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1 Universiteit Gent Faculteit Letteren en Wijsbegeerte Masterproef tot het bekomen van de graad van master in de taal- en letterkunde: talencombinatie Frans-Italiaans. La dislocazione a destra in italiano: alcuni dati sul parlato Louise Matton Master Frans-Italiaans Academiejaar: 2007-2008 Promotor: Prof. Dr. Claudia Crocco

La dislocazione a destra in italiano: alcuni dati sul …...tipo di scrittura: lo scritto trasmesso. Poi rifletteremo sull‟opinione di alcuni studiosi Poi rifletteremo sull‟opinione

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Universiteit Gent

Faculteit Letteren en Wijsbegeerte

Masterproef tot het bekomen van de graad van master in de taal- en

letterkunde: talencombinatie Frans-Italiaans.

La dislocazione a destra in italiano:

alcuni dati sul parlato

Louise Matton

Master Frans-Italiaans

Academiejaar: 2007-2008 Promotor: Prof. Dr. Claudia Crocco

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Parola di ringraziamento

All‟inizio di questa tesi di master vorrei ringraziare le persone senza le quali

la realizzazione di questo lavoro non sarebbe stata possibile. In primo luogo i

miei ringraziamenti si rivolgono alla professoressa Crocco, che ha accettato la

mia domanda di accompagnarmi durante quest‟anno accademico. La ringrazio

per i suoi consigli, le sue correzioni e la sua pazienza.

Ci tengo anche a ringraziare la mia famiglia e i miei amici per il loro

supporto, ed in particolare Julie Vanden Bussche per il lay-out del mio testo.

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La dislocazione a destra in italiano: alcuni dati sul parlato

1 Introduzione ...................................................................................................................... 4

2 Il parlato ............................................................................................................................ 7

2.1 La variazione linguistica ............................................................................................ 7

2.1.1 L‟architettura “dia-” di una lingua ..................................................................... 7

2.1.2 La diamesia: un concetto problematico .............................................................. 9

2.2 L‟italiano parlato ...................................................................................................... 10

2.2.1 Il repertorio linguistico degli italiani ................................................................ 11

2.2.2 L‟italiano parlato nella linguistica .................................................................... 14

2.3 Caratteristiche del parlato ......................................................................................... 15

2.3.1 Definizione e tratti generali del parlato ............................................................ 15

2.3.2 Sintassi dell‟italiano parlato ............................................................................. 19

2.3.3 Tratti del parlato nello scritto ........................................................................... 22

2.4 Il parlato ha un‟altra grammatica? ........................................................................... 25

2.5 La dislocazione nel parlato ....................................................................................... 29

3 La dislocazione a destra (DD) ....................................................................................... 33

3.1 Definizione della dislocazione a destra .................................................................... 33

3.2 Studi sulla dislocazione a destra ............................................................................... 37

3.2.1 Dislocazioni a destra e a sinistra: dal Cinquecento fino ad oggi ...................... 37

3.2.2 L‟approccio generativista ................................................................................. 39

3.2.3 Alcuni studi recenti .......................................................................................... 41

3.2.3.1 Bossong 1981 ............................................................................................... 42

3.2.3.2 Berruto 1986 ................................................................................................. 44

3.2.3.3 Sala Gallini 1996 .......................................................................................... 46

3.2.3.4 Simone 1997 ................................................................................................. 48

3.2.3.5 Rossi 1997 .................................................................................................... 50

3.3 Verso una grammaticalizzazione della dislocazione a destra? ................................. 52

4 Analisi della dislocazione a destra nel corpus CLIPS ................................................. 60

4.1 Introduzione al corpus .............................................................................................. 60

4.2 Analisi del corpus: risultati e interpretazioni ........................................................... 62

4.2.1 La distribuzione geografica .............................................................................. 62

4.2.2 La funzione grammaticale del costituente dislocato ........................................ 63

4.2.3 Il costituente dislocato: sempre dato? .............................................................. 64

4.2.4 Messa in rilievo del rema o del tema? .............................................................. 67

4.2.5 La frequenza della DD in frasi interrogative .................................................... 70

5 Conclusioni ...................................................................................................................... 72

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La dislocazione a destra in italiano: alcuni dati sul parlato

1 Introduzione

Benché sia a tutti evidente che la lingua nazionale dell‟Italia è l‟italiano, è necessario

precisare da subito che « non esiste un solo italiano » (Masini, 2004: 15).

L‟italiano si presenta infatti in diverse forme a seconda alcuni fattori fondamentali: l‟origine

geografica del parlante, il suo status socio-economico, la natura del messaggio, la situazione

in cui avviene la comunicazione, il canale di trasmissione, ecc.

Prima di affrontare il problema centrale di questo lavoro, cioè la costruzione detta

“dislocazione a destra” sono necessarie quindi alcune precisazioni relative alla varietà di

italiano di cui intendiamo occuparci: l‟italiano parlato.

Negli ultimi decenni è aumentato l‟interesse per la lingua parlata nelle opere linguistiche.

Mentre negli anni Sessanta e Settanta si facevano soprattutto studi, rispettivamente,

sull‟italiano popolare e sull‟italiano regionale, è cresciuta a partire dagli anni Ottanta la

presenza del parlato negli studi linguistici sull‟italiano (Voghera, 1992: 9).

Una tappa importante nello studio del parlato è costituita dalla raccolta di corpora di italiano

parlato. Il primo corpus che abbia permesso lo studio sistematico del parlato è stato il LIP (De

Mauro e altri, 1993). La costruzione di questo corpus ha incitato altre istituzioni a raccogliere

corpora, tra i quali anche il corpus CLIPS che analizzeremo in questo lavoro.

Vedremo che il parlato ha alcune particolarità che nella lingua scritta sono assenti o presenti

in modo limitato. Certi studiosi si chiedono quindi se l‟italiano parlato abbia una propria

grammatica, che differisce di quella dello scritto tradizionale. Tra i tratti tipici del parlato si

trovano fenomeni di natura sintattica che mutano l‟ordine SVO delle parole dell‟enunciato

non marcato. Essi sono di solito legati a bisogni comunicativi del locutore. Uno di questi

fenomeni è la dislocazione a destra (d‟ora in poi DD), che guarderemo più da vicino nel corso

di questo lavoro. Diversamente degli studi sulla dislocazione a sinistra (d‟ora in poi DS),

quelli che si concentrano specificamente sulla DD sono abbastanza scarsi e recenti. Il primo

lavoro di valore che tratti unicamente la DD nell‟italiano è un articolo di Gaetano Berruto,

scritto nel 1986. Prima sono stati comunque svolti studi sulla DD in altre lingue: parleremo in

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questo ambito di Bossong 1981, che spiega la situazione in francese. Al fine di avere una

descrizione abbastanza approfondita del fenomeno in italiano presenteremo i lavori di

Antinucci e Cinque (1977), Sala Gallini (1996), Simone (1997) e Rossi (1997). La maggior

parte degli studiosi menzionati discutono la sintassi della DD, ma lasciano anche spazio alla

sua storia, alla prosodia, alla pragmatica e al paragone con altre lingue romanze. Vedremo che

alcuni linguisti considerano la DD come una struttura che tende alla grammaticalizzazione.

Tenteremo quindi di esaminare fino a che punto la DD sia già analizzabile come una struttura

non marcata.

Visto che è sempre interessante legare la teoria alla pratica, abbiamo scelto di confrontare le

opinioni dei vari linguisti con un‟analisi di corpus. L‟analisi si farà su 30 dialoghi tratti dal

corpus CLIPS.

Il nostro lavoro si compone di tre grandi parti. La prima parte è dedicata alla lingua parlata.

Tratteremo, in primo luogo, la variazione linguistica, parlando delle diverse dimensioni di

variazione e della diamesia in particolare. Poi ci concentreremo sull‟italiano parlato:

guarderemo dove questo concetto si situi tra le altre varietà di italiano e commenteremo la

posizione che occupa nella linguistica. In seguito parleremo delle caratteristiche del parlato.

Prima di trattare gli elementi sintattici propri dell‟italiano parlato cominceremo con le

caratteristiche generali del parlato in generale. Vedremo anche che alcuni tratti del parlato si

possono presentare nella lingua scritta. In quest‟ambito parleremo in particolare di un nuovo

tipo di scrittura: lo scritto trasmesso. Poi rifletteremo sull‟opinione di alcuni studiosi

sull‟esistenza eventuale di una grammatica propria del parlato, che si distingue di quella dello

scritto standard. Infine guarderemo perché la DD sia una struttura che si incontra soprattutto

nel parlato.

Nella seconda parte del nostro lavoro fermeremo l‟attenzione sulla DD. Cominceremo con

una definizione e alcuni esempi. Dopo rappresenteremo alcuni studi sul fenomeno sintattico.

Questa rappresentazione si svolgerà in tre tappe: 1) la presenza della dislocazione, sia quella a

destra che quella a sinistra, nelle opere linguistiche dal Cinquecento ad oggi; 2)

l‟interpretazione generativista della DD; 3) l‟approccio contemporaneo della DD, con la

descrizione di alcuni studi moderni (Bossong 1981, Berruto 1986, Sala Gallini 1996, Simone

1997, Rossi 1997). Alcuni di questi studiosi considerano la DD come una struttura in via di

grammaticalizzazione. Nell‟ultimo paragrafo della seconda parte commenteremo le loro

opinioni.

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La terza parte di questo lavoro sarà consacrata all‟analisi della DD in un certo numero di

dialoghi tratti dal corpus CLIPS. Studieremo più particolarmente la sua distribuzione

geografica, la funzione grammaticale del costituente dislocato, la natura data oppure nuova di

esso, l‟enfasi (sul rema o sul tema) e la frequenza della DD in enunciati interrogativi.

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2 Il parlato

2.1 La variazione linguistica

2.1.1 L‟architettura “dia-” di una lingua

L‟italiano conosce, così come tutte le altre lingue storico-naturali, una realizzazione attraverso

più modalità (Masini, 2004: 15). Alcuni fattori che agiscono sulla scelta di una certa varietà di

lingua sono tra l‟altro lo scopo del messaggio, la sua natura e la situazione comunicativa.

L‟italiano standard, cioè quello descritto nelle grammatiche, è solo una delle varietà possibili.

Viene spesso considerato come la varietà con il prestigio più alto ed è il punto di riferimento

per chi parla o chi impara l‟italiano. Le varietà dell‟italiano vengono determinate da cinque

fattori fondamentali, i cui nomi sono costruiti a partire della base greca dia- („attraverso‟)1. Si

tratta della diacronia, diatopia, diastratia, diafasia e diamesia2.

La diacronia, dal greco khrónos („tempo‟), è la variazione determinata dalla dimensione

temporale. Si può interpretare la diacronia in due modi diversi. In primo luogo l‟italiano si è

sviluppato attraverso i secoli. Così l‟italiano di Dante è diverso dell‟italiano di Manzoni, e

quello di Manzoni è, a sua volta, diverso dell‟italiano contemporaneo. Un secondo modo per

considerare la diacronia consiste nell‟osservare delle differenze tra l‟italiano degli anziani e

quello dei giovani. Gli anziani tendono ad essere conservatori nei loro usi linguistici, mentre i

giovani vengono considerati come portatori di innovazioni. La diacronia si oppone alla

sincronia. Le altre dimensioni di varietà (la diatopia, la diastratia, la diafasia e la diamesia)

fanno parte della variazione sincronica. In questa ottica Eugenio Coseriu (1998: 9) parla

anche di « unités syntopiques, synstratiques et symphasiques ». La diatopia, dal greco tópos

(„luogo‟), indica la variazione legata all‟area geografica di cui il parlante è originario. Così

1 Berruto precisa che si deve questa terminologia essenzialmente a Coseriu, che riprende idee di Flydal. Si legge

infatti in Coseriu (1998 : 9): « On sait aussi que le regretté romaniste norvégien Leiv Flydal a eu la très

heureuse idée d‟introduire pour le [sic] deux premiers types de variété et d‟homogénéité les termes de

diatopique/syntopique et diastratique/synstratique, termes parallèles aux termes pour la variation et

l‟homogénéité dans le temps (ou bien, pour la considération dynamique ou statique de la langue) : diachronique

et synchronique. Cette terminologie cohérente et bienvenue – à laquelle j‟ai ajouté moi-même les termes de

diaphasique et symphasique pour désigner le troisième type de variété et d‟homogénéité – a été adoptée par un

grand nombre de linguistes de différents pays, de sorte qu‟elle est devenue universelle ou presque (elle est

virtuellement générale dans la linguistique européenne). Elle a même été élargie par certains linguistes italiens

et allemands pour englober d‟autres types ou des types ultérieurement déterminés de variété et d‟homogénéité

(par ex., langue écrite/langue parlée) ». 2 Per la spiegazione di questi termini (diacronia, diatopia, diastratia, diafasia e diamesia) ci basiamo su Masini

(2004: 16-22). Per le variazioni diastratica, diafasica e diamesica si farà riferimento anche a Berruto (1993b: 37-

92).

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l‟italiano parlato a Milano è diverso di quello parlato a Napoli. La variazione legata allo status

socio-economico del parlante viene definita invece “diastratica”, dal greco strátos („strato‟).

Lo status socio-economico di un parlante deve essere interpretato in una prospettiva

abbastanza larga: esso concerne il livello di istruzione, il tipo di lavoro (intellettuale o

manuale), il grado di contatto con la lingua scritta, il sesso e l‟età. La diafasia, dal greco

phásis („il parlare‟), si riferisce o alla situazione comunicativa in cui si trova il parlante,

oppure all‟argomento trattato nella conversazione. Berruto (1993b: 70) parla di registri per «

le varietà diafasiche dipendenti primariamente dal carattere dell‟interazione e dal ruolo

reciproco assunto da parlante (o scrivente) e destinatario » e di sottocodici o lingue speciali

per « le varietà diafasiche dipendenti primariamente dall‟argomento del discorso e

dall‟ambito esperienziale di riferimento ». Per quel che riguarda i registri, le varietà formali si

trovano ad un estremo dell‟asse diafasico, mentre quelle informali occupano l‟altra estremità.

Per i sottocodici Masini (2004: 20) nota che questi fanno anche parzialmente parte della

variazione diastratica, perché determinati argomenti (ad esempio la medicina) sono legati a

certi gruppi della popolazione. Inoltre un solo sottocodice può utilizzare più registri. Al fine di

evitare confusione tra diastratia e diafasia Masini conclude che « le varietà diastratiche sono

legate all‟utente, quelle diafasiche all‟uso » (Masini, 2004: 20). La diamesia infine, dal greco

mésos („mezzo‟) distingue due varietà, lo scritto e il parlato, secondo il canale di trasmissione

utilizzato. Per lo scritto il canale è grafico e destinato alla lettura, per il parlato invece è fonico

e uditivo. Il concetto di diamesia non si limita tuttavia alla semplice distinzione scritto/parlato

(cfr. infra).

Berruto (1993a: 9) propone che ogni asse della variazione sia interpretato come un continuum,

che comprende, tra le due varietà estreme, anche delle varietà intermedie. Sull‟asse diafasico,

ad esempio, si notano numerose varietà intermedie tra l‟italiano formale aulico e quello

informale trascurato, sull‟asse diatopico esistono varietà tra l‟italiano standard, basato sul

fiorentino letterario, e gli italiani dialettizzanti, ecc. Berruto insiste anche sul fatto che i

diversi assi tendono talvolta a sovrapporsi. Così una varietà fortemente marcata in diatopia

apparterrà anche ai ceti più bassi della popolazione e sarà, quindi, anche marcata in diastratia.

Questa stessa varietà verrà anche più spesso utilizzata in situazioni informali. Risulta quindi

difficile attribuire una certa caratteristica della lingua, ad esempio la gorgia toscana, a una

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dimensione di variazione particolare. Anche Coseriu (1998) afferma che i diversi assi di

variazione si dipanano secondo un continuum3:

« Lorsqu‟on dit qu‟il y a « passage graduel » et qu‟il n‟y a pas de limites précises (ou une seule limite

nette pour toute une série de traits caractéristiques), on dit en même temps, implicitement, qu‟il y a des

« choses » différentes et bien identifiables entre lesquelles il y a « passage graduel » ou pluralité de

limites, c‟est-à-dire que nos unités sont parfaitement identifiables là où elles sont radicalement

différentes mais qu‟elles ne sont pas « discrètes » : qu‟elles empiètent les unes sur les autres. » (Coseriu,

1998 : 11)

Secondo Coseriu i passaggi tra le diverse varietà accadono gradualmente. Non è quindi

possibile fare delle differenze nette tra le varietà: i limiti tra una varietà e l‟altra non sono

evidenti perché « un dialecte présente par définition des différences de niveau et de style; un

niveau, des différences diatopiques et diaphasiques; et un style, des différences diatopiques et

diastratiques » (Coseriu, 1998 : 14). Secondo l‟autore ogni varietà comporta queste tre

dimensioni di variazione. L‟attribuzione di un maggior peso ad una di queste dimensioni

dipende dal punto di vista adottato dal linguista: si tratta di una varietà regionale se

circoscritta nello spazio, di una varietà diastratica quando concerne un determinato ceto della

popolazione, e di una varietà diafasica quando essa viene utilizzata in una certa situazione da

parlanti che userebbero un‟altra varietà in altre situazioni.

2.1.2 La diamesia: un concetto problematico

A proposito della diamesia, Masini (2004: 16-17) osserva soprattutto delle divergenze sul

piano della pianificazione del testo. Queste divergenze concernono tanto il mittente quanto il

destinatorio. Nello scritto lo scrittore ha la possibilità di correggere il testo, di riformularlo,

mentre nel parlato questa possibilità viene ridotta. Il parlato possiede, invece, alcuni mezzi

che non ha la lingua scritta: si tratta dei mezzi prosodici, come l‟intonazione e il ritmo, e dei

tratti paralinguistici, come i gesti e la distanza nello spazio tra gli interlocutori. Per quel che

riguarda il destinatario si nota che nello scritto il lettore può rileggere il testo e rianalizzarlo al

fine di migliorarne la propria comprensione, mentre nel parlato il testo è naturalmente

effimero. Il discorso parlato è perciò intrinsecamente lineare, poiché l‟ascoltatore ha

unicamente la possibilità di percepire il discorso nello stesso ordine in cui è stato pronunciato

dal parlante.

3 Coseriu parla nel suo articolo soprattutto della diatopia, diastratia e diafasia.

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La nozione di parlato sembra in primo luogo opporsi a quella di scritto. La prima dimensione

di variazione da considerare nello studio del parlato sarebbe dunque quella diamesica. Ma

abbiamo visto che non è evidente tracciare una linea tra le diverse dimensioni di variazione,

perché esse a volte si intersecano. Così il parlato entra anche in altri domini della linguistica

delle varietà. Alcuni linguisti affermano questo fatto, mostrando che la diamesia occupa un

posto particolare tra le altre dimensioni di varietà.

Alberto M. Mioni (1983), che è stato il primo ad utilizzare la nozione di diamesia, osserva che

la diamesia si avvicina alla diafasia: secondo lui esiste una dicotomia formale/scritto versus

informale/parlato. Ma Mioni aggiunge che questa distinzione è unicamente valida per i casi

più semplici e che ci vuole più attenzione per le varietà intermedie lungo l‟asse diafasico.

Secondo Gaetano Berruto (1993b) la variazione diamesica non è una variazione come le altre:

« La distinzione fra parlato e scritto ha una posizione particolare nella variazione linguistica, in quanto

non si tratta propriamente di una dimensione accanto alle altre, bensì di un‟opposizione che percorre le

altre dimensioni di variazione e allo stesso tempo ne è attraversata. » (Berruto, 1993b: 37)

Visto che concerne tutti gli altri tipi di variazione, la diamesia va presa in considerazione

prima delle altre varietà.

Anche Miriam Voghera (1992: 38) tratta la variazione diamesica in modo diverso rispetto alle

altre dimensioni di varietà. Accanto alle dimensioni fondamentali della variazione linguistica,

la diacronia, la diatopia, diastratia e diafasia, la diamesia occupa una posizione particolare:

questa, infatti, non viene mai studiata come dimensione a sé stante perché il canale di

trasmissione non è quasi mai l‟unico elemento considerato quando si studia una varietà di

lingua. Secondo Voghera « è per questo motivo che [...] le ricerche che inseriscono il parlato

nell‟ambito della linguistica delle varietà non lo hanno semplicemente etichettato come

varietà diamesica » (Voghera, 1992: 39). Il parlato viene infatti anche determinato dalle altre

dimensioni di varietà. Così un napoletano parla in modo diverso di un milanese (diatopia),

uno studente adatta la sua lingua davanti ad un professore (diafasia), un giovane utilizza

parole diverse da quelle di un vecchio (diastratia), ecc.

2.2 L‟italiano parlato

Nello studio del parlato l‟italiano occupa un posto particolare. Voghera (1992: 60) rimarca

che il concetto di italiano parlato è abbastanza recente. Nel passato l‟italiano standard era

unicamente una realtà nella scrittura, mentre nella vita quotidiana si parlava il dialetto.

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Voghera parla di una relazione di « semidiglossia » (Voghera, 1992: 60) tra l‟italiano standard

letterario nello scritto da un lato e i dialetti nel parlato dall‟altro. Però la situazione attuale è

diversa. Al fine di capire meglio la nozione di italiano parlato ci sembra utile spiegare la

situazione linguistica dell‟Italia attuale.

2.2.1 Il repertorio linguistico degli italiani

Anche se nell‟Italia contemporanea la lingua nazionale è l‟italiano, la situazione linguistica

reale del paese risulta molto più complessa. In primo luogo esistono varie minoranze

linguistiche in Italia. Andrea Masini (2004: 33) individua una decina di idiomi minoritari

importanti: 1) le parlate provenzali nelle valli del Piemonte vicine alla Francia; 2) i dialetti

franco-provenzali in Valle d‟Aosta e nella provincia di Torino; 3) le parlate ladine nelle

province di Trento, Bolzano e Belluno; 4) le parlate bavaro-tirolesi nella provincia di

Bolzano; 5) i dialetti sloveni nelle aree di Trieste, Udine e Gorizia; 6) il croato nella regione

di Molise; 7) le parlate albanesi nell‟Italia meridionale; 8) i dialetti di origine greca nelle

regioni di Puglia e di Calabria; 9) il catalano a Alghero; 10) il tedesco nelle Alpi vicino alla

frontiera con la Svizzera; 11) le parlate galloromanze nella parte occidentale di Foggia. A

queste lingue si sono aggiunte più recentemente le lingue dei migranti provenienti dai Paesi in

via di sviluppo e dall‟Europa dell‟Est.

Accanto alla presenza di tutte queste altre lingue, la penisola italiana è anche caratterizzata da

un uso di vari dialetti. Secondo Berruto (1993a: 4) il ripertorio linguistico degli italiani, cioè «

l‟insieme delle varietà di lingua a disposizione della comunità parlante italofona », è

caratterizzato dalla possibilità di utilizzare molte lingue. L‟unico elemento in comune per tutti

gli italiani consiste nella presenza dell‟italiano standard e delle sue varietà. Berruto dice che il

repertorio linguistico italiano include la lingua italiana da un lato, e i dialetti dall‟altro. È

importante sottolineare che dal punto di vista linguistico un dialetto ha lo stesso statuto di una

lingua. Nel caso dell‟italiano i dialetti sono parlate italo-romanze con una propria grammatica

e un proprio lessico (Masini, 2004: 22), e non varietà locali dell‟italiano (italiani regionali).

Però per quel che riguarda il prestigio della lingua, gli ambiti d‟uso, ecc, l‟italiano si rivela

superiore ai dialetti. Il rapporto tra lingua standard e dialetto può configurarsi come un

rapporto di diglossia: il parlante utilizza la varietà alta (cioè la lingua standard) in situazioni

formali e scritte e la varietà bassa (il dialetto) in situazioni informali e parlate (Berruto, 1993a:

4). Nell‟Italia contemporanea, tuttavia, la situazione è diversa: nel parlato quotidiano sono

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utilizzati sia il dialetto, sia l‟italiano in tutte le sue varietà. In questo caso, quindi, non si tratta

di un rapporto di diglossia tra dialetto e italiano, bensì di un rapporto di bilinguismo (Grassi,

1993: 280). L‟impiego sia del dialetto, sia della lingua standard viene determinato da alcuni

fattori sociali. Così si rimarca un uso del dialetto più ampio nei ceti sociali più bassi, negli

anziani più che nei giovani, negli uomini più che nelle donne, al Sud più che al Nord e, infine,

in campagna più che nelle città (Berruto, 1993a: 6).

A causa di varie ragioni l‟italiano ha negli ultimi decenni guadagnato sempre più terreno a

svantaggio dei dialetti. Consideriamo i risultati delle inchieste Doxa4 presentati in Voghera

(1992: 56-57), che confrontano il numero di parlanti del dialetto a quello di parlanti

dell‟italiano:

DIALETTO 1974 1982 1988

Con tutti i familiari

Con alcuni familiari

Fuori casa sempre

51,3%

23,7%

28,9%

46,7%

23,9%

23,9%

39,6%

26,0%

23,3%

Fuori casa più spesso

dell‟italiano

13,4% 13,1% 9,9%

In questa tabella si vede che l‟uso del dialetto declina gradualmente a partire degli anni

Settanta, sia in ambiente familiare sia fuori casa.

L‟impiego dell‟italiano conosce uno sviluppo diverso:

ITALIANO 1974 1982 1988

Con tutti i familiari 25,0% 29,4% 34,4%

Fuori casa sempre 22,7% 26,7% 31,0%

Fuori casa più spesso

del dialetto

12,9% 15,2% 16,3%

Questi dati mostrano che l‟uso dell‟italiano aumenta visibilmente. Voghera aggiunge che

l‟italiano si usa soprattutto in zone urbane, tra i giovani e tra gli individui di istruzione media

o superiore.

4 Doxa, fondata nel 1946, è una società che effettua ricerche statistiche in Italia.

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Accanto alle indagini Doxa esiste un inchiesa effettuata dall‟Istat5, anch‟essa menzionata da

Voghera (1992: 58), che esamina l‟uso del dialetto e dell‟italiano nell‟ambiente familiare, con

amici e con estranei. Nel suo lavoro di 1992, Voghera riproduce unicamente i dati del 1988.

Noi rappresenteremo anche i dati più recenti del 2000 e del 20066, al fine di poter fornire

un‟interpretazione più completa dell‟evoluzione dell‟uso dialetto/italiano. Nel 1988 l‟indagine

è stata condotta in circa 23000 famiglie, per un totale di circa 71000 individui. Nel 2000

l‟inchiesta ha riguardato circa 20000 famiglie e per un totale di 55000 individui, nel 2006

circa 24000 famiglie e circa 54000 individui.

DIALETTO 1988 2000 2006

Famiglia 31,3% 19,1% 16,0%

Amici 25,7% 16,0% 13,2%

Estranei 13,1% 6,8% 5,4%

ITALIANO 1988 2000 2006

Famiglia 41,8% 44,1% 45,5%

Amici 45,0% 48,0% 48,9%

Estranei 64,7% 72,7% 72,8%

Nonostante le differenze tra Doxa e Istat, riguardanti ad esempio la distinzione tra amici e

estranei per l‟uso fuori della famiglia nell‟Istat, tutti i dati mostrano la stessa evoluzione: l‟uso

del dialetto diminuisce gradualmente a favore di un uso più largo dell‟italiano. Corrado Grassi

(1993: 280) individua alcune ragioni di natura storico-sociale per le quali l‟italiano ha

guadagnato sempre più terreno sui dialetti: l‟unità culturale, linguistica e politica dell‟Italia,

l‟insegnamento scolastico, l‟entrata in scena dei mass media, la maggiore mobilità geografica

degli italiani, l‟industrializzazione e la terziarizzazione dell‟Italia, l‟aumento della probabilità

di un ascesa sociale, l‟urbanizzazione dell‟Italia e la simultaneità dell‟informazione che

cancellano la differenza tra campagna e città. Tutte queste ragioni non concernono

diretteamente i parlanti, cioè essi non se ne rendono conto. Tuttavia, l‟espansione dell‟italiano

può essere dovuta anche a scelte consapevoli dei parlanti. Secondo Mioni (1983: 504), i

dialettofoni possono voler consapevolmente imparare l‟italiano per tre ordini di motivi:

5 L‟Istat, l‟istituto nazionale di statistica, è fondato nel 1926. Così come Doxa è un‟organizzazione di ricerca

pubblica. 6 I dati si trovano sul sito www.istat.it.

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acquisire la padronanza della lingua standard 1) è di aiuto nell‟ascesa di classe sociale ed

evita le discriminazioni su base linguistica; 2) assicura una comprensione migliore dei

giornali e della televisione; 3) consente di poter scrivere correttamente per vari motivi pratici.

Per quanto concerne il rapporto tra dialetto e italiano, Mioni (1983) ritiene che il contatto tra

italiano e dialetto dia luogo ad un nuovo tipo di italiano in cui sono presenti ipercorrettismi,

interferenze tra le due lingue e semplificazioni, tipiche d‟altro canto delle lingue in contatto.

Nel caso dell‟italiano, il dialetto costituisce l‟altro sistema linguistico con cui l‟italiano viene

in contatto. Mioni precisa anche che la lingua standard, in quanto lingua della tradizione

letteraria e culturale, si rivela conservatrice e contiene delle regole più complesse. Tuttavia, «

quando un parlante di un‟altra L1 apprende una lingua standard di solito non riesce ad

apprendere perfettamente le regole, bensì le apprende eliminando restrizioni, parti di regole,

ecc., molto spesso seguendo la sua base di partenza, ma talvolta semplificando direttamente

nella L2, indipendentemente dalla sua L1 » (Mioni, 1983: 499)7. In ambedue i casi il

comportamento del parlante può provocare dei cambiamenti nella grammatica della lingua

appresa, cioè nella grammatica dell‟italiano. Visto che alcuni di questi cambiamenti sono

abbastanza notevoli, si può suppore che il contatto tra dialetto e lingua standard provochi

l‟esistenza di una nuova varietà di italiano. Mioni (1983: 499) parla di italiano popolare.

Secondo lo studioso questa varietà si distingue dall‟italiano standard « non solo per fatti

fonologico-ortografici o morfosintattici o lessicali, ma anche per fatti „diamesici‟ e „diafasici‟

» (Mioni, 1983: 511). L‟italiano popolare, per il suo stretto contatto col dialetto, è sempre

anche italiano regionale e può essere considerato la varietà del repertorio italiano più bassa e

locale. Tale varietà si presenta per lo più sotto la dimensione orale. Tuttavia, quando esso

viene impiegato nello scritto, si nota spesso la presenza di tratti che sono propri dell‟oralità. In

secondo luogo l‟italiano popolare sembra soprattutto appartenere alle classi sociali meno

privilegiate.

2.2.2 L‟italiano parlato nella linguistica

7 L1 sta per lingua materna e L2 per lingua seconda.

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Se i dialetti vanno considerati come lingue indipendenti dall‟italiano standard, con un lessico

e una grammatica propri, l‟italiano parlato può essere considerato una varietà della lingua

italiana. Evidentemente il parlato differisce dall‟italiano letterario scritto. Ma come definire

questa tale varietà? Sabatini (1985: 171) parla di una varietà della lingua nazionale, alla quale

dà il nome di italiano dell‟uso medio parlato e scritto. Si tratta di una varietà che si allontana

tanto dalla lingua standard quanto dalle varietà regionali. L‟italiano dell‟uso medio non

coincide interamente con il concetto di italiano parlato, perché considera anche alcune varietà

informali di lingua scritta, ma si oppone chiaramente a quello che Sabatini (1985: 180)

chiama la varietà standard per l‟uso scritto formale. I tratti individuati nell‟italiano dell‟uso

medio sono quindi soprattutto marcato in diamesia (scritto/parlato) e in diafasia

(formale/informale). Sabatini conferma che questi tratti sono anche presenti in certe varietà

diastratiche e diatopiche, come l‟italiano regionale e i dialetti. Questa presenza è del tutto

logica, visto il legame di queste varietà con l‟oralità e l‟informalità.

Dato che la nozione di italiano parlato è stata sviluppata abbastanza di recente, anche gli studi

più importanti sull‟argomento datano agli ultimi decenni. Secondo Voghera (1992: 63) i

contributi più significativi sono quelli di De Mauro (1970b), Nencioni (1976, 1987), Martin

(1977), Stammerjohann (1977), Cresti (1977, 1987), Lepschy (1978), Sornicola (1981, 1984,

1985), Sabatini (1983, 1985), Berretta (1984, 1985a, 1985b, 1986), Cortelazzo (1985),

Bazzanella (1985), Burkhardt (1985), Held (1985), Radtke (1985), Holtus e Radtke (a cura di)

(1985), Berruto (1985c, 1987), Koch e Oesterreicher (1990), D‟Achille (1990).

2.3 Caratteristiche del parlato

2.3.1 Definizione e tratti generali del parlato

Abbiamo visto che il parlato non è unicamente il contrario dello scritto sull‟asse diamesico: la

variazione diamesica concerne anche gli altri tipi di variazione. Si capisce quindi che non è

facile fornire una definizione soddisfacente del parlato.

Berretta (1994: 241) scrive che definire l‟italiano parlato si rivela un compito abbastanza

problematico. Innanzitutto esistono vari tipi di testi parlati; il problema più grande, però,

viene dalla sovrapposizione della dimensione diamesica e di quella diafasica.

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Anche Sabatini (1985: 154) osserva questa difficoltà , che, a suo parere, comincia già con la

definizione del concetto. A volte si parla di italiano regionale, italiano popolare, italiano

tecnologico, neocapitalistico. Sabatini stesso preferisce parlare dell‟italiano dell‟uso medio,

termine che si colloca dunque sull‟asse della diafasia.

Voghera (1992: 14) rimarca che la nozione di parlato dà luogo a tre interpretazioni diverse8.

In primo luogo il parlato può essere considerato come « comunicazione linguistica di base ».

In questa accezione il parlato si distingue diafasicamente da un linguaggio più aulico.

Secondamente il parlato è interpretato come « canale di trasmissione ». Qui la lingua parlata

si oppone diamesicamente alla lingua scritta. La terza interpretazione vede il parlato come un

« insieme di usi linguistici propri di un ambiente culturale o di un luogo geograficamente

ristretto e ben definito, in contrapposizione al linguaggio scritto, letterario o ufficiale, di un

ambiente colto ». Questa ultima interpretazione concerne quindi piuttosto la diatopia e la

diastratia.

Nonostante le difficoltà, Berretta (1994: 242) propone una definizione del parlato. Secondo la

studiosa si può utilizzare il concetto di parlato per « tutti i (tipi di) testi che vengono realizzati

attraverso il canale fonico-acustico, escludendone solo la lettura ad alta voce o la recitazione

a memoria di testi scritti ». Si nota che in questa definizione sono omesse le altre dimensioni

di variazione, cioè la diatopia, la diastratia, la diacronia e la diafasia. Riteniamo che la

distinzione tra parlato e scritto riguardi sempre le altre dimensioni di variazione: d‟altro canto

però, l‟elaborazione teorica richiede necessariamente delle limitazioni.

Normalmente si suppone per il parlato la compresenza di almeno due interlocutori, il parlante

e l‟ascoltatore, e la possibilità della retroazione o feedback, cioè la possibilità di «

autocorrezione, correzione degli errori altrui, interventi sugli enunciati dell‟interlocutore,

controllo del passaggio dell‟informazione » (Masini, 2004: 38). Questi due fattori possono

tuttavia essere assenti: in una conversazione telefonica ad esempio i due interlocutori non si

trovano nello stesso posto, mentre in un programma televisivo il feedback non è possibile.

Accanto a questi due fattori, legati agli interlocutori, Berretta (1994: 243) individua una serie

di altri tratti che caratterizzano il parlato. I tratti enumerati da Berretta sono i seguenti: 1) la

produzione lineare del discorso, che va di pare con una scarsa pianificazione e che rende

chiari i limiti della memoria; 2) l‟impossibilità di correggere il proprio testo; 3) la

8 Voghera si ispira dalla definizione della voce parlato nel GDLI: « Rappresentato o costituito dal linguaggio

spontaneo e quotidiano (considerato dal punto di vista lessicale, morfologico, sintattico e fonetico), per lo più di

un ambiente culturale o di un luogo geograficamente ristretto e ben definito, in contrapposizione al linguaggio

scritto, letterario o ufficiale, di un ambiente colto. In senso generico: usato nella comunicazione orale ».

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frammentarietà del discorso, provocata da pause di esitazione, autocorrezioni, frasi

incompiute, ecc.; 4) il predominio della semantica sulla sintassi; 5) la sua funzione sociale: il

parlato costruisce e mantiene una relazione tra gli interlocutori; 6) la presenza di una

comunicazione non verbale, ad esempio gesti fisici; 7) la maggiore informalità rispetto allo

scritto; 8) il legame con il contesto, sia linguistico sia extralinguistico.

Ci sembra interessante commentare l‟ultimo elemento più da vicino, perché ci servirà nel

nostro discorso sulla DD. Nel parlato certi elementi, che normalmente vengono espressi con

materiale lessicale, possono rimanere impliciti. Per prima cosa l‟elemento non esplicitato può

essere presente nel cotesto precedente. Questo fenomeno vale per tutti i testi orali, ma in

particolare per il dialogo, dove « ogni turno della conversazione riprende parzialmente

l‟informazione dei turni precedenti » (Voghera, 1992: 24). L‟esempio seguente mostra che

una parte della frase resta implicita, senza che la frase stessa diventi incomprensibile:

(1) A: Tutti questi effetti sono molto belli, ma hanno un risvolto pratico? (Berretta, 1994: 249)

B: Eh, cominciano.

Si osserva che nel parlato non è necessario esprimere tutto, mentre nello scritto la risposta B

sarebbe qualcosa del tipo cominciano ad averlo. Ma il legame con il contesto non si manifesta

unicamente su livello testuale. Spesso il parlante si riferisce al contesto extralinguistico. Si

parla in questi casi di deitticità o indessicalità. Nella lingua sono presenti elementi deittici

come i pronomi personali di prima e seconda persona, particelle e avverbi locative e

temporali, pronomi e aggettivi dimostrativi, ecc. Nel parlato conversazionale si aggiungono

ancora altri elementi che rimandano al contesto situazionale.

(2) a. Lei che cosa pensa di questo testo? (Berretta, 1994: 250)

b. Tz-tz, non puoi.

Nel esempio (a) il parlante può indicare un libro, nella frase (b) il parlante reagisce a qualcosa

che succede nella realtà extralinguistica. Quando gli interlocutori hanno conoscenze condivise

le cose possono anche essere dette in modo implicito. Berretta (1994: 250) dà l‟esempio di

una studentessa che chiede dopo l‟esame ad un‟amica: Come ti è andato?. In questo enunciato

gli interlocutori sanno tutte e due che la domanda verte sull‟esame appena dato.

Ricordiamo che questi tre tipi di legame con il contesto sono propri del parlato

conversazionale. Nel monologo e nel testo espositivo si osserva una tendenza ad

un‟esplicitezza maggiore, con la ripetizione del sintagma nominale, oppure con la sua ripresa

con l‟articolo e con dimostrativi e aggetivi anaforici del tipo questo, tale, lo stesso, ecc.

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Trattando di parlato e scritto si devono, secondo Berruto (1993: 39), distinguere i tratti tipici

del parlato da un lato e i tratti propri dello scritto dall‟altro. Tratti tipici del parlato sono la

prosodia, la paralinguistica, l‟intonazione, ecc. Lo scritto, d‟altra parte, è soprattutto

caratterizzato da elementi grafici, come l‟interpunzione, l‟uso di maiuscole, il lay-out del

testo, ecc. Ai tratti propri del parlato e dello scritto si aggiungono caratteristiche comuni a

ambedue. Questi tratti hanno sia una frequenza maggiore o minore sia altri significati e

funzioni nel parlato rispetto allo scritto (Berruto, 1985: 139).

Secondo Berruto (1985: 143-144) il parlato viene caratterizzato da quattro fattori

fondamentali:

1) l‟egocentrismo: il discorso viene centrato sul parlante. Alcune conseguenze

dell‟egocentrismo linguistico sono l‟enfasi, l‟importanza della deissi e il centro di

interesse comunicativo. Berruto fa la distinzione tra il centro di interesse e la periferia,

il primo essendo l‟informazione alla quale gli interlocutori si interessono di più e il

secondo ciò che viene lasciato sullo sfondo.

2) la semplificazione, che può essere intesa, da un lato, come vera e propria

semplificazione linguistica che implica una riduzione di forme linguistiche utilizzate, e

dall‟altro come controllo formale minore da parte degli interlocutori.

3) la non pianificazione: il parlante non pianifica il suo discorso in anticipo. Si parla

anche di una scarsa pianificazione del discorso, quando il parlante non presta molta

attenzione all‟organizzazione del suo testo.

4) la percettività: il parlante cerca di rendere il suo messaggio decodificabile per

l‟ascoltatore.

Da questi quattro fattori conseguono regole meno rigorose di quelle della grammatica della

lingua scritta standard. Queste ultime si situano su livello morfosintattico, mentre le regole del

parlato hanno danno maggiore centralità alla dimensione semantica del discorso. Secondo

Berruto (1985: 144) esistono due classi di regole. La prima classe contiene le regole, di natura

paradigmatica, che riducono le unità morfologiche, dando luogo a meno forme con più valori.

La seconda comporta regole che segmentano il discorso in pezzi più brevi e regole che

collegano il discorso con il contesto extralinguistico e con l‟empatia del parlante.

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2.3.2 Sintassi dell‟italiano parlato

Nel paragrafo 2.3.1. abbiamo brevemente ripetuto le caratteristiche individuate da Berretta

(1994) e Berruto (1985). Queste caratteristiche non sono tipicamente italiane, ma valgono per

il parlato di tutte le lingue. Per quel che riguarda l‟italiano stesso molti studiosi propongono

una serie di tratti propri del parlato. Si tratta di elementi testuali, sintattici, morfologici,

lessicali e fonologici9. Nella parte che segue parleremo unicamente della sintassi, perché la

struttura che ci interessa, cioè la DD, si situa in questo dominio. Ci limiteremo in questa sede

a menzionare le caratteristiche sintattiche più pertinenti per il nostro discorso, cioè quelle che

riguardano la struttura dell‟enunciato. Per questo ci baseremo su Sabatini (1985), Berruto

(1985), Berretta (1994) e Masini (2004).

Nella lingua parlata spontanea, cioè in discorsi non preparati, non c‟è molto tempo per

strutturare il testo. Di conseguenza i testi orali tendono ad organizzare l‟informazione in modo

lineare, e non, come nello scritto, in modo gerarchico. La paratassi prevale quindi

sull‟ipotassi. Berruto (1985: 136) nota una preferenza per la paratassi asindetica, cioè una

paratassi caratterizzata dall‟assenza di connettivi. Per le frasi coordinate Berretta (1994: 252)

osserva un‟alta frequenza dei connettivi e, ma, però, poi, allora. Le frasi subordinate sono

ovviamente presenti nel parlato: esse sono tuttavia meno frequenti10

, e la gamma di

subordinate è piuttosto limitata. Inoltre sono sempre le stesse congiunzioni che ritornano.

Masini (2004: 41) menziona l‟uso frequente di siccome, dato che, visto che, perché, rispetto

ad un uso raro delle congiunzioni affinché, poiché, giacché. Anche frequente nel parlato è

l‟uso del cosidetto che polivalente. Questo che, pronome relativo all‟origine, funge da

connettivo generico con diverse funzioni. Secondo Sabatini (1985: 164) il che polivalente

compie almeno quattro funzioni diverse. In particolare esso: 1) può esprimere un valore

temporale (a); 2) può servire a connettere tra loro i due membri della frase scissa (b); 3) con

l‟apparente funzione di soggetto o oggetto, può venire ripreso da un pronome che ha funzione

di oggetto indiretto (c); 4) può esprimere valore causale (d).

(3) a. La sera che ti ho incontrato. (Sabatini, 1985: 164-165)

b. È stata una fortuna che mi hai trovato ancora a casa.

c. Quel mio amico che gli hanno rubato la macchina.

9 Per tutti i tratti tipici del parlato si vedano tra gli altri Sabatini (1985), Berruto (1985) e Berretta (1994).

10 Berruto nota che « la proporzione di proposizioni dipendenti nel parlato tende ad aggirarsi fra la metà e 1/3

rispetto alle proposizioni principali e coordinate, e che si registrano non raramente subordinazioni di secondo e

anche di terzo grado » (Berruto, 1985: 137).

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d. Aspetta, che te lo spiego.

Per le frasi subordinate va ancora notato che nel parlato esse appaiono soprattutto dopo la

principale.

(4) a. Ci credo, dato che me l‟hai detto tu. (Berruto, 1985: 138)

b. Dato che me l‟hai detto tu, ci credo.

La prima frase risulta più tipica del parlato, visto che è centrata sull‟io parlante. Il fatto che la

subordinata tenda a seguire la principale è prova della natura segmentata e egocentrica della

sintassi del parlato.

Per quel che riguarda la struttura della frase Berruto (1985: 126-138) individua, accanto al che

polivalente, altri 16 tratti tipici del parlato-parlato11

. Riprendiamo qui brevemente quelli che

si trovano sullo stesso livello della dislocazione, dato che è questa struttura che ci interessa.

Con tratti che si trovano sullo stesso livello intendiamo dire quei costrutti che influiscono

sull‟ordine delle parole nell‟enunciato.

1) L‟uso di elementi intensificativi. Si tratta in primo luogo di aggettivi (a) anteposti o

posposti ad altri aggettivi. Secondamente si osserva l‟impiego del così intensificativo

(b), che ha perso il suo valore deittico.

(5) a. Un gran brutto odore. (Berruto, 1985: 126)

b. [...] dove non c‟era così tanto traffico [...]

2) La presenza di elementi deittici che hanno un valore enfatico-rafforzativo o allusivo, e

non un valore dimostrativo. Questi deittici possono essere legati alla natura

egocentrica della sintassi del parlato, sia in quanto fanno parte di strutture rafforzative

per definizione sia perché alludono alla situazione extralinguistica in cui si trovano gli

interlocutori.

(6) a. Ogni soldato lo mettono in un posto [...] e quello lì deve osservare. (Berruto, 1985: 126)

b. Va bene questo qui, per fare una raccomandata? (Berruto, 1985: 127)

11

Berruto riprende qui il lavoro di Nencioni (1976), dicendo che la lista dei tratti distinti da lui appartiene al

parlato-parlato, cioè il parlato conversazionale spontaneo.

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3) La ridondanza pronominale. Berruto limita questo fenomeno al pronome ci, che aveva

all‟origine un valore locativo e che nel parlato spesso è fuso con il verbo. Sabatini

(1985: 160-161) spiega che ciò avviene in primo luogo dei verbi essere (a) e avere (b).

(7) a. A quest‟ora non ci sono più treni per Firenze. (Sabatini, 1985: 160)

b. C‟hai l‟ombrello?

Ci si utilizza anche spesso con altri verbi come sentire, vedere, entrare, capire,

credere, volere.

(8) a. Non ci capisco niente. (Sabatini, 1985: 161)

b. Ci vuole pazienza.

In questi casi si può parlare di una morfologizzazione del pronome ci, che, secondo

Sabatini prende, in questi casi, un valore attualizzante. Quando si omette il pronome la

frase prende un altro significato o diventa agrammaticale. Il ci va dunque verso una

grammaticalizzazione.

4) Riprese e coreferenze pronominali atipiche. Si considera l‟esempio seguente:

(9) [...] io mi scoccio sempre di andare a comprare la roba; e facilmente li va comprare mia

mamma [...]. (Berruto, 1985, 127)

In questa frase si osserva un accordo deviante tra la roba e li. Per spiegare questo

fenomeno Berruto dice che il parlante fa spesso « referenza non esplicita all‟universo

di discorso invece che al co-testo o al contesto » (Berruto, 1985: 127). È dunque

probabile che nel nostro esempio il parlante utilizzi il pronome li per riferire ai vestiti

che ha in mente.

5) Due altri casi di accordi devianti sono quello tra nome e aggettivo (a) e quello tra

soggetto e predicato (b).

(10) a. [...] è un dato positivo. Positivo rimane anche l‟attuazione della riforma [...].(Berruto,

1985, 128)

b. Una signora di Milano, che avevano la roulotte [...].

6) I costrutti con il c‟è (o ci sono) presentativo. Si tratta di una frase spezzata in due, il

cui secondo membro viene introdotto da che.

(11) C‟è solo Tullio che dev‟essere chiamato all‟ordine. (Berruto, 1985: 128)

In questa struttura la prima parte, cioè quella introdotta dal c‟è presentativo, viene

messa in rilievo.

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7) La messa in evidenza di uno o più elementi della frase si osserva anche in altre

strutture del parlato. In questo ambito Berruto tratta le topicalizzazioni12

(a), le

dislocazioni a sinistra (b), le dislocazioni a destra (c) e le frasi scisse (d).

(12) a. Di filosofia, stavamo discutendo. (Benincà, 1988: 136)

b. Io il caffé lo voglio bello forte. (Berruto, 1985: 129)

c. Ogni tanto bisogna anche nominarlo, „sto Piccinelli.

d. Com‟è che non sei venuto?

Tutte queste strutture servono a mettere in rilievo il tema o il rema della frase. Berruto

distingue tra il centro e la periferia dell‟interesse. Ciò che viene enfatizzato in una

struttura segmentata è il centro di interesse del parlante. I costrutti menzionati qui

sopra partono quindi da una sintassi egocentrica.

8) Gli anacoluti. Berruto ne dà due esempi: il primo (a) si avvicina alla topicalizzazione,

mentre il secondo (b) può essere interpretato come una glossa.

(13) a. Io francamente quest‟esame era stato il secondo che avevo dato. (Berruto, 1985: 130)

b. [...] poi siamo andati insieme a far la scalata al balìn. Scalata al balìn è quello là in

fondo, molto alto [...].

Secondo Sabatini (1985: 178) i tratti sintattici13

propri del parlato non sono innovazioni

recenti. Molti dei tratti enumerati esistevano già nella lingua italiana del passato. Alcuni

datano perfino del latino tardo. Anche la DD, che tratteremo a partire dal capitolo 3, conosce

origini antiche (cfr. infra).

2.3.3 Tratti del parlato nello scritto

Abbiamo visto che ogni asse della variazione può essere considerato come un continuum. I

due poli estremi dell‟asse diamesico vengono occupati dall‟italiano scritto-scritto e

dall‟italiano parlato-parlato (Berruto, 1993a: 1014

). Le caratteristiche che abbiamo trattato per

il parlato non si ristringono unicamente al parlato-parlato: possono anche essere presenti

12

Topicalizzazioni contrastive, che mettono in evidenza il rema della frase (si tratta in realtà di una

focalizzazione, chiamata tradizionalmente topicalizzazione perchè l‟elemento messo in evidenza si trova nella

posizione tipica del tema – cioè ad inizio di frase). 13

Sabatini (1985: 156-170) fornisce anche una lista di tratti del parlato, che è paragonabile a quella di Berruto

(1985). 14

Berruto riprende la terminologia introdotta da Nencioni (1976).

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nelle varietà intermedie che si situano tra il parlato-parlato e lo scritto-scritto. Tra l‟altro

Sabatini dice che questi tratti « non sono limitati al discorso „orale-non pianificato‟, ma [che]

risultano pienamente funzionali anche per un discorso „scritto-pianificato‟, purché non

decisamente formale » (Sabatini, 1985: 171). È per questo motivo che Sabatini preferisce il

termine di italiano dell‟uso medio a quello di italiano parlato.

Interessante per l‟analisi di caratteristiche del parlato in certi testi scritti è D‟Achille (1990).

D‟Achille studia le dislocazioni in testi che si situano tra le origini dell‟italiano e il secolo

XIII. Nel primo capitolo del libro l‟autore insiste sulla vicinanza di alcuni testi scritti al

parlato. Questa vicinanza può spiegare la presenza nei testi di determinati tratti linguistici: ad

esempio le dislocazioni, soprattutto quella a destra, che si presentano di solito nella lingua

parlata. In primo luogo D‟Achille parla del « carattere privato del documento », che ha come

conseguenza un grado di sorvegliatezza ridotto rispetto allo scritto e un importanza maggiore

del contesto extralinguistico. Si tratta di scritture non destinate alla pubblicazione, come diari,

memorie, lettere private, ecc. Un secondo elemento che avvicina alcune scritture al parlato è

la « spontaneità del testo ». Essa consiste in una serie di tratti propri del parlato e dei

documenti scritti poco o non elaborati: una scarsa pianificazione del testo, la sua non

correggibilità, mutamenti di direzione dovuti alla minore chiaratezza degli scopi del discorso.

La « fonicità » è normalmente l‟elemento più distintivo che separa il parlato dallo scritto. Ma

a volte il carattere fonico è anche presente in testi scritti. D‟Achille afferma che non si è

limitato all‟analisi di testi appartenenti alla categoria dello scritto-scritto, cioè i testi scritti per

essere letti silenziosamente. Tra i testi che hanno un massimo grado di fonicità, l‟autore

menziona i discorsi realmente pronunciati (ad esempio le testimonianze processuali), i testi

dettati e le opere teatrali. Sono caratterizzati da un grado meno alto, ma sempre presente, di

fonicità, anche i discorsi che hanno all‟origine un‟autodettatura, le testimonianze che

riportano una tradizione orale e alcuni dialoghi. La « allocutività » , poi, rende lo scritto

vicino al parlato nel modo in cui il mittente presuppone un destinatario per il suo testo. Così

viene riempita l‟assenza di un destinatario direttamente copresente e di un feedback. L‟ultimo

elemento menzionato da D‟Achille è la « soggettività », termine spesso legato al parlato, che

indica l‟impegno emotivo dallo scrittore da un lato e la sua volontà di convincere il pubblico

dall‟altro.

Nella società contemporanea si osserva una varietà scritta in cui i tratti del parlato hanno un

valore importante; si tratta dello scritto trasmesso. Durante il Novecento si sono largamente

sviluppati i mezzi di trasmissione e telecomunicazione, che hanno dato luogo a nuove varietà

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di lingua trasmessa (D‟Achille, 2003: 209): da una parte è comparso il parlato trasmesso

(attraverso il telefono, la radio, il cinema, la televisione), dall‟altra, lo scritto trasmesso

(attraverso la posta elettronica, le chat-lines, gli SMS).

Dal punto di vista storico, il parlato trasmesso ha avuto grande importanza nella diffusione

della lingua nazionale. Esso, infatti, ha favorito l‟unificazione linguistica dei diversi abitanti

dell‟Italia: al fine di poter raggiungere tutti gli abitanti del territorio italiano si è dovuto

ricorrere ad un italiano parlato che superasse il livello dei dialetti. Gli italiani, esposti sempre

più all‟ascolto della lingua nazionale, hanno così sviluppato una migliore competenza passiva

e attiva della lingua italiana. Attualmente, inoltre, la società italiana contemporanea può

essere vista come una « civiltà che si avvale largamente della comunicazione orale

“ampliata” e “ufficializzata”, qual è quella affidata ai moderni mezzi di trasmissione fonica

e visiva » (Sabatini, 1985: 155). Anche D‟Achille sottolinea l‟importanza del parlato

trasmesso nella società moderna, dicendo che « la radio e soprattutto la televisione sono

diventate specchio della realtà linguistica contemporanea » (D‟Achille, 2003: 210).

A prima vista questa importanza crescente del parlato parrebbe accompagnata da un declino

dello scritto. Tale impressione non è confermata però dall‟espansione, avvenuta negli ultimi

decenni, della scrittura elettronica (D‟Achille, 2003: 215),. Questo tipo di scrittura comprende

forme quali la posta elettronica (e-mail), le chat-lines e gli SMS (short message service).

Tutte queste varianti hanno in comune la ricerca della dialogicità, che le rende più vicine al

parlato. Una prima somiglianza tra lo scritto trasmesso e il parlato sta nel fatto che il discorso

si svolge attraverso piccoli blocchi di informazione. Ne consegue una semplificazione della

lingua scritta tradizionale, ad esempio con una riduzione delle frasi subordinate. Altri paralleli

con il parlato si trovano nella minore possibilità di corregere il testo, nella minore

elaborazione di esso e nella possibilità di una lettura che avviene simultaneamente alla

scrittura (soprattutto nelle chat-lines).

D‟Achille (2003: 217) è dell‟opinione che la posta elettronica sia più vicina alla telefonata che

alla lettera. L‟e-mail viene utilizzata per messaggi urgenti e spesso informali, in cui vengono a

volte ridotti le formule di apertura e di chiusura e i riferimenti diretti al mittente e al

destinatario. Inoltre il discorso conosce una scarsa pianificazione, viene scritto in modo

veloce e non viene quasi mai riletto. Per quel che riguarda la sintassi le frasi sono di solito

brevi, quasi mai subordinate, e fanno spesso riferimento a conoscenze comuni. Lo stile della

posta elettronica va quindi nella direzione della colloquialità. L‟italiano delle chat-lines, in cui

il mittente e il destinatorio sono compresenti davanti allo schermo del computer, si avvicina

ancora più all‟italiano parlato, visto il suo alto grado di dialogicità. Questo tipo di scrittura

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25

cerca la « mimesi del parlato » (D‟Achille, 2003: 219). Non è tuttavia evidente riprodurre

certi elementi, come i segni paralinguistici e i mezzi prosodici (intonazione e ritmo), in un

testo scritto. La scrittura dei chat-lines ha trovato un modo innovativo per rappresentare questi

elementi: così le „faccine‟ (emoticons) servono ad esempio a rappresentare le emozioni del

mittente; le maiuscole e le ripetizioni delle lettere tendono ad imitare la voce. Così come nel

parlato la scrittura avviene in modo veloce, impedendo una pianificazione approfondita del

discorso. Nell‟ambito della sintassi si nota la presenza di certi tratti tipici del parlato, tra i

quali le dislocazioni a destra e a sinistra (D‟Achille, 2003: 219). Infine l‟italiano degli SMS si

mostra vicino al parlato per la sua brevità (un messaggio contiene al massimo 160 caratteri) e

la sua linearità (D‟Achille, 2003: 220). Sono anche molto comuni i testi senza spaziature, per

ridurre il numero di caratteri, oppure per imitare la catena fonica della lingua parlata.

Data la vicinanza dello scritto trasmesso al parlato, sarebbe interessante verificare quali tratti

del parlato si presentino in modo frequente in queste nuove forme di scrittura e, più

particolarmente per il nostro argomento, controllare quale sia il numero di dislocazioni a

destra in esse15

.

Queste nuove forme di scrittura mostrano che la variazione diamesica rimane un concetto

problematico (cfr. sopra). Infatti, nello scritto trasmesso non è possibile fare una distinzione

netta tra scritto e parlato: il canale di trasmissione è quello della scrittura, mentre la lingua

tende ad avvicinarsi al parlato. La diamesia non dipende quindi unicamente dal mezzo fisico

utilizzato, ma anche da altri fattori (ad esempio il modo in cui il testo è concepito).

2.4 Il parlato ha un‟altra grammatica?

Nelle pagine precedenti abbiamo visto che l‟italiano parlato viene caratterizzato da alcuni

tratti tipici. Essi possono essere di natura testuale, sintattica, morfologica, fonologica e

lessicale. Prendendo in considerazione questi tratti, si può chiedere se l‟italiano parlato

possieda una grammatica propria. Gaetano Berruto (1985) ha scritto a questo proposito un

articolo che si intitola Per una caratterizzazione del parlato: L‟italiano parlato ha un‟altra

15

Non abbiamo trovato dati precisi sulla presenza delle dislocazioni nello scritto trasmesso. Ma come abbiamo

tentato di mostrare lo scritto trasmesso si avvicina alla lingua parlata. Inoltre D‟Achille (2003:219) menziona la

presenza delle dislocazioni nella lingua delle chat-lines.. Possiamo quindi supporre che esse si trovano

effettivamente nello scritto trasmesso.

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26

grammatica?. In questo articolo Berruto intende per grammatica « l‟insieme di regole

descriventi il funzionamento e la strutturazione dei fatti lato sensu morfosintattici di una

lingua » (Berruto, 1985: 121). La domanda se il parlato abbia un‟altra grammatica non valida

d‟altronde unicamente per l‟italiano, ma per il parlato di tutte le lingue.

Nel suo articolo Berruto enumera una lista di tratti propri del parlato16

, che abbiamo

parzialmente ripreso nel paragrafo 2.3.2. L‟autore insiste sul fatto che i tratti elencati da lui

sono tutti di natura grammaticale. Le caratteristiche del parlato non sarebbero quindi il

risultato di una scelta stilistica da parte del parlante, quanto piuttosto forme standard della

lingua parlata. Il parlato possiede quindi una norma propria. Berruto spiega anche che la sua

lista di tratti concerne la competenza, e non l‟esecuzione. Per competenza si intende « la

conoscenza che il parlante-ascoltatore ha della sua lingua », per esecuzione « l‟uso effettivo

della lingua in situazioni concrete » (Chomsky, 1965: 45)17

. Prendendo in considerazione

unicamente la competenza, risulta più facile reperire una regolarità nell‟irregolarità che

sembra essere tipica del parlato e che è dovuta, in parte,al fatto che il parlato presenta strutture

a volte difficili da descrivere con gli strumenti della grammatica normativa elaborata per lo

scritto Anche Sornicola (1981: 13) afferma che si può parlare di una competenza parlata,

opponendosi così agli studiosi che considerano il parlato come facente parte unicamente

dell‟esecuzione linguistica. Secondo Sornicola i tratti tipici del parlato appartengono anche

alla competenza perché nella formazione di testi parlati si osservano alcune regole. La

nozione di competenza non si dovrà utilizzare quindi unicamente per lo scritto.

I tratti del parlato appartengono, secondo Berruto (1985: 139), a tre categorie diverse. In

primo luogo ci sono le forme o strutture assenti nello scritto standard. Esistono poi quelle che

sono anche presenti nello scritto standard, ma che ricorrono una frequenza maggiore o

minore. Infine si notano le forme o strutture che hanno un‟altra distribuzione nel parlato

rispetto allo scritto, cioè hanno altri funzioni e significati.

Un altro problema è stabilire quali tratti siano propri unicamente del parlato e quali si possano

anche ritrovare in altre varietà o registri, come l‟italiano popolare. Secondo Berruto si

possono anche considerare come tipici del italiano popolare la ridondanza pronominale, gli

accordi devianti tra ad esempio sostantivo e aggettivo, e certi tipi di anacoluti. L‟autore

afferma che « semplicemente, vi saranno alcuni tratti che caratterizzano e il parlato e il

popolare » (Berruto, 1985: 140). Alcuni di questi tratti sono marcati più fortemente in

diastratia che in diamesia, dato che essi appaiono più spesso nel parlato incolto o semincolto

16

Per la lista intera si veda Berruto (1985: 123-138). 17

Citiamo da Sornicola (1981: 10).

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27

Tra questi, Berruto menziona le elissi, le brachilogie, le parafrasi e le ripetizioni. Berruto

stesso risolve il problema della tensione diamesia/diastratica: i tratti da lui individuati

derivano da discorsi tra parlanti sia colti che incolti in contesti sia formali che informali.

Un‟eventuale grammatica del parlato dovrebbe basarsi infatti su tratti che riflettono la realtà

linguistica dell‟italiano parlato, prodotto da parlanti di ogni gruppo sociale e livello culturale.

Abbiamo visto che esistono, secondo Berruto (1985: 144), diverse regole che determinano il

parlato. Si tratta di regole paradigmatiche da un lato e regole sintagmatiche dall‟altro. Queste

regole sono riconducibili a quattro fattori fondamentali citati prima: 1) l‟egocentrismo; 2) la

semplificazione; 3) la non pianificazione; 4) la percettività. Nonostante l‟esistenza di queste

regole Berruto ritiene che non si possa parlare di una grammatica propria del parlato. Secondo

lui « le regole della morfosintassi del parlato non sono intrinsecamente differenti né

radicalmente autonome rispetto a quelle dello standard scritto: si pongono all‟interno del

quadro di riferimento da queste disegnato, aumentando la libertà d‟iniziativa di chi parla

rispetto a chi scrive » (Berruto, 1985: 144-145). Le regole del parlato lasciano quindi più

libertà al parlante, però non danno luogo ad un‟altra grammatica: il parlato semplicemente

utilizza in massimo grado alcune possibilità che esistono nel sistema linguistico18

. Secondo

Berruto sarebbe dunque lo scritto ad essere „derivato‟ dal parlato, e non inversamente: la

grammatica dello scritto standard, cioè, impone restrizioni alle regole del parlato,

considerando certi tratti tipici del parlato come eccezioni19

.

In conclusione si può dire che il parlato allarga le possibilità dello scritto standard, e che ha

una grammatica più libera. La maggiore libertà del parlante sta nel fatto che la grammatica del

parlato è concentrata sul parlante piuttosto che sull‟esplicitare a fondo il sistema. Com‟è noto,

nello scritto c‟è maggiore ricchezza di forme sotto altri punti di vista (maggiore sfruttamento

della subordinazione, paradigmi morfologici più ricchi, campo lessicale più esteso, ecc), però

nel parlato si assiste alla « possibilità di larga integrazione contestuale delle regole della

grammatica » (Berruto, 1985: 146).

Anche in altri lavori sul parlato gli studiosi riflettano su una grammatica propria del parlato.

In generale, gli altri linguisti sono d‟accordo con Berruto. Citiamo alcuni passi:

18

Berruto considera il parlato e lo scritto da un punto di vista sintagmatico. Dal punto di vista paradigmatico

però lo scritto utilizza più risorse rispetto al parlato (paradigma pronominale più ampio, paradigma verbale più

ampio...). In questo senso il parlato non ha possibilità più ampie dello scritto. 19

Berruto menziona che anche Hall (1975), Givón (1979) e Stubbs (1980) parlano dello scritto come una

„derivazione‟ dal parlato.

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« Non siamo ancora a un cambiamento della norma, ma certamente oggi la norma è già divaricata.

Accanto alle trasformazioni socio-culturali, è anche la complessità e varietà del sistema di

comunicazioni che mette in crisi, forse in tutte le comunità, il predominio di una sola rigida norma e

comporta la coesistenza e concorrenza di più norme. Certo, nel contesto linguistico italiano,

l‟attivazione di tanti fattori nuovi sta ora portando a compimento un processo di selezione e promozione

che in altri contesti (quello francese soprattutto, ma anche quello spagnolo) si era compiuto già da

tempo. » (Sabatini, 1985: 178)

« Mentre per il francese, a grandi linee, si è d‟accordo nel ritenere che, per le caratteristiche

morfosintattiche e sintattiche del parlato si possa pensare a una grammatica relativamente autonoma del

codice parlato nei confronti del codice scritto, la situazione linguistica italiana è piuttosto diversa. È

vero che l‟italiano parlato presenta tutta una serie di particolarità di fronte a testi concepiti e realizzati

come testi scritti, ma si tratta in prevalenza o di caratteristiche generali della lingua parlata (dunque non

di particolarità specifiche di un codice parlato dell‟italiano) oppure di caratteristiche che risalgono a

peculiarità dialettali o regionali, che non permettono di costituire un sistema autonomo di un‟ “altra”

grammatica dell‟italiano parlato. » (Holtus, 1986: 11).

« ... il parlato e lo scritto rispondano a principi costitutivi diversi: la funzionalità comunicativa l‟uno, la

buona formazione sintagmatica l‟altro. Leggendo alcuni lavori si ha quasi l‟impressione che il parlato

sia sinonimo di pragmatica e lo scritto di sintassi. È questa idea che ha portato molti ricercatori a

chiedersi se il parlato e lo scritto debbano considerarsi governati da regole divse, cioè abbiano

grammatiche diverse. Mi pare di poter dire che la risposta a questa domanda è stata sostanzialmente

negativa; si amette però che le peculiarità del parlato, e in particolare la sintassi, derivino da alcuni

principi che sono propri di questa forma di comunicazione: informalità; scarsa pianificazione; mancanza

di autonomia; implicitezza; involved quality. » (Voghera, 1992: 76)

« ... sarà ormai chiaro che la risposta alla domanda che talvolta è stata posta, se l‟italiano abbia una

“grammatica” sua propria, ovvero costituisca un sistema in qualche modo separato rispetto alla lingua

scritta, è tendenzialmente negativa, almeno in una accezione stretta della nozioni di grammatica e

sistema. A livello di codice fonico vs grafico, che per altre lingue dà luogo a differenze rilevanti (si

pensi per esempio al francese), l‟italiano mostra una discreta corrispondenza di unità; nella

morfosintassi e nel lessico le differenze sono spesso di grado (in particolare concernono la frequenza di

occorrenze) piuttosto che di regole diverse. Solo a livello di testualità la differenza è macroscopica, ma

a questo livello si è ormai fuori dai confini usuali della grammatica e del sistema d‟una lingua. »

(Berretta, 1994: 244)

« Ai tratti inerenti al parlato nella sua veste più canonica (linearità e immediatezza nella produzione e

nella ricezione del messaggio; evanescenza del messaggio; uso dei tratti prosodici e di quelli

paralinguistici; compresenza di parlante e interlocutore nello stesso spazio; interazione fra parlante e

ascoltatore) l‟italiano contemporaneo, in specie nel settore dell‟organizzazione testuale e sintattica del

discorso, risponde con una serie di strategie dalla ben distinta fisionomia: non una grammatica diversa e

separata da quella della lingua standard, ma un fascio di particolarità che acquista crescente importanza

nelle dinamiche della lingua d‟oggi, in conseguenza delle rinnovate modalità degli scambi

comunicativi. » (Masini, 2004: 38)

Tutti questi ricercatori sono d‟accordo nel sostenere che l‟italiano parlato non ha una

grammatica diversa di quella dello scritto standard. L‟italiano parlato non si può dire

omogeneo, visto l‟alto numero di varietà, soprattutto diastratiche e diatopiche (Holtus, 1986:

3-4). Il parlato ha inoltre altri meccanismi per costruire il discorso, che sono soprattutto legati

a bisogni comunicativi. Le regole che stabiliscono il parlato non fanno parte di un‟altra

grammatica, quanto piuttosto di una norma diversa. La norma è un livello di astrazione

linguistica che si situa a metà tra la langue (il sistema) e la parole (l‟atto linguistico

individuale). Si intende con norma l‟insieme delle realizzazioni linguistiche ammesse

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29

all‟interno di una certa di comunità linguistica (Coseriu, 1952 [Sabatini, 1985: 178]). La

distinzione scritto/parlato può essere intesa come una differenziazione tra due norme

riconducibili ad uno stesso sistema/langue. Questa diversa norma, cioè la divergenza tra

codice scritto e codice parlato, si osserva anche in altre lingue (per lo più in francese, dove c‟è

una differenza netta tra français écrit e français parlé20

). Holtus (1986: 12), infine, condivide

l‟opinione di Berruto sulla grammatica dello scritto standard: la conservazione della

grammatica tradizionale costituisce un‟operazione di politica linguistica, che mira a

mantenere l‟unità relativa della lingua italiana e a facilitare l‟apprendimento dell‟italiano. Le

grammatiche tradizionali descrivono quindi unicamente una parte dell‟intero sistema

linguistico italiano.

2.5 La dislocazione nel parlato

Secondo Berretta (1985), « a livello almeno di sintassi di frase il parlato pare avere un modo

diverso di realizzare con mezzi grammaticali la coesione della frase e l‟esplicitazione delle

marche di caso: non minore connessità, insomma, ma connessità diversamente realizzata »

(Berretta: 1985: 221). Uno di questi mezzi grammaticali è la dislocazione.

Come già menzionato le dislocazioni sono frequenti nella lingua parlata, mentre sono scarse o

assenti nello scritto e nei discorsi formali. Nel suo libro del 1990 Paolo D‟Achille esamina la

presenza di dislocazioni in testi dalle origini dell‟italiano al secolo XVIII. L‟autore analizza

tre tipi di testi: i testi A costituiscono quelli elementari, che si trovano vicini al parlato, i testi

B sono di livello letterario, e i testi C sono quelli più raffinati.

La tabella seguente21

mostra che le dislocazioni sono più frequenti nei testi vicini al parlato (A

e B) che in quelli di carattere più raffinato (C). Si vede anche che il rapporto tra DS e DD è

molto più disequilibrato nei testi C. Ciò indica che le DD sono abbastanza rare nei testi di

livello colto. L‟analisi diacronica di D‟Achille mostra che le DD appartengono soprattutto al

registro parlato, visto che sono molto più frequenti nei testi che condividono alcuni tratti con

il parlato.

20

Cf. Bossong (1981: 237) e Mioni (1983: 498). 21

Abbiamo ripreso la tabella di Simone (1997: 56). I dati sono di D‟Achille (1990: 194-203).

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30

DS DD

Periodo I

(Origini-1250)

Periodo II

(1250-1375)

A

B

C

12

102

52

10

16

24

18

10

Periodo III A 106 36

(1375-1525) B 160 34

C 85 4

Periodo IV A 130 40

(1525-1612) B 111 43

C 40 2

Periodo V A 208 27

(1612-1799) B 195 67

C 88 4

Secondo Berretta (1994: 255) la differenza tra scritto e parlato a livello dell‟enunciato si

mostra soprattutto nella diversa organizzazione dei costituenti all‟interno della frase. Là dove

l‟ordine delle parole è Soggetto-Verbo-Oggetto (SVO) in una struttura non marcata, la lingua

parlata si allontana talvolta da questo ordine basico. La sequenza delle parole è legata allo

scopo comunicativo del parlante. Il primo posto dell‟enunciato viene occupato

dall‟informazione data (o tema). Dopo il tema si trova normalmente l‟informazione nuova (o

rema). Sornicola (1981) afferma che l‟andamento di frasi nel parlato si svolge « dal minimo al

massimo informativo » (Sornicola, 1981: 236). Secondo Berretta (1994: 255) il tema e il rema

possono essere collegati, ma possono anche essere separati. Nell‟ultimo caso si parla di

strutture segmentate, tra le quali si trovano le DS (a), le DD (b), le frasi scisse (c) e le strutture

con il c‟è presentativo (d).

(14) a. No, mio fratello nudo non lo voglio vedere! (Berretta, 1994: 256-257)

b. La ringraziamo, la nostra ascoltatrice di Genova.

c. Era da anni che non andavo più in città alta.

d. C‟è un problema che ho visto nel controllare i tuoi esempi.

Anche Sabatini (1985: 161) menziona queste strutture nella sua descrizione dell‟italiano

dell‟uso medio. L‟autore le presenta come fenomeni di enfasi, che introducono l‟informazione

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nuova nell‟enunciato. Alle quattro strutture enumerate da Berretta, viene aggiunto un altro

tipo di costrutto. Si tratta della postposizione del soggetto al gruppo verbale:

(15) a. Mario canta.

b. Canta Mario.

Nella frase (a) canta costituisce l‟informazione nuova, mentre in (b) Mario è nuovo.

Come abbiamo già detto Berruto (1985: 143-144) individua per il parlato quattro elementi

fondamentali: l‟egocentrismo, la semplificazione, la non pianificazione e la percettività.

Considerando la dislocazione, e in particolare quella a destra, si nota che i quattro fattori

menzionati sono presenti anche in questo costrutto.

La natura egocentrica della sintassi del parlato fa sì che il parlante riferisca spesso ad elementi

presenti nel contesto extralinguistico, oppure ad elementi che considera come dati o a lui noti.

Berruto (1986: 61) afferma che « in chiave di una sintassi egocentrica, quale spesso si

manifesta nel parlato, possiamo infatti intendere che il parlante costruisce come tema un

elemento, indipendentemente dalla sua effettiva continuità topicale col co-testo precedente e

dalla sua effettiva datiti, perché per lui è tale ». In questo ambito Sornicola (1981: 188) parla

di « tematicità contestuale », nozione che l‟autrice descrive come « qualsiasi condizione

fisica o psicologica che informa il testo nella scelta di certi sottoinsiemi del lessico, di certi

orientamenti di sviluppo macro-strutturale, e così via ». Il caso più estremo di tematicità

contestuali si trova nel « riferimento egocentrico » (Sornicola, 1981: 188), in cui il contesto

coincide con l‟universo del parlante.

La semplificazione riguarda nel caso delle DD il paradigma dei pronomi atoni (Berretta,

1985: 189). Certi pronomi hanno tendenza a sparire nell‟italiano parlato e così pure nelle frasi

con dislocazione a destra. Ci sono meno forme, che svolgono più funzioni. Inoltre, al fine di

rendere chiaro il messaggio il parlante ricorre talvolta alla ridondanza pronominale. Così si

creano costrutti del tipo a me mi, ti a te, ecc, tipiche anche nella DD.

Voghera (1992: 24) rimarca che la scarsa pianificazione del discorso dà luogo ad una

ridondanza sintattica, che si oppone ad una ridondanza lessicale nella lingua scritta. Nel

parlato il discorso si costruisce sempre a partire dell‟informazione precedente. Alcuni

passaggi del testo precendente vengono parzialmente ripetuti; il parlante fa quindi spesso

riferimento al co-testo. Nella DD la ridondanza si manifesta nel fatto che il pronome clitico e

il costituente dislocato riferiscono allo stesso elemento.

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Anche la percettività è importante nell‟uso della dislocazione. In alcuni casi di DD, più

specificamente nei ripensamenti (cfr. infra), il costituente dislocato può essere interpretato

come glossa esplicativa (Berruto, 1986: 58): il parlante ripete un elemento alla fine della frase

per essere sicuro che l‟ascoltatore capisca il messaggio.

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33

3 La dislocazione a destra (DD)

3.1 Definizione della dislocazione a destra

3.1.1. Una definizione soddisfacente della DD si trova in un articolo di Berruto del 1986.

Descrive la DD come una « struttura (...), in cui (apparentemente) all‟esterno („a destra‟) di

una frase semplice compare un gruppo nominale il cui ruolo sintattico è governato dal verbo

della frase e che è „copiato‟ all‟interno della frase da un pronome clitico » (Berruto, 1986:

55).

Simone (1997: 49) dice che l‟elemento dislocato e il resto della frase costituiscono due entità

autonome. Lo studioso propone per la DD la rappresentazione schematica seguente:

[.....cl1 V.....(x)] CD1

In questa rappresentazione cl sta per clitico, V per verbo et CD per costituente dislocato. La x

indica il posto che il costituente dislocato occuperebbe se non fosse dislocato. Questa

rappresentazione schematica mostra bene che il clitico e il costituente dislocato sono

coreferenziali.

Il sintagma dislocato può assumere varie funzioni nella frase: soggetto (a), oggetto diretto (b),

oggetto indiretto (c), partitivo (d), complemento locativo (e), ecc. Il costituente dislocato può

anche costituire una proposizione intera (f). Consideriamo gli esempi seguenti22

:

(1) a. Elle va tomber cette maison là!

Il savait tout ça mon papa …

b. L‟hai presente la televisione ?

Non so se tu ce l‟hai in alto a destra il dado.

c. Ma gli manca una mano a questo qua?

Sì vabbè proprio le misure mi dai a me.

d. Ce ne sono due di nuvole, una a sinistra l‟altra a destra.

Ma tu hai detto che ce ne sono quattro di bozzetti?

e. Già ci sono arrivata alla ruota.

Ci sono sopra il dado.

f. L‟hai detto te che è uno stivale?

E me lo immaginavo che tu ce lo avevi a punta il becco.

22

Gli esempi sono tratti dal mio corpus e da Bossong (1981: 247).

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34

Nelle lingue a soggetto obbligatorio, come il francese, il soggetto è il primo elemento ad

essere dislocato (Berretta, 1994: 256). Per l‟italiano tuttavia, lingua senza soggetto

obbligatorio, c‟è accordo23

sul fatto che l‟oggetto diretto è il costituente più frequentemente

dislocato. Questa constatazione sarà confermata anche dall‟analisi del nostro corpus (cfr.

infra).

Nella DD il pronome cataforico prende sempre la persona, il numero, il genere (unicamente

per la 3a persona), e la funzione del costituente dislocato. La DS, invece, può presentare il

sintagma in una forma diversa da quella del clitico. Vista la sua posizione prima della

struttura frasale, non è necessario per l‟elemento dislocato mantenere un legame grammaticale

con il pronome. Vi sono strutture, quelle dette a tema sospeso, nelle quali il costituente

dislocato a sinistra non è accompagnato da una preposizione. L‟esempio francese seguente lo

mostra: nella frase (a) la preposizione è omessa, mentre nella frase (b) è presente.

(2) a. Les aristocrates, on leur coupera le cou. (Simone, 1997 : 50)

b. Aux aristocrates, on leur coupera le cou.

I costituenti dislocati a sinistra hanno funzioni diverse, ma vengono ambedue ripresi dal

pronome leur. Prenendo in considerazione lo stesso esempio per la DD, si vede che

l‟accettabilità della frase (3a) diventa minore.

(3) a. ? On leur coupera le cou, les aristocrates. (Simone, 1997: 50)

b. On leur coupera le cou, aux aristocrates.

Nella DD il pronome clitico riprende dunque senza dubbio il ruolo casuale, dativo in questo

caso, dell‟elemento dislocato. Mentre a sinistra è possibile sia la DS sia la struttura a tema

sospeso, a destra non è possibile la struttura senza preposizione.

3.1.2. Nel paragrafo precedente, abbiamo preferito presentare, per la DD del soggetto, degli

esempi in francese. In francese, infatti, la DD del soggetto è molto chiara, perché questa

lingua conosce un‟espressione del soggetto preverbale. La posizione del soggetto in francese è

in molti casi occupata da un pronome personale; non risulta quindi difficile ottenere delle

strutture dislocate, nelle quali, oltre al pronome soggetto in posizione preverbale, è presente

un SN soggetto in posizione postverbale (cfr. ess. 1a, b). L‟italiano invece non esprime

obbligatoriamente il soggetto in posizione preverbale: la DD del soggetto sembra allora

23

Si vedano tra gli altri Berruto (1986: 63) e Berretta (1994: 256).

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35

impossibile, perché non è presente un pronome obbligatorio di ripresa coreferente con il

soggetto dislocato. Ciononostante, in italiano contemporaneo esiste tuttavia la possibilità di

dislocare il soggetto a destra. Un articolo interessante su questo argomento è quello di

Elisabetta Bonvino (2004), secondo la quale si deve distinguere tra strutture con soggetto

postverbale non dislocato (a) e strutture con soggetto dislocato a destra (b).

(4) a. Fra poco arriva Marco. (Bonvino, 2004: 6)

Si è seduta una famigliola con bambini.

b. Capisce tutto „sto bambino.

Domani va a Edimburgo il vecchio Verdi.

La differenza sui piani sintattico e semantico tra questi due costrutti sta, secondo Bonvino,

nella maggiore o minore strettezza del legame tra verbo e soggetto. Nel suo corpus l‟autrice

ha trovato 159 soggetti postverbali e 38 soggetti dislocati. Questi ultimi sono dunque molto

meno frequenti di quelli postverbali. Più della frequenza dei due tipi di soggetto, comunque,

interessano in primo luogo le caratteristiche che distinguono il soggetto dislocato da quello

postverbale.

La prima caratteristica riguarda la distanza che separa il verbo e il soggetto. La presenza di un

elemento che fa parte della valenza verbale può infatti separare i due costituenti.

(5) Capisce tutto „sto bambino. (Bonvino, 2004: 6)

Domani va a Edimburgo il vecchio Verdi.

In questi esempi il legame del verbo con il costituente che lo segue è più forte del suo legame

con il soggetto. La presenza del costituente, facente parte della valenza verbale, è necessaria

per un‟interpretazione corretta del verbo: ciò spiega, quindi, il suo stretto legame con

quest‟ultimo. Sebbene di norma anche il soggetto faccia parte della valenza verbale, visto che

prende il genere, il numero e la persona del verbo, il soggetto dislocato non possiede alcuni

tratti propri degli argomenti verbali. Bonvino sostiene questa affermazione con tre argomenti:

in primo luogo il soggetto dislocato non può entrare in una struttura contrastiva, in secondo

luogo non viene toccato dalla negazione, e infine è fuori della portata della modalità

interrogativa (Bovino, 2004: 7). Il soggetto dislocato ha anche un‟altra caratteristica: esso è di

preferenza lessicale, definito e referenziale. Ecco perché la frase (a) si rivela grammaticale,

mentre (b) è impossibile in italiano:

(6) a. Capisce tutto ‘sto bambino.

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36

b. Si è seduta, una famigliola con bambini.

Prendendo in considerazione queste caratteristiche si può concludere che il soggetto dislocato

è diverso del soggetto postverbale. Secondo Bonvino si può considerare il soggetto dislocato

come « un richiamo lessicale e referenziale di un soggetto già espresso » (Bonvino, 2004: 7).

Anche sul piano della prosodia Bonvino osserva una differenza tra le due strutture. Il soggetto

postverbale e il verbo si trovano in una sola unità intonativa, mentre il soggetto dislocato sta

in un‟unità diversa di quella del verbo.

L‟articolo di Bonvino ci sembra produca prove soddisfacenti per poter includere la DD del

soggetto nell‟analisi del nostro corpus.

3.1.3. Parecchi autori (tra i quali Berruto 1986, D‟Achille 1990, Simone 1997, Rossi 1997)

contestano il termine dislocazione, elaborato dagli studiosi di scuola generativista. Secondo

l‟approccio generativista una dislocazione implica lo spostamento di un elemento verso il lato

destro o sinistro della frase, lasciando una traccia nella ripresa pronominale. Ma nella DD il

costituente „dislocato‟ si trova già all‟origine a destra del predicato verbale. La specificità

della DD non consiste dunque nello spostamento di un sintagma, quanto nella presenza di una

ripresa pronominale del sintagma. Inoltre il termine dislocazione rimanda unicamente ad

un‟interpretazione sintattica del fenomeno, mentre è noto che costruzioni come la DD

investano anche l‟organizzazione pragmatica dell‟enunciato. Anche il termine destra,

utilizzato per opporre la DD alla DS, è stato oggetto di discussioni. La DD differisce dalla

struttura non marcata per la presenza di un elemento supplementare nella frase. Ma non è

chiaro se questo elemento sia il sintagma dislocato, al lato destro del predicato, o il pronome

clitico, che si trova a sinistra del verbo. Tuttavia, al fine di evitare confusioni la maggior parte

dei linguisti continua ad utilizzare il termine dislocazione a destra, ormai consolidato dalla

tradizione.

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37

3.2 Studi sulla dislocazione a destra

3.2.1 Dislocazioni a destra e a sinistra: dal Cinquecento fino ad oggi

Nel suo libro del 1990 Paolo D‟Achille studia testi che vanno dalle origini della lingua

italiana fino al secolo XVIII. La dislocazione è uno dei fenomeni sintattici considerati.

D‟Achille osserva che per lungo tempo c‟è stata una censura delle dislocazioni da parte dei

grammatici. Riprendiamo qui brevemente il discorso di D‟Achille per mostrare che l‟interesse

per le dislocazioni sembra essere abbastanza recente24

.

Prima del Cinquecento la dislocazione è quasi assente nella coscienza linguistica italiana, e di

conseguenza anche nelle grammatiche. Ciò non vuole dire che essa non fosse già presente

nella lingua. La frase seguente, considerata come una delle prime manifestazioni di una lingua

italiana diversa di quella latina, contiene una dislocazione:

(7) Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.25

Questa frase rende chiaro che la dislocazione, in questo caso la DS, esiste già dalle origini

dell‟italiano.

A partire del Cinquecento si vedono le prime testimonianze sull‟esistenza delle dislocazioni

nei testi dei grammatici. Il primo a parlarne è Bembo (Prose della volgar lingua, 1525), che

nota la presenza in Boccaccio di costrutti del tipo « Dio il sa, che dolore io sento » invece di «

Dio sa, che dolore io sento ». Anche se Bembo è il primo a parlare della dislocazione, la

considera ancora come una figura stilistica. Altre grammatiche successive a Bembo sono

quelle redatte dal Corso (1549), dal Dolce (1550), dal Ruscelli (1581), dal Buommattei

(1643), dal Mambelli (1644-1685), dal Bartoli (1655), dal Corticelli (1745), dal Soave (1770)

e dal Puoti (1833). Anche in queste opere le dislocazioni sono classificate fra le figure, cioè

sono considerate come un fenomeno stilistico.

Per contro, D‟Achille menziona due autori che danno una descrizione della dislocazione più

approfondita. Il primo è Giovanni Mario Alessandrini di Urbino (1560), che confronta nel suo

lavoro l‟italiano e lo spagnolo. In questa opera lo studioso osserva che la presenza di un

pronome è necessaria in una dislocazione dell‟oggetto diretto. L‟omissione del pronome è

24

Tutte le opere e citazioni citate si trovano in D‟Achille (1990: 99-126). 25

Placiti cassinesi, anno 960.

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unicamente possibile quando la frase viene strutturata diversamente. In secondo luogo

Alessandrini nota che in spagnolo la doppia presenza dell‟oggetto indiretto è obbligatorio,

affermando che in italiano questo fenomeno è piuttosto raro, ma non assente. Questa

osservazione è importante, poiché Alessandrini spiega che la dislocazione non è censurata in

altre lingue, dove fa parte delle costruzioni sintattiche possibili e accettabili. Benedetto

Menzini (1679), il secondo autore menzionato da D‟Achille, tratta il raddoppiamento di

pronomi come un irregolarità della sintassi, ma aggiunge che questa costruzione viene spesso

utilizzata da persone che sanno parlare bene.

Un grande passo nel riconoscimento della dislocazione come propria alla sintassi della lingua

italiana, secondo D‟Achille26

, è stato compiuto dal Manzoni. L‟autore romantico deve aver

preso coscienza della frequenza della dislocazione nella lingua parlata nel corso della tripla

stesura dei Promessi Sposi. Se infatti si notano già dislocazioni in Fermo e Lucia (1823) e

nell‟edizione ventisettana, la quantità di dislocazioni aumenta visibilmente nella quarantana.

Così D‟Achille cita il passaggio da « Ella lascerà ben entrare Tonio e suo fratello » a « Tonio

e suo fratello, li lascerà entrare », da « Avrete pane » a « Pane, ne avrete », e da « A Pedro ...

tornò in petto il cuore antico » a « A Pedro ... gli tornò in petto il cuore antico »27

. La stesura

definitiva si avvicina dunque alla lingua parlata, e più specificamente al toscano parlato.

Il fatto che Manzoni aggiunga dislocazioni al proprio lavoro è prova di un‟importante

riflessione sul fenomeno sintattico. Intorno al 1835 l‟autore fece degli spogli sulla prosa

toscana, nella quale notò la presenza di dislocazioni. Al fine di avvicinare il suo testo alla

lingua toscana, considerata da lui come la variante più prestigiosa, inserì nella quarantana un

numero più alto di dislocazioni.

Dopo Manzoni più autori prendono coscienza della dislocazione nella lingua italiana. Si tratta

tra l‟altro di Fornaciari (1881), Mastelloni (1898) e De Amicis (1905).

Nel Novecento le dislocazioni vengono presentate dai grammatici, ma quasi mai in modo

approfondito. Spesso vengono descritte in maniera negativa, con l‟uso dei termini ridondanza,

pleonasmo e anacoluto. Gli autori segnalati da D‟Achille sono Migliorini (1947), Migliorini-

Chiappelli (1948), Battaglia-Pernicone (1951), Brunet (1985) e Serianni (1988). D‟Achille

menziona anche alcuni importanti studi più recenti. Si tratta di studi con approcci molti

diversi: analisi dell‟italiano popolare, analisi del parlato, lavori generativisti, analisi di

discorsi e di strutture testuali. Questi lavori non si concentrano dunque unicamente sulla

dislocazione, ma commentano il fenomeno in modo abbastanza approfondito. Ci

26

Per le dislocazioni in Manzoni D‟Achille fa riferimento a Sabatini (1987). 27

Le citazioni di Manzoni si trovano in D‟Achille (1990: 108).

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contenteremo qui di enumerarli velocemente perché parlano soprattutto delle DS. Nel

paragrafo che segue invece tratteremo gli studi recenti più importanti che trattano della DD.

Gli studi indicati da D‟Achille sono tra l‟altro Meriggi (1938)28

, Gossen (1951, 1954)29

,

Nilsson-Ehle (1952), Rohlfs (1966-1969), Cortelazzo (1972), Cinque (1977, 1979, 1981,

1983), Belletti (1979), Duranti-Ochs (1979), Benincà (1980, 1986), Sornicola (1981, 1982,

1983, 1985), Rosiello (1984), Tonfoni (1985), Berruto (1985, 1986), Sabatini (1985, 1987),

Benincà-Salvi-Frison (1988).

3.2.2 L‟approccio generativista

Abbiamo detto che molti studiosi contestano il termine dislocazione a destra, perché non

condividono l‟interpretazione generativista della dislocazione. Al fine di poter capire questi

studiosi ci sembra utile di spiegare brevemente l‟approccio generativista. Uno articolo che

presenta il fenomeno in modo generativista è quello di Antinucci e Cinque (1977), sul quale ci

basiamo qui.

Una frase con un verbo e due argomenti nominali è di norma costruita secondo la sequenza

SVO. Mantenendo l‟intonazione discendente delle frasi dichiarative, questa sequenza è

l‟unica possibile. Quando si modifica l‟ordine dei costituenti la frase diventa agrammaticale.

Si considerano gli esempi seguenti:

(8) a. Giorgio ha comprato un‟automobile. (Antinucci-Cinque, 1977: 122)

b. *Ha comprato un‟automobile Giorgio.

c. *Giorgio un‟automobile ha comprato.

d. *Un‟automobile ha comprato Giorgio.

28

Anche Rossi (1997) dà nel suo saggio una breve storia della letteratura linguistica sulla DD. L‟autore deplora

la sottovalutazione dell‟articolo di Meriggi (1938) da parte di altri linguisti. Il merito di Meriggi consiste nel

fatto che lega la struttura prosodica di un discorso alla sua struttura sintattica e a quella informativa. L‟autore

inoltre dice che le DD sono più frequenti delle DS (costatazione contestata da molti altri studiosi). Meriggi parla

anche della grammaticalizzazione della DD. Questo discorso sarà, come vedremo, ancora ripreso più volte dopo

di lui (tra l‟altro da Berretta 1985, Sala Gallini 1996, Simone 1997 e Rossi 1997). 29

Anche Gossen viene trattato estesamente da Rossi (1997). Gossen 1951 dice che nella lingua parlata la pausa

tra i due membri della frase tende a sparire. Questo potrebbe essere un‟indicazione della tendenza della DD a

diventare una struttura non marcata. Gossen 1954 lega la DD alla struttura di domanda e risposta: A chiede X, B

risponde Y+X (in cui X è nuovo nella frase del parlante A e dato in quella del parlante B). Gossen costata una

prevalenza delle DS sulle DD nella prosa, mentre nella drammaturgia nota un‟equivalenza tra DS e DD. La DD

si lega dunque al dialogo, la DS al monologo e alla narrativa.

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40

Quando, invece, un elemento della frase viene enfatizzato il cambiamento dell‟ordine fisso si

rivela possibile:

(9) UN‟AUTOMOBILE Giorgio ha comprato. (Antinucci-Cinque, 1977: 123)

Antinucci e Cinque insistono sul fatto che questa frase è unicamente possibile quando gli

interlocutori sanno già che Giorgio ha comprato qualcosa; è l‟oggetto del suo acquisto che

deve essere precisato.

Nell‟ordine non marcato SVO la posizione occupata dai costituenti è sempre legata ai concetti

di datità e novità. L‟informazione nuova si trova sempre a destra nella frase, mentre quella

data occupa il primo posto, o i primi posti, nel costrutto. Così si ottiene lo schema seguente30

:

S < V < O < I < X

(I) SVOI dato, X nuovo

(II) SVO dato, IX nuovo

(III) SV dato, OIX nuovo

(IV) S dato, VOIX nuovo

(V) SVOIX nuovo

Non c‟è possibilità di avere un‟altra articolazione dato/nuovo in strutture non marcate. Al fine

di rendere più chiaro questo schema, riprendiamo alcuni esempi di Antinucci-Cinque

(1977:131):

(10) Franco ha portato il libro a Piero ieri sera alle cinque.

Questa frase dichiarativa può costituire una risposta alle domande seguenti:

(11) a. Quando ha portato il libro a Piero Franco?

b. A chi ha portato il libro Franco?

c. Che ha fatto Franco?

d. Che è successo?

Nella risposta (10) alla domanda (11a) soltanto X è informazione nuova; S, V, O e I sono già

presenti nella domanda. Per la domanda (11b) I e X sono nuovo in (10). Per (11c) V, O, I e X

sono nuovi, e per (11d) la frase (10) è interamente informazione nuova. Tenendo conto dello

schema precendente, la frase (10) non può tuttavia essere una risposta a domande del tipo

(12) a. A chi ha portato il libro ieri sera alle cinque, Franco?

30

Abbiamo cambiato Av in X (che può designare ogni espansione della frase: complementi di tempo, di luogo,

ecc).

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b. Che cosa ha portato a Piero, Franco?

La frase (10) non costituisce una risposta a queste domande, visto che non corrispondono

all‟ordine S < V < O < I < X. Gli ordini possibili per i costrutti non marcati sono dunque SV,

SVO, SVOI e SVOIX.

Visto che SV, SVO, SVOI e SVOIX sono gli unici ordini possibili, Antinucci e Cinque (1977:

134-135) decidono di « considerare tutti gli altri ordini come derivati, mediante regole che

spostano vari costituenti ». Tra questi altri ordini si trovano le dislocazioni. Nella DS un

elemento viene spostato verso il lato sinistro della frase quando questo elemento è

informazione data. Si ottiene allora l‟ordine OIS(cl-cl-)V31

. La DD produce, attraverso lo

spostamento di un elemento a destra, strutture del tipo S(cl-)VIO. Nelle dislocazioni il

costituente dislocato si trova fuori della frase, come mostra l‟esempio seguente:

(13) a. I bambini non hanno mangiato il formaggio (ma il dolce). (Antinucci-Cinque, 1977: 144)

b. I bambini non l‟hanno mangiato, il formaggio (*ma il dolce).

Nella frase (a) la negazione porta sull‟oggetto, che si trova all‟interno della frase. In questa

frase è anche possibile la refutazione con il ma. La negazione nella frase (b), invece, non

opera sull‟oggetto, perché non si trova più all‟interno della frase. Neanche il ma porta

sull‟oggetto. Questi due fatti provano che nel caso (b) l‟oggetto sta fuori della frase.

Riassumendo brevemente si può dire che l‟ordine non marcato in italiano è quello SVO, per

estensione quelli SV, SVO, SVOI e SVOIX. Di conseguenza gli studiosi generativisti

considerano le dislocazioni come strutture non marcate in cui ha avuto luogo lo spostamento

di un elemento verso il lato sinistro o destro della frase. Questo elemento si trova sempre fuori

della frase.

3.2.3 Alcuni studi recenti

Come abbiamo già indicato gli studi sulla DS sono più frequenti di quelli sulla DD. Anche

altri studiosi constatano che la DD, all‟opposto della DS, non è stato oggetto di molti studi

linguistici italiani. Così si può leggere in Berruto (1986: 55):

31

Questo ordine è l‟ordine estremo. Esistono tappe intermedie come OS(cl-)V, IS(cl-)VO, ecc.

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42

« La cosidetta „dislocazione a destra‟ (...) non ha goduto sinora nella linguistica italiana di soverchia

attenzione. Mentre ne sappiamo ora molto, per l‟italiano, sulla sua controparte, la „dislocazione a

sinistra‟, e mentre molto si è scritto sulla dislocation (o détachement) à droite in francese (...) il

costrutto appare poco men che ignorato nei lavori di sintassi italiana ».

Anche Sala Gallini (1996: 76) è di questo avviso:

«A differenza della sua controparte a sinistra, la dislocazione a destra, ossia la struttura del tipo „lo

leggo il giornale‟, è stato finora poco studiata nell‟ambito della linguistica italiana ».

O ancora Rossi (1997: 1)32

:

« Mentre, però, sulla dislocazione a sinistra, sulle costruzioni a tema sospeso, sulla topicalizzazione e

sulle frasi scisse sono state scritte migliaia di pagine, dai punti di vista sintattico, semantico, pragmatico

e cognitivo, la dislocazione a destra non sembra aver suscitato pari entusiasmi, né permesso comode

sistemazioni ».

Nella parte che segue tenteremo di esporre in modo abbastanza approfondito alcuni contributi

recenti a proposito del nostro oggetto di studio. Cominceremo con Bossong 1981, che studia

le frasi segmentate, fra le quali le dislocazioni, in francese. Abbiamo scelto di menzionare

Bossong perché spiega il fenomeno in modo chiaro, e anche per l‟influenza che questo lavoro

ha avuto in ambito italiano (cfr. Berruto 1986, Simone 1997). Inoltre, per quel che riguarda la

dislocazione, il francese e l‟italiano, a nostro parere, mostrano affinità (cfr. anche Simone

1997). Poi considereremo più da vicino un articolo sulla DD di Berruto (198633

). Si tratta di

un articolo che viene sempre considerato come uno dei più importanti sulla DD. Dopo Berruto

parleremo di Sala Gallini (1996), che studia il comportamento del clitico nella DD. Il quarto

studio che tratteremo sarà quello di Simone (1997). Questo studio contiene un‟analisi

diacronica della DD e un confronto con altre lingue romanze. Da ultimo discuteremo Rossi

(1997), che verte soprattutto sull‟intonazione e la pragmatica delle DD.

3.2.3.1 Bossong (1981)

Bossong (1981) tratta della posizione del tema e del rema nella lingua francese parlata. A

questo proposito l‟autore parla anche delle dislocazioni, tanto di quelle a sinistra che di quelle

32

Rossi appoggia la sua costatazione con uno spoglio degli articoli in Renzi (1988: 709-712): 3 titoli sugli

spostamenti a destra (dei quali nessuno specifico sulla DD), 5 sugli spostamenti a sinistra (dei quali 3 sulla DS) e

16 sulle frasi scisse. 33

Questo articolo è stato pubblicato un anno dopo la pubblicazione di un suo contributo sulla DS („Dislocazioni

a sinistra‟ e „grammatica‟ dell‟italiano parlato, in A. Franchi De Bellis e L.M. Savoia (a cura di) Sintassi e

morfologia della lingua italiana d‟uso. Teorie ed applicazioni descrittive, Roma, Bulzoni, pp. 59-82.)

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a destra. Non utilizza il termine dislocazione per indicare il fenomeno, parla di frasi

segmentate34

, categoria in cui distingue tra enunciati con ordine tema-rema (DS) e quelli con

ordine rema-tema (DD).

Per prima cosa l‟autore distingue nel francese due codici diversi (Bossong, 1981: 237): il

français écrit, caratterizzato da una serie di norme grammaticali determinate, e il français

parlé, che tende talvolta a produrre strutture marcate, cioè ad abbandonare questa norma fissa.

Secondo Bossong il parlato differisce dallo scritto per un uso maggiore della « conjugaison

supplémentaire », a svantaggio della « conjugaison complémentaire » (Bossong, 1981: 240).

Quest‟ultima si caratterizza da un ordine delle parole fisso, più specificamente dalla sequenza

SVO, che si può interpretare come l‟ordine non marcato in francese. Sappiamo che il tema

della frase tende ad occupare il primo posto nella frase, mentre il rema segue. Così nelle frasi

SVO il tema viene rappresentato dal soggetto e il rema dal predicato verbale. Un‟altra

possibilità è di rematizzare la frase intera, che non contiene quindi più un elemento

tematizzato. Il rema può dunque costituire autonomamente un‟intera frase. L‟unico modo di

cambiare quest‟ordine fisso SVO consiste nella costruzione di una frase passiva, in cui

diventa tema quello che era oggetto nella frase attiva e rema quello che era soggetto. Ma la

passivizzazione si osserva soprattutto nella lingua scritta. Alla conjugaison complémentaire si

oppone una conjugaison supplémentaire. Essa crea la possibilità di un ordine delle parole più

libero. Le strutture che appartengono a questa categoria vengono chiamato frasi segmentate,

perché il tema della frase è separato dal predicato verbale. Queste frasi comportano nello

stesso enunciato un sintagma nominale indipendente e un pronome coreferenziale, sia

anaforico sia cataforico, legato al gruppo verbale. Il sintagma e il pronome condividono gli

stessi tratti grammaticali di persona, di numero e, per la terza persona, di genere. Il pronome

indica anche il caso del sintagma autonomo.

Le dislocazioni, che fanno parte delle frasi segmentate, sono utilizzate per rematizzare il

verbo e tematizzare un sintagma nominale. Il tema può essere anteposto, nella DS, o posposto,

com‟è il caso nella DD. Vista la libertà posizionale del tema, non è il posto occupato

nell‟enunciato ad attribuire tematicità ad un costituente: è invece il pronome clitico,

34

Il termine citato da Bossong (1981: 242) viene da Bally. Il linguista svizzero definisce la frase segmentata

come « une phrase unique issue de la condensation de deux coordonnées, mais où la soudure est imparfaite et

permet de distinguer deux parties, dont l‟une (A) a la fonction de thème de l‟énoncé, et l‟autre (Z) celle de

propos » (Bally, 1932 : 60-61).

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coreferenziale al tema, che viene definito come tematico. Non importa allora se l‟elemento

dislocato si trovi anteposto (DS) o posposto al verbo (DD).

A questa differenza formale tra la DS e la DD si aggiunge un‟altra divergenza che Bossong

descrive in termini di valore semantico. L‟ordine tema-rema (DS) comporta un valore

contrastivo, cioè mette l‟accento sul tema, mentre l‟ordine rema-tema (DD), in cui si mette in

rilievo il rema, ha un valore emotivo. È dunque sempre l‟elemento iniziale dell‟enunciato che

viene enfatizzato. La DS si pronuncia per conseguenza con due picchi intonativi; il primo

accento cade sul tema enfattizato, il secondo sul predicato rematizzato. La DD invece

contiene un solo picco, cioè quello del gruppo verbale rematizzato. L‟esempio seguente,

anche citato da Bossong, mostra perfettamente che il predicato verbale è quello che riceve

l‟enfasi nella DD:

(14) Nous l‟aurons ce débat! (Bossong, 1981 : 249)

È chiaro che in questa frase la voce insista sul predicato aurons. L‟oggetto ce débat è

tematico, come prova la presenza di un pronome cataforico l‟ davanti al verbo.

Riassumendo, secondo Bossong (1981) l‟ordine tema-rema (DS) enfatizza il tema, mentre

l‟ordine rema-tema (DD) fa lo stesso con il rema. Ìl primo elemento della frase riceve dunque

sempre il focus. La tematicità di un elemento, in questi casi del costituente dislocato, non

viene garantita dal primo posto occupato nell‟enunciato, come accade nelle strutture non

marcate, ma da un pronome atono in proclisi al verbo.

3.2.3.2 Berruto (1986)

Gaetano Berruto (1986: 56) defenisce la dislocazione a destra come una « costruzione

pleonastica ». Questa definizione indica ovviamente la doppia presenza di un elemento,

presente una volta come sintagma dislocato e una seconda volta come pronome clitico.

Berruto insiste sul fatto che la specificità della DD non consiste nello spostamento di un

costituente verso il lato destro della frase, visto che l‟elemento dislocato si trova già a destra

nella struttura non marcata. La sua specificità sta invece nella ripresa cataforica del

costituente dislocato e nella doppia presenza di tutte e due gli elementi nello stesso enunciato.

L‟autore preferisce inoltre utilizzare il termine isolamento a destra invece di dislocazione a

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destra, termine elaborato, come si è detto, dai generativisti e indicante una trasformazione di

una frase non marcata in una struttura marcata attraverso un movimento.

Secondo Berruto esistono due tipi di DD. La prima è la DD vera e propria o antitopic. Si tratta

di frasi del tipo le mangio le mele (Berruto, 1986: 55) in cui non c‟è una pausa tra la prima e

la seconda parte dell‟enunciato né un cambiamento dell‟intonazione rispetto alla variante non

marcata. Queste strutture tenderebbero verso la grammaticalizzazione. Il secondo tipo di DD è

invece il cosiddetto ripensamento o afterthought, nel quale si osserva una pausa tra i due

membri della frase le mangio, le mele (Berruto, 1986: 58). Questa struttura è più vicina alle

strutture segmentate esaminate da Bossong (1981). Le due strutture presentano anche una

differenza non formale, di tipo semantico. Nel ripensamento il costituente dislocato può

essere paragonato ad una glossa esplicativa. Secondo Berruto si tratta di una forma di deissi o

di anafora, che viene aggiunta alla frase nell‟ultimo momento. Il pronome clitico appare

dunque nel costrutto come cataforico, ma in realtà può essere interpretato come deittico o

anaforico. Berruto insiste anche sul fatto che il ripensamento è tipico della lingua parlata. Così

il parlante ripete il tema alla fine della frase per garantire la comprensibilità del suo

messaggio. Inoltre il pronome clitico indica chiaramente la funzione casuale dell‟elemento

dislocato.

Per la DD propriamente detta Berruto segue parzialmente le idee elaborate in Bossong (1981),

affermando che la DD è in fondo una dislocazione a sinistra del rema. Il rema, cioè

l‟informazione nuova normalmente posta al lato destro della frase, riceve l‟enfasi e viene

messo pertanto al posto iniziale dell‟enunciato. Lo spostamento a destra del tema sarebbe

dunque unicamente un effetto secondario di questo isolamento a sinistra del rema. Berruto

paragona questo processo all‟inversione del soggetto, cioè alle strutture nelle quali il soggetto

segue il predicato verbale. In questi casi il soggetto occupa la posizione postverbale affinché il

predicato, trovandosi in posizione iniziale di frase, venga messo in rilievo .

Berruto offre tuttavia ancora un‟altra interpretazione possibile della DD propriamente detta.

Si nota che per il ripensamento si tratta sempre di una messa in rilievo del gruppo verbale,

cioè del rema. Ma per la DD vera e propria Berruto osserva che non è sempre possibile

discernere nel predicato un‟enfasi particolare:

(15) L‟hanno messo anche lui contro il muro del pozzo. (Berruto, 1986: 65)

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46

Questo caso mostra chiaramente che il predicato verbale non viene sempre enfatizzato. La DD

si deve allora considerare come una posposizione vera e propria del tema. Benché sia vero che

l‟elemento isolato si trova anche a destra nella struttura non marcata, si vede la differenza tra

le due costruzioni nell‟organizzazione informativa: nella struttura non marcata l‟elemento a

destra del gruppo verbale fa parte del rema, mentre in quella marcata il costituente dislocato

appartiene chiaramente al tema. Un‟eventuale messa in evidenza del rema della DD si deve

interpretare pertanto come una mera conseguenza della posposizione del tema.

La specificità della DD consiste secondo Berruto nel suo modo particolare di presentare un

tema, ponendolo cioè dopo il rema e riprendendolo con un pronome cataforico. La DD

sarebbe inoltre tipica del parlato perché non è necessario che ci sia un legame tra il tema e il

contesto linguistico (co-testo) precedente. Visto che la sintassi del parlato è, come abbiamo

detto, “egocentrica” (cfr. sopra), il tema, o meglio il centro d‟interesse, può essere presente

nella mente del parlante ed essere da lui considerato come dato, indipendentemente dal fatto

di essere stato realmente menzionato in precedenza. Il tema può anche appartenere alla

conoscenza condivisa degli interlocutori. In questo caso la DD, presentando un certo

contenuto come condiviso, esprimerebbe « camaraderie » o « ammiccamento » (Berruto,

1986: 61), termine tradotto da Lambrecht (1981). Berruto (1986: 67) conclude il suo discorso

attribuendo alle DD « un certo potere coesivo all‟interno del discorso », perché rimandano

sempre ad un co-testo precedente o a un contesto extralinguistico.

3.2.3.3 Sala Gallini (1996)

Il problema del quale parla Sala Gallini viene già menzionato da Berruto (1986: 63-64), dal

quale viene però rimandato ad ulteriori approfondimenti. Mario Sala Gallini pone la questione

se il pronome nella DD possieda ancora un vero valore semantico pronominale o se si

comporti come semplice marca flessionale legata al verbo. In quest‟ultimo caso si può parlare

di una grammaticalizzazione del clitico nella dislocazione. Sala Gallini segnala anche che il

problema della grammaticalizzazione eventuale dei pronomi clitici è legato alla

determinazione della dislocazione come struttura marcata o non marcata. Lo studio dei

pronomi all‟interno della dislocazione risulta dunque importante.

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47

Facendo riferimento a Bally (1932) l‟autore spiega che l‟italiano, così come il francese ma

diversamente dal latino, è una lingua priva di flessione nominale. In una tale lingua il ruolo

casuale di un costituente viene definito dalla sua posizione più o meno fissa all‟interno della

frase. Da questo punto di vista la dislocazione può venire interpretata come un ritorno

all‟ordine libero delle parole. Per compensare questa libertà di movimento ci vuole un altro

elemento, nel nostro caso un pronome clitico, che indichi la funzione di caso del costituente.

Il clitico forma allora con il gruppo verbale il nucleo sintattico della frase. Ritornando ad un

ordine di costituenti più libero, la frase ottiene anche nuove possibilità di esprimere il tema e

il rema della frase. Normalmente, cioè in un costrutto non marcato SVO, il tema occupa

sempre il primo posto dell‟enunciato, mentre il rema segue. Come suggerisce anche lo studio

di Bossong (1981), l‟unico modo di cambiare questo ordine consiste nella trasformazione

passiva, d‟altronde poco utilizzata nella lingua parlata. Quando, invece, la sequenza dei

costituenti è più libera, qualunque sintagma nominale può diventare tema, almeno se viene

copiato all‟interno della frase da un pronome clitico che ne indica il ruolo casuale. Se si adotta

questa interpretazione della DD lo statuto dei pronomi clitici diventa incerto. Sala Gallini si

chiede se si debba considerare il clitico come marca flessionale legata al verbo o se non debba

prevalere un‟interpretazione semantica, che attribuisce al pronome una funzione anaforica.

Più avanti nel nostro discorso ci occuperemo più dettagliatamente della grammaticalizzazione

della DD (cfr. § 3.3). Poniamo qui unicamente brevemente il problema. Sala Gallini osserva

che per l‟italiano la grammaticalizzazione dei clitici si nota spesso per i pronomi ci e ne. Gli

esempi di un uso grammaticalizzato di questi due pronomi sono frequentissimi.

(16) a. Non ne posso più di questa vita. (Sala Gallini, 1996: 87)

b. * Non posso più di questa vita.

Si vede che, togliendo il pronome clitico, la frase diventa agrammaticale. Ma secondo Sala

Gallini queste frasi non vanno considerate come dislocazioni35

, perché la struttura di base,

cioè quella non marcata, non è disponibile. Inoltre il verbo e il clitico valgono come una sola

unità lessicale (verbo potere vs. poterne). Per gli esempi seguenti, invece, la variante non

marcata è perfettamente possibile. La frase (17a) va quindi interpretata come una dislocazione

vera e propria.

35

Rossi (1997) riprende questa idea: « Un‟altra distinzione è quella tra frasi possibili sia nella forma dislocata

sia in quella semplice (le dislocazioni propriamente dette) e frasi possibili soltanto nella forma dislocata (in cui

il clitico si è del tutto grammaticalizzato e che quindi non possono essere definite a rigore come dislocazioni

vere e proprie ». (Rossi, 1997: 15).

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48

(17) a. È da anni che se ne parla, dell‟unione monetaria. (Sala Gallini, 1996: 87)

b. È da anni che si parla dell‟unione monetaria.

La somiglianza tra le frasi (16a) e (16b) e le frasi (17a) e (17b) si revela dunque unicamente

valida sul piano formale. Quando vengono analizzate in modo più approfondito, si vede che le

frasi (16a) e (16b) sono due strutture diverse.

3.2.3.4 Simone (1997)

Raffaele Simone mostra che la DD è un‟invenzione romanza. Si trova in rumeno, in spagnolo,

in francese, in italiano e in molti dialetti di queste lingue. Nel latino, a differenza delle lingue

romanze, i costituenti hanno un ordine libero all‟interno della frase; lo spostamento di un

elemento a fine di focalizzarlo non risulta quindi molto utile. Nelle lingue romanze, invece, la

dislocazione ha un senso perché « quand la syntaxe se fait rigide, tout mouvement peut

devenir pertinent » (Simone, 1997: 48).

Come abbiamo già menzionato nel nostro discorso Simone (1997: 49) rappresenta la DD nel

modo seguente:

(18) [.....cl1 V.....(x)] CD1

L‟hai preso, il giornale?

A prima vista la DD sembra condividere la sua struttura con la DS, anche se il processo di

segmentazione della frase avviene, nei due tipi di dislocazione, in direzione opposta:

(19) DD: [.....cl1 V.....(x)] CD1

DS: CD1 [.....cl1 V.....(x)]

Secondo Simone, però, la somiglianza tra i due tipi di dislocazione è solo apparente. In realtà

la DD possiede una funzione pragmatica propria e meccanismi sintattici diversi di quelli della

DS.

Mentre da un punto di vista pragmatico la DS mette un elemento dato36

all‟inizio della frase al

fine di metterlo in rilievo, nella DD invece non è il costituente postverbale che viene

36

Altri autori affermano invece che il tema è sempre dato nella DD, mentre può essere nuovo nella DS. « Mentre

sulla DS le valutazioni pragmatiche si collocano su due opposti versanti (alcuni ritengono che l‟elemento

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49

dislocato, ma il predicato verbale. Simone riprende qui dunque le idee di Bossong (1981).

Aggiunge che la DD costituisce la risposta affermativa ad una domanda negativa.

(20) A: Tu n‟as pas pris les médicaments?

B : (a) J‟ai pris les médicaments.

(b) Je les ai pris, les médicaments.

Si nota che la risposta (b) è molto più efficace della risposta (a). La struttura non marcata (a)

non è in grado di rispondere al presupposto negativo del parlante A, mentre con la DD non

esistono problemi.

Per quel che riguarda la sintassi anche Simone rifiuta un‟interpretazione generativista della

DD. Preferisce riprendere l‟argomentazione del linguista Bally (1932)37

, che classa le

dislocazioni fra le frasi segmentate. Le dislocazioni sono quindi composte da due parti: un

tema (A) e un proposito (Z), in cui A è « la cosa di cui si parla » e Z « quello che si dice

intorno ad essa » (Bally 1932)38

. L‟ordine AZ si trova nella DS, quella ZA nella DD.

La DD non costituisce dunque il frutto di uno spostamento. L‟elemento dislocato a destra non

occupa però la stessa funzione del costituente che si colloca a destra nella struttura non

marcata. Secondo Simone la DD è il risultato di un lungo processo diacronico che si svolge in

due tappe:

1) La prima tappa cancella le frontiere tra Z e A, lasciando a A il suo statuto

tematizzato e focalizzato.

[Lo hai preso?]Z [IL GIORNALE]A > [Lo1 hai preso IL GIORNALE1?]ZA

2) Nella seconda tappa lo statuto informativo di A cambia: rimane il tema

dell‟enunciato, ma deve cedere il focus al predicato verbale.

[Lo1 hai preso IL GIORNALE1?]ZA > [Lo1 HAI PRESO il giornale1?]ZA

dislocato, il tema dell‟enunciato, debba essere necessariamente dato o comunque recuperabile contestualmente,

altri invece, in maggioranza, sostengono che possa essere anche non dato e considerano dunque la DS come una

delle techniche di messa in rilievo del nuovo), sulla DD c‟è sostanziale accordo nel considerare l‟elemento

dislocato come necessariamente dato, o comunque facilmente recuperabile ». (Rossi, 1997: 7). Rossi stesso è

d‟accordo con Simone, visto che nel suo corpus si trovano DD in cui il tema non è dato: « La DDprop è dunque

spesso da considerarsi un modo per isolare il nuovo facendolo precedere da un marca (pseudo)interrogativa del

tipo lo sai che, lo vedi che » (Rossi, 1997: 33). 37

Tra i lavori utilizzati per questo studio, Bally (1932) è citato anche in Sornicola (1981), Berruto (1986),

D‟Achille (1990) e Rossi (1997). 38

Citiamo da Sornicola (1981: 127).

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50

Il cambiamento di focus che avviene nella tappa seconda implica lo sviluppo della DD verso

una struttura non marcata. Le DD sono create per focalizzare il tema della frase; con la perdita

di questa funzione viene meno anche la marcatezza del costrutto.

Fornendo esempi di dislocazioni in altre lingue romanze (portoghese, spagnolo e rumeno),

Simone rimarca che in spagnolo e rumeno la DD viene sentita come non marcata in alcuni

casi e perfino che in questi casi la struttura è diventata obbligatoria. Non sorprende allora che

anche per l‟italiano si parli a volte di una grammaticalizzazione della DD (cfr. infra).

3.2.3.5 Rossi (1997)

Fabio Rossi comincia il suo discorso con un sommario degli studi più importanti sulla DD.

L‟autore prende in considerazione i primi studi (Bally 1932, Meriggi 1938, Gossen 1951 e

1954), quelli contemporanei (Berruto 1986) e quelli con impostazione diacronica (D‟Achille

1990, Palermo 1994, Simone 1997). Nella seconda parte del suo lavoro Rossi fa uno spoglio

delle dislocazioni (DD e DS) in un corpus di sei film italiani39

. L‟autore giustifica la sua scelta

per il parlato filmico dicendo che « i dialoghi filmici forniscono dati significativi sulla

coscienza linguistica degli autori e del pubblico, in quanto l‟esigenza dei cineasti di farsi

capire da ampie platee li ha spinti a consegnarci una fotografia della lingua dai contorni

marcati, mettendo in evidenza i tratti più vistosi e sorvolando sulle sfumature » (Rossi, 1997:

18). Nonostante le differenze con il parlato-parlato, Rossi considera il parlato filmico come

rappresentativo del parlato spontaneo. Il corpus raccoglie film che appartengono a generi

diversi; di conseguenza anche la lingua si rivela diversa in ogni film. Ogni film rappresenta un

« genere cinematografico-linguisitico » (Rossi, 1997: 19). Facendo un‟analisi di questo

corpus si possono dunque esaminare diverse varietà della lingua italiana.

Nel suo articolo, Rossi studia in particolare l‟intonazione e le funzioni pragmatiche della DD,

riprendendo il modello teorico proposto da Emanuela Cresti40

. Per quello che concerne

l‟intonazione Rossi fa una distinzione tra frasi pronunciate in due unità tonali (UT d‟ora in

poi) e quelle pronunciate in una sola UT. L‟autore caratterizza una UT come

39

Si tratta di Ladri di biciclette (1948) di V. De Sica, Catene (1949) di R. Matarazzo, Nata ieri (Born Yesterday)

(1951) di G. Cukor, Totò a colori (1952) di Steno, Le amiche (1955) di M. Antonioni e Poveri ma belli (1957) di

D. Risi. 40

Cfr. Cresti (1979, 1982, 1987a, 1987b, 1990, 1992a, 1992b, 1992c, 1993, 1995, 1997).

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51

« la cellula minima dell‟analisi del parlato, ovvero una porzione di testo orale caratterizzata da un

contorno intonativo tipologicamente classificabile e unitario, cioè che non presenti al proprio interno

variazioni di andamento particolari come picchi massimi e cadute repentine, oppure abbassamenti o

innalzamenti dell‟altezza media uniti a cambiamenti di velocità elucutoria ». (Rossi, 1997: 20)41

Ogni UT equivale ad un‟unità di informazione. Queste unità possono essere il topic, il

comment42

, o ancora altre che si chiamano appendici e ausili dialogici. Il comment,

caratterizzato da un‟intonazione conclusiva43

, è l‟unica unità che può trovarsi da solo in un

enunciato, cioè può sussistere autonomamente. Le altre unità, invece, non hanno un carattere

autonomo, ma richiedono la presenza di un comment; sono allora dette secondarie. Visto che

il topic ha abitualmente un‟intonazione discendente-ascendente, esso non può mai succedere

al comment. L‟appendice invece, caratterizzata da un‟intonazione discendente, segue sempre

il topic o comment a cui si riferisce. Rossi abbandona qui dunque la nozione di pausa, che

utilizzano altri studiosi quando parlano della dislocazione, suggerendo che i due membri

dell‟enunciato siano separati non da una pausa, ma da un cambiamento intonativo.

Le dislocazioni articolate in due UT si costruiscono secondo l‟ordine topic + comment per le

DS e comment + appendice per le DD. Tuttavia, quando la DD si articola come una frase

interrogativa è più difficile attribuire al tema la funzione di appendice di comment44

. In questo

caso, infatti, l‟intonazione dell‟ultima parte di una struttura interrogativa è ascendente, mentre

quella dell‟appendice è discendente.

La DD si rivela dunque un costrutto altro dalla semplice immagine speculare della DS: nella

DD il tema, infatti, si trova nell‟appendice, mentre nella DS corrisponde al topic. Secondo

Rossi questa è una delle ragioni, insieme all‟ordine apparentemente problematico rema/tema,

per le quali la DD è rimasta a lungo poco studiata. Altre differenze tra la DS e la DD sono la

scarsa frequenza di DS con proposizione dislocata (2% di DS con proposizione dislocata

41

Rossi riprende in parte una citazione di Cresti (1990: 40), a cui si riferisce ampiamente per questo discorso. 42

Rossi si oppone ad un‟equivalenza dei termini tema/topic/dato e rema/comment/nuovo: « La scelta degli

anglicismi topic e comment non è motivata, nel nostro caso, da esterofilia e da terroristico occultamento delle

nozioni, bensì da un‟esigenza forte di non confondere le entità logico-semantiche, non necessariamente

vincolate all‟intonazione (tema/rema, dato/nuovo, riconoscibile anche in un testo scritto), con le UT, proprie del

parlato ». (Rossi, 1997: 21). 43

Per l‟intonazione si veda anche Bally (1932 : 62) : « Z [il comment] a l‟intonation modale de toute phrase

indépendante, intonation autonome, et qui comporte des variétés infinies ; dans la forme la plus banale, la voix

monte légèrement pour redescendre ensuite un peu. Le terme A comporte, au contraire, deux intonations

stéréotypées très différentes l‟une de l‟autre, et toutes deux dépendantes de Z. » 44

Scarano (2002) fa più o meno lo stesso discorso: « Elles [le DD] tendent à se constituer en une seule unité

d‟information si elles ont une illocution interrogative ou des modalités particulières de négation, d‟emphase, de

focalisation. Quand la dislocation se réalise en deux unités d‟information, celles-ci ont une articulation

comment / appendice // et il est question le plus souvent d‟énoncés assertifs non négatifs » (Scarano, 2002 : 10).

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52

contro 40% di DD con proposizione dislocata45

) e la maggior frequenza di DS articolate in

un‟UT rispetto alle DD articolate in un‟UT.

L‟intonazione ha inoltre un effetto sul piano pragmatico. Secondo Rossi i due tipi di

dislocazioni (DS e DD) rendono più chiara la comunicazione, distinguendo l‟informazione

indispensabile da quella superflua. La DS serve a mettere in rilievo il tema (topic), mentre si

vede comparire la DD soprattutto in situazioni in cui gli interlocutori condividono certe

conoscenze. La DD è utilizzata quindi per determinare il centro d‟interesse degli interlocutori

(comment), che viene separato dall‟informazione meno importante (appendice). Ad ogni

modo, benché l‟informazione nell‟appendice sia meno importante, essa ha comunque un

valore fondamentale: serve infatti a stabilire un‟affinità (simile alla camaraderie di cui parla

Berruto 1986) tra il parlante e l‟ascoltatore.

Dall‟analisi dei dati del corpus dei sei film emerge una frequenza più alta delle DD rispetto

alle DS. Rossi osserva che la crescita del numero di DD si rivela proporzionale alla crescita

del grado di informalità della lingua utilizzata nel film.

Inoltre le DS articolate in due UT sono più frequenti delle DD in due UT. Questi ultimi si

mostrano di più spesso del tipo saperlo che, dirlo che, fatto che segnala una

grammaticalizzazione di questo tipo di DD. Rossi osserva anche che le DD si trovano

soprattutto in frasi interrogative e esclamative, mentre le DS sono per lo più presenti in frase

assertive.

L‟autore conclude affermando che il parlato filmico, con il suo alto grado di dialogicità, offre

un terreno ideale per l‟uso della DD. Il film deve raccontare la sua storia in un tempo limitato:

il ricorso alla DD, la cui tema può essere un elemento presupposto, cioè non necessariamente

espresso, è dunque molto una risorsa utile in un simile contesto.

3.3 Verso una grammaticalizzazione della dislocazione a destra?

3.3.1. Una definizione, generalmente accettata da molti studiosi, del concetto di

grammaticalizzazione è quella di Kurylowicz (1975: 69):

45

Questi dati vengono dal corpus di sei film analizzato da Rossi.

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53

« Grammaticalization consists in the increase of the range of a morpheme advancing from a lexical to a

grammatical or from a less grammatical to a more grammatical status ».46

Sala Gallini (1996: 80) aggiunge a questa definizione che la grammaticalizzazione di un dato

elemento va spesso di pari passo con il suo « svuotamento semantico ». Si vede anche una

tendenza ad un aumento della frequenza di occorrenza di questi elementi, fino a giungere ad

un uso obbligatorio, una libertà sintattica minore, una perdita di valore pragmatica e di

stabilità fonetica.

Lo stesso autore cita ancora un‟altra definizione di grammaticalizzazione, che gli sembra

interessante per commentare la DD. Si tratta di una frase di Sankoff (1977: 62):

« ... we can describe as syntacticization processes the transition between what initially appear to be ad

hoc speaker strategies and what later can be fairly confidently described as syntactic rules ».47

3.3.2. Come abbiamo già accennato certi studiosi parlano di una grammaticalizzazione della

DD. Così D‟Achille (1990) nota ad esempio che esiste un caso in cui la DD è accettata come

costruzione standard. In questo caso il costituente dislocato è un oggetto diretto frasale,

ripreso all‟interno dell‟enunciato da un pronome lo. Questa struttura si osserva soprattutto con

il verbo sapere. D‟Achille dà gli esempi seguenti:

(21) a. Lo so che non è vero. (D‟Achille, 1990: 113)

b. Lo sai che Luigi si è sposato?

Rossi (1997: 6)48

segnala lo stesso fenomeno:

« La DD di proposizione è un mezzo tipico dello stile familiare per porre delle domande, secondo il tipo

lo sai + proposizione interrogativa o oggettiva. In effetti anche nell‟italiano parlato e filmico [cioè il

corpus analizzato da Rossi] le domande introdotte dalle locuzioni (quasi) cristallizzate lo sai che, lo vedi

che, lo capisci che ecc. sono numerosissime, tanto da lasciar supporre una progressiva

grammaticalizzazione del fenomeno ».

Il corpus di Rossi, cioè i sei film che datano dal 1948 al 1957, mostrano una frequenza di DD

in due UT più alta di quella articolate in una sola UT. In questo ultimo caso si tratta spesso di

frasi del tipo saperlo che, dirlo che. La loro articolazione in una UT indica una tendenza alla

grammaticalizzazione del fenomeno.

Nello stesso articolo Rossi rimanda anche alla classica grammatica storica di Rohlfs (1968),

secondo la quale in certi dialetti meridionali la struttura con dislocazione tende a diventare

46

Citiamo da Sala Gallini (1996: 80). 47

Citiamo da Sala Gallini (1996: 81). 48

Rossi riprende qui Gossen (1954: 104-105).

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54

una regola grammaticale quando il verbo è seguito da un sostantivo introdotto da un articolo

determinativo o da un pronome dimostrativo. Rohlfs dà alcuni esempi calabresi49

:

(22) a. Lu vidi lu castiellu? (Rohlfs, 1968: 169)

b. La canusciu sta fimmini ?

Franceschi, il traduttore di Rohlfs, osserva che questo fenomeno è anche valido in Toscana:

(23) a. Lo vedi il castello?

b. La conosci questa donna?

Considerando questi esempi, Rossi (1997: 4) conclude che si può parlare della « panitalianità

della DD e le sue connessioni con la frase interrogativa, con l‟indessicalità dell‟enunciato e

con la datità dell‟elemento dislocato (in presenza di articolo determinativo e di pronome

dimostrativo) »50

.

Lo stesso autore dice che in certe situazioni la DD è più felice della frase non marcata. Si

tratta di situazioni nelle quali gli interlocutori condividono lo stesso contesto referenziale o

emotivo. Rossi (1997: 34) parla di situazioni in cui si deve « dare il giusto valore pragmatico

all‟elemento dislocato, facilitando la giusta interpretazione dell‟enunciato ». In questi casi,

secondo l‟autore, si potrebbe sostituire la nozione di grammaticalizzazione e parlare più

adeguatamente di « pragmaticalizzazione » (Rossi, 1997: 34). Un esempio di questo

fenomeno si trova nel corpus di parlato filmico: la domanda « Non lo sai, che ora è? », diretta

ad un ritardatario, provoca la risposta « scusa », mentre la variante non marcata « Non sai che

ora è ? » potrebbe suscitare una risposta del tipo « le cinque e un quarto ».

Anche Simone (1997) menziona la perdita di marcatezza della DD, originalmente creata per

focalizzare il tema, ma che attualmente enfatizza l rema. Lo stesso autore cita anche alcuni

esempi spagnoli e rumeni per i quali la dislocazione è diventata la norma. La perdita di

marcatezza, del resto, non riguarda unicamente lo spagnolo e il rumeno, ma anche l‟italiano

parlato (Simone 1997 : 59):

« Dans les langues comme le français et l‟italien, elle [la DD] a perdu peu à peu jusqu‟aux traits

phonologiques la distinguant de l‟énoncé non marqué, au point de devenir elle-même non marquée. La

plupart des langues romanes, d‟ailleurs, la traitent d‟ores et déjà comme une structure de base, liée aux

registres parlés (italien, français), ou d‟emploi général et obligatoire dans certaines conditions

(espagnol, roumain) ».

49

Citiamo da Rossi (1997: 4). 50

Questo fatto viene confermato da un‟analisi eseguita da Scarano (2002): nel suo corpus 43% delle DD

articolate in una UT sono strutture interrogative.

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55

Quando il costituente dislocato in spagnolo (a) è un dativo, la DD viene considerata come una

struttura non marcata. In rumeno (b), la struttura dichiarativa non marcata prende la forma di

una DD. Si considirano gli esempi seguenti:

(24) a. Le pediré dinero a mi padre. (Simone, 1997: 58-59)

(Gli chiederò soldi a mio padre.)

b. Ion a vàzut-o pe Maria.

(Ion ha visto-la Maria.)

3.3.3. Gli esempi precedenti mostrano che il fenomeno della dislocazione è già, parzialmente,

grammaticalizzato in altre lingue romanze. Vediamo se questo sia anche il caso in italiano.

Due lavori recenti parlano dello statuto più o meno grammaticalizzato del clitico nell‟italiano

attuale. Si tratta di Berretta (1985) e Sala Gallini (1996).

Monica Berretta dedica nel 1985 un articolo ai pronomi clitici nell‟italiano parlato. Secondo

la studiosa si può parlare in italiano di una « coniugazione oggettiva » (Berretta, 1985: 186-

187), nella quale il clitico viene considerato come una marca che indica la funzione casuale

degli argomenti del verbo. Il clitico può indicare sia l‟oggetto diretto (a) sia quello indiretto

(b):

(25) a. Lo compri tu, il giornale? (Berretta, 1985: 186)

b. Gli hai parlato, a tuo padre?

Ma, spiega Berretta, il processo verso una completa coniugazione oggettiva è lontano

dall‟essere terminato. Nell‟italiano contemporaneo esistono la struttura con pronome clitico

(a), cioè la dislocazione, e quella senza pronome (b):

(26) a. Gli hai parlato, a tuo padre? (Berretta, 1985: 188)

b. Hai parlato a tuo padre?

La coesistenza di queste due strutture mostra che lo statuto dei clitici italiani non è chiaro. In

certi casi i clitici hanno una vera funzione semantica, con valore deittico o anaforico, mentre

in altri casi si rivelano grammaticalizzati, cioè appartenenti alla morfologia del verbo.

Berretta dà alcune ragioni per la ridondanza pronominale nelle frasi italiane. Dal punto di

vista morfologico si nota una tendenza alla semplificazione del paradigma dei pronomi atoni.

Questa semplificazione può causare alcune difficoltà nell‟interpretazione corretta dei clitici.

Così il pronome le indica ad esempio un dativo singolare e un accusativo plurale, mi un

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accusativo, un dativo e un riflessivo, ecc. Al fine di evitare confusione si creano strutture

ridondanti (a me mi, a noi ci, ci vado lì). Nell‟ambito della sintassi Berretta dice che la

grammaticalizzazione dei clitici va di pari passo con lo statuto più o meno marcato della

dislocazione.

La studiosa afferma inoltre che la dislocazione di un oggetto indiretto viene ancora

considerata come marcata in italiano moderno, mentre quella di un oggetto diretto viene

largamente accettata. Soprattutto i costituenti dislocati frasali, ripresi dal pronome lo, sono

frequenti51

. Ciò potrebbe essere legato alla natura meno marcata dell‟accusativo rispetto al

dativo. La minore presenza dell‟oggetto indiretto potrebbe anche essere dovuta alla preferenza

dei pronomi tonici o dimostrativi a quelli atoni.

Berretta aggiunge che il clitico ne, e di conseguenza anche le dislocazioni contenti un ne, sono

ormai grammaticalizzati. Alcuni esempi di parlato formale lo mostrano:

(27) a. Ma su questo ne ho già parlato altrove. (Berretta, 1985: 192)

b. Di questo problema ne abbiamo discusso.

I verbi e espressioni di questo tipo sono parlarne, risponderne, occuparsene, interessarsene,

discuterne, saperne, darne lettura, dirne male, esserne lieto, esserne convinto, andarsene,

tornarsene, ecc. Berretta menziona però anche due casi in cui ne possiede ancora un pieno

valore anaforico: si tratta del ne genitivale-possessivo (a) e del ne che significa in

conseguenza di ciò (b):

(28) a. Quindi allora il problema è dire: ma come fa, se l‟inconscio costituisce il significato, come fa il

significato a collegarsi alla/al linguaggio che ne sarebbe il significante? (Berretta, 1985: 204)

b. Togliere la congiunzione, si elimina qualcosa di inutile, però ne viene meno il...

Anche il ci locativo tende alla grammaticalizzazione e sparisce così dal paradigma dei

pronomi atoni. È il caso di verbi come averci, volerci, pensarci, entrarci, riuscirci, crederci,

metterci, rifletterci, contarci, viverci e con le espressioni farci attenzione e andarci matto,

ecc52

.

Berretta conclude il suo discorso sui clitici in generale con una parte che risulta anche

importante per la grammaticalizzazione dei clitici nella DD. Secondo l‟autrice la

coniugazione oggettiva è in grado di garantire la coesione all‟interno della frase. Questa

51

Questo fatto viene provato dall‟analisi del suo corpus. Quasi un terzo (47 occorrenze) delle dislocazioni sono

di questo tipo. 52

I verbi e locuzioni citati sono attestati nel corpus analizzato da Berretta (1985). Si tratta di un corpus di italiano

parlato formale (4 ore e 25 minuti). I locutori sono colti e d‟origine settentrionale.

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57

garanzia è importante visto che l‟ordine libero dei costituenti nella dislocazione non assicura

più la coesione interna.

Nel 1996 Sala Gallini ha scritto un ottimo articolo che concerne lo statuto del clitico nella

DD. In questo contributo lo studioso si chiede se il clitico possieda ancora valore semantico o

se sia già grammaticalizzato. Se questo articolo riprende in gran parte il discorso di Berretta

(1985), ci sembra che tratti il problema in modo più chiaro e sistematico. Una

grammaticalizzazione della DD significa, secondo Sala Gallini, che il parlante non dispone

più di una scelta tra la struttura marcata, la DD, e quella non marcata, cioè quella senza

pronome clitico. Per esaminare la grammaticalizzazione del clitico nella DD l‟autore

individua alcuni test.

Il primo test consiste nella verifica di una possibile omissione del pronome. Se è possibile

sopprimerlo senza rendere la frase agrammaticale né modificarne il significato non si tratta di

una grammaticalizzazione. Quando, invece, l‟omissione del pronome clitico provoca

l‟agrammaticalità del costrutto, si può parlare di una grammaticalizzazione. In questo caso la

presenza del pronome clitico nella DD è diventata obbligatoria. Citiamo un esempio53

:

(29) A: Io vado matta per i fiori e per la frutta. (Sala Gallini, 1996: 83)

B: (a) Anch‟io ci vado matta.

(b) Anch‟io vado matta per i fiori e per la frutta.

(c) Anch‟io ci vado matta, per i fiori e per la frutta.

Vediamo che in questo caso il parlante può scegliere tra una struttura non marcata, le frasi (a)

e (b), e una struttura marcata con dislocazione, la frase (c). Visto che il costrutto non marcato

è disponibile, non si può parlare di una grammaticalizzazione del pronome clitico. Le frasi (a)

e (c) mostrano che il pronome ci ha una chiara funzione anaforica: il clitico riprende il

sintagma nominale per i fiori e per la frutta del parlante A. Nel costrutto (c) il pronome

assume anche una funzione cataforica.

In altri casi però il clitico è diventato una parte inerente al verbo e di conseguenza non è

possibile ometterlo. Gli esempi seguenti lo mostrano:

(30) a. Non ci vuole molto a capire che le sue condizioni sono gravi. (Sala Gallini, 1996: 84-87)

b. * Non vuole molto a capire che le sue condizioni sono gravi.

c. Non ci sto a giocare in porta.

53

L‟esempio citato da Sala Gallini si trova anche in Berretta (1985: 202).

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58

d. Non sto a giocare in porta.

e. Me ne frego del tuo onore!

f. * Mi frego del tuo onore!

g. Ne ho abbastanza dei tuoi giuramenti!

h. * Ho abbastanza dei tuoi giuramenti!

In questi esempi il clitico forma un‟unità lessicale con il verbo. Quando viene omesso il

pronome la frase diventa agrammaticale o prende un altro significato. Si tratta di verbi come

volerci (= essere necessario), metterci (= impiegare tempo), starci (= acconsentire), entrarci

(= essere pertinente). Si osserva che il clitico cambia il significato originale del verbo. In

questi verbi il pronome clitico non viene più considerato come pronominale, ma come parte

inerente al verbo. Una prova della grammaticalizzazione del clitico si trova nella sua doppia

presenza in frasi come non può c‟entrarci54

. Il verbo, con clitico attacato, viene visto come

una sola entità lessicale; la presenza di un altro clitico è dunque perfettamente possibile. Sala

Gallini rifiuta di considerare le frasi (a), (c) e (e) come delle dislocazioni, perché esse hanno

perso il loro valore di costrutto marcato. Questa perdita di marcatezza è dovuta al fatto che il

pronome clitico non indica più il tema della frase. Si può dunque unicamente parlare di

dislocazione quando è anche possibile la variante non dislocata.

Una seconda maniera per distinguere le dislocazioni dalle stutture con clitico lessicalizzato

consiste nel controllo della presenza di una possibile pausa tra i due membri del costrutto. Nel

caso di una dislocazione il parlante tenta di costruire il suo enunciato in un modo tale da

rendere chiaro il suo messaggio. Per quello aggiunge alla fine un elemento che contiene

informazione importante, che può essere separata dal resto della frase da una pausa. Sala

Gallini adotta la stessa distinzione posta da Berruto (1986), cioè una distinzione tra la DD

vera e propria e il ripensamento. Secondo l‟autore è unicamente il secondo, considerato come

una falsa dislocazione, ad essere caratterizzato dalla presenza di una pausa. Nel ripensamento

il clitico assume ancora una vera funzione pronominale; la grammaticalizzazione del pronome

riguarda dunque solamente le vere dislocazioni:

« tanto più appare difficile poter spezzare con una pausa prima del materiale dislocato l‟enunciazione di

una struttura frasale (superficialmente) dislocata a destra, tanto più alte saranno le probabilità di

grammaticalizzazione del clitico che essa contiene ». (Sala Gallini, 1996: 92)

Lo studioso menziona alla fine del suo discorso la scarsità di esempi, nel suo corpus, per i

quali si può parlare di una grammaticalizzazione del clitico: l‟omissione di questo clitico,

54

Esempio attestato in Berruto (1985) e considerato come italiano substandard.

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59

infatti, nella maggior parte dei casi non produce una struttura agrammaticale. Sala Gallini

conclude dicendo che nella maggior parte dei casi il parlante ha la sceltra tra una frase non

marcata, senza clitico, e una dislocazione. Le DD vanno dunque generalmente interpretate

come strutture marcate.

3.3.4. Rossi (1997) avverte che si deve trattare la grammaticalizzazione della DD con estrema

cautela. La cancellazione della pausa55

sarebbe la prova della perdita di marcatezza del

costrutto. Lo studioso rimarca tuttavia nel suo corpus che fra le dislocazioni articolate in una

sola UT quelle a sinistra sono più frequenti di quelle a destra. La DS dovrebbe dunque tendere

alla grammaticalizzazione, e non la DD. Inoltre la DD, avendo perso il suo statuto marcato,

dovrebbe presentarsi meno frequentemente della DS nei registri linguistici più bassi. Rossi

osserva tuttavia che le DD rimangono frequenti in queste varietà e che sono così o più

frequenti delle DS.

Nel suo articolo Rossi fa poi riferimento a Ashby (1988), che ha tentato di provare la

grammaticalizzazione della DD in francese. Dall‟analisi di un campione di lingua, questo

studioso prevedeva di rilevare una frequenza di DD grammaticalizzate più alta nei giovani che

negli anziani. I suoi risultati statistici hanno mostrato invece una frequenza più alta nei

parlanti anziani. Le teorie sulla grammaticalizzazione della DD non coincidono quindi sempre

con la realtà linguistica.

55

Come abbiamo visto tuttavia Rossi preferisce parlare, non di pausa, ma di frasi articolate in una o due UT.

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60

4 Analisi della dislocazione a destra nel corpus CLIPS

4.1 Introduzione al corpus

Abbiamo scelto di confrontare i vari studi sulla DD con i risultati di un‟analisi della DD in un

corpus di italiano parlato. Si tratta del corpus CLIPS, acronimo per Corpora e Lessici di

Italiano Parlato e Scritto, che è il risultato di un progetto a cura di Federico Albano Leoni,

svolto tra il 1999 e il 2004. Il corpus, che tra l‟altro contiene brani di parlato per una durata

totale di circa 100 ore, conosce una duplice stratificazione: diatopica e diafasica. Al fine di

poter considerare tutte le varietà del territorio italiano, il corpus contiene parlato raccolto in

varie località: Bari, Bergamo, Cagliari, Catanzaro, Firenze, Genova, Lecce, Milano, Napoli,

Palermo, Parma, Perugia, Roma, Torino e Venezia. La scelta di queste città si fonda su criteri

geolinguistici, sociolinguistici e socioeconomici56

. Per quel che concerne la variazione

diafasica si distinguono vari tipi di testi: 1) il parlato radiotelevisivo; 2) il parlato raccolto sul

campo; 3) il parlato letto; 4) il parlato telefonico.

Per la nostra analisi facciamo unicamente uso del parlato raccolto sul campo. Questa parte del

corpus contiene dialoghi di tipo map-task e test delle differenze prodotti da un totale di 360

parlatori: 12 coppie per ogni città, un numero equivalente di uomini e donne, soprattutto

studenti universitari di età compresa tra i venti e i trenta anni.

Nel dialogo map-task57

, ognuno dei due parlanti riceve una mappa con un certo numero di

disegni che servono come punti di riferimento per orientarsi. La mappa del parlante 1 contiene

un percorso che va da un punto di partenza fino ad un cerchietto nero che si trova più o meno

al centro della mappa. Il parlante 2 possiede una mappa con un percorso che parte dallo stesso

cerchietto nero e che va fino ad un punto di arrivo. Lo scopo del gioco sta nel ricostituire la

parte del percorso che manca sulla propria mappa. Pertanto il parlante deve fornire e chiedere

informazioni che riguardano la propria mappa e quella dell‟altro, senza tuttavia poter guardare

l‟interlocutore e la sua mappa.

56

Per maggiori informazioni si veda Sobrero A., Definizione delle caratteristiche generali del corpus:

informatori, località, sul sito http://www.clips.unina.it. 57

Per l‟illustrazione degli compiti map-task e test delle differenze, riprendiamo in gran parte quello che si trova

in Cutugno F., Criteri per la definizione delle mappe, esempi di mappe e di vignette per il gioco delle differenze,

sul sito http://www.clips.unina.it.

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61

Fig. 1: Esempio di mappe per il dialogo map-task (fonte: http://www.clips.unina.it)

Il test delle differenze è un gioco nel quale ognuno dei due partecipanti riceve una vignetta. Le

due vignette molto simili, ma differiscono per alcuni elementi che possono essere di natura

diversa: 1) assenza o presenza di piccoli dettagli; 2) differente orientamento spaziale di

oggetti; 3) differenze nella forma o nelle dimensioni di particolari elementi grafici.

All‟opposto dell‟esercizio map-task il test delle differenze ha una durata limitata, che è in

questo caso una durata di 10 minuti. Anche qui gli interlocutori non sono in contatto visivo

con il loro partner.

Fig. 2: Esempio di vignette per il dialogo test delle differenze (fonte: http://www.clips.unina.it)

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62

Per il nostro studio della DD abbiamo scelto di analizzare un corpus di 30 dialoghi tratti da

cinque città italiane. Si tratta di Torino, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. La scelta di queste

cinque città non è casuale: abbiamo scelto di prendere in considerazione una città dell‟area

gallo-italica (Torino), una città dell‟area toscana (Firenze), una città dell‟area mediana

(Roma), una città dell‟area meridionale (Napoli), e infine una città dell‟area meridionale

estrema (Palermo). La scelta di cinque città disperse sul territorio italiano ci potrebbe

permettere di dire qualcosa sull‟impiego della DD nella lingua italiana con tutte le sue varietà

regionali. Aggiungiamo comunque da subito che il nostro corpus è ancora troppo limitato

perché se ne possano trarre delle conclusioni definitive. Per ottenere risultati più precisi sulla

DD nell‟italiano parlato sarebbe anche necessario analizzare non solo i dialoghi delle altre

città del corpus CLIPS58

, ma anche altri corpus di italiano parlato.

Il corpus qui analizzato ha una durata di 7 ore 1 minuto e 55 secondi: 1 ora 33 minuti e 52

secondi per Firenze, 1 ora 10 minuti e 2 secondi per Napoli, 1 ora 9 minuti e 46 secondi per

Palermo, 1 ora 19 minuti e 27 secondi per Roma, e 1 ora 48 minuti e 48 secondi per Torino. Si

tratta di dialoghi registrati nell‟abitazione di Firenze, all‟università di Napoli, al Centro studi

filologici e linguistici siciliani di Palermo, nelle case di Roma e nell‟abitazione di Torino. Per

ogni città abbiamo studiato le DD in tre dialoghi map-task e in tre dialoghi test delle

differenze.

4.2 Analisi del corpus: risultati e interpretazioni

4.2.1 La distribuzione geografica

Nel corpus analizzato sono presenti 168 DD. La ripartizione sulle cinque città è la seguente:

DD

Firenze

52

Napoli 22

Palermo

Roma

40

37

Torino 17

Totale 168

58

Per la nostra analisi ad esempio non abbiamo preso in considerazione le aree veneta (Venezia) e sarda

(Cagliari).

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63

Si osserva un numero più alto di DD per Firenze, Roma e Palermo, mentre i dialoghi di

Napoli e Torino presentano un numero più ridotto di DD. Ciononostante, la presenza di molte

o poche DD non può essere direttamente correlata alla provenienza geografica del parlante.

Essa può dipendere, ad esempio, da abitudini linguistiche specifiche dei parlanti registrati per

il corpus. Insistiamo di nuovo, quindi, sulla necessità di analisi più approfondite per poter

pronunciare delle conclusioni sulla distribuzione geografica della DD.

4.2.2 La funzione grammaticale del costituente dislocato

In generale i ricercatori che si sono occupati della DD notano che nella maggior parte dei casi

l‟elemento dislocato è un oggetto diretto. Così Berruto (1986: 63) osserva che nel corpus da

lui studiato sono dislocati 54 oggetti diretti, 23 oggetti indiretti, 11 partitivi e 3 locativi. In più

della metà dei casi il costituente dislocato si rivela dunque un oggetto diretto. Anche secondo

Berretta (1994: 256) gli oggetti diretti vengono più frequentemente dislocati, seguiti dagli

oggetti indiretti e dai locativi.

Vediamo se i risultati del nostro corpus corrispondano con quelli di Berruto e Berretta:

Soggetto Oggetto

diretto

Oggetto

indiretto

Locativo Partitivo Frase

subordinata

Firenze

3

38

6

2

1

2

Napoli 0 15 1 2 1 3

Palermo

Roma

1

5

24

26

1

1

2

2

7

2

5

2

Torino

0 14 0 1 1 0

Totale: 168

(100%)

9 (5,4%) 117

(69,6%)

9 (5,4%) 9 (5,4%) 12 (7,1%) 12 (7,1%)

Come si osserva nella tabella il costituente dislocato è in 69,6% dei casi un oggetto diretto. I

dati forniti dal nostro corpus confermano quindi le affermazioni di Berruto e Berretta.

Diversamente da quello che dicono i due studiosi, però, l‟oggetto indiretto non viene dislocato

spesso nel nostro corpus. Solo il soggetto, che d‟altronde non è stato preso in considerazione

da Berruto e Berretta, e il locativo come costituenti dislocati sono altrettanto rari quanto

l‟oggetto indiretto. Aggiungiamo che in 5 degli 9 casi si tratta di esempi con ridondanza

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64

pronominale del tipo mi pare a me, ti pareva a te. Gli unici quattro esempi di dativi veri e

propri dislocati sono i seguenti:

(1) Gli passi intorno a i‟ gatto. (Firenze)

Devo girargli intorno al gatto? (Firenze)

Ma gli manca una mano a questo qua? (Palermo)

Poi gli passa sotto al maggiolino. (Roma)

Un‟altra differenza con i risultati di Berruto e Berretta è la presenza del soggetto dislocato nel

nostro campione d‟analisi. Abbiamo visto che la dislocazione del soggetto non è unicamente

limitata alle lingue a soggetto obbligatorio, come il francese. Ripetiamo brevemente che,

secondo Bonvino (2004), il soggetto dislocato è caratterizzato da una minore coesione con il

verbo. Secondo la studiosa la presenza di un soggetto dislocato si osserva in tre fattori

fondamentali: 1) la presenza di un costituente che fa parte della valenza verbale tra il verbo e

il soggetto; 2) il soggetto dislocato è di preferenza lessicale, definito e referenziale; 3) il

soggetto dislocato sta in un‟altra unità tonale rispetto a quella in cui si trova il verbo. Tenendo

conto di questi criteri abbiamo potuto individuare nove soggetti dislocati nel nostro corpus:

(2) Sì, devo risalì perché c‟ho i’ pettine io. (Firenze)

C‟ho anche l’ombra del pallone io. (Firenze)

Accanto a i‟ pallone c‟ho altre tre righe io. (Firenze)

Perché mi hai detto che hai che hai il cuore tu? (Palermo)

Per me saliva un po’ in verticale „l tracciato. (Roma)

Sta alla destra del gatto la mano? (Roma)

C‟ha gli stivali l‟uomo? (Roma)

Ha un ghirigori sulla manica l'uomo che tiene in mano la televisione portatile. (Roma)

Il bambino ce l'ha l'ombelico il tuo? (Roma)

In questi esempi, in conformità con quanto affermato da Bovino (2004), si osserva sempre la

presenza di un elemento tra il verbo e il soggetto e la natura referenziale del soggetto

dislocato.

4.2.3 Il costituente dislocato: sempre dato?

Rossi (1997: 7) scrive:

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65

« Mentre sulla DS le valutazioni pragmatiche si collocano su due opposti versanti (alcuni ritengono che

l‟elmento [sic] dislocato, il tema dell‟enunciato, debba essere necessariamente dato o comunque

recuperabile contestualmente, altri invece, in maggioranza, sostengono che possa essere anche non dato

e considerano dunque la DS come una delle tecniche di messa in rilievo del nuovo), sulla DD c‟è

sostanziale accordo nel considerare l‟elemento dislocato come necessariamente dato, o comunque

facilmente recuperabile ».

Con informazione data si intende informazione già nominata precedentemente o informazione

presente deitticamente. L‟informazione nuova è invece quella informazione che non è

recuperabile né nel cotesto né nel contesto (Rossi, 1997: 16). Molti studiosi della DD

considerano infatti l‟elemento dislocato sempre come dato. Berruto (1986: 56) suggerisce

tuttavia che la datità del costituente possa essere solo apparente: « a prima impressione, la

dislocazione a destra appare tipicamente una costruzione marcata per la datità dell‟elemento

dislocato a destra, che è inoltre tematico ». Berruto insiste sul fatto che le nozioni di

dato/nuovo non coincidono sempre con quelle di tema/rema. È importante quindi sottolineare

che il costituente dislocato a destra è sempre tema, ma non sempre dato. Secondo Berruto

l‟elemento dislocato è sempre dato nei ripensamenti, nei quali è presente una pausa prima

dell‟elemento dislocato, mentre può essere nuovo nelle dislocazioni vere e proprie, nelle quali

non c‟è discontinuità prosodica. Rossi (1997: 33) rifiuta però di legare la datità o novità

dell‟elemento dislocato all‟articolazione della DD in una o in due UT: « Contrariamente a

quanto si possa immaginare e a quanto si sia detto finora, infatti, non risulta che le DD in

due UT dislochino necessariamente un elemento dato ». Secondo l‟autore gli elementi

dislocati nuovi sono soprattutto numerosi nelle DDprop, cioè nelle DD in cui il costituente

dislocato è una proposizione.

Anche nel nostro corpus gli elementi dislocati a destra sono talvolta nuovi:

Dato Nuovo

Firenze

50

2

Napoli 17 5

Palermo

Roma

Torino

36

32

17

4

5

0

Totale: 168 (100%) 152 (90,5%) 16 (9,5%)

Si osserva che quasi 10% degli elementi dislocati contengono informazione nuova. L‟analisi

dei dati del nostro corpus conferma la costatazione di Berruto (1986): i costituenti dislocati

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66

possono essere nuovi. Si nota tuttavia la grande preferenza per elementi dislocati dati. Questo

fenomeno viene parzialmente spiegato dal tipo di corpus che abbiamo utilizzato. Nel caso

degli esercizi map-task e test delle differenze gli interlocutori hanno sempre in mano un foglio

con uno o più disegni. Gli oggetti ai quali i parlanti fanno riferimento nelle loro conversazioni

appartengono al contesto extralinguistico, cioè sono rappresentati sul foglio, e vengono quindi

considerati come dati.

Verifichiamo anche se l‟osservazione di Rossi (1997) sulle DDprop valga anche per il nostro

corpus:

Dato Nuovo

Soggetto (9=100%) 8 (88,9%) 1 (11,1%)

Oggetto diretto (117=100%) 108 (92,3%) 9 (7,7%)

Oggetto indiretto (9=100%) 9 (100%) 0 (0%)

Locativo (9=100%) 9 (100%) 0 (0%)

Partitivo (12=100%) 12 (100%) 0 (0%)

Frase subordinata (12=100%) 6 (50%) 6 (50%)

Totale: 168 (100%) 152 (90,5%) 16 (9,5%)

Si vede 9 occorrenze di elementi dislocati nuovi per l‟oggetto diretto, 6 per la frase

subordinata e 1 per il soggetto. Osservando le percentuali si nota in effetti, come ha segnalato

Rossi (1997), che 50% delle DD con frase subordinata dislocata esprimono informazione

nuova nel costituente dislocato. Per il soggetto e l‟oggetto diretto la novità dell‟elemento

dislocato è minore con percentuali respettivamente di 11,1% e 7,7%. Nel caso di un oggetto

indiretto, un locativo o un partitivo l‟informazione fornita dal costituente dislocato è sempre

data.

Un altro elemento, che può essere legato alla datità o novità dell‟elemento dislocato, è la sua

definitezza. Berruto (1986: 64), riprendendo Larsson (1979: 38), dice che « un NP indéfini,

dont la référence est spécifique, ne peut pas apparaître dans la position disloquée ». Ma

Berruto aggiunge che potrebbe esistere qualche dubbio su esempi come li ho visti alcuni

uomini, l‟ho visto un gatto o lo vuole un caffé. Anche Berretta (1994: 256) segnala la

preferenza per costituenti dislocati definiti: « Quanto ai tipi di nominali, si rileva

coerentemente in corpora diversi che pronomi tonici e sintagmi nominali definiti (nell‟ordine)

hanno probabilità molto maggiori rispetto a nominali indefiniti di comparire in strutture

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67

dislocate ». Anche nel nostro corpus gli elementi dislocati sono nella maggior parte dei casi

definiti.

Definito Indefinito

Dato (152=100%)

133 (87,5%)

19 (12,5%)

Nuovo (16=100%) 14 (87,5%) 2 (12,5%)

Totale: 168 (100%) 147 (87,5%) 21 (12,5%)

La tabella mostra anche che nel nostro corpus 12,5% dei costituenti dislocati sono indefiniti.

Non si tratta dunque di casi isolati. Nella schematizzazione precedente abbiamo distinto tra

elementi dislocati dati e elementi dislocati nuovi, perché potrebbe esistere un legame tra la

datità di un costituente e la sua definitezza. Scarano (2002: 8) afferma che nelle DD

pronunciate in due UT l‟elemento dislocato può essere omesso perché si tratta di « une vraie

adjonction dont la signification est facile à trouver dans le contexte des connaissances, et

même le plus souvent, de l‟énonciation ». La sua opinione coincide quindi con quella di

Berruto (1986), per il quale l‟elemento dislocato è sempre dato nei ripensamenti. Scarano

aggiunge che la prova della datità del costituente dislocato sta nel fatto che esso è sempre

determinato. La datità sarebbe dunque legata alla definitezza di un elemento, mentre la novità

darebbe più facilmente luogo ad elementi indefiniti. L‟opinione di Scarano non è sorprendente

visto che nell‟ordine non marcato SVO un elemento nuovo viene introdotto da un articolo

indefinito, mentre un elemento dato è preceduto da un articolo definito o da altri costituenti

che lo rendono determinato come questo, quello, ecc. Dal nostro corpus emerge tuttavia una

percentuale uguale di costituenti indefiniti per gli elementi nuovi (12,5%) e per quelli dati

(12,5%). La coincidenza delle due percentuali è da ritenere in prima istanza del tutto casuale;

un‟analisi approfondita di più dati potrebbe non dare lo stesso risultato. Dato il numero ridotto

di DD nel nostro corpus (168 occorrenze, tra le quali unicamente 16 con informazione nuova

nel costituente dislocato) non è possibile fare affermazioni nette sul rapporto tra datità e

definitezza. Il fatto che gli elementi dislocati, sia quelli dati che quelli nuovi, tendano nella

maggior parte dei casi ad essere definiti è l‟unica cosa che si possa dire con certezza.

4.2.4 Messa in rilievo del rema o del tema?

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68

Abbiamo visto che secondo Bossong (1981: 242) « la « segmentation » sert à mettre en relief

la rhématicité du prédicat en même temps que la thématicité d‟un ou de plusieurs syntagmes

nominaux ». Secondo l‟autore esiste una differenza tra l‟ordine tema-rema (DS) e quello

rema-tema (DD). La DS enfatizza il tema, provocando così un enunciato a due o più picchi

intonativi e/o accentuali: uno sul tema e uno sul rema verbale. La DD, invece, mette in rilievo

unicamente il rema: « la postposition du thème sert à emphatiser la rhématicité du prédicat

verbal, et c‟est l‟assertion contenue dans le nœud prédicatif qui est chargé de tout le poids de

l‟emphase émotive » (Bossong, 1981 : 249-250). È dunque sempre l‟elemento che si trova

all‟inizio dell‟enuciato che viene enfatizzato. Simone (1997: 52) riprende l‟opinione di

Bossong, respingendo così l‟interpretazione della DD come costrutto focalizzato sul

costituente dislocato, cioè il tema. Secondo lui la DD originariamente focalizzava il tema, ma

nel corso della storia dell‟italiano il focus si è spostato dal tema al rema della frase (cfr.

sopra). Anche Berruto (1986: 59) accetta un‟interpretazione della DD come struttura che

enfatizza il rema. La DD va in primo luogo considerata come la dislocazione a sinistra del

rema verbale e la posposizione del tema non è che un effetto secondario di questo. Secondo

Berruto questa interpretazione offre due vantaggi. Essa spiega in primo luogo perché il tema e

dato, all‟inizio dell‟enunciato in una struttura non marcata, stia al lato destro della frase. La

DD è una struttura marcata perché mette in rilieve il rema: il tema viene semplicemente de-

enfatizzato. In secondo luogo essa rende conto del fatto che l‟elemento dislocato non deve

sempre essere dato, perché non è direttamente coinvolto dalla ristrutturazione dell‟ordine

delle parole.

Berruto (1986: 60) vede tuttavia ancora un‟altra possibilità di spiegare la DD. Il linguista è

d‟accordo con l‟interpretazione pragmatica di Bossong (1981), ma osserva che nella realtà

linguistica concreta certi esempi non possono essere spiegati in questo modo, cioè non è

chiaro perché i loro predicati verbali abbiano un rilievo particolare. Berruto propone di

considerare questi esempi come strutture marcate in quanto mettono a destra un elemento che

farebbe parte del rema nella struttura non marcata corrispondente. In questi casi la messa in

rilievo del predicato verbale sarebbe l‟effetto secondario della posposizione del tema. Berruto

precisa che questa interpretazione va di pari passo con la natura egocentrica della sintassi del

parlato. Così la DD « è una costruzione marcata perché, isolando a destra, costruisce

l‟elemento dislocato come tema deitticamente „motivato‟ per il parlante o enunciatore (

quindi tendenzialmente anche come dato) » (Berruto, 1986: 61). Il parlante può trattare

un‟informazione nuova come data, perché è data dal suo punto di vista. Questa interpretazione

vale, secondo Berruto, soprattutto per le DD propriamente dette, in cui è presente talvolta una

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69

sorta di confidenzialità fra gli interlocutori59

. I ripensamenti, invece, mettono in evidenza il

rema verbale.

Ascoltando i nostri dialoghi abbiamo tentato di stabilire se l‟enfasi (ovvero il focus) fosse sul

rema, oppure sul tema.

Enfasi sul tema Enfasi sul rema

Firenze

9

43

Napoli 8 14

Palermo

Roma

12

6

28

31

Torino 5 12

Totale: 168 (100%) 40 (23,8%) 128 (76,2%)

In più di tre quarti dei casi (76,2%) l‟enfasi sta sul rema. Questa costatazione coincide dunque

con l‟interpretazione della DD di Bossong 1981, Berruto 1986 e Simone 1997. Però quasi

24% delle DD nel nostro corpus mette in rilievo il tema della frase. Seguendo la logica di

Berruto, che dice che l‟informazione è data quando il tema viene enfatizzato, in questi esempi

gli elementi dislocati dovrebbero dunque in gran parte essere dati. Vediamo se i dati del

nostro corpus confermano l‟ipotesi di Berruto:

Dato Nuovo

Tema (40=100%)

36 (90%)

4 (10%)

Rema (128=100%) 116 (90,6%) 12 (9,4%)

Si nota che nelle DD con enfasi sul tema il costituente dislocato è nuovo in 10% dei casi. Non

risulta quindi corretto affermare che il tema possa unicamente essere focalizzato in caso di un

elemento dislocato dato, anche se, com‟era prevedibile, la grande maggioranza degli elementi

dislocati è data (90%) e non nuova (10%). I nostri dati sembrano quindi confermare l‟ipotesi

di Berruto (1986): quando il tema della DD viene focalizzato, è generalmente possibile che il

costituente dislocato sia dato. L‟analisi del nostro corpus mostra d‟altronde che ciò avviene

anche quando l‟enfasi sta sul rema.

59

La cosidetta « camaraderie » (Berruto, 1986: 61).

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4.2.5 La frequenza della DD in frasi interrogative

L‟analisi dei dati del nostro corpus mostra un fenomeno notevole: in un po‟ più della metà dei

casi la DD si trova in una frase interrogativa.

Frasi affermative Frasi interrogative

Firenze

25

27

Napoli 11 11

Palermo

Roma

18

18

22

19

Torino 11 6

Totale: 168 (100%) 83 (49,4%) 85 (50,6%)

Questo dato non è tuttavia sorprendente. Alcuni dei testi linguistici sulla DD di cui abbiamo

parlato in questo lavoro, legano la DD alla frase interrogativa.

Simone (1997: 53-55) difende la tesi di Bally (1932) che dice che la DD appartiene alla classe

delle frasi segmentate: la DD deriva da due frasi coordinate che si sono fondate. Così [Lo hai

preso?]Z [il giornale]A diventa [Lo1 hai preso il giornale1?]ZA. La specificità della DD non

starebbe quindi nello spostamento di un elemento a destra, bensì nello spostamento delle

frontiere tra le frasi. Al fine di sostenere la posizione di Bally Simone menziona l‟esistenza di

lingue in cui la DD è associata alla frase interrogativa. È anche il caso dell‟italiano:

(3) dilci, che „l sai: [di che sapore è l‟oro?] (Dante, Purg. XX 117)60

In questo esempio il costituente dislocato è di natura interrogativa. Secondo Simone l‟esempio

citato dimostra che la DD sembra derivare dall‟unione di due frasi, tra cui una è una domanda:

« Ses precurseurs syntaxiques [cioè i precursori sintattici della DD, LM] sont, selon notre

hypothèse, une question et une réponse, qui, à un certain moment, se soudent entre elles, en

conservant la trace de la fusion » (Simone, 1997: 59).

Anche Rossi (1997) tratta del legame tra la DD e la frase interrogativa. Abbiamo già notato

nel paragrafo sulla grammaticalizzazione della DD che Rossi deduce dai testi di Meriggi

(1938) e Rohlfs (1949) una « panitalianità della DD e le sue connessioni con la frase

interrogativa » (Rossi, 1997: 4). Lo studioso nota che anche Gossen (1954) interpreta la DD

60

Citiamo da Simone (1997: 55).

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come avendo una relazione con lo schema tonale e il valore informativo della struttura

domanda + risposta: l‟informazione nella domanda è nuova, mentre quella nella risposta può

essere descritto come nuovo + dato, in cui il dato coincide con il nuovo della domanda. In

questi casi il costituente dislocato viene interpretato come glossa esplicativa. Gossen osserva

anche che le DD sono frequenti in frasi esclamative e interrogative, perché esse sono

caratterizzate da un forte coinvolgimento emotivo dei locutori. Le domande servono, così

come le DD, a mettere in evidenza il nuovo. Anche Rossi stesso nota nel suo corpus di parlato

filmico la preferenza della DD di stare in enunciati interrogativi e esclamativi. Lo studioso

rifiuta tuttavia di legare questa costatazione unicamente all‟emotività che caratterizza il

parlato informale. La presenza di DD in domande e esclamazioni riguarderebbe infatti anche

la struttura informativa e conoscitiva del discorso. Nel suo articolo Rossi parla di situazioni

nelle quali l‟uso della DD è più naturale dell‟impiego della struttura equivalente non marcata.

Si tratta di « casi in cui la compartecipazione emotiva e la condivisione delle concoscenze tra

parlante e interlocutore si spingono a tal punto da rendere l‟uso della DD quasi obbligatorio

», oppure di « situazioni in cui è importante dare il giusto valore pragmatico all‟elemento

dislocato (sia dato, sia nuovo), facilitando la giusta interpretazione dell‟enunciato » (Rossi,

1997: 34). È soprattutto nelle domande che è necessaria un‟interpretazione coretta della frase,

visto che ci si aspetta una risposta o almeno una reazione. Da questo punto di vista la

preferenza della DD per la frase interrogativa non è sorprendente.

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5 Conclusioni

Nella prima parte di questo lavoro abbiamo presentato le caratteristiche generali del parlato,

con particolare attenzione alla situazione dell‟italiano.

L‟italiano si presenta in diverse varietà che dipendono dalle dimensioni diacronica, diatopica,

diastratica, diafasica e diamesica. L‟italiano parlato, che si trova accanto ai dialetti nel

repertorio linguistico orale degli italiani, è una di queste varietà.

Il parlato italiano, ma anche il parlato generale, viene caratterizzato da alcuni fattori. Nel

corso di questo lavoro abbiamo parlato del legame che il parlato ha con il contesto, sia

linguistico che extralinguistico, e abbiamo poi ripreso le caratteristiche attribuibili secondo

Berruto (1985: 143-144), cioè l‟egocentrismo, la semplificazione, la non pianificazione e la

percettività.

Nonostante l‟esistenza di una serie di regole per la formazione di testi parlati, non si può

parlare di una grammatica propria dell‟italiano parlato. Sembra che la lingua parlata disponga

piuttosto di una norma diversa di quella dello scritto standard. Questa norma lascia più libertà

al parlante, nel senso che il parlato è concentrato più sui bisogni comunicativi del parlante che

sull‟esplicitazione a fondo del sistema grammaticale.

Tra i fenomeni sintattici tipici dell‟italiano parlato se ne annoverano vari, tra i quali la DD,

che cambiano l‟ordine SVO della frase non marcata. Il mutamento dell‟ordine delle parole

avviene soprattutto per rispondere a certi bisogni comunicativi del parlante. Nel caso della

DD la sequenza SVO cambia influenzando la struttura tematica. L‟uso maggioritario della DD

nel parlato, inoltre, è anche motivabile con il fatto che essa soddisfa i quattro requisiti posti da

Berruto (1985).

Abbiamo visto che esistono tappe intermediarie tra il parlato-parlato e lo scritto-scritto e che

alcuni tratti del parlato si possono anche presentare in certe varianti della lingua scritta. Le

nuove forme di comunicazione (la posta elettronica, le chat-lines e gli SMS) costituiscono un

esempio di questo fenomeno. Sarebbe quindi interessante esaminare in un altro studio fino a

che punto i tratti del parlato, e le DD in particolare, siano presenti in queste nuove forme di

scrittura.

Nella seconda parte della tesi abbiamo esaminato in dettaglio alcuni studi sulla DD e abbiamo

quindi presentato i risultati di un‟analisi svolta sul corpus CLIPS.

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La DD si caratterizza dalla doppia presenza di un costituente dislocato e di un pronome clitico

cataforico. Il pronome prende sempre la persona, il numero, il genere (per la terza persona) e

la funzione dell‟elemento dislocato. Nelle lingue a soggetto obbligatorio quest‟ultimo è il più

frequentemente un soggetto. L‟italiano invece, che non esprime obbligatoriamente il soggetto,

disloca soprattutto l‟oggetto diretto. Il soggetto può, nonostante la sua assenza nelle opere

linguistiche sulla DD in italiano, apparire come costituente dislocato. Secondo Bovino (2004)

questo è il caso quando la coesione tra verbo e soggetto risulta minore. Normalmente

l‟elemento dislocato è dato e definito.

La DD è una struttura costruita secondo l‟ordine rema/tema. La maggior parte degli studiosi

considerano la DD come una struttura che enfatizza il rema della frase. Secondo Berruto,

tuttavia, è anche possibile che l‟enfasi stia sul tema. Questo fenomeno concerne unicamente le

DD vere e proprie, e non i ripensamenti.

Anche la cosiddetta grammaticalizzazione della DD riguarda unicamente le DD vere e

proprie. Visto che la DD, nata per focalizzare il tema, mette attualmente soprattutto in rilievo

il rema, sembra che essa stia perdendo il suo statuto di struttura marcata. La

grammaticalizzazione della DD è legata al ruolo del pronome clitico: se esso abbia ancora il

suo valore deittico o anaforico, oppure se non sia solo un indicatore della funzione casuale del

costituente dislocato. In quest‟ultimo caso il clitico può essere considerato come

grammaticalizzato. Abbiamo visto che i clitici ne e ci formano a volte unità lessicali con il

verbo. In questi casi la struttura non viene più sentita come marcata. La grammaticalizzazione

generalizzata dei pronomi clitici è tuttavia lontana di essere terminata; di conseguenza anche

le DD vanno ancora largamente interpretate come costrutti marcati.

I risultati dell‟analisi del nostro corpus coincidono generalmente con le affermazioni dei vari

linguisti.

In primo luogo non si incontrano negli studi consultati dichiarazioni nette sulla distribuzione

geografica della DD. Anche i nostri dati non consentono di pronunciarsi su questo fatto: non

abbiamo infatti trovato risultati che leghino il numero di DD utilizzate alla provenienza

geografica del parlante.

Per quel che riguarda la funzione grammaticale del costituente dislocato i risultati del nostro

corpus confermano le costatazioni fatte dai vari studiosi: l‟elemento dislocato è più

frequentemente un oggetto diretto.

I nostri dati confermano anche che l‟informazione contenuta nel costituente dislocato è nella

maggior parte dei casi data. In alcuni casi, però, essa può essere nuova. Come aveva già

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osservato Rossi (1997), l‟elemento dislocato è spesso nuovo nelle DD con proposizione

dislocata. Nella grande maggioranza delle DD del nostro corpus il costituente dislocato è

anche definito. Anche questa costatazione le ipotesi precedentemente avanzate da vari

linguisti.

Sul piano pragmatico/intonativo abbiamo visto che l‟enfasi può stare sul rema oppure sul

tema. Nelle opere consultate è soprattutto l‟enfasi sul rema che viene discussa, probabilmente

perché essa è più frequente. Anche nelle DD del nostro corpus il focus cade più regolarmente

sul rema che sul tema.

Infine abbiamo notato che la DD si trova spesso in enunciati interrogativi. Anche questa

osservazione non sorprende, visto che alcuni studiosi legano la DD alla frase interrogativa nei

loro lavori linguistici.

In conclusione si può dire che in generale i dati del nostro corpus confermino le teorie dei

linguisti che abbiamo trattato in questo lavoro. Ripetiamo tuttavia di nuovo che il numero di

DD trovate nel nostro corpus è troppo limitato per pronunciare affermazioni nette. Al fine di

poter enunciare conclusioni definitive sulla DD nell‟italiano parlato ci vogliono analisi più

approfondite tanto del corpus CLIPS che di altri corpora di italiano parlato.

Crediamo tuttavia che il nostro lavoro non è stato inutile. Anche se i nostri dati non

permettono di fornire conclusioni nette sulla DD, si possono notare alcune linee di tendenza.

Ed è precisamente questo il problema della DD: è difficile dare una descrizione univoca delle

sue caratteristiche e funzioni. E visto il numero limitato di studi sulla DD, ogni dato in più è il

benvenuto, perché aiuta a comporre un‟interpretazione più completa della DD.

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