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[email protected] www.passvr.it PASS IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA anno 5 numero 19 febbraio 2010

#19 February 2010

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IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

anno 5numero 19

febbraio 2010

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PRODOTTO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

PASSWORLDWOWLe streghe son tornate .........................................................8AMERICANA + SENZA TANTI GIRI DI PAROLEJohn Mackey + Il vaccino flop ..............................................9NON CHIAMATELA RIVOLTALa Grecia critica il potere ...............................................10/11SONO UOMINIUn dramma consumato tra silenzio e ipocrisia ......................12HONDURASLa speranza passa per le mani di Lobo ................................13

PASSATEMPOMELODIOSA NOSTALGIADiario musicale ..................................................................14ROCK ON BABEDark Lunacy ......................................................................14ROCK PASSIONClash ................................................................................15NUOVI SUONISomber Light .....................................................................15ARTEL'anno di Caravaggio ....................................................16/17DIALOGO D' ARTE conMattia Noal: ricerca e libertà ...............................................17UNO SPAZIO BIANCO PIENO DI VITAJohn Fante e Valeria Parrella e la nascita di un figlio ............18NERO REVOLVERAmmazza il tempo .............................................................19

PASSATENEOATENEO NEWSInaugurazione anno accademico + ESSE3 .............................4CRONACHE DELLO SPRITZLa decadenza della menzogna: una protesta!.........................5BE DIFFERENTAltri stili di vita .....................................................................6BESTIARIOI miei amici non sono su facebook + Vecchio ordinamento .....7

SOMMARIO

Registrazione Tribunale di Verona N° 1825 R.S. del 27/02/2009Direttore responsabile: Claudio GalloProprietario: Juliette Ferdinand

Redazione chiusa il: 25 Gennaio 2010 HANNO SCRITTO: Federico Longoni, Francesco Greco, Clara Ramazzotti, Marta Poli, Carolina Pernigo, Federica Rosa, Paolo Perantoni, Sara Ferri, Anna Pini, Michele Cavejari, Damiano Fermo, Matteo Bellamoli, Guendalina Mion, Sara Creta, Katia Bonini. FOTOGRAFIE E ILLUSTRAZIONI (OVE NON INDICATO):Google, Flickr, Gettyimages, iStockphoto, Wikimedia PROGETTO GRAFICO:Giuliano FasoliFOTO DI COPERTINA:"We love you Rodcenko" Foto di Anna De Negri, Editing e Artwork di Eugenio BelgieriSTAMPA: Tipografia CIERRE - Sommacampagna (VR)

Copyright: Le condizioni di utilizzo di testi e immagini, laddove è stato possibile, sono state concordate con gli autori. Tutti i diritti sono riservati, testi, grafiche e fotografie sono coperte da copyright. Ogni copia degli stessi è illecita. Si ricorda che il contenuto del singolo articolo non definisce il pensiero della redazione e dell’editore. Grazie a tutti coloro che hanno collaborato, ma che sono stati dimenticati nei ringraziamenti.

PASSIL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA

EDITORIA

LE

Detesto l'autoreferenzialità. È così banale e scontata, così noiosa.Ma ci sono casi in cui è necessario essere medio-cremente prevedibili, sacrificando il più che giusto ecumenismo comunicativo.Quindi, abuso di questo spazio per ringraziare Chi in rappresentanza di Casapound Verona, ci ha conces-so cotanta attenzione, menzionandoci diverse volte su varie testate giornalistiche della città.Sulla scia di altre questioni, ovvero il rifiuto da parte dell'Ateneo di sostenere un incontro sull'Abruzzo or-ganizzato anche da Casapound, perché politicizzato, siamo stati chiamati in causa e tacciati come stu-denti di parte che vengono finanziati dall'Università, come giornale degli “autonomi” (vedi DNews del 21-01-2010). Certo, avete ragione: siamo un insieme di studenti dotati di cervelli autonomi, idee autonome, eterogenee e trasversali, che non risponde e non fa riferimento ad alcuna linea politica o ideologica. Nes-sun simbolo, nessuna bandiera.Il finanziamento che l'Università ci accorda è il frutto di un preciso e regolare iter burocratico che tante altre associazioni e gruppi studenteschi seguono per essere patrocinati.E la risposta positiva che riceviamo da parte dei nostri lettori, il materiale e le opinioni che in molti ci inviano, il fatto stesso che l’Ateneo continui a soste-nerci, conferma e rafforza la genuinità e la serietà del nostro progetto.A questo punto, assai incuriosita, mi chiedo perché il dito venga puntato, peraltro illecitamente, solo contro Pass e Pagina 13.Ma che possiamo dire? La libertà d'opinione è sacra. Il mondo è bello perché è vario e finché la barca va lasciala andare.

PS: questo mese Arte, Letteratura e Musica a gogò e un Nero un po' rivoluzionato.Buona lettura!

Marta Poli

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PRIMO PIANOIl Mondo ha bisogno del nostro aiuto, ha bisogno di essere salvato, ciascuno di noi deve sentirsi chiamato in causa in prima persona, senza riserve. Non basta una capillare e coscienziosa raccolta differenziata per ridurre le emissioni di anidride carbonica, bisogna innanzitutto impegnarsi sul fronte del consumo. Già, consumare meno: la scelta di promuovere un gesto capace, a lungo termine, di tradursi non solo in un risparmio economico e in un corrispettivo guadagno in salute, ma anche e soprattutto in una minore produzione di rifiuti. Ma come si fa a consu-mare meno in una società come questa, in cui la seduzione commerciale è la matrice attorno alla quale orbitano le nostre vite? Tanto per comin-ciare smettendola di credere ciecamente alla pubblicità ed al consenso dittatoriale della televisione commerciale.Il film ‘Videocracy’ esplica molto bene l'andamento della realtà che ci circonda: quella fatta fondamentalmente di Immagi-ni, di dispositivi tutt'altro che neutri, capaci di produrre stati di realtà a partire dal loro arbitrario e studiato punto di vista, docili supporti per l'immaginario, meccanismi di risemantizzazione dei corpi, promesse alea-torie che sovrintendono alla nostra coscienza dando vita ad una memoria collettiva fondata su finzioni. Il ruolo principale della televi-sione commerciale, infatti, è proprio quello di produrre innovazioni che non richie-dono alcun cambiamento da parte nostra: rivoluzioni reazionarie. Consumiamo quotidianamente una quantità spropositata di immagini in cui quella successi-va cancella irrimediabilmente la precedente, trasformando la vita reale in un flusso incanalato ver-so il grigiore dell'anonimato, la sospensione del ragionamento.Così funziona la tv italiana, così funziona il dibattito politico: succes-sione indifferente di affermazioni e auto-sospensioni (smentite) che annichilisce il senso di responsabilità. Così fun-ziona la pubblicità: seduzione, trasformazione di persone in personaggi scavalcando la vita, edificazione della persuasione sulla mancan-za. Mancanza che verrà colmata dalla promes-sa contenuta nella merce.Poiché non è l'oggetto ad essere venduto, ma la promessa, il desiderio, l'aura edificata attorno a quel qualcosa viene a costituire l'irrealtà che nutre il nostro immaginario e, tramite questo meccanismo subdolo e perverso, tutti i nostri desideri vengono fatti diventare bisogni, vincolante necessità. Tramite questo meccanismo viene generato uno sdoppiamento tra noi e la nostra proiezione gauden-te nel futuro: congiuntura necessariamente programmata dai media, volta cioè a generare una relazione d’invidia tra l’uomo e ciò che diverrà quando avrà supplito alla mancanza di quel dato bene.La pubblicità deriva la sua forza proprio dal fatto che ci permette di vive-re nella nostra proiezione, di angosciarci con una leggera insoddisfazio-ne che lei sola sa di poter calmare (attenzione, non estinguere).La pubblicità ci avvicina ad un'infanzia mai vissuta e idilliaca, ci richiede di pagare ma per qualcosa che non ha prezzo: la nostra felicità, la metafi-sica della realizzazione dei nostri desideri. Ecco dunque il regime plebiscitario di questa terribile arma di persua-sione di massa: essa non tollera critiche o distacchi, esige un assenso,

non richiede opinioni, ma l'adesione ad uno stile di vita. Costruisce un suo tempo, un avvenire ininterrottamente differito capace di privarci dell’istante e del luogo nel quale viviamo, ci promette un futuro felice che però non sarà mai concesso veramente perché frutto acerbo del migrare continuamente altrove dei nostri desideri. La realizzazione della gente viene così perennemente differita, perché essa si mantenga sempre mancante e sempre scontenta. Il divenire è legato solamente al presente, e senza di questo non esiste realizzazione: questo la pubblicità non ce lo dice, anzi... regala tonnellate di immagini lisce, su cui l'occhio deve scorrere senza fatica, inserisce ciascuno in un mondo falso che non richiede sacrifici, in un universo che

regala continue innovazioni e non chiede di cam-biare le abitudini, che non invita a scoprire

chi siamo veramente e cosa vogliamo sul serio dalla nostra esistenza... un universo che relega nell'alienante assenza di responsabilità.Ecco dunque perché non siamo capaci di cambiare, ecco perché tutto ciò che vogliamo cambiare rimane immutato, ecco perché l'unica relazione che siamo

capaci di intrattenere con la nostra vita è di tipo commerciale.

La televisione pone al suo centro il prototipo della mediocrità entro cui l'uomo

medio può inscriversi. Questa è la tv italiana, fondata su una trasparenza fittizia che non ci

ridà mai noi stessi ma solo il simulacro della nostra vita: promesse su promesse e ondate di applausi

(irrinunciabile dimostrazione e costrizione al successo, all'essere per forza ed in ogni caso vincenti), show in cui tanto più si affrontano temi profondi tanto più questi sono banaliz-zati, spettacolarizzati e annacquati in modo tale che a noi non sia richiesto alcuno sforzo di comprensione, alcuna presa di posizione, alcuna adozione di responsabilità. Importan-

te è chi ha successo, chi vince.Eccoci perciò ingabbiati nel pregiudizio che sia possibile cambiare la propria vita partecipando ai quiz televisivi, o andando in televisione o vincendo al lotto... Dopotutto è facile pensarla così: nessuno deve sforzarsi di cambiare le proprie abitudini, tutto è nelle mani della fortuna... del caso... non bisogna per forza

migliorarsi e agire in prima persona.Ma tutto questo deve finire. Per il bene nostro e di chi verrà dopo di noi. Dobbiamo prendere le distanze dalla televisione commerciale e dai suoi falsi idoli, bisogni o ideali. Solamente prendendo coscienza di ciò che vo-gliamo, saremo capaci di capire chi siamo e quindi di intendere appieno le nostre potenzialità: scendere in campo in prima persona per la lotta contro l'inquinamento e la distruzione lenta ma inesorabile del pianeta, non sarà più solo un'utopia! Solo se ci conosciamo veramente possiamo immaginare il nostro futuro… il problema è che molte persone vogliono mantenerci allo stato vegetativo dell’ignoranza, nella passività derivante dalla falsa convinzio-ne che ‘soli non possiamo cambiare niente’, nell’accecante aura sacrale con cui i Media annullano la neutralità dei nostri sguardi di fronte alle loro proposte… nel nuovo Medioevo dell’umanità. Queste righe hanno preso forma grazie anche al corso di Etica della Comunicazione e quindi al gran lavoro svolto in classe dal professore.

IL NUOVO MEDIOEVO DELL'UMANITÁMICHELE CAVEjARI

illustrazione di Giovanni Panunzio

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INAUGURAZIONE DELL' ANNO ACCADEMICO 2009-2010Basta con le autocelebrazioni: servono analisi, consapevolezza e nuovi obbiettivi.

ESSE 3Il nuovo sistema informatico per i servizi agli studenti

ateneonewsateneonewsA cura di: MARTA POLI

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Lontano dai tradizionali elenchi di note po-sitive, meriti, eccellenze raggiunte e dalle solite declamazioni al prestigio, il Magnifi-co Rettore Prof. Alessandro Mazzucco ha seguito una strada diversa nel discorso inaugurale di quest'anno, “in sintonia con il processo di rinnovamento cui l’Università italiana si sta aprendo in modo responsa-bile e consapevole, un rinnovamento che comporta una totale apertura delle mura fortificate di un'Università Extraterritoriale nei confronti della società civile”.Ecco quindi la necessità, se non il dovere, di dare una risposta forte a questa società civile, con una puntuale analisi della crisi che ha investito anche il mondo accade-mico, compresa le Legge 126/2008, “che qualora attuata, chiuderà definitivamente la questione universitaria in Italia, nel senso che nessuna Università a quelle condizioni potrà salvarsi dal dissesto economico.”Tre sono stati i punti affrontati: individua-zione delle falle all'interno del sistema, obbiettivi da raggiungere e interventi richiesti.“L'alternativa, se non si segue questa stra-

da, è quella di non avere più una classe dirigente italiana ma di doverla acquistare all’estero, di non avere più, come nazione, una propria capacità di innovazione, di pro-duzione intellettuale.” Da qui l' urgenza di sostituire alle logiche del potere il valore del merito, di riformare la governance dell'Università, ancora oggi penalizzata dai meccanismi spartitori, di porre fine alla duplicazione delle compe-tenze, di monitorare l' accesso alla docen-za, verificando poi merito e produttività ed infine di affrontare globalmente il tema critico del diritto allo studio.

Per quanto riguarda invece l' aspetto gestionale e amministrativo, sperando naturalmente in un contestuale rifinan-ziamento del sistema, la via della razio-nalizzazione è già stata intrapresa anche dal nostro Ateneo, ad esempio tramite la ristrutturazione della composizione dei dipartimenti, la ricostruzione dell'offerta formativa, la contrazione degli organi-ci, una riorganizzazione dell'impiego di personale tecnico-amministrativo, senza però sacrificare gli stanziamenti di ricerca

(peraltro incrementati), avviando un processo di valutazione sistematica della ricerca stessa.

La relazione integrale del Magnifico Rettore è visualizzabile cliccando sul link presente sulla pagina iniziale del sito dell'Università.

A noi studenti rimangono ancora tante do-mande, dubbi e preoccupazioni, ma forse rimane anche lo stimolo per una nuova riflessione: opporsi al nuovo non implica una giustificazione aprioristica dell'esistente, senza voler riconoscere ciò che non va, stigmatizzando senza appello le nuove proposte di cambiamento, che non potranno essere a costo zero.Smettiamola di nasconderci dietro a posi-zioni e discorsi talvolta a rischio di eccessi-va ideologizzazione e guardiamo in faccia la realtà. L'Università Italiana sta soffren-do. Il motivo è molto semplice: mancano i soldi. Ma tante cose non funzionavano nemmeno prima dei famosi DDL. Ed è da qui che si deve ripartire.

formatico per i servizi agli studenti, Esse3

La password personale invece è rimasta invariata.

Per verificare il nuovo sistema, dalla Home dell'Ateneo, basta cliccare sul link Nuovi servizi per Studenti. Questa pagina è il punto di partenza per acce-dere alla propria area riservata, nella quale potranno essere visualizzate numerose informazioni relative alla propria carriera: situazione iscrizioni, servizi di segreteria studenti (imma-tricolazioni, pagamenti, certificati, libretto on line) e carriera (piani di stu-dio, analisi carriera, scelta percorso, domande di passaggio, trasferimento, laurea)

Per ulteriori informazioni inviare una e-mail a [email protected]

Il progetto ESSE3, curato dalla Dire-zione Informatica e dalla Direzione Studenti di Ateneo, nasce per ottimiz-zare la gestione on line della carriera di noi studenti.Dopo una parziale e breve sospensio-ne di alcuni servizi, il sistema risulta attivo dal 25 Gennaio 2010.

La novità principale risiede nelle modifiche apportate alle credenziali di accesso ai servizi.La matricola, utilizzata fino ad ora come nome utente, è stata sostituita da un identificativo univoco e vali-do per l'intera durata della carriera universitaria, anche qualora venga interrotta e ripresa successivamente.

Riportiamo qui a lato la procedura di modifica dei dati, consultabile anche sul portale dell' Università nell' Area SERVIZI STUDENTI, alla voce Avvio del nuovo sistema in-

studenti con matricola del tipo "vrnnnnnn" (cioè con matricola che inizia con VR seguita da 6 cifre)

il nome utente verrà sostituito con id (minuscolo) lasciando inalterata la parte numerica :

vr123456 > id123456

studenti con matricola NON del tipo "vrnnnnnn" (come quelli appartenenti al vecchi corsi di laurea llnnnnnn,ltnnnnnn,pgnnnnnn)

il nome utente verrà sostituito anteponendo ai primi due caratteri letterari la dicitura id (minuscolo):

lt123456 > idlt123456

per gli studenti afferenti ai corsi post-laurea

il transito al sistema ESSE3 avverrà entro fine 2010

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Scena: una deliziosa caffetteria, la cui terrazza s'affaccia sull'Adige che come un nastro d'un rosso ramato attraversa la città. M. sorbi-sce con affettazione un caffè viennese, mentre Raoul Duke sorseggia della birra. È una di quelle domeniche soleggiate che raramente l'inverno ci regala. Mezzogiorno è passato da un pezzo e il sole s'avvia già a doppiare l'orizzonte. M.: “Una deliziosa giornata, non pensi?”

RD: “Come poche... di questi tempi”.

M.: “Verrebbe da distendersi in un prato a fumare, anziché spendere del tempo così in un bar... non mi fraintendere, lo spettacolo è delizioso, ma... sembra artificiale, quanto un quadro...”.

RD (accendendo una sigaretta): “Preferisco stare qui. La natura è poche volte accogliente: a sdraiarmi in un prato mi sporcherei la giacca e poi pensa a tutti quegli insetti...”.

M. (divertito): “Rido perché questa conversazione mi ricorda una lettura che feci qualche tempo fa... La Decadenza della Menzogna di Oscar Wilde. C'è un passo interessante che recita: ‘Temo che stiamo cominciando a essere iperistruiti...’”

RD: “‘... perlomeno, tutti coloro che sono incapaci di imparare si sono messi a insegnare!’”

M. (ironico): “Un passo curioso; come è curioso che, concettualmente, si ricolleghi a una storia che non t'ho ancora raccontato. Il pro-tagonista è già entrato nelle nostre cronache, ma sembra che non ne voglia uscire. Il luogo dove è accaduto l'episodio è una discoteca tristemente nota: l'Alterego. Beh, vedi, il nostro si era recato lì col suo solito gruppo – quello che io amo chiamare “Il Club degli Edonisti Stanchi” – e complice qualche drink di troppo, il signor professore si è lasciato andare a degli sproloqui; anzi, a un certo punto, veden-dosi circondato da alcuni studenti, ha intimato loro di mandarlo a ‘Fanculo!’. ‘Dai, adesso avete la possibilità di mandare a fanculo un professore!’ ha berciato più volte”.

RD (ridendo): “E quelli?”

M.: “Non se lo sono fatti dire due volte. Hanno profuso un lungo e agognato: ‘Vaffanculo prof!’. Io c'ero: è stato stupendo!”.

RD: “Ho letto anch'io La Decadenza della Menzogna... una lettura che obbligherei chiunque a fare; non capisco però cos’abbia a che fare con l'episodio in questione...”

M.: “Beh, vedi, penso non ci siano più i bugiardi di una volta. La moderna religione dell'utile ha spazzato via anche quelli. Voglio dire, il capolavoro assoluto della letteratura italiana dovrebbero essere le Storie Della Mia Vita del Casanova, piuttosto che I Promessi Sposi. Per un semplice motivo: Casanova non fa mistero della sua incoerenza; Manzoni finge una coerenza che non gli pertiene. Così i nostri cari professori: dovrebbero imparare l'arte della menzogna. Sono mediocri nella loro pretesa di essere presi per quello che non sono. L'episodio in questione ne è l'applicazione pratica: quei ragazzi non stavano insultando che il fantasma di un professore. La realtà ci viene presentata priva di ogni velatura. Non c'è più gusto nell'aperto svelamento dei ruoli, nessun mistero più in coloro che ci dovrebbe-ro istruire!”

RD: “Capisco cosa intendi. È un male generalizzato. Si dovrebbe mentire più spesso agli studenti, per lasciar loro il gusto di crearsi la propria verità! Tutti che vogliono essere coerenti, quando la coerenza è la maggiore età della noia! L'incoerenza genera idee: se invece di puntare sempre a ciò che è utile (e quindi coerente) – allo schifoso dominio dei numeri, della burocrazia – puntassimo a ciò che è ide-ale (incoerente), non avremmo professori che instillano negli studenti i primi semi dell'apatia culturale: per il semplice motivo che non sanno più mentire, raccontare la bella favola che la letteratura conta più della Borsa che crolla; che la qualità della vita deriva dall'es-sere e non dall'avere. Invece no, abbiamo prosaici personaggi che si fanno mandare a “fanculo!” in una discoteca, che si fanno profeti di una cultura supina alle richieste del mercato, che hanno reso l'università una plaga abitata da noiosi personaggi interessati solo al profitto...”.

M. : “Hai ragione. Stiamo tutti vendendo il diritto all'individualità per un piatto di soldi”.

Cronache dello SpritzFRANCESCO GRECO [email protected]

� LA DEcADENzA DELLA MENzOgNA: UNA pROTEsTA! �di Raoul Duke

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Be different, altri stili di vita

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DAMIANO FERMO

“Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni”. Mahatma Gandhi. Me lo immagino ripetersi questa frase. Una sfida dopo l'altra. Con il dovuto rispetto per chi ha liberato un popolo dall'oppressione, anche noi non ci accontentiamo di bei pensieri perfetti nella nostra mente, ma vogliamo provare, sfidare, inseguire un progetto differente. Si sa. L’economia si concentra sempre di più in poche mani. I produttori sono soffocati dai prezzi imposti dai supermer-cati. Noi siamo costretti a consumare ciò che campagne pubblicitarie pesantissime hanno deciso. La qualità è lonta-na e i prezzi salgono. E la Terra soffre. Che fare? Teorizzare il concetto del “piccolo è bello”, condivi-dendo impressioni su un blog o so-cial network senza sporcar-si le mani? O invece tentare di rimettere assieme le persone fisicamente, attivare reti che riuni-scano negli acquisti e nella ricerca di servi-zi altrimenti perduti perché fagocitati dalla megadistri-buzione organiz-zata. I gruppi di acquisto solidale hanno cercato questa via, difficile perché fatta di impe-gno contro la corrente conformista imponente. E ce l’hanno fatta. Han-no piantato il germe della partecipazione, della condivi-sione, del bisogno di comunicare e congiungere le forze per liberarsi dall’obbligo consumistico e immaginare un mercato alter-nativo dove i beni acquistati diano di più a chi li produce e a chi li consuma, togliendo speculazione al commercio, riportando un equilibrio al “sistema”.

I “gas” ce l’hanno fatta. A dare l’esempio. Oggi però questo esempio deve fare un ulteriore salto, altrimenti si rischia di tornare al pensiero senza azione. È il momento di espandere e concretizzare una nuova cultura, anche a chi non viene da un ambiente privilegiato, cultural-mente pronto a mettere in discussione l’esistente. È ora di riunire questi gruppi in cooperative di consumo, che unisca-no cittadini deboli e produttori schiacciati, ridando libertà ad entrambi, permettendo di scegliere il nostro stile di vita e quindi di consumo. Se cominciano a darvi fastidio le arance di Rosarno, se volete fare un'azione civica responsabile senza immagi-nare rivolte di massa, usate il vostro potere d'acquisto in modo intelligente. Se ci troviamo da soli in mezzo ad un supermercato non decideremo un bel nulla, è evidente. Ma

se, come sta succedendo, tanti gruppi si uniscono in una rete, assicurando un mercato sicuro a produtto-ri attenti alla qualità e l'ambiente, si potrà compete-re con i colossi del marketing.Vogliamo mettere in contatto piccoli venditori locali

e consumatori in maniera più stabile, negozi, luo-

ghi di baratto e riuso, vecchi e nuovi servizi

di riparazione e ma-nutenzione... Se

formiamo un fronte critico

compatto possiamo far dera-gliare il

treno su binari saldi.

Tutto questo per tornare a

decidere e a non farci consumare la vita da chi avrebbe già organizzato tutto, togliendoci ogni

capacità di fare da soli.Vedete un po' voi.

Bedifferent Veronawww.coopilponte.net

www.joybox.it

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MATTEO BELLAMOLI

MARTA POLI

BESTIARIOrubrica sul_ nostro_ ateneo _osservazioni_ lamentele_ aneddoti...

Di innovazioni e mode ne abbiamo passate tante. Generazione di fine anni '80, abbia-mo vissuto sulla nostra pelle il cambiamen-to più grande: i computer. Chi non ricorda il sordo rumore dei primi 386 che sembrava-no macinare il grano mentre elaboravano i nostri complicatissimi ragionamenti in Dos. Poi, simultaneamente al momento in cui avevamo imparato ad usarli, era già troppo tardi, impazzavano i primi sistemi operativi, sempre più diretti, sempre più alla portata di tutti. Per chi studia Giornali-smo, come me (e lo studia perché ci crede, non perché economia è più difficile) il pc è il migliore amico, è sempre acceso, ci si legge il mondo attraverso. È compagno di lavoro, non di gioco.Ma c'è qualcosa che mi inquieta da un anno a questa parte, qualcosa che è arrivato di soppiatto, sta prosciugando le risorse (e non solo quelle del computer) delle gene-razioni più giovani, e sta smembrando le relazioni sociali anche di gran parte di noi universitari. Sto parlando di Facebook. Basta entrare in una delle nostre aule infor-matiche per rendersene conto. Lo studente

che entra per fare ricerca non trova posto, perché l'80% degli schermi davanti a lui sono sintonizzati perennemente su profili, amici, foto, video, commenti, giochi e chat.Ora, per un attimo, per le ultime righe di questo pezzo, spegnete il computer e pensate. Fra gli adolescenti il telefonino è una moda. Lo è stato per me, per scrivere alla bionda della classe accanto, lo è stato per tutti. Oggi la moda è Facebook. Troppi giovanissimi si chiudono in camera a perde-re i pomeriggi insieme ai loro 982 “amici”. Non si danno appuntamento fuori dal parco

per stare seduti sui motorini perché c'è Facebook. Il problema sociale è reale, non sto inventando. Vittorino Andreoli, celebre psichiatra veronese, ha lanciato l'allarme già da tempo. Dove vanno a finire i rapporti veri, le amicizie vere, i contatti con le perso-ne? Molti ragazzini alla domanda “Quanti amici hai?” rispondono con il numero delle amicizie sul social network. È triste. Molto triste.Saliamo qualche scalino: noi universitari. Quanti di noi perdono le ore sulle pagine di Faccialibro? Quanti sanno tutto di tutti perché, lo ammetto, è tremendamente bello farsi gli affari degli altri gratuitamente e a distanza di sicurezza? L'esempio delle aule informatiche è lampante. Viene da chiedersi: ma in Università non si viene per studiare? Forse, tra un libro e l'altro, sareb-be il caso di fare una passeggiata sotto il sole anziché rintronarsi davanti alle pagine bianche e blu. Forse però, evidentemente, sono io che sono rintronato.Non faccio denuncia, non faccio catastro-fismo e soprattutto non voglio offendere nessuno, però rifletteteci.

I MIEI AMIcI NON sONO sU FAcEBOOk

IL VEccHIO ORDINAMENTO E L' INcREDIBILE pEsANTEzzA DEL pIANO sTUDI.

Perché? Perché deve essere sempre tutto così difficile e incom-prensibile? Perché, quando uno se ne torna dalla propria Segre-teria di Facoltà, vorrebbe sfracellarsi la testa contro il muro e imprecare contro chiunque passi di lì in quel momento?Perché chi dovrebbe darti risposte sembra avere le idee più con-fuse delle tue?Perché i Professori se la prendono con te in seduta d’esame, tro-vandosi di fronte trecentomila varianti di moduli e vattelappesca?Scusate se vorremmo laurearci; scusate se ci saremmo iscritti prima del 2006-2007.Non sapevamo che per illuminare la via della razionalizzazione del Nuovo Ordinamento, noi malcapitati del Vecchio saremmo sprofondati nel baratro del paranormale: corsi che si volatilizza-no o che vengono tritati, ritagliati, incisi, sezionati e parcellizzati come degli origami, crediti che si trasformano in numeri per la tombola, si smembrano (che non è una parolaccia) o si moltiplica-

no, piani studio che diventano opere futuriste di bricolage dalle molteplici combinazioni. Tutto molto creativo. Ma io non volevo fare l'Accademia di Belle Arti!E anche quando uno si illude di averci capi-to qualcosa e di aver trovato una pseudo-soluzione, prova ad iscriversi ad un esame (che si è fatto inventare da un guru della Patagonia) e si ricorda di essere un mor-tale. Un mortale perdente. Sì, perché qui servono delle divinità per venirne fuori. Ma non una di quelle da basso Olimpo, qui ser-ve Zeus! Zeus invoco te! Aiutami tu! Dimmi a che esame devo iscrivermi!Ormai è andata così: rassegniamoci. C'è sempre un po' di Sisifo in ognuno di noi.

?

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GUENDALINA MION

Il WoW – ovvero “Women on Waves” - è un’associazione no-profit che si batte per il dirit-to d’interruzione di gravidanza

tramite la somministrazione di pillole abortive. L’attività del WoW si realiz-za nel prendere in affitto una nave, attrezzarla a clinica mobile, gettare l’ancora al largo delle coste del paese prescelto, dove cioè la procedura non è ancora legalizzata, e far salire a bordo coloro che vogliono abortire. Tuttora la possibilità di evitare il dolore derivan-te dall’operazione è un diritto che non viene garantito ovunque: la sofferen-za fisica viene infatti sfruttata come forma di deterrente, perché il controllo sulle nascite spaventa le istituzioni fin dalla notte dei tempi, quando le donne libere venivano condannate come “streghe”. Ufficialmente, l’ultima “strega” d’Euro-pa è la svizzera Anna Göldi, decapitata nel 1782, ma alcuni considerano tale anche la polacca Barbara Zdunk, man-data al rogo nel 1811 con l’accusa di aver scatenato un gigantesco incendio e di avere oscuri e maligni poteri. Le streghe venivano spesso accusate di conoscere elisir per evitare gravidan-ze, di fornire in segreto erbe contrac-cettive e di preparare pozioni magiche usate per abortire: per generazioni hanno rappresentato l’incarnazio-ne della paura di donne in grado di scegliere quando e come dare la vita. Il perfezionamento della formula della pillola contraccettiva, da parte del messicano Luis Miramontes, è stata rivoluzionaria in questo senso: ha dato finalmente alle donne piena autorità sul proprio corpo. La pillola trasforma-va dunque ognuna in una potenziale strega. Recentemente è stata inventata an-che quella abortiva: si chiama Ru486 e rappresenta l’ultima frontiera nello

scontro con le istituzioni circa il diritto di scegliere come gestire una gravidanza. Questa libertà viene dife-sa dal medico Rebecca Gomperts che ha fondato ad Amsterdam nel 1999 l’associazione “Women on Waves”, i cui volontari somministrano la Ru486 alle donne che chiedono aiuto. Per rendersi rintracciabili mettono a dispo-sizione un numero verde. Finora sono state organizzate quattro campagne: in Irlanda, in Polonia, in Portogallo e a Malta. Le situazioni difficili non sono mancate: al largo del Portogallo, ad esempio, sono intervenute le navi dell’esercito per impedire l’avvicina-mento degli attivisti; questo episodio ha avuto però un riscontro positivo, perché ha alimentato il dibattito interno che ha portato alla legaliz-zazione dell’aborto entro la decima settimana. L’obiettivo principale di “Women on Waves” non è, ovviamente, quello di far abortire quante più donne possibili, ma di rendere visibile il problema: ci sono persone, infatti, che considerano la Ru486 “diseducativa”, in quanto consente di evitare il dolore fisico, senza rischi e senza ricovero ospeda-liero. È chiaro che costoro sottovalu-tano il trauma psicologico che l’aborto comporta, sempre e comunque.

Nessuna donna vuole attraversare squallidi corridoi d’ospedale, essere trattata come un’assassina, entrare in una sala operatoria, sapere che una cannula di plastica verrà introdotta nel collo dell’utero per aspirare il feto ed eventuali residui, e subire poi tutte le conseguenze tipiche di ogni opera-zione chirurgica. Ogni scelta di questo genere porta con sé una traccia, senso di colpa, di angoscia e di depressione che non cesserà mai. Nessuna di noi vorrebbe passare un incubo simile. Ma a volte è inevitabile. Evitabili, invece, sono numerosi rischi: secondo il WoW, il tasso di pericolo di un aborto praticato correttamente è solo dello 0,6%, eppure nel mondo circa 70.000 donne muoiono ogni anno in conseguenza delle operazioni subite, perché fatte illegalmente e in condizioni inadeguate. È dunque lecito domandarsi come mai i progressi scientifici non possano essere ef-fettivamente sfruttati. L’unica spie-gazione possibile è che il corpo delle donne venga tuttora considerato uno strumento su cui è giusto imporre il controllo. Alcuni attribuiscono la colpa di questa situazione esclusivamente a remore di pura matrice religiosa, rafforzate dalla posizione che la Chie-sa assume in proposito, ma ciò non è corretto: nemmeno il potere tem-porale sembra essere così ansioso di battersi per questa causa. Nell’attesa che le donne decidano finalmente di fare pressione sulla classe politica per ottenere dei diritti che spettano loro in quanto esseri umani, si può sola-mente sostenere “Women on Waves” e diffondere le questioni sollevate da questa organizzazione, perché le donne non possono essere ignorate, ma soprattutto non devono ignorarsi tra loro. In fondo siamo tutte figlie di Barbara Zdunk.

le streghe sono tornate!WoW

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di CLARA RAMAZZOTTI

John Mackey, croce e delizia dei vegetariani a stelle e strisce...

Il [New Yorker] ha pubblicato recentemente un articolo su una fi-gura piuttosto emblematica degli ultimi trentanni in America: John Mackey, uno dei guru più in vista del do-gooder establishment. Per i vegetariani d'America, Mackey è la delizia e la croce del movimen-to: è lui infatti il presidente della cooperativa Whole Foods Market, una catena di negozi per vegetariani, nata nella città di Austin (Texas) e da lì proliferata in parte della Nazione. Croce e delizia, si diceva, perché ultimamente sono emerse circostanze a dir poco “ombratili” sulla vera missione di Mr Mackey: gli Stati Uniti si inter-rogano, buon vegetariano o affarista senza scrupoli? La storia di Mackey e di Whole Foods prese le sue prime mosse da un libro: “The Engine 2 Diet” scritto da Rip Esselstyn, un pompiere di Austin, ex-campione di triathlon. Del “trattato” di Esselstyn si è detto che abbia rivoluzionato il “movimento vegetariano” america-no. In breve, Esselstyn sostiene che ogni uomo debba farsi simile ai conigli e si dovrebbe cibare esclusivamente di vegetali. Mackey era da tempo un vegetariano e il libro lo aiutò nella rinuncia di oli vegetali, zucchero e tutto ciò che un “vegerianesimo liberale” ancora consentiva. Il passo successivo fu imporre il suo Verbo

agli altri vegetariani e Whole Foods ne è l'incarnazione: Mackey ama pensare la sua azienda come un bambino di cui lui è il padre; e tratta tutti i suoi dipendenti come figli, a cui si riferisce non con la parola “employees” (dipendente), ma “team members”. Si badi bene che anche McDonalds applica la stessa nomenclatura ai suoi lavoratori. Spiegata la particolare visione alimentare e di vita di John Mackey, cos'è Whole Foods? Il più grande distributore di prodotti organici in tutto il Nord America che recentemente ha trovato la sua testa di ponte per l'Europa nella Gran Bretagna. C'è chi però dice che dietro la facciata di affarista solidale, si nasconda un capitalista senza scrupoli. Voci confermate da un episodio recente: la causa inficiatagli dalla seconda amministrazione Bush per aver tentato di comprare, con metodi non poco ortodossi, la Wild Oats, vale a dire la prima azienda nazionale nella produzione di cereali; “corner the market” è l'espressione che negli States significa creare un mono-polio economico, che è poi l'accusa che Mackey si è visto rivolgere dall'antitrust americano. Ultimamente, si vocifera che il capitalista vegetariano voglia sbar-care in alcuni Paesi europei, oltre alla Gran Bretagna. Quindi, se un giorno uscendo di casa, girerete l'angolo e vi troverete di fronte a un negozio Whole Foods, non dite che non vi ho avvertito. Sarà comunque un pezzo d'America.

FRANCESCO GRECO [email protected] sUgLI U.s.A. A cURA DI

Sebbene in certe epopee horror un solo virus è causa di attacchi di panico, zombie mangiauomini e animali mutanti, il virus H1N1 si è rivelato tutt’altro. Non particolarmente infettivo, con un tasso di mortalità “nella norma” e pericoloso quasi esclusivamente per donne incinte, soggetti con problemi d’obesità et similia. Insomma, verso quelle persone già sintomatiche di qualcosa da tenere a bada. “Che quello dei vaccini per prevenire o ridurre l’effetto del Virus A sia un pasticcio, è l’unica cosa certa della faccenda” afferma Oliviero Beha, blogger-giornalista di Tiscali.it, e a seguirlo su questa rotta sono anche i fatti. Che fine ha fatto la virulentissima e tremebonda influenza suina? Evitare co-techini e salumi sarebbe stato comunque inefficace e anche tristemente lenitivo per la buona tavola poiché l’allarme suscitato per l’H1N1 è stato piuttosto eccessivo. Con una mortalità dello 0, 0033 % (sic!) e una caterva di soldi investiti nell’azienda Novalis, detentrice della distribuzione del vaccino. C’è qualcuno che si è chiesto se non sia stata una fregatura perchè risulta strano che oggi, a pochi mesi dall’inizio di questa faccenda, la Francia (e non è la sola) cerchi di rivendere buona parte dei vaccini inutilizzati. E se torna la suina? Beh, e se vi viene un raffreddore, e se scivolate su una buccia di banana, e se scapicollate sui tacchi alti...L’influenza parebbe più un affare di investimento e, ora, dirottamento al Terzo Mondo (che li acquista con cosa?) dove si sono lanciati miliardi senza un’effettiva utilità pratica. Ma in questo, Italia cara, sei stata più brillante: pagati solo 184 milioni di euro e rotti. Diciamo che non ci è andata male come, invece, alla già citata Francia che aveva forse paura dell’Apocalisse viste le sue 50 milioni di dosi circa.

Il vaccino flop

senza tanti giri di parole

H1N1

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Nella Grecia moderna, che non è più terra di filosofi e democrazia come la si ricorda nei pensieri di Aristotele, le bombe molotov e le manifestazioni violente sono il segno che

qualcosa non funziona. Non chiamatela rivoluzione. È la Grecia di oggi, fervente e critica, diventata più aggressi-va contro il sistema politico che ha intorno, sospettosa anche verso l'Europa e i meccanismi delle multinaziona-li, stanca di una classe dirigente corrotta e di un potere statale incapace di far fronte alla piaga della disoccupa-zione e alla crisi economica. È un movimento anarchico ma anche sociale quello che si riversa nelle strade della capitale e nelle città greche più grandi, da Atene a Thes-saloniki, seguite da Hiraklion e Creta. Un movimento che nasce negli spazi pubblici come università e edifici occupati. I promotori sono gli anarchici greci, un popolo che si sente represso e non rappresentato da nessuna fazione politica e che di politica non vuole nemmeno sentire parlare. Studenti, giovani disoccupati, immigra-ti o cittadini scontenti: la bandiera per loro non esiste. È difficile fare un’analisi delle cause e degli effetti che interessano queste proteste, ma sicuramente il luogo

da dove nasce tutto ciò si chiama katalipsi, che in greco significa occupazione.È un fenomeno molto forte oggi, ormai diventato uno stile di vita. Anarchici che attaccano banche, grandi ca-tene commerciali, stazioni di polizia e telecamere, tutti segni del potere e di uno stato che ha investito molto in un processo di crescita economica che però non ha coinvolto tutti i ceti della popolazione. Quella anarchica

SARA CRETA

NON cHIAMATELA RIVOLTALa Grecia critica il potere

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in Grecia è una tradizione che si è rafforzata negli ultimi vent’anni e che è scesa nelle strade così violentemente dopo l'uccisione del quindicenne Alexandros Grigoro-poulos ad Exarchia ad Atene lo scorso dicembre (oggi il quartiere è considerato il cuore del movimento, scontri con la polizia che lo circoncide sono frequenti). Il feno-meno dell'occupazione in Grecia, invece, è più recente e a differenza degli altri stati europei ha il supporto politi-co; senza questo infatti le case e gli edifici occupati non

sarebbero un feno-meno così diffuso e non potrebbero sopravvivere. Lo Stato lo sa, tollera gli anarchici, anche se ultimamente per loro la situazione è diventata più dif-ficile. Ci sono stati svariati arresti. Ma

intanto, negli edifici statali inutilizzati come ospedali o hotel che vengono occupati, si continuano ad organizzare attività, dibattiti, corsi di greco, proiezioni cinematografiche e campagne di informazione.Mentre mi trovavo a Thessaloniki ho incontrato Kostas, fondatore di Radio Rivolta, che ha sede nelle carrozza di un treno occupato all'interno del campus universita-rio. Lui, 40 anni, ha vent’anni di esperienza anarchica e molotov alle spalle. Ha il divieto di uscire dalla Grecia per motivi politici. Alla domanda su cosa fosse per lui la violenza la sua risposta è stata: “Violenza è quando una banca prende la tua casa perché non puoi pagarla e devi iniziare a vivere in strada, questa per me è violenza; una guerra in Iraq è molto più violenta di tutto questo; la no-stra rivoluzione non è solo contro la polizia” – aggiunge - “ma contro tutto ciò che rende la nostra vita difficile. Si considera globale questa rivoluzione anarchica, spesso

si organizzano feste e dibattiti, ci si diverte, ma a volte si scende in strada e si lotta per la nostra libertà. Una vita vale di più di tutto il resto, è per questo che Atene è bruciata l'anno scorso”. Sono parole forti e chiare le sue.Il movimento anarchico è violento, prende di mira gli Starbucks, simbolo americano, fa esplodere bancomat, l'economia, scende nelle strade, nelle piazze e poi si rifu-gia nelle università, simbolo del sapere. È anche qui che nasce e si diffonde il loro potere, nei campus universitari greci infatti, esiste l'asylum – la polizia non ha il permes-so ed il diritto di entrare dal 1982, anche se durante le ultime tensioni ha violato questa regola irrompendo nel politecnico, dove spesso si organizzano feste autogesti-te –. Ci sono state azioni di repressione o di arresto. Gli studenti hanno poi reagito occupando l'edificio centrale dell'università di Thessaloniki. Nell'ateneo di Thessa-loniki, che conta novantamila studenti, ci sono sette dipartimenti occupati, da quello di arte a quello di filoso-fia. Il governo greco precedente era caduto anche grazie al dissenso popo-lare, quello nuovo, socialdemocratico, non sostiene il clima di violenza diffuso in tutta la Grecia, ma deve ancora dare segni precisi di cambiamento, mi sottolinea un amico attivista di Atene. “Serve solidarietà globale più che ri-voluzione”, aggiunge Kostas, “il nostro potere è forte ma dobbiamo essere uniti contro ciò che non tolleriamo”. “Deve essere una lotta contro ciò che non va e che ci opprime, contro lo stato ma anche l'economia malata di oggi”, queste sono le sue ultime parole. Non ho più visto Kostas, non so se sia stato arrestato o se sia riuscito a scappare. Radio Rivolta intanto continua a fare podcast dal campus universitario, dove gli studenti sono riuniti in assemblee nei vari dipartimenti occupati e anche negli scorsi giorni sono scesi ripetutamente in strada.

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“Io sono persona, no animale” afferma un ragazzo di colore, ferito negli scontri tra immigrati e popolazio-ne di Rosarno. Già, perché a Rosarno nei giorni scorsi si è consumata una vera e propria guerra tra poveri, come l’hanno definita in molti, una guerra tra vittime di un sistema perverso, il cui vero grande assente è lo Stato.Questa guerra, però, non comporta vincitori, ma solo vinti: gli immigrati, costretti ad abbandonare il paese e a ripiegare su un futuro ancora più incerto e preca-rio, e la cittadinanza locale che, in quest’occasione, ha mostrato il suo volto peggiore.Ma la rivolta non è che il frutto di una situazione trop-po a lungo tollerata: tutti sapevano, nessuno parlava.Ora è fin troppo facile lasciarsi andare ai tanti slogan preconfezionati, al grido di “immigrati tutti a casa loro” e “tolleranza zero all’immigrazione e al lavoro nero”.Forse vale la pena, invece, soffermarsi su ciò che sta dietro agli scontri di Rosarno, esaminando la situazio-ne dei lavoratori stagionali del Meridione: parole come illegalità diffusa, sfruttamento, lavoro nero, qui sono all’ordine del giorno.E loro, gli immigrati, sono disposti ad accettare condi-zioni estreme pur di vivere; vittime consapevoli di un sistema che prima li sfrutta e li tollera, poi li criminaliz-za.C’è un reportage di Medici Senza Frontiere, risalen-te al 2008, dal titolo emblematico: “Una stagione all’inferno”; qui sono documentate le condizioni che ogni anno migliaia di lavoratori vivono nelle campagne del Sud Italia, quando vengono impiegati in agricoltura come stagionali: è una vera e propria crisi umanita-ria.Tutto questo sotto gli occhi indifferenti delle istituzioni locali e nazionali: stipendi da fame, reclutamento in nero, tutela della persona pressoché inesistente, con-dizioni igienico – sanitarie al limite, sono aspetti ben noti ma tollerati.Una tolleranza di comodo: fino a che è possibile, da parte di imprenditori, agricoltori, mafie, caporali, ridur-re in schiavitù queste persone, necessarie al sosten-tamento delle economie locali, la situazione ci sta bene; ma quando gli schiavi si ribellano e il contesto si

fa esplosivo, allora, all’improvviso, essi non sono più indispensabili, succede che la ribellione è sfruttata per dare la caccia all’immigrato, piuttosto che combattere le varie forme di illegalità. Così, chi fino a ieri contribuiva con il lavoro delle pro-prie braccia a sostenere il sistema economico del nostro Paese, si trova oggi, esaurita la sua utilità, ad essere respinto, ricacciato. E dietro la parola respin-gimenti vi è sempre una grande tragedia umanitaria. Recentemente Fabrizio Gatti, inviato de l’Espresso, ha raccontato, tramite un video – documento scioccante, la fine di alcuni immigrati, morti al confine tra Libia e Niger, durante il loro rimpatrio da Tripoli.Tutta questa indifferenza non fa onore ad uno stato di diritto e un Paese che si definisce civile.Parole come solidarietà e integrazione vanno af-fiancate a rispetto della legalità e tolleranza zero con-tro ogni forma di sfruttamento, perché occorre sempre promuovere l’uomo ad essere più uomo.Solo così si potrà evitare il ripetersi di una nuova Ro-sarno.

Un dramma consumato tra silenzi e ipocrisia.

Sara Ferri

SONO UOMINI

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Il 2009 rimarrà per sempre nell’im-maginario collettivo dell’honduregno medio, come l’anno del golpe. Era il 28 giugno quando la Corte Suprema

dell’Honduras depose il presidente Zelaya che chiedeva, attraverso un referendum, la creazione di un’assemblea costituente per riscrivere la costitu-zione del secondo paese più povero del continente americano. Josè Manuel Zelaya, leader del partito liberale, vinte le elezioni politiche nel 2005 contro il rivale nazionalista Porfirio Pepe Lobo, avviò da subito politiche di decentramento in favore delle comunità locali. La proposta di Zelaya, che gli avrebbe concesso un’estensione del mandato presidenziale sulla scia di quanto fatto da Chavez nel Venezuela, trova l’opposi-zione della Corte Suprema che sancisce l’inammissibilità del referendum in quanto questo strumento democratico è illegale in Honduras. Il 28 giugno la Corte Supre-ma chiede al presidente del Congresso, Roberto Micheletti, di deporre il presidente Zelaya e di assumerne la carica. Secondo l’attuale legge dell’Honduras questo pro-cedimento è un normale avvicendamento politico ma per tutto il resto del mondo democratico è chiaro che si tratta di un golpe, pressoché identico a quello avvenu-to nel ‘63 per destituire Morales. Mentre Zelaya viene condotto dai militari in Costa Rica, Micheletti, nel pomeriggio del 28, presta giuramento davanti al Congresso Nazionale annunciando libere elezioni per il 29 novembre e la scadenza del suo mandato il 27 gennaio 2010, contempo-raneamente vengono arrestati gli amba-sciatori di Cuba, Venezuela e Nicaragua

(gli stati “alleati” di Zelaya), verranno poi rilasciati molte ore dopo. In serata arriva anche una misteriosa lettera di dimissioni da parte di Zelaya, ma ci si rende conto che si tratta di un falso, subito smentito dallo stesso presidente esiliato.Nel pieno stile dei colpi di stato, alla desti-

tuzione segue la repressio-ne: durante un’imbarazzante conferenza stampa lo stesso Micheletti apprende alla radio che il coprifuoco viene esteso allo stato d’assedio, legittimando la legge mar-ziale e dando così inizio ai ra-strellamenti casa per casa,

alla ricerca dei dissidenti pro Zelaya. Per due giorni le strade di Tegucigalpa sono pattugliate dall’esercito per sopprimere le manifestazioni di solidarietà a Zelaya e costringere i lavoratori a sospendere lo sciopero generale. Simbolicamente i ma-nifestanti non permettono a Micheletti di entrare nella Casa Presidenziale, mentre arrivano alla spicciolata le reazioni inter-nazionali: l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) e gli Stati Uniti non rico-noscono Micheletti come presidente e a questi si allineano tutti gli altri stati e l’ONU; il Venezuela mi-naccia persino l’intervento armato. Il 5 luglio Zelaya tenta di tornare con un jet proveniente da Washington nel suo paese, ma i militari dirottano l’atterraggio a San Salvador mentre reprimono nel sangue le manife-stazioni per il ritorno del presidente. In questi mesi il piccolo paese centroame-ricano, dimenticato dalle cronache, è stato attanagliato da una profonda crisi econo-mica ed energetica, visto anche il rifiuto

da parte del Venezuela di continuare a rifornirlo di petrolio. In un clima teso, frutto di continui scon-tri tra l’esercito e il Fronte popolare, si tengono il 29 novembre le “libere” ele-zioni presidenziali che vedono la vittoria del vecchio avversario di Zelaya: Porfirio Pepe Lobo, che inizierà il suo mandato tra fine gennaio e inizi di febbraio. Le elezioni sono apparse ai più una farsa e anche gli stessi osservatori dell’OEA hanno de-nunciato brogli elettorali, intimidazioni e minacce nei confronti dei cittadini chiama-ti alle urne. L’unica speranza per gli honduregni è che il neo eletto Lobo in questi mesi inizi a me-diare con le forze dell’opposizione e rista-bilisca i contatti internazionali. Secondo il caricaturista honduregno Allan McDonald, imprigionato anche lui all’indomani del golpe, l’unica speranza sta nel nuovo pre-sidente chiamato a creare un’assemblea costituente. “La Costituente ce l’avremo – dichiara McDonald a PeaceReporter - ma fatta dai ricchi. Quindi, l’unica cosa adesso

è intervenire, formare un partito che possa arginare il loro strapotere. Un parti-to che possa dire la sua e avere il potere di mettere mano alla Costituente. Così siamo fuori da tutto e a nostro discapito. Appro-fittare della costituente

e non lasciare tutto in mano ai soliti noti, autori del golpe. Che ora hanno più potere che mai. C’è una speranza sola adesso: aspettare che Lobo riesca a cambiare la maniera di far politica messa in atto finora da Micheletti. Senza repressione e garantendo le libertà. Aspettare che qualcosa cambi. Senza violenza. E io ho fede in Lobo”.

Paolo Perantoni

HONdUraS:la SperaNza paSSa per le MaNI dI lObO

Josè Manuel Zelaya

Porfirio Pepe lobo

roberto Micheletti

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Federico longoni [email protected]

I miei due amici mi stanno aspettando nel solito bar. Il freddo pungente di questo sabato pomeriggio mi entra nelle ossa, ma appena entro nel locale vengo accolto da un bel caldo che in poco tempo mi fa dimenticare la temperatura esterna.Noi tre, compagni di classe per tutti i cinque anni di superiori,

ci troviamo sempre qui, in questo piccolo bar che è stato il nostro punto di ristoro e di distrazione durante le pause tra una lezione e l’altra.Mi dicono che la sera prima hanno trovato qualco-sa che mi sarebbe sicuramente piaciuto. Incurio-sito, voglio vedere di cosa si tratta. È un vecchio quaderno sgualcito, che iniziammo ad usare come una sorta di diario comune, proprio per poterlo sfo-

gliare in futuro e ricordarci dei tanti momenti divertenti trascorsi a scuola. Ogni pagina è segnata con la data, e addirittura il tempo che faceva fuori dalla finestra. Segnavamo di tutto: gli aneddoti dei professori, le castronerie dei nostri compagni, le perle del no-stro mitico bidello. E poi la canzone del giorno, che a ricreazione era nostra consuetudine scegliere e ascoltare fino al suono della campanella.Apro una pagina a caso: è datata 16 marzo. Non ci sono tante frasi appuntate, è piena solo di partite a tris, fatte probabilmen-te durante una lezione di matematica. In fondo c’è la canzone del giorno, scritta da me: Stella Was a diver and She Was always down degli Interpol. Ricordo benissimo che all’epoca, il loro album Turn On The Bright Lights, lo ascoltavo spessissimo, mi teneva compagnia alle sei e mezza del mat-tino quando, alla fermata, aspettavo in silenzio e in disparte che passasse la corriera, perenne-mente in ritardo, carica di studenti assonnati.Nel frattempo arrivano le cioccolate calde che abbiamo ordinato, e così iniziamo a raccontar-ci la settimana; il lavoro, gli esami, le ragazze. Riprendo in mano il quaderno, apro a caso e mi trovo davanti agli occhi un bellissimo disegno fatto a matita. Ricordo benissimo che M., che fu anche mio compagno di banco per un paio d’anni, è sempre stato molto bravo a disegnare, e in questa pagina c’è la copia perfetta della copertina di un disco che insieme abbiamo ascoltato migliaia di volte: By The Way dei red Hot Chili peppers. L’immagine raffigura il busto di una ragazza, magra e con i capelli sciolti, con gli occhi coperti da una cancella-tura fatta con un pastello giallo. Cerco la data in cima alla pagina: 28 settembre 2002. In fondo, la canzone del giorno, don’t For-get Me, presa proprio dall’album protagonista di quel giorno.Torno a sfogliare il mitico quaderno: stavolta mi soffermo all’ 8 gennaio 2004. Capisco che quello era il primo giorno di lezione dopo le vacanze natalizie dalle frasi scritte. L’ultimo commento scritto quella pagina mi fa scoppiare a ridere: “Ci hanno conse-gnato i compiti di matematica, e abbiamo preso otto. In due”. Poi la canzone del giorno: The end Has No end dei The Strokes.

Ricordo di aver comprato l’album, Room On Fire, quella volta in cui c’era autogestione, e noi uscimmo con la giustificazione falsificata per fare shopping in paese. Che bei tempi!Ci rimettiamo a chiacchierare di cosa abbiamo fatto l’ultimo dell’anno, dove siamo stati e se ci siamo divertiti. Purtroppo questa volta non

abbiamo festeggiato insieme. Soprattutto perché A. ora vive lontano da noi. Prende il quaderno e apre alla pagine del 22 agosto 2005. Il foglio è quasi vuoto, senza nessun commen-to. Troneggia in mezzo solo la frase “la scuola è davvero finita?”.

Mi commuovo a ripensare a quell’estate, quan-do ancora non eravamo del tutto consapevoli che per noi la scuola era finita, che eravamo fi-nalmente diplomati, a quanto sia stato diverten-te e allo stesso tempo triste perché sapevamo che di lì a poco le nostre vite avrebbero prese strade diverse. La canzone del giorno, Howl, dei black rebel Motorcycle Club, ha una freccia

che indica una faccina triste disegnata da me. L’album della band californiana, Howl, che ho ripreso ad ascoltare proprio in questi giorni, è struggente, malinconico, un tuffo in un passato che mi piacerebbe rivivere.Il tempo sta per finire, M. tra poco deve tornare a casa e conclu-dere un po’ di lavoro arretrato per lunedì mattina e A. invece deve scappare a prendere il treno. Ma prima di salutarci, apriamo la pagina che più ci sta a cuore, che più ci emoziona. È la pagina del 18 aprile 2005, il giorno della partenza per la fatidica gita dell’ul-timo anno. Il foglio è pieno zeppo di scritte, non solo di noi due, ma di tutta la nostra classe. Sul margine ci sono anche le firme dei professori che erano con noi alla gita. Girando pagina, conti-nuano gli appunti del viaggio, della partenza all’alba, dell’arrivo in albergo stremati, delle camminate tra un museo e l’altro, tra una cattedrale e l’altra. Inserita nel quaderno una foto meravigliosa. Noi tre seduti su una panchina, al tramonto in riva a un fiume tranquillo. Nella foto sorridiamo, i nostri pollici sono alzati in un gesto di complicità. Dietro la fotografia, la canzone del giorno, scritta da me: First day Of My life dei bright eyes. La colonna sonora di quella gita fu proprio l’album I’m Wide Awake, It’s Morning. Prima che la malinconia ci pervada, ci congedia-mo salutandoci e dandoci appuntamento alla prossima settima-na. Una volta arrivato a casa, ascolto quei meravigliosi dischi che sono stati per me la colonna sonora dei più bei momenti della mia vita. E sorrido.

“My mother’s eyes My mother’s cries my Motherland..”

E’ più forte di me. Ogni volta che nevica penso ai dark lunacy. Proust le chiama “intermittenze del cuore”. Io lascio a

Proust quel che è di Proust e mi limito a godermi lo spettacolo. The diarist è un concept album tutto incentrato sull’assedio di Leningrado durante la II Guerra Mon-diale, visto dagli occhi di un soldato russo.

I cori struggenti dell’armata rossa scivolano sugli ar-rangiamenti classici e si scontrano epicamente, come

su un campo di battaglia, con il ruvido cantato in growl. Nevica. Ogni fiocco che scende suona una canzone diversa. Sento l’oboe nostalgico di Pulkovo Meridian, il piano nudo di

Snowdrifts, il palpito del cuore in Heart Of Leningrad. Splendida formazione nostrana, i DL da Parma ci regalano

un altissimo lavoro sia tecnico che spirituale. Ma soprat-tutto riescono, con un’abilità che molti vorrebbero ma che solo a pochi è concessa, a portarci lontano, a Leningrado.

Basta chiudere gli occhi.

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MelOdIOSa NOSTalGIa

RoCk On BaBe!anna Pini

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ROCK PASSIONFederico longoni [email protected]

Durante la seconda metà degli anni settanta, irruppe in tutto il Regno Unito il punk, fenomeno durato pochi anni ma che riuscì a capovol-gere l’idea di musica e di libertà di pensiero.I catalizzatori del movimento punk furono senza dubbio i Sex Pistols, ma coloro che riuscirono ad innova-re questo genere furono i Clash. La band di Joe Strummer fu la prima a

portare temi sociali all’interno del punk, e fu la prima band ad ar-ricchire un genere così monolitico con varie contaminazioni come il raggae, lo ska e l’R&B.Nel 1979 esce l’album dei Clash più noto, più acclamato e più venduto di sempre nella storia della musica punk: london Calling. La celeberrima canzone che dà il titolo al doppio album mette subito le carte in tavola. Joe Strummer, con le sue parole roche e disperate delinea la società inglese dell’epoca, sempre più in crisi e sempre più corrotta, e dice ai suoi ascoltatori di uscire dal torpore che li avvolge e iniziare la lotta, solo così le cose cambieranno.Il tema politico ricorre anche in molti degli altri brani di London Calling, come nella splendida The Guns Of Brixton, che rievoca la scottante situazione di allora nel quartiere londinese abitato dagli

immigrati. Protagonista assoluto è Paul Simonon, colui che di-strugge il suo strumento nella straordinaria copertina dell’album, che oltre a suonare il basso in modo divino, presta anche la sua voce a questo brano dai suoni decisamente dub. La divertente Kola Kola, che dura meno di due minuti, è una spietata visione della società americana, mentre Spanish Bombs ripercorre i tragici eventi della guerra civile spagnola.Dopo quasi un’ora di musica, arrivano le due perle finali: Revolu-tion Rock, la canzone più raggae di tutto l’album, che evidenzia la voglia di rivoluzione, di cambiamento dei quattro Clash. E poi c’è Train In Vain (Stand By Me), brano che inizialmente venne scar-tato per poi essere fortunatamente ripescato all’ultimo momento e inserito nella tracklist finale del disco. Con London Calling i Clash hanno lasciato un segno nella storia del rock, con uno degli album più politici e anarchici di sempre. Un album rivoluzionario non solo nel senso di rivolta contro la socie-tà e il governo corrotto dell’epoca, ma anche in campo musicale. Se si cerca il punk, qui lo troviamo, se cerchiamo il raggae lo tro-viamo, se volgiamo ascoltare della buona musica ska in London Calling c’è. Solo i Beatles, prima dei Clash hanno portato così tan-ti generi in un solo disco, e dopo mai più nessuna band è riuscita nell’ardua impresa di far convivere stili e ritmi così lontani.Con l’uscita di London Calling nel 1979 il movimento culturale punk arriva al suo apice, e contemporaneamente alla sua ineso-rabile fine. Il punk non morirà mai, e questo anche grazie ai Clash.

Confesso che a me il post-rock piace sempre un casino. Quando sento quelle note rallentate che poi esplodono in un muro di chitarre, mi vengono i brividi.

Nella florida scena musicale veronese, chi soddisfa maggiormente i miei gusti sono i Somber light, un giovane trio composto da Carlo Polo (chitarra e voce), Francesco Danilo Felis (basso ed effetti) e Domenico Carnevale (batteria), proveniente da Legnago, che hanno appena pubblicato il loro primo EP omonimo, contenente quattro tracce. Il primo brano, Destroy, mi ricorda molto i Mog-wai, la band forse più nota del genere post-rock. Nei quasi sette minuti della canzone, c’è spazio per momenti melodici, rilassati e dila-tati, che improvvisamente vengono sovrastati da furiosi riff di chitarra accompagnati da una batteria che è il punto forte dell’intero pezzo.Two Different Lives Cross Each Other è il bra-no più lungo. Sento echi della dark wave anni ottanta dei Cure, ma la ruvidezza delle chitarre mi ricordano i Dinosaur Jr e i Sonic Youth degli esordi. Al centro della canzone il suono rallen-ta, e ancora una volta si dilata, proprio come fanno i grandi nomi della scena post-rock degli ultimi anni.I Somber Light sparano altre due cartucce niente male: Sara Red, che come il brano precedente risente molto degli influssi della musica americana di fine anno ottanta, e Freetime, l’unico pezzo cantato dell’EP. Questa

dolcissima ballata è perfetta, dà veramente quei brividi di cui parlavo all’inizio.Per essere al primo minialbum, i Somber Light ne sanno parecchio in fatto di musica post-rock, è stata una sorpresa davvero inaspettata. Fate una cosa, prendete la vostra agenda e segnatevi il 13 marzo, quando i tre saranno in concerto al Time Out, proprio a due passi dall’università. Non ve ne pentirete!

Federico longoni [email protected]

nuovi suoni

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Galleria borghese e Caravaggio: l’occhio della verità

La via più lunga per giungere a Galleria Borghese è quella che sale da piazza del Popolo, attraverso il Pincio e i larghi viali del parco, fian-cheggiati da fontane, tempietti e chio-schi barocchi. Costeggi il galoppatoio, in lontananza intravedi la casina di Raffaello e poi, in fondo, davanti a te, la villa.Il museo Borghese vanta una collezione stabile di tutto rispetto, che annovera tra i pezzi più prege-voli Amor sacro e amor profano di Tiziano, il David, Apollo e Dafne e Il ratto di Proserpina di Gianloren-zo Bernini, il ritratto scultoreo di Paolina Borghese di Canova e alcune tele rinomate di Caravaggio. È proprio a questo grande innovatore della pittura seicentesca che, in occasione del quattrocentesi-mo anniversario della morte, viene dedicata una mostra temporanea che si propone di sottoline-are il carattere straordinario del suo desiderio di rappresentare la realtà quale effettivamente è, di indagare l’animo umano per metterne in evidenza luci e ombre. Nelle ampie sale illuminate ad arte, opere di Michelangelo Merisi vengono accosta-te, in un paragone ardito e impensabile, alle più grandi tele di Francis bacon, espressionista della contemporaneità. Le forme nitide, drammatiche dell’uno si specchiano in quelle frante e straziate dell’altro. Due personalità opposte, quella sanguigna e collerica del pittore lombardo e quella invece più fragile e tormentata dell’inglese, si incontrano fugacemente nello spazio di un’esposizione, evocando suggestioni inusitate e collegamenti nuovi e arditi. Caravaggio Bacon è il quarto evento nell’ambito del programma “dieci grandi mostre alla Galleria borghese”, che prevede di presentare – e celebrare – ogni anno l’opera di uno dei grandi artisti esposti nella Villa. Dopo raffaello (2006), Canova (2007) e Correggio (2008), si è giunti all’epico confronto i tra due pittori “maledetti”, cui faranno seguito le rassegne dedicate a dosso dossi (2010), Tizia-no (2011), Cranach (2012), bernini (2013) e domenichino (2014), per chiudere nel 2015 con la grande mostra sui borghese e l’antico. Una galleria di grandi nomi, dunque, per ridar vita in nuovi allestimenti a quadri noti (e notevoli) o meno, com’è avvenuto in questi mesi per molti oli cara-vaggeschi. Dipinti celebri ed emozionanti si fanno incontro allo spettatore: Giuditta decapita Oloferne e non è possibile dimenticare la ferma determina-zione nello sguardo della ragazza mentre recide, con polso saldo e deciso, la testa del nemico, con

gli occhi ancora spalancati per l’orrore e la sorpresa; Narciso contempla con uno sguardo appassionato la propria immagine riflessa, si perde nei propri occhi fin quasi ad annegare; San Paolo si agita nel sonno, investito

dalla luce della Grazia che lo rag-giunge tra le zampe del cavallo inquieto; la

Madonna dei Palafrenieri ha la bellezza procace e un po’ rustica delle donne del popolo. Tutto racconta dell’esistenza di un uomo che aveva sempre voluto sfidare le convenzioni in nome della verità. I quadri presenti richiamano la memoria di quelli assenti: il San Matteo e l’Angelo originariamente destinato alla cappella Cointrel nella chiesa di San Luigi dei Francesi, poi respinto dai committenti per l’eccessi-va eterodossia e sostituito con uno più acconcio. Chi avrebbe mai potuto accettare, all’inizio del ‘600, un santo analfabeta a cui il messo celeste deve guidare la mano nella stesura del Vangelo, un contadino che siede maldestramente su uno sgabello, con i piedi sporchi di terra in primo piano? O ancora la Mor-te della Vergine, oggi conservato al Louvre, in cui

Maria ha l’aspetto di una prostituta gravida, abban-donata su un letto con le gambe gonfie e scoperte. Un omaggio onnicom-prensivo a Michelangelo Merisi, allora, per le opere presenti e per quelle as-senti, ma non per questo dimenticate.

Caravaggio, anima inquieta, che nonostante i rifiuti seguiva la sua strada, quello stesso uomo che fu querelato, arrestato, incriminato più volte e infine costretto a fuggire da Roma per aver ucciso un rivale durante una rissa. L’uomo che morì solo, nel 1610, dopo anni di peregrinazioni senza sosta in attesa della grazia papale e fu seppellito su una spiaggia a Porto Ercole perché nessuno voleva farsi carico del suo corpo. L’uomo a cui ora, quattrocen-to anni dopo, il mondo non ha ancora cessato di rendere tributi. A lui sono stati dedicati diversi film, a partire da Caravaggio, il pittore maledetto (1941) fino al più riuscito e recente Caravaggio (1986) di Derek Jarman, affiancati da due sceneggiati tele-visivi, quello del 1967 interpretato da Gian Maria Volontè e quello del 2008, che vede protagonista uno splendido Alessio Boni.Trionfante e affascinante sullo schermo, anche letterariamente l’artista ha avuto la sua fortuna. Per citare solo alcuni esempi tra le ultime pubblicazioni, M. L’enigma Caravaggio di Peter Robb, Il Cara-vaggio perduto di Jonathan Harr, Il colore del sole, anomalo romanzo di Andrea Camilleri, o Caravaggio al tempo di Caravaggio, rilettura del personaggio ad opera di Dario Fo. Di fronte a tutto questo, intanto, noi altri togliamo il cappello e chiniamo il capo.

ARTE

carolina Pernigo

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dialogo d’arte con Mattia noal

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Qual è secondo te il ruolo dell’ar-te? l’arte è messaggio, l’arte è emozione…

Per me l’arte non è trasmettere un mes-saggio; non creo un dipinto per comunica-re qualcosa di premeditato ma nemmeno per cercare di emozionare lo spettatore. Per me un lavoro è come un tatzebau, una bacheca che racchiude una serie di idee che accumuli nel tempo, attraverso le cose che hai visto, che hai sentito, che hai vissuto.Una persona, davanti ad una mia opera, può vedere quello che vuole; non è il mio scopo principale, l’emozione, ma chiaramente sono contento se questa si manifesta. Per me l’arte è un atto egoistico in cui l’emozione è strettamente personale e legata all’atto in sé, al “men-tre”. Arte è ricerca di una sensazione, un orgasmo che si raggiunge durante la cre-azione e che si cerca di riprovare sempre, ogni volta, daccapo.

Cosa ti attrae di un’opera d’arte?La pennellata la cui forza gestuale riesce ad essere interessante.

Qual è il tuo artista preferito e perché?Non c’è, ma se dovessi sceglierne due sarebbero Edward Hopper e Wilhelm Sasnal. Il primo per l’assenza. Il secondo per la semplicità apparente che è in grado di trasmettere; in più è anche un regista, ruolo che trovo interessante e che vorrei approfondire; quindi una sorta di modello.

Qual è la tua poetica?Per me la pittura è associabile al verme solitario. Come artista, tu non sei il sogget-

to che crea: tu “mangi” e ciò che mangi lo dai al verme solitario. Metaforicamente, le sue feci sono quelle di entrambi; questa è la pittura. È liberazione. È il tentativo di liberarsi di qualcosa; è un atto che fai per te stesso e non per trasmettere qualcosa ad altri.

Come si struttura la tua opera? Quali sono le ispirazioni? C’è una progetta-zione?Io ho seguito degli studi di grafica pubbli-citaria che hanno sicuramente inciso sul mio modo di creare: ho imparato a bilan-ciare i pesi, la macchinazione; la posizione degli elementi non è mai casuale ma sicu-ramente soggettiva. Nonostante ciò, non creo mai dei bozzetti preparatori dell’opera nella sua totalità. Sulla tela posiziono delle immagini, che possono essere paragonate al rumore su una superficie intonsa, che nell’insieme devono creare il silenzio.I tre colori della sintesi additiva sono sempre presenti: posizionati, per esempio, su un disco e fatti girare essi producono il bianco. Ecco, quello è davvero importante. È come una valle, una distesa innevata dalla quale spunta solo la boscaglia più

alta: sotto rimane sempre e comunque qualcosa ma non si vede; ciò che è in superficie è la parte più importante, quella che davvero ti fa rimanere stupefatto.

C’è un tema ricorrente nelle tue ope-re?Gli aerei e le forme che fluttuano ma non saprei spiegare il perché. In generale le cose sospese, i volumi. Rumori silenziosi. E poi, come già detto prima, i tre colori della sintesi additiva.

Cosa pensi dell’arte contemporanea?Mi viene in mente Koons e sono triste.

Quale pensi potrà essere il futuro dell’arte? Quali direzioni prenderà?Credo che il futuro dell’arte dipenda solo dalle necessità e dai bisogni dei singoli individui.

Commento di Daniele Nalin, docente di pittura all’Accademia G.B.Cignaroli: “É fuor di dubbio che consideri Mattia Noal persona molto impegnata, lettore desideroso di scoprire nuovi autori, come pochi; e molto interessato alla cinematografia. Ma lui al momento dipinge, e pen-sando all’intervista dove dice che ama disegnare le cose che fluttuano, tipo aerei, prismi, o qualsiasi cosa che abbia attinenza con il cielo, e la struttura spesso geometrica, l’immagine cinematografica e fredda nei suoi dipinti, sento che esprime una con-traddizione che, può essere che diventi la ricerca cosciente della sua problematica e poetica...ma può anche essere che abbia ancora da correggere la mira sul vero bersaglio”.

a cura di Katia Bonini

dialogo d’arte con Mattia noalartista vicentino e studente di pittura all’Accademia di Belle Arti G.B.Cignaroli (Verona)

titolo: pyramid song#2 artista: Mattia Noal

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ROMACaravaggio alle Scuderie del Quirinale dal 19 febbraio al 13 giugno. Si potranno ammirare il Bacco degli Uffizi, il Davide con la testa di Golia della Galleria Borghese, I musici del Metropolitan di New York, Il Suonatore di liuto dell’Ermitage e L’amor vincit omnia di Berlino.

FIRENZECaravaggio e caravaggeschi a Firenze dal 22 maggio - 17 ot-tobre 2010 a Palazzo Pitti. Si potranno ammirare i sei Caravaggio posseduti dalle gallerie fiorentine degli Uffizi e di Palazzo Pitti e una ricchissima serie di quadri caravaggeschi presenti nelle collezioni medicee.

RIMINIa Castel Sismondo Caravaggio e il ‘600. Dal 23 ottobre 2010 al 27 marzo 2011, si potranno ammirare L’Estasi di San France-sco di Hartford attorniata da quadri di maestri del primo Seicento europeo.

BERGAMOGli occhi di Caravaggio rassegna a cura di Vittorio Sgarbi per la Gam di Bergamo prevista per l’autunno. La mostra è ancora in fase di definizione. L’assessore Sartirani afferma che «si sta pensando di esporre solo un nucleo di opere di Caravaggio - tre o quattro di soggetto sacro, quali la Conversione di San Paolo, il Riposo dalla fuga in Egitto e Il sacrificio di Isacco, alcuni dipinti di soggetto profano, fra cui ritratti, e una sezione di disegni - e numerose opere che «Gli occhi di Caravaggio» videro, a Milano, Bergamo, Brescia, Cremona e Venezia tra il 1585 e il 1592, cioé negli anni giovanili ch’egli trascorse a Milano prima di trasferirsi a Roma. Da ottanta a cento opere di artisti lombardi e veneti quali Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Savoldo, Moretto».

Mostre su Caravaggio in Italia

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Federica roSa

John Fante e Valeria Parrella alle prese con la nascita di un figlio

“Quella cosa era dentro di lei, e lei era remota, sdegnosa e beata.”

Full of Life

“Stava nel mio braccio, la tenevo, mi sentiva e io le sorrisi. […] Proprio un sorriso di quando, in un momento, nella vita, sbuca una cosa inaspettata

e piena e tua.” Lo spazio bianco

Ho deciso di leggere Full of Life di John Fante un giorno qualsiasi sul treno, accorgendomi, grazie ad un articolo del Corriere della sera,

della scarsità di riflessioni esistenti sulla vita intima degli uomini, nel senso di “maschi”. Le donne, forse per inclinazione, forse sull’onda del grande riscatto iniziato nei magici anni ’70, tendono ad una maggiore introspettività: esi-stono un’ampia bibliografia sull’autocoscienza femminile, un’ampia gamma di riviste e siti web di donne per donne… Il Corriere mi ha immediatamente incuriosita parlando di questo libro originale, in cui per una volta è un uomo a raccontare l’attesa di un figlio, tra la nostalgia di una libertà perduta per sempre e l’amore fortissimo che prova per la moglie, un amore indimenticabile, tenero e incondizionato.Letto d’un fiato l’agile volumetto ho avuto la folgorazione: Lo spazio bianco! Confrontare la storia di un uomo che sta per diventare papà con quella di questa mamma alle prese con una figlia che “stava morendo, o stava nascen-do, non l’aveva capito bene”.Full of Life e Lo spazio bianco sono stati scritti a più di mezzo secolo di distanza ma narrano entrambi dell’esperienza più dolce e antica della terra: l’attesa per la nascita di un figlio.

Fante ci racconta la naturale attesa, scandita dai canonici nove mesi, della nascita del proprio bambino, mentre quella di cui ci parla Valeria parrella è un’attesa più sin-golare e dolorosa: la piccola della protagonista del suo primo romanzo è infatti nata prematura e Maria, questo il nome della nostra eroina, aspetta che la figlia nasca o muoia, osser-vandola attraverso l’incubatrice del reparto di terapia intensiva neonatale.Un’altra differenza sostanziale sta nel fatto che i protagonisti di Full of Life, romanzo aper-tamente autobiografico di John Fante, sono padre e madre del pargolo in arrivo, la sacra famiglia insomma, mentre nella storia più irre-golare di Maria è lei l’unica protagonista, oltre alla figlia Irene s’intende: la donna sola, subito abbandonata da un uomo che rimane anoni-mo e senza volto nel racconto, una Giovanna d’Arco orgogliosa e combattiva, troppo in là con l’età, con troppe sigarette quotidiane sulla coscienza. La sua è una storia tutta sbagliata ma è forse proprio per questo che ci resta nel cuore: perché è dura come la realtà, imprevedi-bile e sbalorditiva. Molto diverso è anche il tono di questi due romanzi: spontaneo, scorrevole, divertente, a tratti ingenuo quello di Una vita piena (discuti-bile traduzione del titolo di Alessandra Osti) e il tono più spezzato, serio, ribelle e drammatico della narratrice de Lo spazio. Nonostante tutto, i nostri eroi se la cavano bene in questa situazione nuova e difficile, l’uno tra fobie infondate, crisi mistiche, un padre superstizioso e gran bevitore che gli

impone riti propiziatori per la nascita di un figlio maschio e continui litigi e riavvicina-menti con una compagna che la gravidanza ha reso insopportabile e poco desi-derabile; l’altra tra medici insensibili, ricordi d’infanzia, improbabili studenti della scuola serale in cui insegna e la sconvolgente consape-volezza che quella figlia le avrebbe mostrando la vita come mai l’aveva vista. Queste poche righe stentano a trasmettere la complessità di questi due bei libri, le sfumature delle emozioni dei loro personaggi, i picchi lirici che entrambi raggiungono in certe righe che noi lettori non potremo far altro che leggere e rileggere fino ad affezionarci a questi due scrittori e a fiondarci alla ricerca di altri loro racconti.

Scriveva Oscar Wilde: “L’arte comincia con la decorazione astratta, con opere puramente fantasiose e piacevoli, trat-tanti quanto è irreale e inesistente”. Una

definizione che calza a pennello per il romanzo “Mandorle e Arance” (Edizioni Albatros-Il Filo, p. 349, euro 19) di Jennifer Bertasini. L’immaginazione spesso partorisce le invenzio-ni più belle, ma anche i personaggi più “strani” (nel senso nobile del termine). Strana è infatti la vicenda che ci narra la protagonista del romanzo. La tredicenne Aurora Psiche Aldebaran è una sognatrice dal nome bizzarro, come strampalata è

la sua famiglia: la madre, pittrice geniale e dagli umori e azioni sballate, il padre laureato in medicina che si accontenta di un posto come infermie-re; il fratello Orlando, un frugoletto impertinente; la sorella Amaranta, più concreta e matura. E’ quindi la storia di un’adolescente e del suo mondo, del suo primo anno di liceo, dei primi amori, delle prime chimere giovanili e delle tante prove che la tenera età richiede. Filo conduttore che tiene insieme l’intero circuito delle vicende è la misteriosa scomparsa del caro zio di Aurora e la sua successiva ricerca. La narrazione si muove su due linee: da una parte il disperato irrompere del passato, e con esso del pregiudizio, dall’altro il richiamo del futuro. Per scoprire dove si trovi lo zio, Aurora è costretta a rovistare le viscere del proprio animo, lì dove si annidano i ricordi più cari e le nostalgie

più brucianti. L’abbandono del familiare significa per lei la ricerca di un proprio spazio, di una sua identità. Ed è nel rimembrare, nel forgiare la propria personalità, che la ragazza crea un mondo fatto d’immagina-zione, più vero, per paradosso, della realtà apparente che la circonda. Questo tratto del raccontare comporta che lo stile sia immaginifico, impressionista a volte, con scene spesso cinematografiche. Il secondo piano della narrazione infatti è dettato dall’universo apparente. Fino alla rivelazione finale del romanzo: a quel punto è come se il lettore avesse viaggiato non potendo vedere gli eventi, ma potendoli solo annusare attraverso il filtro dell’immaginazione della protagonista. Si squarcia in sostanza il velo dell’apparenza e infine ci redarguisce Aurora: “Nulla è ciò che sembra, effimera è l’apparenza” - (“Rifuggi l’apparenza” è anche il sottotitolo del romanzo). E’ un romanzo che si potrebbe avvicinare, per stile e situazioni, alle pagine del cosiddetto “realismo magico” (Isabel Allende e Marquez per intenderci). Una realtà alternativa certo, poiché creata dal potere dell’immaginazione. Un libro che consiglio a chi invece di leggere, voglia immaginare.

Con “Mandorle e Arance” Jennifer Bertasini ha vinto il Primo Premio Categoria Giovani, sezione narrativa inedita, al 22 Concorso Letterario Internazionale “Giovanni Gronchi”- Pontedera, e il Primo Premio, Categoria Giovani, al 14 Premio Nazionale do Poesia, Narrativa e Vernacolo “Rivalto-Roberto magni”. Il romanzo può essere acquistato presso le librerie: Giubberosse, QuiEdit, Erasmo, Cortina, Jolly, e la Cartolibreria Mazzocco e Martini. Inoltre, è ordinabile in tutte le librerie dal catalogo Mursia, nonchè sulla pagina a lei dedicata su www.ilfiloonline.it.

a cura di FranceSco greco [email protected]

Immaginare l’apparenza nel romanzo “Mandorle e arance” di Jennifer bertasini

Full of Life, 1952; prima edizione italiana pubblicata come In tre ad attenderlo, traduzione di Liliana Bonini, Mondadori, 1957; nel 1998 esce l’edizione tradotta da Alessandra Osti per Fazi Editore, riedita nell’ottobre scorso per Einaudi Stile libero, pp. 177, € 12,00.

Lo spazio bianco, Torino, Einaudi Supercoralli, 2008, pp. 120, € 14,80.

Lo spazio bianco, Italia 2009 regia di Francesca Comencinisceneggiatura di Francesca Comencini, Federica Pontremolicon Margherita Buy, Salvatore Cantalupo

Full of Life, USA 1957regia di Richard Quinesceneggiatura di John Fante (che meritò la nominatinon all’Oscar)con Judy Holliday, Richard Conte

UNO SpazIO bIaNCO pIeNO dI VITa

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raffica di revolverate di Marta Poli qualche colpo di spingarda di giuliano FaSoli

di anna Pini

ammazza il tempo VADEMECUM DEL PASSISTA MODELLOVITA DA CHIOSTRO

1 Festeggiamenti post lauream: il futuro di molti neo dottori potrebbe essere il circo. Ma non qui.

2 I fumatori si distribuiscano lungo tutto il perimetro, per evitare l’affumicamento dello studente in entrata e in uscita.

3 Ai Pr distributori di flyers: se ti vengo incontro con sguardo torvo ci sarà un motivo.

4 Ai proseliti politici: non fatemi domande, ponetevele.

5 Un professore alternativo non tiene sedute d’esame all’aperto, alle 11 del mattino, durante il periodo d’immatricolazione.

6 I frequentatori del chiostro si dividono in due categorie: occasionari ed abitudinari. I secondi o sono nerds o sono voyeurs.

7 Appoggiarsi alle colonne e fingere di leggere, non conferisce l’aria da intellettuale.

DULCIS IN FUNDONOTIZIE CURIOSE nasce nuovo social network “ FES-BUSO”, dove studenti veneti e bresciani potranno scambiarsi emozioni ed esperienze sulla tradizione del proprio dialetto.

PROPOSTE INDECENTIlezioni di hata yoga last minute, per sopportare i colleghi in defibrillazione prima dell’esame.

SARANNO FAMOSI Il distributore di snack del primo piano ha uno stile unico, le sue evoluzioni incantano. Traboccante di carisma. Il ragazzo farà strada

IPSE DIXIT “La Verità, per sua stessa ontologia, avvolge in modo ermeneutico la mimesi gasteropode” Arthur J. Rackard (filosofo, naturista e giocatore di hurling)

INDOVINA CHI ti darà la porzione più abbondante in mensa e allenati nella nobile arte della premonizione culinaria.

PAROLA DEL MESE: macruri

FANTAOROSCOPOAmore: Marte è in trigono, compratevi della biancheria commestibile.Soldi: la SOS ricarica è un circolo vizioso Cercate di uscire dal tunnel.Salute: pare che ultimamente la calendula sia una specie di jolly miracoloso.

LA STRISCIA

Nero revolver

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Leonardo artefice - daL disegno aLLa macchina

29 Gennaio 2010 - 28 Febbraio 2010 Galleria d’Arte Moderna Palazzo Forti, Volto Due Mori, 4 (Corso Sant’Anastasia)

Orari: da martedì a venerdì ore 9.00 - 19.00, sabato e domenica ore 10.30 - 19.00, chiuso il lunedì.

La mostra di Palazzo Forti, organizzata nell’ambito del Festival Infinita...mente in collaborazione con l’Università degli Studi

di Verona e con il Museo Leonardiano del Comune di Vinci, presenta ventisette modelli di macchine vinciane, ricostruite a

partire dall’analisi rigorosa dei disegni e delle annotazioni del grande artista.

seconda edizione deLLa rassegna musicaLe “acusticamente”

dal 28 Gennaio al 17 Aprile Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto

Acusticamente per il secondo anno consecutivo propone raffinate melodie e sofisticate fusioni tra pop e world music nella

cornice del teatro Astra di San Giovanni Lupatoto.

20 Febbraio DENTE, il cantautore metropolitano Giuseppe Pevere, che con il suo ultimo CD “L’amore non è bello” si è

imposto all’attenzione del grande pubblico riuscendo ad aggiudicarsi la palma del migliore disco 2008/2009 secondo la

classifica del Corriere della Sera (battendo anche il rapper Fabri Fibra e i Negramaro);

20 Marzo PATRIZIA LAQUIDARA, cantautrice vicentina

17 Aprile i LOST con il gruppo veronese CUBE 41

concorso fotografico Premio Verona 2010

dal 30 Gennaio al 21 Febbraio - orario dalle 10,00 alle 18,30 - giorni di chiusura: tutti i lunedì

Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, Cortile del Tribunale

Opere fotografiche di artisti italiani partecipanti al XII Concorso Fotografico Nazionale a tema “Sport e tempo libero”, al XXIII

Concorso Fotografico Nazionale a tema libero e una sezione dedicata ai fotoamatori di Verona e provincia dal titolo “In

Famiglia”. Ingresso: libero.

corot e L’arte moderna

Circa 100 dipinti in un arco temporale di quattro secoli.

Dal 27 Novembre al 7 Marzo

Palazzo della Gran Guardia - Piazza Bra’ - Verona

Venerdì gnocoLar12 Febbraio ore 13:30 L’antico carnevale veronese celebra

il suo momento più suggestivo e divertente nella sfilata di

carri allegorici e maschere in centro storico.

PastPresentfuturedal 27 Febbraio al 3 Giugno

Palazzo della Ragione, Piazza dei Signori

Quattro secoli di arte europea, 80 opere antiche e

contemporanee.Al centro di tutto il rapporto tra uomo e natura,

la rappresentazione di sé e degli oggetti.

carmen consoLiLunedì 22 Febbraio alle ore 21:00

Teatro Filarmonico, Via dei Mutilati, 4k

Verona in LoVe Il 13 e il 14 Febbraio Verona ospita l’esclusivo evento per

tutti gli innamorati. Ritorna a Verona la sesta edizione

di Verona il Love.

interzona magazzini 22

Ven 19/02/2010 | TEATRO |

Are We Human: The way_Gruppo di lavoro parateatrale

7-11 settembre 2009

Sab 20/02/2010 | MUSICA |

Mojomatics (garage punk’n’roll_IT)

Sab 20/02/2010 | DJ SET |

IZ Sound System plays rock! (dj set_IT)

Ven 05/03/2010 | TEATRO |

Are We Human: La timidezza delle ossa_Pathosformel

+ Barok_Barokthegreat

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