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DIRITTO PRIVATO EUROPEO

a cura di

G. ALPA - CAPILLI

CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI2006

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Copyright 2006 by Cedam - Padova

ISBN 88-13-27196-4

Ai sensi della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la ri-produzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettro-nico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.

Stampato in Italia - Printed in Italy

Fotocomposizione PROGETTO STAMPA di G. Pizzato - Bassano del Gr. (VI)

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ANDREA FUSARO Professore Straordinario di Sistemi giuridici comparati

nella Facoltà di Giurisprudenza di Genova

I RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI

IN PROSPETTIVA COMPARATISTICA (*)

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Modelli giuridici e modelli sociologici: una sintesi. — 3. Il lungo viaggio verso la parità. - 3.1. L’avvicendarsi dei modelli. - 3.2. Il controllo della ricchezza. - 3.3. Regole peculiari per i beni immobili. - 3.4. La tutela della donna. — 4. Regimi primari o contributivi e regimi distributivi. — 5. Le tassonomie dei sistemi. - 5.1. - Sistemi legali ed opzionali. - 5.2. Sistemi di separazione e sistemi di comunione. - 5.2.1. I sistemi di separazione. - a) Inghilterra. - 5.2.1.b) Stati Usa. - 5.2.1.c) Germania. - 5.2.2. Sistemi di comunione. - a) Francia. - 5.2.2.b) Germania. - 5.2.2.c). Stati Usa. - 5.2.3. Comunione differita. — 6. La disciplina dell’ammi-nistrazione. - 6.1. Nei sistemi di comunione. - a) Francia. - 6.1.b) Stati Usa. - 6.1.c) Germania. - 6.2. Nei sistemi di separazione. - 6.2.a) Inghilterra. - 6.2.b) Stati Usa. 6.2.c) Germania. — 7. L’eguaglianza dei coniugi. - 7.1. Nei sistemi di comunione. - a) Francia. - 7.1.b) Stati Usa. - 7.2. Nei sistemi si separazione. - a) Inghilterra. - 7.2.b) Stati Usa. — 8. La famiglia e il mondo esterno. — 9. Il regime dei beni destina-ti all’utilizzo comune. - 9.1. Germania. - 9.2. Francia. - 9.3. Inghilterra. — 10. Gli ef-fetti della conclusione del matrimonio. - 10.1. Inghilterra. - 10.2. Francia. - 10.3. Germania. — 11. Una convergenza graduale?

1. PREMESSA. Il regime patrimoniale della famiglia è materia di particolare interesse poiché viene ad incidere nella sfera giuridica ed economica di chi guada-gna, risparmia e capitalizza; minori sono invece i riflessi nel caso di acqui-sti ereditari o nell’ipotesi estrema in cui non si verifichi alcun acquisto. È

_______________ (*) Testo preparato per le lezioni del Master «Diritto privato europeo » organizzato dal-l’Università La Sapienza di Roma.

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pertanto consueto introdurre l’argomento — riguardato nell’ottica compa-ratistica — interrogandosi sull’attitudine del matrimonio ad interferire sulle rispettive aree di azione dei coniugi (1). Negli ordinamenti dell’Europa continentale è presente una terminolo-gia («regime matrimoniaux», «Guterstand», «regime patrimoniale») apposi-tamente rivolta a sintetizzare la disciplina corrispondente, nozione invece assente in quelli anglo-americani (2). Si registra quindi una situazione op-posta rispetto, ad esempio, al fenomeno del trust, con riguardo al quale i sistemi di Common law hanno sviluppato un unico istituto polifunziona-le mentre in quelli continentali le identiche domande hanno trovato solu-zioni plurime (3). Tradizionalmente si è soliti classificare i diversi sistemi in base all’esistenza o meno di un fondo comune, ma è in realtà la distribuzione dei poteri di amministrazione l’aspetto più importante e come tale da pri-vilegiare nella lettura diacronica delle singole discipline. In ogni caso, per comprendere e valutare i differenti modelli occorre guardare al complesso dei rapporti e non limitarsi ai regimi patrimoniali (4). 2. MODELLI GIURIDICI E MODELLI SOCIOLOGICI: UNA SINTESI. Corrisponde ad un dato comunemente acquisito il constatare che nella storia si è venuto a consolidare un modello di famiglia fondato sulla ripar-tizione dei compiti e dei ruoli, finalizzato alla sua sopravvivenza (bre-dwinner): la moglie era destinata a lavorare in casa (housekeeper) — e quin-di per essa il matrimonio era garanzia del mantenimento (versongungsehe) — ed il marito fuori (5). Ancora nell’Ottocento l’assetto è quello tradiziona-le che vede l’uomo capo e guida della famiglia, unico arbitro della ricchez-

_______________ (1) M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, Introduction. The changing state of Society and the Law, in International Encyclopedia of Comparative Law, vol. 4, Persons and Family, cap. 4, In-terspousal Relations, 1980, p. 46. (2) Le ragioni sono variamente ricercate nell’origine rimediale della Common Law, tali da impedire il formarsi di un settore del diritto in assenza — o estrema esiguità — di conten-zioso che contraddistingue l’ambito dei rapporti patrimoniali finché non interviene la crisi coniugale; oppure nella radicata insofferenza verso ogni ingerenza nella vita privata. (3) In proposito, M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, Introduction. The changing state of Society and the Law, cit., p. 32. (4) M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, op. loc. cit. (5) M. RHEINSTEIN, The family and the Law, in International Encyclopedia of Comparative Law, vol. 4, 1974, p. 12 ss.

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za propria e di quella della consorte (possibili ed eventuali accordi tra i coniugi riguardano del resto la destinazione dei beni piuttosto che dei sa-lari). La rivoluzione industriale ha scosso dalle fondamenta questo plurise-colare ordine, anche se i sistemi normativi ne hanno registrato gli effetti molto lentamente; così anche il mutamento dei regimi matrimoniali e del-le regole successorie è stato graduale (6). È infatti solo dalla seconda metà del Novecento — precisamente a partire dagli anni sessanta — che si può constatare un risveglio del diritto di famiglia nei paesi occidentali, con va-riazioni fondamentali di regole classiche e rinnovata attenzione da parte di settori esterni quali il diritto del lavoro, previdenziale, assistenziale, fiscale. Nonostante la molteplicità di tecniche e spinte politiche e lo scarto tra gli stili, nel corso di venti anni si è venuta a creare una notevole somi-glianza anche in sistemi tra loro distanti (7). I fattori di maggiore unifor-mazione sono stati molteplici; in particolare va segnalata, negli anni set-tanta, l’introduzione del divorzio nei paesi di tradizione cattolica, quali I-talia, Portogallo, Spagna (8). Gli sviluppi in questione hanno rispecchiato l’evoluzione generale del-la società: tra i dati più significativi per i rapporti patrimoniali sono da ri-cordare il mutamento delle forme di ricchezza, la trasformazione del ruolo economico e sociale della donna e quindi il cambiamento delle funzioni assolte dai due sessi, un nuovo volto della famiglia (9). A rendere il quadro più complesso vi è poi la crescente diffusione delle coppie conviventi che, sebbene non coniugate, sono contraddistinte da permanenza e stabilità (10), fenomeno da raccordare con la constatazione

_______________ (6) M.A. GLENDON, Matrimonial property. A comparative study of Law and Social Change, 49 Tulane Law Review, 21-83 (1974); v. inoltre della stessa Persons and Family, Harward, 1998. (7) M.A. GLENDON, The Transformation of Family Law. State, Law and Family in the United States and Western Europe, Univ. Chicago Press, 1989, ediz. 1989, p. 1. (8) M.A. GLENDON, Abortion and Divorce in Western Law , Cambridge, Harvard Univ. Press, 1987. (9) M.A. GLENDON, The Transformation of Family Law, cit., p. 4. V. inoltre A. RIEG, Traits fondamentaux de l’évolution du droit des régimes matrimoniaux dans l’Europe du XXe siè-cle, in Le droit de la famille en Europe. Son evolution depuis l’antiquite jusqu’à nos jours. Actes des Journées Internationales d’histoire du droit (a cura di R. Ganghofer), Strasbourg, 1992, p. 425 ss. (10) R. KOENIG, Sociological Introduction, in International Enciclopedia of Comparative Law, vol. 4, 1974, parlava di «intended duration, attestation, and legitimacy». Da ultimo si veda, a titolo esemplificativo con riguardo ai diversi paesi, M. HARPER - M. DOWNS - K. LANDELLS - G. WILSON, Civil Partnerschip. The new law, ed. Family Law, London, 2005; H.

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fattuale della relatività nel tempo e nello spazio dei modelli di matrimo-nio (11). D’altra parte, le stesse distinzioni tra matrimonio legale, di fatto ed unioni considerate matrimoni dal diritto consuetudinario o religioso, possono registrarsi rispetto ad altre istituzioni parimenti giuridiche e socia-li: così tra divorzio, conclusione di fatto di un matrimonio e recisione del vincolo religioso o consuetudinario. Rispetto ai profili patrimoniali riesce particolarmente pertinente l’osservazione che, con l’accrescersi dello scarto tra modello giuridico e sociologico, tra le relazioni di fatto si staglia l’om-bra di un matrimonio (12). Ovunque, in effetti, lo status coniugale perde rilievo e si attenua la dif-ferenza con il celibato e la convivenza (13); situazione che si verifica non solo nei sistemi anglo-americani (ove è nota l’inclinazione ostile all’intru-sione dello Stato nella vita privata), ma nella stessa Francia in cui si assiste ad un’evoluzione in senso individualistico della famiglia, speculare a quel-la del diritto di proprietà, ricercandosi la garanzia della sicurezza nello Sta-to piuttosto che nell’ambito familiare. La revisione giuridica del concetto di famiglia si trova sospesa così tra due diverse visioni: per l’una essa è fondata sulla cooperazione e sulla co-munione di interessi, per l’altra è rivolta a promuovere la realizzazione dell’individuo. Poiché si tratta in prevalenza di un diritto privo di sanzioni occorre guardare al dato sociologico per comprendere il senso delle tra-sformazioni e per dare un senso alle nuove regole (14). In uno studio del 1985, L.Roussel ha posto in evidenza come vi sia sta-to, a partire dal 1965, un movimento sorprendentemente generale ed uni-

_______________ WOOD - D. LUSH - D. BISHOP, Cohabitation. Law, practice and precedents, 3ª ed., Family Law, London, 2005; G. KESSLER, Les partenariats enregistrés en droit privé, 4ª ed., Dalloz, Paris, 2004. Cfr. altresì J. CARBONNIER, Sociologie juridique, 2ª ed., Paris, 2004 ; C. HAMILTON - A. PERERY, Family Law in Europe, 2ª ed., 2001, Lexis Nexis. (11) F. BRUNETTA D’USSEAUX e Ant. D’ANGELO (cur.), Matrimonio, matrimoni, Milano, 2000. (12) M.A. GLENDON, The Transformation of Family Law, cit., p. 16. (13) M.A. GLENDON, op. ult. cit., p. 83, la quale rileva come, curiosamente, proprio in questa fase sia stata ideologicizzata la libertà di sposarsi. V. inoltre A. BARLOW - S. DUN-CAN - G. JAMES - A. PARK, Cohabitation, Marriage and the Law, Hart Publishing, 2004; S. CRETNEY, Family Law in the Twentieth Century: A History, 2003, Oxford University Press; ID., Essay for the New Millennium, Jordans, 2000. (14) V. POCAR - P. RONFANI, La famiglia e il diritto, 2003, Roma-Bari; J. EEKELAAR - T. NHLAPO, The Changing Family. Family Forms and Family Law, Oxford, 1998; J. GOODY, Famiglia e matrimonio in Europa. Origini e sviluppi dei modelli familiari dell’Occidente (tit. orig. The Developement of the Family and Marriage in Europe, London, 1984), Roma-Bari, 1991, a cura di F. Maiello.

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forme che ha visto elevarsi il numero dei divorzi e dei figli illegittimi e, al contrario, contrarsi quello dei matrimoni e delle nascite. L’Autore lo lega ad una diversa concezione del matrimonio, della famiglia, della sessualità, e quindi ad una trasformazione culturale: tra gli aspetti più rilevanti vi è di certo la banalizzazione del comportamento per l’innanzi ritenuto illegit-timo, con la conseguente dissociazione dell’illegalità rispetto all’illegitti-mità; da qui l’emersione di diversi modelli di matrimonio (15). In un tale quadro lo Stato tende ad astenersi dall’intervenire nelle di-spute tra coniugi e dall’accreditare una specifica visione del matrimonio e della famiglia, contribuendo a far scolorire la distinzione tra coppia co-niugale e single. Esso favorisce invece l’accentuarsi dell’autonomia dell’in-dividuo all’interno del gruppo familiare (nei fatti più in USA che in Fran-cia) (16), ed esorta ai principi di uguaglianza traducendoli in norme dalla valenza anche concreta (17). Questa idea, alla base della visione che parifica marito e moglie, madre e padre (18), sconta peraltro incongruenze specie nella famiglia ove sono stati cresciuti figli tanto che in sede di divorzio av-vengono — per legge o per contratto — compensazioni. In ogni caso, come già M. Weber aveva sottolineato, la deregolamenta-zione in nome della libertà significa abbandonare il campo ai poteri priva-ti, con possibili ripercussioni negative in danno dei soggetti deboli ossia delle donne e dei bambini: è in questo ambito, pertanto, che si giustifica ed impone l’intervento dello Stato (19). 3. IL LUNGO VIAGGIO VERSO LA PARITÀ. 3.1. — L’avvicendarsi dei modelli.

I modelli storicamente succedutisi nel tempo — e di cui si sono rapi-damente già tratteggiati i caratteri generali — oscillano dalla totale preferen-

_______________ (15) L. ROUSSEL, Démographie: Deux Décennies de Mutation, lavoro presentato alla quin-ta Conferenza Mondiale dell’International Society on Family Law, Bruxelles, 8-14 luglio 1985. (16) M.A. GLENDON, The Trasformation of Family Law, cit., pp. 145-147. (17) Ad esempio, nel NordReno-Westfalia una legge tiene conto delle necessità del lavoratore di occuparsi della casa. Dopo la legge tedesca 1976 sull’eguaglianza si è di-scusso circa l’obbligatorietà del riconoscimento alle donne lavoratrici di maggior spazio per i lavori di casa . (18) M.A. GLENDON, op.ult.cit., p. 146. (19) MAX WEBER, Law in Economy and Society, Harvard University Press, 1954, p. 134.

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za accordata alla predominanza maschile fino alla completa parità (20). Gli storici riferiscono che nella maggior parte delle antiche tribù ger-maniche (sembra facessero eccezione gli Anglo-Sassoni) le donne erano sot-toposte al «Mund», una sorta di tutela maschile, ma già a partire dall’Alto Medioevo esse acquisirono una certa indipendenza e la rappresentanza e-sercitata dagli uomini venne circoscritta alle sole azioni giudiziarie ed ai negozi più importanti, specie quelli riguardanti beni immobili. Dal XVI secolo il «Mund» fu ripreso in parti della Germania e della Svizzera, anche se non venne applicato alle donne impegnate nel commer-cio, finché alla fine del XVIII sparì quasi del tutto, sopravvivendo soltanto in alcuni cantoni svizzeri sino al 1881. Rimase tuttavia sancita ancora per lungo tempo l’incapacità per le donne di agire in giudizio e di concludere certi contratti: in Germania fino al 1900 con l’entrata in vigore del BGB, in Francia ed in Spagna rispettivamente sino al 1942 ed al 1975. Il BGB — nella sua veste originaria — , pur senza sancire in modo espli-cito la supremazia del marito, nondimeno lo trattò come parte dominan-te (21): ad esso era infatti attribuita ogni decisione riguardante la famiglia, inclusa quella relativa alla residenza (§ 1354, oggi abrogato); gli veniva consentito di ottenere l’autorizzazione giudiziale per estinguere un con-tratto d’opera concluso dalla moglie con un terzo (§ 1358, oggi abrogato); era inoltre riconosciuto usufruttuario ed amministratore di una parte del patrimonio della moglie (e cioè di quella non corrispondente ai di lei gua-dagni, diversa dai beni personali, da quelli alla stessa affidati in ammini-strazione o attribuiti dal donante con l’espressa esclusione dell’ammini-strazione od usufrutto del marito) (§ 1363, nel testo originario). Un tale regime è rimasto invariato fino all’avvento nel 1949 della Co-stituzione (Grundgesetz) che ha proclamata l’uguaglianza di diritti tra uomini e donne, anche nell’ambito della comunità familiare (art. 3) (sep-pur sotto la speciale protezione dello Stato), principio che ha portato a di-chiarare incostituzionali tutte le disposizioni del BGB ispirate alla logica della preminenza del marito (il modello detto del «Hausfrauenehe», rac-

_______________ (20) Una sintesi è offerta da M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, op. cit., p. 9 ss. Utili cenni anche in M.D. PANFORTI, Privilegio ed eguaglianza nell’evoluzione del modello familiare di common law. Riflessioni comparative sulla trasmissione intergenerazionale dei beni, in Fami-lia, 2002, p. 425 ss. (21) Sul carattere patriarcale del diritto di famiglia del BGB v., in particolare, F. WIE-ACKER, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit, 2, Göttingen, 1967, p. 480; nonché R.C. VAN CAE-NEGEM, Introduzione storica al diritto privato, Bologna. 1995, p. 187 ss.

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chiuso nel par. 1356/I BGB, è stato peraltro rimosso solo con la riforma del 1976 che l’ha sostituito con il «Berufstaetigenehe»). Analogo modello si ritrova in Francia dove la supremazia del marito è riconosciuta dall’art. 213 Code civil nella versione in vigore sino al 1938. Si deve arrivare alla legge del 4 giugno 1970 perché si trovi stabilita la pari-tà tra i coniugi. Anche negli USA l’uguaglianza tra uomo e donna è una conquista re-cente: nel 1923 fu proposto al Congresso un primo Emendamento in tal senso, ma esso venne approvato solo nel 1972 (1979) come «Equal Rights Amendment». Sulla base di questo atto è derivata la rimozione delle resi-due disparità, nonostante la tradizionale astensione dello Stato dall’inge-renza nei rapporti coniugali (22). 3.2. Il controllo della ricchezza. Nei sistemi in atto nel XIX secolo sono stati identificati i «sistemi tra-dizionali» (23), accomunati dal controllo del marito sulla ricchezza — indif-ferentemente sua, comune o della moglie — e dal suo obbligo di provvedere al sostentamento della famiglia; dalla rappresentanza della moglie quasi come tutore, potere sopravvissuto al riconoscimento della capacità d’agire alle donne maggiorenni. Essi sono stati raggruppati a seconda che importassero la concentra-zione della ricchezza in mano al marito (a), oppure il controllo unificato nonostante la separatezza del titolo (b), infine la comunione (c). Esemplare modello di concentrazione nelle mani del marito (a) era in Common Law il regime qualificato come «personal property», per il quale al momento del matrimonio il marito veniva ad acquistare tutti i beni mobili della moglie e successivamente acquisiva quanto le fosse pervenuto. Tra i secondi (b) sono stati annoverati in Common Law la «real estate» (b. 1), formata da beni di cui il marito aveva la possession ed i frutti, pur non potendo alienarli senza il consenso della consorte, né costituirli a ga-ranzia dei suoi debiti; la dote (b. 2) che il padre della sposa o un terzo od ancora la donna stessa versava al marito, il quale in diritto romano e nella tradizione romanistica ne acquistava la proprietà — seppur il suo potere di disporne fosse assai limitato — , secondo una regola che però con il tempo

_______________ (22) V. ROPPO, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, Il Mulino, 1981. (23) M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, op. cit., p. 34.

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vide l’elaborarsi di clausole derogatorie; la dissociazione tra titolarità e di-sposizione adottata in origine dal BGB e dal Codice svizzero del 1907 (b. 3), laddove la titolarità dei beni competeva alla moglie la quale era dotata anche della capacità di agire, poteva impegnarsi a cederli, anche se per il loro trasferimento occorreva l’intervento del marito, secondo la concettua-le scansione tedesca tra negozi obbligatori (Verpflichtungsgeschaeft) e di-spositivi (Verfuegungsgeschaeft). La comunione (c) è rintracciata in molti paesi di Civil Law ed in nu-merosi stati americani: coinvolge alternativamente tutti i beni, oppure quelli mobili soltanto, od ancora esclusivamente quelli acquistati durante il matrimonio. Finché la moglie fu considerata priva di capacità d’agire l’amministrazione era totalmente affidata al marito; successivamente fu in-trodotta la necessaria autorizzazione della stessa per gli atti di disposizione. 3.3. Regole peculiari per i beni immobili. Le indagini comparatistiche hanno evidenziato la presenza di regole particolari per i beni immobili (24), che sin dai regimi consuetudinari han-no assecondato l’inclinazione a mantenerli in famiglia o secondo la linea di sangue, contrastando quindi la tendenza del matrimonio a distribuire la ricchezza. Nel diritto inglese la moglie conservava gli immobili, mentre il marito acquisiva i mobili. La comunione divenuta consuetudine nel nord della Francia eccettua-va i beni posseduti anteriormente al matrimonio nonché quelli conseguiti successivamente per successione ereditaria o donazione, cosicché rimane-vano personali i beni di famiglia pervenuti al coniuge prima o dopo il ma-trimonio. Anche i sistemi di comunione universale consentivano di escludere gli immobili ereditati o ricevuti in donazione, almeno laddove il testatore od il donante l’avesse disposto. 3.4. — La tutela della donna. Altro aspetto oggetto di rilevazione trasversale è la tutela della donna.

_______________ (24) M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, op. cit., p. 36.

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Nei sistemi continentali l’accentramento dell’amministrazione nelle mani del marito trovava bilanciamento in cautele legali, quale l’inaliena-bilità della dote e l’esposizione a responsabilità del marito per «mala gestio» della stessa, per la cui tutela in Francia era prevista un’ipoteca legale a fa-vore della moglie, così come in Germania dove peraltro la sua costituzione presupponeva un ordine giudiziale. In Inghilterra, a partire dal XVI secolo, i rimedi vennero dall’Equity: il Cancelliere poteva infatti privare il marito sia dell’amministrazione sia dei frutti, nominando un terzo trustee e la moglie beneficiaria; in ordine a la-sciti ereditari e donazioni, ove non fosse diversamente disposto, trustee era invece considerato lo stesso marito. Altro accorgimento era la «tenancy by entireties» per cui se un fondo era acquistato dai coniugi essi divenivano non già «joint tenants», ma «tenants»dell’intero cosicché nessuno dei due lo poteva dividere finché il matrimonio fosse durato (25). A seguito della Rivoluzione industriale un graduale mutamento inte-ressa la materia. Nei sistemi anglo-americani la tradizione aveva affidato interamente al marito le «personal property», mentre delle «real property» gli aveva attri-buito solo il controllo. Specie in Inghilterra si era assistito all’innesto di un separato «estate» in equity. In uso erano accordi azionati di fronte alla Court of Chancery per assicurare alla moglie maggiori poteri di ammini-strazione. Con il consolidarsi di un diverso assetto economico-sociale nell’In-ghilterra del XIX secolo, la situazione subordinata delle donne e delle lavo-ratrici era divenuta ormai ingiustificabile tanto da essere pubblicamente denunciata da J.Stuart Mill con il suo saggio del 1869 sulla «Soggezione delle donne» (26). Le Corti ed il Parlamento, anche sotto la spinta dell’ari-stocrazia che intendeva tutelare i propri interessi prima di qualunque ri-volgimento, per lungo tempo avevano peraltro operato per rallentare le ri-forme. La prima legge porta la data del 1870 (27); essa assomigliava, nella sostanza, alle riforme francesi del 1907 ed al testo originario del BGB: ve-niva infatti assicurata alla moglie la titolarità del suo patrimonio e la capa-

_______________ (25) Per questa ricostruzione v. ancora M. RHEINSTEIN e M.A. GLENDON, op. cit., p. 36 ss. (26) «The Subjection of Women», in JOHN STUART MILL e HARRIET TAYLOR MILL, Es-says on Sex Equality, University of Chicago Press, 1970, 123, 170. (27) Women’s Property Act 1870. Occorre ricordare peraltro che la capacità di gestire il proprio patrimonio era stata previamente attribuita alle donne separate dal Matrimonial Causes Act 1857.

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cità di disporre dei suoi guadagni. Con il successivo Act del 1882 (28) le veniva riconosciuta la titolarità esclusiva di tutti i suoi beni, a prescindere dalla provenienza (qualche anomalia della legge fu in seguito rimediata con gli Act del 1884, 1893, 1907, 1908, 1935). La necessità di riforme volte a migliorare la posizione della donna co-niugata, in considerazione anche dell’accresciuto numero delle lavoratrici, si manifestò pure negli Stati Uniti dove anzi si registrano i primi interven-ti legislativi: già nel 1839 infatti lo Stato del Mississipi aveva emanato una legge in tal senso ed alla fine del secolo XIX in tutti gli Stati erano state dettate regole in materia. Le Corti tuttavia continuarono a lungo ad offrire interpretazioni restrittive il che costrinse i legislatori ad intervenire più vol-te per ribadire il principio di uguaglianza. In caso di divorzio, originariamente le pretese della moglie erano state limitate ad un assegno alimentare, se non in colpa, ed al diritto di abitare la casa familiare. In Francia e nei paesi ispirati a quel modello, come Spagna, Portogallo, Olanda, vigeva nel XIX secolo la comunione per pari quote, sotto il con-trollo del marito che pure aveva il controllo dei beni della moglie. Nell’e-sperienza giuridica francese, come del resto in Inghilterra, iniziò peraltro col tempo ad incrinarsi il sistema per effetto di accordi privati, i c.d. con-tract de mariage, attraverso i quali venivano assicurati alla moglie maggiori poteri di amministrazione, poteri che furono poi recepiti da successive leg-gi. Del resto, a partire dai primi del ‘900 inizia quel lento processo di af-fermazione del principio di uguaglianza e di reciproca autonomia patri-moniale — che già stava interessando i paesi di common law — il quale culmina in alcune fondamentali leggi che riformulano interamente la di-sciplina. Con la legge del 13/7/1965, n. 65-570, si riduce la comunione su-gli «acquisti e sui mobili» (il sistema originario teneva fuori le terre su cui pertanto la moglie non poteva vantare pretese) agli «acquisti» soltanto, ul-teriormente modernizzando il regime legale nel senso di limitare i poteri del marito — peraltro mantenuto amministratore — ed ampliare quelli della moglie. Con la legge 4/6/1970, n. 70-459 il marito viene privato del ruolo di capo famiglia; rimane amministratore della comunione, anche se per gli atti più importanti occorre il consenso della moglie (29).

_______________ (28) Married Women’s Property Act. (29) P. SIMLER, L’évolution du droit des régimes matrimoniaux en France de 1804 à 1989, ou la conquête de l’égalité, in Le droit de la famille en Europe. Son evolution depuis l’antiquite jus-qu’à nos jours. Actes des Journees Internationales d’histoire du droit (a cura di R. Ganghofer), cit., p. 555 ss.

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Questi interventi sono molto simili alle riforme che intorno al ’900 furono fatte negli otto Stati americani dove vi sono forme di comunione di acquisti, per limitare i poteri di amministrazione del marito, introdurre il consenso della moglie per gli atti più importanti, attribuire alla stessa la gestione dei suoi guadagni. Negli anni ‘60, del resto, molti Stati hanno soppresso l’attribuzione al marito del ruolo di capo famiglia. Sempre in Francia, in caso di separazione o divorzio, oltre alla metà del patrimonio (oggetto della comunione) la moglie può ottenere gli ali-menti, indipendentemente da ogni attribuzione di colpa. In Spagna il sistema di comunione degli acquisti attribuisce alla vedo-va la metà di essi; in difetto, essa ha diritto ad una piccola quota del pa-trimonio, incrementabile in via testamentaria entro limiti ridotti. Da un’analisi comparata emerge, d’altra parte, come in Francia, Spa-gna, America latina vi sia una certa resistenza a preferire la vedova ai di-scendenti, al contrario di quanto invece si registra in USA. 4. REGIMI PRIMARI O CONTRIBUTIVI E REGIMI DISTRIBUTIVI. La Riforma e l’Illuminismo restaurarono l’antica visione del matrimo-nio come contratto, da cui derivarono numerose conseguenze, tra le quali la regolamentazione statale — della formazione e — dello svolgimento della vita matrimoniale: fu così che le codificazioni moderne introdussero la di-sciplina dei diritti e doveri dei coniugi, talora molto in dettaglio come nel Codice prussiano. È consueto distinguere i rapporti personali da quelli patrimoniali, poi suddividere questi ultimi in quelli ascrivibili al regime primario o contri-butivo, e quelli annoverabili al regime secondario o distributivo. Il Code Civil disciplina i rapporti patrimoniali nel libro terzo (artt. 1387-1581) ed i personali nel primo (artt. 144-288), tra questi ultimi collo-cando il «regime primario» (artt. 203-226), altrimenti detto contributi-vo (30). In origine era stabilito che il marito dovesse mantenere la moglie; poi nel 1942 l’art. 214 fu modificato nel senso di addossare l’obbligo di con-tribuzione alla moglie, seppure limitatamente alle sue risorse; nel 1965 il contributo della moglie venne tradotto nei termini di contributo domesti-

_______________ (30) Per una sintetica panoramica dell’originario regime francese si rinvia a M. GIOR-GIANNI, I rapporti patrimoniali tra i coniugi nella legislazione francese, in Riv. dir. matr., 1959, p. 9 ss.

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co o della collaborazione all’attività del marito, ed il potere di chiedere credito a nome del marito fu sostituito dalla rappresentanza reciproca per il compimento degli atti di interesse familiare. La presunzione che la prin-cipale responsabilità per i bisogni della famiglia gravasse sul marito cadde con la riforma del divorzio del 1975 che affermò l’obbligo di contribuzio-ne a carico di entrambi i coniugi. In Germania Occidentale la concezione circa l’uguaglianza tra i sessi sancita dalla Costituzione del 1949 è stata accolta dal legislatore con ri-guardo ai pari diritti all’interno del matrimonio solo nel 1957: il «Glei-chberechtigungsgesetz» — legge rimasta in vigore sino al 1976 — al par. 136 sanciva il dovere di entrambi i coniugi di contribuire al ménage familiare, la moglie lavorando in casa, fuori solo se necessario; esso inoltre introdu-ceva la presunzione di non compensazione dell’eventuale contributo ecce-dente le necessità (31). La riforma del 1976 ha invece disposto per entrambi il dovere di adempiere alle prestazioni domestiche (32). In Inghilterra fu a lungo — fino al 1970 — riconosciuta l’«Agency of ne-cessity» — configurata anche in assenza o addirittura contro la volontà del marito — che permetteva alla moglie di riscuotere i crediti del marito o di contrarre obbligazioni a suo nome per far fronte alle proprie necessità; il dovere del marito di provvedere al mantenimento della moglie fu sostan-zialmente superato dalle leggi che hanno consentito alle corti in sede di separazione di ordinare a ciascun coniuge di provvedere al mantenimento dell’altro.

_______________ (31) Entrata in vigore il 1° luglio 1958. In argomento, F.W. BOSCH, Zum Inkrafttre-tendes Gleichberechtigungsgesetzes am 1. Juli 1958, in FamRZ, 1958, p. 241 ss.; G. BEITZKE, La loi allemande sur l’égalité de l’homme et de la femme, in Rev. int. dr. comp., 1958, p. 39 ss.; cfr. altresì C. LABRUSSE-RIOU, L’égalité des époux en droit allemand, Paris, 1965, n. 194 e s. Anco-ra, sul significato di quella legge e sull’evoluzione dei rapporti coniugali nella seconda me-tà del XX sec., D. HENRICH, Die Ehe: Ein Rechtsinsitut im Wandel, in Toward Comparative Law in the 21st Century, The Institute of Comparative Law in Japan, 1998, p. 51 ss. (32) Sul 1° «Gesetz zur Reform des Ehe-und Familienrechts» (I EheRG) del 14 giugno 1976, cfr. F.W. BOSCH, Neues deutsches Familienrecht 1976/1977, in FamRZ, 1976, p. 401 ss. Più in generale, con riguardo ai diritti ed alla sfera giuridica dei coniugi singolarmente considerati rispetto al vincolo coniugale, GERNHUBER, Ehe und Familie in der Ordnung des Grundgesetzes, in JZ, 1982, p. 817 ss.; WOLF, Grundgesetz und Eherecht, ivi, 1973, p. 647 ss.; v. altresì D. HENRICH, Werentscheidungen im Wertewandel: Betrachtungen zu Art. 6, I, GG, in Festschriften fuer Lerche, Muenchen, 1993, p. 239 ss. Più in generale, sull’evoluzione del di-ritto di famiglia tedesco, C. DOERR - B. HANSEN, Die Entwicklung des Familienrechts seit Mitte 1997, in NJW, 1998, p. 3243 ss.; A. WEBER, idem, ivi, 1998, p. 3083; v. altresì, con particolare riguardo al ruolo della giurisprudenza, S. PATTI, Cento anni del codice civile tede-sco: il diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1997, p. 677 ss.

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Negli Stati Uniti, a partire dal 1979, le corti hanno ricavato dalla «E-qual Protection Clause» l’esistenza di un pari obbligo di contribuzione, obbligo peraltro scarsamente azionato nel corso del matrimonio attesa la nota resistenza dei giudici — e dello Stato — ad ingerirsi nella vita domesti-ca. Nel quadro della presente ricerca il regime primario interessa, per un verso, nella prospettiva della sua metamorfosi durante la crisi coniugale — nell’obbligazione alimentare talora comminata attraverso pagamenti pe-riodici, altra volta in atti solutori una tantum che configurano sistemazioni patrimoniali — ; e per altro verso nell’esposizione di entrambi i coniugi a responsabilità per debiti contratti — anche da uno solo — per il soddisfaci-mento di bisogni della famiglia. I separati riflessi saranno quindi ripresi nelle rispettive sedi. 5. LE TASSONOMIE DEI SISTEMI. La letteratura comparatistica ha consolidato una serie di tassonomie all’interno delle quali raggruppare i modelli di regolamentazione dei regi-mi patrimoniali che diremmo in senso stretto — oppure «secondari» mu-tuando la terminologia francese — ossia il complesso delle regole che pre-siedono alla distribuzione della ricchezza che transita per la sfera dei co-niugi. 5.1. Sistemi legali ed opzionali. Una prima classificazione scevera i sistemi legali da quelli opzionali. Nel lessico continentale troviamo un regime legale che indica la disci-plina dei rapporti patrimoniali dettata direttamente dalla legge; non è mai inderogabile, dal momento che i coniugi possono sostituirlo con un altro, oppure forgiarlo a piacere, ancorché entro certi limiti (33). Sia in Francia sia in Germania è presente uno schema disciplinato dal-la legge («regime legal»,»gesetzliche Guterstand»), operante in assenza di diversa opzione, sempre consentita.

_______________ (33) S. PATTI, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia, 2002, 2, p. 285 ss.; cfr. inoltre N. PETRONI-MAUDIERE, Le declin du principe de l’immutabilité des re-gimes matrimoniaux, Pulim, Limoges, 2004.

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In Francia regime legale è la comunione dei beni, in Germania la Zu-gewinngemeinschaft ; ma sono presenti anche altre forme di comunione, nonché la separazione. Nel diritto tedesco si distinguono tre forme basilari di disciplina pa-trimoniale della famiglia: la Zugewinngemeinschaft, la separazione dei be-ni e la comunione dei beni (34). Nei sistemi emuli di quello francese sono diffusi i «contrat de maria-ge» (35). Nei sistemi di derivazione tedesca il regime legale è tendenzialmen-te accettato (36). Attesa la variabilità delle esigenze e la mutevolezza delle medesime oc-corre conoscere i margini di modificabilità del regime legale. I sistemi con-tinentali dedicano ampio spazio alle convenzioni prematrimoniali, ma al contempo ne hanno limitato la modificabilità dopo il matrimonio: così l’originario tenore dell’articolo 1395 Code Civile. Oggi tutti i sistemi riconoscono in proposito autonomia ai coniugi ed il problema è pertanto divenuto quello dell’individuazione dei limiti, spe-cie a protezione della parte più debole (37). BGB e Code Civil tratteggiano

_______________ (34) Circa la possibilità di configurare anche regimi atipici, v. per tutti D.SCHWAB, Familienrecht, 9ª ed., München, 1999, p. 103 ss. (35) B. BRAAT, Indipendence et interdipendence patrimoniales des epoux dans le regime ma-trimonial legal des droits francaise, neerlandais et suisse, Berne, Staemplfli éd., 2004 (si cfr. an-che la recensione di F. FERRAND, in Rev. int. dr. comp., 2005, p. 535 ss.). Per un caso di scel-ta del regime di separazione con previsione della comunione degli acquisti, Cour de Cass., 25 novembre 2003, in Dalloz, 2004, p. 2335, con nota di J. REVEL, L’impérativité de l’article 1415 du code civil gagne-t-elle les régimes séparatistes? Più in generale, sull’efficacia dell’op-zione per la separazione J. LEROY, Perspectives sur le devenir du régime de la séparation de biens, in Rev. trim. dr. civil, 1981, p. 31 ss. (36) In Austria, in particolare, il regime patrimoniale dei beni è quello della separazio-ne (§§ 1233-1237 ABGB), con peraltro una serie di temperamenti che tengono conto degli incrementi patrimoniali e dell’apporto di entrambi i coniugi durante la comunione di vita. Come in Germania anche in Austria il diritto matrimoniale ha subito nel tempo diverse modifiche più o meno rilevanti: l’ultima si è avuta con una legge del 1999 («Eherechts-Aenderungsgesetz») (EheAEG 1999), entrata in vigore il 1° gennaio 2000, su cui v., tra gli altri, S. FERRARI, La riforma austriaca del diritto matrimoniale, in Familia, 2001, 1, p. 165 ss. Per le precedenti modifiche cfr. F. BYDLINSKI, La riforma della disciplina dei rapporti patri-moniali tra I coniugi in Austria, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 622 ss. (37) Il rilievo è di M. GLENDON, The Transformation of Family Law, cit., p. 136. Quanto ai sistemi anglo-americani cfr., tra i tanti, S. LEECH, With All My Worldly Goods I Thee En-dow? — The Status of Pre-Nuptial Agreements in England and Wales, in 34 Family Law Quar-terly, 2000, p. 193 ss. (anche con riguardo alla proposta del governo laburista inglese del 1998 di rendere vincolanti — enforceable — per il giudice gli accordi premarimoniali); H. NASHIERI, Prenuptial Agreements in United Staes: A Need for Closer Control?, in 12 Internatio-nal Journal of Law. Policy and the Family, 1998, p. 311 ss.; G. GIAIMO, I contratti prematrimo-

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le opzioni, cosicché la loro scelta mette al riparo da costi ed «escogitazio-ni», e rassicura circa l’orientamento delle Corti nell’interpretarne i conte-nuti; i profili della capacità ed intenzione sono minimizzati imponendo formalità elevate. La situazione nei paesi di Common Law è diversa (38). Sino a tempi re-centi il Common Law era ostile nei confronti dei contratti con cui gli spo-si od i fidanzati prefigurassero le conseguenze patrimoniali del divorzio, sia quanto ai beni sia quanto al diritto al mantenimento. In Inghilterra l’accordo sugli effetti di una futura separazione era con-siderato nullo in quanto inteso come rivolto ad incoraggiare il divorzio, salvo i coniugi non fossero già separati e l’accordo non rientrasse nell’am-bito di un tentativo di riconciliazione. In base alla section 25 (1) Matri-monial Causes Act 1973 un tale accordo può del resto essere variato o messo da parte dalle Divorce court, o invalidato per unconscionability. La maggior parte degli Stati americani hanno abbandonato la convin-zione circa la contrarietà all’ordine pubblico del «prenuptial agreements looking toward divorce» (39), cosicché il problema è diventato quello di de-terminarne i limiti (40). In tutti gli Stati si concorda circa la necessità di subordinare l’autonomia contrattuale al soddisfacimento dei bisogni dei figli, ma al di là di questo non vi è uniformità, così come si nota in aper-tura dell’Uniform Premarital Agreement Act 1983 (che nel 1987 figurava adottato da nove Stati). Le corti americane tendono a considerare alcuni o tutti i seguenti fat-tori: se vi sia stata completa informazione circa i patrimoni rispettivi; se il contratto è fair, reasonable, oppure conscionable, salvo riferire la verifica al momento della stipula, oppure dell’esecuzione; comparando le previsio-

_______________ niali in Common Law. Un confronto tra sistemi, Palermo, 1997. Cfr. inoltre A. ZOPPINI, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 213 ss.; con riguardo a profili più specifici, G. OBERTO, «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss.; si v. anche M.D. PANFORTI, Gli accordi paramatrimoniali fra auto-nomia dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul Family Law Amendment Act 2000 Australiano, in Familia, I, 2002, p.149 ss. (38) Nei sistemi USA separatisti ed in Inghilterra riescono problematiche le conven-zioni rivolte ad introdurre la contitolarità di singoli cespiti come case e conti correnti: si ricorre a Joint tenancy e tenancy in common. (39) Dowley v. Dowley (Cal.) 1976. (40) Cfr. H. NASHIERI, Prenuptial Agreements in United Staes: A Need for Closer Control?, cit., p. 311 ss.; M.A. GLENDON, The Transformation of Family Law, cit., p. 137; v. altresì L.W. WAGGONER - G.S. ALEXANDER - M.L. FELLOWS, Family Property Law, Westbury, New York, 1997, in part. p. 564 ss.

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ni contrattuali con quelle legali e verificando se ne derivi la dipendenza di un coniuge dai sussidi pubblici. Secondo il par. 307 A dell’Uniform Mar-riage and Divorce Act — UMDA — un contratto coniugale è solo uno dei fattori di cui deve tenere conto una corte nel giudicare circa una spartizio-ne patrimoniale tra coniugi. Nell’Uniform Marital Property Act — UMPA si è previsto che i coniugi possano accordarsi — prima del matrimonio o durante — circa i profili pa-trimoniali della successione ereditaria o del divorzio (p. 138), nel rispetto dei diritti dei creditori, degli acquirenti e dei figli: così le sezioni 2, 3, 8 (e), 9 (c), 10 (b). Degli accordi prematrimoniali si subordina l’azionabilità alla volonta-rietà, consapevolezza, illustrazione dei rispettivi patrimoni: l’onere della prova circa l’insussistenza di questi requisiti è addossato al coniuge nei cui confronti esso è portato ad esecuzione. In ordine agli accordi postmatri-moniali sono imposti requisiti più severi. Infine, se in conseguenza dell’accordo un coniuge si trova esposto alla pubblica assistenza il giudice ne può chiedere la modifica almeno sino a superare la soglia dell’indigenza. Quindi, laddove ci si voglia assicurare cir-ca la vincolatività del contratto, occorre provvedere in ordine all’assistenza dell’altro. Nei sistemi di civil law figura l’intervento del notaio che fornisce con-sulenza ad entrambi; è talora prevista l’autorizzazione giudiziale delle mo-difiche; mentre i terzi sono protetti dal meccanismo della registrazione. M.A. Glendon suggerisce l’introduzione in USA di formalità simili a quelle per i testamenti, così da ridurre il rischio che gli accordi siano inva-lidati per vizio di consenso o difetto di disclosure (41). Si trovano poi esempi di modifiche successive per fatti concludenti che però ne ostacolano l’azionabilità (42). In ogni caso la strada per l’affermarsi dello strumento contrattuale è tortuosa e notevoli sono i problemi laddove lo si voglia utilizzare per sco-pi non economici, come la durata del matrimonio, il numero dei figli, la divisione del lavoro, i diritti e doveri rispettivi. In effetti nessun sistema dà esecuzione a qualsiasi accordo; il patto sulla distribuzione delle mansioni domestiche, ad esempio, può ricevere sanzioni corrispondenti all’etica ed

_______________ (41) M.A. GLENDON, op.cit., p. 139. (42) In USA molti autori hanno ravvisato nella dimensione contrattuale lo strumento per preservare la neutralità dello Stato, promuovere l’eguaglianza dei sessi, il rispetto della libertà individuale. Costoro però trascurano che spesso questi contratti sono imposti dal coniuge più ricco, che mette al riparo i suoi beni.

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agli usi, ma non legali. Sembra in proposito cogliere nel segno l’afferma-zione secondo cui non può pensarsi che all’arretramento dello Stato dai rapporti patrimoniali corrisponda un avanzamento rispetto agli accordi non patrimoniali (43). 5.2. Sistemi di separazione e sistemi di comunione. Una seconda classificazione contrappone i sistemi ove domina la sepa-razione — o meglio nessun regime — a quelli ove è contemplata la comu-nione, in una o più delle sue varianti. Nell’ambito dei rapporti patrimoniali tra coniugi è centrale la con-trapposizione dei sistemi che esibiscono un regime speciale a quelli che ne appaiono privi: i primi compongono l’area di vigenza della comunione dei beni, mentre ai secondi è ascritta l’opzione per la separazione. Si tratta di una distinzione familiare ai comparatisti, che annoverano questo terreno tra i più fertili per scrutare impianti e trapianti sullo sfondo della circolazione dei modelli giuridici Offre, poi, una prospettiva partico-larmente indicata a rilevare demarcatori propri dei sistemi di civil law, per contrapposizione rispetto a quelli di common law, atteso che l’autonoma trattazione degli effetti patrimoniali del matrimonio è reperibile nella let-teratura giuridica dei primi, non dei secondi. La bibliografia sul regime patrimoniale della famiglia è vasta e nel suo ambito trova posto la descrizione dei due modelli, con lo scandaglio delle rispettive varianti. Nel comparto della comunione dei beni troviamo: la comunione uni-versale; quella dei mobili e degli acquisti; oppure solo degli acquisti; infine la comunione differita. La prima forma è la più ampia siccome riguarda non soltanto quanto acquistato da ciascun coniuge durante il matrimonio — a titolo sia oneroso sia gratuito — , ma pure ciò che è stato conseguito an-teriormente. La seconda esclude gli immobili già posseduti al momento delle nozze, quelli ricevuti in seguito attraverso donazioni o successioni e-reditarie, nonché i mobili di uso personale. Nel terzo tipo il fondo è ali-mentato esclusivamente dagli acquisti perfezionati durante il matrimonio a titolo oneroso. La comunione differita, infine, si articola in un ampio novero di versioni che combinano l’operatività di regole d’impronta sepa-

_______________ (43) In tal senso, M.A. GLENDON, The Transformation of Family Law, cit., p.140.

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ratista durante il matrimonio, con la spartizione finale dei beni o del loro controvalore pecuniario. La prima è la meno usuale; l’ultima la più diffusa: le sue radici sono state rintracciate presso i paesi nordici, ed ha ricevuto abbondante acco-glienza in quanto aggrega i vantaggi della separazione dei beni — che ap-partengono al solo acquirente il quale ne ha l’amministrazione e la dispo-nibilità -, con la distribuzione degli incrementi (paradigmatica è la «Zuge-winngemeinschaft» tedesca). La comunione dei beni è in vigore nei sistemi dell’Europa continenta-le, ed in alcuni Stati americani, mentre gli altri, con l’Inghilterra ed il mondo di common law in genere, compongono il cuore dell’area di sepa-razione. La comunione differita è stata adottata in molti paesi (Paesi nordici; Israele; Quebec; Germania; Svizzera), e imitata in Francia, Olanda, nonché in molti paesi dell’America Latina.

5.2.1. I Sistemi di separazione. — a) Inghilterra.

Con i Married Women’s Property Act di inizio secolo i sistemi anglo-americani fondano il loro regime patrimoniale sulla separazione, ancorché sia ignota in essi tale etichetta, non essendo mai esistito un corpo organico di regole relative agli effetti del matrimonio sui beni di appartenenza dei coniugi (44). Negli anni 1969-70 si è peraltro sviluppato in Inghilterra un vivace di-battito sull’opportunità o meno di procedere a riformare la materia — ov-vero il «non regime» che ne costituiva l’essenza (45) — , culminato nel parere della Law Commission favorevole ad introdurre un sistema di compro-prietà per alcuni beni (46). Le esigenze di riforma non si tradussero peraltro in una modifica del tradizionale sistema di separazione, ma portarono ad introdurre leggi di settore relative a dati beni ovvero a specifiche situazio-

_______________ (44) Caratteri questi costantemente posti in luce dalla dottrina: cfr., a titolo esemplifi-cativo, N. SCANNICCHIO, Beni, soggetti e famiglia nel regime patrimoniale e primario. Un’analisi comparata, Bari, 1992, p. 77; K.J. GRAY - P.D. SYMES, Real Property and Real Poeple - Principles of Land Law, London, 1981, p. 553. (45) Così, S. VERONESI, La «separazione dei beni» nell’ordinamento inglese. La ridistribu-zione dei beni al momento dello scioglimento del matrimonio: i poteri delle Corti, in Riv. dir. civ., p. 641. (46) Family Property Law, n. 42, 1971.

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ni (47). È inoltre di quel periodo l’adozione del «Divorce Reform Act» 1969 (che sostituì alla concezione del divorzio come sanzione il principio che lo vedeva come mero strumento per sopperire alla crisi coniugale), del «Ma-trimonial procedings and Property Act» 1970 (sulle conseguenze patrimo-niali del divorzio) (48), del «Matrimonial Causes Act» 1973 (il quale, abro-gando le precedenti leggi, riunì tutte le regole in un unico atto). All’origine del diverso atteggiamento che è al fondo delle summenzio-nate riforme si pongono due leading cases, Pettit v. Pettit del 1970 e Gis-sing v. Gissing del 1971 (49), in cui la Court of Appeal formulò alcune in-teressanti indicazioni per ovviare all’ingiustizia derivante dalla rigida ap-plicazione della generale «law of property» alle controversie coniugali. In Pettit, in particolare, Lord Diplock suggerì di imputare alle parti «a com-mon intention as to their respective property rights which as fair and rea-sonable men and women they presumably would have formed had they given their minds to it at the time of the relevant acquisition or improve-ment of a family asset». Questo approccio verso la confusione dei patri-moni trova conferma in Lord Upjohn il quale sostenne l’applicabilità della disciplina generale vigente nei rapporti tra estranei, il che valeva ad attri-buire rilievo all’intenzione, come del resto fu indicato anche in Gissing: «it also means that precedents in marital and cohabitation cases are after used interchangeably» (50). Ed è proprio facendo leva sull’intenzione che la corte reputò ragionevole — come candidamente aveva affermato Lord Diplock in Pettit — che i casi venissero risolti, anche se per la dottrina i giudici si sa-rebbero dovuti basare sull’intenzione corrispondente alle prove fornite. Contro l’elaborazione di regole peculiari al contesto familiare si schierò tuttavia la House of Lords: «In reaching a decision the court does not and, indeed, cannot find that there was some thought in the mind of a person which was never there at all. The court must find out exactly what was done or what was said and must then reach conclusion as to what was the legal result. The court does not devise or invent a legal result.». Essa ri-badì così il primato delle «bleak and inflexible rules of property law» in-tendendo quelle in tema di «constructive» e «resulting trust», fondate

_______________ (47) Si vedano, tra gli altri, i «Married Women’s Property Act», 1964; il «Matrimonial Home’s Act», 1967. Su tale legislazione v., per tutti, O. KAHN-FREUND, Recent Legislation on Matrimonial Property, in Modern Law Review, London, 1970, p. 604 ss. (48) Cfr. la relazione della English law Commission, Financial Provision in Matrimonial Proceedings, London, 1969. (49) Pettit v. Pettit, [1970] A.C. 777, 823; Gissing v. Gissing, [1971] A.C. 886. (50) M.A. GLENDON, The Trasformation of Family Law, cit., nota 122, p. 125.

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sull’intenzione comune delle parti, o sul contributo fornito all’acquisto; individuò peraltro nella legge il viatico migliore. Ad esito di questi dibattiti, al fine di adattare le norme relative alle conseguenze del divorzio ai princìpi emersi nelle discussioni e negli studi di settore (realizzati dalla «Law Commission»), il Parlamento emanò «il Matrimonial Proceedings and Property Act» 1970, di grande portata inno-vativa, dal momento che non solo consentiva ad entrambi i coniugi di ot-tenere su di un piano di parità provvedimenti di natura economica, ma soprattutto perché attribuì alle Corti poteri di natura discrezionale finaliz-zati alla redistribuzione tra i coniugi dei beni di proprietà individuale, e di riallocare i poteri di acquisto (51). Di seguito il «Matrimonial Causes Act» 1973 (52) — che ha abrogato i precedenti Acts del 1969 e del 1970 riunendo-li in un unico testo — autorizzava le Corti ad operare trasferimenti patri-moniali, tenendo conto di precise circostanze tra cui «the contributions made by each of the parties to the welfare of the family, including any contribution made by looking after the home or caring for the family». Il «Matrimonial and Family Proceeding Act» del 1984, infine, pure se inno-vativo per alcuni profili (l’importanza attribuita al benessere dei figli mi-nori) non ha rappresentato uno scostamento cospicuo dalla disciplina previgente: le regole infatti, ancorché rivolte a favorire il «clean break», non hanno trattenuto le corti inglesi dal postulare la sopravvivenza al di-vorzio di un obbligo di mantenimento (53). Attualmente la comunione in equity viene costruita, indipendentemen-te dal titolo, mostrando: 1) il contributo di entrambi i coniugi all’acquisto; 2) il prelievo da un fondo comune; 3) il contributo monetario o economi-camente apprezzabile di un coniuge al patrimonio dell’altro. Si tratta inve-ro di prove assai difficili; in particolare è problematico dare rilievo a con-tributi indiretti rispetto alla titolarità dei beni, il che rischia di portare a disconoscere il lavoro casalingo. In una prima fase si esamina se e quando possa assegnarsi un interesse; segue poi la determinazione della quota: se sono quantificabili i contributi rispettivi, essa viene fatta corrispondere a

_______________ (51) K.J. GRAY, Reallocation of Property on Divorce, 1977, p. 290 ss. (52) Simile all’Australia’s Family Act del 1976. Per una applicazione dei poteri discre-zionali conferiti all’autorità giudiziaria dal «Matrimonial Causes Act» 1973, si veda Hous of Lords, Opinions of the Lords of Appeal for Judgement 26 ottobre 2000, in Familia, II, 2002, p. 827 ss. (53) Cfr. fra i tanti, per maggiori approfondimenti sul diritto attuale, P.M. BROMLEY - N.V. LOWE, Bomley’s Family Law, 8ª ed., London, 1992; J. DEWAR, Law and the Family, 2ª ed., London, 1992; S.M. CRETNEY - J.M. MASSON, Principles of Family Law, 5ª ed., London, 1990.

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questi; diversamente, si applica la tesi della joint enterprise che produce quale esito la parità di quote, ancorché non si tratti di un indirizzo uni-forme. La Law Commission nel 1985 ha invero proposto di introdurre una presunzione di uguaglianza delle quote anche se limitatamente alle ipotesi dei contributi finanziari, senza affrontare la questione più in gene-rale (54). Quanto ai diritti del terzo essi sono incisi dalla presente situazione di incertezza specialmente dopo che nel 1981 la House of Lords in Williams & Glyn’s Bank v. Boland ha disposto l’opponibilità del diritto della mo-glie in «actual occupation». Le joint tenancils non eliminano il problema, atteso che i beni acqui-stati con i denari di un coniuge ed intestati ad entrambi potrebbero inten-dersi in resulting trust per il coniuge erogatore, oppure un dono per la me-tà, oppure soggetto ad accrescimento in caso di premorienza. Differenziato è il trattamento riservato alla casa coniugale, in relazione alla quale il regime separatista inglese è stato molto modificato: in propo-sito non vi è una disciplina unitaria ma un reticolato di regole. Il «Matri-monial Houses» Act del 1967 attribuisce al coniuge non intestatario un «right of occupation» della casa coniugale che, se registrato, è opponibile agli aventi causa ed ai creditori; il «Domestic Violence and Matrimonial Procedings Act» 1976 consente alle Corti di ordinare al coniuge intestata-rio lo sgombero dalla casa; il «Matrimonial Houses Act» 1983 sect 1 (3) at-tribuisce infine grande potere discrezionale alle Corti invitandole a tener conto di ogni circostanza (55). In conclusione, nel sistema inglese ci fu un periodo in cui esso sem-brava volesse favorire l’introduzione della comunione: a livello di commis-sioni ciò fu varaiamente proposto nel 1956 e nel 1969, ma nel Report 1973 la «Law Commission» raccomandò la contitolarità limitatamente alla casa coniugale. Il «Matrimonial Procedings and Property Act» 1970, conso-lidato nel «Matrimonial Causes Act 1973», ha implementato la comunione attraverso la diversa tecnica di ridistribuzione ad esito del divorzio (56). Nel 1978 e nel 1982 la «Law Commission» ha ribadito la necessità di protegge-re le pretese verso la casa familiare ed ha proposto l’introduzione di una contitolarità, a somiglianza di quella ottenuta in USA dalle «homestead laws», tale da imporre l’amministrazione necessariamente congiunta, rac-comandandone la pubblicità; la proposta non è stata però accolta. Le Cor-

_______________ (54) M.A. GLENDON, The Trasformation of Family Law, cit., p.127. (55) Ed attribuisce al coniuge non intestatario del lease la protezione del Rent Acts. (56) Ciò che le corti possono fare a titolo ereditario.

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ti hanno invece mostrato di proteggere la moglie sia con riconoscere «op-ponibilità» del suo right in occupation (come nel già citato Williams & Glyn’s Bank v. Boland), sia verificando l’autenticità del suo consenso alla disposizione della casa familiare (57).

5.2.1.b) Stati USA.

Negli Stati ove vige il regime della separazione la situazione è simile a quella inglese (58). In alcuni Stati l’uso ed il possesso congiunti generano una presunzione di comproprietà; in altri essa dipende dalla prova dell’intento. Nella prassi è diffusissima la «joint tenancy with right of survivorship», quindi una comunione scelta volontariamente; in caso di controversia è tuttavia ammessa la prova del diverso intento di cointestare senza donare. In linea di principio l’amministrazione è libera, ma esistono regole sia legislative sia giurisprudenziali volte a prescrivere il consenso di entrambi i coniugi per gli atti di disposizione, specie se riferiti alla casa familiare. Le Homestead law garantiscono altresì una certa protezione della casa nei confronti dei creditori familiari. In molti Stati le corti in sede di divorzio possono disattendere le risul-tanze dei titoli (59), il che ha contribuito a rendere il regime patrimoniale della coppia non in crisi oggetto di scarsa attenzione (se si eccettua ciò che riguarda la posizione dei creditori) (60). In sintesi, in Inghilterra e negli USA non si acquistano diritti sui beni dell’altro coniuge durante il matrimonio, ma solo al suo scioglimento, ta-lora a titolo di indennizzo, talora in attuazione di un presunto intendi-

_______________ (57) L’esito è il maggiore coinvolgimento della moglie nei rapporti contrattuali. Cfr. M.A. GLENDON, The trasformation of Family Law, cit., pp. 128-129. (58) Specie in caso di decesso di un coniuge. (59) Inoltre il coniuge superstite è abbondantemente protetto. (60) Peraltro nel 1983 è stato presentato un Uniform Marital Property Act (UMPC) che regola solo il regime della coppia in salute (ongoing): rende i coniugi titolari di quanto acquistato durante il matrimonio, salvo di ciò che è pervenuto per donazioni e lasciti ereditari; l’amministrazione è disgiunta, fatta eccezione per le donazioni. Indiret-tamente interferisce sulla sistemazione conseguente al divorzio introducendo una pre-sunzione di comunione. È curioso che si sia occupato proprio dell’spetto meno rilevan-te, ossia del regime della coppia in salute. Assomiglia ad una comunione differita (p. 131), che consente ai coniugi la libera disponibilità dei rispettivi redditi, ma diversa-mente dal solito non garantisce questi diritti rispetto al divorzio. Al contrario, l’attitu-dine prevalente sia in Inghilterra sia in USA è quella di attuare la distribuzione in sede di successione e divorzio, non durante il matrimonio.

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mento della coppia di unire i rispettivi patrimoni. In proposito sono state introdotte molteplici tecniche, cosicché questi sistemi separatisti con spar-tizione finale sono venuti ad assomigliare a quelli comunitaristi che con-sentono l’amministrazione separata: la principale differenza risiede nell’af-fidamento alla discrezionalità delle corti in common law, ed a regole rigide nel civil law (61).

5.2.1.c) Germania.

La separazione sorge ipso iure se i coniugi scelgono il regime patrimo-niale legale della Zugewinngemeinschaft senza ulteriori decisioni al riguar-do (§ 1414 Abs.1). Lo stesso vale di regola in caso di esclusione del con-guaglio patrimoniale o previdenziale (§ 1414 Abs.2) (62). Le masse patri-moniali dei coniugi sono trattate come se non fosse mai intercorso un ma-trimonio. Ciascun coniuge ha il pieno ed esclusivo possesso delle cose a lui appartenenti e le amministra da solo. Tuttavia i coniugi devono conce-dersi reciprocamente l’uso dell’abitazione e della mobilia (63). Per il resto sussistono ancora le obbligazioni di cui ai §§ 1353-1362 considerate a pro-posito degli effetti personali del matrimonio.

5.2.2. Sistemi di comunione. — a) Francia.

La Francia è indicata come l’ordinamento cui la comunione è mag-giormente familiare (64).

_______________ (61) Cfr. ancora M.A. GLENDON, The Trasformation of Family Law, cit., pp. 129130. (62) § 1414: Vigenza della separazione dei beni. «Qualora dal contratto matrimoniale non si deduca altrimenti, l’esclusione o lo scioglimento da parte dei coniugi del regime le-gale dei beni, fa entrare in vigore la separazione dei beni. Lo stesso vale se viene esclusa la compensazione degli incremento patrimoniali o la compensazione dei proventi assistenzia-li oppure se viene sciolta la comunione dei beni» (trad. it. M.G. Cubeddu, Codice civile tede-sco, trad. a cura di S. Patti, 2005). Cfr., tra gli altri, C. CREIFELDS - L. MEYER-GOSSNER, Re-chtswoerterbuch, voce Zugewinngemeinschaft, München, 1990, p. 1391 ss. Si cfr. inoltre per l’evoluzione storica del sistema L. MENGONI, I rapporti patrimoniali tra i coniugi nella legisla-zione germanica, in Riv. dir. matr., 1959, p. 23 ss. (63) In proposito si rinvia ai dati che verranno offerti più avanti. (64) J. FLOUR - G. CHAPENOIS, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1995; G. CORNU, Les ré-gimes matrimoniaux, Paris, 1989; F. TERRE - P. SIMLER, Droit civil. Les régimes matrimoniaux, Paris, 1989; P. MALAURIE - L. AYNES, Cours de droit civil. Les régimes matrimoniaux, Paris, 1988; H.L. MAZEAUD - J. MAZEAUD, Leçons de droit civil, IV, 1, Régimes matrimoniaux, Paris, 1982. Circa la c.d. comunione universale, v. J. THIERRY, La communauté universelle, à la lu-mière des récents arrêts de la Cour de cassation, in Dalloz, 1998, p. 233 ss.

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Un tale regime fu adottato già dal testo originario del Code Civil nella forma della «comunione dei mobili e degli acquisti», la quale escludeva gli immobili posseduti anteriormente al matrimonio, oppure successivamente ricevuti in eredità o donazione; i mobili di uso personale, nonché quelli ricevuti in donazione con l’intesa di non comprenderli nella comunione; dopo il 1907 anche i redditi della moglie ne erano esclusi. L’amministra-zione competeva al solo marito seppur con alcune limitazioni. Nel 1965 fu varata la prima riforma (loi 13 juillet 1965) che riduceva l’oggetto della comunione ai soli acquisti, lasciando fuori qualsiasi bene — non solo immobile ma pure mobile — posseduto anteriormente o ricevuto in eredità o donazione; la difficoltà di provare nei fatti la titolarità esclusi-va dei beni mobili veniva peraltro a limitare parecchio la portata di questa innovazione. In ogni caso, l’art. 1401 Code Civil così emendato è divenuto il modello di comunione più diffuso al mondo (65). La riforma, in particolare, affidava al marito l’amministrazione della comunione, seppure subordinatamente al consenso della moglie per gli at-ti più importanti; richiedeva inoltre il benestare del marito perché la mo-glie potesse disporre dei beni personali di maggior valore (cosicché esso controllava, in sostanza, i beni della consorte, inclusi quelli acquistati con i redditi personali). Il reddito derivante alla moglie dalla collaborazione all’attività del ma-rito rifluiva nella comunione ordinaria, finché alcune leggi, rispettivamen-te del 1980, 1983, 1985, migliorarono la posizione della donna in ordine al lavoro prestato a favore delle iniziative agricole, artigianali e commercia-li del coniuge. La successiva riforma del 1985 ha emendato l’art. 1421 Code Civil at-tribuendo a ciascun coniuge la disposizione separata dei beni comuni, pre-scrivendo l’agire congiunto per quegli stessi atti per i quali in passato era prescritto il consenso del marito sebbene riguardassero beni della moglie, nonché per altri atti quali le donazioni di beni comuni (66).

_______________ (65) M.A. GLENDON, Transformation of Family Law, cit., p. 119; A. RIEG, La partecipa-tion aux acquêts en Allemagne et en France: deux visages d’une même institution, in Mélanges G.Marty, Toulouse, 1978, p. 921 ss. ; G. CORNU, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1974, p. 61 ; G. et M. MORIN, La réforme des régimes matrimoniaux, t. II, Régimes conventionnels et hy-pothèque légale des époux, Paris, 1967, n. 497. (66) Variamente: E. MONTEIRO, A propos des revenues des biens propres des époux dans le régime legal, in Rev. trim. dr. civ., 1998, p. 34 ss.

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5.2.2.b) Germania. La comunione dei beni in Germania trova un’esauriente disciplina nei §§ 1415-1482. Essa si instaura solo a seguito di una convenzione matri-moniale in tal senso (§ 1415 BGB). Quanto alle diverse masse patrimoniali se ne possono distinguere so-stanzialmente tre: il patrimonio comune, il patrimonio particolare, il pa-trimonio riservato. Costituiscono patrimonio comune dei coniugi il patrimonio dell’uno ed il patrimonio dell’altro, così come il patrimonio acquistato dal marito e dalla moglie durante la comunione; i singoli beni diventano comuni senza necessità di un atto di trasferimento contrattuale (§ 1416 Abs. 1 e 2). I beni particolari, esclusi dalla comunione, comprendono i beni non suscettibili di trasferimento contrattuale, come i crediti incedibili ed impi-gnorabili, l’usufrutto, le servitù personali e la partecipazione ad una s.n.c. o ad una s.a.s. come accomandatario. I beni patrimoniali individuali sono amministrati dai coniugi in nome proprio, ma per conto della comunione (§ 1417 Abs. 3). I beni costituenti il patrimonio riservato, ugualmente esclusi dalla co-munione, sono quelli qualificati tali nel contratto matrimoniale, come pu-re i beni ereditari o provenienti da donazione, se il testatore o donante li ha indicati con questa denominazione. A questo proposito sono da inclu-dere in tale categoria i beni sostitutivi, come indicati nel § 1418 Abs. 2 Nr. 3 BGB. La responsabilità della comunione verso i terzi è regolata dai §§ 1437-1440 BGB che distinguono differenti ipotesi. In primo luogo il patrimo-nio comune risponde delle obbligazioni nascenti da negozi compiuti dal coniuge amministratore o rispetto ai quali egli abbia dato la sua approva-zione o che comunque siano efficaci per il patrimonio comune (§ 1438). Sui beni comuni possono soddisfarsi sostanzialmente i creditori di en-trambi i coniugi (§ 1437 Abs. 1). È responsabile poi personalmente in qua-lità di debitore solidale, e quindi con i propri beni personali e parafernali, il coniuge che amministra il patrimonio comune per le obbligazioni del-l’altro le quali costituiscano obbligazioni del patrimonio comune. Il suo obbligo cessa con il venire meno della comunione qualora «le obbligazioni siano a carico, nel rapporto dei coniugi tra di loro, dell’altro coniuge» (§ 1437 Abs. 2). Il coniuge non amministratore è tenuto in solido per le ob-bligazioni che costituiscono obbligazioni del patrimonio comune; sono poi a suo carico quelle derivanti «da un diritto appartenente al patrimonio riservato o al patrimonio particolare dal possesso di una cosa che vi appar-

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tiene» (§ 1440); la sua responsabilità per le obbligazioni comuni, quale de-bitore solidale, si ha anche ex § 1480 nei casi di divisione del patrimonio comune prima della soddisfazione delle relative obbligazioni. Il § 1441 prevede una serie di obbligazioni del patrimonio comune che nei rapporti interni tra i coniugi sono posti a carico solo di quello rispetto al quale esse vengono ad esistenza (ad es. le obbligazioni nascenti da fatto illecito). In ordine alle spese processuali, un’obbligazione solidale nei rap-porti esterni, bisogna distinguere tra cause che i due coniugi avviano con-giuntamente e cause che il coniuge non amministratore promuove nei confronti di un terzo: nella prima ipotesi le spese ricadono sul coniuge che deve sopportarle in base alle norme generali; nel secondo sul coniuge che ha promosso il giudizio, a meno che la sentenza non produca effetti nei confronti del patrimonio comune nel qual caso ne risponde la comunione (§ 1443, cui si rinvia per ulteriori specificazioni). Nel § 1444 dispone circa le spese per la dotazione dei figli nei rapporti dei coniugi tra di loro: se il coniuge amministratore ha promesso o accor-dato al figlio comune una dote dalla comunione essa è a suo carico qualo-ra superi il valore corrispondente dei beni comuni; la dotazione ricade in-vece sul padre o sulla madre nel caso la stessa ipotesi riguardi un figlio non comune. Ancora con riguardo ai rapporti patrimoniali tra il coniuge che am-ministra il patrimonio comune e l’altro coniuge, il § 1445 dispone circa la compensazioni tra le diverse masse patrimoniali. Nella specie, qualora il coniuge amministratore utilizzi il patrimonio comune a vantaggio del suo patrimonio riservato o particolare, deve rimborsarne il valore; simmetri-camente, quando egli faccia uso del patrimonio personale o parafernale a vantaggio di quello comune, può pretenderne il rimborso. L’esigibilità del-la pretesa al conguaglio nell’uno e nell’altro caso sorge però solo dopo la cessazione della comunione dei beni; allo stesso momento si rende esigibi-le quanto è dovuto dal coniuge non amministratore per debiti verso il pa-trimonio comune o il patrimonio particolare o parafernale dell’altro co-niuge, a meno che già prima il suo patrimonio riservato o particolare sia sufficiente a soddisfare le suddette obbligazioni. Per chiedere lo scioglimento della comunione possono agire giudi-zialmente sia il coniuge che non amministra la comunione sia il coniuge amministratore. Secondo il § 1447 il coniuge non amministratore può chiedere lo scioglimento della comunione in quattro ipotesi: quando i suoi diritti possano venire pregiudicati dall’incapacità dell’altro di amministrare il patrimonio comune o nel caso questi abusi dei suoi poteri di ammini-strazione; se il coniuge amministratore viola il suo obbligo al manteni-

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mento della famiglia ed è da temersi un grave pregiudizio; se i beni comu-ni, a causa delle obbligazioni contratte dall’altro coniuge, sono gravati da debiti tali da pregiudicare un futuro acquisto del coniuge che non ammi-nistra la comunione; ed infine se l’amministrazione del patrimonio co-mune ricada nell’ambito dei doveri dell’amministratore di sostegno (fidu-ciario) dell’altro coniuge. Il coniuge amministrante può, invece, agire per lo scioglimento della comunione se il patrimonio comune, a causa delle obbligazioni sorte in capo all’altro coniuge e che vanno a gravare anche nei rapporti reciproci fra coniugi, è oberato di debiti in misura tale da mettere in pericolo un futuro acquisto (§ 1448). Il passaggio in giudicato della sentenza produce lo scioglimento della comunione e l’instaursi del regime della separazione patrimoniale. Nei confronti dei terzi lo scioglimento della comunione è tuttavia opponibile solo se registrato nel registro dei beni presso l’«Amtsgericht» competente o comunque a questi altrimenti noto (cfr. § 1449). Nel BGB è — ovviamente — prevista anche la possibilità di un’ammi-nistrazione congiunta del patrimonio comune da parte dei coniugi, cui è dedicato il sottocapitolo 3 contenente i §§ 1450-1470. In tale ipotesi, i co-niugi hanno congiuntamente il possesso sui beni appartenenti al patrimo-nio comune e solo congiuntamente sono legittimati a disporre dello stesso ed ad avviare controversie giudiziarie al medesimo relative (§ 1451). Su en-trambi grava altresì un obbligo di cooperazione reciproca necessaria a ga-rantire una regolare amministrazione (§ 1452). L’amministrazione comune implica la contestuale presenza dei coniugi o comunque il consenso dell’uno agli atti posti in essere dall’altro e rica-denti sulla comunione, salvo ricorrano situazioni particolari. Ad esempio, qualora uno dei coniugi rifiuti il suo consenso senza sufficiente motivo, il Tribunale della tutela può, su istanza dell’altro, surrogare l’approvazione (§ 1452). Ancora, se uno dei coniugi è impossibilitato per assenza o malat-tia ad adempiere i compiti di amministrazione, l’altro può, ove il ritardo possa recare pregiudizio, compiere un negozio giuridico relativo al patri-monio comune od avviare una controversia giudiziaria in nome proprio o in nome di entrambi i coniugi (§ 1454). L’amministrazione è affidata ad un solo coniuge anche quando l’altro è sottoposto a potestà genitoria o a tutela (§ 1458). Numerosi sono inoltre gli atti di amministrazione che cia-scuno dei coniugi può compiere senza la cooperazione dell’altro (l’elenco è contenuto nel § 1455). È consentito, infine, l’esercizio autonomo di un’attività produttiva e dei negozi relativi, previa autorizzazione dell’altro coniuge (§ 1456). Quanto alla responsabilità nei confronti dei terzi, il patrimonio co-

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mune risponde delle obbligazioni nascenti da negozi compiuti in confor-mità alle regole sopra ricordate circa l’amministrazione congiunta (§ 1460). Delle obbligazioni del patrimonio comune rispondono anche personal-mente i coniugi quali debitori solidali; mentre sul patrimonio comune possono pretendere la soddisfazione i creditori dell’uno e dell’altro coniu-ge (§ 1459). Naturalmente il patrimonio comune non risponde dell’obbli-gazione di un coniuge sorta durante la comunione dei beni in ragione di un diritto appartenente al patrimonio riservato o particolare o del possesso di un bene a questi appartenente, a meno che non si tratti di un diritto o di un bene ascrivibile all’attività produttiva esercitata da un coniuge con il consenso dell’altro (§ 1462). La responsabilità nei rapporti interni dei coniugi è regolata nei §§ 1463-1466 la cui disciplina corrisponde, nella sostanza a quella che i §§ 1441-1444 dettano nel caso l’amministrazione sia affidata ad un solo co-niuge, disciplina già esposta. Con riguardo alla dotazione dei figli il § 1466 considera peraltro solo quelli non comuni, stabilendo che le spese sono a carico del padre o della madre del figlio. Anche per ciò che concerne la compensazione tra le diverse masse pa-trimoniali (patrimonio comune, riservato e particolare) e l’esigibilità della pretesa di compensazione i §§ 1467 e 1468 ripetono le regole già segnalate per l’ipotesi che vi sia un solo coniuge amministratore (e di cui ai §§ 1445-1446). Per lo scioglimento della comunione dei beni può agire giudizialmente ciascuno dei coniugi per le ragioni elencate al § 1469: a parte l’ipotesi del coniuge che senza sufficiente motivo si rifiuti di cooperare ad una regolare amministrazione del patrimonio comune, gli altri casi ripetono quelli sta-biliti, separatamente, a favore del coniuge amministratore e del coniuge non amministratore (§§ 1447-1448), cui pertanto si rinvia. A seguito del venir meno della comunione, per le diverse cause stabili-te nel codice, inizia la c.d. liquidazione del patrimonio comune. In propo-sito vanno distinte due fasi, quella che va dallo scioglimento della comu-nione alla liquidazione e quella successiva che comprende la vera e propria divisione. Fino alla liquidazione vige la comunione «per mano comune» («Ge-samthandsgemeinschaft»), vale a dire che ciascun dei coniugi non può di-sporre della sua quota di patrimonio comune o dei singoli beni, né richie-dere la divisione. Essi amministrano congiuntamente il patrimonio comu-ne, anche se in precedenza l’amministrazione spettava ad uno solo; se la comunione termina per morte di un coniuge, il superstite deve provvedere agli atti necessari per una regolare amministrazione e che non possano es-

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sere rinviati senza pregiudizio, fino a che l’erede non possa altrimenti provvedere (§ 1472). Ciò che viene acquistato in base ad un diritto appar-tenente alla comunione o come sostituzione di un bene della comunione distrutto, danneggiato o sottratto, diviene per surrogazione reale esso stes-so bene comune (§ 1473). La liquidazione è disciplinata dai §§ 1475-1481, salvo quanto i coniugi abbiano diversamente disposto. Prima vanno soddisfatte le obbligazioni del patrimonio comune che, se necessario, va convertito in danaro (§ 1475); eseguiti i pagamenti, il residuo deve essere ripartito tra i coniugi in parti uguali (§ 1476), secondo le disposizioni sulla comunione (§ 1477). Per le obbligazioni della comunione che non fossero state regolate prima della divisione rispondono entrambi i coniugi personalmente e so-lidalmente nei confronti del creditore (§ 1480). Per la responsabilità dei coniugi tra di loro, si deve distinguere a seconda che l’amministrazione fosse stata congiunta oppure affidata ad uno solo. In quest’ultima ipotesi, se il patrimonio comune viene diviso prima che sia soddisfatta un’obbli-gazione della comunione, il coniuge che ha avuto l’amministrazione esclu-siva deve farsi garante nei confronti dell’altro che questi non verrà chiama-to dal terzo creditore a rispondere né oltre la metà dell’obbligazione né ol-tre la somma ottenuta dal patrimonio comune. Se invece i coniugi hanno amministrato congiuntamente, ciascuno deve farsi garante nei confronti dell’altro che questi non venga chiamato a rispondere oltre la metà del-l’obbligazione. Qualora infine il debito nei rapporti interni sia a carico di uno solo dei coniugi, questi deve garantire l’altro che non venga chiamato dai creditori a rispondere (§ 1481). Se un coniuge premuore la sua quota di comunione appartiene all’e-redità e saranno i suoi eredi a procedere alla liquidazione insieme con il coniuge superstite, a meno che questi sia l’unico erede (§1482). Con un contratto matrimoniale i coniugi possono però prevedere che anche dopo la morte di uno la comunione continui tra il coniuge supersi-te e i discendenti comuni che in base alla successione legittima sono chia-mati in qualità come eredi (§ 1483). Perché sia possibile la «comunione continuata dei beni» è peraltro necessario non solo l’accordo preventivo dei coniugi ma anche che il coniuge superstite non si opponga, rifiutando la continuazione (§ 1484). Anche nella comunione proseguita si distinguono il patrimonio co-mune, quello riservato e il particolare. Il patrimonio comune consiste nel patrimonio comune matrimoniale privato delle quote ereditarie di discen-denti non partecipanti alla comunione, ma accresciuto di quelle che il co-niuge superstite acquista dall’eredità del coniuge defunto o dopo l’inizio

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della comunione proseguita (§ 1485). Al patrimonio riservato e al patri-monio particolare del coniuge superstite si riconduce tutto ciò che questi aveva come patrimonio, rispettivamente, riservato e particolare o che come tale acquista in seguito (§ 1486). I diritti e le obbligazioni del coniuge supersite e dei successori parteci-panti corrispondono a quelli della comunione matrimoniale; il coniuge superstite ha la posizione giuridica dell’amministratore esclusivo e i di-scendenti la posizione dell’altro coniuge (§ 1487). Costituiscono obbliga-zioni della comunione continuata le obbligazioni del coniuge superstite come pure quelle del coniuge defunto, che fossero obbligazioni del patri-monio comune della comunione dei beni matrimoniale (§ 1488). Per le obbligazioni della comunione risponde personalmente il coniuge soprav-vissuto (§ 1489). Alla morte di un discendente partecipante alla comunione, la sua quo-ta non ricade nell’asse ereditario. Se lascia discendenti che in caso di sua premorienza al coniuge defunto sarebbero entrati nella comunione, questi subentrano al suo posto. Diversamente, la sua quota si accresce in capo a-gli altri discendenti partecipanti alla comunione e, in mancanza di questi, in capo al coniuge superstite (§ 1490). La comunione continuata dei beni cessa a seguito di scioglimento da parte del coniuge superstite, di sue nuove nozze o di una convivenza regi-strata, oppure con la sua morte (§§ 1492, 1493, 1494). Essa può venir me-no anche nel caso in cui un discendente partecipante agisca contro il co-niuge supersite per il suo scioglimento e passi in giudicato la relativa sen-tenza di accoglimento dell’istanza (§§ 1495-1496). La liquidazione del patrimonio comune nella comunione continuata opera sostanzialmente come nella comunione dei beni matrimoniale (§ 1498). Tutte le obbligazioni comuni ricadono sul patrimonio comune; al-cune obbligazioni sono però a carico del coniuge supersite (§ 1499), altre dei discendenti (§ 1500). I discendenti dividono inoltre le loro quote di comunione in proporzione alle quote ereditarie, come si avrebbe in caso di successione legittima al coniuge deceduto (§ 1503); la responsabilità per le obbligazioni della comunione si determina nei loro rapporti interni in proporzione alle rispettive quote ed è limitata ai beni a loro attribuiti in divisione (§ 1504); analogamente a quanto si dispone nei §§ 1990,1991, es-si possono far valere una eccezione d’insufficienza della massa ereditaria (§ 1504). In ogni caso, ciascuno dei coniugi può, per l’ipotesi che il matrimonio venga sciolto per sua morte, escludere con disposizione di ultima volontà il proseguimento della comunione, qualora egli sia legittimato a privare

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l’altro coniuge della quota di legittima, o ad agire giudizialmente per lo scioglimento della comunione dei beni (§ 1509); analogamente può esclu-dere con disposizione testamentaria dalla comunione continuata dei beni un discendente comune (§ 1511), o ridurre fino alla metà la quota di par-tecipazione al patrimonio comune ad esso spettante alla cessazione della comunione continuata dei beni (§ 1512).

5.2.2.c) Stati USA.

Negli USA la comunione è stata adottata in otto Stati: Arizona, Cali-fornia, Idaho, Luisiana, Nevada, New Mexico, Texas, Washington. Si os-serva, nel complesso, che la disciplina nordamericana della comunione non contempla il reticolato delle previsioni protettive francesi, cosicché il patrimonio comune si trova maggiormente esposto agli abusi individua-li (67).

5.2.3. Comunione differita.

La tendenza dei sistemi separatisti anglo-americani verso la distribu-zione paritetica, e quella dei sistemi comunitaristi francesi e degli USA ver-so un’accresciuta indipendenza ha condotto ad approdi simili a quelli rag-giunti nella Germania e nei Paesi nordici. In questi ultimi vi è una partico-lare forma di comunione, dal momento che è prevista la piena autonomia di ciascun coniuge sia nell’amministrazione sia nella responsablità debito-ria, proprio come nella separazione dei beni; al termine del matrimonio si attua peraltro la distribuzione dei beni ed è per questo che un tale regime è detto di «comunione differita». Il quadro è completato dai diritti ereditari del coniuge superstite e dall’attribuzione di un assegno in sede di divorzio. In Germania Occidentale l’approccio iniziale è stato tuttavia diverso. Il regime prescelto dal BGB, ed in vigore fino al 1953, fu la «Guterstand des Verwaltung und Nutzniessung» che, a somiglianza delle riforme francesi ed anglo-americane, riconosceva alla moglie la titolarità dei propri beni e redditi. Era un regime separatista, dove al marito erano attribuiti l’ammini-strazione ed il godimento della maggior parte dei beni della consorte, ma non il potere di disposizione; in ordine al Vorbehaltsgut la moglie godeva

_______________ (67) W. REPPY Jr., A. SAMUEL, Community property in the United States, 2ª ed., Char-lottesville, 1982. Per una panoramica storica, si cfr. G. MCKAY, A commentary on the law of community property for Arizona, California, Idaho, Louisiana, New Mexico, Texas and Wash-ington, Denver, 1910.

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di piena disponibilità e godimento: si trattava dei redditi derivanti dalla propria attività autonoma, dei beni di uso strettamente personale, degli al-tri beni così qualificati nel contratto di matrimonio, di beni ricevuti in donazione od eredità sotto la condizione della loro titolarità personale. La nuova disciplina introdotta nel 1953 era rivolta ad attuare il princi-pio di uguaglianza sancito dalla Costituzione del 1949; nel frattempo, pe-raltro, le corti avevano ritenuto la separazione un regime compatibile con la regola dell’uguaglianza: in quel periodo la Germania divenne pertanto un sistema separatista. A fronte del desiderio di rafforzare la posizione del-le donne coniugate fu introdotto, dalla legge 18 giugno 1957 sull’Egua-glianza, la «Zugewinngemeinschaft» modellata sulla comunione differita dei Paesi nordici. Come quella, infatti, la Zugewinngemeinschaft esclude donazioni, lasciti ereditari, beni posseduti ante matrimonio (68). Inoltre l’oggetto della divisione non è tutto il patrimonio comune, ma solo l’in-cremento realizzatosi durante la vigenza del regime, con conseguente pa-gamento del conguaglio (par. 1378 (1) BGB). La diversità sta dunque nel fatto che mentre la Germania prevede una quota di incremento, i Paesi nordici una quota dell’intero. La distribuzione dell’incremento si riduce pertanto ad un’operazione aritmetica da cui derivano pretese moneta-rie (69). Ciascun coniuge ha l’amministrazione esclusiva dei propri beni, con i soli limiti circa l’inammissibilità di atti dispositivi dell’intero patrimonio o di beni dell’attività domestica allo stesso appartenenti senza il consenso preventivo dell’altro (§§ 1365, 1369). Qualora le parti non abbiano raggiunto altre intese nel contratto ma-trimoniale (l’esclusione contrattuale della Zugewinngemeinschaft è sostan-zialmente ammissibile come la modifica della sua struttura legale), esse soggiacciono al regime legale patrimoniale della «comunione dello Zuge-winn»: i coniugi non hanno alcun patrimonio comune (come esplicita-

_______________ (68) M.A. GLENDON, The Trasformation, cit., p. 133; v. inoltre A. RIEG, La partecipation aux acquêts en Allemagne et en France: deux visages d’une même institution, cit., p. 921 ss.; D. BERNNSTORFF, Le régime matrimonial légal en République fédérale d’Allemagne, in Le régime matrimonial légal dans les législations contemporaines, 2ª ed., par J. Patarin et I. Zajtay, Paris, 1974 ; F.W. BOSCH et O. SANDROCK, La réforme des régimes matrimoniaux — Travaux de la deuxième Journée d’études juridiques Jean Dabin, Bruxelles, 1966, p. 277 ss. (69) Un’altra deviazione dal modello nordico fu sollecitata dai notai tedeschi, che respinsero l’applicazione di questi medesimi criteri alla vicenda successoria, per cui pre-ferirono il criterio dell’attribuzione di una percentuale fissa: par. 1371 BGB. Si veda i-noltre L. MENGONI, I rapporti patrimoniali tra i coniugi nella legislazione germanica, cit., 35 ss.

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mente dispone il § 1363 Abs. 2), ma al cessare della Zugewinngemeinschaft si dividono l’incremento patrimoniale che entrambi hanno prodotto du-rante il matrimonio (70). Il regime della «comunione degli incrementi patrimoniali» termina con la morte di un coniuge o in casi particolari (§§ 1371-1372) (71). Al cal-colo del conguaglio in caso di cessazione della Zugewinngemeinschaft per divorzio, annullamento e dichiarazione di nullità del matrimonio, sono dedicati i §§ 1372-1390. Con «Zugewinn» si intende il differenziale tra il patrimonio finale, cioè quello risultante alla cessazione della Zugewinngemeinschaft ed il pa-trimonio esistente al momento in cui si dà inizio al regime della comu-nione degli incrementi patrimoniali; l’incremento non può tuttavia mai essere negativo. La nozione di patrimonio iniziale è contenuta al § 1374: si tratta del valore tradotto in numeri di tutti i beni o diritti di un coniuge suscettibili di valutazione oggettiva, dopo la detrazione dei debiti, valore che deve es-sere almeno pari a zero (non negativo); a questo devono essere aggiunte le eredità e le donazioni occorse durante la Zugewinngemeinschaft (che per il loro carattere non ricadano nella stessa comunione degli incrementi). Momento determinante per l’accertamento di valore del patrimonio inizia-le è quello dell’entrata in vigore dello stato patrimoniale di cui al § 1363, mentre per i beni acquisiti successivamente, ancorché annoverabili nel pa-trimonio iniziale, rileva il momento del loro acquisto. Dei beni iniziali dei coniugi è necessario redigere un inventario in comune; se non viene com-

_______________ (70) Per un confronto fra il diritto tedesco e quello italiano, D. HENRICH, Comunione dei beni e comunione degli incrementi: un confronto critico, in Familia, 2004, p. 814 ss. (71) Alla morte di un coniuge può seguire il conguaglio patrimoniale, da un lato in riferimento al calcolo della quota di eredità del coniuge superstite, dall’altro, però, an-che sulla base di un calcolo puramente patrimoniale (§ 1371). Se il coniuge superstite è erede legittimo non si ha alcun conguaglio in senso proprio, ma la quota d’eredità lega-le viene aumentata schematicamente di un quarto. Un concreto calcolo del conguaglio patrimoniale ex §§ 1373-1383, 1390 BGB si produce in tutti i casi in cui il coniuge superstite non sia erede o legatario. (1) § 1371 Abs. 2 BGB - Se il coniuge superstite non è né erede né legatario, ottiene la «piccola legittima» e può perciò richiedere anche il conguaglio patrimoniale. Vi è la possibilità di pretendere la «grossa legittima» a condizione di rinunciare al conguaglio patrimoniale S.W. (2) § 1371 Abs. 3 BGB - Come sottocaso del § 1371 Abs. 2 è da inquadrare il § 1371 Abs. 3 BGB concernente la rinuncia, il quale garantisce al coniuge superstite il diritto alla «piccola legittima» ed anche il conguaglio patrimoniale.

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pilato alcun elenco, il patrimonio iniziale viene calcolato come pari a zero ed il «Zugewinn» sarà perciò corrispondente all’intero patrimonio finale. Per patrimonio finale si intendono i valori dei beni di spettanza di un coniuge alla fine della Zugewinngemeinschaft, con l’eccezione delle eredità e donazioni e di ciò che ricade nel conguaglio previdenziale (Versorgun-gsdusgleich). Il § 1378 Abs.1 BGB stabilisce in cosa consista il conguaglio: al coniu-ge con l’incremento patrimoniale inferiore spetta un credito di compensa-zione nella misura della metà dell’eccedenza. Il credito di conguaglio sorge con la cessazione dello stato patrimoniale e si prescrive in tre anni ad ini-ziare dal momento in cui il coniuge ha notizia della conclusione del regi-me dei beni; in caso di morte di uno dei coniugi devono applicarsi le norme sulla prescrizione valevoli per il diritto alla legittima. Prima del venir meno dello stato patrimoniale della Zugewinngemein-schaft, la regolamentazione circa il credito di conguaglio di cui al § 1378 Abs.1 può in ogni tempo essere modificata ai sensi dei §§ 1408-1410 attra-verso una convenzione matrimoniale conclusa alla presenza di un notaio. La gamma delle possibilità a disposizione è ampia, trovando però un limi-te qualora vengano pregiudicati, in contrasto al buon costume, gli interessi dei creditori e dei parenti legittimari di un coniuge. Se al coniuge legittimato ad avere il conguaglio è stato attribuito prima della cessazione dello stato patrimoniale un anticipo del conguaglio attra-verso un atto giuridico inter vivos, questo deve essere computato sul credito di compensazione (§ 1380). Il coniuge debitore tenuto alla compensazione può peraltro rifiutare il pagamento, qualora il conguaglio si rivelasse nelle condizioni date come gravemente iniquo (§ 1381). Sussiste inoltre la pos-sibilità della dilazione del credito di compensazione, se il pagamento non può avvenire altrimenti e se il ritardo nel pagamento è accettabile per il creditore del conguaglio (§ 1382). Rimane infine la possibilità di conseguire un conguaglio prima del tempo, se i coniugi vivono separati da almeno tre anni; se un coniuge non adempie da un tempo più lungo ai suoi obblighi economici derivanti dal matrimonio e si presume non li adempierà neanche in futuro; se i futuri crediti di compensazione sono messi in pericolo da atti di disposizione del coniuge sull’intero patrimonio posti in essere senza il consenso dell’altro; in caso di diminuzione del patrimonio finale attraverso atti di liberalità a terzi per obbligazioni morali o per sentimento di decenza; dissipazioni del patrimonio o affari in pregiudizio dell’altro coniuge ed in caso di diniego di informazioni circa lo stato patrimoniale (§§ 1385-1386). Per il calcolo del conguaglio anticipato degli incrementi patrimoniali

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il momento della cessazione del regime patrimoniale è sostituto con quello in cui è stata presentata la domanda per il conguaglio anticipato (§ 1387). Con il passaggio in giudicato della sentenza con la quale si riconosce il di-ritto al conguaglio anticipato inizia il regime di separazione dei beni (§ 1388). Il regime patrimoniale legale della Zugewinngemeinschaft può essere, come già accennato, modificato o escluso dal contratto matrimoniale e so-stituito dall’accordo sulla separazione o comunione dei beni (§ 1408 Abs. 1). Per produrre effetti anche verso i terzi la regolamentazione contrattuale deve essere però conosciuta dai terzi personalmente oppure registrata nel registro dei regimi patrimoniali dell’Amtgericht (Pretura) competente. 6. LA DISCIPLINA DELL’AMMINISTRAZIONE. La disciplina dell’amministrazione è stata fatta oggetto di apposita ana-lisi, considerandosi pure le disposizioni dettate nell’ambito del «regime primario» che quindi sono esterne rispetto al regime patrimoniale. 6.1. Nei sistemi di comunione. — a) Francia. In Francia, l’art. 1421 Code Civil racchiude la regola base comunitaria in tema di amministrazione; altre disposizioni presidiano la correttezza dell’agire (72). La stessa norma al primo comma prevede la responsabilità di ciascun coniuge per cattiva gestione; l’art. 1423 consente la libera disposi-zione dei rispettivi redditi una volta soddisfatte le esigenze familiari; l’art. 1426 prevede che un coniuge possa essere autorizzato dal giudice a com-piere atti di disposizione in sostituzione dell’altro perché incapace o autore di comportamenti fraudolenti. Del regime primario rilevano l’art. 220, comma 1, il quale prevede l’eventualità che il giudice subordini al consenso dell’altro coniuge gli atti di disposizione da parte di quello la cui dissolutezza metta in pericolo il sostentamento della famiglia, nonché l’art. 215 che impone l’agire con-giunto in ordine alla residenza ed al suo contenuto (73).

_______________ (72) G. BLANC, De l’idée d’association comme fondement du povoir des époux communs en biens, in Rev. trim. dr. civ., 1988, p. 31 ss. Cour de Cass., 8. 4. 2004, in Dalloz, 2004, p. 2258, con nota di M. NICOD, Les limites de la gestion concurrente. (73) Per una applicazione degli artt. 215 e 220 cod.civ., si veda Cour de Cass., 10 mars

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6.1.b) Stati USA.

Il regime di comunione negli USA vedeva per tutto l’Ottocento privi-legiata la posizione del marito; già dall’inizio del secolo successivo il suo potere di amministrazione risultava però limitato; a seguito dell’ondata di riforme degli anni sessanta che introducono il principio della parità, viene disposta l’amministrazione dei beni comuni in forma disgiunta, salvo per alcuni atti più importanti (74). In particolare, il consenso della moglie è indispensabile per le alienazioni e le concessioni d’ipoteca relative a beni immobili comuni (in Texas quantomeno per gli atti concernenti la casa di abitazione: Tex.Family Code Ann. § 5.22) (75). Nel 1986 in California è stata introdotta un’azione per cattiva ammi-nistrazione, con reciproco diritto al rendiconto durante il matrimonio (76); in ogni caso va segnalato un generalizzato atteggiamento ostile, sia a livel-lo legislativo che giurisprudenziale nei confronti degli atti fraudolenti compiuti dal marito sui beni della comunione.

6.1.c) Germania.

L’amministrazione della comunione dipende dalle decisioni dei coniu-gi: se essi hanno convenuto di costituire un patrimonio comune devono anche stabilire se l’amministrazione della stesso debba essere congiunta o affidata ad un solo coniuge; in difetto di dichiarazione al riguardo suben-tra ex lege l’amministrazione comune. Il coniuge che amministra il patrimonio comune è legittimato, in par-ticolare, a prendere possesso dei beni che appartengono alla comunione e a disporre del patrimonio comune; in suo nome esercita le controversie giudiziarie relative. L’altro coniuge non è obbligato personalmente dagli atti di amministrazione (§ 1422). Se l’amministrazione spetta sostanzialmente ad un solo coniuge, una certa compartecipazione è però riconosciuta anche all’altro a tutela del suo interesse. È stabilito infatti che il coniuge amministratore possa obbligarsi

_______________ 2004, in Dalloz, 2004, p. 2257, con nota di V. BREMOND, Pas de résiliation sans l’accord du conjoint du contrat d’assurance sur le logement familial. (74) Ovunque tranne in Texas ove ciascuno amministra solo i beni che avrebbe pos-seduto da solo. (75) Cfr. P. CENDON, I regimi patrimoniali tra i coniugi e la circolazione delle cose mobili, in Atlante di diritto privato comparato, 3ª ed., 1999, Bologna, p. 164. (76) Nel Civil Code (parr. 5125/5125-5).

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a disporre del patrimonio comune per l’intero solo con il consenso pre-ventivo dell’altro; e che qualora si obblighi senza l’approvazione dell’altro, esso possa adempiere solo se questi vi acconsente preventivamente (§ 1423). Ugualmente il consenso preventivo è richiesto per le disposizioni sui beni immobili appartenenti alla comunione e per le donazioni di beni del patrimonio comune (a meno che la donazione non corrisponda ad un obbligo morale o ad un dovere sociale) (§§ 1424,1425). Se vengono posti in essere negozi senza il consenso dell’altro coniuge trovano applicazione i §§ 1366 Abs. 1, 3, 4, quanto alla ratifica dei contratti, e 1367, con riguardo ai negozi giuridici unilaterali (e di cui si è già detto in precedenza). In ogni caso il terzo può revocare il contratto fino alla ratifica (§ 1427). Sempre nel caso in cui il coniuge amministratore disponga di un diritto della co-munione senza autorizzazione, è stabilito che l’altro coniuge possa far va-lere in giudizio questo diritto nei confronti del terzo (§ 1428). Accanto al potere di compartecipare indirettamente all’amministra-zione tramite l’assenso o il diniego agli atti di disposizione, spetta al co-niuge non amministratore in caso di malattia o assenza dell’altro il potere di compiere negozi giuridici relativi al patrimonio comune, qualora un rinvio si riveli dannoso, o di esercitare un’azione giudiziaria (§ 1429). Il coniuge non amministratore può altresì porre in essere negozi giuridici che siano necessari per la cura ordinaria dei suoi affari personali anche con effetto per la comunione, purché vi sia l’autorizzazione dell’altro; in caso di ingiustificato rifiuto, il Tribunale della tutela può, a richiesta, surrogare l’approvazione (cfr. § 1430). Se il coniuge che amministra il patrimonio comune ha acconsentito preventivamente (o comunque ne era a conoscen-za) che l’altro eserciti in via autonoma un’attività produttiva, non è neces-saria la sua approvazione per quei negozi o per quelle controversie giudi-ziarie collegati all’attività produttiva (§ 1431). Ancora, il coniuge che non amministra il patrimonio comune ha il potere di esercitare autonomamen-te, senza dunque approvazione dell’altro, rapporti giuridici personali come l’accettazione o il rifiuto di un’eredità o di un legato, la rinuncia alla legit-tima od al conguaglio patrimoniale come pure rifiutare una proposta con-trattuale o una donazione (§ 1432); egli può altresì, senza richiedere all’al-tro alcuna autorizzazione, proseguire una lite che fosse già pendente al momento dell’instaurarsi della comunione (§ 1433). Quanto agli obblighi del coniuge amministratore, questi deve ammini-strare il patrimonio comune in modo regolare; deve informare l’altro sul-l’amministrazione e, su richiesta, fornirgli informazioni sullo stato dell’at-tività. Inoltre, se il patrimonio comune subisce una diminuzione per sua colpa o a cagione di un negozio giuridico posto in essere senza la necessa-

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ria autorizzazione dell’altro coniuge, egli deve rimborsare la comunione della perdita subita (§ 1435). 6.2. Nei sistemi di separazione. — a) Inghilterra. Le rigide regole della «law of property» si riflettono a tratteggiare un modello di amministrazione quanto mai semplice ed essenziale, posto che a ciascuno dei coniugi è lasciata durante la vigenza del matrimonio piena autonomia nella gestione del proprio patrimonio e nell’esercizio delle atti-vità produttive, in conformità con l’esigenza di privilegiare maggiormente la libertà di azione del singolo rispetto a finalità protettive e solidaristiche tipiche dei regimi comunitari, finalità che del resto ben possono essere comunque soddisfatte — si sostiene — optando per la comproprietà ordina-ria dei beni acquistati (la casa familiare in primis) (77).

6.2.b) Germania.

Fondamentalmente ciascun coniuge amministra autonomamente il proprio patrimonio, pur soggiacendo ad alcune limitazioni (§ 1363 BGB). Atti di disposizione dell’intero patrimonio sono ammissibili solo con il consenso preventivo dell’altro coniuge (§ 1365 Abs. 2 S. 2 BGB). Con l’espressione intero patrimonio si comprendono anche le disposizioni di singoli beni, qualora questi (obiettivamente e per il partner) esauriscano l’intero o quasi l’intero patrimonio. La concessione dell’autorizzazione (78) non necessita di forma partico-lare neanche per atti dispositivi per i quali essa è prevista. La disposizione è medio tempore (fino cioè all’autorizzazione) inefficace. Se la disposizione è inefficace per carenza di consenso, il coniuge non consenziente può far va-lere in giudizio i diritti nascenti contro il terzo dall’inefficacia dell’atto (§ 1368). Se per obbligarsi a disporre dell’intero proprio patrimonio è richiesta l’autorizzazione dell’altro coniuge, analogo consenso preventivo occorre

_______________ (77) In questo senso, nella sostanza, le conclusioni cui è giunta la «Law Commission» nel 1988 (English Law Commission, Matrimonial Property, London, 1988) ad esito di uno studio, soprattutto di diritto comparato sui diversi regimi patrimoniali familiari europei, finalizzato a riconsiderare la possibilità di introdurre nel diritto inglese una qualche forma di comunione dei beni. (78) È regolata dai §§ 182 e ss. BGB.

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perché il coniuge possa adempiere all’obbligazione assunta senza l’assenso dell’altro. Il Tribunale della tutela può peraltro surrogare, su domanda del coniuge, l’approvazione dell’altro, se questi la rifiuta senza sufficiente mo-tivo o è impedito per malattia o assenza ad emettere una dichiarazione e dal differimento possa derivare un pericolo (§ 1365. Il terzo in buona fede ha la possibilità di rescindere il contratto temporaneamente inefficace o di invitare il coniuge contraente a procurarsi la necessaria ratifica dall’altro coniuge (§ 1366 Abs. 3); se la ratifica è negata il contratto diviene definiti-vamente inefficace (§ 1366 Abs. 4). I negozi giuridici unilaterali come l’annullamento, la risoluzione, il re-cesso, la derelizione sono, qualora compiuti senza il consenso preventivo dell’altro coniuge, inefficaci in modo insanabile (§ 1367); una conferma successiva varrebbe dunque come nuovo atto. Anche se la disposizione o l’obbligazione non riguarda l’intero patrimonio, essa necessita comunque del consenso dell’altro coniuge se concerne beni dell’attività domestica co-niugale appartenenti al disponente. L’approvazione può peraltro essere surrogata, su domanda del coniuge, dal Tribunale della tutela in ipotesi analoghe a quelle sopra indicate (§ 1369 BGB). 7. L’EGUAGLIANZA TRA I CONIUGI. L’eguaglianza dei coniugi è variamente perseguita: le regole possono favorire quella meramente formale ovvero mirare a realizzarla nella so-stanza. In ogni caso il tendenziale cambiamento (peraltro non sempre co-stante né continuativo) del ruolo sociale ed economico della donna nella famiglia, nel mondo del lavoro, nella società contribuisce a rendere le dif-ferenze assai meno stridenti di un tempo (79). 7.1. Nei sistemi di comunione. — a) Francia. Nella relazione ministeriale di accompagnamento alla riforma del 1985 si evidenzia come l’ottimo della parità si raggiunga nell’agire non già congiunto, ma separato. Ciò importa peraltro il sacrificio della moglie laddove il marito sia percettore del maggior reddito ed in questo senso la regola è vista realizzare solo un’idea astratta di eguaglianza, ancorché non

_______________ (79) M. BIN, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di uguaglianza, Torino, 1971.

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sia stata accantonata la comunione, e siano state introdotte tecniche rivolte a preservare un fondo comune da spartire in caso di morte o divorzio (80). 7.2. Nei sistemi di separazione. — a) Inghilterra. In Inghilterra, l’adozione del regime di separazione garantisce piena-mente solo l’uguaglianza formale tra i coniugi, ad ognuno dei quali spetta la titolarità esclusiva dei suoi beni; regole diverse che coinvolgono entram-bi operano solo in caso di divorzio o di successione ereditaria. Benché non siano state introdotte per via legislativa forme di ripartizione degli inve-stimenti in ragione delle contribuzioni fornite, regole significative sono state peraltro elaborate a questo fine.

7.2.b) Stati USA.

Anche nei 42 Stati dell’Unione che adottano la separazione, l’idea di base è che l’uguaglianza tra i coniugi si realizzi meglio lasciando ciascuno titolare esclusivo del suo patrimonio, quantomeno fino a che non inter-venga lo scioglimento del matrimonio. Nell’«Uniform Marriage Divorce Act», promulgato nel 1970 ed approvato dall’American Bar nel 1974, viene infatti affrontato il problema del «matrimonial property» solo al momen-to del divorzio, con riguardo al quale si prevede una «equa» spartizione tra i coniugi di tutto il patrimonio, da disporsi da parte della Corte anche te-nendo conto dei rispettivi contributi (81). Si è tuttavia constatata l’incapacità di perseguire l’uguaglianza laddove il marito sia titolare del maggior reddito, e comunque si sono segnalati gli inconvenienti connessi all’inevitabile confusione dei patrimoni. 8. LA FAMIGLIA E IL MONDO ESTERNO. La condizione coniugale può avere o non avere rilevanza rispetto ai terzi, a seconda che venga in considerazione la coppia (in regime di co-

_______________ (80) M.A. GLENDON, op. cit., p. 121. Prima della riforma v. G. GOURDET, De l’égalité des épox dans le régime légal, in Rev. trim. dr. civ., 1981, p. 752 ss. (81) In prospettiva generale, B. TURNER, Equitable distribution of property, Colorado Spring, 1994; J. GREGORY, The law of equitable distribution, Boston, 1989; G. MCLELLAN, Equitable distribution law and practice, New York, 1985.

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munione) ovvero si abbia riguardo ai soli individui (in regime di separa-zione). La prima categoria interessata è quella dei terzi creditori, per i quali sa-rebbe certo preferibile agire nei confronti di entrambi i coniugi anziché di uno solo. Nei sistemi anglo-americani separatisti la regola è l’assoluta indipen-denza, cosicché ciascun coniuge è responsabile per i propri debiti. Peraltro i terzi possono essere tratti in inganno dall’incerta appartenenza di deter-minati cespiti; in loro favore opera quindi la tutela dell’affidamento che consente loro di poter colpire ogni bene del proprio debitore, ancorché di esso sia solo contitolare, salvo incontrare difficoltà nell’aggredire «equitale interest» che il coniuge possa avere maturato contribuendo all’acquisto dei beni intestati all’altro. In molti Stati USA, peraltro, regole legislative o giurisprudenziali san-ciscono la responsabilità solidale in ordine ai debiti contratti per la casa ed i figli; in alcuni è però imposta la preventiva escussione del coniuge che ha agito nell’interesse della famiglia. Le corti americane guardano del resto al di là del vincolo coniugale formale, basandosi sull’effettiva comunanza di vita, così da escludere la responsabilità di chi è separato di fatto. In Inghilterra il MPPA 1970 ha abrogato l’«agency of necessity» della moglie, per cui ad analoghi risultati si può giungere solo attraverso il prin-cipio generale dell’«apparent authority», che vale per chiunque possa appa-rire legittimato ad agire per il compimento di atti riguardanti la casa e la famiglia. Similmente in Germania le obbligazioni assunte da un coniuge grava-no anche sull’altro solo se riguardano l’attività domestica. In caso di ese-cuzione nei confronti di un soggetto coniugato, al creditore è consentito presumere che appartengano al proprio debitore tutti i beni mobili che si trovino nella disponiblità sua o di entrambi, salvo che i coniugi vivano se-parati e comunque fatta eccezione per i beni di utilizzo esclusivo (§ 1362). Particolare è la situazione in Francia ove, vigendo il regime della co-munione, i creditori dei singoli coniugi finiscono per ricevere una prote-zione maggiore, in particolare, essi possono agire sui beni della comunione anche in taluni casi in cui il debito non è stato contratto per i bisogni del-la famiglia: così ai sensi degli artt. 1409, 1411 e 1413 Code Civil. Altra categoria di terzi è quella che li vede non attori nei confronti dei coniugi, ma al contrario da essi convenuti, come nel caso del coniuge che agisce nei confronti di chi ha ucciso o ferito l’altro. Quanto alle azioni e-sercitabili contro con l’amante del proprio coniuge, queste sono state ban-dite in moti sistemi: in USA nel 1976, in Inghilterra nel 1970; in Francia

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sono in disuso; in Germania la loro vigenza è controversa. Anche in ambito tributario si tende a volte a valorizzare l’individualità piuttosto che la coppia: in Svezia, ad esempio, per reagire a tanti divorzi simulati al fine di conseguire vantaggi tributari, si è azzerata la valenza fi-scale della condizione coniugale. In Inghilterra, USA, Francia, Germania invece, le coppie coniugate godono di trattamenti fiscali agevolati potendo spalmare il reddito o usufruire di aliquote diverse. Esistono peraltro anche regole anomale: in USA, ad esempio, le coppie ove lavora uno solo dei co-niugi ricevono un trattamento più favorevole dei single, ma non se lavo-rano entrambi (82). La tendenza a trattare i coniugi come due individui separati nelle rela-zioni esterne si manifesta pure in altri ambiti: in materia di prove, conflit-to di interessi, nazionalità, residenza, domicilio, sussidi statali, ecc., tutti settori regolati avendo di mira i singoli soggetti piuttosto che la famiglia da essi costituita. 9. IL REGIME DEI BENI DESTINATI ALL’UTILIZZO COMUNE. Nel 1977 il Consiglio d’Europa organizzava a Vienna una Conferenza europea sul diritto di famiglia per verificare la possibilità di una sua ar-monizzazione; tra i quattro temi prescelti uno riguardava i «Poteri dei co-niugi sui beni destinati all’uso comune e i diritti patrimoniali del coniuge superstite» (83). La Commissione cui era stato affidato l’argomento consta-tò l’inesistenza nei sistemi europei di una disciplina specifica, ancorché ta-luni beni — specie la casa familiare e gli arredi relativi — obbediscano spesso a regole peculiari; essa concluse pertanto auspicando l’armonizzazione dei diritti europei del settore; l’introduzione di una disciplina apposita nel-l’ambito degli effetti generali del matrimonio, finalizzata a proteggere un coniuge nei confronti degli altri o dell’altro coniuge; l’adozione di regole speciali, in particolare per la casa familiare ed i beni in essa contenuti; la previsione del divieto di disposizione separata dei beni se non con autoriz-zazione giudiziaria e del conseguente annullamento dell’atto su domanda dell’altro coniuge, in caso di violazione del suddetto divieto, fatta salva la

_______________ (82) M.A. GLENDON, op. cit., p. 141 ss. (83) Si tratta della Conferenza del 19-22 settembre del 1977. In proposito cfr. A. RIEG, Introduction, in Le Regime juridique des biens destines a l’usage commun des epoux, in Rev. Int. Dr. Comp., 1990, n. 4, p. 1107 ss.

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disciplina delle conseguenze rispetto ai terzi, da rimettere ai diritti nazio-nali. Per altro verso l’Institut de droit comparé di Strasburgo avviava in ma-teria una ricerca comparativa, da cui sono emersi risultati di notevole inte-resse. In primo luogo non è stata riscontrata in nessuna legislazione l’espressione «beni destinati all’uso comune», in quanto raramente emerge il profilo dell’utilizzo. Un regime specifico si rinviene talora nell’ambito dei rapporti matrimoniali, talaltra nel regime successorio. Da notare come il problema si atteggi diversamente a seconda che sia visto durante il ma-trimonio — ed allora con riguardo ad eventuali limiti ai poteri normalmen-te spettanti ai soggetti — oppure a seguito di scioglimento dello stesso per morte di uno dei coniugi o per divorzio, quando si pone in termini di di-ritti (84). Si rileva altresì come ovunque, tranne che in Italia, gli ordinamenti prevedano uno statuto specifico dei beni destinati all’uso comune durante il matrimonio. Disposizioni del genere si trovano in Germania nell’ambito degli effetti generali del matrimonio (Allgemeine Ehewirkungen); in Fran-cia nel «règime primarie»; altrove nel regime patrimoniale propriamente detto; in Inghilterra in una legge a parte. Maggiore portata della disciplina si ha nei primi casi perché essa è generale e di solito viene a limitare i po-teri dei coniugi. In Germania ricorre una spartizione dei beni tra i coniugi oppure l’attribuzione dell’uso ad uno dei due in caso di crisi coniugale; in Inghilterra vigono tecniche peculiari. Quanto ai beni sottoposti a regole specifiche (85) essi sono quelli assog-gettati ad un particolare statuto, come la casa familiare, alcuni oggetti di uso comune, gli arredi. In Germania, ad esempio, il § 1365 BGB che vieta a ciascun coniuge di disporre dell’intero suo patrimonio senza il consenso dell’altro viene interpretato nel senso di estendere il divieto anche agli atti riguardanti l’alloggio della famiglia (86). Variabili sono i casi in cui ricorre la soggezione a questo statuto parti-colare. Quando le misure sono legate agli effetti generali del matrimonio, l’applicazione è più ampia e sopravvive alla separazione di fatto (così in Belgio, Spagna, Francia); similmente quando esse sono collegate al regime matrimoniale in senso stretto (Spagna, Francia) e la separazione di fatto

_______________ (84) A. RIEG, op. cit., p. 1111. (85) A. RIEG, op. cit., p. 1112. (86) M.G. CUBEDDU, La casa familiare: profili di diritto comparato tra l’ordinamento ita-liano e quello tedesco, in Annuario di diritto tedesco, 1998, a cura di S.Patti, p. 199 ss.

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non incide. In Inghilterra questa specifica disciplina vale solo nelle ipotesi di crisi coniugale. Lo strumento privilegiato consiste nel vietare ai singoli coniugi di compiere separatamente certi atti, come alienazioni o costituzioni di diritti reali; si tratta di un rimedio di origine francese assai imitato altrove. La maggioranza delle legislazioni prevede l’intervento dell’autorità giudiziaria per ovviare al caso in cui un coniuge neghi all’altro la richiesta autorizza-zione. Diverse possono essere le sanzioni: si privilegia in ogni caso l’annulla-bilità dell’atto su richiesta dell’altro coniuge (Spagna, Francia), prevista tal-volta dal regime primario, altra volta dal regime della comunione. Discontinua è la protezione del terzo in buona fede, a cominciare dal-la sua identificazione nell’acquirente o anche nel subacquirente (87). Il Co-dice spagnolo parla di «acquir in buena fé»; in Germania, Belgio, Francia si tiene conto della buona fede del «contraente». In questi ordinamenti viene protetto anche il subacquirente, almeno tutte le volte che si possa in-vocare il criterio «possesso vale titolo». Ancora, lo statuto particolare che riguarda la casa familiare può preve-dere l’attribuzione del godimento ad uno solo dei coniugi, specie nel caso di crisi coniugale (Inghilterra). Dopo lo scioglimento del matrimonio per decesso di un coniuge o per divorzio, il problema non riguarda più l’uso dei beni ma si trasforma in quello relativo alla titolarità esclusiva dei rela-tivi diritti: si registra in proposito la tendenza ad elaborare regole specifi-che per certi beni, specie l’alloggio ed i conseguenti arredi. 9.1. Germania. Non è prevista una disciplina generale per i beni destinati all’utilizzo comune durante il matrimonio; singole disposizioni riguardano invece i poteri dei coniugi o del coniuge su tali beni in caso di separazione, divor-zio, morte. Dal § 1353 BGB deriva l’obbligo per ciascun coniuge di consentire all’altro l’utilizzo della casa familiare («Ehewohnung») e dei mobili che la corredano; è del resto pacifico che i coniugi, in seguito al matrimonio, ab-biano il possesso comune della casa di abitazione (88). Non è stabilita una

_______________ (87) A. RIEG, op. cit., cit., p. 1114. (88) Per tutti, HENRICH, Familienrecht, 8ª ed., Berlin-New York, 1995, p. 51. In giuri-

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protezione specifica dell’immobile, ma la giurisprudenza, sulla falsariga della dottrina, basa il divieto di venderlo (ove in proprietà di uno solo) senza il consenso dell’altro coniuge sul § 1365, facendo rientrare nella di-sposizione dell’intero proprio patrimonio anche quella relativa alla casa coniugale (89). Si considera peraltro tale divieto efficace solo tra i coniugi e mai opponibile ai terzi. Restrizioni opponibili ai terzi sono invece previste dal regime patrimoniale secondario. Si ritiene tuttavia che l’acquirente debba conoscere questa situazione, di qui anche la prassi notarile di far in-tervenire l’altro coniuge. Una tale protezione vale però solo per l’alloggio in proprietà, manca invece una corrispondente tutela in caso di locazio-ne (90). In ordine ai mobili/arredi vale il § 1369 secondo cui un coniuge non può disporre senza il consenso dell’altro dei beni necessari all’attività do-mestica (91). La dottrina propone peraltro una interpretazione estensiva della regola che trova concorde la giurisprudenza, la quale vi fa rientrare, ad esempio, le automobili. Sono invece evidentemente esclusi i beni desti-nati all’utilizzo personale di un solo coniuge o all’esercizio della sua pro-fessione. Il consenso dell’altro coniuge richiesto dai §§ 1365 e 1369 non è sot-toposto a particolari forme e può essere anche tacito. Se il consenso del coniuge è impossibile a fornirsi oppure viene negato senza giustificato mo-tivo, il § 1365 Abs. 2 prevede la supplenza del giudice il quale provvederà a surrogare l’autorizzazione mancata (sulla base di un astratto apprezzamen-

_______________ sprudenza: OLG Hamm, 11 luglio 1990, in FamRZ, 1991, p. 81; BGH, 7 aprile 1978, in BGHZ, 71 (1978), p. 216 ss. (89) OLG München, 11 febbraio 1969, in FamRZ, 1969, p. 151 ss., che ha ritenuto ille-cita per contrarietà al buon costume la vendita dell’immobile coniugale ad un terzo per il pericolo così determinato alla pacifica esistenza del «raemlich-gegenstaendlichen Bereich der Ehewohnung»; cfr. altresì BGH, 14 marzo 1962, ivi, 1962, p. 295. Per la dottrina, WLE-CKE, Bestandschutz an der gemieten Ehewohnung, Bielefed, 1995, passim. (90) Sull’interpretazione dei §§ 1365 e 1369 BGB, v. SMID, Vinkulierung des Hausrats an die Ehe gemaess § 1369 BGB im Gueterstand der Eigentums - und Vermoegensgemeinschaft?, in FamRZ, 1991, p. 512 ss.; EICHENHOFER, Die Auswirkung der Ehe auf Besitz und Eder Eheleu-te, in JZ, 1988, p. p. 326 ss.; TIEDTKE, Verfuegungen eines Ehegatten ueber das Vermoegen in ganzen, in FamRZ, 1988, p. 1007 ss.; DUNKER, Zum Vermoegensbegriff der § 419, 1365 BGB, in MDR, 1963, p. 978 ss.; KOENIGER, Der Schutz der Familie in der Zugewinngemeinschaft, in DriZ, 1959, p. 372 ss. Regole non dissimili valgono in diritto austriaco, dove la riforma del 1999 ha rafforzato le misure poste a tutela delle esigenze abitative del coniuge: v. S. FERRA-RI, La riforma austriaca del diritto matrimoniale, cit., p. 165 ss. (91) P. CENDON, I regimi patrimoniali fra coniugi e la circolazione delle cose mobili, cit., p. 170 ss.

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to). La sanzione per l’atto compiuto senza il necessario consenso è la nulli-tà, dichiarabile dal giudice anche d’ufficio (92). Il terzo che al momento dell’atto dispositivo ignorava la condizione coniugale della controparte o il difetto di autorizzazione può domandare la ratifica del contratto da parte dell’altro coniuge (se entro due settimane non è prestata, s’intende negata ai sensi del § 1366 Abs. 3); prima della ra-tifica esso può comunque revocare il contratto ex § 1366 Abs. 2. In via generale la posizione del terzo acquirente non è però tutelata, nonostante la sua buona fede ed ancorché vittima del dolo. La dottrina e la giurisprudenza hanno allora cercato di attenuare una tale severità: si è così riconosciuta, ad esempio, la piena efficacia del contratto dispositivo degli immobili, quante volte il terzo non poteva sapere che in esso si com-pendiasse l’intero patrimonio del coniuge. Si discute se, in caso di nullità dell’atto, il terzo acquirente possa pre-tendere una risarcimento; di certo se ha già eseguito la sua prestazione ne potrà ottenere il rimborso a titolo di arricchimento senza causa ex § 812 BGB; gli è però negato il diritto di ritenzione sul bene. Diversa è la posizione del coniuge che non è parte dell’atto. Si ritiene che egli possa esigere dall’altro la ricostituzione della situazione anteceden-te obbligandolo a rivendicare i beni presso i terzi; il § 1368 gli consente, del resto, di agire in surrogatoria direttamente contro il terzo per recupera-re il bene oggetto dell’atto nullo (93). Da ricordare, infine, che queste protezioni e questi rimedi possono es-sere esclusi in via convenzionale mediante il contratto matrimoniale. 9.2. Francia. L’espressione «beni destinati all’uso comune» non si trova nel diritto francese. Il Code Civil, d’altra parte, non contiene disposizioni generali sui beni cosicché si applica la disciplina del regime patrimoniale, come modi-ficata dalla legge 23/12/1985, n. 85-1372. In questa prospettiva, nel caso un coniuge disponga di un bene di uso comune senza autorizzazione, l’altro non può adottare reagire che con il generico ricorso ex art. 220, comma 1, al «juge aux affaires familiales», lamentando un pericolo per l’interesse della famiglia.

_______________ (92) J.M. HAUPTMANN, Allemagne, in Rev. Int. Dr. Comp., 1990, p. 1126. (93) J.M. HAUPTMANN, Allemagne, cit., p. 1127.

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Vi sono peraltro alcune disposizioni particolari, una nell’ambito del regime primario, altre in quello secondario. Oggetto di grande attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza è l’art. 215, comma 3, intro-dotto dalla l. 13/7/65, n. 65-570 (94), che vieta ai coniugi di disporre sepa-ratamente dei diritti sulla casa familiare ed i relativi arredi. La protezione accordata alla residenza della famiglia non è invero una novità assoluta nel diritto francese — ve ne è traccia già all’inizio del secolo XIX — , ma solo le ultime leggi hanno elaborato una tutela realmente efficace. Secondo l’interpretazione prevalente della norma codicistica, il coniuge proprietario necessita del consenso dell’altro per alienare l’immobile, affit-tarlo, ipotecarlo; analoga disciplina vale per gli arredi, espressamente men-zionati dalla legge come «meubles meublants» (per questa nozione cfr. art. 534), rispetto ai quali si fa rientrare anche l’ipotesi del pignoramento. An-cora, se l’alloggio è condotto in locazione, un solo coniuge — ancorché u-nico sottoscrittore del contratto — non può disporre del rapporto. La giuri-sprudenza esige inoltre che il consenso dell’altro coniuge sia certo non so-lo sull’an ma anche sul quomodo. Si tratta, in definitiva, di un sistema rigi-do, mitigato dalla possibilità di ottenere l’autorizzazione giudiziaria ex art. 217 del Code Civil. L’atto compiuto senza il consenso dell’altro coniuge è soggetto all’azione di annullamento (art. 215, comma 3): si tratta di una nullità re-lativa, contenuta entro il termine di un anno dalla conoscenza dell’atto (o al più dalla cessazione del matrimonio); l’annullamento è pronunciato a prescindere dalla buona o mala fede del terzo. In certo senso un doppione dell’art. 215, comma 3 è rappresentato dall’art. 1424 in tema di regime di comunione, anch’esso modificato dalla già ricordata l. 23/12/85; peraltro, mentre l’uno riguarda la sola casa fami-liare ed i mobili che la completano, l’altro si riferisce a tutti gli immobili; l’art. 1424 ha ad oggetto del resto solo i beni immobili in comunione a differenza dell’art. 215, comma 3 che riguarda anche l’alloggio di proprietà di uno solo. Diversi sono anche i termini per far valere l’invalidità dell’atto, che l’art. 1424 stabilisce in due anni. Dispone inoltre l’art. 1751, comma 1 (introdotto dalla l. 4/8/1962, n. 62-902 ) che il rapporto di locazione avente ad oggetto l’abitazione dei co-niugi, qualunque sia il loro regime matrimoniale e nonostante qualunque contraria convenzione, si reputa appartenere all’uno ed all’altro. In propo-

_______________ (94) A. RIEG, op. cit., p. 1217.

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sito, si è anche avanzata l’idea secondo cui tale rapporto entri in comu-nione, ma la tesi è stata respinta. In definitiva, nel diritto francese non c’è una disciplina generale dei beni di uso comune, ma solo regole particolari; ciò comporta che, ad e-sempio, l’automobile utilizzata dai coniugi, non essendo soggetta ad alcu-na particolare norma sfugga da ogni contitolarità/controllo. 9.3. — Inghilterra. Nel 1971 la «Law Commission» pubblicò il suo primo documento sul regime patrimoniale della famiglia. Nel 1973 uscì un nuovo rapporto sulla situazione normativa in relazione alla casa familiare ed ai suoi arredi, ai diritti successori dei coniugi, alla comunione dei beni; esso concluse per la superfluità dell’introduzione del regime della comunione e di diritti suc-cessori ove fosse stato assicurata la destinazione dell’abitazione coniuga-le (95). Un terzo studio in materia di casa familiare fu pubblicato nel 1978: l’introduzione legale di un regime di comproprietà e di un diritto di abita-zione opponibile ai terzi ne costituirono le proposte più significative. Nes-suno di questi interventi si è però mai tradotto in legge. Ancorché non esista dunque un sistema compiuto di norme legali, la dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno elaborato un corpo di rego-le per i rapporti tra coniugi ed uno circa gli effetti dell’uso comune di un bene rispetto ai terzi. Quanto alla casa familiare ed alla individuazione della sua proprietà, sono state elaborate diverse ipotesi (96). La più semplice è quella di configurare una coappartenenza in capo ai coniugi at law ed in Equity e cioè una forma di comunione volontaria, as-sai diffusa. Per risolvere possibili difficoltà pratiche si è fatto ricorso alla figura del trust, considerandosi i coniugi come reciproci trustee: così, a fronte del rifiuto di uno di compiere dati atti si può chiedere la nomina di un altro trustee, o direttamente l’autorizzazione al compimento dell’atto (97). In ordine alla titolarità della proprietà il giudice dovrà invece seguire la volontà delle parti, il che non è facile se è necessario ricostruirla, come

_______________ (95) I.F.G. BAXTER, in Report of Committees - First Report of Family Property: A New Ap-proach, in The Modern Law Review, London, 1974, p. 75. (96) J. FLAUSS - DIEM, Angleterre, in Rev. Int. Dr. Comp., 1990, p. 1140. (97) J. FLAUSS - DIEM, Angleterre, cit., p. 1141.

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quando l’atto di acquisto prevede come acquirente un solo coniuge sia at law sia in Equity, oppure nel caso in cui l’acquisto sia a favore di entrambi at law, nulla dicendosi circa l’Equity. L’art. 53, comma 2 L.P.A. 1925 prevede l’atto scritto per acquistare di-ritti immobiliari, ma non interferisce sulla creazione di resulting, implied o constructive trust. Si ha Resultingt quando il proprietario legale non ha fornito il denaro per l’acquisto, cosicché si presume che detenga come trustee per conto di chi vi ha provveduto. Ma ciò non vale ove intercorrano certi rapporti: in particolare vi è una «presumption of advancement» di intento di donazio-ne del marito a favore della moglie, che non può essere sovvertita laddove operi una causa illecita, quale la sottrazione del bene ai creditori. Il constructive trust non ha matrice volontaria, ma viene imposto dal giudice nel caso in cui un soggetto cerchi di ottenere un vantaggio, oppure abbia acquistato un bene in modo fraudolento. In concreto i giudici ricor-rono al resulting trust tutte le volte che il corrispettivo è stato versato — per intero o in parte — dall’altro coniuge, al quale viene così riconosciuto un diritto corrispondente. La situazione si complica quando per l’acquisto è stato contratto un mutuo, perché non è chiaro se il contributo al pagamento di una parte delle rate attribuisca diritti sulla casa: è il tema emerso nel già citato caso Gissing v. Gissing, ove peraltro la moglie aveva allegato solo l’assolvimento degli affari domestici, cui la House of Lords negò il carattere di «contribu-tion substantial» che invece Lord Denning aveva riconosciuto. L’attribuzione dei beni mobili obbedisce alle medesime regole che si sono dette valere per gli immobili. L’acquisto da parte di uno solo, ma con denari comuni, determina una presunzione di comproprietà (98). 10. GLI EFFETTI DELLA CONCLUSIONE DEL MATRIMONIO. La tendenza verso la libera terminability del matrimonio si è sempre accompagnata alla revisione della disciplina degli effetti del divorzio. In realtà non è ipotizzabile alcuna soluzione ottimale laddove i mezzi siano modesti. Si tratta di una serie di problemi intrecciati tra loro: ad esempio, se la pronuncia di divorzio può essere rinviata sino alla sistemazione pa-trimoniale può dirsi che i due aspetti siano connessi. Ancora, la distinzio-

_______________ (98) J. FLAUSS - DIEM, Angleterre, cit., p. 1144.

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ne contrattuale tra i profili alimentari e quelli proprietari in pratica sfuma; così anche per la differenza tra il mantenimento dei coniugi e quello dei figli, che talvolta è addirittura mischiato per ragioni tributarie. In linea di principio occorre rispettare la distinzione tra spousal sup-port, marital property division, child support. Non bisogna d’altra parte dimenticare la complementarietà con la social assistance law. La soluzione più diffusa all’inizio del secolo scorso è consistita nello spartire i beni in base all’appartenenza: restituire a ciascuno il suo e divide-re equamente il patrimonio comune, il tutto a prescindere dalla condotta dei coniugi che rilevava invece rispetto alla possibilità be ordered to make alimony payments. Il trattamento della spousal support ha sempre seguito l’impronta di quello valevole per la separazione ecclesiastica: così veniva riconosciuto il mantenimento in capo alla moglie innocente nei confronti del marito colpevole. I figli, per l’innanzi affidati al padre finché erano percepiti come eco-nomic asset, vennero poi dati alla madre previa garanzia di un contributo. Con il tempo venne a maturarsi un’insofferenza per i modelli vigenti basa-ti sull’autonomia delle parti sottratta al controllo giudiziario. Unico con-trappeso era la negazione al consenso, o la minaccia di non accettare il di-vorzio per colpa, sino a che non fossero sistemati i profili finanziari, co-sicché la parte debole in torto non aveva grosse prospettive. A partire dagli anni ‘60 la colpa iniziò però a perdere terreno quale elemento condizio-nante dei rapporti patrimoniali tra ex coniugi e si avvertì il bisogno di una riforma che non discriminasse sulla base del sesso (l’Inghilterra è stata la prima ad adeguarsi) (99). 10.1. Inghilterra. Come si è già accennato in linea generale, la «English Divorce Reform Act» 1969 fu procastinata di due anni in attesa della disciplina degli aspetti economici, disciplina che fu dettata con i Matrimonial Procedings and Property Act nel 1970, provvedimenti che entrarono in vigore insieme con il Divorce Reform Act nel 1971, poi consilidati nel Matrimonial Causes Act 1973, emendato nel 1984. Il MPPA 1970 suonò a morto per la separa-

_______________ (99) Cfr., M.A. GLENDON, The Trasformation of Family Law, cit., p. 197 ss.; I. SCHEN-ZER, Restitution of Benefits in Family Relationships, 1997. Quanto alla situazione dei con-viventi in common law: J. MEE, The property Rights of Cohabitees. An Analysis of Equity’s Re-sponse in Five Common Law Jurisdictions, Oxford, 1999.

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zione dei beni almeno in presenza di divorzio, atteso che anziché «ascer-tain and restore» le corti furono autorizzate a «order» ad un coniuge di ef-fettuare «financial provision» a favore dell’altro attraverso versamenti pe-riodici, forfettari, o il trasferimento di beni (sections 23-24). In questo am-bito la titolarità può essere disattesa così come la distinzione tra «support» e «property division». Secondo la section 25 nella versione del 1973 la corte doveva porre i coniugi nella posizione in cui si sarebbero trovati se il matrimonio non si fosse rotto; erano così elencati gli elementi di cui la stessa doveva tenere conto: tra questi, i contributi in termini di «housework» come di «financial payment». Ne derivava quasi inevitabilmente una «redistribution» del pa-trimonio. Nella sentenza Honlon ‘81 Lord Denning evidenziava il riguar-do per gli esiti piuttosto che per i diritti (100). È però affiorato lo scarso realismo della pretesa di collocare i coniugi nella posizione in cui si sarebbero trovati se il matrimonio non si fosse rotto, e l’eccezionalità della liquidazione una tantum. In realtà il risultato delle cause di divorzio in Inghilterra è molto meno prevedibile di quanto non lo sia nel continente, salva una generica tendenza a cambiare «perio-dical maintenance» e «property transfer», ed attribuire la casa coniugale al coniuge affidatario dei figli. Il prezzo della giustizia individualizzata è in effetti eccessivo in termini di incertezza. In un caso del ‘73 Lord Denning raccomandò di non dare troppa rilevanza alla condotta dei coniugi duran-te il matrimonio ai fini della determinazione dei provvedimenti finanziari se non nei casi più gravi, ma questa valutazione è di per sé stessa variabile, cosicché i provvedimenti finanziari diventano la conseguenza di un giudi-zio post mortem sul matrimonio. Il sistema inglese contrasta pertanto con quelli comunitaristi dove la comunione è ugualmente spartita senza ri-guardo alla condotta pregressa, la quale rileva invece per il mantenimento. Nell’80 la Law Commission ritornava ad occuparsi dei profili finanziari del divorzio dandosi carico specialmente dell’obiezione circa la sopravvi-venza dell’obbligo del marito di mantenere la moglie dopo il divorzio. Nel 1984 il Parlamento è intervenuto con una importante modifica soprattutto a livello di principio, abolendo il criterio consistente nel porre i coniugi nella situazione in cui si sarebbero trovati se il matrimonio non si fosse rotto, e sostituendolo con quello che attribuisce rilievo alla presen-za di figli minorenni [25(1)] e/o che incentiva soluzioni in grado di favori-

_______________ (100) La giustizia è amministrata dalle Matrimonial Registrars, corti che emettono ver-detti soggetti a reclamo presso i giudici, da cui deriva la formazione della giurisprudenza.

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re la reciproca indipendenza dei coniugi [25(2)]. Vengono inoltre elencate le circostanze di cui tener conto: patrimoni e capacità reddituali rispettive, futuri bisogni, livello di vita matrimoniale; età dei coniugi e durata del matrimonio; problemi fisici o psichici; gli apporti rispettivi al ménage in-clusi quelli domestici (101); la condotta; i benefici persi (ad es. pensioni). Circa i figli [25(3)] si deve aver riguardo alle loro necessità finanziarie; ai redditi dei genitori, ad eventuali problemi fisici o psichici dei minori, all’educazione programmata. Una nuova section 25(A) illustra inoltre co-me l’obiettivo della «clean break» e dell’autonomia possa essere perseguito attraverso provvedimenti di breve durata, od anche negando il manteni-mento ove in contrasto con l’interesse dei figli (102). Le modifiche del 1984 non rappresentano peraltro un’innovazione as-soluta: da notare come, nonostante l’accantonamento della logica del ri-pristino dello statuto quo ante, compare tuttavia ancora il riferimento al tenore di vita coniugale. In realtà le corti inglesi tendono a considerare la condotta delle parti; soprattutto presumono la sopravvivenza al divorzio di un’obbligazione di mantenimento. In pratica si segue la priorità dell’interesse dei figli e si riconosce il ne-cessario al coniuge che li riceve in affidamento, solitamente la madre; tutto questo specie laddove sia in gioco la casa coniugale. Se questa attenzione per i figli si traduca in un vantaggio per le madri dipenderà dalla fedeltà della stima dei bisogni dei figli, spesso sottovalutati. Del resto, indagini so-ciologiche documentano che quantomeno fino al 1984 la situazione eco-nomica del coniuge affidatario dei figli fosse precaria. La centralità asse-gnata all’interesse dei figli dall’intervento del 1984 è stata peraltro già ri-dimensionata nel caso Suter del 1987, in cui la Court of Appeal ha escluso la priorità dell’interesse dei figli su quello dei genitori (103).

_______________ (101) Per una interessante applicazione del criterio che attribuisce rilievo al lavoro casa-lingo v. White v. White [2000] 3 W.L.R. 1571 (House of Lords, 26 ottobre 2000)( in testo si trova in http://www.parliament.the-stationery-office.uk ), su cui A. COLOMBI CIACCHI, Valuta-zione economica del lavoro casalingo e assegno di divorzio: la svolta parallela della giurisprudenza inglese e tedesca, in Familia, 2001, p. 731 ss. (102) Per ulteriori approfondimenti sul sistema inglese, si veda R. BAILEY-HARRIS - P. CPLERIDGE, Family Assets. Costs and Avenues of Appeal, in L.Q.R., 1999, p. 551 ss.; S.M. CRET-NEY, Right and Wrong in the Court of Appeal, ivi, 1996, p. 33 ss.; G. DAVIS - S.M. CRETNEY - J. COLLINS, Simple Quarrels. Negotiating Money and Property Disputes on Divorce, Oxford, 1994; D.M. BOOTH - N. WALL Q.C. - G.J. MAPLE - A.K. BIGGS, Rayden and Jackson on Divorce and Family Matters, 16ª ed., London, 1991. (103) Per queste notizie si fa riferimento ancora a M.A. GLENDON, op. cit., p. 200 ss.

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In prospettiva comparatistica, il sistema inglese colpisce comunque per la discrezionalità demandata al giudice del registro. 10.2. Francia. In passato, quando il divorzio era basato sulla colpa, solo il coniuge innocente poteva vedersi riconosciuto il diritto al mantenimento. Con la legge n. 75-617 del 1975 erano peraltro stati stabiliti differenti sistemi di provvedimenti finanziari per i diversi tipi di divorzio, anche se la materia patrimoniale non era sostanzialmente riguardata, atteso che la spartizione avveniva secondo le regole del regime matrimoniale e la disciplina divorzi-le rilevava solo una volta esaurita questa fase (104). La legge di riforma n. 2004-439 del 26 maggio 2004, entrata in vigore il 1° gennaio 2005, non cambia sostanzialmente la struttura normativa quanto agli effetti patrimoniali, anche se interviene su aspetti importi. L’art. 270 Code Civil, come modificato, ribadisce il principio per cui il di-vorzio mette fine al dovere di mantenimento tra i coniugi. Circa le conse-guenze economiche trova conferma il disposto, già del vecchio testo, se-condo cui un coniuge possa essere tenuto a versare all’altro una prestazio-ne, avente carattere forfettario, destinata a compensare, per quanto possibi-le, la disparità che la rottura del matrimonio può determinare nelle rispet-tive condizioni di vita. Si precisa peraltro, con una regola nuova ma dai contenuti conformi alla tradizione, che il giudice può rifiutare di accorda-re una tale prestazione se il coniuge che chiede di beneficiarne è il respon-sabile esclusivo della rottura del matrimonio. La misura del «compensatory payment» è determinata sulla base di criteri che il rinnovato art. 271 enu-mera in un ricco elenco. L’art. 1075 Cod. Proc. Civ. d’altra parte, impone ai coniugi di fornire alle corti informazioni circa la loro situazione finan-ziaria affinché valutino gli accordi in tal senso. Già la legge del 1975 aveva introdotto il divorzio consensuale, istituto che la legge del 2004 conserva pressoché identico nelle conseguenze eco-nomiche. In caso di «divorzio per mutuo consenso», anche la prestazione compensativa che ne consegue è di natura pattizzia potendone gli sposi fissare entità e modalità; il giudice può però sempre rifiutare di omologare

_______________ (104) Cfr., a titolo esemplificativo, J. HAUSER - D. HUET-WEILLER, La dissolution de la famille, in Traité de droit civil, La famille, dir. J. Ghestin, Paris, 1991; v. inoltre M.A. GLENDON, op. cit., p. 208.

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un tale accordo ove contrario all’interesse dei figli e del coniuge (artt. 278 e 279 Code Civil) (105). Nel divorzio consensuale, peraltro, i coniugi sono tenuti a sciogliere il regime matrimoniale e a dividere il patrimonio: trattandosi di una fase as-sai delicata molti non scelgono questo tipo di divorzio per non incorrere in un’accentuazione del conflitto, in ritardi, e nell’ingerenza del giudice. Rinviare tuttavia la divisione ad una fase successiva al divorzio può essere fonte di ulteriori liti. In assenza di accordo (106) si seguirà la procedura ordinaria, sopra se-gnalata, che può portare alla condanna al risarcimento dei danni ed al mantenimento; più frequenti i Compensatory Payement (prestation com-pensatoire). Più snella appare infine la disciplina contenuta nell’art. 285 rinnovato relativo all’assegnazione della casa familiare. 10.3. Germania. La Germania conosce solo il divorzio e non invece una separazione «del tavolo e del letto» (107). La legge di riforma del 20 febbraio 1986, ha peraltro introdotta la regola (§ 1361 lett. b ) secondo cui, in caso di separa-zione di fatto, la casa familiare va assegnata ad uno dei coniugi in presenza di un grave pregiudizio («schwere Haerte») (108). Il divorzio può conseguire solo con sentenza giudiziale su istanza di uno o di entrambi i coniugi; con il passaggio in giudicato della sentenza il matrimonio è sciolto (§ 1564). Presupposti per lo sciglimento del matri-

_______________ (105) R. SAVATIER, Liquidation entre époux contractuellement séparés de biens du patrimoine conjugal, in Rev. trim. dr. civil, 1981, p. 497 ss. (106) M.A. GLENDON, op. cit., p. 219. (107) In particolare, il diritto tedesco non conosce né l’omologazione di una separa-zione consensuale né la separazione giudiziale, istituto abrogato nel 1938 (fino a quella da-ta esso esisteva come forma alternativa al divorzio per coloro che, per motivi il più delle volte religiosi, non volevano lo scioglimento del vincolo matrimoniale). (108) L’assenza di una disciplina della separazione non comporta, in effetti, che man-chino regole per i coniugi che di fatto si separino: espresse norme sono infatti dettate con riguardo al mantenimento (§ 1361), alla divisione dei beni domestici (1361, lett. a), all’assegnazione della casa familiare (1361, lett. b ), all’affidamento dei figli. Relativamente alla riforma del 1986, cfr. BERGERFUHRT, Zur geplanten Aenderung des Eherechts: Anwal-tszwang - Prozesskostenhilfe - Zuwetsung der Ehewohnung, in FamRZ, 1985, p. 545 ss.; RICH-TER, Die geplanten materiell-rechtlichen Aenderungen des Ersten Eherechtsreformgesetzes, in JR, 1985, p. 133 ss.

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monio per divorzio è il suo essere in disfacimento ovvero quando non esi-ste più la comunione di vita dei coniugi e non può attendersi che essi la ricostituiscano (§ 1565). In base alla legge il diritto al mantenimento postmatrimoniale è fon-dato se un coniuge non può provvedere autonomamente al proprio so-stentamento per circostanze particolari (assistenza di un figlio, età, malat-tia o infermità, ecc.). La misura del mantenimento si determina sulla base delle condizioni di vita matrimoniale (§ 1578) (109). Tale diritto è escluso, pur in presenza dei requisiti che ne legittimano la richiesta, se il coniuge divorziato può mantenersi adeguatamente da solo con i propri redditi e con il proprio patrimonio. Un coniuge può peraltro richiedere il mante-nimento all’altro nella misura in cui e fino a che non possa da lui preten-dersi per altri gravi motivi l’esercizio di un’attività produttiva e il rifiuto del mantenimento sarebbe gravemente ingiusto in considerazione degli in-teressi di entrambi. Gravi motivi non possono essere tenuti in considera-zione solo per aver condotto al disfacimento del matrimonio (§ 1576: «Mantenimento per ragioni di equità»). D’altra parte, una pretesa al man-tenimento è da respingere, ridurre o limitare temporalmente, nella misura in cui la richiesta nei confronti dell’obbligato sarebbe gravemente iniqua (cfr. § 1579 dove sono elencate le diverse ragioni di iniquità). Se il coniuge tenuto al mantenimento non è in grado di assicurare all’avente diritto la dovuta prestazione senza mettere in pericolo il proprio mantenimento adeguato, è obbligato solo nella misura in cui la prestazio-ne corrisponda ad equità (§ 1581). Nella misura in cui il coniuge obbligato non possa adempiere rispondono i parenti del coniuge divorziato (§ 1584). Il mantenimento si concretizza di norma mediante il pagamento di una rendita in denaro, da versare mensilmente ed anticipatamente. Al po-sto della rendita l’avente dirito può pretendere una somma a titolo di taci-tazione, se esiste una giusta causa e se l’obbligato non viene in tal modo onerato in maniera iniqua (§ 1585).

_______________ (109) Cfr. E. KALTHOENER - H. BUTTNER - P. NIEPMANN, Die Rechtsprechung zur Hoehe des Unterhalts, 7ª ed., München, 2000, p. 244 ss.; G. BRUDERMULLER, in Palandt, Buerger-liches Gesetzbuch, 59ª ed., München, 2000, p. 1513; N.K.-H. JOHANNSEN - D. HENRICH, Ehe-recht: Scheidung, Trennung, Folgen Commentar, 3ª ed., München, 1998; F. LOHMANN, Neue Rechtsprechung des Bundergerichtshofs zum Familienrecht: Unterhalt und Versorgungsausgleich, 8ª ed., Köln, 1997, p. 57 ss. Circa la rilevanza del lavoro casalingo anche ai fini della de-terminazione delle «ehelichen Lebensverhaeltnisse» di cui al § 1578, si veda A. COLOMBI CIACCHI, Valutazione economica del lavoro casalingo e assegno di divorzio: la svolta parallela del-la giurisprudenza inglese e tedesca, cit., p. 740 ss. e dottrina ivi citata.

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Il diritto al mantenimento viene meno con le nuove nozze, con la co-stituzione di una convivenza registrata, o con la morte del titolare. Al con-trario, la morte dell’obbligato non comporta sostanzialmente la fine della pretesa al mantenimento, l’obbligo si trasferisce infatti agli eredi come ob-bligazione ereditaria, pur essendo l’importo limitato all’ammontare della quota di legittima che spetterebbe all’avente diritto al mantenimento se il matrimonio non fosse stato sciolto per divorzio (§ 1586 b ). Quanto al c.d. «conguaglio delle previdenze assistenziali», di cui ai §§ 1587 ss., il principio alla base della compensazione poggia nel fatto che siano state costituite o mantenute per i coniugi divorziati o per uno di es-si, nel periodo di matrimonio, aspettative o prospettive di ottenere previ-denze assistenziali per anzianità o per incapacità al lavoro, pagate con il reddito di uno o di entrambi i coniugi (110). Il conguaglio patrimoniale implica l’accertamento dell’entità delle previdenze assistenziali o delle a-spettative sulle stesse: il coniuge obbligato al conguaglio — indipendente-mente dal regime giuridico patrimoniale della famiglia — è quello che ha le aspettative o prospettive su una previdenza assistenziale di maggior valore da sottoporre a conguaglio. Al coniuge avente diritto spetta quale congua-glio la metà della differenza di valore, da determinare secondo prefissati criteri (111). Per accertare la differenza di valore occorre, tra l’altro, distin-guere tra la previdenza assistenziale derivante da un rapporto di pubblico impiego e quella assistenziale aziendale e cioè conseguente ad un rapporto di lavoro privato. La procedura di compensazione si articola in tre fasi: de-terminazione dei soggetti del trattamento previdenziale, accertamento del valore per il calcolo dei pagamenti compensativi e l’esecuzione del con-guaglio. Dal § 1587a Abs.2, che stabilisce le modalità per accertare le differenza di valore, si ricavano i cinque diversi tipi previdenziali: il trattamento pre-videnziale dei funzionari pubblici; l’assicurazione previdenziale legale (nel-la quale deve essere incluso l’ente assicurativo previdenziale federale per gli impiegati e gli istituti «regionali» di assicurazione per i lavoratori); il trat-tamento previdenziale d’anzianità aziendale; le altre assicurazioni previ-denziali per anzianità o incapacità al lavoro o al reddito; ed infine le pen-

_______________ (110) Le norme sulla compensazione previdenziale si trovano essenzialmente nei §§ 1587-1587p, nella BarwertVerordnung (BarwVO) ordinanza sul valore in contanti, e nella legge sulla disciplina delle ingiustizie previdenziali (VAHRG). (111) Le norme sulla compensazione previdenziale si trovano essenzialmente nei §§ 1587-1587, nella BarwertVerordnung (BarwVO) ordinanza sul valore in contanti, e nella legge sulla disciplina delle ingiustizie previdenziali (VAHRG).

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sioni o aspettative pensionistiche in base a contratti assicurativi, che siano stipulati per il trattamento pensionistico dell’assicurato (c.d. assicurazione sulla vita a base pensionistica). L’accertamento della differenza di valore per calcolare il pagamento del conguaglio è differente a seconda dei tipi previdenziali: alcune pensioni o aspettative pensionistiche sono infatti riferite, come reddito, al costo della vita; altre invece sono nominali e rimangono sempre inalterate (c.d. aspet-tative statiche); vi sono inoltre anche forme miste (aspettative parzialmente dinamiche). Per ottenere valori confrontabili, stante queste diversità, le a-spettative non pienamente dinamiche devono essere convertite in aspetta-tive pienamente dinamiche; a questo fine ci si serve di una fictio iuris : l’aspettativa statica o parzialmente dinamica viene calcolata come contri-buto all’assicurazione previdenziale e si determina poi la pensione secondo le regole dell’assicurazione previdenziale legale. Anche per l’esecuzione del conguaglio previdenziale è necessario di-stinguere le diverse forme di previdenza. Se un coniuge ha acquisito delle aspettative giuridiche rispetto ad una assicurazione previdenziale legale e queste superano le aspettative, derivanti da assicurazioni previdenziali del pubblico impiego o legali, dell’ltro coniuge, l’esecuzione del conguaglio si produce con il c.d. splitting: il giudice della famiglia (sezione della pretura per Familiensachen) traspone le aspettative, nella misura della metà della differenza di valore, al coniuge legittimato al conguaglio. In caso di previdenza del pubblico impiego, non si può invece avere uno splitting, poiché tali aspettative non sono trasferibili. Il giudice della famiglia costituisce pertanto delle aspettative su di una assicurazione pre-videnziale legale a favore del coniuge legittimato al conguaglio, nella misu-ra della metà della differenza di valore delle reciproche aspettative giuridi-che: è questo il c.d. quasi-splitting. Per l’esecuzione delle altre forme previdenziali (112), vale in primo luo-go il principio della «divisione reale», se la disciplina applicabile al diritto dell’obbligato — per esempio gli statuti dell’erogatore della pensione — lo prevede. La soluzione per il caso in cui non sia possibile una «divisione re-ale» dipende dalla natura di diritto privato o di diritto pubblico dell’ero-gatore della pensione. Se il diritto al conguaglio è verso un ente di diritto pubblico deve essere applicata analogicamente la disciplina per l’esecuzio-ne del conguaglio nell’ambito della previdenza dell’impiego pubblico (un

_______________ (112) Regolate nella VAHRG. In base al §1 Abs.2 VAHRG.

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quasi-splitting per analogia). Se l’ente erogatore è di diritto privato si ap-plica la disciplina del conguaglio di diritto obbligatorio, a meno che non sia stata scelta una diversa forma di conguaglio ex § 3 VAHRG. Quanto al conguaglio previdenziale di diritto privato esso, come già anticipato, trova applicazione solo se non si può realizzare un conguaglio di diritto pubblico. Il coniuge, il cui trattamento previdenziale è superiore deve attribuire all’altro coniuge a conguaglio una pensione in denaro nella misura della metà dell’ammontare eccedente (113). In ogni caso il conguaglio previdenziale può essere escluso se la pretesa del legittimato sia nella sostanza fortemente iniqua; i coniugi possono, del resto, concludere, in connessione con il divorzio, un accordo sul congua-glio di aspettative o di diritti su previdenze assistenziali per vecchiaia o ri-dotta capacità produttiva, sia pure nei limiti e con le modalità indicati nel § 1587. È ancora lasciata ai coniugi piena libertà di regolare pattizziamente nel corso del procedimento di divorzio anche l’assegnazione della casa coniu-gale (114); in mancanza — e non essendoci norme al riguardo nel BGB — operano i §§ 3-6 della «Verordnung ueber die Behandlung der Ehe wonung und des Hausrats » («HausratsVO ») del 1944 (115), il quali dispongono circa l’assegnazione della casa per l’ipotesi di divorzio in considerazione del vin-colo giuridico che lega i singoli coniugi all’immobile (116).

_______________ (113) Per l’accertamento del trattamento previdenziale da compensare vale il §1587a. Poiché il conguaglio previdenziale di diritto privato è legato alla persona del coniuge, si pone la questione di cosa accade se il coniuge muore. Il § 3a Abs.1 S.1 VAHRG prevede per questo caso una proroga del conguaglio oltre la morte del coniuge. Il coniuge super-stite può anche pretendere la pensione di conguaglio ex §1587g (fino alla misura della stessa pensione di reversibilità), dopo la premorienza dell’altro coniuge, da parte dell’en-te erogatore, dal quale ottenne una pensione di reversibilità con la finzione della prose-cuzione del matrimonio fino alla morte dell’obbligato. (114) Cfr. M.G. CUBEDDU, La casa familiare: profili di diritto comparato tra l’ordinamento italiano e quello tedesco, cit., p. 249. V. altresì OLG Karlsruhe, 15 dicembre 1994, in FamRZ, 1995, p. 27; OLG Bamberg, 20 settembre 1989, ivi, 1990, p. 179. (115) La HausratsVO — del 21 ottobre 1944 — costituisce la prima disciplina sulla ripar-tizione della casa familiare e dei beni domestici in conseguenza del divorzio. Sulle ragioni di questa normativa, cfr., fra gli altri, SCHUBERT, Zur Reform der Gemeinschaftsteilung durch die Hausratsverordnung Von 1944, in JZ, 1983, p. 939 ss. (116) Per un commento alla specifica disciplina, si veda ancora M.G. CUBEDDU, La casa familiare: profili di diritto comparato tra l’ordinamento italiano e quello tedesco, cit., p. 246 ss.

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11. UNA CONVERGENZA GRADUALE? Lo studio degli anni settanta di Rheinstein e Glendon, pubblicato qua-le volume dell’IECL, rileva negli anni una parziale convergenza di modelli, nel senso che i sistemi separatisti avevano incrementato le tecniche volte alla distribuzione dei beni, mentre quelli comunitaristi i modi per svinco-lare l’amministrazione. Pur registrando il divario tra gli ordinamenti incli-ni o ad enfatizzare la solidarietà o piuttosto l’autonomia, fu riscontrato l’interagire dei due caratteri secondo diverse proporzioni in tutti gli ordi-namenti. Si è ricavata l’impressione che i sistemi separatisti fossero in cerca di meccanismi di spartizione all’interno di un regime che aveva già realizzato l’uguaglianza: l’individualismo anglo-americano è sembrato ricercare una maggiore «distribution»; mentre è apparso che i sistemi comunitaristi cer-cassero di introdurre meccanismi equalizzatori all’interno di una regola-mentazione che aveva già realizzato la spartizione. Invero l’amministra-zione dei beni sarebbe stata affrontata in Francia ed in USA nella prospet-tiva di rafforzare la posizione della moglie rispetto al fondo comune, men-tre in Inghilterra ed in Germania — stati separatisti — in quella di consentire a ciascun coniuge la libera amministrazione dei beni (117). I regimi matrimoniali in Inghilterra, Francia, Germania ed USA sareb-bero venuti ad assomigliarsi in termini di parità tra coniugi e libera dispo-nibilità dei propri diritti, ancorché non fosse stata migliorata la posizione quotidiana del coniuge senza reddito. Comparatisti di fama hanno messo in guardia dal fissare l’attenzione sullo statuto proprietario durante il matrimonio, suggerendo di apprezzare — in questa fase — piuttosto l’assetto del potere di amministrazione, volgen-do poi lo sguardo verso la distribuzione in sede divorzile ed ereditaria. In-vero nella stabilità della condizione coniugale non rileva tanto la titolarità dei beni, quanto la possibilità di disporne, e soprattutto il godimento; mentre allo scioglimento del matrimonio viene in gioco la loro appren-sione. Il suggerimento è prezioso e coltivandolo si constata una sorta di con-vergenza graduale tra le due aree: come i sistemi di comunione dei beni contemplano crescenti margini di libera disponibilità dei cespiti, correlati-vamente quelli a separazione tendono verso una distribuzione finale, spe-

_______________ (117) M.A. GLENDON, op. cit., p. 117 osserva che dalla Spagna si è esteso all’America Latina ed agli stati del Nord America,dall’Unione Sovietica ai paesi socialisti.

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cie in caso di divorzio. D’altra parte nei sistemi di common law il trust è utilizzato quale strumento perequativo. In questo quadro non sembra az-zardato affermare che la principale differenza tra i due modelli risiede nel-la più ampia discrezionalità usufruita dalle corti in common law, rispetto a ciò che accade nel contesto di civil law. Taluni dissentono, obiettando che lo scarto non poggia su tecnicismi, ma su principi, configurando una divaricazione tale da postergare i parallelismi registrabili tra la comunione dei beni ed il trust. La «joint tenancy» ed il «trust for sale» sono accostabili alla comunione laddove accentrano amministrazione e potere di disposi-zione; inoltre la posizione del soggetto privo di «legal title» presenta punti di contatto con quella del coniuge dell’acquirente in regime di comunione; mentre l’aspettativa verso il controvalore dei beni in caso di loro aliena-zione assomiglia alle prerogative accordate dalla comunione differita. Ri-guardata rispetto ai terzi, la posizione del coniuge titolare di un «equitable interest» in ordine ai cespiti oggetto di «legal title» da parte dell’altro, as-somiglia a quella del coniuge dell’acquirente in regime di comunione. Questa teoria merita considerazione. Essa sostiene che l’«equitable di-stribution» è imperniata sul riscontro di una prestazione resa da parte di un coniuge a favore dell’altro, o di una sorta di società fondata sulla con-vivenza; mentre la distribuzione realizzata dal regime comunitario non lo richiede, operando in modo slegato da ogni arricchimento comprovato o presunto. Nella storia si rintraccerebbe la scaturigine di queste diverse in-clinazioni: in contesti di common law la santità della famiglia attiene alla protezione individuale dei suoi componenti, e dal matrimonio promana-no effetti inferiori e cioè una minore modificazione delle rispettive sfere rispetto a quanto si registra in ambienti di civil law, dove è centrale la so-lidarietà tra gli sposi. Gli spunti avanzati da questa lettura si compendiano nella misurazio-ne di un’enorme distanza tra la comunione dei beni e l’«equitable sha-ring», dal momento che quest’ultimo spalma gli acquisti separati solo pre-via verifica di una precisa manifestazione di volontà dei coniugi, od alme-no di un affidamento, di una controprestazione, di una sorta di società; ancora, l’«equitable distribution» è un effetto dello scioglimento del ma-trimonio, non della sua prosecuzione, cosicché fonte non è la solidarietà tra gli sposi ed il vincolo coniugale, ma la sua dissoluzione. Se ci poniamo nella prospettiva del novero di diritti e di beni riguarda-ti troviamo che rispetto ai modi di essere e di incorporarsi della ricchezza nell’«era dell’accesso» tanto la disciplina della comunione quanto le regole divorzili sono poco acconce. I regimi comunitari appaiono adatti a risparmiatori, a famiglie che

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non spendono tutto ciò che guadagnano, e che collocano l’investimento immobiliare in cima alla graduatoria delle aspirazioni, seguito da azioni, poi arredi, automobili, quadri e gioielli. Ma il credito al consumo favorisce la spesa; le polizze sanitarie hanno affievolito la propensione all’accantona-mento di un peculio per fronteggiare l’eventualità di degenze ed interventi medici; il leasing, che si propone quale alternativa all’acquisto diretto, si estende a nuove fasce di mercato; l’utilizzo dei beni è sempre meno fun-zione della proprietà. Né la disciplina della comunione né i criteri distributivi divorzili sono in grado di catturare voci attive quali il conseguimento di titoli di studio od abilitazioni professionali: le stesse corti americane, ancorché ben equi-paggiate per amministrare l’«equitable distribution», non li annoverano nell’ambito della ricchezza da inventariare allo scioglimento del matrimo-nio. In questa direzione ci si imbatte nel ruolo cruciale giocato da altri fat-tori, peraltro in modo diseguale rispetto alle regole della comunione, da un lato, e del divorzio, dall’altro; talora, poi, il riverbero è registrabile su un solo versante. Intanto occorre considerare l’inevitabile comunione pro-dotta dalla confusione dei patrimoni dei coniugi, non diversa da quelle che si realizza in occasione di ogni convivenza, o — come si dice — della «condivisione di tetto e mensa»: riguardata sotto il profilo giuridico, la sua latitudine è in buona misura funzione delle regole vigenti in tema di circo-lazione dei beni, di prova della proprietà e del possesso. Interagiscono, poi, altre variabili, basti pensare alla pianificazione fiscale responsabile di inte-stazioni strategicamente indirizzate. Per contro la legislazione assistenziale e previdenziale, che garantisce al coniuge più debole quanto dovrebbe esse-re altrimenti procurato dall’altro, si candida ad interferire rispetto alla si-stemazione divorzile. Dalla disciplina dell’amministrazione si ricavano ulteriori conferme della denunciata inadeguatezza del regime comunitario al di fuori del comparto immobiliare. In effetti, dei beni mobili e degli altri diritti cia-scun coniuge può disporre senza il consenso dell’altro, né sussiste alcuna seria prospettiva di recupero di quanto unilateralmente alienato in dispre-gio dell’opposizione manifestata in seno alla coppia. Il Code Civil preclude al coniuge di ottenere la dichiarazione di inva-lidità od inefficacia dell’alienazione mobiliare osteggiata, fatta eccezione per quella avente ad oggetto gli arredi («meubles meublants»); ed altrettan-to sancisce il BGB. La casa familiare e gli arredi sono protetti, sia in regime di comunione sia in regime di separazione, nei confronti della disposizione unilaterale

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non autorizzata, da parte di regole esterne alla trama di entrambi. Riesce così plausibile rispetto alla condizione di questi beni una preoccupazione di indole pubblicistica, variabile di orientamenti — legislativi o giurispru-denziali — non circoscritti dalle linee portanti del regime patrimoniale del-la famiglia. È significativa, su questo sfondo, l’elaborazione di tecniche va-riamente rivolte a corredare il coniuge di robuste aspettative sulla casa fa-miliare, scavalcando il profilo della titolarità. I sistemi europei sono tendenzialmente omogenei. Alcuni esibiscono regole peculiari per gli arredi ed i corredi domestici: in Germania ed in Francia nell’ambito degli effetti del matrimonio regolati nel codice civile («Allgemeine Ehewirkungen»; «regime primaire»); in Inghilterra a mente della legislazione speciale. Sono coinvolti sia la casa familiare sia gli arredi: il § 1365 BGB vieta a ciascun coniuge di disporre del suo patrimonio sen-za il benestare dell’altro, e la giurisprudenza equipara alla spoliazione complessiva quella dei cespiti più significativi, includendovi la casa fami-liare. Queste regole, laddove dettate nell’ambito degli effetti generali del ma-trimonio, sono soggette ad un’applicazione maggiormente larga, e soprav-vivono alla separazione. Si compendiano nel divieto di disposizione da parte del singolo coniuge, per solito protetto attraverso la comminatoria di nullità od inefficacia azionabile dell’altro, mentre l’acquisto del terzo in buona fede non è sempre fatto salvo, quasi mai se a titolo gratuito. Altre tecniche di tutela dell’aspettativa alla casa familiare è l’assegnazione giudi-ziale del suo godimento in sede di separazione. E tale utilizzo può conver-tirsi in titolarità in occasione dello scioglimento del matrimonio, come a seguito della morte. La maggioranza dei sistemi assicurano al coniuge su-perstite il godimento della casa familiare, od addirittura la proprietà; alcu-ni semplicemente rinviano la divisione. Taluni riconoscono pretese limita-tamente ad arredi e dotazioni mobiliari in genere, esentando la parte im-mobiliare; altri su entrambe le voci. Quasi tutti i sistemi europei consentono al coniuge superstite di su-bentrare nel rapporto di locazione, ora a titolo esclusivo, ora in contitola-rità. Lo scenario americano non è molto diverso: in alcuni tra gli Stati ove vige la comunione è prescritta la disposizione congiunta degli immobili, specie della casa familiare; ma anche quelli che adottano la separazione contemplano limiti, discendenti dall’antico «homestead», congegnato nel diciottesimo secolo per proteggere l’abitazione familiare sia verso i credito-ri, sia internamente alla coppia nei confronti della disposizione unilaterale; oggi prescrizioni del genere figurano nelle legislazioni di alcuni Stati, per-sino in qualche codice, e le corti ne sottoscrivono il carattere precettivo.

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STRUTTURA E FUNZIONE DELLA TUTELA SOMMARIA CAUTELARE 115

Questa succinta analisi mostra come la distinzione tra comunione e separazione dei beni stia gradualmente perdendo peso, come del resto voci autorevoli predissero già circa venticinque anni addietro (118). Le regole in vigore sono espressione delle credenze coltivate dai sistemi: nel contesto patrimoniale in ordine alla posizione della famiglia ed alla protezione dei suoi membri, ma pure al rilievo accordato ai singoli cespiti. Il primo versante ha a che fare con il ruolo di supplenza del diritto di fa-miglia rispetto all’intervento statale, nel sovvenire a ciò che la mano pub-blica non riesce a provvedere; ed interferiscono i legami con la morale, quali promanano dalle matrici culturali e religiose. Il secondo si collega al-la gerarchia delle priorità nell’ambito dei bisogni da soddisfare e dei beni che incorporano le aspettative individuali: un tempo era apicale la colloca-zione degli immobili, specie l’abitazione e gli arredi; nell’era dell’accesso lo scenario è mutato, ed il regime patrimoniale della famiglia dovrebbe ade-guarsi. Infine, il nesso di buona parte di questi fenomeni con la coabitazione, prima ancora che con il vincolo coniugale, amplia la sfera di operatività della disciplina elaborata per le sistemazioni patrimoniali e la compensa-zione degli arricchimenti in occasione dello scioglimento del matrimonio, cosicché queste regole vengono applicate seguendo il medesimo atteggia-mento e la stessa mentalità alle controversie insorgenti nell’ambito di fa-miglie di fatto.

_______________ (118) Sul futuro del regime patrimoniale nei diversi paesi, specie con riguardo al pro-cesso di armonizzazione in Europa, v., fra gli altri, con varie angolature, D. HENRICH, Sul futuro del regime patrimoniale in Europa, in Familia, 2002, 4, p. 1055 ss.; C. MCGLYNN, The Europeanisation of family law, in Child and Family Law Q., 2001, p. 35 ss.; E.M. HOHNER-LEIN, Profili di un diritto europeo uniforme della famiglia e della filiazione, in European Legal Forum, 2000/01, p. 252 ss.; W. PINTENS, Rechtsvereinheitlichung und Rechtsangleichung im Familienrecht. Eine Rolle fuer die Europaeische Union?, in ZEuP, 1998, p. 670 ss.; K. DOELE-WOELKI, The Road Towards a European Family Law, in EJCL, 1997, p. 1 ss. Sui «Principles of European Family Law regarding divorce and Maintenance between former spouses » redatti dalla Commission on European Family Law (cfr. il testo in Familia, I, 2005, p. 341 ss.), S. PATTI, I principi di diritto europeo della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi, ivi, I, 2005, p. 337 ss.

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