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Meditazioni metafisiche UPS, a.a. 2012-13 Corso di Storia della Filosofia moderna – Prof. S. Curci

Meditazioni metafisiche

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Meditazioni metafisiche

UPS, a.a. 2012-13

Corso di Storia della Filosofia moderna – Prof. S. Curci

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L’origine

Già nel 1628 D pensava a un trattato sulla divinità: l’anno dopo lavorava nei Paesi Bassi a un petit traité di metafisica

Ma si occupava di altre cose: il 20 marzo 1629 il gesuita Christophe Scheiner a Frascati aveva osservato i pareli o falsi soli e D decise di interrompere “quel che avevo tra le mani” per dedicarsi allo studio delle meteore (A Mersenne, 8 ottobre 1629)

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L’origine Mentre lavora al Mondo annuncia a Mersenne

che avrebbe trattato “molte questioni metafisiche” ma la condanna a Galileo lo ferma

La quarta parte del Discorso (1637) contiene la prima esposizione sistematica della metafisica (a Vatier: “è vero che sono stato troppo oscuro… questi pensieri non mi sono sembrati adatti a essere inseriti in un libro, nel quale ho voluto che persino le donne potessero capire qualcosa” (22/2/1638)

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Le verità eterne

D pensa a un’operetta “leggibile in un pomeriggio” e già è convinto della teoria della creazione divina delle “verità eterne” che esprimono l’essenza immutabile delle cose

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Le verità eterne

Dio non ha alcun vincolo però, altrimenti sarebbe come uno Zeus che ha il fato sopra di sé e non deve produrre quelle verità per necessità interna, perché non sarebbe libero autore della creazione. D rapporta le verità eterne all’atto creativo di Dio : “è certo che Dio è autore tanto della essenza che dell’esistenza delle creature. Ora quest’essenza non è altro che le verità eterne di cui discutiamo”

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Le verità eterne

A D interessa garantire all’uomo la possibilità della conoscenza: proprio perché le verità sono finite l’uomo, che è finito, le può comprendere, cosa impossibile se esse facessero parte dell’essenza divina

La scienza non sa spiegare il perché, ma le basta il come

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Verso una soluzione innatista

L’innatismo prevede che le idee siano conosciute nella mente e non per partecipazione alla mente divina: è alternativo sia al convenzionalismo di Hobbes (conosce veramente qualcosa solo chi lo ha prodotto) sia il risorgente agostinismo (emanazione da Dio di una illuminazione che permettesse alla mente di attingere la verità direttamente da Dio)

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Le date L’opera è scritta tra il 1639 e il 1640, esce una

prima volta a Parigi con obiezioni e risposte nel 1641 col titolo Meditazioni sulla filosofia prima nella quale è dimostrata l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.

D però riscontra dei refusi e prepara una seconda edizione per il 1642 ad Amsterdam con titolo cambiato: Meditazioni sulla filosofia prima nelle quali sono dimostrate l’esistenza di Dio e la distinzione dell’anima dal corpo

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Le obiezioni

D decide di allegarle con le risposte, non di inserirle nel testo, per non togliere “la force de mes raisons” e “conserver la vérité de l’histoire”. Chiede di definire responsiones e non solutiones le sue risposte.

Gli obiettori: le prime Johannes Caterus, seconde e seste Marin Mersenne (e il suo circolo?), terze Hobbes, quarte Arnauld, quinte Gassendi, settime Bourdin.

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Il problema dell’opera

Assicurare che la conoscenza umana è legittimata a parlare con verità del mondo. Distruggere la scienza aristotelica che è solo sistematizzazione colta delle credenze del senso comune

Dio è garante del vero: bisognerà però conoscere due suoi attributi: l’infinita potenza (tale da truccare la nostra conoscenza) e la veracità (che garantisce che Dio non userà questo potere)

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La scelta del genere letterario

La meditazione appartiene alla letteratura spirituale, in essa l’esperienza personale dovrebbe guidare i lettori più con l’esempio che col precetto

Richiede un atteggiamento attivo: anche il lettore deve meditare

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Prima meditazione

“Di ciò su cui può cadere il dubbio”. È metodologicamente utile dubitare di tutte

le certezze dell’abitudine: dubbio metodico che richiama la prima regola del Discorso: “non accettare per vero nulla che non si presenti chiaramente e distintamente” e “deve staccare la nostra mente dai sensi”

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Prima meditazione I sensi ci ingannano (“non fidarsi di quelli che ci

hanno una volta ingannati”), sonno e veglia possono essere indistinguibili

“sia che io vegli o che dorma, due e tre uniti assieme formeranno sempre il numero cinque, ed il quadrato non avrà mai più di quattro lati”. La verità della matematica dipende solo dal principio di non contraddizione. Si può dubitare dell’esistenza degli oggetti esterni ma non delle operazioni del pensiero.

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Prima meditazione Ma anche le conoscenze matematiche possono

essere iperbolicamente messe in dubbio nella loro validità oggettiva

Infatti un “genio maligno” potrebbe suggerirci l’idea di concetti matematici senza far corrispondere ad essi nulla.

Esiste una verità che gli resista incondizionatamente? Come posso essere certo che alle conoscenze che ho “dentro” corrisponda qualcosa “fuori”?

L’ipotesi di un “Satana epistemologico” serve per non accontentarsi di un moderato scetticismo

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Seconda meditazione

“Della natura dello spirito umano e come essa sia più facilmente conoscibile che non il corpo”

Il titolo nasconde il famoso Cogito, la prima certezza. Divisa in tre parti: 1) raggiunge la certezza dell’esistenza dell’io; 2) indaga la natura dell’io; 3) dimostra che la mente è conosciuta più facilmente del corpo

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Seconda Io che sono ingannato dal genio maligno devo

esistere e perciò la proposizione “io sono, io esisto è necessariamente vera ogni volta che la pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito”

L’obiezione dei suoi lettori scolastici è che c’è un sillogismo mascherato, che omette la premessa maggiore (tutte le cose che pensano esistono…). Dopo essere “caduto in un’acqua profondissima” D si è ripreso troppo in fretta. Doveva partire dal nulla ma ha trovato subito le nozioni di pensiero, certezza ed esistenza.

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La risposta di Descartes

D ha sempre risposto che è un’esperienza di autocoscienza, è un primo principio: “non intesi dire che non occorra sapere preliminarmente cosa sia pensiero, certezza, esistenza. Ma poiché queste nozioni sono così semplici che da sé sole non ci fanno avere la conoscenza di alcuna cosa che esista, per questo ritenni che non se ne dovesse tener conto”.

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Seconda Inganna però la presenza del “dunque”: nelle

risposte usa il verbo “sentire” e non “ragionare, inferire, dedurre”: “egli sente in se stesso che in nessun modo può pensare, se non esiste” (Risp. Seconde obiez., p. 133)

Cogito, sum: “mi sperimento esistente nell’atto di pensare”

Spinoza: “penso, dunque sono è una proposizione unica, che equivale a questa: io sono pensante”

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Obiezione di Gassendi

La certezza della propria esistenza potrebbe essere data da qualunque attività dell’io: “passeggio dunque esisto”.

D: l’obiezione non funziona, perché io non posso essere certo di camminare (potrei sognarlo). Solo il pensiero attesta l’esistenza dell’io, e in ogni attività dell’io c’è il pensiero. Il contenuto dei pensieri può essere falso, la certezza che io penso no. Pensarmi privo di pensiero è una contraddizione che si confuta da sola.

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Seconda meditazione

Secondo la teoria aristotelico-scolastica se i corpi non esistessero non si dovrebbe conoscere nulla, nemmeno la mente, perché la conoscenza inizia dalla percezione dei corpi con i sensi, e il contatto con i sensi produce un’immagine dalla quale l’intelletto astrae il materiale della conoscenza.

Descartes ha mostrato che la certezza dell’esistenza dell’io è indipendente dall’esistenza dei corpi. Ora deve rovesciare le certezze dell’empirismo, dimostrando che – anche se i corpi non esistessero – la mente potrebbe acquisire le verità fondamentali

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Seconda meditazione

La fondazione della certezza della scienza sulla certezza della propria esistenza è una novità

Invece la tesi che l’esistenza dell’io è implicata in ogni atto di pensiero, ed è indubitabile, è già in Agostino (come obietta Arnauld) e Tommaso (“nessuno può dare il suo assenso al pensiero che egli non esiste. Perché, nel pensare qualunque cosa, egli percepisce di esistere”

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Seconda meditazione

Descartes rovescia l’empirismo: non solo la mente è conosciuta indipendentemente dai corpi, ma anche meglio dei corpi

Partendo dall’uomo della strada, D attribuisce all’anima le funzioni vitali: in realtà è una tesi aristotelica che per D vale solo come sistemazione colta del senso comune

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Seconda meditazione

Il corpo è tradizionalmente più conoscibile dell’anima. Ma i corpi sono annullati dall’ipotesi del genio maligno.

D si affida – senza esplicitarla – alla nozione di sostanza, una cosa che “può esistere per se stessa”, non ha bisogno di altro per esistere

Ma la sostanza si conosce attraverso i suoi attributi: io so che esisto, il pensiero basta a farmi conoscere che esisto

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Seconda meditazione

Senza pensare ai corpi o alle funzioni dell’anima (nutritiva e sensitiva, sempre legate ai corpi) è il pensiero che fa conoscere la capacità dell’io di esistere indipendentemente da altro. Il pensiero è l’attributo principale, l’essenza dell’io

Io mi conosco come una res, una cosa che pensa

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Seconda meditazione L’argomento di D non conclude che alla natura

dell’io non appartiene la corporeità L’argomento stabilisce che l’io è concepito

chiaramente e distintamente attribuendogli il solo pensiero. Io concepisco chiaramente l’io senza il corpo, dunque concepisco che alla sua natura non appartiene la corporeità

Nella quinta e sesta meditazione scopriremo che anche il corpo è una sostanza conoscibile in modo indipendente rispetto alla mente

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Seconda meditazione

Ma ancora non possiamo dimostrare che la natura dell’io consista nel solo pensiero: c’è sempre l’ipotesi del genio maligno

Nell’esempio del pezzo di cera D ribalta il modo di pensare aristotelico: ogni forma di conoscenza dei corpi deriva da facoltà che non dipendono dai corpi (l’intelletto); le caratteristiche percepite dai sensi non costituiscono la vera natura del corpo, che è conoscibile solo dall’intelletto.

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Seconda meditazione

Un pezzo di cera appena estratto dall’alveare: colorato, duro, profumato… avvicinato al fuoco si liquefà, perde odore e colore… ma giudico che sia ancora la stessa cera di prima!

Quindi ciò che mi fa considerare il pezzo di cera non dipende dalle qualità sensibili

Dipende dall’immaginazione? Ogni corpo può infiniti cambiamenti, e l’immaginazione non potrebbe pensarli tutti.

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Seconda meditazione

Percepire la cera “non è un vedere, né un toccare, né un immaginare (…) ma è un guardar dentro della sola mente solius mentis inspectio”

Per dire che il pezzo di cera era lo stesso ho dato un giudizio intellettuale che ha superato l’esperienza

A Gassendi D risponde che l’idea del triangolo era già in noi, non l’abbiamo appresa vedendo dei triangoli

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Seconda meditazione

D apre la strada che arriverà a Hume e Kant: si deve cercare nella mente per trovare ciò che rende possibile l’esperienza, che è possibile grazie a idee che non vengono dall’esperienza.

Poiché conosciamo i corpi grazie al nostro spirito, esso deve essere più facilmente conoscibile rispetto ai corpi. Dall’esperienza della cera risalgo sempre all’esistenza dell’io.

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Terza meditazione Di Dio e della sua esistenza Solo mostrando che Dio esiste ed è buono si

può sconfiggere l’ipotesi del genio maligno Sono vere “le cose che noi concepiamo molto

chiaramente e molto distintamente” (la denominazione “chiara e distinta” era già in Duns Scoto)

Per uscire dal solipsismo, ci sono tre tipi di idee: innate (verità, pensiero); avventizie (dall’esterno); fattizie (formate da me: sirena, chimera…)

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Terza meditazione

La novità – che non piacque a molti Scolastici – è che le idee sono “cose”, realtà effettive con valenza ontologica non meno delle cose esterne a cui rimandano.

Ogni idea esiste nel mio spirito per una causa, e la causa non può contenere meno realtà oggettiva delle idee che produce.

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Terza meditazione D richiama la distinzione scolastica tra realtà

oggettiva dell’idea (il suo contenuto) e formale (sua entità come modo di pensare). La realtà oggettiva richiede che le idee abbiano cause loro adeguate.

Deve esserci tanta realtà nella causa che nell’effetto: ciò che ha minore realtà non può produrre ciò che ne ha maggiore, si può avere solo una causa che ha la stessa realtà del suo effetto (causa formale) o che ne ha maggiore (causa eminente)

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Terza meditazione

L’idea che ha maggiore realtà oggettiva di quanta realtà formale sia contenuta nell’io è l’idea di Dio: è innata, la trovo senza intervento dei sensi o dell’immaginazione

Ma non posso essere la causa adeguata dell’idea di Dio: “una sostanza infinita, indipendente, onnisciente, onnipotente, dalla quale sarei stato creato io stesso come ogni altra cosa”

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Ricapitolando Dal fatto che dubito deriva la certezza che esisto

come sostanza pensante Essendo sostanza pensante, sono certo delle

idee che penso Tra le idee ci sono quelle innate Tra esse quella di Dio Dell’idea di Dio – perfezione – non posso essere

io la causa, perché sono imperfetto Dio – essendo perfetto – è la causa dell’idea di

perfezione che ho Allora deve esistere

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Terza

Dunque non è un’idea fattizia, né avventizia perché non può derivarmi da una realtà finita.

Lo scolastico avrebbe obiettato che l’idea dell’infinito è ottenuta per negazione della finitezza. Io posso avere l’idea di Dio anche se non esiste, estendendo all’infinito i gradi di perfezione che riscontro. I Canadesi e gli Uroni non hanno questa idea.

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Terza Hobbes: pretendere di avere l’idea di Dio è come

pretendere che un cieco nato abbia l’idea di uomo. Gassendi: si può avere solo l’idea di una parte dell’infinito, come uno che esce da una caverna sotterranea e pensa che quello che vede è tutto il mondo.

D rovescia l’argomentazione: non è l’idea dell’infinito che deriva da quella del finito, ma il contrario. L’io non potrebbe percepirsi come dubitante se non si paragonasse a un ente perfetto. A Gassendi: chi non sa nulla di geometria può avere l’idea di tutto un triangolo, pensando alla figura e non alle sue proprietà.

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Terza L’idea di Dio ha più realtà oggettiva di ogni altra

idea chiara e distinta Rottura con la tradizione tomista, per cui l’uomo

può sapere solo cosa Dio non è, e “nessuna specie creata è sufficiente a rappresentare l’essenza divina” (De Veritate, qu. 10, a. 11c). Mersenne: la pretesa di una conoscenza chiara e distinta di Dio non mette in pericolo il mistero della Trinità?

D difende la sua tesi sostenendo che Dio è la fonte di tutte le idee chiare e distinte. E al lume naturale non è accessibile il mistero della Trinità.

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Terza Ma Gassendi lo accusa di ridurre Dio ad essere

comprensibile per la mente umana Su un terreno scivoloso, D conferma

l’incomprensibilità di Dio considerandola compatibile con la chiarezza e distinzione dell’idea. Non “comprendere” (comprehendere) ma “intendere” (intelligere) Dio. Nel dibattito farà il paragone col mare: come il mare non può essere abbracciato (complectere) così Dio non può essere conosciuto tutto insieme.

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Interpretazione di Agostini

La strategia difensiva è un momento di un tentativo di rilanciare l’idea chiara e distinta di Dio attenuando gli aspetti più eversivi per tradurre il significato nel lessico dell’interlocutore: “non di dissimulazione, bensì di mediazione occorrerebbe piuttosto parlare”

I. Agostini, L’idea di Dio in Descartes, Le Monnier, Firenze 2010, p. 94.

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Terza meditazione, seconda prova Per venire incontro alla cultura scolastica dei suoi lettori,

D fornisce un’altra prova: invece di cercare la causa di una idea, cercherà la causa di un ente, avvicinando la prova alla seconda via di Tommaso

supponendo che Dio non esista, da dove potrei trarre la mia esistenza? Non da me, perché mi sarei dato tutte le perfezioni che attribuisco all’idea di Dio…

D respinge l’ipotesi dell’autocausalità dell’io perché l’io non ha tutte le perfezioni di cui ha idea (quindi non giudica contraddittoria l’ipotesi che un ente sia causa di se stesso).

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Terza meditazione, seconda prova

Scartata l’autocausalità dell’io, D ipotizza che l’io sia eterno. Come ente finito, deve comunque avere una causa nel tempo presente: “dal fatto che un poco prima sono esistito non segue che io debba esistere adesso, a meno che in questo momento qualche causa mi produca e mi crei, cioè mi conservi”

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Terza meditazione, seconda prova

D estremizza la teoria scolastica per cui serve un intervento costante della causa prima per conservare nell’essere le creature (creazione continua): io non posseggo tale forza, altrimenti ne sarei consapevole

Un regresso all’infinito per determinare tale causa sarebbe inevitabile se si cercasse la causa che ha agito nel passato e ora potrebbe non agire, ma D specifica che “nel tempo presente” è impossibile il regresso all’infinito

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Terza meditazione, seconda prova

La conclusione tomista “esiste una causa prima incausata, che è Dio” diventa “esiste una causa prima, che è causa sui, che è Dio”

Caterus per prima nota che D ha usato la nozione di autocausalità, esclusa dalla Scolastica. Arnauld attacca

D si difende ritenendo che Dio, a differenza degli enti finiti che sono per altro, è un ente per se.

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Terza meditazione, seconda prova Per la Scolastica per se è nozione negativa (Dio non ha

causa)per D è positiva (Dio è causa sui) non tanto come causa efficiente quanto come causa formale

Nelle risposte alle prime obiezioni D rinforza dicendo che la causa che ha forza per sostenere un ente nell’essere deve avere forza per dare l’essere a se stessa

Dunque dal fatto che deve esistere una causa all’esistenza dell’io nel tempo presente si inferisce che la causa che dà l’essere all’io è causa sui e si è data tutte le perfezioni di cui ha idea.

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Un confronto

Discorso tomista Discorso cartesiano Dio è l’unico essere che non ha bisogno di alcuna causa per esistere: è ens a se. Perciò è causa sui in senso negativo, cioè è senza una causa estrinseca che lo pone in essere. Per i tomisti il principio di causalità porta a una causa che non richiede causa, quindi la sua applicazione si ferma con l’affermazione di Dio

Essere per sé è essere causa di sé in senso positivo, cioè di avere in sé la ragione propria dell’essere. Per Descartes il principio di causalità porta a una causa che è causa di sé, quindi ha un’applicazione universale

Tommaso ricorre alla distinctio rationis ratiocinatae, che ha un fondamento nella realtà, e procede per analogia sulla base della realtà creata: c’è in Dio qualcosa che corrisponde all’intelletto e alla volontà.

In Descartes c’è la distinctio rationis ratiocinantis: l’analogia viene trascesa in favore dell’immanenza reciproca delle due facoltà nell’unità della natura divina (lettera a Mersenne maggio-giugno 1630: “è in Dio la stessa cosa volere, intendere e creare, senza che l’uno preceda l’altro, neppure secondo ragione”.

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Il vero e il bene hanno radice in Dio. La fonte della verità è nell’intelletto divino.

La dottrina delle verità eterne (“la tesi più antitomistica di D.” secondo H. Gouhier). La fonte della verità è nella volontà divina: è Dio che crea e determina con la sua volontà il vero e il bene. Le verità eterne sono tali perché la Sua volontà è immutabile. Le verità eterne – in quanto create – non sono indipendenti dalla volontà divina, perché se lo fossero costituirebbero un limite all’onnipotenza divina; e se fossero parte della natura divina (inconoscibile all’uomo) sarebbero incomprensibili per il nostro intelletto (invece D. vuole stabilire la piena possibilità della scienza di conoscere la realtà). Ancora Gouhier: la creazione delle verità eterne esprime l’indifferenza che definisce la libertà divina. Cfr. La pensée métaphysique de Descartes, Paris 1962.

In Dio la libertà è assenza assoluta di determinazione, è l’indifferenza della volontà (“la massima indifferenza in Dio è l’argomento più grande della sua onnipotenza”, Risposte alle seste obiezioni)

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Considerazioni La critica a Tommaso è evidente: senza la

conoscenza di Dio non si prova che la causa prima è Dio.

A Caterus D spiega perché “nel tempo presente”: se si andasse al regresso all’infinito si rischia di non trovare la causa prima

D difende la sua innovazione: solo l’autocausalità dimostra che la causa prima è l’ente perfettissimo, perché solo chi ha tanta forza da darsi l’essere ne ha anche per darsi tutte le perfezioni di cui ha idea.

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D pensa che tutta la teologia che si è basata su un effetto finito non riesce a dimostrare che la causa di quell’effetto è infinita

Si è dimostrato che Dio esiste grazie all’idea chiara e distinta: “poiché la luce naturale ci insegna che l’inganno dipende necessariamente da qualche difetto” Dio non può ingannare

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Quarta meditazione “Del vero e del falso” Dimostra che Dio non mi inganna, perché in ogni

inganno c’è imperfezione L’errore deriva dalla mia facoltà di giudicare,

dalla volontà che – sigillo divino nell’uomo – è più ampia dell’intelletto

Se seguirò la regola dell’evidenza, che mi impone di evitare prevenzione e precipitazione, riporterò la mia facoltà di giudizio in limiti legittimi

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Una questione

Dio poteva impedire che l’errore si producesse? “non mi sembra che io possa, senza temerità

ricercare e tentar di scoprire i fini impenetrabili di Dio”

Così può dichiarare che le cause finali “nelle cose fisiche o naturali” non servono

D non nega che Dio abbia dei fini (Spinoza) ma solo che l’uomo possa conoscerli

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D ritiene incongrua la domanda sulla compatibilità del male con i fini di Dio

I fini non possono essere compresi, e l’ideale della perfezione del mondo non può imporsi a Dio

Soluzione classica: “io non posso per questo negare che non sia, in certo modo, una più grande perfezione di tutto l’universo il fatto che invece di essere tutte simili alcune sue parti non sono esenti da difetto”

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Quinta meditazione “Dell’essenza delle cose materiali e, di nuovo, di Dio e della

sua esistenza” Tutto ciò che percepisco chiaramente e distintamente di una

cosa le appartiene per essenza (ragionamento matematico) All’idea di Dio appartiene chiaramente e distintamente

l’esistenza attuale ed eterna, come all’essenza del triangolo appartiene una somma degli angoli interni pari a 180° (dopo l’elaborazione delle geometrie non euclidee sappiamo che non è vero in uno spazio non euclideo)

Dio esiste perché non posso pensare l’idea di Dio senza includere nella sua natura l’esistenza: Egli è garante dell’evidenza di ciò che percepisco chiaramente e distintamente

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Due domande

Perché una nuova prova? Perché qui? A Caterus D risponde che nell’attribuire a

Dio l’esistenza non si pretende di passare dal pensiero alle cose: è l’essenza di Dio che impone di pensarlo esistente. Quello che manca ad Anselmo è la teoria innatista, ed è per questo che la prova è qui

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A Caterus D concede che provare che all’idea di Dio corrisponde una vera natura è “non parva difficultas”

D assume allora come definizione di Dio non più quella di essere perfettissimo ma quello di ente infinitamente potente

Perché un’altra prova allora? Perché se la dimostrazione dell’esistenza di Dio ha la stessa struttura delle dimostrazioni della matematica, se è vera la prima sono vere anche queste.

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Un matematico coerente non può essere ateo. D mostra al matematico che senza accettare l’esistenza di Dio la sua matematica non è la conoscenza perfetta che lui pensa.

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Quinta

Obiezione di Gassendi: l’esistenza non è una proprietà, come era stato obiettato ad Anselmo

D non accetta l’analogia, pensa che l’argomento di Anselmo fosse un paralogismo (non conclude l’esistenza necessaria di Dio ma che la parola “Dio” indica qualcosa che esiste nell’intelletto e nella realtà). L’idea di Dio è eccezionale

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Quinta Obiezione del circolo vizioso (Arnauld) sul rapporto

tra l’idea di Dio e il criterio della chiarezza e distinzione: D arriva alla prova dell’esistenza di Dio come idea chiara e distinta, ma contemporaneamente l’esistenza di Dio è garanzia delle idee chiare e distinte. D è giunto grazie all’evidenza del Cogito e dell’idea innata di Dio a dimostrare l’esistenza di Dio; una volta dimostrata la sua esistenza Dio viene posto a fondamento di ogni evidenza, compresa quella del cogito che ha condotto fin qui la dimostrazione.

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Quinta Gouhier: seguendo l’ordine di D il circolo scompare. Il

cogito è un criterio soggettivo di verità, indubitabile: infatti l’ipotesi del genio maligno è esterna rispetto al ragionamento. Dio è un criterio oggettivo di verità, e non garantisce il criterio dell’evidenza, ma le leggi di natura

Scribano: il rischio di circolo vizioso è dentro lo stesso progetto di fondazione della scienza perfetta all’interno della finitezza della mente umana, garantire la scienza finita con la conoscenza dell’infinito che si può avere all’interno della finitezza stessa.

Infatti Malebranche e Spinoza torneranno a cercare nel contatto diretto col divino la garanzia della veracità della conoscenza umana

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Sesta meditazione “Dell’esistenza delle cose materiali e della

distinzione reale tra l’anima e il corpo dell’uomo” Ora che ho la certezza della veracità divina mi

fido della percezione sensibile che mi fa conoscere la realtà materiale. La certezza delle cose corporee dipende da Dio, la cui bontà ci impedisce di ingannarci

La natura mi insegna che sono congiunto col mio corpo (non sono come il nocchiero col battello) e che esistono corpi esterni

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Sesta

Le mie sensazioni sono più forti, le distinguo da quelle degli altri. Ma l’interazione mente-corpo rende complicata l’interpretazione.

Serve un atto puramente intellettuale, capace di astrarre dalle impressioni corporee, per cogliere la vera natura dei corpi. Si tratta di studiare lunghezza, larghezza e profondità

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Due modelli: aristotelico (mente e corpo unica sostanza) e platonico (mente e corpo due sostanze distinte). D attinge ad entrambi: il platonico per l’innatismo, però non spiega perché la mente – oltre alle idee innate chiare e distinte – abbia idee confuse di origine sensibile: perciò serve anche l’aristotelico

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Mente-corpo

Il modello che in Aristotele giustificava l’empirismo in D spiega la genesi dell’errore!

D ammetterà le difficoltà alla principessa Elisabetta

Perché Dio ha unito mente e corpo e non ha fatto sì che la mente potesse conoscere in modo chiaro e distinto?

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Mente-corpo Per fini pratici: i sentimenti provocati alla mente dalle

modificazioni del corpo indicano ciò che è utile o dannoso, sono veraci

Eppure le pulsioni e i sentimenti possono spingere verso obiettivi dannosi per il composto anima-corpo (idropisia): questo perché Dio non interviene più dopo la scelta iniziale, e se il corpo è mal disposto, il sentimento che la mente prova provoca danno

Per la prima volta nella teologia razionale un filosofo ammette un caso di male che non è dovuto all’ottica limitata della mente umana, ma è reale.

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Cosa fa problema….

Il dubbio dentro l’iter metafisico Il rifiuto della tradizione scolastica Il razionalismo e il carattere “infinito” della

volontà umana Le verità della fede dimostrate come

maschera di un convincimento scettico

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Fortuna dell’opera

La svolta soggettivistica che le Meditazioni inaugurano arriva a Kant e alla Fenomenologia husserliana

Il principio coscenzialistico è stato criticato dalla psicanalisi

L’originarietà del cogito è stata il bersaglio polemico di Heidegger

Il dualismo mente-corpo ha suscitato un vasto dibattito