoscritta ad un periodo di tempo relativamente breve. Di conseguenza, in un contesto
macroeconomico e competitivo frenetico come quello attuale, rilevare in bilancio gli
effetti del possedimento di un tale vantaggio in ritardo potrebbe molto spesso voler dire
rilevarli quando, probabilmente, esso si è già deteriorato. Allo stesso modo, rilevare in
ritardo gli effetti di tale deterioramento, ovvero quando esso si è già manifestato in un
lasso di tempo precedente la rilevazione, fornirebbe, in quel lasso di tempo, un’immagine
dell’azienda più ottimistica di quanto non lo sia in realtà, invogliando potenziali
investitori a prendere decisioni che non avrebbero preso qualora avessero avuto una
visione della realtà aziendale più oggettiva ed attendibile. È lesa, ancora una volta, la
capacità dell’informativa di bilancio di ottemperare al suo obiettivo cardine così come
statuito dal Conceptual Framework: nello specifico, tale carenza è motivata dall’assenza
di tempestività intrinseca nell’utilizzo dell’impairment-only approach che cerca,
piuttosto, di fornire una indicazione precisa anche se tardiva. Ma, come accennato in
50 R.M. Grant, L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Bologna, Il Mulino, 2011. L’autore definisce
il vantaggio competitivo come la capacità di un’impresa di conseguire redimenti superiori ai concorrenti
dovuti al possedimento di: risorse e competenze chiave non imitabili, possibilità di accedere ai fattori critici
di successo del settore e capacità di inserirsi adeguatamente nelle condizioni economiche dell’ambiente
nazionale di riferimento.
86
precedenza e confermato dal Research Group all’interno del Discussion Paper, tale
approccio contabile potrebbe risultare non solo tardivo ma anche inattendibile.
A proposito di questo ultimo aspetto è rilevante l’opinione di chi sottolinea come
l’avviamento acquisito tenda progressivamente ad essere consumato e rimpiazzato con
quello internamente generato51, ovvero quello derivante esclusivamente dai fattori
intrinseci dell’acquirer e non riconducibile al core goodwill accennato in precedenza,
ovvero a quello direttamente riconducibile all’acquisizione. Di conseguenza,
l’impostazione concettuale dell’impairment test non gli consentirebbe di rilevare
adeguatamente tale consumo in quanto esso, dalla recognition in poi, tiene conto del
valore dell’avviamento in senso assoluto, senza distinzioni tra quello acquisito e quello
internamente generato. Probabilmente tutto ciò deriva anche dal fatto che obbligare il
management ad effettuare il test annualmente, indipendente dalla presenza o meno di
indizi di impairment, rappresenta una costrizione che potrebbe ledere l’efficacia dello
stesso test: esso andrebbe effettuato solo quando se ne rilevano le circostanze; in caso
contrario, rischierebbe di essere interpretato alla stregua di un adempimento
“burocratico” convenzionale e privo di implicazioni economiche.
Volendo fare un esempio per chiarire meglio quest’ultimo punto, supponiamo che
l’impresa rilevi inizialmente un goodwill attribuendogli un certo valore: dopo un anno,
qualora si ritenga, in sede di impairment test, che tale valore non si sia deteriorato (ad
esempio perché non ci sono stati decrementi nella redditività o nella posizione
competitiva dell’azienda) esso resta invariato. Ma c’è una rilevante differenza: mentre al
momento della sua recognition il valore complessivo poteva ritenersi interamente
riconducibile al purchased goodwill, al momento del test annuo è chiaro come lo stesso
ammontare ora incorpori anche una parte di internally generated goodwill.
Questa è una conclusione rilevante alla quale giunge il Research Group:
l’impairment-only approach sembra, implicitamente, autorizzare la recognition
dell’avviamento internamente generato quando questa, oltre ad essere vietata dagli
standard sia nazionali che internazionali, è altresì controproducente e non conforme agli
scopi cui il bilancio dovrebbe aderire. Inoltre, tale osservazione sembra essere coerente
51 A ben vedere tale ipotesi è avvalorata, seppur implicitamente, dallo stesso IASB quando, nell’IAS 36,
impone il divieto tassativo di rilevare riprese di valore per il goodwill in quanto ritiene che una eventuale
ripresa di valore sia da considerare come parte dell’avviamento aziendale generato internamente.
87
con la tendenza che accomuna molte imprese il cui capitale netto di bilancio è superiore
alla loro capitalizzazione di mercato. Ovviamente la causa dell’esistenza di questo trend
non è da attribuite solo ed esclusivamente al trattamento contabile dell’avviamento:
quest’ultimo, piuttosto, ha avuto un effetto amplificatore, motivo per il quale si afferma
il suo effetto pro-ciclico nella crisi finanziaria.
3.3 LA REINTRODUZIONE DELL’AMMORTAMENTO PER IL
GOODWILL
Si è, quindi, giunti a delineare un inquadramento delle principali evidenze che
spingono il Research Group a mettere in discussione l’attuale trattamento contabile
dell’avviamento chiedendo una reintroduzione dell’ammortamento: a questo proposito è
bene sottolineare come tutte le risposte ricevute siano sostanzialmente in linea con quanto
sostenuto nel Discussion Paper e ciò dimostra come tali dubbi sull’attuale impairment-
only approach siano condivisi da molti. Tant’è vero che le stesse perplessità sono emerse
dai risultati di altri due questionari, uno formulato dall’OIC congiuntamente con
l’EFRAG e l’altro dall’ASBJ52. In aggiunta, comunque, il Research Group esplora altre
possibili metodologie di trattamento contabile, ovvero:
a) il discernible-element approach (già discusso in precedenza);
b) il direct write-off approach rilevando direttamente l’avviamento in profit or
loss;
52 A questo proposito si evidenzia come il trattamento contabile after recognition per l’avviamento secondo
gli standard giapponesi sia sostanzialmente analogo a quello italiano, ovvero con un ammortamento
dell’avviamento per un periodo massimo di venti anni e l’impairment test ogni qualvolta se ne presentino
gli indizi.
88
c) il direct write-off approach attribuendo l’avviamento direttamente all’equity;
Del discernible-element approach se ne sono già evidenziati i meriti concettuali
così come le difficoltà applicative: se possiamo ritenere pacifico che il goodwill da
capitalizzare sia da ricondurre al c.d. core goodwill (solo e soltanto di questo se ne deve
ripartire il valore negli esercizi successivi) è anche vero che isolare questo valore dalle
altre componenti richiede valutazioni soggettive per le quali, molto probabilmente, anche
un’adeguata motivazione in sede di disclosure sarebbe insufficiente affinché un soggetto
esterno all’azienda possa valutarne l’attendibilità. A tal fine risultano insufficienti anche
le prescrizioni fornite dagli IAS/IFRS che, tentando di evitare o quantomeno di limitare
la recognition degli elementi diversi dal core goodwill ma riconducibili, piuttosto, al più
ampio concetto di avviamento inteso come purchase premium, impone all’acquirer di:
a) rilevare nei propri bilanci tutte le attività acquisite avendo cura di misurarle al
loro fair value e non mantenendole al loro valore di bilancio precedente la
Business Combination, in modo tale da eliminare o ridurre la componente 1
(ovvero la differenza positiva tra il valore delle attività nette valutate al fair
value e il valore contabile delle stesse alla data di acquisizione);
b) rilevare nei propri bilanci ogni elemento conforme ai criteri per la rilevazione
così come statuiti dal Conceptual Framework anche se tali elementi non erano
inclusi nel bilancio dell’impresa acquisita prima della data di acquisizione, in
modo da ridurre o eliminare la componente 2 (ovvero il fair value di altre
componenti che l’acquiree non aveva rilevato in precedenza);
c) misurare il corrispettivo in maniera adeguata in modo da ridurre o eliminare
la componente 5 (ovvero l’eventuale sopravvalutazione del corrispettivo
pagato dall’acquirer derivante da errori di valutazione in sede di
determinazione dello stesso).
Si tratta, a ben vedere, di prescrizioni che, se applicate alla lettera, consentirebbero
quantomeno di ridurre la discrepanza intercorrente tra l’avviamento in senso lato (quello
89
inteso come purchase premium) e quello in senso stretto (il core goodwill). È, tuttavia,
palese come le difficoltà metodologiche connesse alla loro applicazione sembra quasi
privarle di quel carattere tassativo fondamentale ai fini di una loro ottemperanza in
maniera trasversale necessaria, tra l’altro, per il processo di unificazione dei principi
contabili. Questo aspetto è avvalorato anche dall’impossibilità di ridurre la componente
6, ovvero quella facente riferimento a pagamenti eccessivi o troppo bassi: essa può
scaturire da situazioni nelle quali la persistenza di asimmetrie informative tra le due parti
coinvolte nell’acquisizione non consente una contrattazione ad armi pari; oppure, ancora,
nel caso in cui ci siano più parti interessate, potrebbe scatenarsi un’asta al rialzo che
richiederebbe il pagamento di un corrispettivo palesemente superiore al valore
dell’impresa acquisita. È chiaro come l’acquirer possa risultare restio ad imputare a profit
or loss un eventuale sovra-pagamento preferendo, piuttosto, considerare tale valore come
un costo interamente recuperabile in futuro e, quindi, legittimarne la capitalizzazione.
Sarebbe, inoltre, inverosimile chiedere allo stesso di specificare in disclosure le
circostanze che hanno giustificato la necessità di tale eccesso di pagamento, soprattutto
se queste nascono dal fatto che più concorrenti ambivano all’acquisizione della medesima
impresa. In definitiva, in merito al discernibile element approach, l’isolamento del core
goodwill è fatto alquanto utopistico data l’impossibilità di definire una metodologia
valutativa pienamente condivisibile ed applicabile derivante, tra le altre cose, dal fatto
che nemmeno la definizione di adeguati requisiti di disclosure possano avvalorarne la
validità.Se a tutto ciò si aggiunge la possibilità di potenziali comportamenti opportunistici
da parte del management in merito a tali valutazioni, risulta chiaro come il metodo
proposto da Johnson e Petrone risulta inapplicabile in merito al trattamento contabile del
goodwill, anche se all’interno del Discussion Paper ne viene comunque riconosciuta la
validità concettuale.
In merito a tale validità concettuale, tuttavia, a parere di chi scrive, è stato
tralasciato un aspetto. Si faccia, anzitutto, un passo indietro. L’interpretazione restrittiva
dell’avviamento ha portato all’identificazione di quello che deve essere considerato come
unico valore legittimato ad essere capitalizzato e ripartito negli esercizi successivi come
purchased goodwill. Tale valore, identificato come il core goodwill è stato definito come
la somma:
90
a) dell’avviamento riconducibile all’impresa acquisita indipendentemente
dall’acquisizione (il c.d. going-concern goodwill);
b) del fair value dei benefici economici attesi dalle sinergie derivanti
dall’incorporazione dell’acquiree nell’acquirer (il c.d. combination goodwill).
È pacifico che tra le caratteristiche qualitative da riconoscere al processo di
Business Combination è presente anche (e soprattutto) la sua capacità di migliorare la
posizione competitiva dell’impresa madre attraverso l’operare congiunto delle sue attività
con le attività rilevate a seguito dell’acquisizione. Nulla vieta, tuttavia, all’acquirer di
optare per una combinazione produttiva che implichi lo sventramento dell’azienda
acquisita per riallocarne i fattori produttivi i maniera trasversale lungo le unità operative
dell’impresa acquirente. Ebbene, tenendo conto di tale costatazione, sarebbe da ritenersi
dubbia l’inclusione del going-concern goodwill all’interno del concetto di core goodwill:
se l’acquisizione non fosse giustificata dall’ottenimento di un nuovo business in modo da
farlo operare con le stesse modalità precedenti la combination ma fosse, piuttosto,
finalizzata alla ripartizione degli elementi dell’acquiree lungo le varie CGU dell’acquirer
in un modo ritenuto più funzionale all’incremento dei benefici economici futuri, allora
sarebbe da rivedere la scelta di capitalizzare il going-concern goodwill. Piuttosto, il suo
decremento potrebbe compensarsi in un incremento della componente 4, ovvero quella
identificata sotto l’espressione combination goodwill e derivante dalle sinergie tra i due
business. Ovviamente, anche questo caso conferma che la validità concettuale del
modello è connessa alla sua non applicabilità nella pratica. In particolare, la sua
applicazione richiederebbe di scindere ulteriormente il core goodwill nelle sue due
componenti e di indicare le motivazioni di tale scissione in sede di disclosure. Tuttavia
ciò richiederebbe la divulgazione di informazioni circa la struttura operativa aziendale in
quanto, senza questo tipo di informazione, sarebbe impossibile, per un lettore esterno,
valutare la conformità delle decisioni prese alla sostanza economica sottostante: è chiaro
come sarebbe inverosimile obbligare alla comunicazione di informazioni strategicamente
rilevanti in quanto, come più spesso rimarcato, potenzialmente compromissiva della
posizione competitiva dell’impresa. Del resto, tra i compiti della contabilità in senso lato
è presente quello di delineare la performance aziendale ma non certamente quello di
specificare le modalità attraverso le quali si è pervenuti all’ottenimento di tale
91
performance, a meno che, ovviamente, non lo si voglia fare di propria spontanea volontà.
Ma è ovvio come, in relazione a quest’ultimo punto, il grado di discrezionalità sia alto:
un’impresa che naviga in buone acque sarebbe, probabilmente, più propensa a divulgare
un maggior numero di informazioni supplementari a quelle offerte dal bilancio rispetto
ad altra impresa che se la passa meno bene.
Se del discernible-element approach se ne possono evidenziare le carenze solo da
un punto di vista applicativo ma non di certo da quello concettuale (almeno non in senso
assoluto), discorso ben diverso v’è da fare per gli altri due metodi proposti dal Research
Group. Non capitalizzare l’avviamento ma riportarlo in via diretta a profit or loss o al
patrimonio netto (equity) sono delle metodologie che evidenziano carenze strutturali non
di poco conto.
a) Innanzitutto secondo il primo approccio si considera il goodwill come un costo
la cui competenza economica è da attribuire interamente all’esercizio in cui è
avvenuta l’operazione che l’ha fatto sorgere. A ben vedere un approccio del
genere consentirebbe quantomeno di evitare la recognition dell’avviamento
internamente generato: parlando delle criticità dell’attuale impairment-only
approach si è fatto presente come esso faccia correre il rischio di lasciare
immutato il valore del purchased goodwill nell’attivo patrimoniale, non
curandosi dell’evidenza secondo la quale esso tende via via ad essere
consumato e rimpiazzato dall’internally generated goodwill. Considerare,
invece, il purchased goodwill come un costo da attribuire al risultato
economico d’esercizio, in pratica fa sì che non esista in attivo nessun valore
che necessiti di essere testato per impairment e ciò consente di non incorrere
nell’errore di capitalizzare il proprio avviamento. Tuttavia, avallare tale
trattamento contabile per l’avviamento significa, in pratica, non ritenerlo
conforme né alla definizione di asset né ai criteri per la recognition. Si è già
evidenziato come, invece, esso lo sia alla luce di quanto statuito dal
Conceptual Framework e anche nel Discussion Paper si giunge a tale
conclusione, facendo, però, attenzione ad evidenziare come tale conformità
faccia riferimento soltanto al core goodwill: andare a considerare
l’avviamento non come tale ma alla luce del più generico concetto di purchase
92
premium andrebbe ad alimentare dubbi ulteriori dal momento che le quattro
componenti non riconducibili al core goodwill mal si prestano ad essere
identificate come “asset”, pur tenendo presente che gli standard IAS/IFRS
spronano i redattori del bilancio ad intraprendere procedure che riducano il
valore di queste componenti53. È ragionevole, dunque, ritenere inopportuno
l’utilizzo di questo metodo in quanto profondamente discordante con il
concetto di avviamento enfatizzato sia dagli studiosi che dagli stessi standard
internazionali.
b) Inopportuno è, altresì, l’aggettivo che meglio sintetizza l’altro metodo
analizzato dal Research Group e che prevede di riflettere il valore del goodwill
inteso in senso lato direttamente in un decremento del patrimonio netto.
Questo approccio vede, in pratica, l’avviamento come un qualcosa privo di
valore tale da giustificarne una riduzione del capitale riconducibile ai
proprietari dell’impresa e ciò è profondamente discordante con ogni
definizione proposta fino ad ora. Inoltre, decrementare l’equity
comprometterebbe la capacità dell’impresa di distribuire utili nel breve
periodo (e non solo) ledendo l’immagine della stessa in termini di affidabilità.
In aggiunta, dare per giusto tale approccio equivarrebbe ad affermare che il
purchase premium rappresenta interamente un pagamento eccessivo e, quindi,
negare l’esistenza di un core goodwill.
L’analisi delle possibili metodologie alternative all’impairment-only approach e
la presa d’atto della loro inadeguatezza concettuale (con riferimento al discernible-
element) o pratica (con riferimento alla non capitalizzazione dell’avviamento) inducono
a rivolgere l’attenzione alla possibile reintroduzione dell’ammortamento circa il
trattamento contabile after recognition del goodwill. In particolare, con l’ammortamento
si andrebbe ad allineare la modalità di trattamento contabile per l’avviamento con quella
prevista per altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita, ma non solo. Il
ritorno all’amortisation and impairment approach, abbandonato nel 2004 per favorire
l’allineamento degli standard internazionali agli US GAAP (General Accepted
Accounting Principles), limiterebbe la componente soggettiva ed opportunistica nella
53 Suddette procedure sono già state evidenziate in questo stesso paragrafo.
93
determinazione del valore dell’avviamento negli esercizi successivi la sua inclusione
nell’attivo patrimoniale e consentirebbe, cosa non di poco conto, di evitare la recognition
dell’avviamento internamente generato. In particolare, con riferimento alla prima
tematica, è chiaro che autorizzare chi redige il bilancio a definire una vita utile entro la
quale ripartire il valore dell’avviamento riduce il grado di discrezionalità che il
management poteva impiegare nella definizione di un modello di consumo per lo stesso
lungo gli esercizi successivi la Business Combination: una volta definito tale modello di
consumo, infatti, sono poche le possibilità di cambiarlo e, in ogni caso, parte del valore
dell’avviamento inizialmente rilevato diminuirà col passare del tempo così come accade
per ogni altro elemento identificabile sotto la definizione di asset sancita dal Framework.
Inoltre ammortizzare l’avviamento lungo la sua vita utile stimata consente di isolare il
valore capitalizzato al momento della recognition da altri valori potenzialmente
riconducibili all’internally generated goodwill: con l’attuale trattamento contabile è
possibile che il valore di bilancio del goodwill resti uguale al suo valore di prima
inscrizione anche negli esercizi successivi a causa della involontaria inclusione di quello
internamente generato; con l’ammortamento, invece, il valore di prima iscrizione sarà in
ogni caso ripartito negli esercizi successivi indipendentemente dalla vita utile stimata e
dal modello di consumo preventivato, andando a ridurre notevolmente il rischio di
includere in bilancio il proprio avviamento.
In ogni caso, buon punto di partenza per avvalorare l’ipotesi di una reintroduzione
dell’ammortamento per l’avviamento consiste nel confutare i motivi per i quali esso era
stato precedentemente abbandonato. Le motivazioni, già citate i precedenza, vengono
riportate anche qui per comodità:
a) sia nelle analisi svolte da soggetti esterni all’azienda che in quelle svolte dal
management per misurarne la performance operativa venivano ignorati i costi
connessi all’ammortamento dell’avviamento;
b) si riteneva che l’ammortamento dell’avviamento causasse una sorta di
duplicazione dei costi tale da inficiare la validità delle misure di performance
rilevate dopo la cessazione della sua vita utile e ritenute non conformi ad una
rappresentazione fedele;
94
c) la presenza di un adeguato impairment test annuo era ritenuta sufficiente, qualora
accompagnata da un appropriata disclosure, a fornire una rappresentazione utile a
coloro che facessero affidamento all’informazione di bilancio.
In aggiunta, molti ritenevano che fosse difficile stimare con precisione una vita
utile e un modello di consumo per l’avviamento, motivo per il quale esso venne catalogato
come asset immateriale a vita utile indefinita ed è tutt’ora considerato come tale,
elemento che, tra gli altri, ne giustifica il suo trattamento contabile after recognition
basato esclusivamente sull’impairment test. È stato fatto presente, tuttavia, come molte
delle critiche avanzate contro l’utilizzo dell’ammortamento per l’avviamento siano
infondate. In particolare:
1) il fatto che i costi di ammortamento annui dell’avviamento non siano tenuti in
adeguata considerazione dagli analisti esterni (ai fini di un’analisi oggettiva
ed imparziale della performance dell’azienda) e dal management (per scopi
interni di controllo di gestione) è, probabilmente, da imputare alla mancanza
di un contenuto informativo offerto da suddetta voce di costo, mancanza da
attribuire all’assenza di fedeltà nella rappresentazione della stessa. Ma se è
vero che l’utilità dell’informazione si caratterizza per il suo essere non soltanto
rappresentata fedelmente ma anche per la sua rilevanza si può osservare che
di quest’ultima caratteristica sono prive le impairment loss in quanto mancano
di carattere predittivo, inficiando il principio della tempestività
dell’informazione. Si rivolga, ora, l’attenzione sul ruolo dell’informazione
relativa all’avviamento nell’ambito del controllo interno di gestione. In tale
ambito è opinion diffusa che l’informazione tempestiva, seppur non
completamente attendibile, è da preferire a quella completamente attendibile
ma che giunge in ritardo ai fini del monitoraggio interno. Ciò è ancor più vero
in quei settori ove il mantenimento di un vantaggio competitivo è precluso ad
un lasso di tempo relativamente breve (ad esempio, settori caratterizzati da
elevato grado di sviluppo tecnologico). In maniera simile si può ripercorrere
lo stesso ragionamento spostando l’attenzione sulla rilevanza esterna
95
dell’informazione: è probabile che i costi per ammortamento offrano
un’informazione soltanto approssimativa ai fini di un’analisi esterna
dell’azienda. Tuttavia, il fatto che le impairment loss ne offrano una
probabilmente più attendibile ma tardiva fa sì che nell’arco temporale nel
quale si è verificata quella determinata circostanza che ha compromesso la
capacità dell’impresa di produrre ricchezza futura (e, quindi da giustificare il
ricorso all’impairment test), tale circostanza non venga affatto rilevata: ecco
perché si può ragionevolmente sostenere come la scelta da operare sia quella
tra una informazione approssimativa ma tempestiva (offerta
dall’ammortamento) e tra una informazione del tutto assente (quella offerta
dall’impairment loss);
2) che non si possa determinare con precisione una vita utile per l’avviamento né
un modello di consumo è palese, anche se, in parte, tale aspetto è comune a
molte altre delle attività iscritte in bilancio (non soltanto immateriali). In
effetti, nel momento della prima iscrizione in bilancio viene effettuata, per
ogni attività materiale o immateriale, una stima del periodo di tempo nel quale
essa andrà a concorrere alla formazione dei benefici economici futuri. Trattasi,
però, il più delle volte, di una stima approssimativa oppure non decretabile
con precisione ex ante (da questo discorso possono essere esentate soltanto
alcune tipologie di attività per le quali tale arco di tempo è determinato da
accordi contrattuali in sede di acquisizione o formazione interna); motivo per
il quale, come lo stesso Research Group osserva, se è vero che per
l’avviamento è preclusa ogni possibilità di determinare in anticipo vita utile e
modello di consumo, tale obiezione deve allora essere mossa a molti altri
elementi dell’attivo.
In definitiva, la scelta di un metodo di trattamento contabile successivo per
l’avviamento alternativo a quello attuale ricade sull’amortisation and impairment
approach in quanto un ipotetico ritorno all’ammortamento consentirebbe quantomeno di
ridurre la discrezionalità del management circa la scelta del modello di consumo più
adeguato, evitando, inoltre, la capitalizzazione dell’avviamento internamente generato.
Ovviamente ciò comporterebbe l’introduzione di prescrizioni da rendere vincolanti nella
96
scelta della vita utile entro la quale ripartire il valore del goodwill: così facendo si andrà
a limitare ulteriormente la discrezionalità del management che avrà un margine di
manovra limitato. A ben vedere, la problematica più rilevante è la scelta di un eventuale
periodo massimo entro il quale è possibile ammortizzare l’avviamento: è ciò che propone
anche il Research Group che, non a caso, è formato, oltre che dall’EFRAG, da esponenti
degli organismi contabili di Giappone e Italia, due paesi il cui trattamento contabile
relativo al goodwill è analogo a quanto proposto nel Discussion Paper (amortisation and
impairment approach)54. Al suo interno vengono menzionati vari studi che mostrano
come tale periodo sia stimabile per un minimo di due o tre anni fino ad un massimo di
dieci. Seppur non prevedendo una soluzione definitiva, è comunque palese che i periodi
di ammortamento consentiti prima dell’introduzione dell’impairment-only approach
(prima quarant’anni, poi venti) siano ora improponibili: se la vita utile dell’avviamento
deve essere conforme al periodo di tempo per il quale si ritiene esso possa contribuire alla
formazione di ricchezza tramite un miglioramento della posizione competitiva
dell’impresa, è chiaro come ad un ambiente economico più frenetico corrispondano
margini temporali maggiormente ristretti per detenere tale vantaggio competitivo. Motivo
per il quale è ragionevole statuire un numero massimo di anni entro il quale l’avviamento
può essere ammortizzato lasciando discrezionalità al management, poi, nel decidere
l’entità tale arco temporale con maggior precisione ma veicolandolo, nello stesso tempo,
a fornire il maggior numero di informazioni qualitative che giustificano la scelta di un
determinato numero di anni piuttosto che un altro. A parere di chi scrive, tali informazioni
dovrebbero essere relative, in particolar modo, alla tipologia d’impresa, struttura del
settore, incidenza della tecnologia nella stessa e altre informazioni relative al settore in
cui l’impresa opera e grazie alle quali un analista esterno sarebbe maggiormente in grado
di interpretare le scelte effettuate in sede di determinazione della vita utile. Trattasi,
inoltre, di una tipologia di informazioni la cui divulgazione non sarebbe affatto
compromissiva della posizione competitiva dell’impresa: più che la comunicazione di
elementi attinenti i processi di gestione, la struttura aziendale, i budget e le analisi degli
scostamenti dagli stessi (documenti formulati ai fini del monitoraggio interno), si tratta
semplicemente di giustificare la scelta del periodo di ammortamento sulla base di dati di
54 In entrambi i paesi è consentito scegliere una vita utile per l’avviamento che non superi i venti anni.
97
dominio pubblico. Altri elementi sui quali basare la stima della vita utile dell’avviamento
proposti all’interno del Discussion Paper fanno riferimento:
a) all’arco di tempo entro il quale l’acquirer ritiene che l’azienda acquisita
otterrà un rendimento adeguato continuando ad operare come un business a se
stante oppure in sinergia con l’impresa madre;
b) il payback period preventivato per l’investimento che ha giustificato il sorgere
di un goodwill;
c) la vita utile (eventualmente in media) dei fattori produttivi facenti parte del
business acquisito.
A ben vedere, avallare tali ipotesi comporterebbe uno strappo alla regola circa la
definizione di “ammortamento” così come stabilita dagli IAS/IFRS, nei quali esso è
definito come l’allocazione sistematica del suo valore deprezzabile lungo la sua vita utile,
ove, a sua volta, quest’ultima è definita come il periodo entro il quale si presume che
l’attività sia disponibile per l’uso o il numero di produzioni che si ritiene si possa ottenere
dalla stessa. Alla luce di tale definizione risulta chiaro come ancorare il periodo di
ammortamento per l’avviamento al suo payback period sarebbe discordante con tale
definizione. Ciò, inoltre, è ancor più vero se lo stesso periodo venga parametrato alla vita
utile degli asset acquisiti nella business combination, in quanto il valore (e la stessa
esistenza) dell’avviamento non può essere ricondotto alla presenza di tali fattori. Si pensi,
poi, al fatto che sono gli stessi standard internazionali a consentire un’allocazione del
goodwill in CGU non necessariamente costituite interamente dai fattori produttivi rilevati
nell’operazione che ha giustificato il sorgere dell’avviamento. In ogni caso, in questa sede
si ritiene che il superamento di tale difformità concettuale tra le soluzione appena proposte
per stabilire vita utile e modello di consumo per l’avviamento e l’ammortamento così
come è inteso negli standard IAS/IFRS debba comunque essere superata (o trascurata, se
vogliamo) in quanto, si è già visto, nonostante tale difformità è pacifico che il ritorno
all’amortisation and impairment approach vada ad incrementare le possibilità di
ottemperare alle finalità dell’informativa di bilancio così come statuite nel Conceptual
98
Framework, cosa che, alla luce delle evidenze empiriche mostrate, non succede (o,
almeno, succede in maniera inadeguata) con il trattamento contabile attuale.
3.4 IL RUOLO DEL GOODWILL NEI CONFLITTI DI AGENZIA
Risulta chiaro, a questo punto, come la messa in discussione dell’attuale
trattamento contabile per il goodwill a livello internazionale sorga dalla necessità di
ridurre quegli ampi margini di discrezionalità grazie ai quali i manager possono, in
pratica, manipolare i valori da assegnare a tale elemento. Si è visto come la rilevazione di
una impairment loss dipende dalla determinazione del valore recuperabile della (o delle)
cash generating unit presso cui l’avviamento è allocato e si è anche fatto presente come
la determinazione di questo valore sia condizionata da valutazioni circa i flussi di cassa
futuri e i tassi di attualizzazione in merito alla cui stima gli standard IAS/IFRS forniscono
soltanto indicazioni tutto sommato approssimative, lasciando ampio margine di manovra
ai manager che sono soltanto obbligati a fornire chiarimenti in disclosure circa le analisi
e le valutazioni condotte per arrivare alle loro stime. A proposito di questo aspetto è stato
osservato in precedenza come tale discrezionalità si rifletta in una prevalenza dell’aspetto
comportamentale su quello computazionale in merito al trattamento contabile after
recognition per l’avviamento: la conseguenza di tutto ciò sta nel fatto che chi guida
l’impresa tende ad optare per un trattamento contabile che rifletta considerazioni di natura
opportunistica. Il termine “opportunistico” è stato menzionato più volte nella trattazione
senza che ne sia stata fornita, tuttavia, una adeguata interpretazione. Si ritiene qui
opportuno cercare di approfondirne il significato in quanto solo in seguito si potranno
meglio comprendere le eventuali implicazioni dell’aspetto comportamentale sul
trattamento contabile per l’avviamento.
Nella maggior parte dei casi, le acquisizioni aziendali (così come altre operazioni
interaziendali che giustificano il sorgere dell’avviamento in bilancio) vengono effettuate
99
da imprese strutturate, consolidate e di notevoli dimensioni in quanto tali caratteristiche
sono condizioni il più delle volte imprescindibili per il reperimento di quelle fonti
finanziarie necessarie per il completamento di suddette operazioni. Si tratta, molte volte,
di imprese ad azionariato diffuso, dove le quote sono detenute da un gran numero di
individui le cui pretese rispetto a quelle stesse azioni saranno inevitabilmente contrastanti
(ci sarà chi si aspetta di ricevere dei dividendi subito oppure chi preferisce rinunciarvi
almeno nel breve termine per maggiori guadagni in futuro). Si fa riferimento a questo
modello proprietario con il nome di public company: molto diffusa in ambito anglo-
statunitense, lo è di meno in Italia.
In ogni caso, ciò che più rileva ai fini della discussione, è che la peculiarità di tale
modello societario consiste nella separazione tra la proprietà ed il controllo, resa
obbligatoria dall’impossibilità di conciliare le esigenze di migliaia e migliaia di azionisti
rendendoli tutti partecipi del governo dell’impresa. Tuttavia, seppur la frammentazione
attiene anche agli interessi dei singoli proprietari e non soltanto alle loro quote societarie,
è comunque ragionevole ritenere pacifico che tutti si aspettino un incremento della
propria ricchezza attraverso la gestione operativa dell’azienda, indipendentemente dal
fatto che essa sia perseguita attraverso la distribuzione degli utili o il reimpiego degli
stessi in nuovi investimenti. È la massimizzazione della ricchezza degli azionisti
l’obiettivo che l’amministratore delegato dovrebbe sempre perseguire, anche se in questa
circostanza il condizionale è d’obbligo. Infatti i CEO potrebbero sfruttare la loro
posizione di vantaggio per i loro tornaconti personali: tale posizione di vantaggio deriva
dal fatto che la frammentazione azionaria rende la proprietà spesso ininfluente nelle
decisioni relative all’impresa (gli azionisti sono rappresentati soltanto nei Consigli
d’Amministrazione, anche se non sempre in maniera adeguata) e l’amministratore
delegato diviene la figura primaria della stessa. Motivo per il quale esso potrebbe essere
tentato di governare l’impresa in modo tale da incrementare la sua ricchezza e non quella
degli azionisti, rischiando di prendere decisioni discutibili circa l’impiego di capitali, tra
l’altro, non suoi. Questo disallineamento tra gli obiettivi perseguiti dai manager e quelli
degli azionisti sta alla base dei problemi di agenzia, dai quali sorgono dei costi ulteriori il
cui sostenimento è finalizzato a far sì che i manager agiscano effettivamente negli
interessi degli azionisti. In particolare, gli azionisti possono ridurre questo
disallineamento ricorrendo a varie soluzioni, tra le quali troviamo il monitoraggio
100
dell’operato del CEO e la pattuizione di sistemi retributivi correlati alla performance
aziendale.
Ed è proprio nell’ambito del riallineamento degli obiettivi dell’agent (il CEO) a
quelli dei principal (gli azionisti) che entra in gioco il trattamento contabile del goodwill.
È, infatti, pratica frequente che, accanto alla retribuzione base dei manager, vi siano
associate forme retributive supplementari correlate al raggiungimento di specifici
obiettivi di gestione. Tali bonus possono essere elargiti ai manager in forma liquida (cash
compensation) oppure dando loro la possibilità di ottenere il controllo di quote societarie
(option-based compensation)55. La loro erogazione è subordinata al raggiungimento di un
prestabilito livello di performance che è, in genere, desunto dai dati contabili come, ad
esempio, il reddito operativo oppure indicatori di sintesi come il ROE (Return On Equity)
o il ROI (Return On Investment). Il problema è che si tratta di indicatori facilmente
manipolabili dai manager stessi in quanto influenzabili da quelle pratiche contabili che
autorizzano, spesso, a compiere scelte discrezionali circa i valori da iscrivere in bilancio56.
Ciò si è visto per quanto riguarda il trattamento contabile dell’avviamento, il quale è
proprio uno dei principali elementi di bilancio sui quali poter far leva per influenzare le
misure di redditività dell’impresa. Secondo l’attuale formulazione degli standard
IAS/IFRS, la rilevazione di eventuali impairment loss, oltre a causare un decremento del
valore di bilancio dell’avviamento, è trattata come costo da iscrivere in profit or loss,
andando negativamente ad incidere sulla redditività operativa e, potenzialmente, sul
compenso dei CEO. È proprio in merito a quest’ultimo punto che è stato osservato da
molti come gli stessi amministratori delegati potrebbero essere restii a rilevare delle
impairment loss per il goodwill in quanto ciò potrebbe costare la perdita di quei benefici
economici derivanti dall’accaparramento dei bonus: potrebbero, insomma, badare
esclusivamente ai loro interessi personali anche se questo significasse delineare
un’immagine dell’azienda diversa dalla realtà effettiva. Ma non è tutto. Molto spesso
55 In tale ultime categoria rientrano le molto diffuse stock options, ovvero un sistema retributivo che dà la
possibilità (e non l’obbligo) al manager di acquistare ad un prezzo prestabilito al tempo presente una
determinata quantità di azioni: se, nel frattempo, il manager avrà operato bene massimizzando il valore
dell’impresa, ciò si tradurrà in un incremento del prezzo delle azioni e, quindi, in un incremento della sua
ricchezza personale. Fonte: R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale,
op.cit. 56 Nell’opera di cui alla nota precedente l’autore rimarca proprio il fatto che indicatori di performance basati
su grandezze di natura finanziaria siano da preferire a quelli basati su grandezze di natura economica
proprio a causa della facilità con la quale questi ultimi possono essere manipolati dai manager agendo in
quelle che potremmo definire come le zone d’ombra dei principi contabili.
101
capita che il conseguimento o meno di questi benefici sia addirittura correlato
all’incremento della dimensione dell’impresa attraverso l’acquisizione di altre aziende:
cosicché è frequente che i manager ricevano bonus per il solo fatto di aver completato
l’operazione, indipendentemente dagli effetti economici futuri della stessa.
L’ambiguità del ruolo del goodwill nella determinazione di quelle misure di
performance alle quali ancorare la retribuzione del top management fa sorgere una
discussione circa l’opportunità di tenerlo o meno in considerazione in sede di
determinazione dei bonus da elargire agli amministratori delegati. In particolare,
Darrough, Guler e Wang, in un loro studio57 indicano una serie di motivi per i quali i CEO
andrebbero “protetti” dagli effetti avversi delle impairment loss relative all’avviamento.
a) Innanzitutto i motivi che rendono necessaria una svalutazione dell’avviamento
potrebbero derivare da fattori che non possono essere controllati dal management.
In particolare, può capitare che la svalutazione sia relativa ad un’acquisizione
aziendale effettuata da un CEO diverso da quello attuale oppure che dipenda da
fattori macroeconomici non influenzabili dall’impresa. A ben vedere,
quest’ultima circostanza ricalca la precedente discussione circa le evidenze
empiriche sulle impairment loss relative all’avviamento negli anni successivi lo
scoppio della crisi finanziaria58.
b) I consigli d’amministrazione potrebbero essere riluttanti a far pagare ai loro CEO
le conseguenze di perdite di valore per l’avviamento anche se sono stati gli stessi
CEO ad effettuare l’acquisizione in questione. Il motivo è da ricercare nel diverso
grado di propensione al rischio delle parti interessate: in genere i proprietari sono
maggiormente propensi ad intraprendere investimenti rischiosi59 rispetto ai
manager i quali preferiscono, piuttosto, consolidare la propria posizione optando
per investimenti sicuri. È, quindi, probabile che questi ultimi, consci del fatto che
all’acquisizione aziendale si accompagneranno conseguenze future
57 M.N. Darrough, L. Guler, P. Wang, Goodwill impairment losses and CEO compensation, Journal of
Accounting, Auditing & Finance, 2014 58 Discussione affrontata nel par. 3.1 59 Ciò, se vogliamo, è intrinseco della definizione di “azionista”. Se così non fosse essi investirebbero il
titoli di stato, buoni del tesoro o qualsiasi altro titolo che, pur offrendo rendimenti inferiori, sono comunque
più sicuri delle azioni.
102
potenzialmente lesive del loro compenso complessivo, saranno riluttanti ad
intraprendere investimenti rischiosi e potrebbero, addirittura, disinvestire. Ecco
che allora i consigli d’amministrazione (almeno in quella componente che
rappresenta gli interessi degli azionisti) potrebbero decidere di non tenere in
considerazione le perdite di valore dell’avviamento proprio per evitare il rischio
che il CEO persegua un atteggiamento che potremmo definire di “immobilismo
conservativo”.
c) Altro fattore che potrebbe giustificare la non osservanza delle impairment loss
nella valutazione della performance complessiva alla quale ancorare i bonus dei
manager è rappresentato dal potere contrattuale di questi ultimi grazie al quale
essi sono spesso in grado di veicolare i consigli d’amministrazione verso questa
soluzione. L’importanza di tale potere contrattuale è, ovviamente, positivamente
collegata allo spessore del CEO e dalle sua capacità manageriali e rileva anche il
fatto che esso sia o meno in carica da molto tempo e abbia acquisito conoscenze
specifiche difficilmente reperibili nel caso di una sua sostituzione.
d) Infine, la recognition di una impairment loss per l’avviamento potrebbe essere
interpretata dai mercati finanziari come una indicazione del fatto che
l’acquisizione (che ha portato al sorgere dell’avviamento stesso) sia stata
inopportuna: questa chiave di lettura potrebbe avere conseguenze sul valore di
capitalizzazione di mercato dell’impresa, il che, in ultima istanza, significa una
riduzione del valore delle azioni che, a sua volta, si riflette in un peggioramento
della posizione del manager tanto dal punto di vista della sua immagine quanto da
quello finanziario (nel caso in cui esso possegga anche delle quote societarie).
Andare ad includere le perdite di valore per l’avviamento nel calcolo dei bonus da
elargire al CEO significherebbe, quindi, penalizzarlo due volte.
Preme, in questa sede, fare una ulteriore riflessione in merito al punto a. È vero
che esiste la possibilità che la rilevazione di eventuali impairment loss sia da ricondurre
a fattori sui quali i manager non possiedono leva decisionale alcuna ma in casi del genere,
a questo punto, sarebbe da mettere in discussione la stessa legittimità dei costi derivanti
dall’impairment test ad essere inclusi nel calcolo della redditività operativa. Discorso
opposto andrebbe fatto nel caso in cui, invece, la necessità di rilevare la perdita di valore
103
sorga in seguito alla cattiva gestione del business acquisito. Ragionamento analogo va
perseguito anche nel caso in cui l’acquisizione aziendale sia stata fatta da un CEO diverso
da quello attuale. Anche in questo caso, dal momento che l’efficienza dei sistemi
retributivi è rilevante ai fini del controllo di gestione, è necessario che nella loro
formulazione si tenga conto di un adeguato processo di imputazione delle responsabilità.
In effetti può capitare che la causa delle impairment loss rilevate dopo l’avvenuta
acquisizione siano da attribuire all’acquisizione stessa (che, in tal caso, sarebbe da
ritenersi inopportuna ab originem) oppure al modo in cui gli asset acquisiti sono stati
gestiti in seguito. Solo in quest’ultima fattispecie sarebbe ragionevole penalizzare gli
attuali amministratori in quanto se ci trovassimo nel primo caso si andrebbe, in pratica, a
penalizzare il CEO attuale per errori commessi da quello precedente. C’è, poi, un ulteriore
aspetto da considerare. In precedenza si è già sottolineato come l’opinione di coloro i
quali rimarcano la necessità di reintrodurre l’ammortamento per il goodwill è avvalorata
dall’idea che l’avviamento, secondo l’attuale formulazione del Conceptual Framework
(così come di quella proposta nel Conceptual Framework DP) debba essere considerato
un asset a tutti gli effetti e, come tale, il suo valore vada ripartito negli esercizi futuri
secondo un modello di consumo predeterminato. Dunque, dando per pacifico che il
consumo progressivo sia uno degli elementi qualitativi caratterizzanti l’avviamento,
sarebbe opportuno, in sede di determinazione delle forme retributive aggiuntive per i
CEO, andare ad operare una distinzione tra quelle impairment loss che riflettono
realmente una perdita di valore attribuibile a fatti gestionali (l’acquisizione stessa o la
gestione post-acquisizione) e quelle che, invece, riflettono semplicemente il naturale
consumo dell’avviamento nel corso del tempo. Come al solito, però, si tratta di un
procedimento di valutazione che è subordinato alla formulazione di giudizi discrezionali
e difficilmente confutabili che potrebbero far protendere verso la pattuizione di sistemi di
incentivi ancorati a misure di sintesi come i vari ROE e ROI: nello stesso studio, infatti,
Darrough et al. fanno notare come sia palese la tendenza che vede una riduzione dei
compensi dei CEO in seguito alla recognition delle impairment loss per l’avviamento.
Ma, in un certo senso, gli autori sembrano avvalorare anche quanto detto poc’anzi in
merito alla presenza di una componente delle impairment loss stesse relativa al consumo
del goodwill piuttosto che ad un suo deterioramento da ricercare in altri motivi. In
particolare, essi sottolineano come la tendenza generale di riduzione dei compensi sia
maggiormente accentuata in quei settori in cui è poco rilevante la componete tecnologica
a differenza dei settori cc.dd. R&D intensive. Il motivo è, probabilmente, da ricercare nel
104
fatto che all’aumentare del grado di incidenza dello sviluppo tecnologico diminuisce, per
l’impresa, la possibilità di detenere per lungo tempo quella fonte di vantaggio competitivo
ricercata tramite l’acquisizione, con la conseguenza che il consumo dell’avviamento
avviene in un tempo minore e tale consumo è riflesso nelle impairment loss che vengono
rilevate in seguito all’acquisizione con un ammontare maggiore di quello che si avrebbe
nel caso di un’impresa operante in un settore con un basso grado di incidenza della
tecnologia. Dunque, nei settori R&D intensive è, probabilmente, diffusa l’idea secondo la
quale si penalizzano i manager qualora i loro compensi vengano ancorati a costi il cui
sostenimento non è riconducibile al loro operato.
Nella risoluzione di questi conflitti di agenzia tra i principal (gli azionisti) e gli
agent (i manager) un ruolo importante può essere assunto anche dagli analisti finanziari.
Questi ultimi fungono, in pratica, da intermediari, in quanto hanno il compito di fornire
un’analisi oggettiva dell’impresa alla quale i proprietari possono farvi riferimento per
valutare se i CEO operano effettivamente nei loro interessi e se questi ultimi forniscono
informazioni in linea o meno con quanto rilevato dagli analisti. Tuttavia, anche in questo
caso l’aspetto comportamentale può influire sul modo in cui gli analisti finanziari
riescono effettivamente a mitigare i problemi di agenzia in quanto anch’essi, nelle loro
analisi, potrebbero non essere imparziali: il fatto che essi possano avere legami economici
(ma anche professionali) con i vertici aziendali genera maggior riluttanza nel confutare le
conclusioni di questi ultimi. È, comunque, interessante notare, a proposito di questa
categoria di stakeholder, come anch’essi risultino essere dubbiosi circa l’attuale
formulazione degli standard relativamente al trattamento contabile attuale per
l’avviamento per il fatto di essere facilmente manipolabile a seconda delle esigenze
specifiche dei CEO. In particolare, in uno studio condotto nel 201360, è emerso che, pur
giudicando positivamente quanto disposto dagli standard, i manager cercano di rilevare
meno impairment loss possibili relativamente all’avviamento in quanto orientati
principalmente a non compromettere la loro posizione all’interno dell’impresa.
In generale, il conflitto di agenzia è un caso eclatante di come gli interessi
opportunistici possono, molte volte, far distogliere l’attenzione dalla necessità di fornire
un’informativa di bilancio che sia oggettiva e utile per i soggetti esterni a cui essa è
60 J. Saastamoinen, K. Pajunen, H. Ojala, Financial analysts’ perceptions of goodwill accounting under
IFRS, SSRN Research, 2013.
105
rivolta. Come è stato notato nell’ultimo studio richiamato poc’anzi, ad un livello generale,
il giudizio circa l’attuale formulazione degli standard internazionali in merito al
trattamento contabile dell’avviamento successivo alla sua prima iscrizione è tutto
sommato positivo in quanto si ritiene che le attuali norme, tenuto conto della
discrezionalità dei manager nella loro applicazione, consentano di pervenire ad una
rappresentazione fedele della realtà aziendale. Ma tutto ciò è possibile soltanto se i
manager stessi utilizzano tali margini di discrezionalità per raggiungere questo obiettivo.
Questa digressione sul ruolo del goodwill nei conflitti di agenzia ci autorizza a dire che,
in pratica, non è sempre così e dal momento che i principi contabili devono, in linea di
massima, ottemperare alle esigenze che emergono a seguito del progressivo mutare
dell’ambiente economico allora anche le tendenze comportamentali appena analizzate
devono essere tenute in considerazione nell’esprimere giudizi circa l’adeguatezza
dell’attuale trattamento contabile.
106
CONCLUSIONI
La messa in discussione dell’attuale trattamento contabile per l’avviamento è stata
formulata sulla base dei suoi tratti concettuali nella delineazione dei quali si sono resi
dovuti i richiami alla dottrina economico-aziendale in tema di valutazione d’azienda, oltre
ad alcune considerazioni di carattere finanziario. Teoricamente si può ricondurlo a quella
parte del valore del complesso aziendale non riconducibile direttamente ai fattori
identificabili e suscettibili di essere tradotti in quantità numerarie: quelli, cioè, rilevanti
soltanto ai fini della determinazione del capitale netto di bilancio. L’avviamento è,
piuttosto, riconducibile ad elementi quali le capacità organizzative e gestionali, la
reputazione dell’impresa e tutte le altre qualità che, pur concorrendo positivamente al
processo di creazione di ricchezza, mal si prestano ad essere quantificate ed essere incluse
in bilancio. A dire il vero esistono procedimenti di stima del valore complessivo
dell’impresa che consentono, in ultima analisi, di fornire un’idea di quanto essa sia
“avviata” ma trattasi di procedimenti che richiedono il ricorso a stime e congetture la cui
validità non è sempre confutabile. La conseguenza è data dal fatto che i valori che si
andranno ad assegnare al capitale economico saranno influenzati da fattori
comportamentali, aspettative personali o altri elementi soggettivi: così, pur utilizzando la
stessa metodologia valutativa, può capitare che il manager formulerà una certa
valutazione della sua azienda, un analista finanziario ne formulerà un’altra, un soggetto
terzo intento ad acquisire l’azienda valutanda un’altra ancora, e così via. L’inesistenza di
un metodo di valutazione che consenta di pervenire ad una stima oggettiva e condivisibile
in senso assoluto, così come nel caso di un fattore osservabile o elemento finanziario il
cui valore è statuito da obblighi contrattuali, implica il ricorso a semplificazioni dal punto
di vista degli standard contabili. Tali semplificazioni attengono, in pratica, all’ancoraggio
del valore economico del capitale dell’impresa oggetto di valutazione a quanto stabilito
da chi opera in azienda: dunque, in sede di business combination, l’avviamento sarà
iscritto nel bilancio dell’acquirente per un valore pari alla differenza tra il corrispettivo
107
pagato ed il capitale netto dell’impresa acquisita, anche qualora si possa affermare che il
valore di tale corrispettivo sia palesemente difforme da una ipotetica stima del valore
complessivo aziendale. Gli standard internazionali (ma anche quelli nazionali) sembrano
ammettere implicitamente tutto ciò quando dispongono della recognition
dell’avviamento, integrandone la disciplina con prescrizioni che impongono di operare
tutte quelle stime necessarie al fine di ridurre il valore dei fattori non osservabili e frutto
di decisioni discrezionali (lo fanno quando, ad esempio, impongono di rilevare in bilancio
il maggior numero di elementi anche non precedentemente identificati oppure quando
dispongono circa il measurement period). Il riflesso di tale incertezza valutativa lo si ha
non solo nella recognition ma anche per quanto attiene al trattamento contabile successivo
dove, ancora una volta, è alto il grado di discrezionalità lasciato ai manager (o a chi per
loro compie tali valutazioni). Come si è visto, la rilevazione di una impairment loss
dipende dalla statuizione del Recoverable Amount che, a sua volta, è subordinata alla
formulazione di stime circa i flussi di ricchezza futuri e i tassi di attualizzazione, stime
che gli standard IAS/IFRS richiedono di avvalorare tramite la disclosure di tutto ciò che
possa giustificare le conclusioni dei manager. Questi ultimi saranno, ovviamente, poco
propensi ad ottemperare a tali prescrizioni dal momento in cui ciò può significare la
comunicazione di fatti strategicamente rilevanti.
Preme, a questo punto, fare una osservazione rilevante: quella tra la discrezionalità
operata in sede di prima iscrizione in bilancio dell’avviamento e in tema di trattamento
contabile successivo dello stesso. Nel primo caso tale discrezionalità è, in qualche modo,
mitigata dalla presenza di una controparte impegnata nella contrattazione. Essendo
pacifico che il valore complessivo di un’azienda non può essere determinato con assoluta
oggettività ma pur ritenendo ragionevole l’ipotesi che esso, comunque, non debba
scostarsi da un certo intervallo di valori, è più probabile che l’offerta di acquisto formulata
si avvicini a tale intervallo se essa è frutto di una contrattazione ad armi pari tra un
acquirer che desidererebbe pagare meno del reale valore dell’azienda oggetto di
acquisizione e un acquiree che, invece, desidererebbe essere pagato per un ammontare
che superi tale valore. In sede di trattamento contabile successivo, l’assenza di una
controparte pronta a confutare le conclusioni del management rende quest’ultimo
sostanzialmente libero di operare con ampio margine di discrezionalità, con la possibilità
di asservire la contabilità al raggiungimento dei suoi obiettivi personali ed opportunistici.
Le evidenze empiriche evidenziano questa tendenza. Il più delle volte i manager tendono
108
a rilevare il minor numero possibile di impairment loss anche a costo di fornire
un’immagine distorta della realtà aziendale. Ciò è divenuto evidente, in particolar modo,
negli anni successivi lo scoppio della crisi finanziaria le cui conseguenze economiche
sono state riflesse nei bilanci societari con colpevole ritardo, ledendo la possibilità da
parte di eventuali investitori (o di altri soggetti interessati al bilancio) di poter avere un
quadro fedele della dinamica economica al fine di poter prendere decisioni di
investimento corrette. In particolare, la volontà di voler celare gli effetti macroeconomici
avversi attraverso la formulazione di stime troppo ottimistiche che consentissero la non
recognition delle perdite di valore per l’avviamento ha trovato giustificazione nel fatto di
non voler aggravare la performance dell’impresa in modo tale da non impedire il
raggiungimento di quegli incentivi spesso legati proprio a misure sintetiche di
performance, come reddito operativo o indicatori di sintesi (come ROE e ROI). L’attuale
impairment-only approach sembra consentire proprio questo.
Ma al di là degli aspetti comportamentali che risultano, comunque, evidenti e
rilevanti, un trattamento contabile per il goodwill basato esclusivamente sull’impairment
test risulta colmo di carenze strutturali. In effetti tale approccio contabile non impone la
rilevazione periodica e tassativa di impairment loss ad ogni cadenza temporale, cosicché
il valore dell’avviamento potrebbe restare invariato per più di un esercizio
amministrativo. Ma se è vero che si tratta di un elemento che tende ad essere
progressivamente consumato e rimpiazzato con quello internamente generato, allora si
può ragionevolmente ritenere che con l’impairment-only approach si autorizza, in pratica,
la recognition di quest’ultimo. È, quest’ultima, problematica non di poco conto anche (e
soprattutto) alla luce delle evidenze empiriche facenti riferimento agli anni successivi lo
scoppio della crisi, ove è stata osservata la tendenza di molte imprese che presentavano
un valore di capitalizzazione di mercato inferiore a quello contabile. Se i mercati
finanziari sono efficienti e presentano la sostanziale assenza di asimmetrie informative,
ciò vuol dire che in essi è reperibile una stima attendibile del valore dell’impresa oggetto
di valutazione, stima identificabile, appunto, dalla market capitalisation: è un segnale
che, il più delle volte, indica che il bilancio non ottempera al ruolo per il quale esso è
predisposto.
Se è vero che gli standard contabili sono in continua evoluzione per meglio
cogliere i cambiamenti e le nuove tendenze economiche, allora tali evidenze empiriche
109
devono essere tenute in adeguata considerazione nella messa in discussione dell’attuale
trattamento contabile per l’avviamento per il quale, tuttavia, risulta impossibile, data la
natura dello stesso, statuire un trattamento after recognition che consenta di eliminare del
tutto l’aspetto soggettivo e discrezionale. Di quest’ultimo si dovrebbe, tuttavia, puntare
ad una riduzione. L’obiettivo diviene quello di definire un trattamento contabile che
riduca, in sostanza, i margini di discrezionalità operabili dal management ed è per tale
motivo è stata da più parti avanzata l’ipotesi di una reintroduzione dell’ammortamento.
Il metodo dell’ammortamento sistematico e dell’impairment test da effettuare ogni
qualvolta se ne presentino gli indizi è stato abbandonato proprio per l’impossibilità di
stabilire con oggettività un periodo d’ammortamento per il goodwill, cosa che impediva
una sua rappresentazione fedele in bilancio. Ma risulta chiaro come l’impairment-only
approach abbia causato addirittura un peggioramento. In effetti, la reintroduzione
dell’ammortamento consente, quantomeno, di isolare il valore dell’avviamento da
ripartire negli esercizi successivi in modo tale da evitare la recognition di quello
internamente generato. Inoltre esso consente di cogliere una delle caratteristiche
qualitative dello stesso che l’attuale trattamento contabile tende a nascondere, ovvero il
fatto di essere progressivamente consumato, mentre la critica derivante dal fatto di non
poter quantificare attendibilmente il periodo entro il quale esso deve essere ammortizzato,
pur essendo valida, è comune ad ogni altra attività e non dovrebbe rappresentare motivo
di abbandono sistematico e a priori dell’amortisation and impairment approach.
In sintesi, la problematica è chiara: la precisione concettuale con la quale si
identifica in linea teorica il concetto di avviamento non può essere riflessa in procedure
contabili altrettanto chiare e anche le evidenze empiriche hanno suggerito che è palese la
necessità di formulare un trattamento contabile che riduca i margini discrezionali del
management. È a questo proposito che è, da più parti, auspicato a gran voce una
reintroduzione dell’ammortamento per il goodwill accompagnato da impairment test ogni
qualvolta se ne presentino gli indizi.
110
RIFERIMENTI
D. Balducci, La Valutazione dell’Azienda, Milano, FAG editore, 2012
M. Bloom, Double Accounting for Goodwill: a problem redefined, United Kingdom,
Routledge, 2008
R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, Mc-Graw
Hill, 2010
R. Caiazza, Cross-Border M&A. Determinanti e fattori critici di successo, Torino,
Giappichelli Editore, 2011
E. Cavalieri, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 2010
M.N. Darrough, L. Guler, P. Wang, Goodwill impairment losses and CEO compensation,
Journal of Accounting, Auditing & Finance, 2014
EFRAG, OIC, ASBJ, DP: Should Goodwill still not be Amortised? Accounting and
Disclosure for Goodwill, 2014
ESMA, ESMA Report: european enforcers review of impairment of goodwill and other
intangible assets in the IFRS financial statements, 2013
R.M. Grant, L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Bologna, Il Mulino, 2011
Houlihan Lokey, The European Goodwill Impairment Study, 2013
IASB, The Conceptual Framework for Financial Reporting
IASB, IFRS 3 Business Combination
111
IASB, IFRS 8 Operating Segments
IASB, IFRS 13 Fair Value Measurement
IASB, IAS 36 Impairment of Assets
IASB, IAS 38 Intangible Assets
L.T. Johnson, K.R. Petrone, Commentary: is Goodwill an Asset? Accounting Horizons,
1988
OIC 9 Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e
immateriali
OIC 11 Bilancio d’esercizio: finalità e postulati
OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali
Lucio Potito, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli editore, 2014
Luigi Rabuini, Metodologie di stima del capitale economico delle aziende, 2008, in
www.borsaitaliana.it
R.V. Ratiu, A. Tiron Tudor, The Classification of Goodwill: an Essential Accounting
Analysis, Review of Economic Studies and Research Virgil Madgearu, 2013
R. Reilly, R. Schweihs, Valuing Intangible Assets, Mc-Graw Hill, 1998
J. Saastamoinen, K. Pajunen, H. Ojala, Financial analysts’ perceptions of goodwill
accounting under IFRS, SSRN Research, 2013
J.M. Samuels, R.E. Brayshaw, J.M. Cramer, Financial Statement Analysis in Europe,
Chapman & All, 1995
S. Sciarelli, La Gestione dell’Impresa, Padova, CEDAM, 2011
112