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1 Il dirigente scolastico. Un breve quadro storico. E’ opportuna una dettagliata ricostruzione storica dell’evoluzione della figura del dirigente scolastico. Almeno all’inizio, il ruolo direttivo non accompagnò direttamente lo sviluppo della scuola. La legge Casati del 1859 affrontò in modo indiretto il problema dei direttori, stabilendo che i Comuni avrebbero potuto creare commissioni di ispezione se opportuno. Nel Regolamento applicativo della suddetta legge si stabilì che per la conduzione di questi uffici di direzione sarebbe stata affidata a persone giudicate idonee per tale incarico. La scelta più opportuna sembrò quella di affidare alle singole realtà locali di istituire o meno tali figure. Per l’istruzione di base la funzione dirigente e coordinatrice era solo contemplata come possibilità e non come presenza obbligatoria. La struttura fortemente gerarchica e centralistica del ministero e di tutto il sistema scolastico imponeva che anche la parte più lontana dal centro, la singola scuola, fosse gestita e controllata secondo i criteri fissati e secondo una linea dipendenza gerarchica verticale. Il compito di esercitare l’azione di controllo sul territorio da parte dello Stato fu affidato a provveditori agli studi e agli ispettori così ripartiti: ispettori generali, ispettori, regi ispettori di circondario. La legge Coppino del 15 luglio 1877 e il Regolamento del 1895 autorizzava i comuni a istituire l’uffic io di direttore affidandolo alle persone abilitate. Le diverse attribuzioni del direttore: vigilare sul mantenimento della disciplina e sull’osservanza dell’orario; impartire ai maestri le necessarie istruzioni sullo svolgimen to dei programmi, s ul metodo di insegnamento e sulla tenuta dei registri; rivedere i lavori scolastici corretti dagli insegnanti; deliberare la sospensione temporanea dalla scuola degli alunni; accompagnare l’ispettore nelle visite. Cominciava, comunqu e, a maturare nella pubblica opi nione la consapevolezza delle condizioni inadeguate in cui versava la scuola. La legge Nasi del 1903, nel regolamentare in mani era più equa e organica lo stato giuri dico dei maestri, dettò norme circa le funzioni delle direzioni didattiche, la cui istituzione divenne obbligatoria in tutti i comuni con popolazione superiore ai diecimila abitanti. A capo di quegli organi di indirizzo e di controllo fu destinato un direttore. Il diploma di direttore didattico si conferiva per titoli e per esami (Legge del 19 febbraio 1903, n.45). La legge Daneo e Credaro del 4 giugno 1911, avocando allo

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1

Il dirigente scolastico.

Un breve quadro storico.

E’ opportuna una dettagliata ricostruzione storica dell’evoluzione della figura del

dirigente scolastico. Almeno all’inizio, il ruolo direttivo non accompagnò

direttamente lo sviluppo della scuola. La legge Casati del 1859 affrontò in modo

indiretto il problema dei direttori, stabilendo che i Comuni avrebbero potuto creare

commissioni di ispezione se opportuno. Nel Regolamento applicativo della suddetta

legge si stabilì che per la conduzione di questi uffici di direzione sarebbe stata

affidata a persone giudicate idonee per tale incarico. La scelta più opportuna

sembrò quella di affidare alle singole realtà locali di istituire o meno tali figure. Per

l’istruzione di base la funzione dirigente e coordinatrice era solo contemplata come

possibilità e non come presenza obbligatoria. La struttura fortemente gerarchica e

centralistica del ministero e di tutto il sistema scolastico imponeva che anche la

parte più lontana dal centro, la singola scuola, fosse gestita e controllata secondo i

criteri fissati e secondo una linea dipendenza gerarchica verticale.

Il compito di esercitare l’azione di controllo sul territorio da parte dello Stato fu

affidato a provveditori agli studi e agli ispettori così ripartiti: ispettori generali,

ispettori, regi ispettori di circondario. La legge Coppino del 15 luglio 1877 e il

Regolamento del 1895 autorizzava i comuni a istituire l’uffic io di direttore

affidandolo alle persone abilitate. Le diverse attribuzioni del direttore: vigilare sul

mantenimento della disciplina e sull’osservanza dell’orario; impartire ai maestri le

necessarie istruzioni sullo svolgimento dei programmi, sul metodo di insegnamento

e sulla tenuta dei registri; rivedere i lavori scolastici corretti dagli insegnanti;

deliberare la sospensione temporanea dalla scuola degli alunni; accompagnarel’ispettore nelle visite. Cominciava, comunque, a maturare nella pubblica opinione la

consapevolezza delle condizioni inadeguate in cui versava la scuola. La legge Nasi del

1903, nel regolamentare in maniera più equa e organica lo stato giuridico dei

maestri, dettò norme circa le funzioni delle direzioni didattiche, la cui istituzione

divenne obbligatoria in tutti i comuni con popolazione superiore ai diecimila

abitanti. A capo di quegli organi di indirizzo e di controllo fu destinato un direttore. Il

diploma di direttore didattico si conferiva per titoli e per esami (Legge del 19

febbraio 1903, n.45). La legge Daneo e Credaro del 4 giugno 1911, avocando allo

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Stato i compiti in materia di istruzione elementare, trasformò di fatto le direzioni e i

direttori in organi dell’amministrazione pubblica. 

Con la Riforma del 1923 del Ministro Gentile si avviò un profondo processo di

riorganizzazione del nostro sistema scolastico. Fu privilegiato l’insegnamento dellescienze umanistiche. Agli insegnanti, pur se in linea di principio venne riconosciuta la

libertà di insegnamento, fu chiesto di attenersi in modo rigido alle disposizioni

ministeriali. Lo stesso avvenne per i presidi, che furono posti alle dirette dipendenze

dei provveditori agli studi. Tutto ciò avvenne anche nella scuola elementare, dove il

direttore didattico fu definitivo “governativo” sia nel Testo unico del 1928 sia nel

successivo Regolamento. A lui furono affidate funzioni di guida per i docenti, sui

quali gli si riconosceva la diretta potestà gerarchica, mentre la sua posizione

giuridica era di subordinazione agli ispettori. Il cardine dell’ordinamento era la

direzione didattica. Ma mentre esse fu, sin dalla sua nascita, comunale, dal 1911,

con la legge Credaro diventò consorziale, per cui ogni direttore ebbe da dirigere le

scuole di due, tre, cinque, otto e più comuni, aperte spesso in 30/40 sedi diverse. Un

ulteriore accentramento si ebbe con i Programmi Belluzzo del 1929, con la Carta

della scuola del ministro Bottai, con l’inquadramento nel 1942 degli insegnanti nei

ruoli di impiegati civili dello Stato. Nel dopoguerra presidi e direttori mantennero le

precedenti prerogative. E non ci furono grandi cambiamenti nonostante i risultatidell’inchiesta Gonella e l’attuazione dei Programmi Ermini per le elementari del

1955. Compiti del direttore didattico: controllo per l’adempimento dell’obbligo

scolastico e quello del regolare funzionamento delle scuole; la formazione delle

classi, la loro distribuzione nei locali scolastici e l’assegnazione degli insegnanti ad

esse; la proposta del calendario scolastico e dell’orario delle lezioni; la concessione

di congedi ai maestri e la copertura delle connesse supplenze; la segnalazione alle

autorità scolastiche di eventuali inadempienze degli enti locali. Il dibattito sulla

funzione direttiva ripartì nel corso degli anni Sessanta, incrementato anche dai

processi di sviluppo economico e industriale che conobbe l’Italia in quella fase. 

Gli anni ’70 furono un periodo in cui si assisté a una profonda e rapida

trasformazione dell’istituzione scolastica: essa abbandonò definitivamente la sua

funzione di meccanismo di selezione per assumere il carattere di scuola di massa.

Passaggi decisivi furono l’istituzione del tempo pieno nella elementare, la

promulgazione dei decreti delegati del 1974 e della legge 517 del 1977, che

delinearono l’immagine di una scuola quale comunità educante. Un paragone che in

quei giorni fu abbastanza diffuso e condiviso tra gli esperti di pedagogia fu quello di

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accostare la scuola all’azienda. Come quest’ultima si riconosceva avesse una sua

struttura, una sua organizzazione che le permetteva di sfruttare al massimo le

capacità e le doti del proprio personale, anche la scuola, produttrice di beni culturali,

avrebbe dovuto ridefinirsi e ristrutturarsi dal punto di vista organizzativo per

trasformarsi in una struttura non burocratica, aperta all’interazione col territorio,

flessibile e innovativa. I decreti delegati, in questo contesto, affidarono ai capi di

istituto funzioni di promozione e coordinamento delle attività della scuola. La scuola

si configurava sempre più come un sistema di tipo cooperativistico, caratterizzato da

una pluralità di sedi e di livelli decisionali.

In quegli anni non erano molte le pubblicazioni italiane che affrontavano la

definizione di questa nuova figura direttiva. Il riferimento andava, dunque, ai

contributi che giungevano in Italia dal mondo anglosassone. La Culver, a tal

proposito, definiva il dirigente come agente fondamentale dell’innovazione. Per lei

le funzioni di animazione/facilitazione avrebbero dovuto prevalere su quelle

amministrative. Tye definiva il dirigente agente di cambiamento, mentre Hoban

auspicava un’azione innovativa da parte del dirigente così intensa da parte del

dirigente da condurre l’istituzione scolastica a fare a meno di lui. Veniva sottolineata

l’ambiguità di un ruolo caratterizzato da compiti di tipo amministrativo e da funzioni

di tipo didattico e pedagogico. Scurati e Damiano individuarono in una prospettiva diinterazione tra questi due aspetti, “interazione educazionale”, i contenuti

professionali più qualificanti della funzione direttiva.

Ad alimentare il dibattito nelle fasi seguenti fu lo sviluppo dell’associazionismo dei

capi di istituto. In una fase iniziale, il movimento si sviluppò soprattutto fra i direttori

didattici mentre tra i presidi, anche per il fatto che molti erano insegnanti incaricati,

il fenomeno decollò solo in un secondo momento. Gli aspetti più qualificanti furono

tre: la concezione di scuola servizio come evoluzione dell’idea burocratica di scuolaapparato; il superamento di qualsiasi forma di corporativismo professionale;

l’attenzione ai processi che avrebbero potuto promuovere un reale radicamento

della scuola sul territorio. Il congresso unico dei presidi, nel 1987, portò alla

costituzione dell’ANP. Nel 1988 il coordinamento nazionale dei direttori didattici si

costituì in ANDIS (associazione nazionale dirigenti scolastici). L’ANP, poi, assunse il

caratere di vero e proprio sindacato di categoria, mentre l’ANDIS avrebbe

conservato il suo carattere di associazione culturale professionale.

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Durante gli anni ’90 è stato completato l’iter di definizione della dirigenza scolastica.

Abbiamo diversi provvedimenti. Il primo è dato dal CCNL del 1995, all’art. 23,

comma 1, che per la prima volta colloca i capi di istituto nell’area della dirigenza

scolastica. Capi di istituto e direttori didattici vengono indicati nell’unità dizione di

dirigente scolastico. Il disposto normativo ha previsto che avrebbe potuto essere

affidata al capo di istituto la realizzazione di specifici progetti e attività. Circa gli orari

di lavoro, il contratto ha stabilito una attività ordinaria di almeno trentasei ore

settimanali e di tutte le ore che l’espletamento della funzione avrebbe potuto

richiedere. Con la legge 59/97, all’art. 21, comma 17, è stato ripreso il discorso della

dirigenza. Si è stabilito il conferimento della qualifica dirigenziale ai capi di istituto

contestualmente all’acquisto dell’autonomia e della personalità giuridica da parte

delle istituzioni scolastiche, rinviando l’individuazione dei contenuti e dellespecificità professionali a un successivo provvedimento integrativo del Dlgs 29/1993.

L’anno seguente fu la volta del Dlgs 59 del 6 marzo 1998 con il quale furono definiti

gli aspetti fondamentali che avrebbero caratterizzato la qualifica dirigenziale dei capi

di istituto: in sostanza, si trattava di quel decreto già annunciato di modifica del D.lgs

29/1993, con cui si istituiva la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti a

istituzioni scolastiche ed educative dotate di personalità giuridica e di autonomia. Si

riconfermava l’affidamento ad essi della gestione unitaria dell’istituzione scolastica ela sua legale rappresentanza, la responsabilità della gestione delle risorse finanziarie

e strumentali e dei risultati del servizio. Si affidava a loro il compito di organizzare le

attività scolastiche secondo criteri di efficienza ed efficacia formative. I dirigenti

erano chiamati a rispondere dei risultati conseguiti e venivano valutati in base alla

specificità delle funzioni e in relazione alle verifiche effettuate da un nucleo di

valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale. Veniva anche

regolamentato l’inquadramento in ruoli regionali. 

L’art. 40 del CCNL del 1999 regolamentava il conferimento da parte

dell’amministrazione scolastica di incarichi secondo criteri di trasparenza,

razionalità, efficienza: coordinamento di iniziative e progetti a livello provinciale e

regionale, collaborazioni in studi e ricerche; reggenza di altra scuola in caso di

assenza o impedimento del titolare per periodi superiori a due mesi; tutorato il capo

di istituto in prova o al primo anno di incarico; coordinamento di progetti relativi a

più scuola tra loro associate; progettazione e direzione di corsi di formazione,

riconversione e qualificazione del personale. Gli incarichi sarebbero stati assegnati in

base agli esiti della valutazione, alla competenza professionale e alla sua congruità

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con l’incarico di affidare. Venne prevista una fase transitoria in attesa della

definizione dei contenuti della dirigenza scolastica. Vennero istituite due fasce, la

prima relativa alla mobilità tra istituti di scuole elementare, medie e istituti

comprensivi, la seconda tra le superiori. Il dirigente manteneva la precedenza per la

nomina sull’istituzione di precedente titolarità, mentre per le sedi vacanti era

possibile anche il passaggio tra le due fasce in base al requisito del possesso

dell’abilitazione per uno degli insegnamenti previsti nell’istituto richiesto. 

La legge 59/1997 e il Dlgs 59/1998 hanno stabilito che la qualifica dirigenziale

sarebbe stata attribuita a partire dal primo settembre 2000 ai capi di istituto che

fossero stati preposti a istituzioni scolastiche dotate di autonomia e personalità

giuridica. Il dispositivo che avrebbe maggiormente influito sull’assetto del sistema

scolastico sarebbe stato il decreto interministeriale 176/1997, specifico per la

riorganizzazione territoriale della rete; in particolare, con l’art. 4 si era proceduto

alla soppressione, fusione, aggregazione di circoli e di istituti che avessero avuto

meno di trenta classi, mentre con l’art. 5 era stata suggerita l’opportunità di creare

nei comuni montani, nelle piccole isole e in zone particolari istituti autonomi

comprensivi di materne, elementari e medie. Poi ci fu il DPR 233 del 18 giugno 1998,

il regolamento per il dimensionamento ottimale degli istituti e per l’organico

funzionale, la cui emanazione fu finalizzata a garantire la prospettivadell’autonomia, a dare nel tempo stabilità alle istituzioni scolastiche, a offrire una

pluralità di scelte sul territorio: gli indici di dimensionamento stabilivano che le

scuole autonome avrebbero dovuto avere non meno di 50 alunni e non più di 900.

Con il completamento delle operazioni di dimensionamento e con la conseguente

adozione dei piani di dimensionamento elaborati dalle regioni, erano infine state

individuate le istituzioni scolastiche che avrebbero avuto diritto al riconoscimento

dell’autonomia e della personalità giuridica. Il DM del 5 agosto 1998 provvede a

regolamentare il secondo aspetto per il conferimento della qualifica dirigenziale,

quello relativo alla frequenza dei corsi di formazione. Nel decreto furono fissati

finalità, obiettivi, struttura, contenuti e durata di tali corsi.

La specificità della dirigenza scolastica.

La qualifica dirigenziale è stata riconosciuta previa frequentazione di un corso, ai

capi di istituto in servizio al primo settembre 2000. E’ stata così creata una nuova

figura nel mondo della scuola. Oltre ai vari contratti di categoria, il Dlgs 165/2001, ilregolamento per l’autonomia DPR 275/1999, il Regolamento contabile, il Dlgs

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44/2001. La professionalità dei dirigenti scolastici fa riferimento ai seguenti ambiti:

gestione amministrativa, gestione organizzativa, valorizzazione delle risorse umane,

quello culturale. Il primo riguarda tutte le funzioni connesse con le responsabilità di

carattere giuridico conseguenti all’assunzione della qualifica dirigenziale. L’art 25,

comma 2, del dlgs 165/2001 ha affidato al dirigente la legale rappresentanza

dell’istituzione scolastica, la titolarità delle relazione sindacali, il compito di emanare

provvedimenti amministrativi connessi con la gestione del personale. Il secondo va

riferito agli aspetti organizzativi della vita della scuola, sia a quelli interni relativi alla

gestione del servizio, sia a quelli esterni connessi con la rete scolastica e con i

rapporti con il territorio. Il dirigente è chiamato ad assicurare la gestione unitaria

dell’istituzione; per quanto riguarda il POF, gli sono riconosciuti autonomi poteri di

direzione e di coordinamento nell’organizzazione delle attività. Al dirigente èaffidato il compito di promuovere gli interventi per assicurare la qualità dei processi

formativi. Il terzo conduce al riconoscimento della grande rilevanza delle risorse

professionali presenti nella scuola. Il dirigente è chiamato a operare al fine di

valorizzare tali risorse. Si tratta di adempiere al delicato compito di favorire per il

personale scolastico la realizzazione di prestazioni professionali di qualità. Egli deve

garantire l’esercizio della libertà di insegnamento, intesa come libertà di ricerca e

innovazione metodologico didattica. La stessa attenzione va riservata anche al

personale ATA e al DSGA, una vera e propria figura di riferimento per il ds. Il quarto

è riferito alla dimensione culturale della professionalità dei dirigenti. Gli sono

riconosciute indubbie capacità di lettura e interpretazione degli aspetti pedagogici,

sociologici, storici, culturali delle dinamiche dell’educazione. Tale ambito assume

una rinnovata valenza proprio in riferimento all’attuale contesto sociale, nel quale

alla obsolescenza dei tradizionali modelli faticano a sostituirsi nuovi modelli

culturali.

Per la dirigenza scolastica è stata istituita una V area autonoma rispetto alle altre

quattro aree dirigenziali del pubblico impiego. E’ stata riconosciuta la specificità

della dirigenza scolastica in rapporto a tutte le altre del pubblico impiego. L’art 13

del dlgs 29/1993 (oggi 165/2001) aveva richiamato la nuova normativa sulla

dirigenza amministrativa rispettando la specificità dei singoli ordinamenti. Il comma

16 dell’art. 21 della legge 59 del 15 marzo 1997 aveva richiesto un decreto

legislativo apposito per la dirigenza scolastica integrativo del decreto 29/1993; il

CCNL 1995, all’art. 32, aveva parlato di una distinta area specifica della dirigenzascolastica non assimilabile alla dirigenza amministrativa. La specificità nasce in base

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alle stesse fonti da cui si muovono i due diversi filoni normativi della dirigenza

pubblica e di quella scolastica. E’ la natura stessa del lavoro svolta dal dirigente

scolastico a dar vita a situazioni atipiche che non trovano traccia analoga nell’ambito

della dirigenza pubblica. Egli è il legale rappresentante dello Stato sul territorio ed è

il rappresentante e responsabile apicale della singola istituzione scolastica. Ciò

comporta il crearsi di una serie di situazioni difficilmente interpretabili al di fuori

della logica specifica della dirigenza scolastica. La prima è relativa al funzionamento

degli organi collegiali, nei quali il dirigente è rappresentante di governo. Egli svolge,

però, anche parte attiva nei lavori di tali organi e può esprimere la sua opinione

personale in merito alle decisioni che di volta in volta dovranno essere adottate. Il

secondo aspetto riguarda la definizione del curricolo di istituto che va delineato in

riferimento alle Indicazioni nazionali, mentre una quota residua è lasciata alladefinizione delle singole istituzioni scolastiche. Qui spetterà al ds essere garante

dell’applicazione programmatica delle indicazioni. Egli è chiamato a contemperare le

esigenze di organizzazione con l’opportunità di garantire la libertà di insegnamento 

dei docenti e di consentire la libertà di apprendimento degli alunni e la libertà di

scelta delle famiglie.

Il primo intervento normativo, in prospettiva di questo nuovo orientamento, si è

avuto con la legge 145 del 15 luglio 2002 relativa al riordino della dirigenza statale.Se l’art. 19 del decreto 165/2001 aveva indicato per gli incarichi dirigenziali gli

elementi costitutivi del contratto, la legge 145/2002 e la successiva circolare della

funzione pubblica del 31 luglio 2002, hanno ridato centralità al merito, prevedendo

anche che per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene

conto delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente. Il profilo

professionale del dirigente scolastico non è stato comunque oggetto di significative

modifiche. Da ricordare sono il Memorandum e una successiva Intesa, entrambe del

2007. Affrontando la questione della dirigenza, è stato proposto un riassetto

normativo e contrattuale. Si è concordato che la loro assunzione sarebbe avvenuta

attraverso concorsi pubblici, eliminando qualsiasi progressione automatica di

carriera e collegando le retribuzioni ai risultatiti e alla valutazione. Per la valutazione

si è affermato che la dirigenza deve essere valutata coniugando le disposizioni

normative e contrattuali vigenti, prendendo a riferimento la misurazione dei servizi,

i parametri di capacità manageriali, nonché i risultati conseguiti valutati con l’ausilio

di appositi nuclei. La valutazione del personale con posizione organizzativa seguiràsimili criteri, in analogia a quanto previsto in alcuni comparti di contrattazione,

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superando rigide definizioni legislative. Saranno affiancate l’attribuzione alla

dirigenza di effettivi poteri di gestione del personale e la previsione di adeguati

sistemi di garanzia, nell’ambito del sistema si relazioni sindacali (dal Memorandum

di intesa sul lavoro pubblico del 6 aprile 2007). Il fatto che il Memorandum si

riferisse ai servizi pubblici in generale ha spinto per la specificità strategica di scuola,

università e ricerca a sottoscrivere tra le parti una successiva intesa a giugno del

2007. Partendo dalla consapevolezza delle funzioni della scuola, è stata condivisa la

necessità di migliorare l’istruzione sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo,

superando i ritardi e contrastando gli abbandoni e gli insuccessi scolastici. La

strategia fondamentale è stata individuata nella valorizzazione del personale della

scuola, compresi i dirigenti scolastici per i quali è richiesto di: sviluppare la

formazione specifica della dirigenza scolastica; sviluppare il ruolo professionale delladirigenza scolastica, in quanto dirigenza che esercita le sue funzioni in un sistema

complesso; esaminare la possibilità di introdurre norme contrattuali o di migliorare

quelle esistenti.

Le operazioni per il reclutamento del personale dirigente della scuola hanno

tradizionalmente costituito un banco di prova tra i più selettivi nell’ambito  del

pubblico impiego; esse prevedevano l’effettuazione di una o più prove scritte, sia di

cultura generale, sia pedagogica, sia di diritto scolastico, con successiva prova oraleper coloro che avessero superato gli scritti. Successivamente, a dettare norme sul

reclutamento dei dirigenti scolastici è stato il dlgs 165/2001, che aveva previsto

l’effettuazione di un corso concorso selettivo di formazione. Tale corso concorso si

svolgeva con la frequenza di moduli di formazione comune per tutti i candidati e di

moduli specifici per assumere rispettivamente la dirigenza di elementari e medie,

delle superiori, degli istituti educativi. Le sue fasi prevedevano una selezione per

titoli, un concorso di ammissione, la frequenza di un corso di formazione e il

completamento con un esame finale. Dopo un decennio il modello di reclutamento

appare significativamente innovato. Il DPR 140 del 10 luglio 2008 che ha approvato,

in attuazione della legge 296 art 1 comma 618, un nuovo regolamento. Novità:

unificazione dei settori formativi per cui i candidati concorrono per tutti i settori

indistintamente; sostituzione della preselezione per titoli con una prova di selezione

oggettiva culturale e professionale attraverso la somministrazione di quesiti.

Una particolare attenzione è stata riservata sia nei contratti sia nelle direttive

ministeriali alla formazione e all’aggiornamento dei dirigenti.  La formazione

rappresenta un elemento di grande rilevanza strategica per i processi di sviluppo

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della stessa cultura organizzativa pedagogica e per la realizzazione della prospettiva

dell’autonomia. Già nel CCNL 95 era stata prevista per i capi di istituto la possibilità

di prendere parte a iniziative formative o di aggiornamento organizzate

dall’amministrazione, dalle università o da altri soggetti accreditati, previa

autorizzazione dei provveditori. La stessa Direttiva 143 del primo ottobre 2001,

aveva fissato una serie di obiettivi formativi prioritari, riferibili ai processi innovativi

in atto, ma anche a iniziative di riqualificazione, riconversione, arricchimento dei

profili professionali degli operatori scolastici. Una particolare attenzione era stata

riservata anche al consolidamento della cultura dell’autonomia, con specifico

riferimento alla capacità di progettazione, gestione dell’organizzazione e

dell’autovalutazione.

Anche il CCNL 2002 era intervenuto sottolineando a più riprese l’importanza della

formazione dei dirigenti. Nel nuovo contratto 2006/09 viene ripresa tale

consapevolezza. Il MIUR si è poi impegnato a consentire il continuo aggiornamento

delle competenze dirigenziali in riferimento al costante sviluppo culturale della

nostra società. Si tratta di una scelta strategica assunta in modo permanente che

prevedrà un impegno annuo di risorse da parte del Ministero. Le attività formative

devono tendere a rafforzare comportamenti innovativi dei dirigenti e la loro

attitudini a promuovere e sostenere iniziative di miglioramento. L’importanza dellaformazione dei dirigenti è testimoniata dal fatto che il contratto prevede anche la

possibilità di ricorrere all’aspettativa non retribuita per motivi di studio per un

periodo massimo di tre mesi nell’arco di un anno. E’ stata anche prevista, in base

all’art. 26 comma 14 della legge 448/1998, la possibile fruizione di un periodo di

aspettativa non retribuita sino a un anno ogni dieci per la formazione.

L’attuale fase di trasformazione del nostro sistema educativo comporta ancora il

rischio di una accentuazione degli interessi verso gli aspetti più prettamenteamministrativi e gestionali del lavoro, anche perché saranno questi gli ambiti

professionali maggiormente soggetti a controllo, soprattutto dopo la svolta del

decreto Brunetta. Tutto ciò potrebbe provocare il progressivo svuotamento del

tradizionale ruolo di guida culturale e pedagogica che i capi di istituto hanno da

sempre rappresentato. E’ indubbio che una prima area di interesse dovrà riguardare

la gestione, anche in riferimento agli strumenti giuridici che il dirigente utilizza: il

regolamento amministrativo contabile, la gestione delle relazioni sindacali, gli altri

aspetti professionali di tipo amministrativo, le potestà e le responsabilità, il sistema

dei controlli, la valutazione. Una seconda area di interesse potrà essere ricondotta

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all’organizzazione scolastica e alla valorizzazione delle risorse umane. E’ questo il

settore in cui il dirigente deve maggiormente esercitare la sua leadership.

Anche la questione della valutazione del servizio ha accompagnato da sempre lo

sviluppo della carriera dei capi di istituto. Essa aveva avuto una formulazione di verae propria qualifica, che era stata a lungo utilizzata come elemento di regolazione dei

rapporti gerarchici all’interno dell’ordinamento scolastico. Ancora l’art. 65 del

regolamento generale prevedeva che gli ispettori avrebbero dovuto compilare entro

gennaio di ciascun anno scolastico note di qualifica per i direttori. Queste erano

sottoposte ai provveditori ai fini della revisione e del visto. Dal primo luglio 1956, in

base alle disposizioni dello statuto degli impiegati dello Stato, e note di qualifica

vennero sostituite da un diverso documento valutativo, il rapporto informativo,

accompagnato anch’esso da un giudizio complessivo, espresso con ottimo, distinto,

buono, mediocre, insufficiente, mentre gli indicatori su cui esso si basava erano la

capacità, la diligenza, l’operosità, la condotta e altre osservazioni. Una prima svolta

verso un modello di valutazione più attuale era avvenuta, con il contratto 1995, nel

quale, all’art. 36, comma 1, si stabiliva che l’attività del capo di istituto sarebbe stata

oggetto di periodica valutazione; tale processo era concluso dal provveditore agli

studi in base a un giudizio formulato da nuclei di valutazione costituiti in ambito

provinciale: obiettivi, criteri, modalità e composizione dei nuclei andavano definititramite accordi. Venne introdotto un elemento innovativo: l’esito della valutazione

avrebbe prodotto degli effetti sulla progressione, che avrebbe potuto essere

accelerata o ritardata. SI prevedeva l’istituzione presso ciascun ufficio scolastico

regionale di un nucleo valutativo composto dal sovrintendente o da un suo dirigente

delegato. I nuclei dovranno considerare i processi promossi dal capo di istituto in

ordine a: direzione e organizzazione dell’istituzione scolastica; relazioni interne ed

esterne; innovazione e sviluppo; valorizzazione delle risorse umane finanziarie e

strumentali a disposizione.

Il meccanismo di controllo dei risultati della gestione e delle scelte professionali,

affidato ai dirigenti scolastici era stato innovato dall’art. 27 del dlgs 286/1999. S i

ribadiva il principio di fondo che i dirigenti scolastici dovevano rispondere dei

risultati della loro gestione e delle loro scelte professionali; tale valutazione,

effettuata in rapporto agli obiettivi e ai programmi da realizzare e alle risorse

disponibili, doveva avvenire facendo riferimento il più possibile a dati oggettivi. Le

stesse prestazioni, analizzate anche in riferimento al controllo più generale della

gestione dell’istituzione scolastica, erano valutate in base ad alcuni criteri generali

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fissati dall’amministrazione e comunicati ai dirigenti in via preventiva anche allo

scopo di far arrivare meccanismi di autovalutazione. I parametri dovevano

riguardare la correlazione dei risultati con le direttive impartite e con gli obiettivi

prefissati. Si sottolineava che tali criteri andavano preferiti alla specificità della

situazione scolastica, al contesto territoriale e sociale, alle finalità e agli obiettivi del

POF, alle garanzie che egli era tenuto ad assicurare per la libertà di insegnamento e

il diritto di apprendimento. Lo stesso dirigente dell’amministrazione avrebbe

proceduto a ulteriori accertamenti affiancato in questo lavoro da altri due esperti.

La valutazione finale sarebbe stata formalmente redatta a cura del dirigente

scolastico regionale.

Era poi sopraggiunti a definire le modalità di svolgimento della valutazione la CM

321 del 21 dicembre 1999: i processi andavano fondati su una concezione della

valutazione come atto di apprezzamento della qualità dei medesimi attivati e come

processo continuo per il miglioramento delle attività. Al Ministero spettava il

compito di predisporre modelli strutturati di autoanalisi e di valutazione e

attribuzione di punteggio; ai sovrintendenti scolastici toccava l’onere di istituire i

nuclei di valutazione e di creare le condizioni per farli funzionare; i provveditori agli

studi avrebbero dovuto comunicare alla sovrintendenza eventuali procedimenti e

sanzioni disciplinari relativi a singoli dirigenti; ai capi di istituto sarebbe toccato diinviare, sempre alla sovrintendenza, i documenti di autoanalisi e di descrizione del

contesto, copia del POF, copia del proprio curricolo professionale.

I processi oggetto della valutazione riguardavano cinque ambiti: la direzione e

l’organizzazione dell’istituzione scolastica; le relazioni interne ed esterne;

l’innovazione e lo sviluppo; la valorizzazione delle risorse umane; la gestione delle

risorse finanziarie e strumentali di cui si avvaleva il dirigente scolastico. Si chiedeva

ai dirigenti, per ciascuno degli ambiti, di descrivere non più di due iniziativemaggiormente significative. Per ogni processo veniva prevista l’effettuazione di

un’analisi condotta in ragione di due variabili: il livello di completezza dell’iniziativa e

le modalità di monitoraggio per essa predisposte. Si trattava di un modello di

valutazione sommativa e nel contempo formativa. Degli esiti dell’operazione non

vennero diffuse notizie se non in poche regioni. La valutazione andava interpretata

secondo una duplice valenza, quella di garanzia della funzione dirigente e di

promozione della qualità della gestione. Sulle metodiche della valutazione sin dal

primo momento erano state sottolineate perplessità ancora non del tutto chiarite; si

pensi al fatto che essa era comunque collegata ai risultati dei processi attivati per la

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realizzazione del POF. L’attivazione dei processi dipende da iniziative ed elaborazioni

progettuali rimesse alla diretta comptetenza del collegio dei docenti.

Sulla questione della valutazione nel primo decennio dell’autonomia è che essa è

stata affrontata nel nostro Paese con un ritardo significativo. In questo arco ditempo non sono state definite soluzioni in grado di diventare elemento di sistema.

Ancor più in ritardo siamo sulla valutazione dei dirigenti scolastici. E non sono

mancate esperienze, quali la sperimentazione del SiVaDis 3 per l’anno 2005/06, un

modello valutativo messo a punto nel corso di quegli anni. Il modello era entrato

sulla valutazione dei risultati della gestione e le competenze professionali e

organizzative dei dirigenti scolastici. SI basava su una serie di principi, quali la

trasparenza della procedura e dei criteri di valutazione; l’omogeneità

dell’applicazione in campo nazionale e regionale; la considerazione delle diverse

condizioni operative; l’utilizzo di dati oggettivi. Il team valutativo era composto in

prima istanza da un dirigente tecnico, un dirigente amministrativo, un dirigente

scolastico, con validazione finale da parte del dirigente generale regionale. Oggetto

della valutazione era la prestazione del dirigente. Era anche previsto l’utilizzo di uno

strumento per l’osservazione costituito da un repertorio delle azioni professionali

proprie dei dirigenti e da una serie di obiettivi e di indicatori: le aree professionali e i

risultati valutati riguardavano: la qualità dei processi formativi; la direzione, ilcoordinamento e la valorizzazione delle risorse umane; le relazioni esterne;

l’organizzazione, la gestione, il controllo interno. La partecipazione dei dirigenti era

su base volontaria.

E’ ormai diffusa la consapevolezza del rilievo che ha la figura dirigenziale nella

realizzazione dell’autonomia. La legge 176/2006 aveva già in parte modificato le

procedure per le sanzioni disciplinari, la sospensione cautelare, il trasferimento

d’ufficio per incompatibilità e la sospensione cautelare per comportamenti lesividella dignità delle persone della scuola. La questione della valutazione restava

centrale. Dopo il Memorandum, l’Intesa sul lavoro pubblico e quella sull’azione

pubblica a sostegno della conoscenza, il quaderno bianco sulla scuola, tutti del 2007,

la direttiva 8 del 6 febbraio 2007 del ministro Nicolais circa la valutazione dei

comportamenti nella PA e le responsabilità disciplinari, era stato emanto il decreto

112/2008, convertito nella legge 133/2008. Questa norma aveva stabilito che i

dirigenti, compresi i dirigenti scolastici, coinvolti nel processo di razionalizzazione,

ne assicurano la compiuta e puntuale realizzazione. Una serie di nuove norme

hanno profondamente innovato il sistema scuola e più in generale quello del

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pubblico impiego. Si ricordano alcuni provvedimenti: la nota ministeriale del

28/11/2007, applicativa del decreto 80/2007, per il recupero dei debiti formativi

degli alunni il quale ha stabilito che la tempestività, la flessibilità, l’adeguatezza degli

interventi di sostegno e di recupero costituiscono per i dirigenti elemento primario

di valutazione per la retribuzione di risultato e per il conferimento di nuovi incarichi;

l’art. 64, comma 5 del decreto 112/2008, il quale ha sottolineato che anche i

dirigenti scolastici, oltre che i dirigenti regionali e del MIUR, sono coinvolti

pienamente nei processi di dimensionamento e hanno responsabilità dirigenziale

per il mancato conseguimento degli obiettivi prefissati. Infine, la legge 15/2009 e il

dlgs 150/2009 hanno introdotto ulteriori elementi di complessità: rafforzamento dei

poteri gestionali dei dirigenti scolastici; introduzione di un sistema di misurazione e

valutazione della performance individuale e organizzativa; meccanismi di premialitàe di incentivazione che rendono maggiormente responsabile il dirigente scolastico

per il trattamento economico accessorio del personale; responsabilità dirigenziale

legata ai doveri professionali e ha previsto la violazione del dovere di vigilanza sul

rispetto degli standard qualitativi e quantitativi dei servizi offerti. Sullo sfondo

rimane il lavoro della CIVIT, la Commissione per valutazione, trasparenza, integrità,

che ha già cominciato a deliberare sui sistemi di misurazione e valutazione della

performance.

La questione di realizzare un adeguato sistema valutativo è ormai diventata

inderogabile. Inoltre, proprio per riorganizzare i processi di valutazione, la legge 296

del 27 dicembre 2006 aveva affidato all’INVALSI il compito di formulare al Ministero

proposte per creare un adeguato e condiviso sistema per la scuola in generale e per

i dirigenti in particolare. La direttiva triennale 74 del 15 settembre 2008 riprende

tale prospettiva. Per le attività dell’INVALSI viene definita una serie di altree aree di

intervento che hanno prefigurato una vera e propria valutazione dell’intero sistema

di istruzione: le scuole, gli apprendimenti degli studenti, il personale della scuola, la

diffusione della cultura della valutazione. Il modello dell’INVALSI è stato costruito

nella prospettiva di migliorare le capacità del dirigente di interpretare il territorio e

le sue opportunità, di saperne codificare le esigenze formative, di disporre di uno

strumento che gli consenta di monitorare l’erogazione del servizio formativo

insistendo sugli elementi di forza e lavorando su quelli di debolezza. La logica di

fondo ha previsto di riunificare concettualmente tre aree di indagine: l’area dei

processi relativamente alla progettazione, all’erogazione e al controllo delle attivitàeducative; quella dei risultati in merito a efficacia ed efficienza degli interventi della

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scuola; l’area della soddisfazione degli utenti. Infine, l’art. 13 del CCNL V area

2006/2009, rimarcando il legame poteri, responsabilità, valuazione, ha confermato

che la responsabilità dirigenziale è disciplinata dall’art. 21 del dlgs 165/20001 come

modificato dal dlgs 150/2009. La colpevole violazione del dovere di vigilanza sul

rispetto degli standard qualitativi e quantitativi fissati potrà comportare per il

dirigente la decurtazione della retribuzione di risultato sino all’80%. Il dirigente

dovrà rispondere della sua azione dirigenziale e che l’amministrazione dovrà definire

preventivamente criteri e procedure per la valutazione, tenendo conto della

correlazione tra direttive, obiettivi, risorse disponibili, con sullo sfondo il POF

dell’istruzione scolastica. 

Dirigenza e leadership.

Cigoli individua nelle strategie operative del dirigente scolastico due aspetti che

avrebbero potuto qualificare la sua dimensione professionale: il fatto di essere in

grado di lasciare traccia di sé nel contesto sociale e la consapevolezza di dover

essere portatore di una idea forte, destinata a influire decisamente attraverso

l’operato della scuola che egli dirige. Si tratta del riconoscimento del ruolo che è

chiamato a svolgere il dirigente scolastico nell’ambito dello sviluppo della cultura e

della società. Se nel passato le scelte generali e le procedure operative erano in gran

parte già predeterminate, oggi al dirigente scolastico è ormai consolidato il

riconoscimento di autonomi poteri di gestione e di organizzazione delle risorse, con

l’unico vincolo di perseguire gli obiettivi del progetto educativo. Occorre che il

dirigente sappia assumere tutta la responsabilità professionale che implica il proprio

ruolo, investendo su questo tutte le proprie capacità e competenze. La competenza

si distingue dalla conoscenza poiché riguarda il sapere in azione, un sapere che si

struttura nel flusso della pratica. La reale competenza professionale dei dirigenti

scolastici non deve concretizzarsi nell’affrontare e risolvere in prima persona i singoliproblemi della gestione, ma nel sapere organizzare il lavoro dei propri collaboratori,

nell’individuare le persone più adatte a svolgere determinate funzioni, nel

promuovere la crescita culturale e la responsabilità professionale in tutti gli

operatori scolastici che collaborano con lui.

L’autonomia scolastica ha accentuato in misura crescente le funzioni del dirigente,

impegnare e governare adeguatamente gli aspetti strategici della propria istituzione.

Sono cinque i livelli di gestione che impegnano un ds: area giuridico amministrativa;quella relativa alla progettazione dell’offerta formativa; quella dell’integrazione con

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il territorio; quella della costruzione delle relazioni interpersonali; quella

dell’organizzazione. Anche nella scuola italiana assume rilevanza strategica la

leadership del dirigente. La scuola si qualifica come organizzazione complessa. Essa

condivide elementi comuni di una qualsiasi altra organizzazione: obiettivo comune,

complessità del sistema, gestione di risorse, divisione di compiti, esercizio di un

potere gerarchico, conseguimento di uno scopo, rapporto con l’ambiente esterno.

L’obiettivo fondamentale della scuola è quello di assicurare l’alfabetizzazione

strumentale e culturale dei giovani e l’educazione alla convivenza democratica e alla

partecipazione attiva. Si pongono, comunque, problemi di organizzazione e di

gestione che sfuggono alla pretesa di un controllo complesso e definitivo. Un

sistema organizzativo è in costante rapporto di scambio con il contesto sia interno

che esterno, nei confronti dei quali esprime un grado più o meno elevato diinterazione. La gestione delle risorse costituisce un altro aspetto essenziale di una

organizzazione Un’ulteriore caratteristica dell’organizzazione è la divisione dei

compiti. Non esiste contesto organizzativo nel quale tutti facciano le stesse cose.

Divisione dei compiti e gerarchia danno vita a quelli che si definiscono i processi

sociali di un’organizzazione, cioè ai comportamenti personali e interpersonali che gli

individui mettono in atto: accettazione, rifiuto, stili di direzione. Si pone il problema

di coerenza tra i comportamenti individuali e gli obiettivi dell’organizzazione. Le

variabili che più frequentemente vengono considerate riguardano l’efficacia (il grado

con cui una organizzazione riesce a realizzare i propri fini) e l’efficienza (il rapporto

tra risultato ottenuto e le risorse impiegate per conseguirlo). Tutte le organizzazioni

sono in rapporto dinamico con l’ambiente esterno. Si pone il problema di quando e

come gestire l’apertura e la chiusura dell’organizzazione verso gli input della più

vasta realtà sociale e culturale. L’organizzazione, dunque, è un sistema complesso di

persone che svolgono attività orientate al raggiungimento di scopi relativamente

specifici, rispettando norme, stabilendo dei ruoli collegati in un ordine gerarchico,utilizzando risorse in un rapporto dinamico con l’ambiente esterno. 

Il ‘900 è stato dominato dal paradigma della razionalità forte, secondo cui in

un’organizzazione era necessario il controllo su tutti gli elementi del sistema.

L’immagine connessa era quella dell’organizzazione come macchina, di cui il modello

di Taylor è una delle rappresentazioni più fedeli. Questo modello attribuisce

importanza pressoché esclusiva al sapere scientifico nel management organizzativo.

Caratteristiche: le parti che compongono l’organizzazione sono tra loro separate edogni lavoratore deve limitarsi a svolgere il proprio compito nella maniera più

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efficiente possibile; le relazioni sono meccanicistiche e la direzione è top-down

(dall’alto in basso); le decisioni devono essere eseguite in tempi rapidi senza essere

discusse; il coordinamento avviene attraverso il potere di comando di tutte le varie

parti dentro a un sistema a legame forte.

Il secondo paradigma della razionalità forte è quello dell’organizzazione come

organismo, secondo una struttura di tipo sistemico. Esso si ispira alla teoria dei

sistemi di von Bertalanffy; teoria dei sistemi aperti, secondo cui l’organismo vivente

è una totalità che determina la proprietà delle parti che la costituiscono. Un sistema,

dunque, è costituito da una molteplicità di fattori che interagiscono tra loro e che

non possono essere ridotti alla somma delle loro parti. I singoli eventi e aspetti

vanno letti e interpretati in rapporto alle interazioni del sistema di cui fanno parte.

L’organizzazione pensata come organismo sistemico rileva sì gli input ambientali, ma

rischi di non far propri gli stimoli interni del sistema stesso.

Vi è anche un paradigma di organizzazione a legame debole elaborato da Karl

Weich. In molte organizzazioni i legami che uniscono gli eventi sono debolmente

interconnessi tra loro, perché mantengono ognuno la propria identità e separatezza

dagli altri. La debolezza dei legami consente di assorbire eventi critici senza che

questi si ripercuotano nell’organizzazione del suo complesso. Weick afferma che

non esiste nulla al di fuori dei flussi di esperienza dei soggetti, che conferiscono

significato al loro agire dentro le organizzazione grazie all’attivazione dei processi

cognitivi. A tal proposito, egli parla di “enactment” (attivazione). E’ emersa dunque

la consapevolezza che i soggetti in un contesto organizzativo si esprimono non come

pezzi meccanicamente congegnati o come parti di un organismo.

Gli studi di March e Olsen, che hanno analizzato le scuole e altri servizi, concludendo

che si tratta di anarchie organizzate, nelle quali i problemi affrontati, le ipotesi di

soluzione, le possibilità di scelta sono mescolati alla rinfusa e determinati da fattori

casuali. Viene utilizzata la metafora del cestino dei rifiuti, in cui le cose vengono

gettate senza una logica collettiva, ma solo individuale. Un ulteriore approccio è

stato elaborato da Herbert Simon che ha elaborato il cd paradigma della razionalità

limitata. Esso si basa sull’assunto che l’uomo non può conoscere tutti gli aspetti che

compongono una organizzazione e prevederne azioni, conseguenze e scelte. Di

conseguenza, tutte le scelte appartengono a un sistema di decisioni tutte

limitatamente razionali. E’ proprio sulla scia della tradizione del pensiero elaborato

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da Simon che nasce un processo di ricerca conosciuto come organizzazione che

apprende.

Si cerca di superare approcci individualistici per attivare gradualmente a pensare

all’organizzazione come a una comunità di apprendimento. Il miglioramento a livellodi scuola si traduce in una leadership scolastica efficace, attenta da un lato

all’interno, cioè alla scuola, e dall’altro all’esterno, cioè alla comunità e alle agenzie

della comunità stessa. Il concetto legato a ciò è quello di empowerment, termine

apparso per la prima volta nella letteratura manageriale negli anni ’80. Quando si

parla di empowerment ci si riferisce alla capacità di incrementare l’autoefficacia tra i

componenti di un’organizzazione e di promuovere le condizioni affinché i

comportamenti delle persone assumano un orientamento favorevole

all’apprendimento. L’individuo possiede necessariamente capacità apprenditive

inferiori alla ricchezza della complessità ambientale. Occorre dunque creare un

sistema di opportunità che permetta al soggetto di imparare nel e dal contesto in cui

lavora. Informazioni, esperienze, scoperte, valutazioni diventano patrimonio

comune dell’intera organizzazione fissandole nella memoria dell’organizzazione,

codificandole in norme, valori, metafore e mappe mentali. Argyris propone un

modello che risulti vincente sui modi di cambiare delle persone. Occorre che il

riconoscimento di un problema, da fattore destabilizzante e di dissipazione dirisorse, si trasformi in energia costruttiva. Il contesto nel quale costruire il modello

formativo è proprio l’esperienza degli individui, mettendo in opera un processo di

aggressione alle difese organizzative. Competenze di un’organizzazione che

apprende: capacità di riconoscere e risolvere problemi, mantenendo gli stessi nello

sfondo spazio temporale del contesto in cui si opera; rapida diffusione e

implementazione di nuovi modelli formativi di direzione e di gestione

dell’organizzazione (sperimentare nuovi approcci rappresenta uno dei tradizionali

punti critici della dirigenza pubblica); capacità di apprendere dall’esperienza e dal

patrimonio storico dell’istituzione in cui si lavora; disponibilità a imparare dagli altri.

Secondo Picardo, le ragioni che stanno alla base della learning organization sono le

stesse che connotano il concetto di empowerment: apertura mentale e revisione dei

modelli cognitivi sino a pervenire a una visione condivisa, liberandosi dalla prigione

delle soluzioni di ieri e delle abitudini.

L’organizzazione scolastica viene vista sempre più come realtà dinamica e sempre

meno come struttura governata da una razionalità forte. La scuola condivide con le

organizzazioni complesse tre diverse dimensioni: sistema razionale, che è in pratica

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la sua struttura fondamentale; sistema naturale, cioè le comunità basate sulla

cooperazione, coese in vista di scopi generali condivisi (in ogni realtà scolastica si

genera un sistema di appartenenze, di pratiche sociali che non dipendono dal

sistema razionale); sistema aperto, cioè l’interazione tra l singolo istituto e

l’ambiente esterno (istituzioni, famiglie, comunità sociale, mercato del lavoro). Le

due dimensioni, razionale e naturale, vengono interconnesse utilizzando la metafora

dell’iceberg organizzativo: la parte hard che emerge è rappresentata dalla struttura,

dai ruoli, dalle norme; quella soft, più sommersa vive di atteggiamenti, sentimenti,

identità, climi, norme di gruppo. Oggi, va ricordato, che si enfatizza l’importanza di

una leadership capace di promuovere un’organizzazione finalizzata al successo

formativo degli alunni.

L’esercizio della leadership rappresenta un fattore di notevole rilevanza. Da un

punto di vista sociologico, essa si definisce come il processo volto a influenzare le

attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di

obiettivi in una data situazione. Douglas Mc Gregor ha elaborato due teorie: teoria

e teoria Y. Secondo la prima l’uomo medio non ama lavorare ed occorre costringerlo

affinché si prenda delle responsabilità (è il management scientifico di Taylor). In

base alla seconda, invece, il lavoro è per l’uomo un’attività naturale e basterà allora,

per favorire l’attività lavorativa, stabilire un adeguato sistema di ricompensa. Daquesto secondo paradigma discende la teoria del management delle relazioni

umane, promossa da Elton Mayo.

Le interpretazioni della leadership, oggi, possono essere ricondotte a tre diversi

filoni di ricerca: la figura del leader; sulle persone che accettano o subiscono la sua

influenza; il contesto nel quale il leader opera. Negli ultimi anni, si è passati da una

convezione della leadership tendente a enfatizzare i rapporti personali a una

leadership situazionale, che considera anche il peso del contesto ambientale.Secondo questo modello, la leadership del dirigente scolastico si gioca sulla gestione

della comunità.

Gli studi successivi hanno proposto un ulteriore punto di vista interpretativo,

individuabile nell’orientamento transazionale, per il quale la leadership non viene

più definita come prodotto dei tratti della personalità del leader o della situazione

del contesto, ma come risultante della interdipendenza delle diverse componenti

coinvolte: soggetto, contesto e situazione.

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Gli studi sul leader hanno evidenziato tre differenti stili: autoritario, lassista e

democratico. Lo stile autoritario enfatizza il potere del capo, il quale esercita un

elevato controllo sui collaboratori, chiamati a eseguire gli ordini del dirigente. Lo

stile lassista si ispira al laissez faire ed è espressione di un atteggiamento

rinunciatario del capo, che non esercita alcun controllo né sui dipendenti, né sui

collaboratori, lasciando ampi spazi di autodeterminazione. La leadership

democratica evita i rischi dei due precedenti stili di direzione, attraverso la

valorizzazione delle competenze e delle capacità collaboratori: la comunicazione è di

tipo circolare e le decisioni vengono assunte in un contesto di condivisione e di

corresponsabilità. Il rischio di questo stile può essere quello di una

sopravvalutazione delle proprie competenze da parte dei collaboratori. La

comunicazione è di tipo circolare e le decisioni vengono assunte in un contesto dicondivisione e di corresponsabilità. Il rischio può essere quello di una

sopravvalutazione delle proprie competenze da parte dei collaboratori. I modelli

situazionali hanno evidenziato l’importanza del gruppo nel suo insieme, ma anche

dei valori e degli atteggiamenti dei componenti del gruppo stesso.

L’efficacia della leadership nei modelli transazionali viene ricondotta all’interazione

dinamica delle tre componenti (leader, gruppo e contesto). I livelli delle

interdipendenze possono essere diversi: grado minimo di direttività e alto livellorelazionale (dirigente che privilegia il gruppo a scapito dell’efficienza); grado minimo

di direttività e qualità relazionale (è il capo lassista); alto grado di direttività e basso

livello relazionale (leader unicamente interessato al conseguimento dell’obiettivo);

alto grado di direttività e alta sensibilità relazionale (leader che valorizza sia la

produttività che la relazionalità del gruppo. E’ stato, ad ogni modo, evidenziato che

l’efficacia della leadership dipende dalle situazioni ed è stato sottolineata anche

l’importanza che correla l’attività del leader alle caratteristiche psicologiche dei 

collaboratori. Emergono, in tal senso, nuovi stili di direzione che riguardano il

delegare, il partecipare, il vendere, il prescrivere. I primi due sono riconducibili al

profilo del capo democratico e partecipativo. La leadership che risale allo stile del

prescrivere richiama la prospettiva autoritaria. Lo stile di direzione stile “vendere” si

riferisce a un modello di guida simile a quella del venditore: il capo non impone, ma

cerca di convincere i collaboratori della bontà delle sue idee. Emergono, da qui,

quattro profili operativi: bassa maturità, collaboratori poco intraprendenti e privi di

autonomia e iniziativa (stile di direzione preferibile è prescrivere); maturità medio-bassa, collaboratori scarsamente capaci, ma dimostrano di voler migliorare e

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accrescere la loro preparazione (stile proposto per questa situazione è “vendere”,

dando cioè indicazioni previse e valorizzando l’entusiasmo dei collaboratori);

maturità medio/alta, collaboratori hanno capacità buone, ma sono carenti sul piano

motivazionale (leadership suggerita è quella del partecipare, perché è necessaria

una guida capace di coinvolgere, elevare desideri e disponibilità); alta maturità,

collaboratori competenti e motivati, capaci di coinvolgere e farsi coinvolgere (stile

proposto è “delegare”). 

Non esiste comunque uno stile di guida ottimale. La direzione dello sviluppo della

leadership corre sul filo dell’interazione leader/gruppo/contesto. La riforma del

sistema scolastico italiano, avviata con la legge sull’autonomia (59/97), la legge

40/2007 e i DPR 87, 88, 89 hanno cercato di superare un approccio meramente

burocratico alla gestione della scuola per lanciare un modello di governance

comunitaria. Le condizioni che facilitano l’esercizio della leadership autorevole sono:

organizzazione del contesto lavorativo e la presenza di alcune caratteristiche di

personalità. Le disposizioni organizzative sono riconducibili a un’accurata

distribuzione dei compiti e a una reciproca accettazione dei ruoli. Se non vengono

assicurate queste condizioni, si corre il rischio di ambiguità, competitività, sfiducia.

In riferimento alle variabili di personalità, va messo in evidenza che l’esercizio di una

leadership efficace richiede una serie di qualità personali: abilità mentali (capacità dianalizzare eventi e situazioni, di anticipare le innovazione, di predisporre un sistema

di alternative realmente praticabili); maturità affettiva (favorisce le condizioni per

promuovere un clima positivo di vicinanza e di vicendevole supporto); sociabilità

(disponibilità di perseguire gli scopi dell’organizzazione, mantenendo il contatto

diretto con i componenti del gruppo); orientamento prosociale (qualità di apertura,

accettazione, accoglienza del leader). Da parte del dirigente si richiedono, in

definitiva, atteggiamenti, convinzioni e competenze che vanno pazientemente

tessuti: darli per scontati è il modo peggiore di interpretare un autentico ruolo

dirigenziale.

Norberto Bottani, nel riprendere lo schema di Bennis, ha interpretato

l’interdipendenza tra capacità manageriale e capacità di leadership così come segue:

il manager amministra, è una “copia”, conserva, ha in testa sistemi e strutture,

controlla, cura il dettaglio (vede l’albero ma non la foresta), chiede come e quando,

imita, accetta lo status quo, è il classico “buon soldato” ed è un buon esecutore. Il

leader, invece, innova, è un “originale”, ispira fiducia, pensa alla gente, sviluppa, ha

una visione strategica, chiede cosa e perché, crea, raccoglie le sfide, non è che se

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stesso, fa le cose che si devono fare al momento giusto. Il ruolo del dirigente

scolastico, ad ogni buon conto, è prima di tutto quello di definire una visione entro

cui le persone cercano di riconoscersi. In questo senso si insiste sull’idea della

leadership distribuita che rappresenta la nuova frontiera per rendere meno

burocratica l’azione dei docenti. 

La scuola può essere considerata un’impresa pubblica, chiamata a creare le

condizioni per l’erogazione di un servizio educativo di qualità. Questo significa

promuovere una cultura organizzativa che abbia una capacità di selezionare gli

elementi fondanti per la realizzazione dei compiti specifici della scuola. Occorre

prevedere e definire differenziati livelli di responsabilità. Occorre, inoltre, giungere a

una condivisione della scelta che si intende assumere attraverso il confronto e la

negoziazione dei diversi punti di vista presenti nel gruppo stesso. Vi sono livelli

decisionali che il dirigente scolastico assumerà da solo e altri che saranno oggetto di

una scelta collegiale. E’ sempre indispensabile, però, che siano chiari gli elementi di

priorità e di vincolo entro cui la decisione deve essere assunta. Il processo si

articolare secondo tre fondamentali fasi: accordo circa le decisioni da prendere, i

risultati che si vogliono ottenere e i vincoli di tempo e di risorse; valutazione delle

possibili alternative (quali itinerari e metodi possono essere adottati per ottenere

questi risultati e vedere l’alternativa migliore); valutazione dei rischi relativaall’individuazione delle probabili difficoltà di percorso. La decisione, poi, può essere

assunta in una situazione di probabilità, che può essere oggettiva (si riferisce a una

pluralità di eventi sperimentati e validati). Sarà invece soggettiva quando si riferirà al

grado di attesa con cui si guarda a un evento (qui, sarà strettamente collegata al

livello di aspirazione del soggetto). Un altro aspetto direttamente correlato alla

leadership e ai processi decisionali è rappresentato dall’esercizio della delega.

Quest’ultima può essere definita come lo strumento attraverso cui si attua il

conferimento ad altre persone e organi di determinate attribuzioni. Non tutte le

funzioni sono delegabili. Nella scuola non lo sono la rappresentanza legale

dell’istituto, la presidenza del collegio dei docenti o del futuro consiglio di

amministrazione, la titolarità delle relazione sindacali. Il delegato, opportunamente

individuato, deve godere di una certa libertà di iniziativa, conoscere gli obiettivi da

raggiungere, disporre di tutti gli elementi di giudizio e di agibilità necessari, dalle

informazioni alle risorse ai programmi. Il rapporto tra l’autorità del dirigente e quella

dello staff di direzione o di altre strutture organizzative deve essere orientato a far

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crescere tutta l’organizzazione: si tratta ancora una volta di attivare meccanismi di

apprendimento organizzativo.

Questo passaggio da un sistema complesso di tipo rigido nel quale l’istituzione

scolastica si qualificava come scuola-apparato, a un sistema flessibile autonomo, incui l’istituzione diventa scuola-servizio, caratterizzata da autonomia e flessibilità ha

comportato un ampliamento dei poteri discrezionali e degli spazi di azione di tutti gli

elementi costitutivi del sistema. L’istituzione scolastica è configurata come organo

complesso e autonomo, il cui rappresentante legale è il dirigente scolastico, mentre

tra quest’ultimo e le restanti figure professionali che operano in essa intercorrono

relazioni di lavoro che hanno una loro rilevanza giuridica e ben distinte competenze.

Se in un sistema rigido i profili organizzativi di ciascuna funzione si realizzano

attraverso l’esercizio di poteri di azione e all’interno di spazi predeterminati da

norme, in un sistema flessibile i poteri e gli spazi di azione sono conferiti in termini

espansivi.

Il potere di direttiva si qualifica come strumento determinante per la realizzazione

dell’autonomia; tale potestà su un piano strettamente giuridico discende dal potere 

di direzione affidato al dirigente scolastico e si esprime in termini di propulsione, di

indirizzo, di controllo. Con tale potere non si impartiscono disposizioni rigide e

vincolanti, ma si indicano linee di condotta, orientamenti, compiti e obiettivi da

conseguire, senza vincoli di tempi e mezzi. La direttiva si definisce come una

disposizione a carattere generale che individua gli obiettivi di fondo di un’attività,

lasciando margini di libertà nella sua realizzazione per quanto riguarda modi, mezzi

e tempi. Il soggetto destinatario della direttiva ha il dovere funzionale di attivare al

meglio tutte le possibilità al fine di garantire un’azione professionale adeguata. 

Occorre sottolineare che il contesto scolastico rispetto ad altri ambiti ha una sua

specificità della quale si deve tener conto nella definizione delle direttive,

fondamentali per consentire l’effettiva realizzazione dell’autonomia funzionale della

scuola. Quest’ultima, infatti, non è ente istituzionale, ma è espressione di autonomia

funzionale e, secondo Auriemma, è una organizzazione semplice

indipendentemente dalla importanza e dalla complessità contenutistica delle attività

svolte; nella struttura organizzativa interna di una scuola non esiste una rete o

ramificazione di funzioni dirigenziali/attuative da indirizzare e verificare. Infine, può

utilizzare moduli semplificati di controlli di gestione. La direttiva, in quanto collegataa una funzione esecutiva, non è certamente assimilabile alla funzione docente, in

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quanto quest’ultima si basa sulla libertà di insegnamento. La direttiva, dunque, non

è pertanto praticabile nell’ambito dell’attività didattica. Inoltre, una conferma

dell’importanza del potere di direttiva è giunta dal rinnovo del contratto dei dirigenti

scolastici 20065/2009, ove si fa esplicito riferimento, nell’ambito della valutazione

periodica dei dirigenti scolastici, al fatto che tale operazione debba avvenire anche

considerando criteri generali che tengano conto della correlazione tra le direttive

impartite, gli obiettivi da perseguire e le risorse umane, finanziarie e strumentali

effettivamente poste a disposizione del dirigente.

Il contratto dei dirigenti scolastici.

Nel corso del 2009, sia con la legge 15/09 che con il successivo dlgs 150/09 sono

stati profondamente innovati sia le materie di contrattazione collettiva sia molti

aspetti e vari ambiti degli stessi contenuti profesionnali dei dirigenti scolastici.

Anche i decreti legge 12/08 e 78/2010 sono intervenuti sul contenimento e sulla

razionalizzazione della spesa pubblica, impedendo di fatto la perequazione

stipendiale interna tra dirigenti ed esterna con le altre aree dirigenziali. Il primo

contratto per la figura del ds risale al 2000/2001. In quegli anni si giunge a una prima

definizione dei contenuti professionali del dirigente scolastico. Inoltre, a decorreredal primo settembre 2000, viene introdotta la V area autonomadella dirigenza

scolastica, comunque collocata nell’ambito del comparto scuola. Molti sono gli

aspetti qualificanti che sottolineano il nuovo assetto della dirigenza, in particolare, la

seprazione tra le attività di indirizzo e le attività di gestione, il meccanismo deigli

incarichi e la loro temporizzazione, il sistema dei controlli. Un secondo nucleo di

disposizioni ha riguardato il sistema nazional dell’istruzione e l’autonomia. Erano

stati richiamati con forza infatti gli elementi che caratterizzano la personalità

giuridica riconosciuta alle scuole dopo il processo di razionalizzazione e

dimensionamento realizzato alla fine degli anni ’90. Il secondo contratto, firmato

l’11 aprile del 2006, ha raccolto in un unico testo tutte le disposizioni già in vigore.

La sottoscrizione del nuovo contratto è avvenuta il 19 maggio 2010. Non vi è stata

inclusa la perequazione1 con gli altri dirigenti pubblici. E’ stata di contro avviata la

perequazione interna per i dirigenti e presidi incaricati mantenendo l’assegno ad

personam.

1 Suddivisione in maniera più equa di risorse e oneri, nonché l’effetto di tale azione. 

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Occorre chiarire che, qui, viene analizzato il testo contrattuale nella sua versione più

completa, richiamando oltre al nuovo contratto, le norme non abrogate e quelle

modificate del CCNL 2002.2006 e quelle del primo biennio 2006-2007. La logica

sottesa al nuovo impianto normativo è stata quella di creare le condizioni affinché si

potessero attuare obiettivi di responsabilizzazione, trasparenza, accessibilità,

efficienza, premialità, tramite la valutazione delle performance, l’attribuzione di

livelli di merito, il controllo di gestione. Il nucleo fondante di tutto ciò va ricondotto

al concetto di performance e al suo legame con il sistema di responsabilità,

controllo, premialità. Il contratto ha dunque recepito il disposto del dlgs 1540/2009,

riaffermando la supremazione delle norme di legge sugli accordi contrattuali. Il

contratto ha rinviato la valutazione della retribuzione a un eventuale

rifinanziamento dei capitoli di spesa relativi alla retribuzione di posizione e dirisultato. Dunque, il dirigente risponde in ordine ai risultati della propria azione

dirigenziale. L’amministrazione adotta preventivamente i criteri generali e le

procedure che informano il sistema di valutazione. Questi criteri devono tener conto

della correlazione tra le direttive impartite, gli obiettivi da perseguire e le risorse

umane, finanziarie e strumentali effettivamente poste a disposizione del dirigente.

Viene confermato il quadro dei diritti, dei doveri e delle funzioni definito dai

precedenti contratti. Il dirigente scolastico assicura il funzionamento generale

dell’unità scolastica, nella sua autonomia funzionale entro il sistema di istruzione e

formazione, promuove e sviluppa l’autonomia sul piano gestionale e didattico,

promuove l’esercizio del diritto all’apprendimento degli alunni, della libertà di

insegnamento dei docenti e della libertà di scelta educativa delle famiglie.

Significative appaiono le diverse disposizioni rispetto all’art. 19 del decreto

165/2001 come modificato dall’art. 3 della legge 145/02, relative al conferimento e

al mutamento degli incarichi dirigenziali che non sono più oggetto di contrattazione.

Le materie oggetto di contrattazione integrative sono state ridotte ed escluse quelleche concernono gli incarichi, la mobilità, le revoche. Nel testo non si parla più del

tanto contestato trasferimento per incompatibilità ambientale, che era stato

introdotto con la legge 176 del 25 ottobre 2007. Il titolo VI regolamenta la

responsabilità dirigenziale e completa un tassello che in passato era stato sempre

rinviato. Si presume che la responsabilità di operare in un settore delicato come

quello della formazione comporti obblighi più rilevanti sul piano sociale rispetto ad

altre figure del comparto pubblico. Il nuovo codice disciplinare si pone come

elemento di tutela rispetto alla discrezionalità dell’azione disciplinare che può

esercitare l’amministrazione. La distinzione che viene effettuata è tra la

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responsabilità disciplinare, che riguarda la violazione degli obblighi di

comportamento, e la responsabilità dirigenziale, che è legata al conseguimento degli

obiettivi assegnati.

I primi due contratti della dirigenza scolastica si erano posti il duplice obiettivo dicompletare il processo di inserimento dei capi di istituto all’interno del comparto

della dirigenza pubblica e di sottolineare e valorizzare la specificità della dirigenza

scolastica. Vediamo il terzo contratto. Il documento si presenta suddiviso in otto

titoli: definizione della funzione dirigenziale, relazioni sindacali, sviluppo del

rapporto di lavoro e le sue possibili sospensioni, interruzioni, estinzioni (terza,

quarta e quinta parte), la responsabilità disciplinare, aspetti economici, norme

transitorie e finali.

Il sistema delle relazioni sindacali, caratterizzato da correttezza e trasparenza dei

comportamenti e dal rispetto della distinzione dei ruoli e delle rispettive

responsabilità dell’amministrazione e delle organizzazioni sindacali, è finalizzato a

sostenere e promuovere le migliori condizioni di lavoro dei dirigenti unitamente

all’incremento di qualità e di efficacia dei servizi. Si conferma la convinzione del

ruolo strategico nella scuola dell’autonomia ricoperto dal ds, impegnato al

contempo nel garantire il corretto svolgimento delle relazioni sindacali e nel

promuovere il costante miglioramento delle prestazioni professionali dei propri

operatori. La contrattazione collettiva integrativa nazionale si svolge presso la sede

del MIUR ed è finalizzata a definire i criteri per la realizzazione e il finanziamento dei

programmi di formazione e aggiornamento; a determinare i compensi per gli

incarichi aggiuntivi obbligatori, a regolamentare la concessione dei congedi per

motivi di famiglia e di studi. Si ribadisce che la contrattazione collettiva regionale si

svolge presso le relative direzioni scolastiche regionalei. L’informazione preventiva

che è tenuta a fornire la direzione scolastica provinciale riguarda i processi divalutazione dei dirigenti; i criteri e le modalità di conferimento delle reggenze, i

criteri per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Il nuovo contratto

costituisce un significativo passo in avanti in quanto le materie oggetto di

informazione sono state precisate e distribuite con chiarezza a livello regionale e

nazionale.

Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici è definito dagli artt. 10-21 del testo

coordinato. Viene confermato quanto disposto dall’art. 25 del dlgs 165/2001. Siparla di gestione unitaria dell’istituzione, di sua rappresentanza legale, di autonomi

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poteri di direzione, coordinamento, valorizzazione delle risorse umane, pur nel

rispetto delle competenze degli organi collegiali. Dal punto di vista della durata, il

rapporto di lavoro, perfezionato a seguito del superamento di un concorso pubblico

e del conseguente periodo di prova, è a tempo indeterminato. La durata della fase di

prova è di un anno scolastico, con un servizio effettivo di almeno sei mesi. Essa può

essere sospesa in caso di malattia con diritto alla conservazione del posto per un

massimo di diciotto mesi. La fase di prova non può essere rinnovata o prorogata alla

scadenza, salvo che per malattia.

Il contratto riconosce al dirigente la potestà di organizzare autonomamente i tempi

e i modi della propria attività, adattandoli in maniera flessibile alle esigenze

dell’istituzione che dirige, recuperando il tempo di riposo eventualmente non

goduto per particolari impegni. Viene ribadito il criterio della flessibilità per cui il

dirigente ha la massima libertà di organizzare autonomamente tempi e modi della

propria attività, ispirandoli però a criteri di efficienza e di efficacia. Il dirigente ha

diritto, per ogni anno di lavoro, a un periodi di ferie pari a trenta giorni nel periodo

iniziale della carriera e a trentadue giorni dopo tre anni di ruolo. Oltre alle festività

nazionali e al santo patrono locale, al dirigente spettano anche le quattro giornate di

riposo come da legge 937/1977. Il dirigente, al fine di garantire la continuità del

servizio, ha la responsabilità di programmarle comunicandone il piano al direttoreregionale. La cessazione del lavoro è prevista nei seguenti casi: per cessazione, al

compimento del limite massimo di età (pensionamento); per risoluzione

consensuale; per recesso del dirigente; per recesso dell’amministrazione; per

perdita della cittadinanza; per decesso.

L’elemento fondamentale che completa il contratto individuale è costituito dalla

assegnazione dell’incarico, conferito sempre a tempo determinato. Il dispositivo ;

tale operazione, che avviene entro il 15 luglio, compete al direttore scolasticoregionale per gli incarichi sino a livello regionale e al MIUR per quelli sulle struttre

centrali. Per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto

delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente. La sua durata

minima è di tre anni e massima di cinque. Per incarichi di studio, di ricerca, ispettivi

o presso l’amministrazione centrale e periferica del sistema di istruzione, la durata

dell’incarico è legata al programma di lavoro e all’obiettivo assegnato. E’ stata

prevista la possibilità di mutamento dell’incarico a richiesta del dirigente in base a

criteri che fanno riferimento alle esperienze professionali e alle competenze

maturate. Una deroga per mutamento di incarico su posti liberi è ulteriormente

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ammessa per casi di particolare urgenza e per esigenze familiari, quali l’insorgenza

di malattia con possibilità di cura solo nelle sedi richieste, o il trasferimento del

coniuge dopo la stipula del contratto. Il dirigente può, infine, richiedere alla

scadenza del suo incarico e previo assenso del dirigente dell’ufficio scolastico

regionale di provenienza e del dirigente dell’ufficio scolastico della regione richiesta,

la mobilità interregionale fino al limite del 30% complessivo dei posti vacanti

annualmente. La richiesta va presentata entro il mese di maggio di ciascun anno.

Oltre agli elementi di specificità che caratterizzano la dirigenza scolastica nel più

ampio assetto della dirigenza pubblica (riconosciuti dall’istituzione dell’area V della

dirigenza), la caratterizzazione particolare della dirigenza scolastica viene

sottolineata anche dalla disciplina che regola l’assegnazione degli incarichi

aggiuntivi. MIUR e direzioni regionali possono conferire ai dirigenti incarichi

aggiuntivi obbligatori retribuiti integralmente: presidenza di commissioni di esami di

stato conclusivi; reggenza di altra istituzione scolastica, oltre quella affidata;

presidenza di commissioni o sottocommissioni di concorso a cattefra; funzioni di

commissario governativo; componente del nucleo di valutazione delle istituzioni

scolastiche; incarichi derivanti da accordi interistituzionali; incarichi relativi alle

attività connesse all’EDA. Nel caso di incarichi finanziati con fondi esterni, ai dirigenti

spetta l’80% della somma, mentre il 20% confluisce nei fondi regionali. Per gliincarichi non obbligatori, il dirigente percepisce il 30% della somma complessiva,

mentre il restante 70% va ai fondi regionali in base al principio di onnicomprensività

della retribuzione. I contratti per la dirigenza scolastica hanno recepito l’opportunità

che possone essere affidate funzioni di collaborazione in strutture di staff e in servizi

di consulenza, studio, ricerca e supporto alle istituzioni scolastiche autonome, anche

con riferimento ai processi di innovazione.

Circa il conferimento e il mutamento degli incarichi, una prima nota è stata diramatadal MIUR il 7 luglio nella quale sono state fornite indicazioni ai direttori degli uffici

scolastici regionali per il conferimento e mutamento di incrico dei dirigenti scolastici.

La nota chiarisce che nelle operazioni devono essere privilegiati gli istituti

comprensivi e le secondarie di secondo grado. Va anche disposta l’assegnazione a

reggenza di tutte le istituzioni scolastiche sottodimensionate. Lo stesso MIUR ha

diffuso, poi, una seconda nota, in cui è stato chiarito che i dirigenti titolari di scuole

sottodimensionate potranno permanere in servizio sino ai termini del loro incarico

dirigenziale. Il contratto ha provveduto anche a disciplinare la materia

dell’incompatibilità e del cumulo di impieghi e di incarichi. Sono esclusi dalla

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incompatibilità i compensi che derivano: dalla collaborazione a giornali, riviste e

simili; dall’utilizzazione economica da parte dell’autore di  opere proprie

dell’ingegno; dalla partecipazione a convegni e seminari; da incarichi per i quali è

corrisposto solo il rimborso delle spese documentate, da incarichi conferiti dalle

organizzazioni sindacali, da attività di formazione diretta ai dipendenti della PA.

Viene confermata la struttura dello stipendio su quattro voci: stipendio tabellare,

eventuale retribuzione individuale di anzianità, retribuzione di posizione (in parte

fissa e in parte variabile), retribuzione di risultato. Agli uffici scolastici regionali è

affidato il compito di definire gli importi della retribuzione di posizione e di risultato,

i quali sono fissati in base all’articolazione della funzione e alle connesse

responsabilità, tenendo conto di alcuni criteri generali relativi alle caratteristiche

delle istituzioni scolastiche, nello specifico la dimensione, con numero di alunni,

docenti, personale ATA; la complessità, riferita a gradi scolastici e indirizzi; il

contesto nel quale il dirigente opera, tenendo conto del particolare disagio sociale o

territoriale. La retribuzione di risultato è collegata ai risultati che ciascun dirigente

scolastico ottiene nell’espletamento del proprio incarico. Sempre in ambito

economico si deve, infine, ricordare altri due istituti di cui possono beneficiare i

dirigenti. Il primo è l’indennità di trasferta, che spetta nel caso in cui questi debba

esercitare l’attività l’avorativa in una località distante almeno 10 chilometri dalla suaabituale dimore e dalla sede dove presta servizio. Il secondo è il trattamento di

trasferimento, a cui ha diritto il dirigente trasferito dall’amministrazione in altra

sede che comporti il cambio di residenza.

La gestione e la valorizzazione delle risorse umane.

Nei contesti più avanzati quello che conta è i fare affidamento su persone valide dal

punto di vista professionale, ben preparate e disposte a rimettersi in gioco per

guidare il cambiamento. Tutte le recenti disposizioni normative sono orientate in tal

senso. Anche la ridefinizione degli operatori scolastici si collega a tale logica. Questa

operazione è stata avviata con la legge delega 421 del 23 ottobre 1992 e completata

con i decreti legislativi 29 del 3 febbraio 1993, n. 470 del 18 novembre 1993 e 546 frl

23 dicembre 1993, testi oggi coordinati nel dlgs. 165/2001. In sostanza, le strutture

hanno conservato le loro regole di carattere essenzialmente pubblicistico, mentre il

rapporto di lavoro degli operatori ha assunto una fisionomia privatistica. Tale

processo di trasformazione è avvenuto anche per il personale della scuola. Lo scopodell’intera operazione è stato quello di riqualificare il lavoro scolastico attraverso un

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lavoro di progressiva responsabilizzazione. Gli operatori scolastici stanno vivendo un

momento di profondo scoramento, provocato da un a progressiva demotivazione,

in quanto fanno fatica a seguire i cambiamenti in atto. Toccherà al dirigente allora

attuare strategie che consentano di superare questa difficile crisi, facendo ritrovare

a tutti gli operatori le giuste motivazioni per il loro lavoro. Motivare può essere

definito come raggiungere i risultati attraverso persone oppure saper ottenre il

meglio dalle persone.

Il profilo professionale del DSGA è stato definito da una serie di provvedimenti

amministrativi susseguitisi all’avvento dell’autonomia. A indicare tale figura è per la

prima volta l’art. 25 bis del dlgs 29/93, oggi integrato del dlgs 165/2001: il dirigente

scolastico, nello svolgimento delle sue funzioni organizzative e amministrative e

coadiuvato dal responsabile amministrativo. Ulteriori contributi per la sua

definizione professionale sono venuti dai contratti del personale del comparto

scuola, che hanno delineato appunto il profilo professionale di direttore dei servizi

generali e amministrativi. A tale profilo i responsabili amministrativi assunti a tempo

indeterminato in servizio nell’anno scolastico 99/2000 hanno potuto accedere

previa frequentazione di un corso di formazione della durata di 100 ore complessive.

Il contributo determinante è venuto dal regolamento amministrativo contabile (DI

44/2001). Questo complesso di norme ha riconosciuto a tale personale il ruolo difunzionario direttivo, configurando un diverso rapporto con il ds e la responsabilità

diretta per gli atti di ufficio. E’ compito del dirigente impartire delle direttive sulle

materie di competenza di questa nuova figura. Spetta poi al DSGA porre in atto tutte

le strategie che consentano di dar corso a tali direttive e di perseguire gli obiettivi e i

programmi della scuola. Il DSGA ha potere di coordinamento del personale ATA,

autonomia operativa e responsabilità diretta degli atti amministrativi degli atti

amministrativi e contabili, di ragioneria e di economato. Al ds spetta la decisione su

cosa fare, al DSGA il come fare. Al direttore è riconosciuta una serie di compiti

amministrativi che vanno dalla tenuta dell’inventario, per il quale egli assume il

ruolo di vero e proprio consegnatario dei beni dell’istituzione, alle funzioni di

ufficiale rogante in occasione della stipula degli atti di forma pubblica. Egli si occupa

anche della predisposizione del conto consuntivo dell’istituzione e della conduzione

della contabilità e delle registrazione per gli adempimenti fiscali. Il CCNL 2006/2009

è intervenuto anche su alcuni aspetti del lavoro del DSGA, stabilendo i criteri per

l’indennità di direzione, che viene posta a carico del fondo di istituto, e per la suasostituzione in caso di assenza. La successiva sequenza contrattuale del maggio 2008

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è ancora intervenuta sulla questione, ridefinendo i parametri dell’indennità di 

direzione.

Il primo decennio dell’autonomia è stato contraddistinto dalla continua ricerca di un

profilo giuridico professionale in grado di dare adeguate risposte alle esigenze postedalla nuova prospettiva. Già nel contratto del 1999 era stata definita un’ampia

gamma dei profili professionali ATA ed era stato affermato soprattutto il principio

della valorizzazione di tali professionalità attraverso l’affidamento di incarichi

aggiuntivi e la realizzazione di modelli organizzativi innovativi in grado di

razionalizzare le risorse. Tale prospettiva era stata ripresa nel contratto 2003 che

aveva delineato due ulteriori prospettive: quella della strumentalità delle funzioni

rispetto alla realizzazione dell’autonomia e quella dell’unità dei servizi

amministrativi e generali che trovavano il loro punto di incontro nella figura del

DSGA. Il terzo contratto 2006/2009 non ha apportato sostanziali modifiche a quanto

stabilito in precedenza. Per quanto concerne lo sviluppo della carriera, il contratto

fissa in due mesi di effettivo servizio il periodo di prova per i profili delle aree A e

super A e in quattro mesi per i restanti. Nell’ultimo contratto è stata confermata la

possibilità di mobilità professionale, sia all’interno dell’area, sia tra le diverse aree.

Una particolare attenzione è stata riservata dal contratto alla definizione degli orari

di lavoro. Tale orario, che deve essere funzionale alle attività scolastiche,all’ottimizzazione delle risorse, al miglioramento delle prestazioni, all’ampliamento

dell’offerta dei servizi, viene stabilito, su proposta del DSGA e sentito il parere del

personale, dal dirigente scolastico. Esso è di 36 ore suddivise di norma in sei ore

antimeridiane, sino a un massimo di nove ore con pause di trenta minuti. La pausa è

prevista anche se si superano nella giornata le sette ore e 12 minuti. La sequenza

contrattuale è composta di quattro articoli. Nel primo si affrontano la definizione dei

compiti di tale personale, la mobilità, la valorizzazione delle professionalità. L’art. 2

ha affrontato la questione economica prevedendo la rivalutazione dei benefici e

l’incremento dei beneficiari. L’art. 3 ha ridefinito alcuni aspetti dell’indennità di

direzione del DSGA. L’art. 4 ha riordinato i titoli di studio per l’accesso ai diversi

profili professionali.

Il profilo professionale del docente della scuola autonoma si presenta con

peculiarità profondamente diverse da quelle che hanno caratterizzato l’insegnante

della tradizione. Ciò ha condotto a una interpretazione della funzione docente non

solo come attività di trasmissione della cultura, ma soprattutto come contributo alla

sua elaborazione, di impulso alla partecipazione dei giovani al processo del

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rinnovamento culturale. La funzione docente realizza il processo di

insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale,

civile e professionale degli alunni. Si fonda sull’autonomia culturale e professionale

dei docenti e si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle

attività di aggiornamento e formazione in servizio. I docenti elaborano, attuano e

verificano, per gli aspetti pedagogico didattici, il piano dell’offerta formativa,

adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto

del contesto socio economico di riferimento. Ecco alcuni degli aspetti che

caratterizzano oggi la professionalità docente: l’autonomia culturale e professionale,

l’individualità e la collegialità, la formazione continua. L’autonomia culturale e

professionale va certamente riferita alla libertà di insegnamento che la nostra Carta

garantisce; unico limite ad essa è il rispetto della coscienza morale e civile degliallievi. Occorre dire che in questa particolare fase storica si richiede al docente una

grande capacità critica che gli consenta di individuare quali possano essere i valori e

le prospettive culturali che vanno proposti e condivisi. La prospettiva della libertà,

poi, richiama il valore dell’individualità. Molto spazio viene infatti dedicato dai

contratti alle capacità di iniziativa dei docenti. E’ prevista la possibilità di svolgere

attività funzionali all’insegnamento e attività aggiuntive. Sarebbe errato considerare

la capacità di iniziativa professionale secondo una restrittiva interpretazione

individualistica. L’insegnante della  scuola dell’autonomia deve saper lavorare in

team. L’individualità si richiama, in questo senso, alla collegialità, che trova la sua

caratterizzazione in una prospettiva di corresponsabilità educativa nell’assunzione di

scelte e decisioni da adottare. Infine, la formazione è un altro elemento fondante.

Essere docenti nel contesto attuale significa raccogliere la sfida posta dal

cambiamento e rimettere in discussione la propria capacità professionale attraverso

un processo di formazione continua. Le strategie innovative richiedono di certo un

forte investimento della scuola sulla formazione. Gli ambiti che dovranno esseremaggiormente curati per una formazione professionale di qualità riguardano le

seguenti aree: competenze culturali, relative alla conoscenza dei vari settori

disciplinari e alla evoluzione degli studi su di essi; competenze didattiche, riferibili

alle strategie e metodologie che gli insegnanti applicano nel corso del loro lavoro; le

competenze relazionali, come capacità di instaurare corretti e significativi rapporti

professionali, sia con gli alunni, sia con colleghi e con altre figure che operano nel

mondo della scuola sia con le famiglie; competenze gestionali, connesse con le

particolari funzioni che postula la prospettiva dell’autonomia; competenze di

autovalutazione, collegate alla capacità di rimettersi in gioco e di procedere anche

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cambiando scelte e percorsi per autoregolare il processo di formazione; competenza

digitale, legata all’esplosione delle tecnologie informatiche (laboratori informatici,

LIM, libri digitali sono solo alcuni degli ambiti di applicazione di nuove competenze

digitali).

E’ ormai da qualche decennio presente nella cultura della scuola il tentativo di

riconoscere ai propri operatori particolari funzioni. SI pensi, per il personale

docente, al servizio di psicopedagogista istituito con la legge sul precariato

270/1982, che aveva previsto la possibilità di utilizzare per specifiche attività ialla

direttiva 600 del 23 settembre 1996, che aveva istituito l’incarico di referente per

l’educazione alla salute e così via. Un significativo passaggio verso la differenziazione

professionale era avvenuto con l’individuazione di funzioni su base volontaria: le

collaborazioni e le funzioni obiettivo. Tra le collaborazioni, almeno per i circoli

didattici e per gli istituti comprensivi, una particolare importanza era stata

riconosciuta alla figura del vicario, nominato per i periodo nei quali il dirigente

scolastico fosse stato assente dal servizio. Per quanto riguarda le collaborazioni, era

espressamente previsto che per lo svolgimento di particolari funzioni il dirigente

potesse avvalersi dell’aiuto di docenti ai quali egli poteva delegare determinati

compiti: era questo il caso dell’affidamento di funzioni di gestione e di

rappresentanza di plessi e di scuole con sedi diverse da quella dell’ufficio delladirigenza. Ancora più interessante era stata l’istituzione delle funzioni obiettivo,

confermata con la stipula del contratto nazionale del comparto scuola del 1999, art.

28 e dall’art. 37 del contratto integrativo. Nel CCNL 2006-2009 tali funzioni sono

state definite strumentali alla realizzazione dell’autonomia. Per la realizzazione delle

finalità istituzionali della scuola in regime di autonomia, la risorsa fondamentale è

costituita dal patrimonio professionale dei docenti, da valorizzare per la

realizzazione e la gestione del pino dell’offerta formativa dell’istituto. Tali funzioni

strumentali sono state identificate con delibera del collegio dei docenti, in coerenza

con il piano dell’offerta formativa che ne definisce i criteri di attribuzione, numero e

destinatari. Le stesse non possono comportare esoneri totali dall’insegnamento e i

relativi compensi sono definiti dalla contrattazione di istituto.

Ritornando alle funzioni obiettivo, inizialmente erano state individuate, nell’ambito

dell’autonomia, quattro aree di competenza professionale riferibili a specifiche

funzioni da assegnare ai docenti particolarmente capaci e preparati. Tali incarichi

riguardavano i seguenti ambiti: la gestione del POF, il sostegno al lavoro dei docenti,

gli interventi e i servizi per gli alunni, la realizzazione di progetti formativi realizzati

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d’intesa con il territorio. Con le funzioni strumentali, tale gamma si è ampliata. Gli

incarichi sono stati assegnati su ambiti diversi: dall’integrazione alle tecnologie, dal

POF alla valutazione, dalla continuità al disagio e ai rapporti con il territorio. Anche

per il personale ATA sono state previste forme di riconoscimento professionale. Il

contratto nazionale del 1999 aveva definito le funzioni aggiuntive che potevano

essere assegnate. Con il rinnovo dei vari contratti le funzioni aggiuntive, divenute

incarichi aggiuntivi, erano state riviste in riferimento ai rinnovati profili professionali.

Una delle questioni più delicate che hanno trovato soluzione dopo vari confronti è

stata quella relativa alla nomina del vicario e dei collaboratori del ds. Era stato l’art 7

del dlgs 297/1994 che aveva affidato al collegio dei docenti il compito di eleggere

inm numero di uno nelle scuole sino a 200 alunni, di due nelle scuole sino a 500

alunni, di tre nelle scuole sino a 900, e di quattro nelle scuole con più di 900 alunni, i

docenti incaricati di collaborare col direttore didattico o col preside. Con l’avvio

dell’autonomia scolastica e con la conseguenza definizione della dirigenza scolastica,

era stato il decreto legislativo 59/97, integrativo del dlgs 29/1993, ad affidare a

quest’ultimo l’opportunità di avvalersi della collaborazione di docenti da lui stesso

designati. Quindi risultava che sarebbe toccato al dirigente scolastico procedere

autonomamente a tale assegnazione di incarico senza alcun vincolo sul numero di

collaboratori da designare.

Con la CM 214 dell’8 settembre 1999 si riaffermava, a proposito della nomina delle

funzioni obiettivo, che tale adempimento era di competenza del collegio dei docenti

e che, proprio perché la figura del vicario era assimilabile a tele funzione dal punto

di vista economiuco, la scelta del capo di istituto avrebbe dovuto avvenire tra i

collaboratori eletti dal collegio. A dirimere la questione aveva provveduto la seconda

sezione del consiglio di Stato, la quale aveva stabilito che l’art. 7 del testo unico

297/1994 doveva essere considerato superato e che era riservata alle scelte deldirigente scolastico la possibilità di avvalersi di collaboratori da lui stesso individuati,

ai quali poter affidare specifici compiti. La CM 205/2000 aveva stabilito che la

nomina dei docenti vicari e dei collaboratori era di esclusiva competenza del

dirigente scolastico,, mentre la nomina delle funzioni obiettivo nell’ambito delle

attività educative e didattiche spettava al collegio dei docenti. A porre fine alla

questione è stato poi l’art. 25 del dlgs 165/2001, nel quale si afferma che spetta al

dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale e,

nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative, il dirigente

può avvalersi di docenti da lui individuati. Infine, l’art. 34 del CCNL 2006-2009 ha

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confermato che il dirigente, nell’avvalersi di docenti delegandoli per specifici compiti

relativi a funzioni amministrative, non può superare il numero delle due unità, per

cui la nomina di ulteriori collaboratori dovrà avvenire in accordo con le scelte del

collegio dei docenti.

La formazione continua del personale della scuola costituisce una necessità

ineludibile in una società caratterizzata dal cambiamento e dalla instabilità della

conoscenza. In realtà, ci si è sempre trovati di fronte a proposte e interventi privi di

sistematicità. Oggi, con la scelta della prospettiva dell’autonomia, sono certo maturi

i tempi per promuovere interventi di sistema, stabili e permanenti. La formazioni in

ingresso, cioè per i neoassunti, è stata curata con maggiore attenzione soprattutto

nel corso di questi ultimi anni. E’ stata prevista la frequenza di un apposito corso di

formazione che completava il periodo di prova ed è elemento essenziale per la

conferma dell’assunzione a tempo indeterminato. Per i dirigenti scolastici questa

materia è stata definita in maniera transitoria durante la fase di acquisizione della

qualifica dirigenziale attraverso la frequenza di appositi corsi. La formazioni in

servizio viene definita nel contratto nazionale 2006/2009. L’amministrazione è

tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscono la formazione che

consentono l’accesso a percorsi universitari, per favorire l’arricchimento e la

mobilità professionale mediante percorsi brevi finalizzati a integrare il piano di studicon discipline coerenti con le nuove classi di concorso e con profili considerati

necessari secondo le norme vigenti.

Il contratto 2006/2009 ha stabilito i livelli di intervento all’interno del sistema

scolastico: alle scuole spetta la programmazione di attività per la formazione sui

contenuti disciplinari dell’insegnamento. In ogni istituzione scolastica ed educativa il

Pianbo annuale delle attività di aggiornamento e formazione destinate ai docenti è

deliberato dal collegio dei docenti coerentemente con gli obiettivi e i tempi delPOPF, considerando anche esigenze ed opzioni individuali. Analogamente il DSGA

predispone il piano di formazione per il personale ATA. Si legge nell’art. 64 del

contratto che la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento

costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e

allo sviluppo delle proprie professionalità. I docenti hanno diritto a cinque giorni nel

corso dell’anno scolastico per la partecipazione a iniziative di formazione con

l’esonero dal servizio e con sostituzione. Nel contratto è regolamentato anche

l’accreditamento di enti e agenzie che curano la formazione del personale

scolastico: i soggetti sono le stesse scuole e le eventuali università, gli istituti

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pubblici di ricerca, altri enti accreditati sulla base di alcuni criteri generali che vanno

dalla mission dell’ente all’esperienza accumulata. Un impegno particolare

dell’amministrazione anche in rete con gli enti locali è previsto per i docenti e per il

personale ATA che operano nelle scuole di aree a rischio per prevenire la

dispersione scolastica e sostenere il successo degli alunni. E’ prevista anche una fase

di formazione, per acquisire competenze per i docenti che operano nei centri

territoriali permanenti, nei corsi serali delle superiori, nella formazione integrata e in

quella professionale, negli ospedali e nei penitenziari.

L’organo funzionale di istituto è stato tra gli aspetti più qualificanti dell’autonomia e

nel contempo ha consentito alle scuole di esercitare la propria libertà progettuale.

Di organico di circolo si parlava già nella legge di riforma della scuola elementare

140/1990 e nel testo unico del 1994; la prospettiva era stata successivamente

ripresa dall’art. 21 della legge 59/97 e dall’art. 1 comma 72 della legge 662 del 23

dicembre 1996. La sua iniziale applicazione era avvenuta per la scuola elementare

con la direttiva 1255 del 3 aprile 1997. Tale scelta aveva come fine una distribuzione

più equilibrata delle risorse professionali. In fase di prima applicazione, l’organico

funzionale aveva previsto l’assegnazione secondo specifici criteri delle risorse

professionali alle scuole attraverso una quota base e una perequativa, finalizzata a

consentire di migliorare il livello dell’offerta formativa. Ciò che è importante ribadireè che l’organico funzionale aveva lo scopo di consentire una più equa distribuzione

delle risorse umane, superando il semplice criterio del rapporto numero

classi/numero insegnanti.

In seconda istanza l’organico funzionale  era stato finalizzato a dare una maggiore

stabilità negli anni agli organici di ciascuna scuola, per favorirne la progettualità. Si

era così posto l’obiettivo di consentire a ciascuna scuola di realizzare la propria

offerta formativa, utilizzando adeguate risorse professionali. L’organico funzionaleera partito per la scuola dell’infanzia dall’anno 1999-2000. Va detto che esso era

stato utilizzato soprattutto per l’estensione dell’orario di funzionamento delle

scuole e per l’ampliamento del numero delle sezioni. Una sua diversa utilizzazione

era stata ipotizzata con la sperimentazione triennale sui nuovi ordinamenti collegata

alla legge 30/2000. Ben più consolidata era stata l’esperienza della scuola

elementare, in quanto l’organico funzionale era stato sperimentato sin dall’anno

scolastico 1997/98 e stabilizzato con la CM 53 del 12 febbraio 1998. Poi, la sua

definizione era stata regolamentata dal DM 331/1998;: la sua definizione doveva

assicurare prioritariamente le condizioni di funzionamento di tutti i plessi scolastici,

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di una scuola agente culturale del territorio, in grado di dialogare con il contesto di

appartenenza e di contribuire al suo sviluppo complessivo da protagonista.

Tra i provvedimenti che nella prima fase di attuazione dell’autonomia sono stati

determinanti si devono ricordare i due regolamenti che hanno consentito lapartenza delle scuole autonome: DPR 275/99 e il DI 44/01 (regolamento di

contabilità). Affinché quest’ultimo potesse incontrare concreta attuazione, è stata

necessaria la promulgazione del DPR 352 del 4 agosto 2001, con il quale sono state

apportate alcune modifiche al DPR 275/99, all’art. 12, nel quale era stato previsto

l’avvio in fase sperimentale di nuove disposizioni contabili solo a partire dall’anno

finanziario 2003. Il DPr 275/99 ha riconfermato l’unitarietà del sistema scolastico

nazionale, pur accentuando le responsabilità degli enti locali in materia di istruzione.

Alle scuole è stata riconosciuta una maggiore capacità di iniziativa nel campo

organizzativo, didattico e della ricerca, prerogative riassunte nel concetto di

autonomia funzionale. Le forme di autonomia sono tre: autonomia didattica,

organizzativa, di ricerca sperimentazione e sviluppo. La prima riguarda gli aspetti

didattici. Ogni istituzione scolastica deve rendere concreti gli obiettivi nazionali in

percorsi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita

educativa di tutti gli alunni. Tale forma di autonomia si ispira a una serie di principi

didattici connessi al miglioramento dell’azione formativa e che possono prevedere laflessibilità dell’articolazione modulare del monte ore annuale, la predisposizione di

percorsi didattici individualizzati, l’articolazione di gruppi di alunni della stessa classe

o di classi diverse, l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari.

L’autonomia organizzativa è relativa all’utilizzo delle risorse umane e

all’articolazione del tempo scolastico. L’orario complessivo del curricolo e quello

destinato alle singole discipline e attività sono organizzati in modo flessibile. Per i

docenti, si afferma che il loro impiego professionale può essere diversificato in

funzione delle scelte metodologiche deliberate nel POF. E’ prevista la possibilità di

adattare il calendario scolastico, nel rispetto però delle funzioni attribuote in

materia alle regioni. La possibilità di variazione da parte delle scuole sono state

ridotte al minimo e devono comunque sempre essere autorizzate dagli organi

regionali. La terza forma di autonomia interessa la ricerca, la sperimentazione e lo

sviluppo. Le istituzioni scolastiche esercitano tale prerogativa, curando la

progettazione formativa e professionale del personale scolastico, l’innovazione

metodologica e disciplinare, la ricerca didattica sulle diverse valenze delle tecnologiedell’informazione e della comunicazione. Il significato più profondo dell’autonomia

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va ricercato nell’intento di garantire l’effettivo esercizio del diritto allo studio in

termini di successo formativo.

Uno degli articoli più rilevanti del DPR 275/99 è l’ottavo. In esso si delinea non solo

la struttura del curricolo, ma si anticipa una possibile e molto attuale ridefinizionedell’intero assetto del sistema scolastico. Si disegna una forma di equilibrio tra la

quota nazionale e quella locale del percorso curricolare. La funzione del curricolo è

quella di assicurare dignità scientifica e autonomia formativa ai saperi dei diversi

comparti del sistema scolastico (80% definito dal MIUR e 20% dai singoli istituti). Ciò

dipende dalla duplice esigenza di connettere la scientificità delle conoscenze

scolastiche con l’autonomia formativa, centrata sulla personalizzazione dei percorsi

individuali che deve essere una prerogativa delle scuole, delle famiglie e delle

vocazioni territoriali. E’ stata delineata una struttura unitaria rispettosa delle

esigenze di un centro che deve programmare, orientare e valutare e di una

periferica chiamata a organizzare e gestire il servizio educativo.

E’ stata poi varata la riforma del titolo V della costituzione confluita nella legge

costituzionale 3/01, che ha attribuito agli enti locali nuove funzioni anche in materia

di politica scolastica. Nel quadro rinnovato un primo elemento rilevante è dato dalla

nuova posizione costituzionale degli enti locali, posti su di un piano paritario rispetto

alle regioni. Vanno inoltre sottolineati i due principi basilari del nostro ordinamento

costituzionale: la sussidiarietà e il federalismo solidale. E’ in realtà l’art 117 della

costituzione quello che ha più direttamente interessato la scuola, distinguendo tra

materie di potestà esclusiva e quelle di tipo concorrente. Qui si afferma che lo Stato

ha legislazione esclusiva in materia di norme generali sull’istruzione, mentre sono

materia di legislazione esclusiva delle regioni l’istruzione e la formazione

professionale.

Il regolamento contabile (DI 44/01) ha raccolto e armonizzato una serie di principi

riportati in molte disposizioni normative. Primo nucleo: riforma della PA, quindi, dlgs

165/01, relativo alla riorganizzazione e razionalizzazione delle amministrazioni

pubbliche; dlgs 286/1999 concernente il monitoraggio e la valutazione dei costi, dei

rendimenti e dei risultati dell’attività della PA; dlgs 296/99, che all’art. 2 ha definito

le norme per il controllo interno della regolarità amministrativa; legge 241/90, che

ha dettato nuove norme per i procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso

ai documenti. Secondo nucleo è relativo all’ambito scolastico: art. 21 della legge59/97; decreto 233/98, regolamento per la definizione degli organici, che prevede

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all’art. 6 la possibilità per le istituzioni scolastiche di uti lizzare le risorse per le

attività di istruzione, formazione e orientamento; DPR 275/99. Terzo nucleo è

relativo allo stato giuridico del personale della scuola: dlgs 59/98, oggi confluito del

dlgs 165/01, che ha definito la qualifica dirigenziale dei capi di istituto.

Il regolamento contabile ha introdotto nella vita della scuola molti principi

innovativi. Le attività amministrative e la gestione finanziaria sono state adeguate ai

principi della contabilità pubblica, prevedendo individuazione di obiettivi e la

realizzazione di progetti, stabilendo un sistema di controllo con una netta

distinzione tra organi e funzioni di indirizzo e quelli di gestione. E’ stata riconosciuta

la più ampia autonomia nella destinazione delle risorse, ponendo come unico

vincolo la loro utilizzazione per attività di istruzione, formazione e orientamento. La

dotazione finanziaria non è costituita dalle sole risorse assegnate dallo Stato, ma

può essere arricchita dal trasferimento di ulteriori finanziamenti da parte delle

regioni, degli enti locali e da soggetti privati. Vi è poi la possibilità di realizzare

progetti pluriennali. Il regolamento, inoltre, ha ridefinito la disciplina dell’attività

negoziale, che viene rimessa alle competenze delle singole scuole, con indicazioni

specifiche per alcune figure contrattuali. Il regolamento è stato definito anche per

rendere più accessibile la lettura e la comprensione dei documenti contabili a

genitori e studenti. L’indicazione è stata quella di predisporre un documentosemplice, di facile lettura e comprensibile per tutti, strutturato per grandi voci di

entrate e di spese. E’ stato riaffermato il principio del corretto uso delle risorse in

termini di efficienza, efficacia, trasparenza.

La definizione del regolamento di contabilità è avvenuta nell’ottica di facilitare le

procedure di deliberazione e di gestione degli aspetti finanziari e operativi della

scuola. E’ stata abbandonata la tradizionale logica del bilancio di previsione e del

conto consuntivo, per utilizzare un diverso documento, definito programmaannuale, nel quale sono state fissate le priorità di azione e gli indirizzi che ciascuna

scuola intende perseguire. Il programma annuale, una volta approvato dal consiglio

di istituto, diventa immediatamente operativo. Il programma rappresenta la

traduzione in termini finanziari delle attività e dei progetti che la scuola ha

deliberato nel POF. Esso definisce dal punto di vista finanziario le strategie

progettuali del POF in un’ottica di continuità tra progettazione didattica e

progettazione economico finanziaria. L’attività finanziaria delle istituzioni scolastiche

si svolge sulla base di un unico documento contabile annuale predisposto dal

dirigente scolastico e proposto alla giunta esecutiva con apposita relazione e con il

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parere di regolarità contabile del collegio dei revisori, entro il 31 ottobre, al consiglio

di istituto. La logica di costruzione del programma è quella del budget, del

complesso di risorse, azioni e tempi finalizzati a conseguire gli obiettivi. Occorre

prioritariamente individuare l’ammontare complessivo delle varie entrate e i relativi

finanziatori; sulla base di ciò si procede alla definizione del costo dei progetti e delle

attività inseriti nel POF. Una volta individuate e assegnate ai diversi progetti e

attività le risorse finanziarie, le scuole passeranno alla fese della gestione. E’ stato

così introdotto nel modo scolastico un diverso modo di considerare la contabilità,

tipico del privato. Esso consente di operare confronti tra costi e benefici. Si tratta di

una prospettiva che tende a unificare sempre più la logica formativa del POF con

quella economica del programma. Il programma si concretizza nelle tradizionali voci

delle entrate e delle spese.

E’ confermata la logica della distinzione tra funzioni di indirizzo  e compiti di

gestione. Spettano, a grandi linee: al collegio dei docenti la definizione degli indirizzi

pedagogici e didattici del POF; al dirigente scolastico, la predisposizione del

programma annuale e una relazione illustrativa, accompagnati dal parere di

regolarità contabile espresso dal collegio dei revisori dei conti (il dirigente è

individuato come responsabile della realizzazione del programma, imputa le spese al

funzionamento amministrativo e didattico generale, ai compensi spettanti alpersonale dipendente, è il rappresentante legale della scuola e titolare dell’attività

negoziale per il programma annuale con possibilità di delega al DSGA, stipula la

convenzione di cassa con l’istituto banchiere della scuola, predispone la verifica e le

modifiche del programma entro il 30 giugno, propone al consiglio modifiche parziali

al programma, decreta le variazioni del programma, provvede alla gestione

provvisoria in caso di non approvazione del programma, propone ai revisori il conto

consuntivo, firma mandati e reversali di pagamento, indica al DSGA i nominativi dei

docenti a cui affidare la custodia dei beni in modo vincolante, decreta l’eventuale

eliminazione dei beni dall’inventario, nomina i collaudatori per i materiali acquistati,

è titolare dell’eventuale carta di credito dell’istituto); al DSGA di fare proposte per il

programma annuale anche tramite un apposita relazione (è responsabile della

tenuta della contabilità, delle relative registrazione e degli adempimenti fiscali,

predispone e aggiorna le schede dei progetti); al giunta esecutiva il compito di

predisporre la presentazione del programma al consiglio di istituto; al consiglio di

istituto l’approvazione del programma annuale e del conto consuntivo, quest’ultimoanche in difformità con il parere dei revisori.

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Diversa è anche la tempistica che regola l’anno finanziario. E’ previsto che il

programma venga predisposto e presentato al consiglio di Istituto entro il 31

ottobre, mentre la sua approvazione deve avvenire entro il 15 dicembre. Il

documento va affisso all’albo della scuola entro quindici giorni dalla sua

approvazione. Se entro il 31 dicembre il programma non è stato approvato, scatta

l’esercizio provvisorio che consiste nella gestione provvisoria nel limite di 1/12 per

ciascun mese degli stanziamenti di spesa definitiva del programma relativo al

precedente esercizio, per la prosecuzione dei progetti già approvati e per il

funzionamento didattico e amministrativo generale. Il termine perentorio per

l’approvazione del programma è il 15 febbraio. In caso di mancata approvazione,

viene nominato dall’ufficio scolastico regionale un commissario ad acta. Il conto

consuntivo è predisposto dal DSGA entro il 15 marzo ed è sottoposto dal dirigenteall’esame del collegio dei revisori dei conti, unitamente a una dettagliata relazione

che illustra l’andamento della gestione dell’istituzione scolastica e i risultati

conseguiti in relazione agli obiettivi programmati. Esso, corredato della relazione del

collegio dei revisori dei conti, è sottoposto entro il 30 aprile, all’approvazione del

consiglio di istituto. Rimane ancora irrisolta la questione della discrepanza tra anno

scolastico e anno finanziario. Le ultime norme, comunque, prevedono che entra il 30

giugno venga predisposta una relazione finalizzata alla conoscensca e al controllo

degli equilibri stabiliti nel programma, delle entrate accertate, degli impegni assunti,

dei pagamenti effettuati. Sarà questoil documento che consentirà al consiglio di

istituto di verificare lo stato di attuazione del programma e le disponibilità

finanziarie per poi procedere a un vero e proprio assestamento di bilancio. E’

prevista inoltre la possibilità di accedere ai mutui. Ciò potrà avvenire solo dopo che

la cassa depositi e prestiti avrà apportato una specifica integrazione al proprio

regolamento e sarà predisposta una convenzione tipo. Sarà infine possibile utilizzare

la carta di credito, anche se solo per spese di viaggi di istruzione, di rappresentanzadell’istituto in Italia e all’estero, per l’organizzazione e la partecipazione a seminari e

convegni.

Rientra tra le prospettive delineate dal regolamento di contabilità quella di collegare

l’ambito didattico con quello amministrativo e finanziario. La strategia per

perseguire tale prospettiva è quella di operare per obiettivi e progetti . E’ previsto

che per ogni progetto approvato dal collegio dei docenti, sia redatta una scheda

finanziaria illustrativa che viene allegata al programma annuale, nella quale sonoriportati l’arco temporale in cui l’iniziativa deve essere realizzata, nonché i beni e i

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servizi da acquistare. La scheda finanziaria di progetto si definisce “illustrativa”

poiché ha la funzione di descrivere con immediatezza le modalità di realizzazione del

progetto stesso, la sua articolazione, la quota di risorse impegnate. Spetta al DSGA

preparare le schede finanziarie illustrative. Esse devono indicare l’ammontare delle

entrate e quello delle spese da effettuare, suddivise tra spese di personale, di

materiali di consumo, di investimenti e di tutto ciò che si riterrà utile per la

realizzazione del progetto. L’unico vincolo rimane il limite di spesa anche se è

previsto che, qualora si richiedano maggiori risorse per la realizzazione, il dirigente

potrà coprire la spesa eccedente, nel limite massimo del 10% della dotazione

originaria del progetto, prelevando la somma dal fondo di riserva.

Alle istituzioni scolastiche è riconosciuta la piena autonomia negoziale (art. 31

comma 2 del regolamento di contabilità) finalizzata al conseguimento dei propri fini

istituzionali. Le scuole possono stipulare convenzioni e contratti, con eslusione dei

contratti aleatori e delle operazioni finanziarie speculative. A esercitare tale attività

è il dirigente scolastico nella sua qualità di rappresentante legale dell’istituto. Egli,

che può delegare la realizzazione di singole attività al DSGA o a un collaboratore,

svolge tale funzione nel rispetto delle deliberazioni del consiglio. Al consiglio di

istituto spetta la determinazione dei criteri e dei limiti per lo svolgimento da parte

del dirigente, di altre attività negoziali: contratti di sponsorizzazione, di locazione diimmobili, utilizzazione dei locali beni o siti informatici della scuola da parte di altri

soggetti; convenzioni relative a prestazioni del personale della scuola e degli alunni

per conto terzi; alienazione di beni e servizio prodotti nell’esercizio di attività

didattiche sempre a favore di terzi, acquisto e alienazione di titoli di Stato; contratti

di prestazione d’opera con esperti per particolari attività e insegnamenti;

partecipazione a progetti internazionale. Il regolamento di contabilità, ad ogni

modo, individua tre livelli per la stipula contrattuale. Il primo livello è quello

dell’ordinarietà (regolato dall’art 34), il quale fissa una soglia di spesa: sotto tale

limite, 2000 euro o una somma stabilita dal consiglio di istituto, non sono più

richiesti i tre preventivi, ma si può procedere all’acquisto diretto. Il secondo livello,

superiore alla soglia del limite massimo, può avvenire secondo le forme di

contrattazione e di contabilità dello Stato. Il terzo livello è per acquisti molto

consistenti per i quali scatta l’obbligo di applicare la normativa europea, che è

diversa rispetto a quella del nostro codice civile.

La definizione del regolamento di contabilità si è ispirata al principio della flessibilità

per la gestione del programma annuale e si concretizza nella possibilità di

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modificare nel corso dell’anno scolastico il programma, consentendo una maggiore

coerenza tra l’attività didattica, che fa riferimento al calendario scolastico, e quella

finanziaria, che ha come parametro temporale l’anno solare. Il consiglio di istituto

verifica lo stato di attuazione dei singoli progetti del POF, apportando le opportune

modiche che consistono in un adeguamento del budget finanziario alla gestione. Le

modifiche possono riguardare specifici aspetti del programma, variazione delle

entrate, andamento dei progetti e delle attività del POF, utilizzo del fondo di riserva,

utilizzo del maggior avanzo di amministrazione, presenza di fatti o eventi che

richiedono particolari interventi. La modifica si concretizza in un documento

contabile, anch’esso diviso come il programma annuale in entrate e uscite. E’

possibile individuare: le modifiche di competenza del ds, che sono immediatamente

esecutive per le quali è obbligatoria la semplice conoscenza da parte del consiglio diistituto; le modifiche disposte dal ds è soggette a ratifica da parte del consiglio, da

effettuarsi entro trenta giorni dalla data della modifica; le modifiche che

comportano obbligatoriamente l’approvazione del consiglio di istituto. 

La giunta presenta il prospetto di modifica, mentre il DSGA predispone le schede di

modifica dei progetti e delle attività, anche sulla base delle indicazioni dei

responsabili di progetto. Il dirigente è tenuto a informare il consiglio di qualsiasi

variazione finanziaria. E’ opportuno che anche gli aspetti del POF riguardanti lemodifiche del programma siano aggiornati. Il regolamento di contabilità ha aperto

scenari nuovi per la scuola che sono riferibili alla possibilità di accettare donazioni, di

effettuare attività, di sponsorizzazione, di utilizzare prodotti dell’ingegno elaborati

nella stessa scuola. Voce significativa è divenuta quella di acquisto di dotazioni e

materiali tecnico scientifici, cioè di tutte le attrezzature di cui la scuola vuole dotarsi,

considerandone le grandi possibilità per i processi di apprendimento. Una

importante innovazione è stata introdotta nell’ambito della gestione di tali dotazioni

con l’affidamento di esse al DSGA. Si tratta di una scelta che lega DSGA e dirigente in

un particolare rapporto di corresponsabilità. Il dirigente, dunque, non può svolgere il

ruolo di consegnatario dei beni delle singole istituzioni, funzione che viene riservata

nella PA al personale direttivo. Il dirigente conserva il diritto alla firma per il

discarico di eventuali beni e ha l’obbligo di denuncia alla corte dei conti in caso di

deterioramento o di perdita di beni. Da un lato, dunque, abbiamo il DSGA, che è il

depositario dei beni e il tenutario dei registri della contabilità; dall’altro, il dirigente

a cui spetta l’obbligo di controllare e di denunciare i casi di danneggiamento, cattivoutilizzo, perdita di beni (ne risponde il DSGA in prima persona). E’ opportuno che

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siano definiti protocolli di utilizzo dei materiali e cofici comportamentali ben chiari.

Altro aspetto innovativo è rappresentato dall’attività negoziale. La scuola ha sempre

operato producendo atti amministrativi, mentre ora opera per contratti. E’ prevista

la stipula di una serie di contratti tipici la cui logica ha modificato anche alcuni

aspetti del Codice civile: l’art. 40 del regolamento di contabilità, ad esempio,

disciplina il contratto di prestazione d’opera intellettuale per gli esperti, gli eventuali

formatori e altri. La scuola è chiamata a scegliere tra due criteri: quello della

selezione in base alla qualità della prestazione (titoli compresi); quello della

retribuzione oraria dell’esperto. 

Il controllo della regolarità amministrativa e contabile era stato inizialmente affidato

a un collegio dei revisori dei conti nominato dall’ufficio scolastico regionale. Il

collegio dei revisori dei conti aveva il compito di vigilare sulla legittimità, regolarità,

correttezza dell’azione amministrativa e di esprimere il parere di regolarità contabile

sul programma annuale proposto dalla giunta. Una particolare attenzione andava

riservata al controllo del conto consuntivo. Tale organismo era tenuto a verbalizzare

la propria attività su un registro apposito, con pagine numerate progressivamente,

depositato presso ciascuna scuola. Copie dei verbali relativi a eventuali anomalie

riscontrate nel corso della gestione andavano inviate all’Ufficio scolastico regionale

e alla ragioneria provinciale dello Stato. Il collegio era convocato su iniziativa delpresidente, oppure su richiesta congiunta degli altri due membri. Qualora nelle

deliberazioni vi fosse stato un membro dissenziente, questi avrebbe dovuto indicare

nel verbale i motivi del proprio dissenso. Non era consentita l’astensione. Erano

previste visite periodiche alle scuole di competenza almeno due volte all’anno.

Successivamente, in fase di razionalizzazione delle spese dello Stato definita con la

finanziaria 2007, i collegi sono stati soppressi e al loro posto sono rimasti due

revisori dei conti, nominati dal Ministero dell’economia e delle finanze e dal

ministero della pubblica istruzione.

Nel riordino sono state inserite altre norme per rendere più efficaci i controlli. Pur

confermando il disposto dell’art. 60 del regolamento per la tenuta dei verbali, il MEF

(Ministero Economia e Finanze) ha elaborato il progetto Athena 2, per l’adozione di

una procedura software che dovrebbe snellire l’azione di controllo. DI fronte alla

mole di documenti prodotti dall’amministrazione scolastica, si chiede ai revisori di

adottare criteri che semplifichino ma qualifichino i controlli, anche attuando la

tecnica del campionamento. Ai nuovi revisori è oggi affidato l’esame degli atti di

amministrazione della scuola sia sotto quello della proficuità economico finanziaria.

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Oggetto del controllo sono i libri contabili, i registri obbligatori, i documenti della

gestione amministrativa e contabile. Deve essere effettuato il controllo: di

legittimità sugli atti della gestione del dirigente scolastico; sulla regolare tenuta della

contabilità e sull’impianto contabile, sul programma annuale di previsione e sul

conto consuntivo. Essi dovranno effettuare, poi, la verifica di cassa, dei libri

inventari, della regolarità delle procedure di acquisto, del registro delle riunione

degli organi collegiali scolastici, di quello degli emolumenti al personale delle

supplenze, delle assenze, dell’adempimento degli obblighi fiscali. 

E’ opportuno fare riferimento a due altre prospettive che sono state proposte per

sostenere le attività della scuola: il marketing e le sponsorizzazioni. Il concetto di

marketing ha subito nel tempo una profonda evoluzione, passando da una riduttiva

interpretazione di gestione di messaggi e pubblicitari a quella di attività finalizzata

alla produzione e all’offerta di determinati prodotti e servizi. Il marketing è entrato

nella vita della stessa PA dopo la sua riforma e, di conseguenza, nella scuola. Alla

base del concetto di marketing ritroviamo l’idea della rendicontabilità dell’operato

della scuola, che nasce da un rapporto di tipo contrattuale, nel quale i soggetti

contrenti, utenza e scuola, assumono delle reciproche responsabilità. Spetta alle

istituzioni scolastiche il compito di conferire visibilità, trasparenza ed efficacia

all’attività di informazione circa l’organizzazione l’offerta dei servizi. Sulla stessalinea si erano mossi sia la legge 150 del 7 giugno 2000, sia il dlgs n. 165/2001. Il

disposto normativo della legge 150/2000 ha riaffermato che tra le attività della PA,

scuola compresa, rientra l’obbligo di informazione e di comunicazione all’utenza.

Tali attività, che vanno svolte nel rispetto delle disposizioni sul segno d’ufficio e della

lege per la tutela dei dati personali, riguardano: la comunicazione interna; quella

esterna a cittadini, enti locali e organismi del territorio; l’informazione attraverso

stampa, mass media, mezzi telematici. Lo stesso Ministero aveva istituito con il DPR

347/2000 il Servizio per la comunicazione, al quale aveva affidato i canali

comunicativi istituzionali, la promozione delle attività degli organi centrali con quelle

degli organi periferici dell’amministrazione. Nello stesso ambito si è mosso il dlgs

165/2001, il quale, all’art. 11, ha stabilito l’obbligo per la PA di individuare,

nell’ambito della propria struttura, uffici per le relazioni con il pubblico, ai quali è

affidata una serie di attività.

Ritornando alle attività di informazione, una delle possibili fonti di finanziamento

per la copertura dei costi di realizzazione dell’offerta formativa è data dalla

possibilità di stipulare da parte delle istituzioni scolastiche contratti di

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sponsorizzazione. Tra le figure contrattuali previste rientrano i contratti di

sponsorizzazione: possiamo definire tale attività come un accordo con il quale un

soggetto sponsorizzato consente l’uso del proprio nome o della propria immagine

per promuovere il marchio. Le istituzioni scolastiche possono concludere accordi di

sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati. E’ fatto divieto di concludere

accordi di sponsorizzazione con soggetti le cui finalità ed attività siano in contrasto,

anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola. E’ opportuno che

nella stipula dei contratti di sponsorizzazione siano privilegiati i soggetti che

mostrano sensibilità e attenzione verso i problemi della nuova generazione. Per

quanto concerne il modello contrattuale, i giuristi sono soliti distinguere due forme:

quello della sponsorizzazione pura; quella della sponsorizzazione impura, per cui lo

sponsor offre un compenso in cambio di un atteggiamento di tolleranza per ilproprio messaggio da parte dello sponsorizzato: nel caso della scuola, è consigliabile

la forma impura di sponsorizzazione. Se dovesse, poi, essere la scuola stessa a fare

da sponsor, è preferibile adottare l’istituto del patrocinio più che quello della

sponsorizzazione.

Il regolamento contabile non ha subito sostanziali ritocchi nel corso di questo primo

decennio di autonomia scolastica. Anche se non mancano ulteriori provvedimenti. Il

primo è conseguente alla legge finanziaria 2007, n. 296 del 27 dicembre 2006, èintervenuta sul collegio dei revisori dei conti ed escludendo, nei commi 450 e 452 le

scuole dall’obbligo di ricorrere alla CONSIP per il mercato elettronico. Sino a quel

momento le amministrazioni statali, centrali e periferiche, per l’acquisto di beni e

servizi sotto la soglia comunitaria erano tenute a fare ricorso al mercato elettronico

della PA. Il secondo provvedimento è relativo alle dotazioni finanziarie di istituto,

che costituiscono il presupposto essenziale per definire il programma annuale. Un

più significativo impatto ha avuto la legge 133 del 6 agosto 2008, che ha delineato

diversi indirizzi e procedure per la politica nazionale. Essa è intervenuta sia su

questioni generali sia su aspetti specifici delle spese per l’istituzione. Proprio la

progressiva riduzione delle risorse disponibili ha richiesto alle istituzioni scolastiche

di muoversi definendo da un lato un modo particolareggiato e puntuale la

programmazione delle attività legandole agli aspetti finanziari; dall’altro,

monitorando costantemente la realizzazione di tali attività mantenendo un controllo

consapevole sull’andamento della gestione. Anche in questo caso è confermato il

passaggio da una concezione basata sul bilancio di previsione a quella delprogramma annuale. Se il dirigente scolastico rimane il responsabile degli aspetti

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flessibilità della gestione. Le modifiche introdotte riguardano la cadenza temporale

degli atti del processo e i documenti e le azioni per la predisposizione e la

definizione del bilancio. Va sottolineato che l’arco temporale di riferimento sarà il

triennio, con una proposta che si articolerà su tre esercizi con l’affiancamento della

previsione alla situazione di cassa. Altre novità riguardano la realizzazione del

programma che sarà affidata a un unico centro di responsabilità amministrativa,

mentre le attività si realizzeranno in base a: missioni (che definiranno gli obiettivi

strategici e le finalizzazioni della spesa pubblica) e programmi, e cioè unità di

bilancio per la realizzazione delle missioni, che si presenteranno come aggregati

omogenei di attività dei vari ministeri in riferimento a specifici obiettivi e nell’ambito

delle finalità istituzionali.

Le relazioni sindacali nella scuola dell’autonomia. 

La contrattazione di istituto nasce con l’accordo interconfederale del 23 luglio 1993

ed ha riguardato materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi

propri dei CCNL. Ben presto essa è stata finalizzata a incrementare i livelli retributivi

complessivi, abbandonando di fatto il collegamento con l’effettiva produttività. La

sua evoluzione ha seguito il processo di riordino del pubblico impiego. La

contrattazione aveva visto affermarsi due grandi principi: il cambiamento di alcune

regole di carattere generale; l’introduzione dell’istituto dell’interpretazione

autentica dei contenuti contrattuali e la modifica della giurisdizione sulle

controversia del lavoro.

I provvedimenti normativi della fine della fine degli anni ’90 avevano introdotto

grandi novità. Da un lato era stato modificato il sistema di calcolo per stabilire la

rappresentatività di ciascuna sigla sindacale, dall’altro, vi erano stati interventi che

avevano riguardato anche l’ARAN, l’agenzia delegata a rappresentare nella

contrattazione la parte pubblica. Si è avuto poi la progressiva sostituzione della

contrattazione integrativa con quella decentrata e l’istituzione di un V area per la

dirigenza pubblica. I meccanismi della contrattazione hanno avuto l’effetto di

modificare i compiti che la corte dei conti aveva in passato svolto per le verifica di

legittimità. Avrebbe potuto stabilire solo la certificazione di compatibilità alle

clausole dell’evento contratto in riferimento alla programmazione e al bilancio.

Anche il potere di annullamento di clausole contrattuali ritenute illegittime da parte

dei TAR veniva soppresso. Sia le organizzazioni sindacali, sia gli organi di governo sierano impegnati a sottoscrivere scelte negoziali in coerenza con i principi giuridici

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generali dello Stato e vi era stata una grande valorizzazione dell’istituto

dell’interpretazione autentica dei contenuti del contratto. Tale sistema,

caratterizzato da una progressiva espansione delle materie contrattuali e con

possibilità di disapplicare gli stessi dispositivi legislativi, è rimasto in piedi sino al

2008. A partire da quel momento vi è stata invece un’inversione di tendenza con il

tentativo di recuperare alla riserva di legge materie che erano impropriamente

passate alla contrattazione, sino alla legge 15/2009, la quale ha stabilito che i

contratti non possono disapplicare un disposto legislativo se questo non è

espressamente previsto dalla stessa norma. La legge 15/2009 ha riaffermato il

principio dell’inderogabilità delle previsioni di legge e il dlgs 150/2009 ha affermato

il carattere imperativo delle norme. Il dlgs 165/2001 ha richiamato l’applicabilità

degli artt. 1339 e 1419 del Codice civile, le materie escluse dalla contrattazione, ,l’invalidazione dal primo gennaio 2011 dei contratti collettivi integrativi non

adeguata alle nuove norme. Intorno a una serie di principi che vanno dal primato dei

vincoli generali di legge alla separazione delle responsabilità; dal rispetto delle

competenze alla disponibilità delle materie; dalla parità giuridica dei soggetti alla

natura privatistica dei rapporti.

E’ stato previsto un periodo di transizione,  stabilendo che essere sarebbero state

applicate in maniera graduale adeguando i contratti di istituto entri il il 31/12/2010.Al 31/12/10 le parti adeguano i contratti collettivi integrativi vigenti alla luce della

nuova normativa. In caso di mancato adeguamento, tali costrutti cessano la loro

efficacia al 1/1/2011. In via transitoria con riferimento al periodo contrattuale

immediatamente successivo a quello in coeso. L’ARAN avvia la trattativa con le sigle

sindacali sulla base dei dati associativi ed elettorali rilevati per il biennio contrattuale

08/09. Sono prorogati gli organismi di rappresentanza del personale. A complicare il

quadro sono intervenute le misure di contenimento della spesa pubblica previste

nella legge 122 del 30 luglio 2010, che hanno bloccato il rinnovo dei contratti

nazionali sino al 2013, impedendo di fatto il loro adeguamente alla nuova

normativa. Tutto ciò ha alimentato un acceso confronto tra governo e sindacati,

ciascuno intenzionato a far prevalere le proprie ragioni. Il Ministero della funzione

pubblica, con la circolare 7, ha ribadito che tutto ciò che attiene alla potestà

dirigenziale sarebbe entrato in vigore il 15 novembre 2009, in quanto la norma non

aveva previsto una fase di transizione. Per la funzione pubblica sono

immediatamente applicabili le disposizioni relative alla relazione tecnica deldirigente scolastico che deve accompagnare il contratto di istituto, l’adeguamento di

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quest’ultimo alle nuove norme per le materie di contrattazione riserva di legge e le

forme di controllo dei revisori dei conti sulla legittimità del contratto circa

l’osservanza di tale riserva sono immediatamente applicabili. Il mancato rispetto

ditali disposizioni comporterebbe la nullità del contratto e delle singole clausole

sottoscritte e farebbe scattare per i dirigenti le conseguenti responsabilità. Sul

fronte opposto si sono posti coloro che sostengono la non applicabilità delle nuove

norme proprio per la stessa presenza nello stesso dlgs 150/2009 di alcune

disposizioni che sarebbero in contrasto con simile interpretazione. Non vi è dubbio

che le leggi ordinarie dovrebbero prevalere e avere maggiore efficacia delle norme

pattizie, così come le prerogative dirigenziali dovranno far assumere ai dirigenti la

potestà sugli atti di macro e micro organizzazione degli uffici secondo quanto

prevedono le specifiche norme.

Il sistema delle relazioni sindacali ha come suoi fini la promozione dei servizi offerti

dalla scuola e il miglioramento delle condizioni lavorative e professionali del

personale scolastico. Tale sistema trova ulteriore sostegno giuridico in alcuni articoli

del dlgs 165/2001. Esso prevede una serie di modelli relazionali: contrattazione

collettiva; partecipazione; interpretazione autentica dei contratti collettivi. La

contrattazione collettiva si svolge a livello territoriale nazionale, regionale e di

singola istituzione scolastica e consente di attuare quegli aspetti contrattuali rinviatidal contratto nazionale ai vari livelli. Essa è finalizzata a incrementare la qualità del

servizio scolastico, a sostenere l’innovazione,  a valorizzare la professionalità degli

operatori scolastici. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede

decentrata contratti integrativi in contrasto con i vincoli posti dalla contrattazione

nazionale, pena la nullità delle clausole sottoscritte. La contrattazione integrativa

nazionale disciplina a cadenza biennale la mobilità e i diritti sindacali. In sede di

contrattazione, le delegazioni sono composte per la parte pubblica dal titolare del

potere di rappresentanza e da una rappresentanza dei dirigenti titolari degli uffici

interessati alla trattativa; per le organizzazioni sindacali dai sindacati nazionali di

categoria firmatari del CCNL. Il MIUR può avvalersi dell’assistenza dell’ARAN. La

contrattazione integrativa regionale si svolge in base a quanto stabilito dagli artt. 40

e 40 bis del dlgs 165/2001. Le delegazioni sono costituite per la parte pubblica dal

dirigente regionale o un suo delegato; per la parte sindacale dai rappresentanti

territoriali dei sindacati del CCNL. La contrattazione ha cadenza annuale nelle

seguenti materie: criteri per la tutela della salute sul lavoro, per la distribuzione dirisorse regionali e di altri enti diversi dal MIUR alle scuole per la lotta

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all’emarginazione scolastica, per le aree a rischio immigrazione e per la formazione;

criteri per le opportunità formative per il personale, di utilizzazione del personale e

per la verifica dei risultati della formazione. A cadenza quadriennale, criteri per i

permessi diritto allo studio, per lo svolgimento delle assemblee territoriali e per i

diritti sindacali. La partecipazione, invece, si svolge ai vari livelli, nazionale, regionale

e di istituto per le specifiche materie di competenze; essa si articola negli istituti

dell’informazione, della concertazione e delle intese e può anche prevedere

l’istituzione di commissioni paritetiche per definire specifiche problematiche. Sulle

materie assegnate e sulle linee di indirizzo le organizzazioni sindacali possono

richiedere entro due giorni lavorativi dal ricevimento dell’informazione l’attivazione

di un tavolo di concertazione da attivare entro cinque giorni lavorativi successivi alla

richiesta di concertazione per chiudersi entro il termine perentorio di sette giornilavorativi. Il terzo modello relazionale riguarda l’interpretazione autentica dei

contratti. Qualora dovessero insorgere controversie su aspetti o elementi del

contratto, le parti sottoscriventi hanno la possibilità di incontrarsi per definire

consensualmente il significato autentico degli aspetti controversi.

Il riconoscimento per i dirigenti scolastici della titolarità delle relazioni sindacali a

livello di istituto ha contribuito a complessificare la loro figura professionale

rendendoli responsabili dell’istituzione scolastica e nel contempo rappresentanti perla parte pubblica del negoziato sindacale con le RSU. Scopo della contrattazione di

istituto è quella di definire regole certe, corrette, trasparenti e condivise nell’ambito

delle materie delegate. Va chiarito che la contrattazione di istituto non può

riguardare tutti gli aspetti del servizio scolastico, ma solo determinate materie

relative a specifici ambiti del rapporto di lavoro, espressamente indicate nel

contratto nazionale. Non possono essere oggetto di contrattazione gli elementi

pedagogici e didattici del POF.2  Si è voluto, in sostanza, in questi ultimi anni

promuovere un profondo processo di responsabilizzazione attraverso il quale si è

voluto: favorire la responsabilizzazione di processi innovativi con una forte

componente in termini di democrazia sindacale; promuovere nuove modalità,

forme e sedi di decisionalità; trasformare il modello partecipativo scolastico. La

scelta è stata finalizzata anche a favorire lo sviluppo della democrazia nella scuola,

2  Fonti della contrattazione di istituto. Fonti normative: Costituzione, art. 39; Codice civile, libro V, titolo II, capo I;

legge 300 del 20 maggio 1970; legge 93 del 29 marzo 1983, n. 93; legge 421 del 23 ottobre 1992; dlgs 165/2001 (artt.

40-50); legge 15 del 4 marzo 2009; dlgs 150 del 27 ottobre 2009; Circolare DFP (dipartimento funzione pubblica) n. 7

del 13 maggio 2010 e circolare DFP n 7 del 5 aprile 2011. Fonti pattizie: CCNQ, accordo collettivo nazionale quadro;

CCNL, contratto collettivo nazionale; CCNI, contratto collettivo integrativo nazionale; CCDR, contratto collettivo

integrativo regionale; CCDI, contratto collettivo integrativo di istituto.

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tanto che è stato previsto che possano partecipare alle elezioni delle RSU anche

coloro che non fossero stati iscritti ad alcun sindacato. Ora, la contrattazione di

istituto si trova al centro di un intenso dibattito. Sino alla riforma Brunetta, tale

ambito è stato regolamentato dall’art. 6 del CCNL 2006/2009, il quale ha stabilito

che sono materie di informazione preventiva annuale, oltre a tutte quelle oggetto di

contrattazione, le proposte per la formazione delle classi e la determinazione degli

organici; il piano delle risorse complessive per il salario accessorio; i criteri per

l’attuazione dei progetti nazionali, europei e territoriali; quelli per la fruizione dei

permessi per l’aggiornamento; l’utilizzo dei servizi sociali. Sono state indicate come

materie di contrattazione integrativa: modalità di utilizzazione del personale

docente in rapporto al POF e al piano delle attività del personale ATA; criteri per le

assegnazioni del personale docente, educativo ed ATA alle sezioni staccate ai plessi;criteri e modalità di applicazione dei diritti sindacali; attuazione della normativa in

materia di sicurezza nei luoghi di lavoro; i criteri per la ripartizione delle risorse del

fondo di istituto e per l’attribuzione dei compensi accessori, ai sensi dell’art. 45,

comma 1, del dlgs 165/01, al personale docente, educativo e ATA; criteri e modalità

relativi alle organizzazioni del lavoro.

Tale quadro è oggi rimesso in discussione proprio per gli effetti prodotti

dall’applicazione dei provvedimenti 15/2009 e 150/2009 con conseguente modificadel dlgs 165/2001. Le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure

inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi

preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta

salva la sola informazione ai sindacati. Rientrano nell’esercizio dei poteri dirigenziali

le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari

opportunità. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla

contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono

essere applicate e sono sostituire ai sensi degli artt. 1339 e 1419 del Codice civile

(art. 40 dlgs 165/01).3 

Il quadro complessivo è in questa fase in forte evoluzione e si presta a varie

riflessioni, a volte anche in contrasto tra loro. Ad ogni modo, la contrattazione

sindacale a livello di istituto deve essere considerata una opportunità per conseguire

3 Codice civile. Art. 1339: “le clausole, i prezzi di beni  o di servizi, imposti dalla legge (o da norme corporative) sono di

diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti”. Art. 1419: “La nullità

parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti

non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. La nullità di singole clausole

non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.  

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nella scuola equilibri più avanzati tra le componenti degli operatori scolastici in

modo da sostenere i processi di ricerca della qualità.

Il fondo di istituto, che costituisce la risorsa fondamentale per realizzare il POF e

tutte le attività della scuola, è finalizzato a retribuire le varie prestazioni delpersonale scolastico, docenti e ATA, per realizzare la prospettiva dell’autonomia e

per garantire il diritto alla formazione. Con la sequenza contrattuale dell’8 aprile

2008 sono stati definiti nuovi criteri per determinare l’importo complessivo delle

risorse del fondo delle singole scuole: 15% in funzione del numero delle sedi di

erogazione del servizio; 68% in funzione del numero degli addetti individuati dai

decreti interministeriali quale organico di diritto di tutto il personale docente,

educativo e ATA; 17% in funzione del numero degli addetti individuati dal decreto

interministeriale quale organico di diritto del personale docente degli istituti

secondari di secondo grado. Per il personale docente, le risorse del fondo sono state

finalizzate prioritariamente agli impegni didattici, quali la flessibilità, le ore

aggiuntive di insegnamento, di recupero e di potenziamento. Per quanto concerne

l’iter di definizione del contratto di istituto sino ad oggi è stata seguita la procedura

suggerita dallo stesso art. 88 del CCNL e che ha previsto le seguenti fasi: il collegio

docenti, su proposta del ds, individua funzioni e attività che danno accesso al fondo;

La proposta viene completata con il Piano annuale delle attività per il personale ATA,elaborata dal DSGA sulla base delle direttive importate dal dirigente; il consiglio di

istituto esprime il proprio parere circa le proposte e la realizzazione del POF; si

svolge la contrattazione tra dirigente, RSU, delegazione sindacale provinciale che

adotta le opportune decisioni. Il dirigente, che deve dare informazioni successiva di

quanto realizzato alle rappresentanze sindacali, procede alla liquidazione delle

prestazioni entro il 31 agosto di ogni anno. I dirigenti dovranno trasmettere ai

revisori dei conti entro cinque giorni dalla sottoscrizione delle ipotesi di accordo il

testo del contratto, la relazione tecnico finanziaria, la relazione illustrativa. Tali

relazioni dovrebbero essere scritte in base a schemi definiti dal MEF. Entro cinque

giorni dalla stipula definitiva, il dirigente deve trasmettere all’ARAN e al CNEL per via

telematica copia del contratto, della relazione tecnico finanziaria, di quella

illustrativa. A consuntivo il dirigente deve fornire al MEF, entro il 31 maggio di ogni

anno, informazioni circa i costi della contrattazione integrativa. Il dirigente ha

l’obbligo di far pubblicare sul sito permanentemente il contratto integrativo, le de

relazioni, le informazioni trasmesse al MEF, gli esiti dell’applicazione del contratto in

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termini di produttività, i risultati della rilevazione per il momento non obbligatoria

circa la soddisfazione degli utenti.

I soggetti della contrattazione integrativa di istituto sono, per la parte dei lavoratori,

le RSU e i sindacati provinciali firmatari del contratto nazionale; per la partepubblica, il dirigente scolastico. Le prime elezioni delle RSU si sono svolte nella

scuola tra il 13 e il 16 dicembre 2000. In seguito a tali elezioni è stato possibile

avviare l’attività di contrattazione integrativa di istituto. Va chiarito che le RSU non si

qualificano come un altro organo collegiale, né rappresentano un ulteriore

organismo burocratico dell’organizzazione scolastica, ma come un organismo

rappresentativo degli operatori scolastici, che stabilisce le proprie regole di

funzionamento nel rispetto dei vincoli generali e in accordo con l’amministrazione

scolastica. Essi hanno potestà di indire assemblee di istituto in orario di lavoro;

diffondere informazioni tra il personale; concordare con il ds i servizi essenziali nel

caso di scioperi; intervenire in materia di conciliazione per il raffreddamento delle

controversie. Infine, il punto di vista dell’amministrazione viene riportato dal

dirigente scolastico; le decisioni negoziali assumono un valore fondante diventando

elementi determinanti per il progetto educativo proposto.

Il diritto di assemblea e di sciopero ha rappresentato un elemento di grande rilievo

durante tutto il corso della nostra storia sociale. Il CCNL del 1998, all’art. 2, aveva

fissato il diritto di partecipare ad assemblee sindacali indette durante l’orario di

lavoro sino a un massimo di dieci ore annue. Per quanto concerne le assemblee,

esse devono essere convocate con almeno sei giorni di preavviso con comunicazione

scritta affissa all’albo della scuola e sul sito e con circolare informativa del dirigente.

Le assemblee non possono durare più di due ore; quelle che coincidono con gli orari

di lezione si svolgono all’inizio o alla fine delle lezioni; quelle per il personale ATA

possono non coincidere con gli orari di quelle dei docenti. Le lezioni sono sospesedal dirigente nelle sole classi dove i docenti hanno dichiarato di partecipare

all’assemblea. Qualora partecipi anche il personale ATA e la partecipazione sia

totale, il dirigente stabilirà in sede di contrattazione di istituto le quote e i

nominativi del personale che dovrà assicurare i servizi essenziali. Non si possono

tenere assemblee in ore concomitanti con lo svolgimento di esami e scrutini finali.

Il diritto di sciopero è regolamentato dalla legge 83 dell’11 aprile  del 2000. Qui sono

stati definiti i servizi essenziali. Essi sono relativi ai diritti della personacostituzionalmente garantiti, tutela della vita, della salute, della libertà e della

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sicurezza, della libertà di circolazione, di assistenza e di previdenza sociale,

dell’istruzione e della libertà di comunicazione. Scopo della regolamentazione è

quello di contemperare il diritto di sciopero dei lavoratori con i diritti dell’utenza.

Tali diritti, nell’ambito dell’istruzione, vanno ricondotti alla particolare  tutela

riservata agli utenti della scuola, per lo più minori. I soggetti che proclamano uno

sciopero assumono una serie di obblighi che riguardano la durata dell’agitazione, le

modalità di attuazione, le motivazioni che l’hanno provocata. Le amministrazioni

sono tenute ad assicurare le prestazioni indispensabili per la garanzia dei diritti della

persona in precedenza ricordati, anche trattenendo in servizio parte del personale.

Per l’attuazione della legge 146/1990 per il funzionamento dei servizi pubblici 

essenziali è stata redatta una serie di norme di garanzia. Esse riguardano le attività

per lo svolgimento di scrutini ed esami, la vigilanza sui minori durante i servizi direfezione, la vigilanza degli impianti e delle attrezzature; le attività riguardanti la

conduzione dei servizi nelle aziende agricole per la cura e l’allevamento del

bestiame; la raccolta, l’allontanamento e lo smaltimento dei rifiuti tossici, nocivi,

radioattivi; il pagamento di stipendi e pensioni. Al dirigente scolastico sono state

affidate molte responsabilità. In caso di sciopero, egli ha il compito di invitare il

personale a esprimere volontariamente e in forma scritta le proprie intenzioni e di

aderire o meno allo sciopero; in base a tali comunicazioni egli valuterà l’entità del

servizio erogabile e ne darà comunicazione alle famiglie. Spetterà a lui il compito di

individuare i nominativi del personale da includere nel contingentamento

obbligatorio.

L’11 luglio 2001, presso la sede dell’ARAN, era stata sottoscritta un’ipotesi di

Accordo sui servizi minimi da garantire da parte dei dirigenti scolastici in occasione

degli scioperi della loro categoria. Il problema si poneva per l’unicità della figura del

dirigente scolastico in ciascuna istituzione e perché non era chiaramente

individuabile chi avrebbe potuto svolgere le funzioni dirigenziali in caso di sua

adesione allo sciopero. La figura del vicario, quella dei collaboratori e del docente

più anziano, previsti dai decreti delegati, quali eventuali sostituti del dirigente

scolastico, erano riferibili alla funzione direttiva e non a quella dirigenziale del tutto

diversa da un punto di vista strettamente giuridico. L’unica possibilità risultava

quella di ricorrere al principio del potere di delega previsto dal dlgs 165/2001 all’art.

25, comma 5. In caso di partecipazione a uno sciopero del dirigente scolastico,

questi potrà delegare un docente con funzioni vicarie o un collaboratore a svolgere ipropri compiti istituzionali. Le sostituzioni dei docenti assenti potranno, invece,

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essere effettuate solo se queste risultassero indispensabili per la tutela dei soggetti

minorenni.

Il MIUR, con nota 758 del 29 novembre 2001, ha diramato disposizioni per applicare

l’accordo per la disciplina sperimentale di conciliazione e arbitrato per il compartoscuola, sottoscritto tra le organizzazioni sindacali e l’ARAN il 18 ottobre 2001. Da un

lato, si voleva garantire una più rapida definizione delle controversie di lavoro,

riducendo tempi e costi dei procedimenti; dall’altro, si cercava in qualche modo di

ridurre il fenomeno del contezioso giudiziale. A regolamentare il tutto erano stati

destinati gli artt. 65 e 66 del dlgs 165/2001. A distanza di un decennio circa, con la

legge 183 del 4 novembre 2010 (il cosiddetto collegato lavoro), è stato introdotto il

principio della facoltatività del tentativo di conciliazione. Il ministero del lavoro ha

emanato, il 25 novembre 2010, la circolare 3428 fornendo le prime istruzioni

operative e comunicando che le precedenti commissioni già nominate avrebbero

continuato in regime di prorogatio e in attesa di ulteriori chiarimenti. La

presentazione della richiesta di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende

la decadenza della questione sino al ventesimo giorno successivo alla conclusione

del tentativo. Per essere ritenuta valida, la richiesta deve riportare: generalità di

entrambe le parti, luogo di conciliazione e quello delle eventuali comunicazioni;

esposizione dei fatti; ragioni del proponente. Entro venti giorni dalla richiesta dovràessere depositata la memoria della controparte ed entro i successivi dieci giorni i

funzionari del DPL (direzione provinciale del lavoro) convocheranno le parti. Entro

trenta giorni il tentativo di conciliazione dovrà essere concluso. L’obbligatorietà del

tentativo di conciliazione, da svolgere comunque secondo il disposto dell’art. 410

del codice di procedura civile, permane nel caso di controversie per i contratti

certificati in base all’art 75 del dlgs 276/2003. Le istituzioni scolastiche possono

essere interessate da tale questione in quanto il tentativo è obbligatorio non solo tra

le parti, ma anche nei confronti di terzi, compresi gli enti amministrativi.

Il sistema disciplinare.

Gli ultimi interventi di riforma del pubblico impiego hanno innovato il sistema

disciplinare e delle responsabilità del personale. Si tratta di un quadro ancora in via

di definizione, in quanto alcuni aspetti dovranno essere completati in sede di

contrattazione futura, questo soprattutto riferito al personale docente. Normativa di

riferimento: Dlgs 150/2009, titolo IV, capo V, artt. 67-73, che hanno profondamentenovellato ampie parti del dlgs 165/2001; il CCNL della V area 2006/2009, titolo IV,

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artt. 13-22, che ha definito per la prima volta specifiche sanzioni per i dirigenti

scolastici; CCNL 2006/2009 per il personale della scuola; il codice dei dipendenti

pubblici, operativo anche per i ds e allegato al contratto; il Testo Unico 297/1994;

Circolare ministeriale 88 dell’8/11/2010, diffusa per chiarire alcuni aspetti

controversi della normativa; circolare 14 del 23/12/2010 del DFP (dipartimento

funzione pubblica) che ha chiarito alcuni aspetti controversi. Le scuole hanno

l’obbligo di pubblicare, all’albo e  sul sito istituzionale, il codice disciplinare con le

infrazioni e le relative sanzioni. Si tratta di un’operazione obbligatoria e

fondamentale in quanto la sua mancata effettuazione invaliderebbe i procedimenti

disciplinari. Gli aspetti maggiormente innovativi riguardano tre ambiti: i rapporti tra

le fonti (tra norme di legge e accordi negoziali); le procedure; le tipologie delle

infrazioni e le conseguenti sanzioni. Sino ad oggi il primo ambito era stato regolatoda fonti negoziali; la riforma ora ha ridotto di molto gli spazi della contrattazione

riconoscendo un valore prioritario alle norme di legge. La negoziazione potrà

riguardare solo le materie previste dalle norme di legge. Solo alcuni aspetti del

lavoro potranno essere oggetto di negoziazione. Alla contrattazione spetterà

definire solo tipologia delle infrazioni e conseguenti sanzioni, tranne quelle già

definite dall’art. 55, comma 4 del dlgs 165/2001. In sede di contrattazione potranno

essere definire anche le procedure di conciliazione non obbligatorie, tranne che i

casi di licenziamento disciplinare. Anche i procedimenti disciplinari sono stati

interamente ridefiniti dall’art. 69 del dlgs 150/2009 e sono entrati in vigore dal

15/11/2009. La norma ha previsto la soppressione dei consigli di disciplina, le cui

competenze sono state affidate ai dirigenti. Per il rimprovero verbale rimandano in

vigore le precedenti disposizioni e l’art. 69 individua due specifici percorsi. Il primo

riguarda i casi di infrazioni punibili con sanzioni superiori al rimprovero verbale e

inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di 10

giorni. Tale procedimento prevede che il dirigente intervenga attuando le seguentiprocedure: contestazione di addebito in forma scritta, entro 10 giorni dalla notizia di

infrazione pubblica; convocazione del dipendente, con eventuale assistenza di un

procuratore, con un preavviso di 10 giorni; conclusione del procedimento con

archiviazione o comunicazione delle sanzioni, entro 60 giorni dalla contestazione di

addebito. Il secondo percorso, invece, è relativo alle infrazioni che si configurano più

gravi di quelle precedenti. Qui si attua il seguente procedimento: trasmissione degli

atti, con avviso all’interessato, all’ufficio disciplinare competente entro 5 giorni dalla

notizia di infrazione punibile; contestazione di addebito a cura dell’ufficio

competente entro 40 giorni dalla ricezioni degli atti; convocazione per il

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contraddittorio con preavviso di almeno 20 giorni; conclusione del procedimento

entro 120 giorni.

Mentre per il personale docente l’entrata in vigore delle nuove norme è rinviata al

prossimo rinnovo contrattuale, per il personale ATA sono operative da subito; ilriferimento è all’art. 93 del CCNL 2006/2009. Per i docenti a tempo indeterminato

rimangono per il momento in vigore le sanzioni previste dal T.U. 297/1994, artt.

492-501. E per il personale docente assunto a tempo determinato si ritiene

applicabile tale disposto. Anche per i docenti vi sono significative novità, in quanto il

decreto ha introdotto nuove infrazioni disciplinari e conseguenti sanzioni. La prima è

il rifiuto è il rifiuto di collaborazione al procedimento disciplinare da parte del

personale coinvolto. Il decreto fa infatti obbligo a chi è a conoscenza di infrazioni

commesse, di collaborare. La seconda sanzione è il licenziamento disciplinare, che si

affianca al già previsto licenziamento disciplinare, che si affianca al già previsto

licenziamento per giusta causa. Si applica la sanzione disciplinare del licenziamento

nei seguenti casi: falsa attestazione della presenza in servizio o giustificazione

dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa; assenza priva di

valida giustificazione per un numero di giorni superiore a tre nell’arco di un biennio

e comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi 10 anni; ingiustificato rifiuto

del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione

del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera. La terza sanzione riguarda

l’omissione dell’azione disciplinare. Mentre per chi non ha qualifica dirigenziale è

prevista la sospensione dal servizio e la privazione della retribuzione, per i dirigenti

si applica la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della

retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, sino a un

massimo di tre mesi. La quarta infrazione è riferita all’assunzione di condotte

pregiudizievoli per l’amministrazione. E riguarda i casi in cui l’amministrazione deve

risarcire un danno prodotto da un lavoratore che ha violato i propri obblighi. In caso

di grave danno per il normale funzionamento dell’ufficio, il lavoratore è collocato in

disponibilità; il procedimento disciplinare stabilirà le sanzioni e la qualifica per il

ricollocamento al lavoro. Infine, va detto che il procedimento disciplinare viene

comunque portato a termine anche se è in corso un analogo procedimento penale.

Ove il procedimento disciplinare non sospeso si concluda con una sanzione e quello

penale con assoluzione, su istanza di parte presentata entro sei mesi, il

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procedimento disciplinare può essere riaperto per modificarne o confermarne la

sanzione.

Per il personale docente, il regime sanzionatorio è rimasto quello previsto dal testo

unico del 1994, in quanto l’applicazione del nuovo regime avverrà dopo che ilcontratto nazionale in sede di rinnovo avrà recepito al suo interno tale discipline. Al

momento viene confermato il seguente quadro sanzionatorio: avvertimento scritto,

censura (dichiarazione di biasimo per mancanze gravi), sospensione

dell’insegnamento sino a 10 giorni. Queste prime tre sanzioni sono state ricondotte

alle competenze del dirigente scolastico, il quale dovrà rispettare i tempi e le

procedure previste. Nel quadro normativo precedente solo l’avvertimento scritto

era di competenza del dirigente scolastico. Il decreto 150/2009 è intervenuto

rafforzando i suoi poteri come datore si lavoro, su questa come su altre materie

inerenti l’organizzazione degli uffici, la gestione delle risorse umane e i rapporti di

lavoro. Per i comportamenti più gravi del personale docente, le sanzioni applicabili

potranno essere le seguenti: sospensione dall’insegnamento da 11 giorni a un mese

per atti non conformi alle responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerenti alla

funzione; sospensione dall’insegnamento da oltre un mese a sei mesi nei casi

previsti dall’art. 495 del dlgs 297/1994 per infrazioni di particolare gravità;

sospensione dall’insegnamento per un periodo di sei mesi e successiva utilizzazionein compiti diversi da quelli inerenti la funzione docente (viene inflitta per atti di

particolare gravità, compresi eventuali reati con pena detentiva non inferiore a tre

anni); destituzione, quando si configuri un quadro di molteplici infrazioni.

L’irrogazione di tali sanzioni è di competenza dell’Ufficio Scolastico Regionale.

Il nuovo quadro disciplinare in materia di sanzioni disciplinari è già operativo per il

personale ATA in quanto alcune norme sono già state recepite dal contratto negli

articoli dal 92 al 98. Sono stati confermati due livelli decisionali per l’applicazionedelle sanzioni. Il primo livello è di competenza del ds. Egli può comminare:

rimprovero verbale, rimprovero scritto, multa sino a quattro ore di retribuzione. Le

infrazioni tipo sono riconducibili a: inosservanza delle disposizioni di servizio e

dell’orario di lavoro; condotta scorretta verso i superiori, i genitori, gli alunni, il

pubblico; negligenza nell’esecuzione dei compiti assegnati; insufficiente rendimento

nell’assolvimento dei compiti assegnati. Vi sono altre sanzioni che potranno essere

irrogate dal ds, quali la sospensione dal servizio fino a un massimo di dieci giorni con

privazione della retribuzione (assenza ingiustificata dal servizio o arbitrario

abbandono dal lavoro; ritardo ingiustificato; testimonianza falsa in procedimenti

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disciplinari; comportamenti minacciosi e alterchi con ricorsi a vie di fatto;

manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’amministrazione). Il secondo livello

riguarda le sanzioni più gravi che saranno irrogate dal direttore generale dell’Ufficio

scolastico regionale che potrà assumere: licenziamento con preavviso e senza

preavviso. Nel primo caso per recidiva plurima, mancata vigilanza, rifiuto espresso

dal trasferimento disposto per motivate esigenze di servizio; condanna passata in

giudicato; assenza ingiustificata e arbitraria del servizio per un periodo superiore a

10 giorni consecutivi.

Il dlgs 150/09 e il CCNL 2006/2009 per la V area hanno introdotto per i dirigenti,

accanto alle precedenti responsabilità, quella disciplinare. Per cui abbiamo:

responsabilità dirigenziale, civile e penale, amministrativa e contabile, disciplinare.

E’ opportuno soffermarsi sulla differenza tra responsabilità dirigenziale e

responsabilità disciplinare. La responsabilità dirigenziale è riferita al conseguimento

dei risultati previsti da parte del dirigente durante la sua gestione e trova il suo

fondamento nell’art. 21 del dlgs 165/2001: il mancato raggiungimento degli obiettivi

accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione comportano

l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità

dei casi, l’amministrazione può revocare l’incarico collocando il dirigente a

disposizione dei ruoli ovvero recedere dal contratto. Al dirigente nei confronti delquale sia stata accertata la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto,

da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard qualitativi e

quantitativi fissati dall’amministrazione, la retribuzione di risultato è decurtata,

sentito il comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione, di una quota

sino all’80%. La responsabilità disciplinare riguarda, invece, i dirigenti che vengono

meno ai doveri previsti nel rapporto di lavoro. La responsabilità disciplinare attiene

alla violazione degli obblighi di comportamento. Connesso alla responsabilità

disciplinare è la potestà disciplinare che riguarda la potestà di applicare sanzioni

quando un dipendente viola i doveri relativi al proprio rapporto di lavoro. Il potere

disciplinare va esercitato quando si riscontrano comportamenti contrari ai doveri di

ufficio, sia violazioni e omissioni degli obblighi di servizio, sia rispetto alla volontà o

alla consapevolezza di tale azione. L’azione disciplinare posta in essere dal dirigente

non è solo obbligatoria: il mancato esercizio di tale responsabilità comporta per il

dirigente pesanti sanzioni (applicazione della sanzione disciplinare della sospensione

dal servizio con privazione del servizio in proporzione alla gravità dell’infrazione nonperseguita, fino a un massimo di tre mesi in relazione alle frazioni sanzionabili con il

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licenziamento). Si evince che il dirigente è passibile di sanzione anche per il mancato

rispetto delle nuove procedure che prevedono la contestazione scritta dell’addebito;

la convocazione per il contraddittorio a difesa del dipendente, con l’eventuale

assistenza di un procuratorie o di un rappresentante sindacale; l’irrogazione della

sanzione o l’archiviazione della stessa. 

La complessità della figura del dirigente scolastico è confermata dal quadro di

responsabilità che gli vengono attribuite. La prima riguarda la formazione degli

studenti della quale il dirigente è garante. Egli è responsabile per l’azione di

recupero dei debiti formativi degli alunni in termini di tempestività, flessibilità,

adeguatezza degli interventi di sostegno e di recupero. La seconda è relativa ai

rapporti con la stampa, alla divulgazione di dati che potrebbero danneggiare

l’amministrazione, di cura dell’immagine e altro. La terza riguarda i processi di

dimensionamento e comporta la responsabilità dirigenziale in caso di mancato

conseguimento degli obiettivi stabiliti. La quarta è relativa alle assenze del

personale. Infine, un ulteriore fronte particolarmente delicato riguarda la gestione e

la tutela dei dati relativi all’azione svolta dalla scuola. Il dirigente è il rappresentante

legale dell’istituzione e garante della riservatezza sia per la produzione di atti, sia per

i rapporti con alunni, personale scolastico, altri soggetti pubblici e privati. In questo

senso egli è individuato dall’art. 28 del dlgs 196/2003 quale titolare del trattamentodei dati di ufficio. Il testo normativo di riferimento è suddiviso in tre parti: la prima,

di 45 articoli, definisce le disposizioni generali circa il trattamento dei dati; la

seconda parte, dall’art. 46 al 140, affronta la questione di tali trattamenti in specifici

settori (per la scuola artt. 95 e 96); la terza parte, artt. 141-180 è dedicata alla tutela

dei diritti, al Garante, alle sanzioni. I principi generali sono definiti negli artt. 1-4 che

sanciscono il diritto alla protezione dei dati personali, la garanzia che questi siano

utilizzati nel rispetto della libertà individuale e della dignità. I dati particolarmente

significativi sono quelli sensibili così definiti: dato personale, qualunque

informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente, identificati o

identificabili; dati identificativi, dati personali che permettono l’identificazione

diretta dell’interessato; dati sensibili, dati personali idonei a rivelare l’origine razziale

ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altre genere e i dati personali

idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale; dati giudiziari, dati personali

idonei a rivelare provvedimenti in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle

sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti. In questoambito, la responsabilità del dirigente è duplice: da un lato, egli deve assicurare la

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tutela, anche in termini di conservazione, dei dati raccolti e del loro trattamento;

dall’altro, deve definire un piano annuale, aggiornato di solito entro il 31 marzo, per

portare a termine tali operazioni. Nello specifico della scuola, gli artt. 95 e 96

definiscono le finalità di istruzione e formazione come ambiti di rilevante interesse

pubblico. Per quanto riguarda, inoltre, il sistema disciplinare dei dirigenti scolastici,

esso è stato disciplinato dall’art. 15 comma 1, del contratto 2006/2009. Le

violazioni, da parte dei dirigenti, danno luogo alle seguenti sanzioni: sanzione

pecuniaria da un minimo di 150 euro sino a un massimo di 350; sospensione dal

serevizio con privazione della retribuzione; licenziamento con preavviso;

licenziamento senza preavviso. Il codice disciplinare ha disposto che nell’irrogazione

delle sanzioni si tenga conto dei principi di gradualità e proporzionalità in

riferimento alla gravità delle sanzioni.

Nel frattempo, il MIUR ha diffuso l’8/11/2010 la circolare 88 che ha fornito

indicazioni per la prima applicazione al personale della scuola del dlgs. 150/2009.

Nel documento viene confermata la scelta di applicare le norme per la

responsabilità disciplinare a tutte le categorie dei dipendenti, comprese quelle con

qualifica dirigenziale e senza differenziazione tra i comparti. La circolare si sofferma

anche a tracciare un quadro di insieme delle più rilevanti novità legislative per la

scuola e a fornire le prime indicazioni di massima per uniformare le azioni deisoggetti riconosciuti come titolari ai vari livelli per l’azione disciplinare, uffici

scolastici regionali, dirigenti scolastici, uffici per i provvedimenti disciplinari. La

novità più importante riguarda la ridefinizione dei rapporti tra le fonti con

l’attribuzione di una rilevanza fondamentale di quella legale rispetto alla fonte

negoziale facendo venir meno le riserve definite dall’art. 55 del dlgs 165/2001. Per

quanto concerne i dirigenti scolastici, la circolare conferma l’ampliamento dei loro

poteri disciplinari, che riguardano le infrazioni di minore gravità per docenti e ATA

sino alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione sino a dieci giorni. Viene

ribadita l’estensione delle nuove norme anche ai docenti a tempo determinato,

regolate da norme specifiche e diversificate rispetto a quelle previste per i docenti a

tempo indeterminato. Viene confermata la possibilità per il dirigente scolastico di

esercitare il potere di sospensione cautelare per gravi e urgenti motivi senza

attendere la delega del direttore regionale.

Il Dipartimento per la funzione pubblica ha diffuso, il 23/12/2010, la circolare n. 14

che ha riportato chiarimenti circa l’interpretazione e l’applicazione di infrazioni,

sanzioni e procedimenti. Nel documento, nel quale sono peraltro richiamate le

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nuove norme e la loro imperatività per effetto degli artt. 1339 e 1419 del Codice

civile, si afferma che esse hanno già sostituito le disposizioni dei contratti vigenti al

15 novembre 2009. Per quanto concerne la pubblicizzazione del codice disciplinare,

viene confermato l’obbligo di rendere pubblico tale documento, in quanto la sua

conoscenza è fondamentale per poter procedere alle strategie di difesa. Rispetto ai

contenuti da pubblicare si fa riferimento alle procedure, alle tipologie delle

infrazioni e alle conseguenti sanzioni: la pubblicità dovrà fare riferimento anche al

codice di comportamento dei dipendenti pubblici. In secondo aspetto affrontato

dalla circolare riguarda la valorizzazione del ruolo del dirigente e il rafforzamento

delle sue potestà e competenze (titolarità dell’azione). Viene, infine chiarito che in

assenza di personale con qualifica e incarico dirigenziale, il procedimento

disciplinare di tale livello dovrà essere affidato all’UPD (Ufficio ProcedimentiDisciplinari), definito in base all’ordinamento di ciascuna amministrazione; il terzo

aspetto riguarda gli illeciti commessi dai dirigenti per mancata collaborazione con

l’autorità disciplinare e per mancato esercizio o per decadenza dell’azione

disciplinare. In deroga al regime ordinario, sono individuati illeciti riferiti

sostanzialmente allo svolgimento del processo disciplinare e alla correttezza delle

procedure. Il quarto aspetto, infine, riguarda la ripresa del procedimento dopo la

sentenza penale. E’ stata introdotta la regola che prevede che il procedimento

disciplinare riguardante fatti sui cui procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e

concluso anche se vi è in atto un procedimento penale. La sospensione del

procedimento disciplinare, invece, è prevista per i casi di maggiore gravità ed è

prevista la ripresa entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza

all’amministrazione di appartenenza del lavoratore per poi giungere alla conclusione

entro centottanta giorni dalla ripresa. Tale ripresa potrà avvenire solo dopo che sarà

stata conosciuta la sentenza integrale, compresa di motivazione.

La partecipazione e il territorio.

I provvedimenti normativi ultimi hanno ridisegnato l’intero sistema

dell’amministrazione scolastica. Al nuovo soggetto istituzionale, la scuola autonoma,

sono affidati compiti di gestione e di erogazione del servizio nelle singole comunità;

il ministro dell’istruzione è delegato a svolgere un ruolo di garante dell’unitarietà del

sistema a livello nazionale, mentre il sistema degli enti locali assicura il governo

territoriale dei percorsi di istruzione e formazione. Il territorio è dunque il

riferimento di base della nuova scuola. Occorre leggere le caratteristiche e le

peculiarità del territorio per poter sfruttare le potenzialità e le risorse in esso

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presenti. Si tratta di procedere alla creazione di un inventario dei bisogni delle

scuole e costruire una mappa delle risorse degli enti locali e delle altre agenzie. Il

compito prioritario della scuola è quello di far incontrare la propria progettualità,

rappresentata dal POF, con il progetto del territorio. E’ da questa reciprocità che

nasce un sistema integrato nel quale si potrà vivere in presa diretta il rapporto tra i

saperi della cultura locale e quelli del più vasto patrimonio culturale. Nel libro bianco

sulla scuola del 2007 si parla di alto rango sociale dell’insegnante. 

Si pone il problema di una ridefinizione dei confini culturali dell’istituzione scolastica

sul territorio per studiare i possibili sviluppi positivi che questo nuovo rapporto

potrebbe avere. L’ambiente è costituito dai genitori dell’allievo, ma anche dalla

situazione socioeconomica del territorio in cui la scuola opera, con tutti i suoi

problemi, le sue difficoltà, le sue iniziative e le sue speranza di rinnovamento. La

preoccupazione etica degli insegnanti va rivolta anche ai rapporti con l’ambiente

esterno, nell’interesse degli alunni e nell’auspicio che questi possano individuare per

tempo le strade più idonee al proprio inserimento nel mondo del lavoro e nelle

attività sociali. La scuola italiana ha conosciuto un cammino caratterizzato da una

evidente discontinuità sia in senso verticale, tra i vari livelli del sistema scuola, sia in

senso orizzontale, tra il sistema dell’istruzione e la società del mondo del lavoro.

Oggi, va sottolineato che le democrazie moderne sono caratterizzate da unacrescente molteplicità di soggetti e di poteri, funzionando con meccanismi di

articolata distribuzione dei campi di competenze. Vivono in una dimensione a rete e

la loro logica di funzionamento non è top-down o bottom-up, ma in-out, cioè dentro

o fuori le tante reti in cui il sistema si esprime e si muove. Dunque, le scelte

educative dei diversi soggetti e contesti devono favorire e ampliare le opportunità

individuali di crescita e puntare a risultati visibili e non solo di lungo periodo. Si

tratta di dar vita a un fecondo rapporto tra la scuola e la realtà territoriale che

costituisca una garanzia anche per le nuove generazioni in formazione. Sono due le

strade percorribili: quella del patto territoriale e quella dell’alleanza educativa. Il

patto è basato sulla sottoscrizione formale di impegni, sull’impiego di risorse, sulla

volontà di condividere obiettivi comuni. L’alleanza educativa si fonda sulla capacità

di incontro e di ascolto delle persone a spingerle a impegnarsi per un bene comune.

Tale strategia può favorire la creazione di reti sia interne al sistema scolastico, sia

con tutti gli altri attori che si muovono sullo scenario del territorio. Un approccio i

rete è diverso da un approccio istituzionale. Mentre quest’ultimo fa perno sulle

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grandi “ingegnerie”, nella rete interessano più i soggetti, le relazioni, le persone, i

servizi effettivamente resi agli interlocutori.

La scuola dell’autonomia è chiamata ad agire su un duplice fronte di impegno:

quello interno, che è finalizzato a migliorare le caratteristiche del servizio erogato intermini di insegnamento e apprendimento; il versante esterno, che impegna la

capacità dell’istituzione scolastica di attivare costruttivamente le risorse e le

opportunità offerte dai vari servizi territoriali. Occorrerà evitare due rischi: quello

dell’autoreferenzialità e della chiusura verso le altre agenzie formative. Le singole

scuole dovranno svolgere un ruolo più attivo nei rapporti con il territori, con gli enti

locali e con gli altri soggetti formativi. Esse non dovranno porsi come soggetti

monadici che realizzano le proprie attività indipendentemente dai soggetti e dalle

strutture del territorio. Occorrerà che le scuole sappiano attivare significativi

rapporti di concertazione. Il rapporto con il territorio va assunto nella sua

complessità, con il coinvolgimento degli enti locali ai vari livelli. Se le regioni hanno il

compito di curare la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione

e formazione professionale, a province e comuni sono stati affidati, rispettivamente

per l’istruzione secondaria e per gli altri gradi inferiori, compiti di istituzione,

aggregazione, fusione e soppressione di scuole, di redazione di piani di

organizzazione delle reti di scuole, di servizi di supporto organizzativo perl’integrazione degli alunni in situazioni di handicap.

Opportunità rilevanti per la realizzazione della prospettiva del partenariato era già

stata offerta dalla riforma dei fondi strutturali decisa dal consiglio europeo a Berlino

nel 1999 (pacchetto agenda 2000). Gli scopi erano quelli di sostenere le regioni più

deboli e gli strati sociali più svantaggiati della comunità e di favorire i processi di

integrazione economica e monetaria. Erano stati individuati tre obiettivi di

intervento: promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni il cuisviluppo è in ritardo; favorire la riconversione economica e sociale delle zone con

difficoltà strutturali; favorire l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e

dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione. Rientravano qui a pieno titolo i

sistemi scolastici e formativi; doveva essere garantite alla persona le migliori

condizioni di realizzazione personale. Per la programmazione 2007/2013, essa è

stata finalizzata sia a completare quanto realizzato nel ciclo precedente, sia a

perseguire nuovi obiettivi programmatici. Questi sono stati ricondotti alla strategia

di Lisbona (2000) che aveva rivalutato l’importanza della conoscenza e a quella di

Goteborg (2001) per l’ambiente. La politica di coesione si è concentrata sui fattori di

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crescita e competitività individuati in quelle sedi, finanziando progetti per creare e

posti di lavoro e migliorare la qualità della vita e dell’ambiente. La politica di

coesione non trasferisce risorse per aumentare i consumi, ma per rafforzare i fattori

di crescita delle regioni dell’Unione. Gli obiettivi principali sono l’occupazione,

l’ambiente, la ricerca, la società della conoscenza. Gli obiettivi del programma sono:

convergenza, competitività regionale e l’occupazione, la cooperazione  territoriale

europea. Significativo per l’istruzione si sta rivelando l’obiettivo della convergenza,

rivolto agli stati meno sviluppati e dedicato a investimenti sul capitale umano e della

conoscenza. Il Fondo sociale europeo, il fondo di coesione e il fondo di sviluppo

regionale si stanno concretizzando nella realizzazione di interventi PON (programmi

operativi nazionali), POR, (programmi operativi regionali) e POIN (programmi

operativi interregionali).

E’ stata prevista la revisione dei modelli partecipativi degli anni Settanta che

all’epoca rispondevano a esigenze poste dall’avvio del processo di

democratizzazione della scuola. Lo stesso termine di “collegialità” ha coinciso, nella

scuola italiana, con il principio sostenuto nell’art. 1 del DPR 416/74: la

partecipazione nella gestione della scuola conferiva a questa il carattere di

comunità. Questa interpretazione oggi non sembra più conservare la sua attualità. Il

termine “collegialità” non si presenta più come una delle parole chiave della scuolache cambia. Essa viene considerata il reperto di un’epoca  passata della storia del

paese. La prospettiva dell’autonomia, ad ogni modo, ha rafforzato la prospettiva

della partecipazione più come capacità di instaurare relazioni efficaci che come

principio politico e civile. La scuola dei tradizionali organi collegiali è stata accusata

di porsi come organismo di ridotta capacità decisionale e di aver favorito sterili

forme di assemblearismo. Questo corrisponde, almeno in parte al vero. La

situazione di stallo che caratterizza l’attuale stato degli organi collegiali, sembra

confermare una diffusa stanchezza del concetto di democrazia scolastica legato ai

decreti delegati. Le proposte per una riforma degli organi collegiali a livello

territoriale sono state molte. Vi sono stati vari disegni di legge, che hanno seguito un

orientamento di stampo aziendalistico, con un consiglio di amministrazione al posto

del consiglio di istituto e un nucleo di valutazione della qualità del servizio erogato.

Anche il collegio dei docenti è stato più volte reinterpretato come organismo di

riflessione professionale, più che come luogo di decisionalità collettiva. La

prospettiva che oggi sembra prevalere, in un modello di scuola centrata sullasoddisfazione delle esigenze degli utenti, non è tanto quella di assicurare la

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partecipazione formale, quanto quella di governare in modo efficiente ed efficace il

cambiamento. Tutto ciò delinea una nuova collegialità che rinvia a modelli

organizzativi efficienti, a relazioni dinamiche tra individui, gruppi, soggetti

istituzionali. La riforma degli organi collegiali va dunque progettata ipotizzando un

ampliamento reale delle possibilità di governare pienamente la sua attività in

funzione del raggiungimento degli obiettivi che le vengono assegnati al centro.

Nel libro bianco della scuola del 2007 si legge che l’Italia non ha chiuso il ritardo in

termini di livello di istruzione della popolazione ereditato dal passato; nel 2006

ancora un giovane su cinque tra i 18 e i 24 anni aveva abbandonato

prematuramente gli studi senza possedere un diploma di scuola secondaria

superiore e senza partecipare ad alcun percorso di formazione o istruzione. Nel

nostro Paese, dunque, il cammino per garantire pienamente il diritto allo studio alle

nuove generazioni non è stato ancora completato. Sussistono due irrinunciabili

prospettive formative: quella dell’educazione a un pensiero autonomo e creativo;

quella dell’educazione a una cittadinanza consapevole e responsabile. A scuola si

viene non solo per apprendere un complesso più o meno ampio di conoscenze, ma

per favorire il processo di costruzione dell’identità personale e sociale.

Gli alunni sono molto diversi tra loro, ciascuno con i propri ritmi e le proprie

modalità di apprendimento. Tali differenze costituiscono una valida opportunità per

far crescere l’intero gruppo. Il dirigente scolastico è chiamato a operare per creare le

condizioni affinché i docenti promuovano strategie cooperative di formazione in

grado di garantire l’effettivo esercizio del diritto all’apprendimento. Esso si realizza

fondamentalmente attraverso alcune forme: imparare a conoscere e ad appropriarsi

degli strumenti stessi della conoscenza; imparare a fare (mettere in pratica ciò che si

è appreso); imparare a vivere insieme agli altri; imparare a essere (educazione mira

allo sviluppo globale di ciascun individuo, nello spirito e nel corpo, nell’intelligenza enella sensibilità, nella responsabilità personale e nei valori.

L’educazione a una mente critica, che si persegue anche attraverso il processo di

alfabetizzazione culturale, ripropone uno dei motivi ricorrenti dei documenti

giuridici e pedagogici di questi ultimi anni. La scuola stessa è al lavoro per tentare di

ridefinire in termini di modernità il curricolo di studio, intesto come complesso delle

esperienze di socializzazione e di apprendimento che la scuola intende proporre ai

propri allievi. In altri Paesi europei si insiste molto sull’educazione alla cittadinanza,un’educazione che consenta di acquisire gli strumenti per l’assunzione di

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responsabilità nella vita sociale e civica. L’educazione alla cittadinanza presuppone

che la formazione personale venga completata anche attraverso esperienze svolte

nella comunità di appartenenza. Si tratta di far vivere gli alunni il passaggio da una

astratta idea di cittadinanza, basata sul rispetto delle norme e delle regole dello

stato, a una partecipazione attiva e consapevole alla costruzione del bene comune.

Alfabetizzazione culturale ed educazione alla cittadinanza rappresentano i punti di

riferimento verso i quali va indirizzata l’azione formativa della scuola. 

Compito della scuola non è più quello di assicurare la semplice trasmissione dei

saperi e delle conoscenza, ma di favorire la creazione di situazioni di

apprendimento. Da un lato, si avverte l’esigenza di garantire una certa stabilità

nell’istruzione e nella ; dall’altro, occorre stabilire una connessione con l’evoluzione

continua del quadro culturale per non porre la scuola fuori dal tempo. Non è più

possibile ridurre l’azione dell’insegnare unicamente alla trasmissione di nozioni e

contenuti. Risulterà più opportuna una gestione dei curricoli incentrata

sull’acquisizione di competenze. Due sono i criteri che vanno posti alla base di un

rinnovato impegno professionale dei docenti: la personalizzazione dei percorsi

formativi; l’orientamento al successo, inteso come acquisizione da parte dello

studente della capacità di saper conoscere, scegliere e decidere. Risulta

determinante la disponibilità dell’alunno ad apprendere, ma perché questo avvenga,è necessario organizzare in modo efficace lo studio. Conoscenze, competenze,

abilità vanno ricondotte al coinvolgimento attivo dell’allievo. L’attenzione alle

competenze non può essere disgiunta dall’adesione a una pedagogia della persona.

Il tema delle competenze dovrà essere pertanto direttamente collegato con quello

del successo scolastico e del diritto all’apprendimento di ogni ragazzo. Il concetto di

competenza sottolinea il carattere formativo dell’apprendimento e va ricondotto al

complesso delle risorse maturate dell’alunno nel percorso scolastico e negli altri

contesti di crescita.

Il secondo fronte di impegno è quello della cittadinanza, definita come

l’appartenenza di una persona a una comunità civile, quindi come condiv isione

effettiva del quadro dei diritti doveri di tutti coloro che appartengono. Certamente

essere buoni cittadini perché si osservano le leggi è il requisito basilare che connota

il concetto di cittadinanza. L’idea di cittadinanza attiva sta alla base degli

orientamenti educativi richiede nuovi impegni. Nelle Indicazioni per il curricolo del

2007 si sottolinea l’istanza di formare cittadini dell’Europa e del mondo. La

cittadinanza democratica è riconducibile a un’etica dell’osservanza e della

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responsabilità. Per quest’ultima, importanti sono le due dimensioni riconducibili alla

responsabilità (quindi, reciprocità, cura educativa, impegno diretto, relazione

interpersonale) e della osservanza (rispetto delle regole e delle norme, principio

della convivenza, competenze civiche). Nella scuola italiana, il tema della

cittadinanza è stato proposto in varie forme: educazione alla convivenza

democratica (1985); nuove dimensioni formative, educazione civica e cultura

costituzionale (direttiva MPI, 58/2008); educazione alla convivenza civile (2003); una

nuova cittadinanza (Indicazioni per il curricolo, 2007); cittadinanza e costituzione

(legge 169/2008). Esiste dunque un curricolo esplicito che si è progressivamente

arricchito, ma è soprattutto il curricolo implicito la forma più efficace di educazione

alla cittadinanza responsabile. Il curricolo implicito, legato all’organizzazione

educativa, costituisce il banco di prova più autentico in vista di una educazione allacultura delle regole e alla responsabilità reciproca.

La conoscenza delle leggi costituisce un pilastro irrinunciabile di una solida

formazione civica. Il compito di educare alla convivenza democratica, di cui la

cittadinanza è una componente costitutiva, è diventato progressivamente

un’emergenza del nostro tempo. Il segno distintivo della cittadinanza è la capacità di

sapersi misurare nell’essere simili e dissimili insieme.

La legge 169 del 30 ottobre 2008 ha introdotto, a partire dalla scuola dell’infanzia,

un nuovo insegnamento, “Cittadinanza e costituzione”. Si riconosce che i principi  

posti alla base della costituzione definiscono l’orizzonte della cittadinanza di tutti. Il

concetto di convivenza civile si connette strettamente ai cosiddetti saperi della

legalità, che attengono a diversi e complessi livelli conoscitivi: conoscenza storica

(individuale e collettiva); conoscenza della costituzione e delle istituzioni preposte

alla regolamentazione dei rapporti civili, sociali ed economici; la conoscenza del

contesto sociale nel quale i ragazzi si muovono e agiscono; essi non possonoprescindere dalla conoscenza delle fondamentali dinamiche europee ed

internazionali. La costituzione rappresenta una mappa valoriale che facilita la

costruzione dell’identità personale e umana. Con il termine “cittadinanza” si indica

la realtà personale di tutti e di ciascuno di sentirsi cittadini attivi all’interno della

società, della comunità, della scuola, della famiglia stessa. E la famiglia attuale, pur

conservando quello stretto legame tra i suoi componenti, fatto di relazioni

sostanzialmente positive ha visto progressivamente ridursi la propria incisività

educativa. L’autorevolezza dei genitori risulta sempre più fragile e i figli non

conoscono più l’importanza di interiorizzare il senso del limite e spesso tendono a

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sentirsi autonomi in fasi della vita dove occorrerebbe ancora la guida degli adulti.

Senza vivere la condizione del limite, i figli si sentono sovrani, onnipotenti, e

possono essere in grado anche di condizionare i legami che uniscono i propri

genitori. Sempre più spesso si incontrano genitori in posizione di difesa a oltranza di

tutto ciò che il proprio figlio fa. L’educazione alla cittadinanza può diventare

occasione per promuovere dinamiche formative. Lo scopo è anche quello di rendere

gli allievi consapevoli della difficoltà di diventare adulti, della fatica di crescere. Qui,

più dell’insegnamento in sé, conta di essere testimoni di esempi. Ad ogni modo, che

si stia aprendo una nuova stagione per la partecipazione della famiglia alla vita della

scuola e che qualcosa stia realmente cambiando è indicato da piccolo segnali, che

sta facendo ripensare alla scuola come alla casa comune.

Una delle finalità che deve essere curata da tutti i soggetti, istituzionali e non, è il

benessere dei giovani e dei cittadini: star bene con se stessi, con gli altri e con il

mondo può diventare il terreno di un comune amore. Il verificarsi di fenomeni di

disagio sociale e di dispersione scolastica rende necessario che la scuola contratta

con gli enti locali e le istituzioni di un patto educativo che rappresenti una condizioni

determinante per la progettazione e la gestione integrata di azioni e servizi. IL

sistema formativa integrato qualifica il territorio come elemento comune per

preziosi percorsi educativi. L’art. 21 della legge 59(97 delinea un modello diautonomia che qualifica la scuola come soggetto attivo nelle dinamiche locali,

proprio perché essa è depositaria di un più ampio progetto di cittadinanza culturale.

Una cittadinanza consapevole richiede processi di appropriazione per costruire un

senso di appartenenza. Risulta indispensabile costruire un legame affettivo con la

città, con il quartiere, con le piazze, con i luoghi che quotidianamente si

attraversano: la costruzione di una comunità visibile presuppone la capacità di tutti

di imparare ad abitarla. Karl Popper sottolinea che “la migliore forma della libertà è

la responsabilità dell’uomo che agisce”. 

Il sistema di organizzazione territoriale della scuola ha riservato a regioni ed enti

locali molte competenze soprattutto in materia di funzioni amministrative e di

edilizia scolastica. Il quadro complessivo era stato già tracciato alla vigilia

dell’autonomia scolastica con il Decreto 112/1998 che aveva dettato disposizioni per

la realizzazione del processo di decentramento amministrativo. Erano stati affidati

alle Regioni e agli enti locali funzioni e compiti da sempre di competenza dello Stato,

compresi la razionalizzazione e il dimensionamento degli istituti e la loro

dislocazione sul territorio. Mentre lo stato aveva conservato il compito di definire

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parametri, criteri e risorse per l’organizzazione generale del sistema scolastico, il

Decreto aveva delegato alle regioni le seguenti funzioni: la programmazione

dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; la

programmazione, sul piano regionale, della rete scolastica, sulla base di piani

provinciali; la suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al

miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i

contributi alle scuole non statali; le iniziative e le attività di promozione relative

all’ambito delle funzioni conferite.  L’art. 139, comma 1, aveva attribuito alle

Province per le scuole secondarie e ai comuni per quelle degli altri gradi inferiori, i

seguenti compiti: istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di scuole; la

redazione di piani di organizzazione della rete delle scuole; i servizi di supporto

organizzativo per gli alunni in situazione disabilità; il piano di utilizzazione degliedifici e di uso delle attrezzature, in accordo con le scuole; la sospensione delle

lezioni in casi gravi e urgenti; la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi

collegiali scolastici a livello territoriale. Altre funzioni dei comuni avevano

riguardato l’educazione degli adulti, gli interventi di orientamento scolastico e

professionale, quelli per la pari opportunità, quelli per la prevenzione alla

dispersione scolastica, quelli per la continuità sul territorio. Ancor prima, la legge 23

dell’11 gennaio 1996 aveva regolamentato per lo più la realizzazione, la collocazione

territoriale e la gestione degli edifici scolastici. L’obiettivo era quello di assicurare

per le sedi scolastiche uno sviluppo qualitativo e una collocazione territoriale

adeguata in quanto le strutture edilizie erano state considerate elementi

fondamentali e parti integranti del sistema scolastico. La stessa norma aveva

stabilito per gli enti locali alte competenze relative alla realizzazione, fornitura,

manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici. Ulteriori obblighi avevano

riguardato l'assunzione delle spese per il mantenimento degli uffici e per

l’arredamento, per le utenze elettriche e telefoniche, per l’acqua e il riscaldamentodelle scuole. L’art. 6 della stessa norma istituito l’Osservatorio per l’edilizia scolastica 

presso il MIUR con compiti di promozione, indirizzo e coordinamento di attività di

studio, di ricerca e di normazione nell’ambito delle strutture edilizie della scuola. 

Era stato il Decreto 626/1994, emanato in attuazione delle direttive comunitarie e

rivolto a tutelare la salute e la sicurezza dei lavori, ad aprire in materia di sicurezza

sul lavoro nel nostro Paese. Più che a indicare una serie di adempimenti cui

attenersi, essa aveva affermato una serie di principi fondanti per sviluppare lacultura della sicurezza in ambito lavorativo. Il disposto normativo divenne

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applicativo in seguito al dlgs. 242/1996. Ci furono poi ulteriori norme: il DM

382/1998, relativo al regolamento che aveva definito le particolari esigenze degli

istituti di istruzione e di educazione, la CM 119/1999 aveva diramato alcune

indicazioni operative. Comunque, lo stesso dirigente scolastico era stato individuato

dal DM 292 del 21 giugno 1996 come datore di lavoro nelle istituzioni scolastiche e

gli era stata per quello attribuita la titolarità degli obblighi imposti dalla legge a tale

figura per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Decisione un po’ forzata, in quanto il

dirigente non aveva e non ha la possibilità, come il privato datore di lavoro, di

intervenire sulle strutture per il loro adeguamento alla norma, in quanto i proprietà

degli edifici scolastici sono di solito gli enti locali. La CM 119/99 aveva allora previsto

che gli obblighi previsti dalla 626/94 si intendono assolti da parte dei dirigenti

scolastici con la richiesta del loro adempimento all’ente locale le rispettivecompetenze. Oggi tale normativa è stata raccolta nel testo unico del dlgs 81 del

9/4/2008, il quale si presenta come un vero e proprio testo unico per la sicurezza ed

è stato più recentemente integrato con altri provvedimenti: legge 129 del 2/8/08;

legge 133 del 6/8/08; legge 14 del 272/09 e legge 88 del 7 luglio 2009. Nel nuovo

testo, se da un lato sono recepite le linee direttive comunitarie e internazionali,

dall’altro si è tenuto conto delle diverse competenze che il novellato art. 117 della

costituzione ha riconosciuto ai vari organismi istituzionali che compongono la nostra

organizzazione societaria. Viene confermato che per la PA i dirigenti si configurano

come datori di lavoro. E per lavoratori non si devono intendere solo coloro che

svolgono prestazioni professionali all’interno della scuola, ma anche tutti gli allievi  

delle istruzioni nelle quali le attività di studio prevedano l’uso di laboratori, di

macchine e di strumenti di lavoro, compresi i videoterminali. Ritornando ai compiti

del dirigente, riassumiamo tre ambiti.

Il primo ambito è quello della diffusione della cultura della sicurezza: grande rilievo

viene riconosciuto alla informazione e formazione del personale. Il datore di lavoro

provvede affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione: sui rischi

per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in generale;

sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione

dei luoghi di lavoro; sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di

prevenzione e protezione, e del medico competente. Il datore di lavoro deve fornire

anche informazioni: sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta; sui

pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base   delleschede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona

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tecnica. Rispetto alla formazione, il dirigente deve assicurare a ciascun lavoratore gli

opportuni interventi per acquisire una formazione adeguata in materia di salute e

sicurezza, con particolare riferimento ai concetti di rischio, danno, prevenzione,

protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari

soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo e assistenza. Sullo sfondo dovrà

essere curata e diffusa la cultura della sicurezza anche per gli allievi, proponendo

attività certamente collegate alla realizzazione del POF.

Il secondo ambito riguarda la definizione di un documento per la sicurezza nel quale

siano valutati i rischi e individuate le contromisure. Il ds dovrà operare affinché

l’istituzione scolastica si doti di un adeguato documento di valutazione dei r ischi,

compilato anche co l’aiuto di personale esperto, possibilmente messo a disposizione

dagli stessi enti locali. Il documento di valutazione dei rischi, con data certa e con

firma del RSPP (Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione), del rappresentante

dei lavoratori per la sicurezza, del medico competente se nominato, dovrà riportare

una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante

l’attività lavorativa, con riferimento anche ai criteri adottati per la compilazione,

l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di

protezione individuali, il programma delle misure per garantire il miglioramento nel

tempo dei livelli di sicurezza, le procedure per l’attuazione di tali misure. 

Il terzo ambito consiste nel creare un servizio di prevenzione e protezione interno

alla struttura che il ds dirige per far fronte alle emergenze e alle situazioni di

calamità naturali, terremoti, incendi. Le ultime disposizioni, infine, hanno stabilito

che il documento della valutazione dei rischi debba interessarsi anche di stress

correlato al lavoro, per cui anche tale problematica dovrà rientrare nel piano per la

sicurezza.

La scuola dell’inclusione. 

I cambiamenti che caratterizzano la società attuale stanno trasformando

radicalmente i compiti della scuola, che resta tuttavia lo spazio nel quale un giovane

trascorre molto del proprio tempo. Il principio educativo fondante attuale è quello

del soggetto che apprende. Tale affermazione è contenuta nei curricoli della scuola

di base di De Mauro, nelle Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati della

Moratti, nelle Indicazioni per il curricolo di Fioroni e nell’Atto di indirizzo della

Gelmini. La centralità della persona che apprende costituisce l’istanza educativa

espressa in tutti i documenti ministeriali. Il curricolo, che ogni scuola deve elaborare,

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parte dal presupposto che il sapere sia una costruzione personale del soggetto.

Quindi il curricolo è funzionale all’educazione e all’istruzione della persona ed è

centrato sullo studente. I termini che definiscono tale istanza sono

individualizzazione e personalizzazione. L’individualizzazione è il complesso delle

azioni e delle strategie che l’insegnante utilizza per far sì che tutti gli alunni

acquisiscano i saperi ritenuti irrinunciabili, mentre la personalizzazione presuppone

una capacità da parte dell’alunno di gestire più direttamente alcuni obiettivi di

apprendimento, legati a forme personali di eccellenza che egli intende coltivare in

modo diverso dagli altri compagni.

Gli anni di questa contemporaneità sono pieni di date e ricorrenze significative. Nel

1967 moriva don Milani, che ha fatto sentire al mondo una delle voci più dirompenti

in materia di istruzione ed educazione. Nel 1971, con la legge 118, ai soggetti disabili

è stato riconosciuto il diritto di frequentare le classi orginarie della scuola pubblica.

Nel 1977, la legge 517 ha ufficializzato tale principio, dando vita a una scelta

all’epoca considerata temeraria, quella dell’inclusione scolastica dei ragazzi in

situazione di disabilità. Nel settembre del 1971, il Parlamento approvò la legge 820

sul tempo pieno, incentrata anch’essa su una funzione “uguagliatrice” della scuola.

La legge 517/71, ad ogni modo, è stato l’atto normativo di maggiore importanza

degli ultimi decenni. E’ il periodo in cui si passa, per i disabili, dalla fase dellasegregazione a quella della coeducazione. Si sono attivati tutti gli spazi vitali della

società in un periodo storico in cui da una scuola a base allargata che ha riguardato

ogni condizione sociale della popolazione italiana. Gli anni ’80 rappresentano una

fase di consolidamento della scelta precedentemente operata. La Sentenza 215/87

della Corte costituzionale ha sancito il diritto pieno della frequenza dei portatori di

handicap nell’istruzione secondaria di secondo grado. Nel 1992 il Parlamento ha

votato la legge quadro sull’integrazione scolastica della persona handicappata. E’ la

nota legge 104/92. Nell’agosto del 2009 il MIUR ha diffuso le linee guida

sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità nella quale è stato

riconfermato il patrimonio culturale e giuridico accumulato in Italia, sottolineando in

particolare l’importanza del ruolo del dirigente scolastico nella promozione  di una

cultura inclusiva del proprio istituto. Si sostiene, inoltre, che la scelta

dell’integrazione scolastica degli allievi in situazione di disabilità è irreversibile. Dopo

oltre 40 anni di integrazione scolastica, la presenza di bambini con deficit nelle aule,

nelle strutture sanitarie, nei servizi sociali ha costituito una provocazione culturale,che ha permesso a tanti di loro di migliorare non solo la propria esistenza ma anche

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quella dei pari. Anche un contesto di normalità può rappresentare un luogo di

isolamento.

I problemi degli allievi che manifestano disturbi specifici di apprendimento (dislessia,

disgrafia, disortografia e discalculia) si sono imposti all’attenzione della scuolaitaliana in questi ultimi anni. Solo nel 2004 il MIUR ha avvertito la necessità di

diffondere una nota in cui si fornivano. La dislessia è un disturbo specifico di

apprendimento che riguarda il leggere e lo scrivere e i processi di calcolo. Negli anni

successivi i temi legati ai DSA sono stati ripresi in note e ordinanze ministeriali, con

riferimento anche a indicazioni relative allo svolgimento degli esami di Stato

conclusivi. La prima fonte normativa si è occupata degli studenti con DSA è il DPR

122/2009 in cui, all’art. 10, si sottolinea che la difficoltà specifiche situazioni

soggettive di tali alunni: Viene ribadito nel medesimo decreto che, nello svolgimento

dell’attività didattica e delle prove di esame, sono adottati gli strumenti

compensativi e dispensativi ritenuti più idonei. La legge 170 del 18 ottobre 2010

(nuove norme in materia di DSA), sottolinea che le istituzioni scolastiche

garantiranno: l’uso di una didattica individualizzata; l’introduzione di strumenti

compensativi o misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali. Si indicano

alcuni strumenti compensativi (tabella dei mesi, dell’alfabeto, tavola pitagorica,

calcolatrice, computer con programma di videoscrittura) e misure dispensative(lettura ad alta voce sotto dettatura, uso del vocabolario, studio mnemonico delle

tabelline, riduzione dello studio scritto delle lingue straniere, tempi più lunghi per le

prove scritte e i colloqui orali). In alcune regioni italiane i docenti sono tenuti a

elaborare il piano didattico personalizzato in cui devono esplicare le modalità di

insegnamento, le strategie didattiche impiegate e gli strumenti compensativi e

dispensativi che gli allievi con DSA dovranno utilizzare.

La presenza di minori stranieri nella scuola italiana è cresciuta e nell’ultimo decennioha conosciuto un’accelerazione inattesa. In alcune province, gli alunni non italofoni

raggiungono e superano il 15% del totale. Come si sottolinea nelle Linee guida per

l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (CM 24 del 1/3/2006) il fenomeno

dell’immigrazione è considerato un elemento costitutivo delle nostre società.

L’integrazione piena degli immigrati nella società di accoglienza è un obiettivo

fondamentale e, qui, il ruolo della scuola è primario. I migranti, soprattutto quelli

delle seconde generazioni, vivono inevitabilmente una condizione esistenziale

sospensiva: il loro progetto di vita si concentra su due spazi geografici e culturali,

quello di provenienza del nucleo familiare e quello della realtà ospitante. La scuola

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italiana, sin dagli anni ’90, ha scelto di adottare la prospettiva dell’educazione

interculturale, la promozione del dialogo e del confronto tra culture per tutti gli

alunni. Scegliere tale ottica (documento “la via italiana per la scuola interculturale e

l’integrazione degli alunni stranieri”) significa assumere la diversità come paradigma

dell’identità stessa della scuola nel pluralismo. Tale approccio si basa su una

concezione dinamica della cultura che evita sia la chiusura degli alunni/studenti in

una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folklorizzazione. Prendere coscienza

delle relatività delle culture non significa approdare a un relativismo assoluto, che

postula la neutralità nei loro confronti e ne impedisce le relazioni.

Il DPR 394 del 31 agosto 1999 (all’art. 45) assicura ai minori stranieri presenti sul

territorio nazionale il diritto all’istruzione, indipendentemente dalla regolarità della

posizione in ordine al loro soggiorno. Il diritto all’apprendimento degli alunni

stranieri viene ribadito anche nell’Atto di indirizzo dell’8 settembre 2009, ove si

afferma che nessuno deve rimanere indietro e nessuno deve sentirsi escluso. La CM

2 dell’8 gennaio 2010 afferma, inoltre, che la scuola non può rinunciare alla sua

priorità fondamentale, che è appunto quella di perseguire con ogni possibile

efficacia e responsabilità una istruzione di qualità. Si indica come corsia

preferenziale quella della concertazione territoriale fra tutti i soggetti istituzionali. La

CM 2/2010, conosciuta come la disposizione del limite del 30%, ha di fattoconsentito un numero motivato di deroghe che hanno permesso la costituzione di

classi anche con una presenza di stranieri superiore al predetto “tetto”. 

Le studentesse e gli studenti, ovviamente, rappresentano una componente

fondamentale della scuola. Il 24 giugno 1998 è stato pubblicato il DPR 249

(regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola

secondaria) successivamente aggiornato con il DPR 235 del 21 novembre 2007. I

principi contenuti nella prima versione si collegano a quanto affermato nel DPR275/1999. Lo statuto si apre con una affermazione rivolta a tutta la società civile: la

scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale. In essa ognuno

opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo

studio, lo sviluppo della personalità di ciascuno e il recupero delle situazioni di

svantaggio. I suoi riferimenti culturali confermano alcune indicazioni già presenti nei

decreti delegati del 1974, quali la concezione della scuola quale comunità educante

e come luogo della trasmissione e della elaborazione della cultura. L’elemento

costitutivo dello Statuto è la solidarietà tra le componenti della comunità scolastica.

Questa fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni

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insegnante/studente, contribuisce allo sviluppo della personalità dei giovani, anche

attraverso l’educazione alla consapevolezza e alla valorizzazione dell’identità di

genere. Il cuore professionale della nuova scuola è la libertà di insegnamento, intesa

come responsabilità che si fa azione funzionale al diritto all’apprendimento di ogni

alunno. Lo studente ha diritto a un percorso formativo e professionale di elevata

qualità, in cui il sapere non sia fine a se stesso ma condizione essenziale per una

crescita integrale e per un’intelligenza aperta ai problemi propri e altrui. 

La scuola è il luogo di formazione e di educazione di formazione mediante lo studio.

Il principale diritto dello studente è quello di una formazione culturale e

professionale che valorizzi l’identità di ciascuno e sia aperta alla personalità delle

idee. E’ compito degli studenti frequentare regolarmente la scuola e assolvere

assiduamente agli impegni di studio. La responsabilità disciplinare è personale.

Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima

invitato a esporre le proprie ragioni. Il DPR 249/98 è stato modificato con un

successivo provvedimento, il DPR 235 del 21 novembre 2007. Nel nuovo testo viene

posta come priorità la realizzazione di un’alleanza educativa tra famiglia, scuola e

operatori sociali, dove le parti assumono impegni e responsabilità e possono

condividere regole e percorsi di crescita degli studenti. Il DPR 235/2007 ha

aggiornato il precedente testo in considerazione di fenomeni, talvolta gravissimi, diviolenza e bullismo, che si sono manifestati con crescente frequenza negli ultimi

anni, Tale rinnovo ha lo scopo di offrire alle scuole la possibilità di sanzionare con la

dovuta severità comportamenti di violenza, di sopraffazione nei confronti di

coetanei disabili o che si trovino in una situazione di difficoltà. Lo statuto riguarda gli

alunni delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, mentre per quelli della

scuola elementare è ancora vigente, salvo per le parti abrogate, il regio decreto

1927 del 26/4/1928. Inoltre, nella nota 3602/P0 del 31 luglio 2008 si afferma che le

modifiche introdotte al regolamento impongono alle scuole di adeguare i propri

regolamenti interni. Nella nota viene suggerita la definizione di un vero e proprio

sistema disciplinare che prevede diversi livelli. Le mancanza disciplinari, definite e

rese esplicite in base ai doveri che derivano dalla vita. I comportamenti riprovevoli e

connotati da un altissimo grado di disvalore sociale, non possono essere trattati al

pari delle comuni infrazioni disciplinari, ma devono poter essere sanzionati con

maggior rigore e severità. Le sanzioni conseguenti alle mancanze disciplinari definite

secondo il principio della finalità educativa, evitando di confondere tra sanzionedisciplinare e valutazione del profitto (art. 3, comma 3, del DPR 249/1998). Gli

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organi competenti a comminare le sanzioni, relativamente alle sanzioni che non

prevedano allontanamento dalla scuola, possono essere comminate dal docente, dal

dirigente o dal consiglio di classe, mentre quelle che comportano l’allontanamento

sono di competenza del consiglio di classe e del consiglio di istituto. Ancora,

l’allontanamento dalla scuola per un periodo inferiore a 15 giorni è adottato dal

consiglio di classe, preferibilmente con tutte le componenti, genitori e studenti

compresi. L’allontanamento superiore a 15 giorni, compreso quello sino al termine

delle lezioni o l’esclusione dallo scrutinio finale sono sempre adottati dal consiglio di

istituto.

Il nuovo regolamento è finalizzato a reprimere i comportamenti più gravi

rispettando il criterio della gradualità e quello della riparazione del danno. Esso si

caratterizza come strumento di recupero dello studente anche attraverso l’impegno

in attività di tipo sociale e culturale a favore della scuola. E inoltre devono essere

espressa in maniera chiara le motivazioni che hanno reso necessaria l’irrogazione

della sanzione. Si tratta di un provvedimento che ha carattere amministrativo e

come tale deve seguire il disposto della legge 241 del 7 agosto 1990. Contro le

sanzione è ammesso il ricorso da parte di chiunque vi abbia interesse (genitori,

studenti), entro 15 giorni dalla comunicazione a un apposito organo di garanzia

interno alla scuola. L’organo di garanzia si esprimerà nei successivo dieci giorni. Iregolamenti di istituto dovranno precisare la composizione del suddetto organo

(numero dei suoi membri e procedure di elezione) e il funzionamento dell’organo di

garanzia.

Una novità assoluta del nuovo Statuto (art. 5 bis) è rappresentata dal patto

educativo di corresponsabilità. L’obiettivo di tale strumento è quello di impegnare le

famiglie, sin dal momento dell’iscrizione, a condividere con la scuola i nuclei

fondanti dell’azione educativa. Il patto educativo di corresponsabilità rappresentaun atto simbolico di impegni reciproci e opportunità di incontro fra tutte le

componenti che si prendono cura della crescita culturale, affettiva e sociale dei

giovani preadolescenti e adolescenti. Esso segna una tappa importante, purché non

rimanga imprigionato nei lacci dei semplici adempimenti burocratici, ma diventi uno

strumento di interazione scuola/famiglia/comunità locale. Il patto educativo di

corresponsabilità impegna tutte le componenti scolastiche (docenti, studenti,

genitori, dirigente) a collaborare in vista della costruzione di un contesto formativo,

incentrato sul rispetto dei diritti e dei doveri reciproci. Esso nasce dall’intento di

offrire agli insegnanti, ai ragazzi e ai genitori un’occasione di confronto responsabile,

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di accordo partecipato e di rispetto sia dei doveri sia dei diritti di ciascuna

componente. E’ finalizzato anche alla costruzione di un gruppo classe incentrato

sulla relazionalità e sull’apprendimento in un quadro di valori condivisi. Il patto

contiene in sé una forte valenza simbolica, offrendo un modello di relazione

prosociale centrato sul rispetto delle regole, sulla valorizzazione di stili di

comportamento orientati a sostenere concretamente anche l’apprendimento. 

La cultura digitalica e il dirigente scolastico.

La rivoluzione informatica che stiamo vivendo era stata prevista deal grande

sociologo canadese Marshall McLuhan. Le tecnologie informatiche hanno modificato

in profondità i comportamenti individuali, gli stili di vita, le strutture sociali degli

20/30 anni. Le tecnologie informatiche riescono a rendere vicino il lontano eviceversa. MacLuhan aveva visto giusto nel notare che l’idea di spazio e di tempo

sarebbe stata distrutta. E’ vero, infatti, che i nativi digitali stanno cancellando il

passato. I giovani sono schiacciati sul presente, perché i mezzi che utilizzano hanno

bisogno di fruitori frettolosi. Occorre prendere atto della pervasività dei mezzi di

comunicazioni di massa nelle esperienze dei giovani. E’ vero anche che, mentre i

masse media favoriscono una trasmissione standardizzata di contenuti, i personal

media differenziano e articolano gli scambi diventando essi stessi strumenti di nuove

forme di apprendimento centrate sull’individuo. La scuola può così favorire

l’organizzazione di comunità di apprendenti, partendo dal presupposto che il

computer risulta un mezzo particolarmente per supportare il lavoro di classi

impegnati nell’elaborazione. 

Nel momento in cui in ambito educativo la classe viene organizzata come gruppo

che apprende si determinano condizioni di studio, impegno e ricerca molto diverse

dalle tradizionali forme di mediazione didattica. Accanto ai gruppi di studio, negli

ultimi tempi si è sviluppato enormemente il tema delle comunità virtuali, quelle che

non condividono uno spazio fisico, ma che si organizzano tramite la rete. In genere si

organizzano tra persone che condividono un interesse (forum), che avvertono un

bisogno di relazione, che desiderano stare insieme scambiandosi messaggi

(facebook, chat). In ambito scolastico, nel nostro paese tale forma di comunità

virtuali di apprendimento, destinate a modificare ulteriormente l’idea stessa

dell’imparare. Si tratta ancora una volta di fare un uso equilibrato e controllato di

tali tecnologie, evitando forme di dipendenza estremamente pericolose.

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In Italia e in altri Stati europei, si è assistito a un significativo cambiamento dell’idea

di cittadinanza negli anni ’70, quando, da una cittadinanza incentrata sulla

codificazione contenuta nella costituzione (diritti/doveri), si è passati a una visione

in cui i movimenti di massa si sono fatti carico di una nuova stagione di diritti:

emancipazione femminile, cittadine delle fasce escluse, dei diritti sociali. Il sociologo

Pierpaolo Donati ha parlato spesso nei suoli libri di “cittadinanza societaria”,

sottolineando il carattere di impegno diretto dei soggetti della società civile

nell’allargamento degli spazi di solidarietà, di sostegno reciproco,

dell’associazionismo, dei gruppi organizzati rispetto al mero rispetto delle regole e

delle leggi. La cittadinanza statalistica si riconosce per il rispetto delle norme, quella

societaria per l’impegno diretto del cittadino nella città. In ogni angolo del pianeta si

sta sviluppando una nuova idea di cittadinanza, la cittadinanza digitale. SI pensiall’importanza dei social network nell’elezione del presidente Obama. Stiamo

vivendo una riconfigurazione dei cittadini legata alla forza comunicatrice e

aggregatrice di Internet impensabile solo dieci anni fa. La cittadinanza digitale corre

sulla rete: è virtuale e reale insieme, è vissuta in presa diretta da masse giovanili

distribuite ovunque. Determina una disparita legata non tanto allo stato sociale

quanto alla capacità dei cittadini di accedere alla rete. Le competenze digitali

diventano necessarie per esercitare i propri diritti e far sentire la propria voce.

Nell’ultimo quindicennio il Ministero ha promosso un’ampia serie di attività

finalizzate a promuovere l’utilizzo delle tecnologie nella didattica e più in generale

nel mondo della scuola. Tra il 1997 e il 2003 sono stati realizzati due piani

rispettivamente il “programma di sviluppo delle tecnologie didattiche” e il “piano

infrastrutture tecnologiche nella scuola”. Le iniziative proseguono ora con il piano

nazionale “scuola digitale”, che comprende una serie di azioni complementari: LIM

in classe (istallazione nelle scuole di 30.000 lavagne multimediali); Cl@ssi 2.0

(realizzare ambienti di apprendimento adatti a un utilizzo costante e diffuso delle

tecnologie nell’attività scolastica quotidiana); a@urora (recupero, orientamento e

reinserimento degli adolescenti sottoposti a provvedimenti penali); oltre l’@urora

(recupero di studenti drop-out); hospital-school home@network (HSH), per gli

alunni ospedalizzati o in terapia domiciliare. Le iniziative riguardano anche la

formazione in servizio del personale docente impegnato per lo sviluppo di buone

pratiche nella tecnologia didattica. Il 28 ottobre 2010 è stato sottoscritto un

protocollo di intesa tra il MIUR e Telecom per sostenere il piano nazionale per lascuola digitale, con conseguente Accordo per realizzare il progetto “navigare sicuri”

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che prevede la visita alle scuole di un bus itinerante al fine di sensibilizzare e dare

consiglio a studenti e genitori per la navigazione sicura sul web.

Una vera e propria rivoluzione è stata avviata dall’avvento delle lavagne interattive

multimediali (LIM), dispositivi tecnologici realizzati con gli stessi criteri dei mouseche consentono di interagire con i software di un computer su un pannello/lavagna

con il semplice uso di un dito. Appartenenti alle tecnologie cosiddette HID (Human

interface device) o HCI (human computer interface), esse si suddividono in base alle

stesse tecniche. Ci sono LIM: elettromagnetiche di tipo attivo o passivo, che

richiedono l’utilizzo di una stilo digitale su una superficie compatta e resistente;

resistive, che funzionano con una superficie più morbido ove si esercita una

pressione e questa invia segnali tradotti dal computer in coordinate; capacitative,

che assemblano le due tecnologie precedenti; utilizzatrici di flussi d’onda acustici,

laser o infrarossi, che funzionano con una stilo o un videoproiettore. Le LIM possono

rivelarsi determinanti anche per migliorare i livelli di apprendimento. Utilizzando

contemporaneamente più canali di comunicazione e più linguaggi, esse possono

consentire quel salto di qualità degli esiti formativi oggi tanto auspicato. I materiali e

gli oggetti multimediali richiedono, secondo Richard Mayer, per la loro

progettazione e realizzazione il rispetto di sette principi: della multimedialità

(utilizzo di più forme per la conoscenza e la comunicazione), della contiguità spaziale(vicinanza materiale tra gli elementi presentati), della contiguità spaziale (vicinanza

materiale), della contiguità temporale (presentazione simultanea di immagini, video,

altro), della coerenza (evitare inserimento di elementi estranei e si valorizzi quello di

elementi collegati), della segmentazione e della modularità (adeguata presentazione

dei messaggi suddivisi per segmenti), della ridondanza (non sovraccaricare i

messaggi); della individualizzazione e della personalizzazione (tener conto

dell’originalità di tutti e di ciascun soggetto in apprendimento). Dunque, ben si

comprende che l’attenzione va spostata dall’insegnamento all’apprendimento,

offrendo agli alunni l’opportunità di essere protagonisti attivi della formazione. 

Con il termine e-book (electronic book) si indica il formato digitale dei libri di testo,

destinato in futuro a sostituire nella scuola i tradizionali libri di tipo cartaceo. Con il

DM 41 dell’8 aprile 2009 è stato aperto un altro importante capitolo nella storia

dello sviluppo e dell’utilizzo delle tecnologie nel mondo nell’istruzione che condurrà

in breve all’adozione di libri di testo on line. Già nel Decreto 112/2008, convertito

nella legge 133 del 6 agosto 2008, che aveva fornito indicazioni sull’adozione dei libri

di testo, raccomandando la scelta di testi presenti in tutto o in parte anche sul web.

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Ciò comporterà un profondo cambiamento nella cultura dell’editoria scolastica

italiana che al contempo è invitata sulla questione ad allinearsi all’Europa e

contenere i costi dell’istruzione. Nelle intenzioni del legislatore vi è stata l’idea di

trasformare i testi cartacei in testi elettronici o digitali. Una delle caratteristiche del

libro digitale è quella di presentarsi come un testo aperto, che può continuamente

accogliere integrazioni e modifiche. Questa caratteristica ha degli effetti positivi

anche su chi lo utilizza e sui processi del suo apprendimento. Non mancano

certamente controindicazioni, la prima delle quali riguarda i diritti di autore e gli

stessi software di proprietà. La scuola ha decisamente intrapreso la strada del

digitale. Nella direttiva 87 dell’8 novembre 2010, destinata a individuare gli

interventi prioritari per migliorare l’offerta formativa, la scelta del digitale viene

indicata come una delle strade innovative da privilegiare, proponendo un piano perla formazione dei docenti.

Lo sviluppo della cultura digitalica e della comunicazione e l’importanza che ha

assunto l’interazione tra gli utenti delle reti informatiche hanno posto la questione

che viene indicata con il termine FLOSS, acronimo che indica l’unione tra “free

software” e “open source”.4  Il movimento FLOSS ha avuto uno sviluppo sensibile

soprattutto negli ultimi anni. In occasione dell’Open World Forum tenutosi a Parigi

nel 2009 è stato presentato il 2020 FLOSS Roadmap. Nel rapporto si afferma che talemovimento è destinato a incrementarsi progressivamente, soprattutto nel mondo

delle aziende e che già nel 2012 potrebbe rappresentare il 30% del mercato del

software. L’Unione Europea ha dichiarato sin dal 1998 la sua apertura ai FLOSS, che

si è concretizzata nella creazione di un gruppo di lavoro per lo studio del fenomeno.

Tale interesse è presente anche nella strategia di Lisbona. Nel programma i2010,

inoltre, sono state indicate le seguenti priorità: completamento di uno spazio unico

europeo dell’informazione che incoraggi un mercato interno aperto e competitivo  

per la società dell’informazione e i media; il potenziamento dell’innovazione e degli

investimenti nella ricerca sulle ICT.

Il 31 ottobre del 2002 è stata avviata una commissione parlamentare per esaminare

la questione dell’ open source nella PA. Il 19 dicembre 2003 è stata diffusa una

direttiva che ha formalizzato le indicazioni della commissione e nella quale è stato

posto anche il problema della cooperazione con i software di proprietà. Su

quest’ultimo aspetto si è mosso anche il CNIPA,5  che ha emanato, nel 2004, le

4 Il termine indica anche il movimento “Free Libre and Open Source” 

5 Acronimo di “Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione”.  

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circolari 44 e 45 rispettivamente del 5/10 e del 17/12. Sempre il CNIPA ha costituito

l’Osservatorio “open source” per monitorare l’uso dei FLOSS. 

Molto attive sul fronte dei FLOSS sono state anche le regioni, nella cui legislazione

sono presenti molti riferimenti all’open source: Toscana ed Emilia Romagna (2004),Umbria (2006), Piemonte (2009). Invece, vi sono proposte in Campania (2005), Friuli

(2006), Lombardia e Puglia (2007). Le tecnologie FLOSS possono offrire diversi

vantaggi: consentono di contare su software più stabili per i continui miglioramenti

apportati dalla community. Inoltre, i FLOSS sono testati continuamente dalla

vastissima community, anche se la sicurezza dei dati non è del tutto garantita. Per

quanto concerne l’applicazione del FLOSS nella scuola, il primo campo può essere

quello della didattica. E’ ormai da tempo che gli insegnanti nell’utilizzo delle

tecnologie si rivolgono a banche dati quali wikipedia e simili, che sono in grado di

porre a disposizione delle attività infiniti dati.

Il secondo ambito di applicazione dei FLOSS può essere quello amministrativo, anche

se per tale scelta si incontrano moltissime resistenze nella PA legate soprattutto al

problema della sicurezza e della condivisione dei dati. Tale diffidenza nasce da una

serie di fattori che un esperto, Simone Brunozzi, già nel 2006 indicava con

l’acronimo DICRID.6 

La necessità di garantire la tutela dei dati personali ha imposto alle scuole di dotarsi

di sistemi di sicurezza in grado di preservarle da eventuali pericoli. Questa è stata

un’esigenza vissuta da tutte le amministrazioni pubbliche, tanto che, già nel 2005,

l’allora ministro Stanca promulgò, con il dlgs 82 del 7/3/2005 il Codice

dell’Amministrazione Digitale (CAD). Si è poi susseguita una serie di interventi, tutti

tesi a ricercare la migliore soluzione attuativa. In tal senso si era mosso l’art. 33 della

legge 69 del 2009, che aveva dato delega al Governo di intervenire sul settore. E’

stato così approvato il dlgs 235 del 30/12/2010, che ha modificato la precedente

normativa, introducendo moltissime novità che riguardano svariati articoli. Ancora,

il dlgs 150/2009 ha introdotto nella PA i principi di meritocrazia, premialità,

trasparenza, responsabilizzando i dirigenti. Esso si basa su due prospettive: rendere

effettiva la riforma introducendo misure premiali per le amministrazioni virtuose e

sanzionatorie per quelle inadempienti; incentivare l’innovazione della PA

consentendo processi di informatizzazione e riorganizzazione interna. Sono molte le

opportunità che saranno introdotte dal CAD: validazione di documenti informatici,

6 DICRID è acronimo di: Diffidenza, Inerzia, Certificazione, Responsabilità, Interazione sociale, dati.

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firme digitali, conservazione digitale dei documenti, PEC (Posta Elettronica

Certificata), trasparenza dei siti pubblici, possibilità di esprimere la propria

soddisfazione o meno da parte dei cittadini, moduli online, trasmissione di

informazioni via web, comunicazioni tra imprese e amministrazioni, servizi in rete,

carte di identità elettroniche e carte nazionali dei servizi, pagamenti elettronici.

L’avvento delle tecnologie non è ancora riuscito a modificare in modo significativo le

prassi educative della scuola; una funzione fondamentale dovrà essere svolta dai

dirigenti scolastici, non tanto per la loro competenza specifica in ambito digitale,

quanto per l’attività propulsiva che essi sapranno imprimere all’affermazione di tale

prospettiva. I dirigenti scolastici dovranno allora promuovere lo sviluppo della

cultura digitalica sia all’interno della istituzione scolastica ad essi affidata, sia nei

rapporti con l’esterno, favorendo la  creazione dei siti web, ma anche sfruttando i

social network in modo da creare reti e collegamenti non solo tra scuole, ma anche

con agenti culturali, utenti, genitori, territorio. Tanoni suggerisce al dirigente

scolastico di far leva su quattro fattori: presenza di social network come strumenti

per la collaborazione online; riconsiderazione dei nuovi modelli informatici che

investono l’e-learning 2.0 e che hanno perso in intensità per guadagnare in

flessibilità e ampiezza; valorizzazione in ogni realtà scolastica di alcune figure di

sistema che si sono formate con la frequenza dei corsi ForTIC: rivisitazione,attraverso la nuova architettura organizzativa del web 2.0, del website della propria

realtà scolastica con l’obiettivo di renderlo luogo virtuale dove tutti gli stakeholder

di una scuola possono incontrarsi e comunicare tra loro. I dirigenti scolastici, ancora,

devono sostenere l’aggiornamento delle prassi didattiche, sia favorendo l’affermarsi

di modelli formativi e-learning, sia affidando a questi la formazione dello stesso

personale scolastico.

Il digitale è entrato con prepotenza anche nel settore degli adempimentiamministrativi. Sonno infatti molte le disposizioni che impongono la pubblicazione

sui siti di vari documenti. Si pensi, a tal proposito, al disposto dell’art. 11 del dlgs

150/2009, il quale dice che ogni amministrazione ha l’obbligo di pubblicare tutti

questi documenti sul proprio sito istituzionale in apposita sezione di facile accesso e

consultazione, e denominata “trasparenza, valutazione e merito”. Sempre sul sito 

dovranno essere pubblicati i contratti integrativi stipulati; la relazione tecnico

finanziaria e quella illustrativa certificate dagli organi di controllo; le informazioni

trasmesse annualmente al Ministero dell’economica in base degli schemi definiti; gli

esiti della valutazioni dei cittadini/utenti sul funzionamento dei servizi pubblici. Oltre

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ai sistemi disciplinari e relative sanzioni, dovranno essere pubblicate sul sito tutte le

notizie più importanti della vita della scuola, dal POF al Regolamento, dalla

calendarizzazione degli impegni scolastici all’organizzazione interna della stessa

scuola.