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Il recalcitrante padre dei buchi neri Le equazioni della gravità di Einstein sono alla base della moderna teoria dei buchi neri; per ironia della sorte, egli le utilizzò per dimostrare che simili oggetti non possono esistere Storia della scoperta dei buchi neri 1900 1905 1915 1916 Max Planck scopre la radiazione di corpo nero. Con un articolo sulla radiazione di corpo nero, Albert Einstein dimostra la natura Tramite studi spettroscopici, Walter S. Adams scopre che la debole compagna di Sirio (cui è Einstein pubblica la teoria generale della relatività, formulando equazioni corpuscolare della luce. dovuta la lieve oscillazione del moto di Sirio) è una piccola stella calda e densa: una nana bianca. che descrivono la gravitazione. TRAIETTORIA OSCILLANTE SIRIO NANA BIANCA Pro e contro: nel 1939 J. Robert Op- penheimer (a destra) intuisce l'esisten- za dei buchi neri, proprio mentre Al- bert Einstein tenta di negarla. I due scienziati si incontrarono all'Institute for Adlanced Study di Princeton nei tardi anni quaranta, quando fu scat- tata questa fotografia. Non si sa però se abbiano mai parlato dei buchi neri. mente sul collasso stellare, poggiano su un pilastro completamente differente dell'eredità einsteiniana, ossia sulla sua invenzione della meccanica statistica quantistica. Senza gli effetti previsti dalla statistica quantistica, qualsiasi og- getto astronomico collasserebbe in un buco nero, dando origine a un universo che non avrebbe alcuna somiglianza con quello in cui viviamo. Bose, Einstein e la statistica L'invenzione della statistica quanti- stica da parte di Einstein fu ispirata da una lettera che egli ricevette nel giugno 1924 da un giovane fisico indiano all'e- poca sconosciuto, Satyendra Nath Bo- se. Accluso alla lettera era un mano- scritto che era già stato rifiutato da u- na rivista scientifica britannica. Dopo averlo letto, Einstein lo tradusse in te- desco per pubblicarlo nella prestigiosa «Zeitschrift fiir Physik». Perché Einstein pensò che quel ma- noscritto fosse così importante? Per una ventina d'anni si era lambiccato con il problema della natura della ra- diazione elettromagnetica, e in partico- lare della radiazione intrappolata al- l'interno di un contenitore riscaldato che raggiunga l'equilibrio termico con le pareti del contenitore stesso. Proprio al volgere del secolo il fisico tedesco Max Planck aveva introdotto la funzio- ne matematica che descrive l'intensità di questa «radiazione di corpo nero» in funzione delle diverse lunghezze d'on- da o «colori». Conseguenza di questa descrizione era che lo spettro della ra- diazione non dipende dal materiale che costituisce le pareti del contenitore; la sola variabile significativa è la tempe- ratura della radiazione. Un impressio- nante esempio di radiazione di corpo nero è costituito dai fotoni residui del big bang (in questo caso il «contenito- re» è l'intero universo). La temperatura di questi fotoni, recentemente misurata in 2,726 ± 0,002 kelvin, è quella della celebre radiazione cosmica di fondo. Per una fortuita coincidenza, Bose aveva elaborato la meccanica statisti- ca della radiazione di corpo nero, ov- vero aveva ricavato la legge di Planck da una prospettiva matematica quanto- meccanica. Quel risultato catturò l'at- tenzione di Einstein, il quale utilizzò gli stessi metodi per esaminare la mec- canica statistica di un gas molecolare che obbediva allo stesso tipo di leggi usate da Bose nel caso dei fotoni. Egli derivò l'analogo della legge di Planck per questo caso e osservò un fatto dav- vero notevole: se si raffredda un gas di particelle che obbedisce alla cosiddetta statistica di Bose-Einstein, a una certa temperatura critica tutte le molecole si raccolgono improvvisamente in un u- nico stato energetico che oggi viene denominato «condensato di Bose-Ein- stein» (sebbene Bose non abbia nulla a che vedere direttamente con esso). Un esempio interessante è quello di un gas costituito dal comune isotopo elio 4, il cui nucleo è formato da due protoni e due neutroni. Alla temperatu- ra di 2,18 kelvin questo gas si trasfor- ma in un liquido che manifesta tutte le più arcane proprietà che si possano im- maginare, tra le quali l'assenza di attri- to (meglio conosciuta come superflui- dità). Nel 1995 diversi gruppi di ricer- ca statunitensi sono riusciti nell'ostico compito di raffreddare altre specie ato- miche a temperature di qualche miliar- desimo di kelvin per ottenere un con- densato di Bose-Einstein. Non tutte le particelle esistenti in natura, però, manifestano questa pro- prietà. Nel 1925, subito dopo la pubbli- cazione dell'articolo di Einstein sulla condensazione, il fisico austriaco Wolf- gang Pauli identificò una seconda clas- se di particelle, comprendente elettroni, protoni e neutroni e dotata di proprietà di Jeremy Bernstein T alora la grande scienza lascia un'eredità che supera non solo l'immaginazione di chi la pratica, ma anche le sue intenzioni: un caso emblematico è rappresentato dai primi sviluppi della teoria dei buchi neri e soprattutto dal ruolo svolto da Al- bert Einstein. Questi pubblicò nel 1939, su «Annals of Mathematics», un articolo dal for- midabile titolo: Sui sistemi stazionari con simmetria sferica consistenti di molte masse gravitanti. Con questo contributo Einstein cercava di provare che i buchi neri - oggetti ce- lesti così densi che la forza di gravità da essi prodotta impedisce che la luce ne fuoriesca - non potevano esistere. L'ironia della situazione consiste nel fatto che, per dimostrare questa ipotesi, egli im- piegò la sua teoria generale della relatività e della gravitazione, pubblicata nel 1916, ossia proprio quella stessa teoria oggi utilizzata per provare che l'esistenza dei buchi neri è non solo possibile ma, per molti oggetti astronomici, inevitabile. In effetti, pochi mesi dopo la pubblicazione di Einstein e senza nessun riferimento a questa, apparve un articolo di J. Robert Oppenheimer e del suo allievo Hartland S. Snyder intitolato Sulla contrazione gra- vitazionale continua. Quel lavoro si serviva della teoria generale della relatività di Ein- stein per dimostrare, per la prima volta nel contesto della fisica moderna, come potesse aver luogo la formazione di buchi neri. Un fatto forse ancora più curioso è che gli studi moderni sui buchi neri, e più general- 42 LE SCIENZE n. 336, agosto 1996 LE SCIENZE n. 336, agosto 1996 43

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Il recalcitrante padredei buchi neri

Le equazioni della gravità di Einstein sono alla base della modernateoria dei buchi neri; per ironia della sorte, egli le utilizzò per dimostrare

che simili oggetti non possono esistere

Storia della scoperta dei buchi neri

1900 1905 1915 1916Max Planck scopre

la radiazione di corpo nero.Con un articolo sulla radiazionedi corpo nero, Albert Einstein

dimostra la natura

Tramite studi spettroscopici,Walter S. Adams scopre che ladebole compagna di Sirio (cui è

Einstein pubblica la teoriagenerale della relatività,

formulando equazionicorpuscolare della luce. dovuta la lieve oscillazione del

moto di Sirio) è una piccola stellacalda e densa: una nana bianca.

che descrivono la gravitazione.

TRAIETTORIAOSCILLANTE

SIRIO

NANABIANCA

Pro e contro: nel 1939 J. Robert Op-penheimer (a destra) intuisce l'esisten-za dei buchi neri, proprio mentre Al-bert Einstein tenta di negarla. I duescienziati si incontrarono all'Institutefor Adlanced Study di Princeton neitardi anni quaranta, quando fu scat-tata questa fotografia. Non si sa peròse abbiano mai parlato dei buchi neri.

mente sul collasso stellare, poggiano suun pilastro completamente differentedell'eredità einsteiniana, ossia sulla suainvenzione della meccanica statisticaquantistica. Senza gli effetti previstidalla statistica quantistica, qualsiasi og-getto astronomico collasserebbe in unbuco nero, dando origine a un universoche non avrebbe alcuna somiglianzacon quello in cui viviamo.

Bose, Einstein e la statistica

L'invenzione della statistica quanti-stica da parte di Einstein fu ispirata dauna lettera che egli ricevette nel giugno1924 da un giovane fisico indiano all'e-poca sconosciuto, Satyendra Nath Bo-se. Accluso alla lettera era un mano-scritto che era già stato rifiutato da u-na rivista scientifica britannica. Dopoaverlo letto, Einstein lo tradusse in te-desco per pubblicarlo nella prestigiosa«Zeitschrift fiir Physik».

Perché Einstein pensò che quel ma-noscritto fosse così importante? Peruna ventina d'anni si era lambiccatocon il problema della natura della ra-diazione elettromagnetica, e in partico-lare della radiazione intrappolata al-l'interno di un contenitore riscaldatoche raggiunga l'equilibrio termico conle pareti del contenitore stesso. Proprioal volgere del secolo il fisico tedescoMax Planck aveva introdotto la funzio-ne matematica che descrive l'intensitàdi questa «radiazione di corpo nero» infunzione delle diverse lunghezze d'on-da o «colori». Conseguenza di questadescrizione era che lo spettro della ra-diazione non dipende dal materiale checostituisce le pareti del contenitore; lasola variabile significativa è la tempe-ratura della radiazione. Un impressio-nante esempio di radiazione di corponero è costituito dai fotoni residui delbig bang (in questo caso il «contenito-re» è l'intero universo). La temperaturadi questi fotoni, recentemente misuratain 2,726 ± 0,002 kelvin, è quella dellacelebre radiazione cosmica di fondo.

Per una fortuita coincidenza, Boseaveva elaborato la meccanica statisti-ca della radiazione di corpo nero, ov-vero aveva ricavato la legge di Planckda una prospettiva matematica quanto-meccanica. Quel risultato catturò l'at-tenzione di Einstein, il quale utilizzògli stessi metodi per esaminare la mec-canica statistica di un gas molecolare

che obbediva allo stesso tipo di leggiusate da Bose nel caso dei fotoni. Egliderivò l'analogo della legge di Planckper questo caso e osservò un fatto dav-vero notevole: se si raffredda un gas diparticelle che obbedisce alla cosiddettastatistica di Bose-Einstein, a una certatemperatura critica tutte le molecole siraccolgono improvvisamente in un u-nico stato energetico che oggi vienedenominato «condensato di Bose-Ein-stein» (sebbene Bose non abbia nulla ache vedere direttamente con esso).

Un esempio interessante è quello diun gas costituito dal comune isotopoelio 4, il cui nucleo è formato da dueprotoni e due neutroni. Alla temperatu-ra di 2,18 kelvin questo gas si trasfor-ma in un liquido che manifesta tutte lepiù arcane proprietà che si possano im-maginare, tra le quali l'assenza di attri-to (meglio conosciuta come superflui-dità). Nel 1995 diversi gruppi di ricer-ca statunitensi sono riusciti nell'osticocompito di raffreddare altre specie ato-miche a temperature di qualche miliar-desimo di kelvin per ottenere un con-densato di Bose-Einstein.

Non tutte le particelle esistenti innatura, però, manifestano questa pro-prietà. Nel 1925, subito dopo la pubbli-cazione dell'articolo di Einstein sullacondensazione, il fisico austriaco Wolf-gang Pauli identificò una seconda clas-se di particelle, comprendente elettroni,protoni e neutroni e dotata di proprietà

di Jeremy Bernstein

T

alora la grande scienza lascia un'eredità che supera non solo l'immaginazionedi chi la pratica, ma anche le sue intenzioni: un caso emblematico è rappresentatodai primi sviluppi della teoria dei buchi neri e soprattutto dal ruolo svolto da Al-

bert Einstein. Questi pubblicò nel 1939, su «Annals of Mathematics», un articolo dal for-midabile titolo: Sui sistemi stazionari con simmetria sferica consistenti di molte massegravitanti. Con questo contributo Einstein cercava di provare che i buchi neri - oggetti ce-lesti così densi che la forza di gravità da essi prodotta impedisce che la luce ne fuoriesca -non potevano esistere.

L'ironia della situazione consiste nel fatto che, per dimostrare questa ipotesi, egli im-piegò la sua teoria generale della relatività e della gravitazione, pubblicata nel 1916, ossiaproprio quella stessa teoria oggi utilizzata per provare che l'esistenza dei buchi neri è nonsolo possibile ma, per molti oggetti astronomici, inevitabile. In effetti, pochi mesi dopo lapubblicazione di Einstein e senza nessun riferimento a questa, apparve un articolo di J.Robert Oppenheimer e del suo allievo Hartland S. Snyder intitolato Sulla contrazione gra-

vitazionale continua. Quel lavoro si serviva della teoria generale della relatività di Ein-stein per dimostrare, per la prima volta nel contesto della fisica moderna, come potesseaver luogo la formazione di buchi neri.

Un fatto forse ancora più curioso è che gli studi moderni sui buchi neri, e più general-

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differenti. Egli scoprì che due particelleidentiche di questa classe, per esempiodue elettroni, non possono mai trovar-si nello stesso stato quantico: questaproprietà prende il nome di principiodi esclusione di Pauli. Nel 1926 EnricoFermi e P. A. M. Dirac ricavarono lastatistica quantistica di queste particel-le, in contrapposizione a quella di Bo-se-Einstein per i gas atomici.

A causa del principio di Pauli, l'ulti-ma cosa al mondo che queste particel-le farebbero alle basse temperature ècondensare; al contrario, esse manife-stano esattamente la tendenza opposta.Se si comprime, diciamo, un gas dielettroni, raffreddandolo a temperatu-re estremamente basse e riducendoneil volume, gli elettroni sono costrettia «sovrapporsi», ovvero a invadere lospazio occupato da altri elettroni. Ma ilprincipio di Pauli lo proibisce, sicchéessi si allontano l'uno dall'altro a velo-cità che possono approssimarsi a quel-la della luce. Per gli elettroni e le altreparticelle che obbediscono al princi-pio di esclusione, la pressione creatada queste particelle in fuga - o «pres-sione di degenerazione» - persiste an-che se il gas viene raffreddato allo zeroassoluto, e non ha nulla a che vede-re con la repulsione elettrostatica chegli elettroni esercitano l'uno sull'altro.

I neutroni, che sono privi di carica e-lettrica, si comportano esattamente allostesso modo.

La statistica quantisticae le nane bianche

Ma che c'entra la statistica quantisti-ca con le stelle? Prima dell'inizio delsecolo, gli astronomi avevano comin-ciato a identificare una classe di stellepeculiari caratterizzate dal fatto di esse-re piccole e deboli: le nane bianche. Lacompagna della stella più luminosa delcielo, Sirio, ha la stessa massa del Sole,ma emette solo 1/360 della sua luce.Data la loro massa e le loro dimensioni,le nane bianche devono essere spaven-tosamente dense: la compagna di Si-rio è 61 000 volte più densa dell'acqua.Che diavolo sono questi bizzarri corpicelesti? A questo punto entra in scenaSir Arthur Eddington.

Quando cominciai a studiare fisica,sul finire degli anni quaranta, conside-ravo Eddington alla stregua di un ido-lo, ma per la ragione sbagliata; non sa-pevo nulla del suo fondamentale lavoroin astronomia, ma conoscevo bene lesue pubblicazioni divulgative (che, daquando ho imparato qualcosa di più difisica, mi sembrano quasi sciocchezze).Eddington, scomparso nel 1944, era un

neo-kantiano, convinto che quanto disignificativo avviene nell'universo pos-sa essere appreso attraverso la ragione.Ma tra la fine del secondo decennio delsecolo - quando condusse una delle duecampagne che confermarono la previ-sione di Einstein secondo la quale ilSole devia la luce delle stelle - e la finedegli anni trenta - quando davvero co-minciò a esagerare con le sue specula-zioni filosofiche - Eddington fu certa-mente uno dei giganti della scienza delnostro secolo. Egli creò quasi da solo ilsettore di ricerca che permise per la pri-ma volta di comprendere la composi-zione interna delle stelle, e che diedeil titolo a un suo libro pubblicato nel1926. Per lui, le nane bianche erano unaffronto, perlomeno dal punto di vistaestetico: ciò nondimeno le studiò, e nericavò un'idea liberatoria.

Nel 1924 Eddington propose che lapressione gravitazionale che compri-me le nane bianche possa strappare al-cuni elettroni al legame con i proto-ni. Perduti in questo modo i loro «con-fini», gli atomi possono essere perciòdensamente impacchettati in un picco-lo volume. Il collasso della nana bian-ca si interrompe alla fine, a causa del-la pressione di degenerazione di Fermi--Dirac, non appena gli elettroni comin-ciano a respingersi violentemente a vi-

cenda per effetto del principio di esclu-sione di Pauli.

La conoscenza dei meccanismi chestanno alla base delle nane bianche fe-ce un altro grande passo avanti nel lu-glio 1930, mentre il diciannovenne Su-brahmanyan Chandrasekhar si trovavaa bordo di una nave diretta da Madrasa Southampton. Egli si stava trasferen-do in Inghilterra per collaborare con R.W. Fowler presso l'Università di Cam-bridge (dove peraltro si trovava ancheEddington). Dopo aver letto il libro diEddington sulle stelle e quello di Fow-ler sulla meccanica statistica quantisti-ca, Chandrasekhar era rimasto affasci-nato dalle nane bianche; per passare iltempo durante il viaggio, si chiese per-ciò se non ci fosse un limite alla mas-sa delle nane bianche, oltre il quale es-se dovrebbero collassare sotto la spintadella loro stessa attrazione gravitazio-nale. La risposta che ne ricavò fu lette-ralmente rivoluzionaria.

Una nana bianca nel suo insieme èelettricamente neutra, sicché per ognielettrone deve esserci un corrisponden-te protone, che ha una massa quasi2000 volte maggiore. Di conseguenzadevono essere i protoni a causare lamaggior parte della compressione gra-vitazionale. Se la stella nana non stacollassando, la pressione di degenera-

zione degli elettroni e il collasso gra-vitazionale dovuto ai protoni devonobilanciarsi esattamente. Ne risulta chequesto equilibrio limita il numero deiprotoni, e quindi la massa della stella.Questo valore massimo è conosciutocome limite di Chandrasekhar ed è paria circa 1,4 masse solari. Qualsiasi stellanana di massa superiore a questo valoresarebbe instabile.

Il risultato di Chandrasekhar irritòprofondamente Eddington. Che cosasuccede allora se la massa è superiorealle fatidiche 1,4 masse solari? Eglinon gradiva affatto la risposta: a menoche non si trovasse qualche meccani-smo per limitare la massa della stellache si comprime fino a diventare unanana, oppure a meno che il risultato diChandrasekhar non fosse sbagliato, lestelle di grande massa erano destinateal collasso gravitazionale.

Eddington trovava questa ipotesi deltutto inaccettabile e cominciò ad attac-care Chandrasekhar (in sede sia pubbli-ca sia privata) per il suo uso della stati-stica quantistica. Queste critiche demo-ralizzarono profondamente il fisico in-diano, che tuttavia restò sulle sue po-sizioni, sostenuto da personalità comeNiels Bohr che lo rassicurò asserendoche Eddington era semplicemente in er-rore e doveva essere ignorato.

Una sensazione singolare

Mentre alcuni scienziati esploravanole relazioni tra statistica quantistica enane bianche, altri affrontavano il lavo-ro di Einstein sulla gravitazione, ossiala teoria generale della relatività. Aquanto ne so, Einstein non dedicò maimolto del suo tempo alla ricerca di so-luzioni esatte alle equazioni della gra-vitazione. La parte della teoria che de-scriveva la gravità in prossimità dellamateria era estremamente complicata,giacché la gravità distorce la geometriadello spazio e del tempo, imponendo auna particella di muoversi da un puntoall'altro lungo una traiettoria curva.

Un fatto ancora più importante è chela sorgente della gravità - la materia -non può essere descritta per mezzodelle sole equazioni gravitazionali. Lamassa, per dirla tutta, avrebbe dovutoessere introdotta nelle equazioni a bel-la posta, il che fece intuire a Einsteinche le equazioni erano incomplete. Tut-tavia soluzioni approssimate potevanoancora descrivere con sufficiente accu-ratezza fenomeni come la deflessionedella luce. Ciononostante Einstein ri-mase impressionato quando, nel 1916,l'astronomo tedesco Karl Schwarz-schild presentò la soluzione esatta peruna situazione realistica, quella di un

1916Karl Schwarzschild dimostrache esiste un valore del raggiodi un oggetto in collasso per ilquale le equazioni della gravità

di Einstein divengono«singolari»: il tempo spariscee lo spazio diventa infinito.

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1924Einstein pubblica il lavoro

di Satyendra Nath Bose sullaradiazione di corpo nero,sviluppando la meccanicastatistica per una classe di

particelle (tra le quali i fotoni).

1924Sir Arthur Eddington proponeche la gravità possa strappareelettroni dalle orbite atomiche

nelle nane bianche.

1925Wolfgang Pauli formula il principio

di esclusione, che stabilisce che certeparticelle non possono occupare

lo stesso stato quantica

1926Enrico Fermi e P. A. M. Dirac sviluppano la statistica quantistica per le

particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli (come elettroni eprotoni). Quando vengono compresse, queste particelle si respingono

reciprocamente, dando luogo alla cosiddetta pressione di degenerazione.

1930Sfruttando la statistica quantistica e il lavoro

di Eddington sulle stelle, SubrahmanyanChandrasekhar scopre che il limite di massa

per le nane bianche è pari a 1,4 volte la massadel Sole e ipotizza che una stella di massa

maggiore debba collassare nel nulla.Eddington si prende gioco di lui.

LE SCIENZE n. 336, agosto 1996 45

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Sui sistemi stazionaricon simmetria sfericaconsistenti di molte

masse gravitantiAlbert Einstein

in «Annals of Mathematics»,1939

pianeta orbitante intorno a una stella.Nel corso del suo lavoro Schwarz-

schild notò qualcosa di sgradevole. Perun certo valore della distanza dal centrodella stella, la matematica va a farsibenedire. In corrispondenza di questovalore, che oggi prende il nome di rag-gio di Schwarzschild, il tempo si annul-la e lo spazio diviene infinito: le equa-zioni presentano quella che i matemati-ci chiamano una singolarità. Il raggiodi Schwarzschild è, solitamente, piùpiccolo del raggio dell'oggetto; per ilSole, per esempio, è di tre chilometri,mentre per una biglia di un grammo èdi 10-28 centimetri.

Schwarzschild, naturalmente, si erareso conto che la sua formula impazzi-va per questo valore del raggio, ma de-cise che la cosa non aveva importanza.Costruì un modello semplificato di stel-la e dimostrò che sarebbe stato neces-sario un gradiente di pressione infinitoper comprimere la stella in un volumepiccolo come quello definito dal suoraggio. La scoperta, concluse, non eradi interesse pratico.

La sua analisi, però, non mise tuttid'accordo. In particolare essa infastidìEinstein, poiché il modello stellare diSchwarzschild non soddisfaceva certirequisiti tecnici della teoria della relati-

1932James Chadwick scopre il neutrone,la cui esistenza spinge molti ricercatori

a ipotizzare che le «stelledi neutroni» possano costituire

un'alternativa alle nane bianche.

vità. Diversi studiosi, comunque, dimo-strarono che le soluzioni di Schwarz-schild avrebbero potuto essere riscrittecon una formulazione che evitava lasingolarità. Ma il risultato era davveronon singolare? Non sarebbe corretto di-re che il dibattito fosse furibondo, datoche la maggior parte dei fisici mostravascarso interesse per questi argomenti,almeno fino al 1939.

Nel suo articolo di quell'anno Ein-stein attribuì il suo rinnovato interesseper il raggio di Schwarzschild alle di-scussioni avute con il cosmologo diPrinceton Harold P. Robertson e con ilsuo assistente Peter G. Bergmann, oggiprofessore emerito alla Syracuse Uni-versity. L'intenzione di Einstein, conquell'articolo, era certamente di stron-care la singolarità di Schwarzschild unavolta per tutte. Alla fine del contributo,egli scrisse: «Il risultato essenziale diquesto studio è una chiara spiegazionedel perché le "singolarità di Schwarz-schild" non esistono nella realtà fisi-ca». In altre parole, i buchi neri nonpossono esistere.

Per chiarire la sua posizione, Ein-stein si concentrò sull'esame di unacollezione di minuscole particelle inmoto orbitale circolare sotto il recipro-co influsso gravitazionale: di fatto, un

1939Ispirato da conversazioni con i colleghi,

Einstein tenta di abbattere il raggiodi Schwarzschild una volta per tutte,

concludendo, in un articolo comparso in«Annals of Mathematics», che l'esistenza

dei buchi neri è impossibile.

sistema somigliante a un ammasso stel-lare sferico. Si chiese, quindi, se una si-mile configurazione potesse collassareper effetto della sua stessa forza gravi-tazionale in una stella stabile di rag-gio pari al raggio di Schwarzschild. Neconcluse che la cosa era impossibile,perché per un valore del raggio pocopiù grande di quello di Schwarzschildle stelle dell'ammasso, per mantenereuna configurazione stabile, avrebberodovuto muoversi a una velocità supe-riore a quella della luce. Sebbene il ra-gionamento di Einstein sia corretto, lasua osservazione è irrilevante: non im-porta che una stella che collassa sia in-stabile in corrispondenza del raggio diSchwarzschild, poiché la stella conti-nua a collassare fino a valori del raggiopiù piccoli di quello di Schwarzschild.Fui molto colpito dal fatto che l'allorasessantenne Einstein presentasse nel-l'articolo tabelle di risultati numericiche doveva aver ottenuto usando un re-golo calcolatore. Ma l'articolo, così co-me il regolo, è ormai un cimelio storico.

Dai neutroni ai buchi neri

Mentre Einstein conduceva le sue ri-cerche, in California si stava svolgen-do un'impresa affatto differente: Op-

1939Usando i concetti di stelle di neutroniin collasso e nane bianche, J. Robert

Oppenheimer e il suo allievo Hartland S.Snyder formulano un'ipotesi sulla

formazione dei buchi neri.

penheimer e i suoi allievi stavano dan-do forma alla moderna teoria dei buchineri (si veda l'articolo il contributo diOppenheimer alla fisica moderna diJohn S. Rigden in «Le Scienze» n. 325,settembre 1995). Il fatto curioso a pro-posito della ricerca sui buchi neri è chefu ispirata da un'idea che si rivelò deltutto sbagliata. Nel 1932 lo sperimenta-lista britannico James Chadwick avevascoperto il neutrone, la particella neu-tra dei nuclei atomici. Immediatamentesi cominciarono studi sull'eventualitàche i neutroni costituissero un'alternati-va alle nane bianche, studi promossi inparticolare da Fritz Zwicky del Calteche indipendentemente dal grande teoricosovietico Lev D. Landau.

Questi scienziati intuirono che, quan-do la pressione gravitazionale diventasufficientemente elevata, un elettrone inuna stella potrebbe reagire con un pro-tone generando un neutrone. (Zwickyipotizzò correttamente che il proces-so potesse avvenire nelle esplosioni disupernova; le «stelle neutroniche» cor-rispondono agli oggetti che oggi chia-miamo pulsar.) All'epoca di questi stu-di il meccanismo responsabile dellaproduzione di energia nelle stelle eraancora ignoto. Una possibile soluzioneponeva una stella di neutroni al centrodelle stelle ordinarie, più o meno se-condo lo stesso schema che oggi preve-de che i buchi neri forniscano energiaai quasar.

La domanda nacque spontanea: qualè l'equivalente del limite di massa diChandrasekhar per queste stelle? Larisposta è più difficile da trovare diquanto non fosse per le nane biancheperché i neutroni interagiscono recipro-camente con una forza di notevole in-tensità di cui non sono ancora pie-namente chiarite le caratteristiche. Lagravità finirebbe per superare l'inten-sità di questa forza, ma l'esatto valo-re limite della massa dipende dai detta-gli dell'interazione. Oppenheimer pub-blicò due articoli sull'argomento con isuoi allievi Robert Serber e George M.Volkoff e concluse che la massa limitein questo caso deve essere paragonabileal limite di Chandrasekhar per le nanebianche. I due contributi furono pubbli-cati nel 1938 e nel 1939. (La vera fontedell'energia stellare, la fusione nuclea-re, fu scoperta da Hans Bethe e CariFriedrich von Weizskker nel 1938, maoccorsero alcuni anni perché fosse ac-cettata, sicché gli astrofisici continua-rono a perseguire vie alternative.)

Oppenheimer affrontò esplicitamenteil problema che aveva preoccupato Ed-dington riguardo alle nane bianche: checosa succederebbe se una stella che stacollassando avesse una massa che ecce-da questi limiti? Il rifiuto dei buchi nerida parte di Einstein nel 1939 - del quale

Oppenheimer e collaboratori erano cer-tamente all'oscuro, lavorando in con-correnza e a 5000 chilometri di distan-za - era irrilevante. Ma Oppenheimernon voleva costruire una stella stabi-le di raggio pari al raggio di Schwarz-schild; voleva invece vedere che co-sa sarebbe accaduto se si fosse lascia-ta collassare una stella al di sotto delsuo raggio di Schwarzschild, e affidò aSnyder il compito di studiare il proble-ma nei dettagli.

Per semplificare la questione, Op-penheimer disse a Snyder di fare alcu-ni assunti e di trascurare considerazio-ni tecniche come la pressione di dege-nerazione o l'eventuale rotazione del-la stella. L'intuito suggeriva a Oppen-heimer che questi fattori non avrebbe-ro modificato sensibilmente i calcoli.(Questi assunti furono messi alla provamolti anni più tardi da una nuova gene-razione di scienziati dotati di sofisticaticalcolatori ad alte prestazioni - mentreil povero Snyder aveva solo una vec-chia calcolatrice meccanica da tavolo -ma Oppenheimer era nel giusto. Non visono variazioni significative.) Basan-dosi sulle ipotesi semplificate, Snydertrovò sorprendentemente che ciò cheavviene a una stella che collassa dipen-de dalla posizione dell'osservatore.

Due visioni di un collasso

Cominciamo da un osservatore inquiete, posto a distanza di sicurezzadalla stella. Supponiamo anche che visia un altro osservatore sulla superficiedella stella, «solidale» col suo collasso,che possa inviare segnali luminosi alsuo collega stazionario. Questi vedrà isegnali provenienti dalla sua contropar-te in moto spostarsi gradualmente ver-so l'estremità rossa dello spettro elet-tromagnetico. Se si immagina di misu-rare la frequenza dei segnali con un o-rologio, l'osservatore in quiete dirà chel'orologio dell'osservatore sulla stellasta gradualmente rallentando.

Al raggio di Schwarzschild l'orolo-gio si fermerà. L'osservatore in quiete

ne dedurrà che occorre un tempo infini-to perché la stella collassi fino al suoraggio di Schwarzschild. Non possiamodire che cosa succeda dopo perché, se-condo l'osservatore in quiete, non c'èun «dopo»: la stella è congelata al suoraggio di Schwarzschild. Di fatto, finoal 1967, quando John A. Wheeler - oraalla Princeton University - coniò l'e-spressione «buco nero» in una confe-renza, questi oggetti furono spesso cita-ti in letteratura con il nome di «stellecongelate». Lo stato di congelamento èil reale significato della singolarità nel-la geometria di Schwarzschild. Comeosservarono Oppenheimer e Snyder nelloro articolo, la stella in collasso «ten-de a chiudersi su se stessa eliminan-do ogni comunicazione con osservato-ri esterni; ciò che persiste è solo il suocampo gravitazionale». In altri termini,si è formato un buco nero.

Ma che ne è dell'osservatore che sta-zionava sulla stella? Questi, come no-tarono Oppenheimer e Snyder, ha unapercezione degli eventi completamen-te diversa. Per lui, il raggio di Schwarz-schild non ha un particolare significato:lo oltrepassa in tempi normalmente mi-surabili con il suo orologio. Sarebbe,però, soggetto a una terribile forza gra-vitazionale che lo farebbe a pezzi.

L'anno era il 1939, e il mondo stes-so stava per essere fatto a pezzi. Op-penheimer venne ben presto assolda-to per realizzare la più distruttiva ar-ma mai progettata dall'uomo e non la-vorò più al tema dei buchi neri, né - perquanto ne sappia - lo fece Einstein.Terminata la guerra, e precisamente nel1947, Oppenheimer divenne direttoredell'Institute for Advanced Study aPrinceton, dove Einstein insegnava an-cora. Di quando in quando i due face-vano qualche chiacchierata, ma non viè alcuna testimonianza di loro discus-sioni sui buchi neri. Perché vi fosseroprogressi fu necessario arrivare agli an-ni sessanta, quando la scoperta dei qua-sar, delle pulsar e delle sorgenti X com-patte riportò alla ribalta la questione delmisterioso destino delle stelle.

JEREMY BERNSTEIN è professore emerito di fisica allo Stevens Institute ofTechnology e docente alla Rockefeller University; ha collaborato al «New Yorken>e ha ricevuto numerosi riconoscimenti per i suoi scritti di divulgazione scientifica.

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